TASCABILI BOMPIANI 497 Traduzione dal francese della Prefazione di Ileana Zagaglia Traduzione dal francese della Postfazione di Anna Maria Lorusso Titolo originale JE SUIS LE DERNIER JUIF © 2009 by Les Arènes, Paris © 2010/2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via A. Rizzoli 8 - 20132 Milano Published in agreement with Marco Vigevani & Associati Agenzia Letteraria ISBN 978-88-452-7546-2 I edizione Tascabili Bompiani gennaio 2014 A tutti coloro che non hanno potuto raccontarlo. Andrés, Daniel, José Rajchman. “Il fatto è che lo scrittore deve dire la verità, quand’anche sia terribile, e il lettore deve conoscerla. Voltarsi dall’altra parte, chiudere gli occhi, passare oltre significa insultare la memoria di quelli che sono morti.” Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka “Conchiuso il tempo in cui i giorni si inseguivano vivaci, preziosi e irreparabili, il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata.” Primo Levi, Se questo è un uomo Prefazione “I lugubri vagoni mi trasportano laggiù, in quel luogo. Trasportano da ogni dove: dall’est e dall’ovest, dal nord e dal sud. Giorno e notte. In ogni stagione dell’anno: primavera ed estate, autunno e inverno. I convogli arrivano senza impedimenti e senza limiti e Treblinka diventa di giorno in giorno più ricca di sangue. Più gente arriva, più Treblinka diviene capace di accoglierne.” Sin dall’inizio di questo resoconto, scritto in yiddish, lingua madre del narratore, la parola “io” scompare nell’incessante viavai allucinato dei treni che procedono verso il luogo di un destino collettivo: Treblinka. I treni conducono alla fabbrica della morte di innumerevoli carichi di uomini immediatamente inghiottiti. Chil Rajchman fu uno dei rari sopravvissuti. Dopo la rivolta del campo, il 2 agosto 1943 – la sua seconda nascita, come la d efinì in uno dei processi al quale partecipò come testimone* –, visse da clandestino fino al suo ultimo nascondiglio a Varsavia. La guerra non è ancora terminata * USC Shoah Foundation Institute, Los Angeles, 24 ottobre 1994. 9 quando affida a un taccuino il racconto dei mesi passati a Treblinka. Questo testo appartiene dunque a una categoria di scritti ristretta e molto particolare: quelli elaborati nell’ombra della morte, quando la guerra è ancora in corso, per conservare memoria di avvenimenti che vanno oltre l’immaginabile. Altri due testi di questo tipo sono giunti fino a noi. Calel Perechodnik, poliziotto ebreo nel ghetto di Otwock, luogo di villeggiatura a pochi chilometri da Varsavia, sfuggì alla “liquidazione” del ghetto, dopo diverse peregrinazioni si nascose nella Varsavia “ariana”, e, nel suo rifugio, scrisse in polacco la sua testimonianza pubblicata col titolo Sono un assassino? Autodifesa di un poliziotto ebreo.* Simha Guterman, anche lui scappato insieme al figlio alla “liquidazione” del ghetto di Plock, scrisse i suoi ricordi nascondendoli poi lungo le strade che lo condussero a Varsavia.** Simha Guterman e Calel Perechodnik morirono durante l’insurrezione della città. In questi tre resoconti, gli autori si annullano davanti a ciò che vogliono descrivere. La violenza, la crudezza del racconto, l’assenza d’indulgenza o di infingimenti su ciò che fecero non si spiegano se non con l’incertezza sulla loro sopravvivenza. Ciò che essi testimoniano prevale sul desiderio di costruire un’immagine di sé, o di suscitare simpatia o pietà. Chil Rajchman conservò il suo scritto, in Polonia dapprima, poi sulle strade dell’emigrazione che lo condussero a Montevideo, in Uruguay, dove mise su famiglia e trovò * Calel Perechodnik, Sono un assassino? Autodifesa di un poliziotto ebreo, Feltrinelli, Milano, 1996. ** Simha Guterman, Il libro ritrovato, Einaudi, Torino, 1994. 10 lavoro. Cercò di farlo conoscere? Niente di meno sicuro. Rajchman, come i suoi compagni, testimoniò, ma tardivamente, negli Stati Uniti – all’epoca del processo di denaturalizzazione di Ivan Demjanjuk,* nel quale aveva creduto di riconoscere il terribile Ivan che azionava gli impianti delle camere a gas a Treblinka – poi a Gerusalemme, sempre al processo di Demjanjuk. Divenne allora, per l’Uruguay, la grande figura di sopravvissuto. Solo oggi è possibile leggerlo. La terribile bellezza e potenza di questo breve racconto risiedono nel flusso allucinato che narra quello che fu la vita a Treblinka, senza che altre voci o eruditi riferimenti interferiscano. Degli uomini corrono senza sosta sotto i colpi di frusta, tagliano i capelli alle donne, cavano i denti ai cadaveri, corrono ancora trasportando corpi in decomposizione. Pochi i nomi nello scritto di Chil Rajchman – Kurt Franz, naturalmente, e il suo cane Bari; Mathias, probabilmente l’SS Arthur Matthes; qualche soprannome come predilige lo yiddish. Le SS diventano gli “assassini”. L’uomo venuto per mettere a punto il forno crematorio per centinaia di migliaia di corpi in putrefazione e che inventa un ingegnoso sistema di graticole costruite con binari ferroviari, del quale i deportati ignorano il nome (probabilmente Herbert Floss), è soprannominato ironicamente l’“Artista”. Allo stesso modo poche le date in queste pagine, oltre quella della rivolta del 2 agosto 1943 che causò molte vittime ma consentì a qualche centinaio di internati di * Il primo processo a Demjanjuk ebbe luogo a Cleveland. Demjanjuk fu privato della nazionalità americana, con sentenza del 23 luglio 1981, preludio al suo trasferimento in Israele e al processo a Gerusalemme nel 1987. Condannato, fu prosciolto in appello col “beneficio del dubbio” sulla sua identità e liberato dalla giustizia israeliana. 11 evadere. Di questi ultimi, molti furono uccisi, la maggior parte fu catturata dopo una gigantesca battuta; qualche decina era ancora in vita dopo la guerra. Per saperne di più su Rajchman, è necessario ricorrere ad altre fonti che non siano il suo scritto.* Chil Rajchman nacque il 14 giugno 1914 a Lodz, in Polonia, dove visse con il padre, tre sorelle e due fratelli fino allo scoppio della guerra – la madre era morta nel 1931. Lodz era nel Warherland, quella parte orientale della Polonia annessa alla Germania diventata Litzmannstadt. Uno dei fratelli riuscì a raggiungere la zona della Polonia annessa all’Unione Sovietica, dove sopravvisse alla guerra. Nell’ottobre del 1939, Chil e la sorella minore – la maggiore si era sposata – raggiungono la cittadina di Pruszkow, a una ventina di chilometri da Varsavia, nel Governatorato generale. Gli altri membri della famiglia rimangono a Lodz, ben presto rinchiusi nel ghetto. Chil viene poi destinato ai lavori forzati, mentre la sorella è inviata al ghetto di Varsavia dove la troverà dopo la chiusura del campo di Pruszkow e l’istradamento di tutti gli ebrei nella città. Non sappiamo assolutamente come né quando, ma Chil riuscì a procurarsi dei documenti e a raggiungere la città di Ostrow Lubelski, una trentina di chilometri a nordest di Lublino. Del tempo che vi trascorse, sempre insieme alla sorella, conserva il ricordo di una vita senza sofferenza durante la quale non conobbe la fame. Fino al giorno in cui i tedeschi decidono che la regione deve essere Judenfrei, libera da ebrei. Con la sorella e tutti gli ebrei dei campi vicini è condotto a Lubartów. E da qui ha inizio il racconto: “I lugubri vagoni mi * In particolare quello raccolto dall’United Holocaust Memorial Museum di Washington il 7 dicembre 1988. 12 trasportano laggiù, in quel luogo.” Il luogo è Treblinka, di cui Rajchman nulla sa. Chil Rajchman ha vissuto l’inferno di Treblinka, per riprendere il titolo del volume che Vasilij Grossman – all’epoca corrispondente di guerra per la stampa sovietica e curatore insieme a Ilya Ehrenburg del Libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, raccolta di testimonianze sullo sterminio degli ebrei nell’Unione Sovietica – consacrò a Treblinka dal 1944, a partire dai racconti che lui stesso aveva registrato, ma anche da dichiarazioni scritte raccolte dalla Commissione Centrale di Documentazione sui Crimini Nazisti in Polonia.* Lo scrittore fornisce una descrizione impressionante dei luoghi dove arriva nel settembre del 1944. “A est di Varsavia, sulla riva occidentale del Bug, si estendono sabbie e paludi, fitte foreste di pini e latifoglie. Su questa terra povera, i villaggi sono rari; l’uomo evita gli stretti sentieri dove il piede affonda nel fango e la ruota sprofonda nella sabbia fino al mozzo.” Là sulla linea ferroviaria di Siedlce, si trova la piccola stazione di campagna di Treblinka, a una sessantina di chilometri da Varsavia, non lontano dal nodo di Malkinia dove si incrociano le ferrovie provenienti da Varsavia, Byalistok, Siedlce, Lomza. Un paesaggio monotono, “di pini e di sabbia, di sabbia e di pini, con qua e là ciuffi di erica, un cespuglio secco, una stazione malinconica, uno snodo ferroviario (...) * Nella testimonianza già citata raccolta a Los Angeles nel 1994, Rajchman rievoca il suo ritorno davanti alla Commissione, che egli data al 1945. Tra i tredici testimoni ebrei interrogati dalla Commissione compare in effetti un certo Henryk Reichman. Chil si nascose e abitò in Polonia sotto il nome di Henryk Romanowski. Dopo la Liberazione, conservò il nome di Henryk insieme a quello di Yekhiel (di cui Chil è il diminutivo). 13 una diramazione a binario unico che parte dalla stazione per addentrarsi nel bosco fra i pini che lo delimitano sui due lati. Questa diramazione conduceva a una cava di sabbia bianca che veniva utilizzata per l’edilizia industriale e urbana”. Essa è situata in uno spazio “nudo, così arido che i contadini l’hanno abbandonato come un deserto in piena foresta. La terra è chiazzata di muschio; qua e là un pino gracile; ogni tanto una taccola o un’upupa solcano il cielo. Questi luoghi desolati erano stati scelti, con l’approvazione del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, per farne un enorme carnaio, quale l’umanità non aveva ancora mai conosciuto prima dei nostri giorni crudeli, neanche al tempo della barbarie primitiva.” Il campo di Treblinka fu edificato nel giugno 1942 a due chilometri da un campo di lavori forzati costruito nel 1941. È una zona isolata a meno di cento chilometri a nordest di Varsavia. Diventa operativo nel luglio 1942 ed è dapprima la destinazione degli ebrei del ghetto di Varsavia, “liquidati”, prima di ricevere convogli provenienti dal Governatorato generale, poi dalle zone di occupazione bulgara. Vi furono deportati tra i 700.000 e i 900.000 ebrei,* che portarono con sé tutto ciò che ancora possedevano: abiti, strumenti di lavoro, gioielli, denaro, vettovaglie. Un piccolo numero di giovani uomini (e anche qualche donna) fu scelto dai convogli per costituire i “Kommandos di * Non esistono per Treblinka liste degli ebrei che vi furono sterminati. Dal momento che venivano assassinati al loro arrivo, non sono stati neanche registrati in dettaglio. Gli archivi sono stati quasi del tutto distrutti e le cifre sono dunque controverse. Raul Hilberg parla di 700.000 morti, Gitta Sereny di 1.200.000. Anche se ci si attiene alle stime più basse, Treblinka è il luogo principale dello sterminio degli ebrei polacchi, mentre ad Auschwitz-Birkenau furono uccisi ebrei di tutta Europa. 14 lavoro”, chiamati pure “ Kommandos ebrei”, e occuparsi di questa massa considerevole di beni e di corpi. Tra essi, Chil Rajchman, che tagliò i capelli alle donne, come Abraham Bomba, strappò i denti ai cadaveri, smistò i vestiti, trasportò i corpi. Alla fine del 1942, le SS cercarono, come tutti gli assassini, di far sparire i corpi, che erano stati precedentemente sotterrati, bruciandoli. Quelli dei “Kommandos ebrei” si ritrovarono a dissotterrarli a mani nude prima che l’“Artista” mettesse a punto, su incitamento del comandante del campo, Franz Stangl, il sistema di tipo industriale che combinava scavatrice e “graticole”, così ben descritte da Rajchman. Davanti all’evidenza che i nazisti non avrebbero lasciato alcuna traccia, nessun testimone del genocidio, la rivolta era l’unica speranza di sopravvivenza. I prigionieri incendiarono degli edifici, ma alcune camere a gas rimasero funzionanti e lo sterminio proseguì, a ritmo ridotto, fino a ottobre 1943, quando tutte le installazioni furono smantellate: i mattoni delle camere a gas servirono alla costruzione di una fattoria che venne affidata a un ucraino incaricato di sorvegliare che nessuno s’interessasse a quel luogo. Piantarono pini e seminarono lupino. * “Entriamo nel campo, calchiamo il suolo di Treblinka,” scrive Vasilij Grossman che vi giunse alla fine del settembre 1944. “La terra cede sotto i piedi, molle e grassa come se fosse stata irrigata con olio di lino – la terra senza fondo di Treblinka, mossa come un mare. Questa distesa deserta che è circondata da filo spinato ha inghiottito più esisten* Uno dei personaggi di Shoah, il film di Claude Lanzmann, che con Richard Glazar e l’SS Suchomel racconta ciò che fu Treblinka. 15 ze umane di tutti gli oceani e di tutti i mari del mondo da che esiste il genere umano. La terra rigetta frammenti d’osso, denti, oggetti diversi, carte. Non vuole essere complice. Le cose sfuggono dal suolo che si apre, dalle ferite ancora spalancate: camicie mezze consumate, pantaloni, scarpe, portasigari, ingranaggi di orologi, temperini, pennelli da barba, candelieri, scarpine di bambini con pompon rossi, tovaglioli ricamati d’Ucraina, merletti, forbici, ditali, corsetti, bendaggi. Più lontano resti di utensili: bicchieri di metallo, tazze, padelle, tegami, marmitte, pentole, bidoni, cassette, bicchieri per bambini (…). Continuiamo ad avanzare su questa terra in cui il passo affonda: tutt’a un tratto ci fermiamo. Dei capelli folti, ondulati, color del rame, dei bei capelli di ragazze calpestati, poi dei boccoli biondi, e pesanti trecce nere sulla sabbia chiara e altri e altri ancora. Il contenuto di un sacco, di un solo sacco di capelli, doveva essersi rovesciato lì…” Nel giro di quindici anni, il mondo sembrò dimenticare. I sopravvissuti della rivolta si dispersero per il mondo, negli Stati Uniti e soprattutto nel giovane Stato d’Israele. Si sposarono, ebbero figli, trovarono lavoro. Al di fuori delle testimonianze di Yankel Wiernik – corredata della piantina del campo, pubblicata a New York nel 1945 – e di Samuel Rajzman durante la sessione del 27 febbraio 1946 del processo di Norimberga, nessuno provò a raccontare fino al processo di Eichmann (1961), in cui Treblinka fu evocato da Kalman Teigman, Eliahu Rosenberg e Abraham Lindwasser a proposito della mappa del campo disegnata da Wiernik che si può sempre vedere 16 nel kibbutz dei combattenti del ghetto, non lontano da Acco (Saint-Jean-d’Acre). Il processo Eichmann inaugurò nuovi procedimenti giudiziari. Nel 1964-1965, la corte d’assise di Düsseldorf giudicò, in meno di un anno, dieci “assassini”, tra i quali Kurt Franz, condannato, come altri tre, ai lavori forzati a vita. Chil Rajchman non fece il viaggio da Montevideo per testimoniare. Il secondo processo fu quello del suo comandante, Stangl, proveniente come la maggior parte delle SS dai membri di Aktion T4, vale a dire il progetto di eliminazione dei malati mentali, che conducevano “vite indegne di essere vissute”. Stangl, condannato all’ergastolo, fece appello. Mentre era in attesa del suo secondo processo, accettò lunghe interviste con Gitta Sereny. Morì per una crisi cardiaca qualche ora dopo l’ultimo incontro con la giornalista. A partire dalle loro conversazioni, dalle interviste con altri sopravvissuti – Richard Glazar soprattutto – e con altri “assassini” (Suchomel in particolare) Gitta Sereny scrisse In quelle tenebre, il libro fondamentale, e fin qui insuperato, sui meccanismi di trasformazione di un uomo in sterminatore. Il terzo processo, a Gerusalemme, fu quello di Ivan Demjanjuk. Durante tutto il dibattimento, Chil Rajchman fu molto attivo e soffrì intensamente per i dubbi sollevati sull’identità di un accusato che lui riteneva di aver riconosciuto. Nel corso degli anni in cui Rajchman raccontò la sua storia, il suo manoscritto non fu reso pubblico. Lo è oggi, ora che il suo autore non è più tra noi. L’acume e la crudezza della descrizione, la violenza di un racconto privo di quegli stereotipi che si trovano talvolta nei racconti tardivi 17 dei sopravvissuti, dovrebbe far entrare quest’opera nel canone dei grandi testi della letteratura del disastro. Annette Wieviorka Centre National de Recherche Scientifique treblinka 1942/43 io sono l’ultimo ebreo 1 Nei vagoni piombati verso un luogo sconosciuto. I lugubri vagoni mi trasportano laggiù, in quel luogo. Trasportano da ogni dove: dall’est e dall’ovest, dal nord e dal sud. Giorno e notte. In ogni stagione dell’anno: pri mavera ed estate, autunno e inverno. I convogli arrivano senza impedimenti e senza limiti e Treblinka diventa di giorno in giorno più ricca di sangue. Più gente arriva, più Treblinka diviene capace di accoglierne. Come tutti gli altri, non so ancora perché e dove stiamo andando. Tuttavia cerchiamo, per quanto è possibile, di ottenere qualche informazione sul viaggio. I banditi ucraini che ci fanno la guardia non intendono concederci alcuna risposta. Le uniche parole che udiamo da loro sono: Dateci l’oro, l’argento e gli oggetti di valore. Quelle canaglie non fanno che perquisirci. Ogni momen to ne arriva uno nuovo a seminare il terrore. Ci picchiano a sangue con il calcio dei fucili e ciascuno di noi si sforza per quanto è possibile di placare gli assassini con qualche zloty per evitare le botte. Così è il viaggio. 21 Partiamo dalla stazione di Lubartów a circa venti chi lometri da Lublino. Con me ci sono Rivka, la mia sorella minore — una bella ragazza di diciannove anni —, un mio caro amico, Wolf Ber Royzman, sua moglie e i suoi due figli. I nostri compagni di viaggio li conosco quasi tutti, sono della stessa cittadina, Ostrów Lubelski. Nel vagone siamo in centoquaranta. Si sta incredibilmente stretti, l’aria è pesante e mefitica, siamo pigiati gli uni contro gli altri. Per la mancanza di spazio siamo costretti a fare i nostri bisogni sul posto così come stiamo, uomini e donne insieme. Da ogni angolo si sentono gemiti di angoscia e ciascuno chiede all’altro: Dove ci stanno portando? Ma ognuno alza le spalle e risponde con un profondo sospiro. Nessuno conosce la nostra destinazione e allo stesso tempo nessu no vuole credere che stiamo andando là dove già da mesi vengono condotti i nostri fratelli, le nostre sorelle, i nostri parenti più stretti. Accanto a me siede il mio amico Katz, di professione ingegnere. Lui mi assicura che siamo diretti in Ucraina e che là potremo stabilirci in un villaggio e dedicarci al lavoro agricolo. Mi spiega che lo sa con precisione perché glielo ha detto un ufficiale tedesco, amministratore di un fondo rustico del governo, a sette chilometri da Jedlanka, la nostra cittadina. Glielo ha riferito “da amico”, perché qualche volta lui gli ha riparato un motore elettrico. Voglio crederci anche se vedo che in realtà non è così. Procediamo. Molto spesso il treno rimane fermo perché, non essendo compreso nel piano della regola re circolazione, deve attendere che passino i convogli normali. Attraversiamo diverse stazioni, tra cui Luków 22 e Siedlce. Ogni volta che ci fermiamo prego le guardie ucraine che scendono di portarci un po’ d’acqua. Ma loro non rispondono, solo se qualcuno gli allunga un orologio d’oro procurano qualcosa da bere. Molti dei miei amici consegnano gli oggetti preziosi in anticipo e non ricevono quel poco d’acqua promesso. A me capita un’eccezione. Chiedo un po’ d’acqua a un ucraino, lui pretende cento zloty per una bottiglia. Acconsento. Poco dopo arriva con una bottiglia d’acqua da mezzo litro. Gli domando quan to ancora durerà il viaggio. La risposta è tre giorni, perché siamo diretti in Ucraina. Comincio a chiedermi se non sia la verità. Sono quasi quindici ore che siamo in viaggio, e abbiamo percorso circa centoventi chilometri. L’orologio segna già le quattro del mattino quando ci approssimiamo alla stazione di Treblinka, a sette chilo metri da Malkinia. Ci fermiamo. I vagoni sono chiusi e non abbiamo idea di ciò che sarà di noi. Aspettiamo che il treno si rimetta in movimento. Mia sorella mi dice che ha fame ma abbiamo con noi ben poco. Avendo lasciato la nostra cittadina inaspettatamente non abbiamo potuto comprare viveri. La stessa cosa è accaduta a Lubartów, e così le nostre provviste sono scarse. Le spiego che ci aspetta un lungo viaggio e dobbiamo razionare il cibo il più possibile, altrimenti non basterà fino alla fine. Mia sorella è d’accordo. Si rassegna a digiunare e mi assicura che in fondo non è poi così affamata… 23 2 Entriamo in un bosco. Treblinka. Davanti ai nostri occhi un’immagine di morte. Uomini a destra, donne a sinistra! Poco tempo dopo il treno riparte. Fuori è già chiaro. Siamo inquieti perché vediamo che il treno torna indietro. Il convoglio si muove lentamente, stiamo entrando in un bosco. Ci guardiamo gli uni gli altri. Che succede?... Non passa molto tempo e davanti ai nostri occhi si rivela uno scenario triste e spaventoso. Un’immagine di morte. Attraverso la stretta apertura del vagone scorgo alti cumuli di vestiti. Adesso comprendo che siamo perduti. È la fine. Qualche istante dopo la porta del vagone viene spalancata di botto con grida diaboliche: Raus! Raus! Ormai non ho più dubbi sulla nostra disgrazia. Prendo mia sorella sottobraccio e cerco di uscire fuori il più velocemente possibile. Lascio dentro tutte le nostre cose. La mia povera sorella mi domanda perché abbandono i fagotti. Le rispondo: Non ci ser vono… Non faccio in tempo ad aggiungere nulla che si sente un grido crudele: Uomini a destra, donne a sinistra. Riusciamo a malapena a scambiarci un bacio prima di venire separati per sempre. 24 Una pioggia di colpi si abbatte su di noi da ogni parte. Gli assassini ci spingono in un piazzale, ci dispongono in file e gridando ci ingiungono di consegnare immedia tamente al deposito oro, denaro e oggetti preziosi. Chi li nasconde sarà fucilato. Quasi tutti consegnano ciò che hanno. Poi ci viene ordinato di svestirci velocemente e di legare insieme le scarpe. Ciascuno si spoglia il più in fretta possibile perché le fruste sibilano sopra le teste. Chi ci mette troppo tempo viene colpito con selvaggia crudeltà. Treblinka è costruito in modo professionale. Al primo sguardo può sembrare una normale stazione ferroviaria. La banchina è abbastanza lunga e ampia da accogliere un treno normale, anche di una quarantina di vagoni. A qual che decina di metri da essa si trovano due baracche, l’una di fronte all’altra. In quella di destra viene immagazzinato il cibo che la gente si porta fin qui, quella di sinistra serve da spogliatoio alle donne e ai bambini. Gli assassini sono così cortesi da non pretendere che le donne si spoglino insieme agli uomini all’aperto. Sulla via che conduce alla morte, una strada senza ritorno, uomini e donne si rin contrano nudi. A sinistra della banchina vi sono alcune costruzioni di legno, tra cui la cucina e i laboratori. Di fronte ci sono le baracche dove si dorme. Non lontano si trova anche la baracca dove vivono gli uomini delle SS, che è arredata nel modo più confortevole. A destra della banchina c’è un grande spiazzo dove vengono accumulati i vestiti, le scarpe, la biancheria, le coperte e varie altre cose. Qui lavorano alcune centinaia di prigionieri che fanno la cernita dei vestiti e poi li mettono da parte in un posto specifico. 25
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