UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN ECONOMIA WELFARE STATE: “CORRELAZIONI CON LA CRISI ECONOMICOFINANZIARIA E NUOVE STATEGIE DI POLITICA SOCIALE” RELATORE: Chiar.mo Prof. ROBERTO FAZIOLI LAUREANDO: YASSER EL KOURA Anno Accademico 2015/2016 1 INDICE Introduzione 3 Capitolo 1: Evoluzione del Welfare State: Dalla nascita al dopoguerra 4 1.1 Definizione di Welfare State 4 1.2 Brevi origini Storiche 4 1.3 Ideologie economiche e modelli di Welfare 6 1.4 I sistemi welfaristici del secondo dopoguerra 8 Capitolo 2: La crisi del Welfare nei paesi Ocse tra vecchie e nuove sfide 10 2.1 Insostenibilità finanziaria ed influenze economiche 10 2.2 Longevità e frammentazione sociale 13 2.3 Nuovi diritti o “falsi bisogni” ? 16 Capitolo 3: Welfare innovativo: Le nuove strategie di politica sociale 18 3.1 Verso la welfare society 18 3.2 Innovazione dello strumento di means testing italiano: ISEE 3.2.1 Caso pratico di calcolo dell’ISEE 19 21 Riflessioni Conclusive 22 Bibliografia 23 Sitografia 23 2 Introduzione Il presente lavoro nasce dalla riflessione sull’attuale società caratterizzata sempre di più da enormi disuguaglianze causate principalmente dall’ assetto economico. Oggi l’idea al centro dell’interesse sia a livello macro-territoriale che micro-territoriale è far ripartire l’economia attraverso manovre economiche. Il presente lavoro si domanda invece se non sia necessaria una precedente analisi introspettiva sulla valorizzazione degli aspetti sociali, come mezzo per far ripartire il sistema. Si cercheranno di analizzare le cause alla base della crisi del welfare state, e ci si domanderà se le cause della crisi economica non siano da ricercare in una più profonda crisi di valori. Si analizzerano i limiti dell’approccio paternalistico dello stato, nella sua funzione di garante dei diritti sociali, e si indagheranno le possibili ipotesi di superamento verso nuovi modelli. I quesiti principali di partenza sono: ✓ Il peso dello stato sociale in termini di spesa pubblica ha contribuito all’instaurarsi della crisi economica- finanziaria ? ✓ Come può essere ridefinito l’assetto dello stato sociale affinchè non si creino contrasti tra aspetti economici e sociali ? L’elaborato verrà articolato in tre capitoli: Nel primo si effettuerà un’ analisi concettuale, storica e ideologica alla base del welfare state. Verso la fine del capitolo si esaminerà anche l’espansione delle politiche sociali nel secondo dopoguerra con particolare riferimento al clima sociale e alle dinamiche della spesa pubblica. Il secondo capitolo verterà sopratutto sugli attuali limiti e sulle future sfide del welfare. A questo capitolo si fornirà una connotazione particolarmente critica, non ci si limiterà ad elencare i limiti del WS, ma si cercheranno di analizzarne a fondo le cause. Veranno analizzati i problemi introdotti dal capitalismo e dalla globalizzazione, per poi passare ai problemi di natura demografica legati ad una frammentazione sociale ed a un allungamento dell’aspettativa di vita, concludendo infine con un analisi sull’espansione di nuove esigenze. Il terzo ed ultimo capitolo verrà incentrato sui nuovi percorsi del welfare, in particolare si analizzerà il concetto di “welfare society” con l’idea che la sostenibilità dello stato sociale debba essere garantita attraverso un mix tra stato, mercato , famiglie e terzo settore. Verranno analizzate anche le difficoltà nell’ attuare questo nuovo assetto sociale. Infine, si illustreranno brevemente le innovazioni del principale strumento di means testing italiano, ossia l’ISEE. 3 Capitolo 1 Evoluzione del Welfare State: Dalla nascita al dopoguerra 1.1 Definizione di Welfare State Il welfare state può essere definito come quell’ apparato diretto a garantire i diritti basilari di una vita dignitosa mediante un intervento pubblico. I diritti basilari sono quelli che Maslow poneva alla base della sua piramide gerarchica dei bisogni; ossia i bisogni fisiologici dell'uomo e i bisogni di sicurezza. Il termine “Welfare State” fu usato per la prima volta nel 1941 da William Temple, per contraddistinguere lo stato di benessere inglese dallo stato di guerra nazista. Una delle definizioni, che supera tutte le precedenti basate solo sulla concezione universalistica di welfare, è quella proposta da Alber che definisce il welfare state come: “ un insieme di risposte di policy al processo di modernizzazione, consistenti in interventi politici nel funzionamento dell’economia e nella distribuzione societaria delle chances di vita, i quali mirano a promuovere la sicurezza e l’eguaglianza dei cittadini, al fine di accrescere l’integrazione sociale di società industriali fortemente mobilitate” 1. Ferrera riprendendo questa espressione definisce il Welfare State nella maniera più astratta ed analitica possibile affermando che è: “ un insieme di politiche pubbliche connesse al processo di modernizzazione tramite le quali lo stato fornisce ai propri cittadini protezione contro rischi e bisogni prestabiliti sotto forma di assistenza, assicurazione o sicurezza sociale, introducendo specifici diritti sociali nonchè specifici doveri di contribuzione finanziaria” 2. Questa definizione ci permette di effettuare delle classificazioni di welfare e stabilisce dei criteri di comparazione. La nozione di Welfare è molto dinamica e necessita di continue revisioni. 1.2 Brevi origini Storiche In questo paragrafo si delineeranno brevemente le origini e gli sviluppi del "Welfare State". La nascita di una prima forma di tale istituto si può far risalire alla promulgazione in Inghilterra nel 1601 della legge sui poveri ( “Poor Law” ) che distingueva i poveri meritevoli da quelli non 1 2 Kazepov Y., Carbone D., Che cos’è il welfare state, Carocci, Roma, 2007, pag.24 Ferrera M., Le politiche sociali, Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 12 4 meritevoli, ossia gli anziani, gli invalidi e gli orfani dai disoccupati. Tale legge ha assuto una connotazione negativa nel corso del tempo perchè mirava semplicemente a ridurre le esternalità negative legate alla povertà. Infatti vennero istituite le “workhouses”, strutture nelle quali i poveri erano avviati ad una forma di lavoro forzato. Nel 1975 un’altra legge di rilevanza, maturata dopo una pesante crisi economica, fu la Speenhamland Law che a differenza della Poor Law fissava un reddito minimo. Lo Stato integrava ai lavoratori il salario che era al di sotto di tale reddito. Tuttavia tale legge avvantaggiò semplicemente i datori di lavoro che mantennero i salari più bassi. Le leggi qui presentate erano mosse da una esigenza di mantenere l’ordine pubblico più che assistere l’individuo. Il vero punto di partenza dello Stato sociale è invece l’introduzione obbligatoria dell’assicurazione sociale avvenuta per la prima volta nel 1883 dal cancelliere tedesco Otto Von Bismarck, al fine di tutelare i lavoratori dagli infortuni e dai rischi sul lavoro. Tale assicurazione era coperta da contributi previdenziali variabili in base al reddito e, negli anni a venire, si diffuse nella stragrande maggioranza dei paesi europei. La mobilitazione operaia, la nascita dei partiti socialisti e l’affermarsi delle democrazie di massa sono stati i precursori per lo sviluppo di un’assicurazione sociale. La mobilitazione operaia ha assunto 2 connotazioni differenti: • Nei regimi monarchico-autoritari spinse le autorita al governo a concedere l’assicurazione dall’alto, con finalità di controllo sociale. • Nei regimi parlamentari spinse il partito operaio ad includere l’assicurazione nel suo programma mediante un processo di rivendicazione dal basso. Partendo da un’assicurazione inizialmente legata agli infortuni sul lavoro questa viene estesa verso le malattie, la vecchiaia, l’invalidità ed infine la disoccupazione. L’assicurazione contro la disoccupazione fu l’ultima ad essere introdotta in quanto legata alle fluttuazioni dell’economia. Infatti se si considera il concetto di “ ciclo economico” introdotto da Kondrat’ev nel 1906, che legava la crescita economica ad un ciclo, dove ad un ascesa dell’economia corrispondeva una successiva discesa, si comprende che la disoccupazione è frutto di processi di mercato e non di negligenza o colpa dell’individuo come era pensiero comune agli inizi degli anni ‘600. Durante le due guerre mondiali abbiamo un rafforzamento e un estensione dei rischi coperti dall’assicurazione che si sposta da un’assicurazione dei lavoratori ad un’ assicurazione sociale, estendendo la copertura anche verso i familiari dei lavoratori. È in questo periodo che vengono introdotti gli assegni familiari e le prestazioni calcolate in base al carico familiare 5 1.3 Ideologie economiche e modelli di Welfare Una delle classificazioni dei sistemi di welfare più usata è quella fornita da Esping-Andersen nel 1990, che effettuando un’ indagine in visione di “regimi di welfare” (in cui al benessere totale di un individuo contribuiscono stato, mercato e famiglia) identifica tre regimi: 1. Il regime socialdemocratico che garantisce una tutela di tipo universale a tutti i cittadini in quanto loro diritto di cittadinanza. Caratterizza sopratutto i paesi nordici. 2. Il regime liberale che garantisce una tutela di tipo categoriale indirizzata a pochi soggetti che si trovano in una grave condizione di povertà accertata mediante prova dei mezzi. Caratterizza sopratutto i paesi anglosassoni. 3. Il regime conservatore, che garantisce una tutela sopratutto ai lavoratori e ai loro famigliari in conformità con il principio di sussidiarietà, ossia, quando viene meno la capacità della famiglia di provvedere ai suoi componenti. Questo modello è tipico dei paesi europei continentali, e una sua variante è il modello Mediterraneo in cui assume un ruolo ancora più centrale la famiglia a cui è affidata una funzione di ammortizzatore sociale. Inoltre, in virtù della visione dei "regimi di welfare", Andersen identifica tre variabili che caratterizzano in modo differente i diversi modelli di welfare: Demercificazione: intesa come la capacità del sistema welfaristico di garantire un reddito minimo indipendentemente dalla partecipazione del soggetto al mercato del lavoro. Destratificazione: intesa come il grado in cui l’erogazione di prestazioni sociali appiana le divergenze sociali. Defamilizzazione: intesa come la capacità delle prestazioni sociali di ridurre la dipendenza dell’individuo dalla famiglia. Alla luce di questre tre variabili si può ricomporre la classificazione secondo la seguente tabella : 6 Demercificazione Destratificazione Defamilizzazione Socialdemocratico Alto Alto Alto Liberale Bassa Bassa Media Conservatore Media Media Bassa Alla base di questa classificazione ci sono 3 ideologie economiche: economie di mercato, economie “miste”, economie pianificate. I sostenitori principali delle economie di mercato sono i liberisti. Hanno come idea il concetto della “Mano invisibile” di Smith che affermava: “non è dalla benevolenza del vostro macellaio che dovete aspettarvi il vostro pasto caldo, ma è al suo egoismo a cui dovete rivolgervi.” 3. L'idea è che ci sia una “mano invisibile” che tramuta l'interesse individuale in vantaggio collettivo. Meno vi è l'intervento dello stato e più l'economia cresce. Ci pensa il mercato a massimizzare ed allocare nella maniera migliore i mezzi scarsi: visione “microeconomista”. Hanno l'idea che il welfare blocchi il normale funzionamento delle forze di mercato e induca le persone a rimanere alle dipendenze dello stato piuttosto che accettare un lavoro temporaneo e precario. Limite di questo sistema sono le ripetute crisi economiche a cui è andato incontro. I sostenitori principali delle economie pianificate sono i democratici. Partono dall’idea che il mercato ha delle imperfezioni ed è importante l'intervento dello Stato, in assenza il mercato non riuscirà ad allocare i beni in maniera ottimale creando disuguaglianze e inequità. I democratici hanno una visione più “realistica” della realtà e sono a favore di un massiccio intervento dello Stato. “Essi attribuiscono al welfare state proprio lo scopo di assicurare il processo produttivo e accumulativo del capitale, la riproduzione della subalternità della classe operaia e il mantenimento della popolazione non attiva in una prospettiva funzionale al capitalismo (Gough,1979)” 4. Limite di questo sistema è il fatto che lo stato perseguendo obiettivi pubblici e cercando di soddisfare diversi missioni perde di vista gli obiettivi imprenditoriali divenendo inefficiente. I sostenitori principali delle economie “miste” sono i collettivisti. Partono dall’idea che una cooperazione tra stato e mercato possa garantire una maggiore efficienza ed equità. Hanno l’idea che il welfare possa essere uno strumento di regolazione dell’economia per scongiurare le crisi economiche. Limite di questo sistema è la crescita incontrollata della spesa pubblica ed un 3 4 Smith A., La ricchezza delle nazioni, Utet, Torino, 2013 Kazepov Y., Carbone D., Che cos’è il welfare state, op. cit. 7 problema di coordinamento tra pubblico e privato, accentuato dalla non perfetta accessibilità alle informazioni. 1.4 I sistemi welfaristici del secondo dopoguerra Dopo la seconda guerra mondiale, in Inghilterra, ma anche negli altri paesi europei, si andò sempre di più delineando un clima di solidarietà e di coesione sociale dovuto al forte sforzo bellico. Si può dire che è da questo clima che prende propulsione il progetto lungimirante ed ambizioso di Sir William Beveridge. Nel 1941 Beveridge fu chiamato a presiedere un comitato per riformare l’ordinamento del sistema previdenziale inglese che evidenziò che la povertà e la mancanza di salute erano dovute alla perdita del reddito. Ed è da questo punto che parte Beveridge per delineare il suo piano di sicurezza sociale con l’idea che lo stato debba garantire un’occupazione a tutti i cittadini per abbattere il bisogno. Il bisogno è ritenuto solo uno dei 5 giganti da abbattere, gli altri sono: Malattia, Ignoranza , Squallore e Ozio. Il modello che Beveridge definisce è un modello universalistico che assicura prestazioni a tutti, indipendentemente dalla classe sociale, a fronte di un uguale contributo per tutti. Tuttavia essendo prestazioni coperte mediante assicurazione sociale obbligatoria, in parte finanziata anche dallo stato con fiscalità generale si comprende che implicitamente le classi agiate contribuiscono maggiormente. Altro pilasto del modello “Beveridgiano” è il sistema sanitario universale e gratuito finanziato mediante fiscalità generale. Questo sitema doveva garantire tutte le prestazioni, addirittura anche quelle odontoiatriche. Il modello di Beveridge si configurerà come ideologia di base per tutti i modelli europei di welfare successivi. In questi anni abbiamo una forte espansione del welfare dovuta alla forte crescita economica, sviluppatasi grazie al nuovo modello industriale Fordista della “grande impresa industriale totalmente integrata”. Ford combina due elementi: ✓ I principi tayloristici di organizzazione del lavoro per massimizzare la produttività del lavoro ✓ L’automazione e la standardizzazione di processi e prodotti per massimizzare le economie di scale. Per assicurare la fluidità della produzione necessaria all’efficienza promuove anche un elevato controllo dei processi di lavoro ed un’ integrazione verticale. La crescità fu dovuta anche all’intervento pubblico con il finanziamento di opere pubbliche e la conseguente crescita dell’occupazione. Vi era l’idea di poter raggiungere e mantenere la piena 8 occupazione; in tale prospettiva la spesa pubblica era vista come un investimento necessario per avviare il sistema per il quale poi sarebbero subentrati costi minori. In questa fase gli stati incrementarono la loro offerta di beni e servizi in maniera impressionante cercando di coprire tutti i settori del bisogno ricorrendo anche all’indebitamento pubblico in una prospettiva di continua crescita. La spesa pubblica assunse due forme: ❖ Nei paesi a modello universalistico la quota maggiore fu assorbita dai consumi pubblici ❖ Nei paesi a modello privatistico la quota maggiore fu assorbita dai trasferimenti monetari Tuttavia il modello fordista rimase un modello vincente fino alla fine degli anni ’70, successivamente venne superato a causa di due avvenimenti: 1. La crisi petrolifera del ’74 e del ’79 2. La sostituibilità dei prodotti. Il superamento del modello fordista causò una ricaduta dei tassi di crescità che insieme ai mutamenti sociali, in particolare l’incremento degli ingressi delle donne nel mercato del lavoro, evidenziarono l’instabilità del sistema welfaristico del tempo. Da questo momento si iniziò a parlare di “Crisi del Welfare” e si delineò la necessità di un contenimento dei costi riducendo la spesa pubblica. Risalgono infatti a questi anni i provvedimenti di Privatisation in Inghilterra, con l ‘idea di sgravare lo Stato dai costi di alcuni servizi. L’approccio che si configura in questi anni è quello di contenimento delle spese e di mantenimento solo dei programmi di maggior impatto sociale. In questo periodo vengono fatti diversi tagli, celandone addirittura i diretti destinatari, anzichè intraprendere le giuste politiche riformatrici del sistema, questo per due motivi : 1. Perchè erano politiche che necessitavano di lunghi tempi, e nessun politico era disposto ad accollarsi i costi immedianti e far ricadere i risultati sul successivo politico 2. Perchè si era istituzionalizzata l’idea che lo stato dovesse provvedere a tutti i bisogni. 9 Capitolo 2 La crisi del Welfare nei paesi Ocse tra vecchie e nuove sfide Come analizzato nel precedentemente capitolo, il welfare state nasce per garantire dei bisogni ritenuti fondamentali e ridurre le disuguaglianze. Tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad un loro incremento, dovuto sopratutto ad un fallimento delle politiche sociali attuate fino a questo momento. Al fallimento non ha contributo solo l’attuale recessione economica, ma un concatenamento di diversi fattori: 1.Crisi economica 2. Diverse dinamiche sociali e demografiche 3.Incremento dei bisogni. Quando si parla di crisi del welfare state ci si riferisce al fatto che le politiche sociali come erano state disegnate hanno portato ad una insostenibilità del sistema. Nei paragrafi successivi si andranno ad analizzare in maniera più approfondita le cause di tale insostenibilità. 2.1 Insostenibilità finanziaria ed influenze economiche La costituzione e l’espansione dello stato sociale ha richiesto un dispendio enorme di risorse che ha generato un’accumulo di debito pubblico immane. Basti pensare che l’attuale debito italiano si attesta al 132%5 e non accenna a diminuire nonostante i tagli degli ultimi anni. Si deduce che non è questa la strategia migliore da adottare. Se è vero, come afferma Paul Kraugman, che in situazioni di crisi può convenire indebitarsi nel breve periodo per rilanciare l’economia e superare situazioni di stallo, tuttavia, bisogna porre attenzione nel cercare di mantenere la differenza fra entrate e uscite positiva e maggiore degli interessi del debito, altrimenti il debito potrebbe divenire inestinguibile. L’indebitamento, quindi, si potrebbe trasformare in un’arma a doppio taglio. L’altro strumento a disposizione dello stato per finanziarsi sono le imposte. Però i cittadini richiedono sempre maggiore welfare rispetto alle tasse che sono disposti a pagare e sono restii nel rinunciare ai diritti acquisiti, quindi allo stato non rimane che indebitarsi. Un debito pubblico troppo elavato rischia di minare le basi della crescita economica e portare ad un circolo vizioso. 5 Banca dati online Eurostat 10 Esping Andersen affermava che la spesa pubblica dovesse essere considerata come un investimento capace di aumentare la capacità e la produttività delle persone, anzichè una spesa reale. 6 Ciò si riscontra però in un sistema di welfare che si impegna ad attivare il cittadino, e non che garantisce un agio senza che questo sia dovuto. Il subentro dello stato, in una visione paternalistica, che si sostituisce ai doveri dell’individuo accresce semplicememnete l’enorme debito che ricade sulle generazioni future. Nell’analizzare l’evoluzione del debito pubblico assume importanza il contesto sociale in cui si sviluppa. L’era in cui viviamo, in cui si incrementano sempre di più le incertezze e l’individualismo, spinge i soggetti presenti a pensare solo ai propri interessi e non a quelli dei soggetti futuri. Negli ultimi anni ha preso sempre più dominio la “globalizzazione” che ha portato ad un’ ampia apertura dei mercati e delle frontiere, questo ha avuto un effetto da non sottovalutare sulle politiche sociali. In quanto ha creato una “selvaggia” competizione per accaparrarsi gli investitori, generando una battaglia al ribasso delle imposizioni fiscali, in modo da aggirare il dumping sociale che si crerebbe. Da una parte, la riluttanza degli individui a rinunciare ai diritti sociali guadagnatesi nel corso del tempo e, dall’ altra, la spinta verso il basso da parte dei governi dell’imposizione fiscale non hanno potuto far altro che incrementare ulteriormente il debito pubblico. Difatti in questo contesto solo dei politici lungimiranti avrebbero potuto garantire una riduzione del debito, tuttavia anche questi, accecati dall’ accaparrarsi maggiori voti degli elettori, hanno abusato del debito pubblico occultandone addirittura in alcuni casi l’elevato peso. La crisi del sistema del welfare si intreccia alla più profonda crisi economica, quest’ultima legata al fallimento del sistema capitalistico; sistema capitalistico che ha dato nascita e sviluppo al welfare state. Da qui si traggono le parole di Claus Offe: “ La contraddizione sta nel fatto che il capitalismo non può convivere con il welfare state,ma non può farne a meno.” 7. Il filosofo tedesco Karl Marx già durante l’Ottocento prevedeva che un accapparramento illecito di denaro a danno dei lavoratori, tipico del capitalismo, avrebbe generato sempre più una concentrazione del capitale nelle mani di pochi, di conseguenza aumentando le disuguglianze e rendendo le forze del welfare vane ( si pensi al fatto che il welfare negli ultimi anni ha accresciuto e migliorato le condizioni della classe media, più che dei poveri ). Si crea un contrasto tra welfare e capitalismo. 6 7 Bisatti S., Il welfare state è ancora sostenibile?, Rba, Milano, 2016 Bisatti S., Il welfare state è ancora sostenibile?, op. cit. 11 A differenza del modello precapitalista, in cui le disuguaglianza erano giustificate da una scarsità naturale di risorse, nel modello capitalista la produzione diviene teoricamente illimitata in quanto come afferma Piero Sraffa avviene “merci a mezzo di merci” e quindi la disuguaglianza non è accettabile. I fallimenti del sistema capitalista hanno incrementato la spesa pubblica, infatti le maggiori crisi di questo sistema sono state “tamponate”, in visione keynesiana, mediante una svalutazione della moneta, un aumento dei consumi e dell’occupazione, ma allo stasso tempo un aumento della spesa pubblica. Un altro effetto perverso che ha generato tale sistema è la “disoccupazione tecnologica” dovuta alla sostituzione dell’uomo dalle macchine, e paradossalmente esso stesso sta portando al suo declino in quanto i profitti capitalistici dipendono in larga misura dalle risorse economiche dei lavoratori. Tale disoccupazione scarica sempre più soggetti sullo stato sociale che non era stato concepito per rimediare alle distorsioni del capitalismo, difatti si crea un contrasto tra welfare e aziende, perchè dal punto di vista del welfare sarebbe meglio che tutti i soggetti lavorassero, mentre alle aziende conviene produrre il massimo con pochi soggetti. Quindi sostanzialmente il capitalismo porta ad una modifica dell’equilibro del mercato del lavoro, dal quale il welfare dipende direttamente, questo apre il dilemma secondo il quale più gli interventi sono necessari per compensare le minori possibilità di occupazione meno si può contare su questi interventi per risolvere il problema dato che le risorse finanziarie dipendono dal buon andamento del mercato del lavoro. In questa situazione si ricorre ad un ulteriore indebitamento con un corrispondente incremento della pressione fiscale che fa perdere di attrattività il paese, considerando che la “globalizzazione” ha facilitato lo spostamento di sedi, investimenti e capitali si comprende come ci si incappa in un circolo vizioso che blocca la ripartenza del sistema. Oltre a tutto ciò bisogna tenere conto che i costi del welfare sono destinati a crescere in maniera esponenziale proprio per loro natura intrinseca, si pensi ad esempio ai progressi nel campo sanitario che fanno lievitare i costi in maniera esorbitante. Come si può osservare nel seguente grafico : 12 Lo stato si indebita Entrate Fiscali Spesa pubblica Pressione Fiscale Figura 1. – Andamento spesa pubblica Da tutte queste considerazioni si trae che le politiche sociali e lo sviluppo economico sono due fattori inscindibilmente legati e devono essere analizzati in una visione complessiva, non in un rapporto di dipendenza. Infatti le politiche economiche incidono su diversi settori della vita sociale e per converso la risoluzione di problemi sociali incide sullo sviluppo di un paese. Figura 2.- Legami economici e sociali 2.2 Longevità e frammentazione sociale L’allungamento della speranza di vita negli ultimi anni ha accentuato l’instabilità dei sistemi welfarisici. Difatti il rapporto tra anziani e occupati continua a crescere, mettendo in crisi sopratutto 13 il sistema pensionistico che si basa su un patto intergenerazionale; attraverso il quale la generazione degli attivi paga la pensione alla generazione che ha abbandonato il lavoro per ragioni d’età. Questo è il classico sistema a ripartizione, al quale si contrappone un sistema a capitalizzazione nel quale invece è il singolo individuo ad assicurarsi la pensione, mediante prelievi dal salario e capitalizzazione nel mercato finanziario. Tuttavia il sistema largamente adottato dalla maggioranza dei paesi è quello a ripartizione, che nell’attuale società caratterizzata da una “piramide rovesciata della popolazione” dove una piccola base di popolazione attiva regge il peso di una estesa popolazione inattiva, diviene sempre più insostebile. Quindi nel futuro risulterà sempre più necessario transitare verso ad un sistema a capitalizzazione, questo passaggio non sarà di facile attuazione, infatti se non regolato nei tempi e nei modi potrebbe lasciare alcuni soggetti senza pensione. Ad aggravare questo quadro è anche il calo della natalità al di sotto del “tasso di sostituzione” che permette di garantire il ricambio generazionale. Lo schema seguente rappresenta il fenomeno Reddito Consumo Surplus di reddito che eccede il consumo,ma con il quale bisogna mantenere figli e anziani Reddito 16 Popolazione Attiva 65 Età Figura 3. – Ricambio generazionale Il sistema è bilanciato finchè l’area della sezione blu è uguale alle aree delle sezioni rosse. Uno squilibrio dovuto all’aumento degli anziani e al calo della natalità può essere corretto mediante quattro soluzioni: 1. Un aumento dell’eta pensionabile, è la misura più facilmente attuabile, ma non è sufficiente a bilanciare forti squilibri. Inoltre crea 2 distorsioni: 1.Allunga ulteriormente il ricambio 14 generazionale, i giovani non riescono ad entrare nel mercato del lavoro. 2. Gli anziani non hanno il dominio delle nuove tecnlogie, quindi a maggior ragione servirebbero i giovani. 2. Un abbassamento dei consumi. Questa sarebbe l’alternativa migliore, ma difficilmente le persone modificano i loro consumi, infatti come spiegato dall’istituzionalista Dusenberry ad un calo del reddito lo stile di vita non cala immediatamente, ma rimane agganciato a livelli di reddito superiori scendendo a lisca di pesce. 3. Un aumento del Pil, soluzione di attuazione ancora più difficile della precedente. 4. Un abbassamento dell’età di entrata nel mondo del lavoro, ma la crescita di lavori altamente qualificati richiede maggiore formazione, quindi si crea un contrasto. Oggi, a differenza del passato, all’allungamento della vita corrisponde sempre di più anche una buona qualità della salute. Questo comporta la necessità di rivedere la nozione di anzianità in senso più dinamico, in quanto non è più anziano semplicemente il soggetto che supera la soglia dei 65 anni. Da questo nasce l’esigenza di valorizzare la risorsa longevità, attraverso il sostegno all’ “invecchiamento attivo”, basato sull’idea che gli anziani necessitano di rapporti di reciprocità e di sentirsi attivi nel sostentamento della società, privarli di tale beneficio è una grave violazione. Infatti quest’ultimi sono dei veri e propri centri di conoscenza e possono trasmetterla ai più giovani. Questo discorso se calato in uno scenario in cui assume sempre più rilevanza la competizione di conoscenza è ancora più ragguardevole. L’applicazione di queste considerazioni sposterebbe nell’immaginario collettivo l’idea degli anziani da una visione pessimistica ad una visione di valore aggiunto alla società. Altro fenomeno che ha modificato gli assetti della società è stato l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Le conseguenze sono state un calo dei matrimoni, un calo della fertilità e una rottura delle relazioni solidaristiche familiari. Con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro si sono aperti nuovi scenari per la politica sociale: 1. La perdita della centralità del nucleo familiare, a discapito di maggiori istituzioni famigliari atipiche(es. famiglie monogenitariali), ha generato la necessità di una tutela della conciliazione tra lavoro ed educazione dei figli. 2. Il calo della natalità, dovuto ad un costo opportunità maggiore rispetto a quello di fare carriera, ha generato la necessità di incentivare la natalità attraverso investimenti pubblici. 15 3. Il calo delle donne prestatrici di cura nell’ambito familiare ha generato la necessità di creare un “mercato di aiuti” (baby-sitter, asili nido, badanti) sovvenzionato dal pubblico. Oggi la maggior parte della manodopera è inserita nel settore dei “servizi” che a differenza però di quello industriale è maggiormente esposto alle dinamiche di mercato, quindi offre lavori flessibili e poco stabili. Sono sopratutto le donne ad essere assorbiti da questi lavori atipici, mentre gli uomini usano queste forme solo come transizione verso lavori più stabili. Altro cambiamento nel mercato del lavoro è il fatto che oggi si richiedono elevate conoscenze tecniche, con relativa estinzione dei lavori a bassa qualificazione e il rischio dell’ emarginazione dei soggetti che non hanno investito in adeguate competenze tecniche o che non hanno un adeguata esperienza. I rapporti tra i 3 principali soggetti di una società (giovani, adulti e anziani), che nel passato si intrecciavano in legami di mutuo aiuto, con i cambiamenti demografici e l’aumento dell’individualismo legato al modello capitalista, si sono rotti. Questa rottura ha sviluppato un clima di frammentazione sociale, che ha generato per lo stato sociale un maggior costo. Il “nuovo welfare” dovrebbe cercare di ristabilire questa rete di aiuti sociali. Sulla base delle considerazioni effettuate cui sopra si può affermare che:“ La crisi dell’accumulazione è globale, ed è la crisi della riproduzione sociale nel suo insieme, non semplicemente una crisi economica; è anche crisi delle istituzioni sociali e delle pratiche sociali che mediano tra vita familiare, stato e processo complessivo di valorizzazione del capitale”. 8 2.3 Nuovi diritti o falsi bisogni ? Con i cambiamenti sociali e demografici analizzati nel paragrafo precedente diventa sempre più difficile individuare i diritti, dai falsi bisogni. Infatti nell’era attuale del consumismo e dell’individualismo i soggetti tendono sempre di più a ricorrere al consumo di beni materiali per coprire il senso di solitudine e frustrazione. Tuttavia il ricorso a questa pratica genera solo maggiore instabilità creando un circolo vizioso. Il consumismo deriva da una competizione per mostare di avere più degli altri, quindi è alimentato direttamente dalle disuguaglianze e dal capitalismo. Per questo motivo assume ancora maggiore rilevanza il futuro obiettivo dello stato sociale di ristabilire la rete di aiuti sociali fra i soggetti. 8 Ronchi R., Risposte alla crisi del welfare state: ridurre o trasformare le politiche sociali?, Franco Angeli, Milano, 1986 16 Assume sempre più importanza anche la capacità dello stato di identificare i reali bisogni da tutelare, in quanto i soggetti spingeranno per cercare di soddisfare tutti i loro bisogni anche quelli più superflui. Da queste considerazioni nasce un problema etico di identificazione dei confini tra responsabilità sociale e responsabilità individuale. I problemi non sussistono per i beni pubblici che hanno delle specifiche caratteristiche determinate, ma per i beni meritori, ossia beni tipicamente privati che per la loro particolare funzione di utilità nello sviluppo sociale vengono tutelati dal pubblico. Nell’analisi di quali siano i bisogni sociali da tutelare è necessario considerare non tanto l’offerta omogena e standardizzata dei servizi, ma la portata di questi servizi, ossia quanti soggetti ne avranno accesso e la relativa pressione fiscale. Se non vi sono problemi a identificare l’utilità sociale che hanno i servizi sanitari basilari, interrogativi si pongono sulle prestazioni specialistiche, ai confini addirittura con la medicina cosmetica. Nasce la necessità di distinguere tra bisogno e desiderio, ossia tra ciò di qui l’individuo ha realmente bisogno e ciò di cui crede di aver bisogno. Il settore del volontariato in questo contesto diviene fondamentale. Perchè solo chi ha un legame diretto con il territorio può comprendere le reali esigenze dei soggetti che vi vivono. In questo contesto l’idea di Beveridge, alla base dello stato sociale di coprire tutti i bisogni “dalla culla alla tomba” risulterebbe di difficile attuazione a causa dei continui sviluppi di nuovi bisogni. Il paternalismo dello stato eccessivamente perseguito anche nei settori dei bisogni tipicamente privati si sta trasformando in un arma a doppio taglio, in quanto da una parte fa perdere all’individuo la capacità di superare autonomamente le situazioni di difficoltà e dall’altra frantuma la rete di aiuto sociale.Un abuso del consumismo e un aumento della frustrazione sociale dovuto alla rottura dei rapporti sociali spinge sempre di più a situazioni estreme fino a sfociare in dipendenze, dalle quali nasce uno scenario di contrasto tra etica e conservazione delle risorse economiche. L’espansione di nuovi rischi sociali richiede sempre di più una dinamicità dello stato sociale e una diversificazione dei bisogni che lo stato non riesce a garantire a causa della rigidità dovuta alla burocratizzazione. Perciò si configura un clima di delegittimazione e sfiducia verso le istituzioni che non riescono più a garantire le esigenze dei cittadini. 17 Capitolo 3 Welfare innovativo: Le nuove strategie di politica sociale 3.1 Verso la welfare society Dopo aver analizzato tutte le attuali criticità del welfare state, in questo paragrafo si cercheranno di delineare quelle che sono le nuove strategie di politica sociale. La visione verso la quale si sta orientando il welfare futuro è una visione “attiva”, nella quale non è più solo lo stato a farsi carico dei bisogni dei cittadini, ma è l’intera società. Già a suo tempo Beveridge prevedeva che il sistema dovesse essere un sistema di welfare attivo nel quale si promuovessero: “la libertà, l’intraprendenza e la responsabilità dell’individuo per la propria esistenza”; mai il cittadino deve pensare che l’intero suo benessere possa derivargli dall’intervento pubblico, dovrà guadagnarsi il suo livello di protezione, e, qualora assistito temporaneamente, ma in “normali” condizioni fisiche, dovrà sempre attivarsi per incrementare le sue competenze e ricollocarsi nel più breve tempo possibile nel mercato del lavoro.” 9 Infatti al giorno d’oggi prende sempre più piede l’idea del “workfare”, ossia la subordinazione delle prestazioni sociali alla firma di un contratto con il quale ci si impegna a cercare di superare il proprio stato di bisogno. Le persone vengono viste come un’insieme di risorse relazionali, di competenze, di tempo e conoscenze. Diviene centrale l’idea di Amartya Sen secondo la quale una persona povera non è solo priva di reddito, ma è priva anche di capabilities, quindi la riduzione delle disuguaglianze si tramuta in un investimento nello sviluppo sociale ed economico. L’idea alla base della welfare society deve essere quella di sostenere un individuo vulnerabile in maniera preventiva, prima che diventa debole, identificandolo attraverso i soggetti territoriali del terzo settore, perchè solo così si abbassano i costi. Inoltre la welfare society non deve mirare a colmare i bisogni con dei semplici trasferimenti di denaro, ma deve cercare di migliorare le capacità di vita delle persone in modo da rendere il soggetto autonomo rispetto al bisogno. Nel progetto della welfare society deve instaurarsi un rapporto ed una relazione continua tra stato, terzo settore, imprese e famiglie, sia nella gestione che nella programmazione degli interventi. In questo modello l’impresa è rilevante, in quanto l’imprenditore non deve pensare solo ai suoi guadagni, ma anche allo sviluppo del territorio nel quale opera. Difatti questi hanno un bagaglio culturale di conoscenza non indifferente, che risulta fondamentale in sede di determinazione degli 9 Beveridge W., Alle origini del welfare state: il rapporto su assicurazioni e servizi assistenziali, FrancoAngeli, Milano, 2010, pg.146 18 interventi. Sono chiamati a maggior ragione a considerare anche gli aspetti sociali in quanto anche loro traggono indirettamente benificio dal welfare. Si pensi ad esempio al fatto che il welfare abbia portato ad una riduzione del personale, attraverso prepensionamenti e casse integrazioni, che in molti casi hanno permesso alle imprese in crisi di ristrutturarsi ed acquistare competitività; oppure al fatto che i lavoratori sicuri del proprio salario sono più disposti ad accettare le nuove tecnologie, lo spostamento tra sedi e la temporanea sospensione dal lavoro. Altro soggetto fondamentale della welfare society e il terzo settore, che però necessità di acquisire maggiori competenze di progettazione in quanto fino ad oggi è stato un semplice mero esecutore degli ordini che riceveva dagli enti pubblici. Il terzo settore è fondamentale in quanto è l’unico soggetto in grado di produrre quei beni qualitativi che emergono oggi dalla domanda sociale, e che lo stato non riesce a produrre con adeguata qualità. Lo stato all’interno di questo modello deve vigilare e garantire l’universalismo, inoltre deve incentivare qualsiasi forma di volontariato, come già affermato da Beveridge, in quanto il benessere della società è raggiunto solo grazie al progresso sociale. L’idea è quella di combattere qualsiasi forma dell’ozio, anche gli anziani devono riscoprire il senso del lavoro, in quanto il lavoro non deve essere visto solo in senso estrinseco: come guadagno materiale, ma anche in accezione intrinseca: come forma di aggregazione sociale e di crescita personale. L’uomo e gli aspetti sociali devono essere sempre più al centro dell’attenzione e dell’agire sociale e si deve sensibilizzare tutti a partecipare al benessere collettivo. 3.2 Innovazione dello strumento di means testing italiano: ISEE L’ISEE è il principale indicatore italiano della situazione economica di un soggetto o di un nucleo familiare e serve a garantire l’accesso ad alcuni servizi pubblici. L’ISEE è sostanzialmente uno strumento di valutazione. Nel 2015 subisce un importante innovazione per cercare di garantire maggiore equità. Le criticità che hanno portato ad una riformulazione sono state: scarsa capacità selettiva, “disabilità” poco considerate e autodichiarazioni non veritiere. La riforma ha introdotto: 1. Una definizione differente di nucleo familiare, anche in virtù della nascita delle famiglie atipiche. 2. Considerazione anche dei redditi esenti nella somma dei redditi disponibili. 3. Maggiore valorizzazione della componente patrimoniale. 19 4. Ricalcolo dell’ISEE in caso di perdità del lavoro, se la modifica è maggiore del 25%. 5. Maggiore attenzione per le famiglie numerose e con disabili, mediante maggiorazioni della scala di equivalenza. 6. Maggiori controlli attraverso l’incrocio delle banche dati, limite delle autocertificazioni. 7. Revisione delle franchigie della componente reddituale. Un altra novità è stata quella di differenziare i modelli di ISEE in base alle differenti prestazioni e alle condizioni del richiedente e del suo nucleo famigliare. In particolare si distinguono: - ISEE Standard - ISEE Università - ISEE Socio-sanitario - ISEE Sociosanitario-Residenze - ISEE Minorenni - ISEE Corrente Nel corso del tirocinio svolto ho potuto notare che anche il “nuovo ISEE” presenta alcune criticità come il fatto che non vengano previste delle soglie di patrimonio mobiliare, con la conseguenza che i cittadini sono contretti a presentare documentazione inerente qualsiasi rapporto finanziario anche a 0. In caso di dimenticanze, grazie all’incrocio tra le banche dati effettuato dall’Agenzia delle entrate e dall’INPS, sono richiamati a ricalcolare l’ISEE con conseguente perdita di tempo per il cittadino ( anche in quanto il calcolo avviene solo dopo 10 giorni lavorativi dalla domanda ) e perdita di denaro per le casse dello stato. Quindi dal punto di vista del procedimento burocratico presenta ancora alcune lacune. L’ISEE inoltre conserva ancora il problema delle assimetrie informative, in quanto il costo dell’informazione in molti casi è maggiore della prestazione garantita al soggetto, e quindi si preferisce non intervenire. 3.2.2 Caso Pratico L’ ISEE viene calcolato mediante tre componenti: 1. Componente reddituale 2. Componente patrimoniale (valorizzata al 20%) 3. Scala di equivalenza Componente Reddituale Reddito complessivo IRPEF + Reddito soggetto a imposte sostitutive + Reddito figurativo delle attività finanziarie(al netto dei depositi) + Altri redditi o prestazioni sociali esenti - Deduzioni per il 20 costo dell’abitazione nel caso di affitto - Deduzioni disabilità e non autosufficienza – Deduzione per redditi da lavoro e pensione – Altre deduzioni Componenti Patrimoniale 20% del valore del patrimonio mobiliare e immobiliare – [franchigia per la casa di abitazione di proprietà + 2500 per ogni figlio superiore al secondo] – [ (franchigia patrimonio mobiliare: 6000 + 2000 per ogni componente = 10000 max) + 1000 per eventuali altri figli oltre il secondo] ISE = Componente Reddituale + ( 0.2 * Componente Patrimoniale ) ISEE = ISE/ Coefficiente scala di equivalenza La scala di equivalenza permette di tenere conto delle economie di scala all’interno del nucleo famigliare dovute alla convivenza, ed è basata sul numero dei componenti : 1 = 1, 2 = 1.57, 3 = 2.04, 4 = 2.46, 5 = 2.85 +0.35 per ogni componente aggiuntivo, + 0.2 in caso di tre figli, + 0.35 in caso di quattro figli, + 0.5 in caso di 5 figli, + 0.2 per nuclei con minori, + 1 nel nucleo con componente per il quale siano erogate prestazioni in ambiente residenziale a ciclo continuativo Esempio Si consideri una famiglia composta da entrambi i genitori e 3 figli minorenni di cui uno con un grave handicap permanente e quindi non autosufficiente. Per questo soggetto vengono svolte prestazioni sanitarie continue e viene affiancato da una collaboratrice per il costo di 5.000 euro annui. Nel nucleo entrambi i genitori lavorano per una somma dei redditi complessivi pari a 52.000 euro, il patrimonio mobilare corrisponde invece a 14.000 euro. La casa di abitazione del nucleo è in locazione ad un canone annuale di 5.000 euro. Componente Reddituale = 52.000 (redditi da lavoro dipendente) - 6000 ( detrazione spese produzione reddito) – 5000 (detrazione affitto) – 14.500 ( detrazione spesa collaboratrice + franchigia) = 26.500 Componente Patrimoniale = 14.000 (patrimonio mobiliare) – 11.000 (detrazioni) = 3.000 Scala di equivalenza = 2.85 + 1 (assistenza continuativa) + 0.2 (nucleo con minori) + 0.2 (3 figli) = 4.25 ISE = 26.500 + ( 0.2 * 3000 ) = 27.100 ISEE = 27.100 / 4.25 = 6376.47 21 Riflessioni Conclusive In conclusione il welfare state porta ad una serie di vantaggi non solo per le persone, ma anche per le aziende. Tuttavia se sussistono problemi di progettazione o difetti nell’identificazione dei reali bisogni, il welfare si può trasformare in uno strumento di incremento delle inefficiente, dei costi e della sfiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni. A livello sociale e politico si devono rimettere al centro gli interessi dei cittadini sopra qualsiasi interesse economico. Infatti come sosteneva Olivetti da una comunità sociale coesa e dall’incremento del benessere umano scaturisce implicitamente una crescità economica. E’ necessario un intervento serio da parte dei cittadini per transitare il modello del welfare verso una sostenibililità, bisogna iniziare ad invesitire nelle imprese sociali, accrescendo e sviluppando direttamente il territorio e creando una sorta di “distretto sociale”, che sulla falsariga del distretto industriale, consentirebbe di innovare e di creare un’ atmosfera sociale coesa. Questa via crerebbe un mix fra competizione e cooperazione, in più, trasformerebbe le relazioni personali in fattori economi, che attraverso la conoscenza si tradurebbero in innovazione. Fondamentale è ristabilire la rete degli aiuti sociali, infatti come affermava Hirschman mediante la separazione tra felicità pubblica e felicità privata, ci saranno dei momenti in cui saremo propensi ad aprirci verso i beni pubblici ed altri momenti invece nei quali saremo rinchiusi nel nostro ego (generalmente questi momenti corrispondono con l’andamento economico). Le economie attuali sono divenute accomodanti, oramai le manovre economiche non vi incidono più, la competizione diviene sempre di più tra grandi divisioni internazionali. Se inizialmente si pensava che questa crisi fosse congetturale, ora si comprende invece che è strutturale ed è per questo che le politiche economiche non vi incidono più. L’unica strada possibile per uscire dalla crisi economica è tornare a produrre prodotti di prestigio, ossia prodotti ad alto livello di conoscenza. Ed è qui che diviene fondamentale il welfare che deve investire sulla conoscenza e sulle capacità. In quest’ambito assume grande rilevanza anche la figura dell’università come organo deputato alla messa in pratica sul territorio delle conoscenze acquisite, ossia la terza missione dell’università. Come teorizzato da Leydesdorff e Etzkowitz nel 1997 l’università deve assumere un ruolo di guida in un modello a tripla elica, in cui accanto a questa operano anche stato e mercato. Spostarsi dalla produzione fisica a quella di conoscenza significa anche spostarsi dalle economie di scala a quelle di dimensione con un incremento del potere di mercato. 22 Si può affermare che il peso dello stato sociale ha contributo alla crisi economica nella misura in cui la crisi economica ha contributo alla crisi del welfare state, sono due crisi con forti correlazioni e legami come si può notare all’interno del lavoro. In conclusione il welfare state rimane un importante guadagno della civiltà moderna, che però necessità di un superamento nel modus operandi verso modelli più sostenibili. 23 Bibliografia Artoni R., Elementi di scienza delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2015 Beveridge W., Alle origini del welfare state: il rapporto su assicurazioni e servizi assistenziali, FrancoAngeli, Milano, 2010 Bisatti S., Il welfare state è ancora sostenibile?, Rba, Milano, 2016 Bosi P., Corso di scienze delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2015 Fazzi L., Messora E., Modelli di welfare mix, Angeli, Milano, 1999 Ferrera M., Il welfare state in Italia:sviluppo e crisi in prospettiva comparata, Il Mulino,1984 Kazepov Y., Carbone D., Che cos’è il welfare state?, Carocci, Roma, 2007 Naldini M., Le politiche sociali in Europa, Carocci, Roma, 2006 Rei D., Sociologia e welfare II, Ellissi, 2008 Ronchi R., Risposte alla crisi del welfare state: ridurre o trasformare le politiche sociali?, Franco Angeli, Milano, 1986 Sitografia http://ordosocialis.de/pdf/Zamagni/DAL%20WELFARE%20DELLA%20DELEGA%20AL%20WELFARE %20DELLA%20PARTECIPAZIONE.pdf http://www.lastampa.it/2013/05/02/scienza/galassiamente/un-nuovo-welfare-per-fronteggiare-la-crisiSPBafgHazeXplCOfRSU4uL/pagina.html http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1980 http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/le-cause-di-fondo-della-crisi-economica-diseguaglianze-esquilibri-globali http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/4956/818667-1175022.pdf?sequence=2 http://www.eurasia-rivista.org/la-crisi-del-capitalismo/22245/ http://www.diocesitv.it/treviso/allegati/5130/Testo%20Zamagni%2021.11.13.pdf http://formonline.uniroma3.it/pluginfile.php/22787/mod_forum/attachment/125186/Crisi_e_trasformazione_ dei_sistemi_di_welfare1.pdf 24 25
Il presente lavoro nasce dalla riflessione sull’attuale società caratterizzata sempre di più da enormi disuguaglianze causate principalmente dall’ assetto economico. Oggi l’idea al centro dell’interesse sia a livello macro-territoriale che micro-territoriale è far ripartire l’economia attraverso manovre economiche. Il presente lavoro si domanda invece se non sia necessaria una precedente analisi introspettiva sulla valorizzazione degli aspetti sociali, come mezzo per far ripartire il sistema. Si cercheranno di analizzare le cause alla base della crisi del welfare state, e ci si domanderà se le cause della crisi economica non siano da ricercare in una più profonda crisi di valori. Si analizzerano i limiti dell’approccio paternalistico dello stato, nella sua funzione di garante dei diritti sociali, e si indagheranno le possibili ipotesi di superamento verso nuovi modelli. I quesiti principali di partenza sono: ✓ Il peso dello stato sociale in termini di spesa pubblica ha contribuito all’instaurarsi della crisi economica- finanziaria ? ✓ Come può essere ridefinito l’assetto dello stato sociale affinchè non si creino contrasti tra aspetti economici e sociali ? L’elaborato verrà articolato in tre capitoli: Nel primo si effettuerà un’ analisi concettuale, storica e ideologica alla base del welfare state. Verso la fine del capitolo si esaminerà anche l’espansione delle politiche sociali nel secondo dopoguerra con particolare riferimento al clima sociale e alle dinamiche della spesa pubblica. Il secondo capitolo verterà sopratutto sugli attuali limiti e sulle future sfide del welfare. A questo capitolo si fornirà una connotazione particolarmente critica, non ci si limiterà ad elencare i limiti del WS, ma si cercheranno di analizzarne a fondo le cause. Veranno analizzati i problemi introdotti dal capitalismo e dalla globalizzazione, per poi passare ai problemi di natura demografica legati ad una frammentazione sociale ed a un allungamento dell’aspettativa di vita, concludendo infine con un analisi sull’espansione di nuove esigenze. Il terzo ed ultimo capitolo verrà incentrato sui nuovi percorsi del welfare, in particolare si analizzerà il concetto di “welfare society” con l’idea che la sostenibilità dello stato sociale debba essere garantita attraverso un mix tra stato, mercato , famiglie e terzo settore. Verranno analizzate anche le difficoltà nell’ attuare questo nuovo assetto sociale. Infine, si illustreranno brevemente le innovazioni del principale strumento di means testing italiano, ossia l’ISEE.
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