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Guida al Lavoro
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La Cassazione riafferma la responsabilità
del datore di lavoro anche in relazione ad
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+ La profonda evoluzione che ha interessato negli
ultimi decenni il modello prevenzionale ha portato a un nuovo approccio alla sicurezza del lavoro
non più solo di tipo esclusivamente tecnicistico
ma anche organizzativo; invero, si è registrato un
ccambiamento significativo in relazione proprio al
rrapporto tra il potere direttivo-organizzativo del dattore di lavoro e il suo dovere di tutelare l’integrità
psico-fisica del lavoratore i cui contenuti fondap
mentali sono definiti dall’articolo 2087 del codice
m
ccivile.
SSotto questo profilo, infatti, sia il legislatore con gli
aarticoli 15 e 28, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008,
e ancor prima la giurisprudenza hanno incluso nel
n
novero dei rischi per la salute e la sicurezza quelli
di tipo trasversale nella quale rientrano, secondo la
d
cclassificazione tradizionale operata dall’Ispesl, l’orgganizzazione del lavoro, i fattori psicologici, i fattori
eergonomici e le condizioni di lavoro difficili.
IIl datore di lavoro, quindi, in quanto dominus dell’impresa
l
è tenuto a valutare anche tali rischi e ad
adottare
delle misure di natura organizzativa che
a
siano
s
idonee a prevenirli, tra cui anche la doverosa
vigilanza
rispetto ai carichi e l’orario di lavoro; tale
v
principio
è stato recentemente ribadito dalla Suprep
ma
m Corte di cassazione, sezione lavoro, che, nella
sentenza
dell’8 maggio 2014, n. 9945 in commens
to,
t ha individuato ulteriori elementi di questo specifico
f obbligo, specie per quanto riguarda le condizioni
n da stress lavoro-correlato che, come vedremo,
secondo
i giudici hanno concorso in maniera deters
minante
al decesso del lavoratore, fornendo al temm
po
p stesso alcuni preziosi orientamenti in tema di
valutazione
dei rischi e di limiti della responsabilità
v
datoriale.
d
/
Il
I caso affrontato dalla Suprema Corte trae origine
dalla
morte di un lavoratore a seguito dell’infarto
d
del
d miocardio; la Corte di appello di Roma, con
sentenza
del 24 maggio 2011, riformando la pros
nuncia
di primo grado accoglieva il ricorso pren
sentato
dal coniuge e condannava la società datris
ce
c di lavoro al pagamento, a titolo di risarcimento
dei
d danni, della somma di euro 434.137,00 in
favore
della stessa e della somma di euro
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425.412,00 in favore della figlia minore oltre gli vanza di ritmi insostenibili o fissato tempi di consegna dei progetti o sollecitato la definizione dei
accessori.
Per i giudici di secondo grado, infatti, era stata lavori in corso, e ha altresì censurato le conclusioaccertata la responsabilità datoriale della morte ni della relazione peritale - in punto di nesso
del lavoratore che, come si legge nella sentenza, si causale tra attività lavorativa e manifestazione
era trovato ad operare, negli ultimi mesi del suo dell’infarto letale - sulla base di una mera possibirapporto di lavoro «... in condizioni di straordinario lità scientifica, così violando gli articoli 40 e 41
aggravio fisico: l’attività lavorativa si era intensifi- c.p., oltre che gli articoli 1223 e 2043 c.c., e
cata fino a raggiungere ritmi insostenibili; l’impegno articolo 116 c.p.c (art. 360 n. 3 c.p.c.).
lavorativo era stato continuativo secondo una media Sotto questo profilo, inoltre, il ricorrente ha altresì
di circa undici ore giornaliere e aveva comportato il censurato la sentenza di secondo grado per vizio
protrarsi dell’attività a casa e fino a tarda sera; gli di motivazione in quanto avrebbe trascurato di
svariati e complessi progetti erano stati affidati alla considerare che l’infarto ebbe inizio nella giornata
gestione diretta dello S. senza affiancamento di col- di lunedì, mentre il lavoratore si trovava in una
località marina, e solo nelle prime ore del giorno
laboratori».
Sussiste, quindi, un rapporto causale tra ritmi la- seguente, quanto si portò sul luogo di lavoro, venvorativi stressanti ed eccessivi e l’infarto che ha ne colto da malore risultato fatale.
colpito il lavoratore, come confermato anche dalla
Ctu medico-legale in base alla quale «l’infarto era $ ) )#
correlabile, in via concausale, con indice di probabilità di alto grado, alle trascorse vicende lavorative».
Infarto e responsabilità datoriale
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassa- del modello organizzativo
zione censurando la sentenza dei giudici di secon- e della distribuzione del lavoro
do grado sotto molteplici profili così come la so- La posizione espressa dalla Suprema Corte appare
cietà assicuratrice mentre gli eredi hanno presen- molto ricca di contenuti e nel rigettare integraltato controricorso.
mente i ricorsi del datore di lavoro e della società
Soffermandoci, in particolare, sulla
assicuratrice ha magistralmente fornias
posizione datoriale occorre rilevare
t alcuni orientamenti interpretativi
to
che l’impianto della macchina difensi- 8 &7
cche
h possono essere così riassunti; seva è stato basato su diversi elementi gli ermellini, infatti, la Corte di
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che possono essere così riassunti; nel ((
ha correttamente fatto propri
aappello
p
ricorso per cassazione il datore di lai principi in materia sanciti nell’art.
voro ha, in primo luogo, lamentato la
2087 c.c. in base ai quali la responsa2
violazione di legge in relazione agli (
bilità del modello organizzativo e delb
artt. 116 c.p.c. e 2087 c.c., nonché laa distribuzione del lavoro fa carico al
vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 9 datore di lavoro che, invero, come da
d
5 c.p.c.) anche per omessa valutazione risalente «non può sotggiurisprudenza
i
di alcuni punti decisivi della controtrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi
tr
versia, facendo rilevare che se i ritmi
ddella integrità fisica e morale dei lavodi lavoro erano «serratissimi» e l’impegno lavorati- ratori che possano derivare dalla inadeguatezza del
vo «si estendeva sempre al di là del limite ordinario, modello adducendo l’assenza di doglianze mosse dai
come ritenuto dalla Corte di appello, ciò non era dipendenti».
imputabile alla società datrice di lavoro, ma dipen- Sotto questo profilo, precisa ancora la S.C. di casdeva dalla attitudine dello S. a sostenere e a lavorare sazione, poiché il datore di lavoro è nel rapporto
con grande impegno e al suo coinvolgimento intellet- di lavoro il soggetto titolare del potere organizzatituale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi».
vo lo stesso non può sostenere di ignorare le
In altri termini il datore di lavoro nel ricorso ha particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni
sostenuto la propria estraneità rispetto alla con- affidate ai lavoratori vengono in concreto svolte;
dotta del lavoratore, inquadrato come quadro, tale principio, invero, discende dall’art. 2086 cod.
non essendo a conoscenza delle modalità attra- civ. in base al quale «L’imprenditore è il capo delverso le quali lo stesso esplicava la sua attività l’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi
lavorativa, né il dipendente aveva mai espresso collaboratori» e costituisce l’elemento caratterizdoglianze o manifestato disagi fisici; a corollario zante del lavoro subordinato ex articolo 2094 del
ha fatto altresì osservare che è privo di riscontro codice civile.
probatorio che l’azienda avesse imposto l’osser- Sottolinea, pertanto, ancora la S.C. che deve, in-
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fatti, presumersi salvo prova contraria la conoscenza «in capo all’azienda, delle modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta
dell’assetto organizzativo adottato dall’imprenditore
con le proprie direttive e disposizioni interne».
ta del prestatore di lavoro cosa che, del resto, ora
emerge chiaramente dall’art. 18 del D.Lgs n. 81/
2008, e quindi anche in relazione all’adeguatezza
dei carichi di lavoro.
Nel caso de quo, poi, dall’accertamento compiuto
dal giudice di merito è emerso che l’oggettiva
gravosità e l’esorbitanza dai limiti della normale
tollerabilità non era in alcun modo riconducibile a
iniziative volontarie del lavoratore «di addossarsi
compiti non richiesti o di svolgere gli incarichi con
modalità non coerenti con la natura e l’oggetto degli
stessi»; pertanto, la posizione del datore di lavoro
risulta aggravata dalla mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore prescritte dall’art. 2087 c.c. che non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
Condizioni di lavoro stressanti
ed estensione dell’obbligo di valutazione
dei rischi
In tal senso occorre anche osservare che non va
dimenticato che il datore di lavoro ha altresì l’obbligo di valutare tutti i rischi e, quindi, anche
quelli da stress lavoro-correlato prendendo in considerazione gli indicatori di contenuto del lavoro
che, com’è noto, costituiscono insieme a quelli
aziendali (infortuni, assenze per malattia, turnover, procedimenti disciplinari ecc.) e di contesto del
lavoro (evoluzione della carriera, autonomia decisionale ecc.) i parametri fondamentali per la valutazione preliminare di tali rischi che presuppone,
appunto, una piena conoscenza dell’organizzazione aziendale da parte del datore di lavoro(1).
Si osservi, che l’art. 28, comma 1, del D.Lgs. n.
81/2008, fa riferimento, in particolare, a quelli
riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari come, appunto, quelli da stress lavorocorrelato ma, invero, come traspare della sentenza
in commento l’obbligo riguarda anche le condizioni lavorative e, quindi, i rischi ai quali è esposto il
singolo lavoratore: è questo un profilo sul quale
occorre riflettere attentamente in quanto spesso la
valutazione dei rischi viene eseguita solo per
gruppi omogenei di lavoratori senza, tuttavia, un
attento esame dei carichi individuali da un punto
di vista quantitativo (orario di lavoro, frequenza
degli straordinari, ferie, riposi ecc.) che qualitativo
(tipo d’impegno, tempi di risposta concessi, autonomia, livello di collaborazione ecc.), orientamento questo del resto già espresso dalla S.C. di cassazione penale nella sentenza dell’8 giugno 2010, n.
21810, in relazione ai turni massacranti ai quali
era assoggettato un camionista.
Onere della prova e nesso causale
In ordine all’onere della prova sottolinea ancora
una volta la S.C. di cassazione che mentre incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a
causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla
salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno,
come pure la nocività dell’ambiente o delle condizioni di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, è
altresì vero che, ove il lavoratore abbia fornito la
prova di tali circostanze, sussiste per il datore di
lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le
cautele necessarie ad impedire il verificarsi del
danno e che la malattia del dipendente non è
ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi(2).
Il datore di lavoro non ha, quindi, fornito tale prova
ma sostanzialmente si è trincerato dietro la posizione dell’ignoranza dell’attività svolta dal proprio dipendente censurando, come già rilevato, le conclusioni della relazione peritale in base alla quale sussiste, invece, un nesso causale tra attività lavorativa e
manifestazione dell’infarto letale.
Sotto questo profilo, la S.C. ha condiviso l’orientamento dei giudici di merito che hanno ritenuto sussistente tale nesso sulla base di «un indice di probabilità di alto grado, marcata o qualificata» e, quindi, ben
oltre il livello della mera possibilità teorica.
Dovere di vigilanza
e adozione delle misure di prevenzione
In tale senso, quindi, il datore di lavoro rimane
pur sempre responsabile dell’attività svolta in concreto dal singolo lavoratore anche qualora lasci
allo stesso margini anche ampi di autonomia, dovendo quindi continuamente vigilare sulla condot-
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La sentenza annotata appare di notevole valore in
quanto riafferma la responsabilità del datore di
lavoro anche in relazione ad eventi come l’infarto
del lavoratore dovuto a carichi di lavoro eccessivi
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Guida al Lavoro
Per un approfondimento si veda dello stesso Autore, Stress lavoro-correlato, Il Sole 24 Ore Editore, 2011.
Cfr. ex multis Cassazione civile, sez. lav., 29 gennaio 2013, n. 2038; Cassazione civile, sez. lav., 23 aprile 2008, n. 10529.
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( e stressanti e contribuisce a meglio definire quell’importante solco che recentemente si è cominciato a delineare con la sentenza della Suprema
Corte di cassazione pen., sez. IV, 8 marzo 2013,
n. 11062, che magistralmente ha riconosciuto la
responsabilità del datore di lavoro per non avere
adeguatamente analizzato le modalità di lavoro in
funzione dei correlati rischi da cui sono derivate
una condizione di stress e di stanchezza del lavoratore(3).
Le condizioni organizzative del lavoro e l’orario di
lavoro in particolare sono, pertanto, elementi di
fondamentale importanza da prendere in considerazione nella valutazione dei rischi (articoli 17, 28
e 29, D.Lgs. n. 81/2008), specie di questi tempi
in cui la perdurante crisi economica spinge spesso
le aziende a chiedere ai lavoratori gli straordinari
o ritmi più serrati anziché assumere nuove unità
lavorative, con un conseguente aumento del rischio d’infarto specie in quei contesti aziendali
caratterizzati dalla presenza di personale non tanto giovane: su questo profilo così delicato i datori
di lavoro dovrebbero, quindi, riflettere più attentamente.
Si osservi che la vicenda affrontata in questo caso dalla S.C. di cassazione riguardava l’infortunio occorso ad un lavoratore
addetto alle pulizie che mentre stava salendo lungo una scala a pioli cadeva dalla stessa riportando lesioni che ne
determinavano una malattia guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni; i giudici di merito nei due precedenti gradi
di giudizio avevano ritenuto responsabile il datore di lavoro così come la S.C. in quanto non furono adeguatamente
analizzate le modalità di lavoro in funzione dei correlati rischi per gli addetti alla pulizie che causarono una condizione di
stress e di stanchezza del lavoratore, dovute all’esecuzione di operazioni ripetitive comportanti una postura e dei
movimenti disergonomici ed, inoltre, ulteriormente reso faticoso dalla necessità di provvedere al trasporto delle necessarie
attrezzature di pulizia, durante la salita sulla scala, e dalla necessità di svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti.
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