Buone notizie per chi è bravo in matematica

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Pianeta scienza
MARTEDÌ 9 DICEMBRE 2014 IL PICCOLO
Cuore, ecco i modi in cui si possono prevenire i malanni
Domani alle 17.30, all’Auditorium Allianz di Largo Irneri
1, si terrà la tavola rotonda
“Cuore: preveniamo i malanni”.
Sono 1244 i casi di pazienti
infartuati negli ultimi sette
anni a Trieste e trattati con
angioplastica primaria: ovvero dilatazione con il "palloncino" e inserimento di uno
stent in caso di occlusione
coronarica con infarto. Nel
20 per cento dei casi si è trat-
tato di pazienti diabetici, nel
62 per cento di ipertesi, il 60
per cento soffrivano di ipercolesterolemia, il 53 per cento erano fumatori abituali.
Sono i dati che Gianfranco
Sinagra, direttore del Dipartimento di cardiologia all'
ospedale di Cattinara, porterà in discussione domani nella tavola rotonda. L’iniziativa, che ha l'obiettivo di contribuire a sensibilizzare la cittadinanza nei confronti della
prevenzione cardiologica, è
organizzata dal Rotary Club
Trieste con il patrocinio dell'
Ordine dei medici della nostra provincia, il cui presidente Claudio Pandullo introdurrà i relatori e il tema
della tavola rotonda. A moderare il confronto, sollecitando interventi e domande da
parte del pubblico, sarà il
giornalista scientifico Fabio
Pagan.
Qual è il cammino di un
paziente cardiopatico in base al suo profilo di rischio?
Quali sono i fattori di rischio
e come valutarli? E qual è il
ruolo dell'elettrocardiogramma? Sono questi i punti che
verranno toccati da Roberto
Magris, cardiologo territoriale, nell'intervento che aprirà
la tavola rotonda e che fornirà anche una pratica tabellina per calcolare la probabilità di sviluppare un evento
cardiaco.
Fondamentale risulta infine il reinserimento della persona cardiopatica nella vita
attiva dopo il ricovero e il percorso di riabilitazione. Ne
parlerà nel corso dell’incontro Andrea Di Lenarda, direttore del Centro cardiovascolare dell'ospedale Maggiore.
Verrà illustrato il progetto di
telemonitoraggio familiare
partito a Trieste da qualche
settimana con i fondi della
Comunità europea e che permetterà di monitorare a casa
propria e in sicurezza i pazienti con patologie croniche e disagio sociale.
Colture cellulari al posto degli animali
Anche a Trieste lezioni ai futuri biologi per privilegiare i test in vitro, come vuole da tempo la Ue
di Cristina Serra
Sostituire i modelli animali
con colture cellulari, ove possibile. È quanto auspicano i centri di riferimento dell’Ue per lo
sviluppo di metodi alternativi
alla sperimentazione animale
(Eurl Ecvam), ed è anche il percorso, fra gli altri, del progetto
europeo Seurat (valutazione
della sicurezza per la sostituzione della sperimentazione
sugli animali), che coinvolge
70 partner: università, aziende
farmaceutiche, piccole e medie imprese ed enti di ricerca
europei, oltre alla Fda americana.
In linea con questa tendenza etica, anche l’Università di
Trieste ha proposto a futuri
biologi un ciclo di lezioni
sull’uso di colture cellulari come sostituti alla sperimentazione animale, nei casi in cui i
test in vitro possano dare risultati che consentono di non ricorrere al modello in vivo. Ricordiamo che dall’11 marzo
2013, nella Ue è entrato in vigore il divieto totale di sperimentazione su animali nel settore cosmetico.
Promotori dell’iniziativa:
Enrico Tongiorgi, professore
di neurobiologia e Gabriele
Baj, assegnista di ricerca al dipartimento di scienze della vita. «Il nostro corso – spiega
Tongiorgi – è stato innovativo
Enrico Tongiorgi e Gabriele Baj curano la sperimentazione sulle colture cellulari
perché abbiamo mostrato agli
studenti l’uso delle cellule come strumenti per testare farmaci o verificare tossicità di
composti chimici (per esempio pesticidi), o addirittura per
costruire piccole porzioni in
3D di organi umani, mimando
su scala ridotta quel che succede su macroscala nell’organismo».
Molti gli spunti di lavoro.
Dall’uso colture cellulari nella
terapia del dolore (Elsa Fabbretti, Università di Nova Gorica), alla ricostituzione di tessuto cardiaco infartuato (Miguel
Mano, Icgeb), allo studio di
malattie neurodegenerative
come la sindrome amiotrofica
laterale (Beatrice Pastore, Sissa).
Francesco Curcio, docente
di patologia generale all’Università di Udine, ha mostrato
un esempio di med-tech, cioè
di tecnologia applicata alla medicina: «Grazie alla produzione automatizzata e standardizzata di colture cellulari da trapiantare abbiamo ottenuto ottimi risultati sull’osteoartrite
nel cane. Circa 100 animali
con problemi di deambulazione hanno recuperato funzionalità articolare».
«Il mondo delle colture cellulari è in divenire e i nuovi sistemi aggiungono complessità alla materia», osserva Baj
che ha curato la parte laboratoristica del corso. «È stato importante offrire una visione
completa, discutendo sia prospettive pionieristiche che
l’abc delle colture cellulari».
La strada dei test in vitro, però, è in salita. Spiega Tongiorgi: «Ancora non è del tutto possibile sostituire la sperimentazione animale con metodi alternativi. I test in vitro non bastano per studiare malattie
multigeniche od organi complessi. E comunque richiedono tempo per garantire standard qualitativi elevati, in cui
ogni parametro è ottimizzato
per una specifica malattia».
Tongiorgi e Baj hanno messo a punto un modello di coltura cellulare che permette di
studiare le patologie dello sviluppo neuronale: «Arrivare a
questo risultato non è stato
semplice» dicono. «Più di 15
parametri diversi devono essere controllati con rigore, ma
ora abbiamo un test che ci viene richiesto anche dall’estero». Per questi studi, due settimane fa, Gabriele Baj ha ricevuto il Premio Bioeconomy
dal presidente Napolitano.
Pazienti affetti da Sla in difficoltà con certi verbi
Uno studio dimostra che sono soprattutto quelli che indicano azioni, rispetto ai nomi degli oggetti
Secondo molti scienziati il fatto
che i pazienti affetti da Sla (oltre
ai gravi disturbi motori) mostrino evidenti e maggiori difficoltà
linguistiche con i verbi che descrivono azioni rispetto ai nomi
degli oggetti, dipende dal loro
deficit motorio. L’idea è che il sistema motorio abbia un ruolo
nella codifica semantica di queste parole. Un nuovo studio a
cui ha partecipato anche la Sissa mette alla prova quest’ipotesi
e suggerisce un ruolo importante per la “funzione esecutiva”.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia molto grave
che colpisce principalmente il
sistema motorio. Al centro
dell’attenzione pubblica negli
ultimi mesi grazie a una campagna virale, la Sla porta a una progressiva paralisi che causa la
morte. Uno dei sintomi meno
noti della malattia sono i deficit
cognitivi, che possono arrivare
fino a delle vere demenze. Uno
di questi deficit è la difficolta selettiva nel comprendere e usare
i verbi che descrivono le azioni,
che per questi pazienti risultano molto più ostici dei nomi degli oggetti. Gli scienziati hanno
ipotizzato che la difficoltà con
questa classe di vocaboli dipenda dal danno al sistema motorio, che influenzerebbe la codifica semantica di queste parole.
Un nuovo studio però non trova
dati a sostegno di questa ipotesi.
«La nostra idea è stata di confrontare la prestazione dei pazienti Sla, e di soggetti sani, per i
verbi riferiti ad azioni non con
quella per nomi di oggetti qualsiasi, ma di oggetti che implicano la stessa azione dei verbi utilizzati nei test (es: “lavarsi i denti” e “spazzolino”), e questo non
era stato fatto prima», spiega
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
Liuba Papeo, neuroscienziata
del Cimec di Trento e prima autrice della pubblicazione, che
ha iniziato la ricerca alla Sissa
durante il suo dottorato. «Gli
studi precedenti avevano infatti
usato verbi e oggetti completamente scorrelati».
Se infatti il problema con i
verbi deriva dal deterioramento
del sistema motorio, allora nei
test si dovrebbero osservare difficoltà anche per i nomi di oggetti che implicano l’azione.
«Nei nostri test abbiamo trovato
il vantaggio nell’elaborazione
dei nomi rispetto ai verbi. Que-
sto ci fa pensare che i deficit motori e la difficoltà con i verbi sono due aspetti distinti, non vi è
cioè una relazione causale diretta del primo sul secondo», racconta Raffaella Rumiati, che ha
coordinato la ricerca.
Che cosa causa allora il deficit
linguistico? «Questo tipo di difficoltà non è probabilmente specifica dei pazienti Sla. I nostri
test e risultati mostrano che c’è
un collegamento con la
“funzione esecutiva” che è proprio la funzione cognitiva che fa
i conti, tra le altre cose, con la
difficoltà dei compiti».
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AL MICROSCOPIO
Buone notizie
per chi è bravo
in matematica
di MAURO GIACCA
Buone notizie per chi ha un figlio bravo a scuola in matematica. Uno studio appena pubblicato dalla Vanderbilt University negli Stati Uniti rivela
che avrà successo nella vita e
nel lavoro. La ricerca ha seguito un gruppo di 1650 ragazzi
che, nel 1971 all'età di 13 anni,
erano risultati particolarmente dotati in matematica. Ebbene, a distanza di 40 anni, la
maggior parte di questi ha raggiunto traguardi professionali
ben più alti che la media dei loro coetanei. A livello accademico, hanno pubblicato complessivamente 85 libri e più di 7500
articoli scientifici, e depositato
quasi 700 brevetti. Un terzo ha
conseguito un dottorato, raggiunto da meno del 2% della
popolazione degli Stati Uniti.
Gli uomini ora guadagnano di
media 140mila dollari all'anno
e le donne 80mila, praticamente il doppio degli altri. E, ancora più importante, nella maggioranza dei casi vivono storie
familiari che li rendono felici.
Quanto c'è di genetico nella
predisposizione alla matematica? Sembra molto. E' vero che
esistono diversi tipi di intelligenza, di cui quella matematica è soltanto una, ma questi sono tutti strettamente collegati
tra loro. Ovvero chi eccelle in
un'abilità cognitiva (matematica appunto, ma anche memoria, capacità di risolvere i problemi, ampiezza del vocabolario, abilità spaziale) tende a essere particolarmente dotato
anche nelle altre. Studi condotti ormai su decine di migliaia
di individui rivelano come queste caratteristiche siano largamente determinate per via ereditaria. Con delle osservazioni
molto intriganti. Ad esempio,
quella che, al contrario di
quanto uno potrebbe aspettarsi, l'effetto genetico dell'ereditarietà sull'intelligenza diventa progressivamente più evidente in età adulta che da bambini. Oppure che le persone
tendono ad accoppiarsi e fare
figli con persone dello stesso livello intelligenza, molto di più
di quanto i grassi lo facciano
con i grassi o gli alti con gli alti:
i figli di madri intelligenti è
molto probabile che abbiano
anche padri intelligenti. Oppure che un alto livello di intelligenza condizioni non soltanto
successo lavorativo, ma anche
migliore salute e un'aspettativa di vita più lunga.
Quali sono i geni coinvolti?
Non lo sappiamo, ma sappiamo che sono molti, probabilmente centinaia, e che l'effetto
di ciascuno è relativamente
piccolo e quindi ancora difficile da decifrare. Secondo una teoria accreditata, le persone geniali, che di tanto in tanto nella
storia dell'umanità emergono
anche da ambienti sociali o
educativi modesti, potrebbe
essere proprio il frutto di un'eccezionale e rara combinazione
di alcuni di questi geni.