LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LA RISTRUTTURAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI 13 marzo 2015 – Auditorium Casa dell’Economia – Lecco – via Tonale, 30 Intervento di Florindo Oliverio, Segretario generale Funzione Pubblica CGIL Lombardia RAPPRESENTANZA E CONTRATTAZIONE: STRUMENTI UTILI ALLE RIFORME E A SERVIZI DI QUALITÀ. La scorsa settimana le lavoratrici e i lavoratori di tutte le amministrazioni pubbliche hanno votato per rinnovare le rappresentanze sindacali unitarie del proprio posto di lavoro. Circa tre milioni di donne e uomini che ogni giorno, con il loro lavoro fanno funzionare lo stato, in ogni sua articolazione. Magari con difficoltà ma senza perdere di vista quella missione fondamentale rivolta a tutti i cittadini, quella di offrire servizi che corrispondono ai diritti di cittadinanza. Tre milioni di persone che lavorano per altre persone. Alla vigilia del voto per le Rsu erano tante le incertezze e le sfide che da più parti si lanciavano. Il blocco dei contratti nazionali da sei anni e della contrattazione integrativa per effetto del decreto legislativo 150 obiettivamente minano alle fondamenta funzione e ruolo della rappresentanza nei luoghi di lavoro. Eppure il 6 marzo ha consegnato risposte inequivocabili di cui anche il governo, a partire dal suo presidente del consiglio, dovrà tener conto. Innanzitutto è arrivata una risposta secca a chi in questi mesi ci ha spiegato che nell'era dei social network viene meno l'esigenza di una rappresentanza collettiva. I votanti per le Rsu sono andati ben oltre il 70 per cento degli aventi diritto. Esprimendo così un bisogno di rappresentanza collettiva reale. Un'affermazione di democrazia che nel mondo del lavoro dimostra così di essere più presente che nell'ambito della politica, ad esempio, dove le percentuali di astensionismo sono ormai altissime. Quel 70 per cento di votanti per le Rsu ha detto che c'è ancora bisogno di rappresentanza e che attraverso i suoi rappresentanti, democraticamente eletti con sistema proporzionale e scelta dei candidati in carne e ossa, vuole partecipare attivamente dell'organizzazione del lavoro e dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche. Se volessimo fare un confronto improponibile, oltre che scontato, non c'è paragone tra i due milioni di lavoratori pubblici che si recano alle urne per scegliere i propri rappresentanti sindacali, con i propri programmi elettorali, e i ventimila che hanno risposto alla mail del governo sui 44 punti per riformare le pubbliche amministrazioni. Ma il voto è stato esplicito anche su un'altra questione lanciata nella competizione anche grazie alle dichiarazioni del presidente del consiglio. Nella scelta dei candidati e delle organizzazioni sindacali cui affidare il ruolo della rappresentanza e della contrattazione, le lavoratrici e i lavoratori non hanno avuto incertezze. Oltre il 75 per cento ha scelto il sindacato generale e confederale. Rifiutando così la teoria secondo cui il sindacato non debba occuparsi delle scelte generali del paese che hanno effetti sul lavoro e sui lavoratori dentro e fuori i luoghi di lavoro. Ai lavoratori serve un sindacato che rinnova i contratti nazionali, che contratti l'organizzazione del lavoro, ma che lo rappresenti e ne determini le condizioni di vita e di lavoro, nell'ufficio e nella società. Un sindacato quindi che sia un 1 interlocutore reale nei confronti di governo e politica su temi importanti come le pensioni, il fisco, la salute, l'istruzione, l'occupazione. La riforma delle pubbliche amministrazioni. E, permettetemi, di aggiungere qui anche il riconoscimento che ancora una volta le lavoratrici e i lavoratori delle amministrazioni pubbliche hanno attribuito alle liste della CGIL, riconfermandola ancora una volta primo sindacato italiano, organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa sul piano nazionale con oltre il 31 per cento dei consensi e oltre il 33 per cento a livello lombardo. Forse l'ho fatta troppo lunga sul voto delle Rsu ma credo sia utile nel ringraziare l'onorevole Fragomeli dell'invito che mi ha rivolto stamattina, ricordare che il lavoro pubblico, e chi lo rappresenta, è un soggetto fondamentale, determinante, per la riuscita o meno di ogni processo di riforma del sistema delle amministrazioni e dei servizi pubblici. E invito qui, quanti di voi possono farlo, a sollecitare l'apertura di una fase nuova delle relazioni tra governo e sindacati, tra istituzioni ai vari livelli e rappresentanti dei lavoratori, perché si cominci davvero e finalmente un confronto di merito sulle riforme e sulla contrattazione. In questi anni di blocco della contrattazione integrativa non è migliorata la capacità organizzativa degli enti. In questi anni di spending review si sono ridotte le retribuzioni ma non i costi e gli sprechi delle amministrazioni. Allora bisogna interrogarsi su cosa serve e come farlo. Il presidente della repubblica, nel suo discorso di insediamento, ha ricordato ai parlamentari e ai rappresentanti delle regioni che per gli italiani lo stato e la repubblica si riconosce ogni giorno in una scuola, un ospedale, un asilo, un municipio, un qualunque ufficio pubblico. Materializzando così quel principio costituzionale secondo cui lo stato, attraverso le sue articolazioni, organizza servizi, funzioni, attività, utili a rimuovere quegli ostacoli che impediscono ai cittadini di sentirsi tutti ugualmente partecipi della vita pubblica e con pari diritti. Le parole del presidente Mattarella ci ricordano immediatamente che l'organizzazione dello stato, con il suo sistema articolato e complesso di amministrazioni pubbliche, realizza l'uguaglianza sostanziale prevista dall'articolo 3 della nostra carta costituzionale. In una società che evolve la capacità di erogare servizi non è mai data una volta per tutte. Naturalmente cresce la domanda di diritti e di servizi, si specializza, si qualifica. Da qui la nostra chiara indicazione per avviare un reale, effettivo, visibile processo di riorganizzazione e, quando serve, di riforme del sistema pubblico. Da qui la naturale vocazione del sindacato che rappresento, la CGIL dei lavoratori pubblici, per indicare la via delle riforme come fondamentali per riqualificare i servizi e le amministrazioni pubbliche. Renderli costantemente utili al paese, ai cittadini, alle imprese. Per questo abbiamo presentato unitariamente come sindacato confederale proposte di riorganizzazione e riforme del sistema delle amministrazioni pubbliche orientate al superamento delle duplicazioni organizzative, alla ottimizzazione delle risorse, ma garantendo il corretto equilibrio tra poteri dello stato, tra governo nazionale, amministrazioni centrali, regioni, aree vaste e comuni. Non perdendo poi mai di vista che è proprio da chi fa funzionare le amministrazioni che possono e devono venire le indicazioni per una corretta analisi di cosa c'è e come deve essere migliorato. Assumendo il lavoro come straordinario patrimonio di conoscenza, di esperienza, di competenza al servizio di un progetto di riforma. Un progetto di riforma, quello del governo, di cui ancora oggi non appaiono chiari finalità e percorsi. Spesso non dichiarate le prime e contraddittori i secondi, come nei due casi emblematici di queste ultime settimane intorno alle sorti delle ex province o aree vaste e sulla costituzione dell'Agenzia Unica Ispettiva. Provvedimenti contraddittori che rischiano di disperdere quelle professionalità che bene ha riconosciuto il presidente Valassi. Che rischiano di riportare indietro di decenni non valorizzando ma mortificando i miglioramenti organizzativi che pure ci sono stati in 2 questi anni e che andrebbero presi a riferimento per consolidarli e migliorarli. Provvedimenti che scontano un mancato o inefficace confronto di merito sia con gli altri soggetti istituzionali sia con le rappresentanze dei lavoratori. La prima vera riforma delle amministrazioni pubbliche vide la dichiarazione di un obiettivo chiaro da parte della politica: rendere le amministrazioni pubbliche meno autoreferenziali e più legate al territorio. Per perseguire quell'obiettivo si individuò il percorso del decentramento amministrativo e organizzativo con l'articolazione di prossimità verso i cittadini del sistema PA. Per la concreta realizzazione di quegli obiettivi si diede vita a una legislazione compatibile e coerente, avviata con l'adozione delle leggi sul diritto di accesso agli atti e la riforma delle autonomie. Democrazia e partecipazione, coinvolgimento dei cittadini e dei lavoratori. Conoscemmo le cosiddette leggi Bassanini e riavviammo la stagione dei rinnovi contrattuali. Il sindacato confederale e, permettetemi, la Funzione Pubblica CGIL in testa, si fece carico di far crescere e maturare una consapevolezza reale e concreta dei lavoratori pubblici verso quegli obiettivi. Il lavoro pubblico si mise a disposizione di quel processo di cambiamento vero e profondo. Nacque lì la contrattualizzazione del lavoro pubblico. Passando dal rapporto di lavoro normato con DPR al contratto di tipo privatistico. Demmo vita, governo e sindacati, a soggetti pubblici più dinamici e orientati al risultato del proprio lavorare. Nacquero le agenzie fiscali. Il governo poté vantare l'organizzazione di servizi di grande efficienza ed efficacia come l'INPS grazie a nuovi modelli organizzativi condivisi con le organizzazioni di rappresentanza del lavoro. Di quella stagione mi pare oggi poter dire che non siamo più nemmeno lontani parenti. Se non si riparte da li. Da come e cosa cambiare per fare amministrazioni pubbliche utili al paese e non per usare lavoratori pubblici ed enti locali come bancomat cui attingere o tagliare risorse per ripianare debiti provocati da altro. Se non si parte dall'individuazione e coinvolgimento dei saperi che dentro le amministrazioni esistono e sono qualificate, dalla dirigenza pubblica e dal lavoro. Dall'esperienza e dalle buone pratiche che pure esistono nelle amministrazioni. Il progetto di riforma oltre a non essere visibile non è credibile. Sbloccare i contratti innanzitutto per renderli più utili ai processi di riorganizzazione e di riforma. Rilanciare la contrattazione integrativa per migliorare la qualità dei servizi e delle performance organizzative. Far ripartire un sistema di relazioni tra governo e sindacato, tra amministrazioni e Rsu, appaiono oggi la sola via possibile per favorire un processo di riforme. Dall'altro lato ci sarebbe solo l'impoverimento del paese, la dequalificazione dello stato nella sua missione di uguaglianza, la messa in discussione di diritti, di cittadinanza e del lavoro, che finirebbero per indebolire ancor più il rapporto dei cittadini con la politica e le istituzioni. Il sindacato è disponibile al cambiamento quando è finalizzato a migliorare le condizioni del paese, dei cittadini e dei lavoratori. Intendersi su questo può diventare più facile di quanto si crede, se solo si avesse la disponibilità a non disperdere nemmeno un po' di quel grande patrimonio che dal lavoro arriva. Se qualcuno ha idea di tornare a vecchie centralizzazioni, a contratti di lavoro definiti unilateralmente e per legge, ad amministrazioni pubbliche autoreferenziali e sempre più lontane dai cittadini, noi non ci staremmo. Ma i risultati del 6 marzo sono un buon contributo a far comprendere a tutti i soggetti interessati che la via del confronto è l'unica in grado di produrre cambiamenti utili. Per questo vi ringrazio. 3
© Copyright 2024 Paperzz