QUADERN / SABATO, 11 APRILE 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Per il “patteggiamento” nei reati tributari dubbi di costituzionalità Incrementi patrimoniali, basta l’astratta compatibilità tra spesa e prova contraria / Maurizio MEOLI La Cassazione sancisce che i “soggetti passivi” del redditometro non sono obbligati a specifici obblighi contabili In relazione ai delitti tributari è disposta una riduzione della pena principale fino ad un terzo e la non applicazione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti con pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. A tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative disposte per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato per il principio di specialità tra sanzioni tributarie penali ed amministrative (art. 13 commi 1 e 2 del DLgs. 74/2000). L’art. 13 comma 2-bis del DLgs. 74/2000, inserito in sede di conversione [...] / Alfio CISSELLO Una delle maniere con cui il Fisco può determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente è il c.d. “incremento patrimoniale”. Prima del DL 78/2010, operante sino agli accertamenti sull’anno 2008, la spesa patrimoniale veniva imputata, ai fini della determinazione sintetica del reddito, per quinti nell’esercizio del suo sostenimento e nei quattro antecedenti. A decorrere dal 2009, invece, l’intero incremento patrimoniale viene imputato quale maggior reddito nell’anno di effettuazione della spesa. Ora come allora, sul versante della prova contraria il contribuente può dimostrare di possedere redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, redditi già assoggettati a tassazione o proventi legalmente esclusi dalla base imponibile. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7339 depositata ieri, ha nuovamente affrontato il tema relativo ai “confini” della prova contraria in caso di accertamento fondato sugli incrementi patrimoniali. In sostanza, vengono ribaditi i principi già affer- A PAGINA 2 INEVIDENZA Contributi di ingegneri e architetti non sempre dovuti a INARCASSA TFR deducibile ai fini IRAP all’atto dello stanziamento in bilancio Ai fini di ICI, IMU e TASI valore venale dell’area edificabile rivalutata “Mini canoni” a rischio anche fino al 31 dicembre 2015 Via libera al DEF con un “tesoretto” di circa 1,5 miliardi mati con le sentenze nn. 6396/2014 e 17663/2014, secondo cui il contribuente, ai fini della prova contraria, deve limitarsi a dimostrare di possedere proventi già tassati o fiscalmente irrilevanti di entità tale da giustificare l’incremento patrimoniale, ma non occorre la prova che dette risorse siano state utilizzate proprio per il sostenimento dell’acquisto. Nella sentenza di ieri, si afferma, a specificazione dei concetti appena esposti, che è sufficiente la dimostrazione dell’astratta compatibilità tra spese sostenute/tenore di vita e reddito “fiscalmente non rilevante” (il richiamo, implicitamente, è, oltre che al possesso di redditi esenti e soggetti a imposizione alla fonte, a eventuali disinvestimenti, che, nel DM 24 dicembre 2012, vengono automaticamente riconosciuti se effettuati nell’anno dell’incremento e nei quattro antecedenti). Ciò, precisano i giudici, è immediatamente percepibile nell’accertamento sintetico fondato sul DM 10 settembre 1992 (lo stesso può dirsi in merito alle “spese per [...] A PAGINA 3 FISCO Il contratto “senza importo” blocca l’inerenza dei costi / Alessandro BORGOGLIO È pacifico l’orientamento della Suprema Corte per cui, ai fini della deducibilità dei componenti negativi di reddito, questi ultimi debbono soddisfare, ai sensi dell’art. 109, commi 1 e 5 del TUIR, i requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (ex pluris, Cass. nn. 426 e 1011 del 2015, 13806/2014, 12503/2013). In particolare, per quanto concerne il principio di inerenza di cui al già citato comma 5 dell’art. 109, la Cassazione ha [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Per il “patteggiamento” nei reati tributari dubbi di costituzionalità Il Tribunale di Torino ha reputato fondati numerosi profili correlati al nuovo art. 13 comma 2-bis del DLgs. 74/2000 e trasmesso gli atti alla Consulta / Maurizio MEOLI In relazione ai delitti tributari è disposta una riduzione della pena principale fino ad un terzo e la non applicazione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti con pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. A tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative disposte per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato per il principio di specialità tra sanzioni tributarie penali ed amministrative (art. 13 commi 1 e 2 del DLgs. 74/2000). L’art. 13 comma 2-bis del DLgs. 74/2000, inserito in sede di conversione in legge del DL 138/2011, inoltre, ha stabilito che il c.d. “patteggiamento” (art. 444 c.p.p.) può essere chiesto dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui sopra. In tal caso, quindi, la valutazione della richiesta di patteggiamento ha una struttura bifasica, essendo il giudice chiamato a vagliare dapprima l’“ammissibilità” della presentazione dell’istanza e, successivamente, il contenuto dell’istanza ed eventualmente la sua “accoglibilità” nel merito. La novità normativa ricordata ha destato notevoli perplessità. Nell’immediatezza della sua introduzione, in particolare, si era evidenziata, tra l’altro, la sua problematica operatività in relazione alle fattispecie prive di debiti tributari (ad esempio, emissione di fatture false) con emersione di profili di illegittimità costituzionale per le situazioni discriminatorie che si vengono a determinare tra l’emittente e l’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti; solo il primo, infatti, può godere con relativa facilità del “patteggiamento”. Numerosi ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sono emersi successivamente e ritenuti fondati dal Tribunale di Torino, che, di riflesso, ha rimesso le relative questioni alla Corte Costituzionale (ordinanza 15 dicembre 2014 n. 44). Si è osservato, innanzitutto, come la preclusione prevista dall’art. 13 comma 2-bis del DLgs. 74/2000 implichi che l’istanza di patteggiamento, costituente chiara manifestazione del diritto di difesa, debba essere condizionata ad un comportamento che potrebbe essere finanche pregiudizievole per lo stesso imputato, in quanto proteso a definire al più presto ogni pendenza con l’Amministrazione finanziaria, con conseguente vanificazione di ogni diritto di azione contro le imposizioni illegittime (e dubbi di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 24 comma 1 e 113 Cost.). / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 Un simile meccanismo, poi, realizza una forma surrettizia di “astreinte” volta ad indurre il contribuente-imputato al pagamento, “a prima richiesta”, di debiti fiscali non definitivamente accertati. In altri termini, si induce l’imputato a rinunciare alla tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A., con conseguenti profili di violazione anche dell’art. 113 Cost. Ma il diritto di difesa appare leso altresì da un ulteriore punto di vista: poiché la definizione dei debiti verso la P.A. può avvenire anche “a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”, si fa dipendere l’attività di accusa e difesa nel processo penale dalla volontà discrezionale dell’organo amministrativo, che, pur restandone fuori, può influenzarne il procedere. Dal punto di vista della pubblica accusa, ancora, la disposizione in esame subordina (specie se è pendente una procedura conciliativa o di adesione) ai tempi dell’attività dell’Amministrazione finanziaria un possibile modo di esercizio dell’azione penale, così limitando gli strumenti a disposizione del P.M. per l’attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, di cui all’art. 112 Cost. Nell’ottica del giudicante penale, poi, si assiste ad una preclusione all’esercizio della giurisdizione, a seguito di una richiesta di patteggiamento, in funzione dell’esito di un procedimento amministrativo (con dubbi di violazione dei principi di cui agli artt. 101 comma 2 e 104 comma 1 Cost.). La norma in questione, inoltre, realizza una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati dei medesimi reati a seconda che siano o meno “abbienti” ovvero a seconda che siano o meno “legittimati” ad attivare le procedure di estinzione dei debiti tributari (ad esempio, imprenditore/evasore e concorrenti). È prospettata anche una violazione dell’art. 10 Cost. in relazione a due principi della CEDU: il diritto ad un equo processo (art. 6 § 1 CEDU) ed il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto (art. 4 del Protocollo n. 7); dubbio, quest’ultimo, connesso alla necessità di procedere, ai fini del patteggiamento, anche al pagamento delle sanzioni amministrative. Rileva, infine, un difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del DL 138/2011 (recante misure finalizzate alla stabilizzazione finanziaria) e quelle in questione, introdotte dalla legge di conversione; legge che deve avere un contenuto omogeneo a quello del DL in ossequio a regole di buona tecnica normativa e nel rispetto di quanto richiesto dall’art. 77 comma 2 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 32/2014). / 02 ancora FISCO Incrementi patrimoniali, basta l’astratta compatibilità tra spesa e prova contraria La Cassazione sancisce che i “soggetti passivi” del redditometro non sono obbligati a specifici obblighi contabili / Alfio CISSELLO Una delle maniere con cui il Fisco può determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente è il c.d. “incremento patrimoniale”. Prima del DL 78/2010, operante sino agli accertamenti sull’anno 2008, la spesa patrimoniale veniva imputata, ai fini della determinazione sintetica del reddito, per quinti nell’esercizio del suo sostenimento e nei quattro antecedenti. A decorrere dal 2009, invece, l’intero incremento patrimoniale viene imputato quale maggior reddito nell’anno di effettuazione della spesa. Ora come allora, sul versante della prova contraria il contribuente può dimostrare di possedere redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, redditi già assoggettati a tassazione o proventi legalmente esclusi dalla base imponibile. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7339 depositata ieri, ha nuovamente affrontato il tema relativo ai “confini” della prova contraria in caso di accertamento fondato sugli incrementi patrimoniali. In sostanza, vengono ribaditi i principi già affermati con le sentenze nn. 6396/2014 e 17663/2014, secondo cui il contribuente, ai fini della prova contraria, deve limitarsi a dimostrare di possedere proventi già tassati o fiscalmente irrilevanti di entità tale da giustificare l’incremento patrimoniale, ma non occorre la prova che dette risorse siano state utilizzate proprio per il sostenimento dell’acquisto. Nella sentenza di ieri, si afferma, a specificazione dei concetti appena esposti, che è sufficiente la dimostrazione dell’astratta compatibilità tra spese sostenute/tenore di vita e reddito “fiscalmente non rilevante” (il richiamo, implicitamente, è, oltre che al possesso di redditi esenti e soggetti a imposizione alla fonte, a eventuali disinvestimenti, che, nel DM 24 dicembre 2012, vengono automaticamente riconosciuti se effettuati nell’anno dell’incremento e nei quattro antecedenti). / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 Ciò, precisano i giudici, è immediatamente percepibile nell’accertamento sintetico fondato sul DM 10 settembre 1992 (lo stesso può dirsi in merito alle “spese per elementi certi” del DM 24 dicembre 1012), in quanto si tratta di spese meramente presunte sicché è impossibile dimostrare “come” queste siano state sostenute, ma alle stesse conclusioni si deve pervenire in merito all’incremento patrimoniale (tuttavia, come evidenziato in altra sede, gli uffici talvolta richiedono di dimostrare una sorta di nesso causale tra prova contraria e spese presunte; si veda “Per le spese presunte bastano provviste presunte” del 31 marzo 2014). Principio ancor più valido nel “redditometro” Nella pronuncia si afferma, molto chiaramente, che i soggetti passivi dell’accertamento sintetico, per definizione, non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, “sicchè ad essi non si può estendere la logica che presiede agli accertamenti fondati sui riscontri con i conti correnti bancari (tante operazioni, altrettanti riscontri documentali ci devono essere circa la provenienza o la destinazione) e non li si può gravare di fornire la puntuale dimostrazione della correlazione causale tra il loro tenore di vita e la disponibilità di risorse prive di rilevanza fiscale”. Si evidenzia che, nella circolare n. 28/2011, l’Agenzia delle Entrate non ha riproposto il chiarimento reso in occasione di Telefisco 2011, ove era stato specificato che, nella spesa patrimoniale, quale prova contraria non sarebbe stata sufficiente l’astratta capienza dei redditi conseguiti negli anni precedenti. Tuttavia, una prova di tal tenore continua ad essere richiesta dagli uffici finanziari, e, da fornire, è assai ardua negli incrementi patrimoniali, e impossibile se vengono applicati gli indici dei DM richiamati, specie se con riferimento a quello del 1992. / 03 ancora FISCO Il contratto “senza importo” blocca l’inerenza dei costi Ostacola la deducibilità dei costi l’eccessiva genericità delle fatture / Alessandro BORGOGLIO È pacifico l’orientamento della Suprema Corte per cui, ai fini della deducibilità dei componenti negativi di reddito, questi ultimi debbono soddisfare, ai sensi dell’art. 109, commi 1 e 5 del TUIR, i requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (ex pluris, Cass. nn. 426 e 1011 del 2015, 13806/2014, 12503/2013). In particolare, per quanto concerne il principio di inerenza di cui al già citato comma 5 dell’art. 109, la Cassazione ha ripetutamente ribadito che, in virtù di esso, il contribuente, su cui grava l’onere di dimostrare l’effettività ed il preciso ammontare dei costi dedotti (cfr. Cass. nn. 1951/2015, 23550/2014, 23626/2011), è altresì onerato di provare, con idonea documentazione di supporto, la ragione di tali costi (cfr. Cass. n. 4854/2015), in modo tale che emerga la strumentalità dei beni e servizi acquistati rispetto all’attività esercitata da cui derivano i ricavi o gli altri proventi (cfr. Cass. n. 16853/2013). Inoltre, il contribuente, sempre ai fini della deducibilità dei costi, è tenuto a dimostrare, qualora l’Amministrazione finanziaria la contesti, la loro coerenza economica, ovvero la loro congruità, in difetto della quale risulta legittima la ripresa a tassazione (cfr. Cass. nn. 7701/2013, 4554/2010). In sostanza, il principio di inerenza emergente dall’art. 109, comma 5 del TUIR (sebbene, secondo una parte della dottrina, il fondamento giuridico di esso sarebbe da rinvenire nell’art. 53 della Costituzione, ovvero nel principio stesso di capacità contributiva), così come interpretato alla luce dell’ormai ampiamente consolidata giurisprudenza di legittimità, consente al Fisco di operare un doppio vaglio ai fini della deducibilità dei costi: il primo attiene al profilo qualitativo del componente di reddito, che si esprime sostanzialmente nella sua ragione economica e strumentalità all’attività del contribuente, mentre il secondo riguarda il profilo quantitativo, che trova espressione nel concetto di coerenza e congruità dell’ammontare del costo rispetto all’operazione ad esso sottesa ed alle caratteristiche strutturali dell’attività esercitata. Per entrambi i profili – è bene ricordarlo – l’onere della prova ricade sul contribuente. Naturalmente, l’idoneità del materiale probatorio allegato dal contribuente è una questione di merito, non regolata da specifici criteri, ma soggetta a valutazione caso per caso. Occorre, però, ricordare che proprio recentemente, i giudici di legittimità hanno stabilito che l’onere probatorio a carico del contribuente è attenuato in tutte quelle ipotesi di costi intrinsecamente riconducibili all’attività d’impresa, come / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 ad esempio i costi di acquisto di materie prime per una società commerciale, che non richiedono una dimostrazione puntuale dell’inerenza, essendo la stessa presunta in forza della natura dei costi (cfr. Cass. nn. 9554 e 3340 del 2013). Quasi sempre i cosiddetti “rilievi di inerenza” formulati dall’Amministrazione finanziaria sono dovuti all’assenza di idonea documentazione giustificativa o, comunque, alla presenza di documenti non adeguati a provare il requisito de quo, tanto che in passato i giudici di legittimità hanno confermato l’indeducibilità dei costi afferenti a fatture generiche, in particolare relative a prestazioni di consulenza, o a contratti eccessivamente “vaghi” (cfr. Cass. nn. 22403, 21184 e 20054 del 2014). Anche nel caso esaminato con la sentenza n. 7214 depositata ieri, l’ostacolo alla deducibilità dei costi è stata proprio l’eccessiva genericità delle fatture e l’indeterminatezza del sistema di calcolo dei corrispettivi dei servizi ricevuti, come emergente dal contratto. In particolare, un ingegnere aveva dedotto dei costi relativi ai servizi di gestione del proprio ufficio, posti in essere e fatturati da una sas di cui egli stesso era socio, unitamente, alla moglie, al fratello ed alla cognata. Il Fisco, e poi i giudici di merito, avevano ritenuto indeducibili detti costi a causa della mancanza di specifica descrizione dei servizi fatturati, genericamente indicati nelle fatture mensili con la formula “compenso per gestione ufficio in via … relativo al mese ...”, nonché per l’assenza di data certa della scrittura privata, avente ad oggetto varie operazioni per un corrispettivo indefinito, come dimostra la disposizione contrattuale per cui il corrispettivo “verrà mensilmente calcolato in base all’effettivo utilizzo dei servizi oggetto del presente contratto”, senza però indicare alcun criterio. E tutto ciò a fronte di fatturazioni mensili di misura assai diversa nel corso degli anni, che alla rilevata genericità hanno aggiunto anche una sostanziale arbitrarietà nella individuazione dei costi. È evidente che tale documentazione, benché consistente in fatture ed anche in un contratto, non consentiva comunque al Fisco di verificare la congruità dei corrispettivi e la strumentalità delle prestazioni ricevute di mese in mese, atteso che, da un lato, non esisteva un criterio specifico di determinazione degli importi da fatturare e, dall’altro, era impossibile desumere dalla descrizione delle fatture quali e quanti servizi fossero stati posti in essere nel mese di riferimento. Tale documentazione, quindi, non era idonea a dimostrare la sussistenza del requisito di inerenza, necessario ai fini della deducibilità dei relativi costi. / 04 ancora LAVORO & PREVIDENZA Contributi di ingegneri e architetti non sempre dovuti a INARCASSA L’INPS precisa che l’assoggettamento a un’altra forma previdenziale obbligatoria preclude la possibilità d’iscriversi alla Cassa di categoria / Francesca TOSCO A fronte delle problematiche di applicazione e coordinamento, sorte nell’ambito dell’operazione di verifica delle posizioni contributive denominata “Poseidone”, l’INPS, con la circolare n. 72 di ieri, 10 aprile 2015, fa il punto sulla disciplina previdenziale applicabile ai liberi professionisti che svolgano l’attività professionale di ingegnere o architetto. Si ricorda che la Cassa privata di previdenza ed assistenza istituita per tale categoria professionale è l’INARCASSA, cui devono obbligatoriamente iscriversi, in base all’art. 7 dello Statuto, gli ingegneri e gli architetti che esercitino la libera professione con continuità, essendo contestualmente: - iscritti all’Albo professionale; - titolari della partita IVA; - non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria, in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o, comunque, dell’esercizio di un’altra attività. La contribuzione dovuta ad INARCASSA è costituita dal contributo soggettivo, calcolato in percentuale sul reddito da lavoro autonomo determinato ai fini fiscali, e dal contributo integrativo, calcolato in percentuale sul volume d’affari professionale dichiarato ai fini IVA. Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, l’INPS si sofferma sull’individuazione dell’imponibile contributivo, richiamando le pronunce (nn. 14684/2012, 5827/2013, 9076/2013) nelle quali la Cassazione, aderendo a un’interpretazione “dinamica” del concetto di “esercizio della libera professione produttivo di redditi professionali”, ha affermato: - la possibilità di ricondurre allo stesso, oltre all’espletamento delle prestazioni “riservate” ai professionisti iscritti ad Albi, anche l’esercizio di attività che, pur non soggette a riserva/esclusiva, presentino un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, richiedendo il ricorso alle medesime cognizioni di cui il professionista ordinariamente si avvalga nell’esercizio di quest’ultima; - l’esclusione delle sole attività che, con le attività “riservate” ai professionisti ordinistici, non abbiano nulla in comune. Ecco, quindi, che l’Istituto propone un elenco di attività che, se svolte (anche in virtù di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto) da iscritti all’Albo degli ingegneri e architetti sono “attratte” alla professione, con conseguente riconducibilità dei relativi compensi tra i redditi di lavoro autonomo professionale che concorrono a formare la base imponibile su cui calcolare i contributi dovuti all’Ente competente in materia di previdenza (es. / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 l’attività di consulente gestionale, di amministratore di condominio, di consulente e programmatore informatico, di amministratore di società esercenti attività di natura tecnica e/o tecnologica od operanti nel settore edile). Ma il suddetto Ente è, sempre e in ogni caso, INARCASSA? Passando all’altra rilevante questione affrontata dalla circolare in commento, al quesito deve essere data risposta negativa, potendo tale Ente essere rappresentato anche dalla Gestione separata INPS di cui all’art. 2, comma 26 della L. 335/1995. Va, infatti, ricordato che, secondo quanto sancito dall’art. 18, comma 12 del DL 98/2011, i liberi professionisti sono tenuti ad iscriversi e a pagare i contributi, sui redditi di lavoro autonomo professionale percepiti (nella nozione “ampia” sopra individuata), invece che ad una Cassa di previdenza di categoria, alla Gestione separata, allorquando: - esercitino attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi Albi professionali; - pur svolgendo attività iscrivibili ad appositi Albi, non risultino assoggettati al versamento contributivo alla Cassa di appartenenza, trovandosi, ad esempio, in una situazione in cui detta Cassa escluda la possibilità stessa dell’iscrizione. E ciò è proprio quanto potrebbe accadere agli ingegneri ed architetti che, pur essendo iscritti all’Albo e in possesso di partita IVA, esercitino l’attività libero professionale (come sopra definita) in maniera abituale ma non esclusiva, affiancandola ad un’attività di lavoro dipendente o, comunque, ad un’attività soggetta ad altra forma di previdenza obbligatoria. Non è possibile optare per un’iscrizione facoltativa In base alla norma statutaria sopra richiamata, l’assoggettamento ad un’altra forma previdenziale obbligatoria, sia essa gestita dall’INPS – come nel caso del Fondo Lavoratori Dipendenti, delle Gestioni Artigiani e Commercianti e della stessa Gestione separata – ovvero da Enti previdenziali privati, comporta, infatti, l’esclusione della possibilità di iscriversi ad INARCASSA (senza poter optare per un’iscrizione facoltativa). Vengono in considerazione, in primo luogo, gli ingegneri e architetti che intrattengano anche un rapporto di lavoro subordinato, soggetti agli obblighi contributivi previsti per i lavoratori dipendenti e tenuti, in relazione ai redditi derivanti dallo svolgimento delle prestazioni professionali, ad iscriversi alla Gestione separata INPS e versare a quest’ultima, / 05 ancora alla stregua dei professionisti “senza Cassa”, i contributi previdenziali dovuti sugli stessi (indipendentemente dal pagamento ad INARCASSA del contributo integrativo). E sembrerebbe che analoghe osservazioni possano valere anche con riferimento agli ingegneri e architetti che, oltre all’attività professionale “tipica”, svolgano attività soggette all’iscrizione alla Gestione separata in quanto attività di lavoro autonomo non subordinate all’iscrizione ad un Albo, né / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 riconducibili alla professione perché prive di “connessione” con la stessa (es. procacciatore d’affari e consulente commerciale, consulente bancario e assicurativo). Anche in questo caso, infatti, l’iscrizione ad INARCASSA risulterebbe preclusa dall’iscrizione ad un’altra Gestione previdenziale obbligatoria – la Gestione ex L. 335/95 – con conseguente soggezione di tutti i redditi percepiti al prelievo contributivo a favore di quest’ultima. / 06 ancora FISCO TFR deducibile ai fini IRAP all’atto dello stanziamento in bilancio Secondo Assonime si tratta di un debito certo e oggettivamente determinabile / Luca FORNERO Terminando l’esame dei chiarimenti resi dalla circ. Assonime n. 7/2015 in ordine alla deducibilità integrale, ai fini IRAP, dei costi dei dipendenti a tempo indeterminato, in tale intervento ci occupiamo della determinazione dell’importo deducibile. Si ricorda che tale misura, applicabile dal 2015 (con impatto, dunque, per la prima volta sulla dichiarazione IRAP 2016), è stata introdotta dall’art. 1 comma 20 della L. 190/2014 (che ha allo scopo inserito il comma 4-octies all’interno dell’art. 11 del DLgs. 446/97). Letteralmente, la citata disposizione ammette in deduzione la differenza tra: - il costo complessivo dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato; - le altre deduzioni previste a fronte dell’impiego di personale. Sotto il profilo operativo, quindi, la facoltà di portare, per l’intero importo, il costo dei dipendenti a tempo indeterminato a riduzione della base imponibile IRAP viene concepita alla stregua di una “deduzione residuale”. In pratica, il contribuente deve, innanzitutto, applicare le deduzioni riconosciute a fronte dell’impiego di personale già vigenti precedentemente al 2015; poi, se la sommatoria delle citate deduzioni è inferiore alle spese dei dipendenti a tempo indeterminato sostenute nel periodo d’imposta, spetta un’ulteriore deduzione fino a concorrenza dell’intero importo dell’onere sostenuto. Quanto sopra potrebbe far presagire che i modelli IRAP 2016 saranno predisposti in modo tale da prevedere un apposito rigo dedicato alla deduzione di tale eccedenza. Tuttavia, ad avviso di Assonime, sarebbe opportuno che fosse esclusa la necessità di evidenziare, in sede di compilazione della dichiarazione stessa, l’importo delle deduzioni dei costi per il personale dipendente a tempo indeterminato spettanti in base alle norme preesistenti, dal momento che tali deduzioni si dovrebbero ritenere comunque assorbite dalla nuova deduzione calcolata in base alla quantificazione analitica di tali costi. Venendo più propriamente al calcolo dell’importo deducibile, ferma restando la rilevanza delle retribuzioni per l’importo contabilizzato nella voce B.9 del Conto economico, la circolare n. 7/2015 si interroga sulla disciplina da riservare ai costi che sono rilevati nel Conto economico in / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 un dato esercizio ma che, per la loro natura, rappresentano spese che saranno sostenute in periodi d’imposta successivi. È il caso, in particolare, degli stanziamenti per il TFR, nonché dei costi misurati attraverso varie tipologie di accantonamenti attinenti al rapporto di lavoro dipendente stanziati in bilancio a fronte di valutazioni relative a probabili spese da sostenere negli esercizi successivi (si tratta, ad esempio, degli accantonamenti stanziati a fronte di controversie, oppure quelli relativi ad erogazioni spettanti al personale dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trattandosi comunque di componenti retributive, anche se differite). Gli altri accantonamenti rilevano al sostenimento della spesa Secondo Assonime, occorre distinguere tra gli accantonamenti al fondo TFR, da rilevare nella voce B.9.c del Conto economico, e quelli per rischi e oneri, da rilevare nelle voci B.12 e B.13 del Conto economico. Mentre l’accantonamento al fondo TFR è da ritenere deducibile già all’atto dello stanziamento in bilancio (in quanto debito certo, determinato secondo specifiche regole civilistiche), gli altri accantonamenti andrebbero dedotti all’atto dell’effettivo sostenimento della spesa che l’accantonamento stesso è chiamato a coprire, in conformità a quanto chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 12/2008, § 9.2. Se si condivide tale impostazione, resta comunque il problema del trattamento da riservare ai suddetti accantonamenti operati in esercizi anteriori al 2015. Ad avviso di Assonime, gli accantonamenti al TFR effettuati fino al 2014 resterebbero comunque indeducibili, considerata la loro natura di costi di periodo riconducibili a debiti certi. Potrebbe invece ammettersi la deducibilità degli altri accantonamenti effettuati fino al 2014, nell’ipotesi in cui le spese che gli stessi sono chiamati a fronteggiare siano sostenute dal 2015 in avanti. Tale soluzione, peraltro, non appare condivisa dall’Amministrazione finanziaria, da quanto risulta dai contatti avuti da Assonime per le vie brevi con i competenti uffici dell’Agenzia delle Entrate. / 07 ancora FISCO Ai fini di ICI, IMU e TASI valore venale dell’area edificabile rivalutata La Cassazione ha deciso che, anche se ai fini di un altro tributo, è corretto fare riferimento al valore di un terreno desumibile dalla perizia / Antonio PICCOLO Affrontando il trattamento delle aree fabbricabili ai fini dell’ICI/IMU/TASI si prospetta, peraltro in modo non infrequente, il dubbio se le parti (contribuenti e comuni impositori) per la determinazione della relativa base imponibile sono legittimate a fare riferimento al valore desumibile dalla perizia giurata di stima redatta in occasione della rivalutazione dei terreni agli effetti dell’IRPEF. Questo perché i criteri per la quantificazione del valore dei tributi comunali sono tassativamente stabiliti dal comma 5 dell’art. 5 del DLgs. n. 504/1992 (fra tante, Cass. nn. 7297/2012 e n. 19515/2003; ordinanza n. 15734/2014), mentre la citata perizia è prevista dall’art. 7 della L. n. 448/2001 (Finanziaria 2002) e ha l’esclusiva finalità di rideterminare i valori di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola per il calcolo dell’eventuale plusvalenza in caso di vendita degli immobili. Dopo alcune decisioni non univoche delle Commissioni tributarie, la Cassazione con le sentenze n. 4093 e n. 4092 depositate il 27 febbraio 2015, ha ritenuto in sostanza che è possibile tener conto dei valori rideterminati ai fini di un altro tributo (nel caso di specie IRPEF), trattandosi pur sempre di una stima concernente gli stessi immobili. Nello specifico la ricorrente ha sostenuto che il Comune non poteva far riferimento al valore del compendio immobiliare desunto dalla perizia giurata di stima redatta ai diversi fini della determinazione delle plusvalenze per le imposte sui redditi (IRPEF). Più precisamente, la ricorrente ha rilevato che il comma 6 dell’art. 7 della Finanziaria 2002, laddove ha stabilito espressamente che la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni “costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale”, escluderebbe in radice la possibilità di far riferimento alla quantificazione del valore degli immobili basata sulla perizia giurata di stima ai fini dell’IRPEF per il calcolo dell’ICI. I giudici di legittimità hanno respinto la censura affermando che la norma non esclude, di per sé, che non possa assolutamente utilizzarsi, ai fini del calcolo ICI il valore del bene quale desunto dalla perizia giurata di stima redatta per il calcolo dell’IRPEF (plusvalenza). Si tratta delle medesime pronunce che hanno confermato il nucleo argomentativo indicato nelle sentenze n. 104/65/13 e n. 105/65/13 con le quali la C.T. Reg. di Milano, sezione staccata di Brescia, aveva ritenuto legittimo l’operato di un comune mantova/ EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 no che aveva preteso il pagamento dell’ICI per le annualità dal 2006 al 2008 in relazione a terreni che da agricoli erano divenuti fabbricabili (zona omogenea D). Nell’impugnare gli avvisi di accertamento la contribuente, che rivestiva la qualità di imprenditore agricolo professionale (IAP), aveva sostenuto che i terreni avevano destinazione agricola perché condotti da affittuari e che il Comune non poteva utilizzare come base imponibile il valore di perizia di cui al citato art. 7 della Finanziaria 2002. I primi giudici avevano respinto i ricorsi evidenziando che i terreni erano edificabili in base allo strumento urbanistico generale e che la ricorrente non poteva accedere alla “finzione giuridica” stabilita dall’art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo del DLgs. n. 504/1992, in quanto gli stessi erano condotti non direttamente dal proprietario, ma da altri soggetti (affittuari). La Commissione, inoltre, aveva ritenuto congruo il valore accertato pari al valore di perizia perché corrispondente al valore di mercato (“valore venale in comune commercio”) e legittime le sanzioni irrogate, non ricorrendo il requisito dell’incertezza delle norme applicabili. In seguito i giudici del riesame avevano ritenuto terreni de quibus non potevano essere considerati agricoli, in virtù dell’art. 11-quaterdecies, comma 16 del DL n. 203/2005 (convertito dalla L. n. 248/2005) e dell’art. 36, comma 2 del DL n. 223/2006 (convertito dalla L. n. 248/2006) che hanno posto termine al contrasto giurisprudenziale esistente in materia di ICI con disposizioni aventi natura interpretativa, come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 25506/2006). Sicché ai fini tributari (ICI, IRPEF, IVA, imposta di registro) sono edificabili tutti quei terreni che sono qualificati tali dallo strumento urbanistico generale purché adottati dal Comune, indipendentemente dall’approvazione regionale dello strumento stesso e dalla sussistenza di strumenti attuativi che rendano possibile in concreto il rilascio del permesso di costruire. Con riferimento alla “finzione giuridica”, gli stessi giudici di appello avevano escluso l’applicazione del beneficio, dato che il conduttore dei terreni non coincide con il proprietario degli stessi (conforme, Cass. n. 10144/2010). I supremi giudici tributari di merito, infine, avevano rigettato anche la lamentela della contribuente sulla congruità del valore accertato dal comune ritenendo che nella fattispecie l’unico parametro di riferimento certo è quello fornito dalla perizia redatta dal tecnico incaricato dalla contribuente stessa, ai sensi dell’art. 7 della L. n. 448/2001. / 08 ancora FISCO “Mini canoni” a rischio anche fino al 31 dicembre 2015 Se la Corte Costituzionale condividesse le censure del Tribunale di Verona, non troverebbe applicazione la “clausola di salvaguardia” / Michela SCHEPIS e Anita MAURO La norma con cui il legislatore del DL 47/2014, prevedendo una “clausola di salvaguardia”, ha fatto salvi, fino al 31 dicembre 2015, gli effetti delle sanzioni indirette sulle locazioni non registrate (sanzioni dichiarate incostituzionali) è, a sua volta, a “rischio” di incostituzionalità. Con ordinanza pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 8 aprile 2015, infatti, il Tribunale di Verona ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 comma 1-ter del DL 47/2014 che fa salvi “fino alla data del 31 dicembre 2015 gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3, comma 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23”. Si ricorda che, con la sentenza n. 50/2014, la Corte ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, i commi 8 e 9 dell’art. 3 del DLgs. 23/2011 (si veda “Incostituzionali le sanzioni «indirette» per le locazioni non registrate” del 15 marzo 2014). In particolare, il comma 8 della citata norma prevedeva, in caso di mancata registrazione del contratto di locazione, entro i termini di legge, l’applicazione di una disciplina molto favorevole per il conduttore (nello specifico, il contratto doveva avere durata di 4 anni, dal momento della registrazione, con rinnovo tacito di altri 4, e un canone di locazione pari al triplo della rendita catastale, tenendo conto solo al secondo anno dell’aggiornamento ISTAT), in modo da incentivare i conduttori a presentare per la registrazione i contratti di locazione non registrati nei termini. Tali sanzioni “indirette” (in quanto volte ad incidere sul regime contrattuale, comportando, tra il resto, il pagamento di un “mini canone”, in luogo di quello pattuito in contratto) sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 50/2014. Successivamente, però, è intervenuto il legislatore che, con l’art. 5 comma 1-ter del DL 47/2014, ha previsto “una clausola di salvaguardia” degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici risultanti dai contratti di locazione registrati tardivamente (si veda “Registrazione tardiva della locazione «pericolosa» per il locatore” del 30 agosto 2014). Ora, nell’ordinanza qui in commento, il Tribunale di Verona – chiamato a pronunciarsi circa una convalida di sfratto per / EUTEKNEINFO / SABATO, 11 APRILE 2015 morosità, in quanto la locatrice aveva intimato alla parte conduttrice l’integrale pagamento dei dovuti canoni di locazione in forza della dichiarata incostituzionalità dell’art. 3 commi 8 e 9 del DLgs. 23/2011 – afferma che è in contrasto con il dettato dell’art. 136 Cost. la disciplina volta a consentire ad una norma già dichiarata illegittima di conservare la sua efficacia, anche solo per un breve periodo di tempo (così come precedentemente affermato dal Tribunale di Padova nell’ordinanza 23 luglio 2014 e dal Tribunale di Napoli nell’ordinanza 18 giugno 2014). L’efficacia della sentenza è retroattiva Secondo il giudice di merito, infatti, una disposizione già dichiarata incostituzionale non può essere mantenuta in vita da una norma approvata successivamente, in quanto, ai sensi dell’art. 136 Cost., la norma dichiarata incostituzionale cessa di produrre i suoi effetti dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con efficacia ex tunc e, pertanto, la sua vigenza non può essere “prolungata” dall’entrata in vigore di una nuova legge. È da sottolineare che gli effetti derivanti da una pronuncia di incostituzionalità non si estendono ai rapporti “esauriti”, che si configurano quando: - si è già formato il giudicato; - si è verificato un evento a cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto stesso; - si è in presenza di preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite dalla pronuncia di incostituzionalità. Si attende, ora, il parere della Corte Costituzionale, cui spetta il giudizio sulla conformità a Costituzione della “clausola di salvaguardia”. Ove la Corte affermasse l’incostituzionalità della “norma dubbia”, le sanzioni indirette sulle locazioni non registrate cesserebbero di produrre i loro effetti nell’immediato (ovvero prima della data del 31 dicembre 2015) e molti conduttori, che avevano beneficiato della “clausola di salvaguardia”, si vedrebbero, probabilmente, di nuovo coinvolti in un procedimento di convalida di sfratto per morosità. / 09 ancora FISCO Via libera al DEF con un “tesoretto” di circa 1,5 miliardi Al termine del Consiglio dei Ministri, il Premier Renzi ha detto che si deciderà nella prossime settimane se e come utilizzare tale bonus / REDAZIONE Nella riunione, in un primo tempo prevista in mattinata e poi rinviata alle 20 di ieri, il Consiglio dei Ministi ha dato il via libera al Documento di economia e finanza (DEF) previsto dalla L. n.196/2009, che contiene un “tesoretto” da circa 1,51,6 miliardi, che dal Governo definiscono un “bonus” e sul quale il Premier Renzi, in conferenza stampa, ha dichiarato: “Decideremo nelle prossime settimane se e come utilizzare in base alle priorità gli spazi che ci sono. Non è nel DEF che si decide”, anche se l’ipotesi più accreditata, al momento, è che stia pensando a un intervento sul welfare. Nel dettaglio, il DEF si compone delle seguenti sezioni: - Sezione I: Programma di Stabilità dell’Italia; - Sezione II: Analisi e tendenze della finanza pubblica; - Sezione III: Programma Nazionale di Riforma. Come si legge nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, al documento sono aggiunti i seguenti allegati: - rapporto sullo stato di attuazione sulla Riforma della contabilità e finanza pubblica; - spese dello Stato nelle Regioni e nelle Province autonome; - relazione del Ministro dell’Ambiente sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; - relazione sui fabbisogni annuali di beni e servizi della Pubblica Amministrazione e sui risparmi conseguiti con il sistema delle convenzioni CONSIP; - relazione del Ministro dello Sviluppo economico sugli interventi nelle aree sottoutilizzate; - programma delle infrastrutture strategiche del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Il DEF – prosegue Palazzo Chigi - sarà inviato alle Camere perché si esprimano sugli obiettivi programmatici in tempo utile per la trasmissione del Programma di Stabilità e del Programma Nazionale di Riforma al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile. Gli obiettivi della politica economica del Governo rappresentati nel documento di programmazione triennale sono, in sintesi: sostenere la ripresa economica evitando aumenti del prelievo fiscale e allo stesso tempo rilanciando gli investimenti; avviare il debito pubblico (in rapporto al PIL) su un percorso di riduzione, consolidando così la fiducia del mercati e riducendo la spesa per interessi; favorire gli investimenti e le iniziative per consentire un deciso recupero dell’occupazione nel prossimo triennio. Nell’insieme, il Documento disegna un cambiamento di marcia nella situazione economica e finanziaria del Paese, con il PIL che nel 2015 diventa positivo (+0,7%) dopo tre anni di recessione e imposta una politica economica a supporto di una crescita più sostenuta nel triennio successivo. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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