AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici Revoca e recesso L’autotutela interna e l’autotutela esterna nei contratti pubblici Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 20 giugno 2014, n. 14 - Pres. Giovannini- Est. Meschino - Azienda per la Mobilità del Comune di Roma - Atac s.p.a. c. Consorzio Cooperative Costruzioni - Ccc - Società Cooperativa ed altri e Roma Capitale Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006. L'amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto si pone rispetto alla controparte privata in una posizione non integralmente paritetica o paritetica “tendenziale”, in quanto tale posizione è definita non solo dalle norme comuni o civilistiche, ma anche da quelle speciali contenute nel codice dei contratti pubblici. Pertanto, deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di revoca, in quanto la specialità della previsione del recesso di cui all’art. 134 del codice dei contratti preclude l’esercizio del potere pubblicistico di revoca basato su di una diversa valutazione dell'interesse pubblico a causa di sopravvenienze. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2008, n. 4455; Cass. , sez. un., 26 giugno 2003, n. 10160; Id., 17 dicembre 2008, n. 29425; Id., 11 gennaio 2011, n. 391. Difforme Cass, sez. un., ord. 1 marzo 2006, n. 4508; Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554; Id., 27 novembre 2012, n. 5993; Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156. (Omissis) IL COMMENTO di Giuseppe Piperata Negli ultimi tempi si è ampiamente dibattuto sul rapporto tra revoca e recesso a proposito di contratti pubblici. Con riferimento ai lavori pubblici, accogliendo l’orientamento interpretativo formulato dalla Suprema Corte, il Giudice amministrativo ha stabilito che, una volta stipulato il contratto, si apre la fase di esecuzione dello stesso, nella quale la pubblica amministrazione, in presenza di sopravvenuti motivi di interesse pubblico e al fine di sciogliersi dal vincolo negoziale, non può più esercitare il potere pubblicistico di revoca, ma deve far ricorso esclusivamente al diritto potestativo di recesso previsto dall’art. 134, d.lgs. n. 163/2006. L’Adunanza plenaria decide così di far prevalere la specialità della disciplina prevista per il settore dei lavori pubblici piuttosto che la specialità riconducibile alla natura pubblicistica del soggetto, che, in virtù di essa, avrebbe potuto rivendicare i suoi poteri pubblicistici anche successivamente alla stipula del contratto. Giornale di diritto amministrativo 1/2015 77 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici La questione L'ordinamento giuridico italiano contempla varie ipotesi nelle quali all'amministrazione pubblica è riconosciuta la possibilità di interrompere unilateralmente un rapporto negoziale instaurato con soggetti esterni. A seconda dei casi, tali dinamiche vengono identificate con il ricorso alle categorie più varie: recesso, risoluzione, disdetta, revoca, annullamento. Anche la natura del potere su cui, volta per volta, l'intervento si fonda è differente, in quanto può trattarsi di un potere pubblicistico, riconducibile alla posizione di supremazia spettante all'amministrazione o all’esigenza di tutelare l'interesse pubblico, ovvero di un diritto potestativo privatistico, legato alla qualità di parte della pubblica amministrazione in un rapporto negoziale, sinallagmatico e paritario con altri soggetti. Non sempre risultano definite le condizioni legittimanti l'esercizio di tali poteri, preferendo il legislatore omettere qualsiasi riferimento specifico ai presupposti di fatto o, in alternativa, ricorrere a generiche formule, quali “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, “illegittimità dell'atto amministrativo”, “casi previsti dalla legge o dal contratto”. Cambiano anche le modalità attraverso le quali raggiungere il risultato risolutorio, che, però, in tutte le ipotesi previste dal legislatore è sempre uguale: sciogliere la pubblica amministrazione dal vincolo negoziale che aveva assunto. In particolare, alcune di queste ipotesi regolative disciplinano un potere di carattere generale, esercitando il quale l’amministrazione può fuoriuscire da un rapporto consensuale in precedenza costituito. Tale potere può consistere, innanzitutto, nel ricorso alla categoria pubblicistica della revoca, consi(1) Per una rapida ricostruzione della disciplina della revoca da parte della riformata l. n. 241/1990, sia consentito rinviare a G. Piperata, Il ritiro del provvedimento amministrativo tra annullamento e revoca (commento a Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2009, n. 136), in questa Rivista, 2009, 1191 ss., e in termini molto più ampi, G. La Rosa, La revoca del provvedimento amministrativo, Milano, 2013, passim. (2) Sulla natura pubblicistica del recesso di cui all’art. 11, cfr. S. Civitarese Matteucci, Contratti e accordi di diritto pubblico, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di V. Cerulli Irelli, Napoli, 2006, 115 s. Arrivano ad equiparare revoca e recesso, M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Milano, 1996, 175, e G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Torino, 2003, 239 ss. Si tenga presente che il recesso è stato ammesso anche con riferimento agli accordi tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 da una recente pronuncia del Tar Puglia, Lecce, sez. II, 20 dicembre 2014, n. 3141, secondo cui «l'assenza nell'art. 15, legge 7 agosto 1990 n. 241 di un richiamo al comma 4 del precedente art. 11 non esclude la possibilità per l'Amministrazione di recedere dall'accordo, considerato che è proprio della 78 derato che per effetto di una novella apportata all’art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’intervento di autotutela prima riservato agli atti amministrativi ad efficacia durevole, successivamente è stato esteso anche al campo degli atti amministrativi ad efficacia istantanea incidente su rapporti negoziali (1). Analogo potere è previsto anche a proposito degli accordi, dai quali l’amministrazione può recedere unilateralmente ma «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse» (art. 11, c. 4, l. n. 241/1990). Ad avvicinare le due ipotesi, poi, oltre alla natura pubblicistica del potere esercitato e provvedimentale dell’atto, contribuisce la previsione in entrambi i casi di un obbligo di indennizzo a favore del soggetto che subisce la scelta unilaterale (2). Sempre pubblicistico è il potere che l’art. 1, c. 136, legge 30 dicembre 2004, n. 311, concede alle pubbliche amministrazioni, autorizzandole, per conseguire risparmi, a disporre l’annullamento di provvedimenti amministrativi illegittimi «anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso» e anche se «incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati». Lo stesso dicasi per il contratto di cui è parte una pubblica amministrazione, il quale può essere sciolto per scelta unilaterale operata dalla stessa. L’art. 21-sexies, l. n. 241/1990, lo afferma in maniera netta, in quanto ammette il recesso unilaterale dell’amministrazione pubblica, anche se circoscritto ai «casi previsti dalla legge o dal contratto». E tra le ipotesi previste specificatamente dalla legge deve essere ricordata quella disciplinata dall’art. 134, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, contenente il Codice dei contratti pubblici, ai senfunzione di amministrazione attiva il generale potere di revoca del provvedimento amministrativo, del quale l'accordo ha il contenuto e al quale è sottesa la cura di un pubblico interesse. (…) Il fondamento giuridico del recesso dagli accordi - istituto che si pone in un rapporto di species a genus rispetto al potere amministrativo di revoca - risiede, dunque, nel tratto più tipico e innato del potere amministrativo: la sua inesauribilità. Potrà discutersi se, nel silenzio del legislatore, il recesso di una P.A. da un accordo precedentemente concluso ex art. 15 sia legato a particolari causali ovvero sia illimitato, possa cioè essere motivato solo da sopravvenute ragioni di interesse pubblico (recesso per sopravvenienze o autotutela legata) o anche da una rivalutazione dell’interesse pubblico originario (recesso jus poenitendi), se esso faccia sorgere o meno l’obbligo di indennizzo, ma non pare potersi dubitare della possibilità per la P.A. di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante dall’accordo, esigenza tradizionalmente ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela di affidamenti eventualmente creati e che attribuisce una connotazione di precarietà e instabilità ai rapporti giuridici amministrativi a contenuto discrezionale». Giornale di diritto amministrativo 1/2015 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici si del quale, con riferimento ai lavori pubblici, «la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto». Prendendo in considerazione il potere di revoca ed il potere di recesso così come disciplinati nelle disposizioni ricordate, si ha l’impressione che il primo sia destinato ad operare con riferimento a provvedimenti amministrativi con conseguenze indirette rispetto ad eventuali rapporti negoziali in atto dagli stessi provvedimenti originati, mentre il secondo incida direttamente sul contratto o sull’accordo di cui l’amministrazione è parte, privandolo di qualsiasi effetto ex nunc. Tali situazioni di potere sono state delimitate e definite, la prima, come autotutela esterna al contatto, in quanto esercitata mediante moduli autoritativi e destinata ad incidere sui provvedimenti che stanno a monte della stipulazione, la seconda, invece, come autotutela interna al contratto, poiché di natura contrattuale e prevista da disposizioni ad hoc (3). Ma se alla fine l’effetto è quello, in ogni caso, di rompere il legame contrattuale con il quale la pubblica amministrazione si era vincolata con il privato, viene allora da chiedersi se i due poteri non siano sovrapponibili, quantomeno ammettendo la possibilità di intervenire sempre con lo strumento pubblicistico della revoca, in presenza di idonei motivi di pubblico interesse sopravvenuti, al fine di risolvere il rapporto contrattuale in atto (4). Proprio questo è il problema che sta alla base della vicenda giudiziaria definita con l’intervento risolutivo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che qui si commenta. Il caso merita di essere richiamato sia pur sinteticamente, in quanto alcuni aspetti rilevano quantomeno ai fini dell’individuazione della disciplina speciale di riferimento. La controversia, infatti, aveva avuto origine dalla scel- ta di una stazione appaltante, a sei anni dalla stipula di un contratto pubblico, di revocare tutti gli atti di gara, compreso il provvedimento di aggiudicazione definitiva. A supporto di tale scelta, la stazione appaltante indicava diversi motivi di interesse pubblico sopravvenuti e, pertanto, preferiva ricorrere allo strumento di autotutela pubblicistico previsto dall’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, rinviando ad un provvedimento successivo la definizione dell’indennizzo da riconoscere all’appaltatrice. Si deve sottolineare che oggetto del contratto era l’affidamento della progettazione ed esecuzione di lavori pubblici: aspetto non secondario, dato che come ricordato - per il settore dei lavori pubblici l’art. 134, d.lgs. n. 163/2006, mette a disposizione della pubblica amministrazione il potere privatistico di recedere dai contratti stipulati (5). E, difatti, il Giudice di prime cure, accogliendo il ricorso sul punto sollevato dalla appaltatrice che aveva subito gli effetti negativi del provvedimento, ha censurato l’uso del potere pubblicistico di revoca da parte dell’amministrazione pubblica, in quanto questa avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del recesso ex art. 134 del Codice per potersi validamente liberare del vincolo contratto con l’aggiudicatario (6). Considerato che la posizione interpretativa espressa dal Tar non era del tutto condivisa in giurisprudenza, in sede di appello, la Sezione del Consiglio di Stato ha preferito rimettere all'Adunanza plenaria la questione di merito sulla facoltà dell’amministrazione pubblica di poter revocare per via di autotutela pubblicistica gli atti di gara dopo avere stipulato il contrato e dato avvio all’esecuzione dello stesso (7). (3) Cfr. R. Chieppa, R. Giovagnoli, Gli appalti pubblici, in Giustamm.it, 2009, che con molta chiarezza distinguono le due tipologie di potere di autotutela: «permangono in capo alla P.A. taluni poteri di intervento unilaterale (oltre a quelli di autotutela pubblicistica sugli atti di gara), assimilabili ai poteri di autotutela contrattuale che informano anche i rapporti tra privati, che consentono all’amministrazione di incidere sul rapporto contrattuale, anche con effetto risolutivo dello stesso. Si parla, a tal proposito, di autotutela interna al contratto, per distinguerla da quella esterna al contratto, la quale si esercita sul provvedimento amministrativo che è presupposto del contratto, ovvero sull’aggiudicazione. Sono espressione di tale autotutela interna i poteri, esercitabili negli appalti di lavori pubblici, di recesso e di risoluzione unilaterale previsti, rispettivamente, dall’art. 134 e dall’art. 136 del codice dei contratti pubblici». (4) E’ quello che si registra, a volte, in concreto: «nei contratti ad evidenza pubblica, ove la natura procedimentale della pubblica amministrazione va ad interferire anche e soprattutto nella fase formativa del consenso, si mostra spesso la commistione delle due figure, revoca e recesso; difatti, spesso il re- cesso si esprime anche attraverso forme indirette, come attraverso la revoca dell'atto sul quale si fonda la volontà del contrarre» (così V. Barela, Il recesso nell'attività della pubblica amministrazione, in Il diritto privato della pubblica amministrazione, a cura di P. Stanzione e A. Saturno, Padova, 2006, 361). (5) Il recesso è uno dei poteri di intervento unilaterale previsti dal Codice dei contratti pubblici, che permettono alla pubblica amministrazione di interrompere l'esecuzione del programma contrattuale: cfr., fra i tanti, i commenti al riguardo di G. Esposito, L'aggiudicazione e la stipula del contratto, in I contratti di appalto pubblico, a cura di C. Franchini, Torino, 2010, 703 ss.; F. Goggiamani, Il recesso, in Trattato sui Contratti Pubblici, dir. M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, Milano, 2008, 3661 ss.; M. Nunziata, Il recesso delle stazioni appaltanti dal contratto di appalto pubblico, in Codice degli appalti pubblici, a cura di A. Cancrini, C. Franchini, S. Vinti, Torino, 2014, 877 ss.; G. Pellegrino, Art. 134. Recesso, in Codice degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli, G. Ferrari, Roma, 2012. (6) Cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 6 marzo 2013, n. 2432. (7) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786. Giornale di diritto amministrativo 1/2015 79 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici Sulla legittimità dell’esercizio del potere di revoca da parte della pubblica amministrazione nella fase di esecuzione dei contratti pubblici non esiste solo un astratto dubbio interpretativo, ma si possono registrare differenti e contrastanti orientamenti in sede giurisprudenziale e anche un serio dibattito da parte della dottrina amministrativistica (8). Come dicevamo, proprio le diversità di vedute tra giudice ordinario e giudice amministrativo riguardo lo strumento utilizzabile dalla pubblica amministrazione per sciogliersi da un vincolo contrattuale già assunto sono alla base dell’intervento dell’Adunanza plenaria (9). Infatti, per il giudice ordinario la stipula del contratto fa perdere alla pubblica amministrazione lo jus poenitendi, poiché segna il confine ultimo oltre il quale la revoca non può più essere lo strumento per mettere in discussione il vincolo negoziale. Anzi, perfezionato il rapporto contrattuale, il potere di sciogliersi dal vincolo viene confermato lo stesso in capo all’amministrazione, ma esso muta geneticamente, in quanto da potere pubblicistico di revoca si trasforma in un diritto potestativo di recesso: «una volta stipulato il contratto, la revoca dell'aggiudicazione effettuata per sopravvenuti motivi di opportunità rientra nell'ambito del generale potere contrattuale di recesso (previsto, per i contratti di appalto di opere pubbliche), sul cui esercizio sussiste la giurisdizione del giudice ordinario» (10). Negli ultimi tempi, però, di tutt’altro avviso si è mostrato il giudice amministrativo, il quale, in più occasioni, ha escluso che alla conclusione della fa- se pubblicistica e all’apertura di quella privatistica di esecuzione si accompagnasse l’impedimento per la pubblica amministrazione di fare ricorso al suo tradizionale potere di revoca per mettere in discussione il rapporto negoziale instaurato con il privato. Infatti, secondo tale giudice, «il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica sussiste anche in caso di esistenza del contratto, fermo restando che in tal caso sorge, per effetto della revoca legittima (art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990) un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata ed affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo» (11). Pur se consolidato, nella vicenda giurisprudenziale qui considerata, l’orientamento interpretativo è stato disatteso dal giudice di prime cure, determinando così l’esigenza per il giudice amministrativo di interrogarsi nuovamente sul rapporto tra revoca e recesso nella fase di esecuzione dei contratti pubblici. Un’esigenza, tuttavia, che, rispetto al passato, ha trovato fondamento non tanto nell’opportunità di fornire una nuova lettura che tenga conto della riconosciuta scissione tra aggiudicazione e stipula del contratto dell’amministrazione, così come indicata dall’art. 11 del Codice, ma soprattutto nella necessità di interrogarsi sulle conseguenze che l’orientamento interpretativo stava determinando sul sistema delle regole che compone il quadro di riferimento e sull’equilibrio del rapporto negoziale tra la parte pubblica e quella privata. Infatti, ammettere sempre la possibilità di ricorso da parte della pubblica amministrazione alla revoca per incidere sul contratto già stipulato ha l’effetto di rendere inutile la previsione di un’apposita facoltà di reces- (8) Tra i contributi più recenti e significativi si possono ricordare: G. Carullo, La separazione (giudiziale) tra aggiudicazione e contratto: un divorzio inevitabile, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, 240 ss.; A. Corpaci, Ambito e connotati della funzione di autotutela delle stazioni appaltanti nel sistema dell’amministrazione pubblica dei contratti, in Amministrazione pubblica dei contratti, a cura di D. Sorace, Napoli, 2013, 217 ss.; S. Fantini, La revoca di provvedimenti incidenti su atti negoziali, in Dir. proc. amm., 2008, 2 ss.; G. La Rosa, La revoca del provvedimento amministrativo, cit., spec. 205 ss.; Id., Lo scioglimento del contratto della pubblica amministrazione: alla ricerca di un punto di equilibrio tra il recesso e la revoca incidente su rapporti negoziali, in Dir. proc. amm., 2012, 1453 ss.; R. Magnani, Il contratto di appalto tra potere di revoca e diritto di recesso, in Riv. trim. app., 2014, 19 ss.; A. Scognamiglio, Autotutela pubblicistica e contratti in corso, in Dir. amm., 2013, 205 ss. (9) Il problema riguarda - è utile sottolinearlo - l’esercizio della revoca da parte dell’amministrazione pubblica dopo la stipula del contratto, poiché, ovviamente, nessun dubbio si pone riguardo alla possibilità di riconoscere tale potere in capo alla stazione appaltante prima della stipula, come ben evidenziato dalla giurisprudenza più recente: «deve ritenersi legittimo il provvedimento di revoca di una gara di appalto, disposta prima del consolidarsi delle posizioni delle parti e quando il contratto non è stato ancora concluso, motivato anche con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa, ciò in quanto la ricordata disposizione [art. 21-quinquies, l. n. 241/1990] ammette un ripensamento da parte della amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario» (così Cons. Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4026). Tale potere di autotutela, oggi, è stato in parte limitato per effetto di alcune modifiche apportate dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con mod. in legge 11 novembre 2014, n. 164, che ne hanno ridefinito i presupposti. (10) Così, Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2008, n. 29425. Ma merita di essere segnalato che anche nella giurisprudenza del giudice ordinario sono presenti orientamenti contrari sulla questione di cui qui si discute, dato che in precedenti pronunce si leggeva che è «da escludere ogni incompatibilità tra esercizio dell'autotutela in relazione ai provvedimenti cennati ed avvenuta stipulazione del contratto»: Cass, sez. un., ord. 1 marzo 2006, n. 4508. (11) Così Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554. Le opzioni interpretative e la soluzione prescelta dall’Adunanza plenaria 80 Giornale di diritto amministrativo 1/2015 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici so a favore di questa disposto dall’art. 21-sexies, l. n. 241/1990, e soprattutto determina un ingiustificato vantaggio per la parte pubblica del rapporto negoziale sul versante economico (la revoca determinerebbe un obbligo di indennizzo, meno oneroso del ristoro imposto in caso di recesso) e dei risultati (la revoca permetterebbe all’amministrazione di ottenere con facilità risultati superiori a quelli che la parte privata potrebbe conseguire in sede giurisdizionale, attraverso il ricorso agli artt. 121 e 122 c.p.a.). L’Adunanza plenaria condivide le riserve espresse dalla Sezione del Consiglio di Stato e, di conseguenza, costruisce un nuovo scenario interpretativo. Il percorso argomentativo seguito è molto lineare, e parte da premesse difficilmente contestabili. Infatti, per la soluzione del problema non si può prescindere dal fatto che, da sempre, secondo la disciplina dei contratti della pubblica amministrazione, è la stipula lo spartiacque che divide le due fasi della dinamica negoziale dei pubblici poteri: la fase precedente alla stipula, che ha valenza pubblicistica ed è caratterizzata dalla selezione del contraente e dall'aggiudicazione del contratto, e quella successiva, che invece ha carattere privatistico ed è diretta all’attuazione del rapporto negoziale. Ma il giudice amministrativo approfondisce ulteriormente i dettagli delle due dinamiche, ricordando che la prima fase è fortemente connotata dal regime di diritto pubblico, con la conseguenza che sono riconosciuti alle stazioni appaltanti tutti i poteri pubblicistici del caso, tra i quali anche i poteri di autotutela espressamente richiamati dall’art. 11, c. 9, del Codice. Lo stesso, però, non vale per la fase successiva alla stipulazione del contratto, nella quale, tuttavia, il margine di azione concesso alla pubblica amministrazione non è riconducibile all'esclusivo dominio del diritto privato. Infatti, la necessità di orientare sempre l'azione amministrativa alla realizzazione degli interessi pubblici può giustificare l’introduzione di regole ad hoc per configurare - in una logica di specialità - il ruolo negoziale della pubblica amministrazione, anche se svolto secondo moduli privatistici. Del resto, al riguardo, già la Corte costituzionale, in più occasioni, ha precisato che, stipulato il contratto, si apre la fase negoziale nella quale l'ammi- nistrazione si pone in una posizione di parità non piena, ma tendenziale, anche se agisce nell’esercizio della propria autonomia negoziale; parità tendenziale, quindi, che giustifica, in relazione a specifiche esigenze di interesse pubblico, di conservare «in capo all’autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva» (12). E’ il legislatore a confermare tale relazione non paritetica con disposizioni di carattere speciale destinate a rendere asimmetrico il rapporto negoziale tra amministrazione e operatori privati. E non si tratta di una novità, dato che già Ranelletti sottolineava che «nell’esplicamento della sua attività privata (…) l’amministrazione si pone sul piede di uguaglianza coi singoli ed è sottoposta allo stesso regime giuridico, salve eccezionali disposizioni positive, che le consentano forme potestative di agire» (13). Uno degli esempi di questa situazione è rappresentato proprio dalla disposizione contenuta nell’art. 134, d.lgs. n. 163/2006, a proposito dei contratti pubblici di lavori, secondo la quale «la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite». In virtù, di tale disposizione, una volta stipulato il contratto per l’affidamento dei lavori pubblici, il rapporto che lega l’amministrazione pubblica all’impresa privata contraente è sì di natura privatistica, ma non integralmente paritetico, in quanto all’amministrazione è riconosciuta una posizione di specialità. Pertanto, secondo l’Adunanza plenaria, nel momento in cui sopravvenissero motivi di opportunità tali da spingere l’amministrazione pubblica ad un ripensamento per effetto di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, questa non può ricorrere al tradizionale e pubblicistico potere di revoca, così come disciplinato dall’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, ma deve sfruttare la posizione di specialità riconosciuta dal Codice dei contratti pubblici ed esercitare il potere di recesso di cui all’art. 134, potere, quest’ultimo, non condizionato da particolari presupposti e di natura privatistica (14). Solo seguendo tale interpretazione, si evita un’inutile duplicazione di strumen- (12) Così Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 43; Id., 22 maggio 2009, n. 160; Id., 18 febbraio 2011, n. 53. (13) Così O. Ranelletti, Le guarentigie amministrative e giurisdizionali della giustizia nell’amministrazione, III ed., Milano, 1930, 161. (14) Come giustamente ricorda I. Raiola, Art. 134 Recesso, in Codice degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli e G. Ferrari, vol. II, Roma, 2013, 1089, il recesso della pubblica amministrazione dai contratti di appalto di lavori, in corso di esecuzione, è stato considerato dalla dottrina maggioritaria come il frutto dell'esercizio di un «diritto potestativo a carattere negoziale», mentre solo alcuni autori lo hanno qualificato come uno Giornale di diritto amministrativo 1/2015 81 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici ti (15) e soprattutto l’art. 134 può trovare concreta applicazione, in quanto, qualora si lasciasse libera la pubblica amministrazione di scegliere tra il potere di revoca - che determina un indennizzo a favore dell’operatore economico privato - o il potere di recesso - che, invece, importa il pagamento dei lavori eseguiti e di un decimo dell’importo di quelli non ancora eseguiti -, ovviamente la scelta cadrebbe sempre sul primo rimedio, le cui conseguenze appaiono essere meno onerose per la parte pubblica. I poteri dell’amministrazione pubblica nella fase negoziale successiva alla stipula del contratto Per l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato il principio di diritto che può essere dettato rispetto alla vicenda giudicata è molto puntuale: «nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006». Esso, tuttavia, pur nella sua chiarezza e perentorietà, suscita nell’interprete alcuni interrogativi, che solo in parte possono trovare risposta in qualche passaggio argomentativo presente nella sentenza. Per prima cosa bisogna chiedersi se il principio affermato valga solo per i contratti relativi alle opere pubbliche o, invece, per effetto della pronuncia del giudice amministrativo il tradizionale potere di revoca delle pubbliche amministrazioni dovrà essere considerato bandito dalla fase esecutiva di ogni contratto pubblico. Il giudice amministrativo, nella pronuncia in questione, più volte tiene a delimitare la portata dell’interpretazione fornita rispetto alla specifica procedura di aggiudicazione dei contratti di lavori pubblici: l’orientamento, infatti, «vale in riferimento alla possibilità della revoca nella fase aperta con la stipulazione del contratto nel procedimento per l’affidamento strumento provvedimentale, in quanto contrarius actus rispetto all'aggiudicazione. (15) Segnala, infatti, A. Corpaci, Ambito e connotati della funzione di autotutela delle stazioni appaltanti nel sistema dell’amministrazione pubblica dei contratti, in Amministrazione pubblica dei contratti, a cura di D. Sorace, cit., 224, che «ove si ammettesse l’utilizzabilità da parte delle amministrazioni, accanto al potere privatistico del recesso, anche del potere pub- 82 dell’appalto di lavori pubblici, che è l’oggetto specifico del quesito all’esame». Non solo. La sentenza, mentre, da un lato, sbarra la strada al potere di revoca, una volta stipulato il contratto di affidamento di lavori pubblici, dall’altro, sembra ammettere la legittimità del ricorso all’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, quando ad essere in discussione è lo scioglimento di altri vincoli negoziali assunti dall’amministrazione pubblica. Infatti, in un passaggio della sentenza si legge che dall’ambito di applicazione della disposizione della l. n. 241«risulta esclusa la possibilità di revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione dell’art. 134 del codice (così, come, per la medesima logica, né è esclusa la revoca di cui all’art. 158 del codice), restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi». Tale conclusione, a ben vedere, ribalta l’orientamento finora seguito dal giudice amministrativo, ma lo fa in maniera parziale, in quanto non pare voler dare un’interpretazione valida per tutti i contratti dell’amministrazione pubblica. In ciò la giurisprudenza amministrativa si pone in una posizione arretrata rispetto a quanto espresso dalla più recente dottrina giuspubblicistica, la quale ha ritenuto irrevocabile per via autoritativa l’aggiudicazione definitiva dei contratti di cui è parte l’amministrazione, una volta intervenuta la stipula negoziale. Le ragioni sono diverse. Infatti, per alcuni (16), ragioni di ordine sistematico, di coerenza con i principi generali e di diritto positivo portano a dire che, una volta stipulato il contratto, non vi è più spazio per alcuna manifestazione del potere pubblicistico di autotutela, considerato che lo strumento del diritto amministrativo non può più incidere su atti o rapporti oramai disciplinati dal diritto privablicistico di revoca dell’aggiudicazione al fine di sciogliersi unilateralmente dal contratto, se ne avrebbe una inammissibile duplicazione di strumenti e di discipline». (16) Cfr. A. Scognamiglio, Autotutela pubblicistica e contratti in corso, cit., la quale afferma in maniera netta che «con la stipula del contratto, l'ambito spaziale di applicabilità del potere di autotutela si esaurisce» (241). Giornale di diritto amministrativo 1/2015 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici to. Par altri (17), invece, la stipula del contratto crea una frattura tra fase procedimentale e fase negoziale, ontologicamente distinte, con la conseguenza che lo strumento della revoca, se utilizzato, inciderebbe direttamente sul rapporto contrattuale, in violazione della previsione legislativa che ne circoscrive gli effetti al provvedimento. Per altri ancora (18), poi, anche per i contratti di servizi e forniture, in alternativa alle disposizioni pubblicistiche sulla revoca, troverebbero applicazione alcune previsioni speciali che autorizzano l’amministrazione pubblica a sciogliersi dal vincolo negoziale assunto (ad esempio, l’art. 1, c. 13, decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135 (19)) o, in mancanza, la previsione nel codice civile, all’art. 1671, di una generale facoltà di recesso unilaterale riconosciuta in capo al committente di un appalto, salvo il pagamento integrale delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno dell’appaltatore (20). Ma le riflessioni che la lettura della sentenza in commento suscita non si fermano qui. La pronuncia del Consiglio di Stato, nel rivedere il ruolo della revoca a proposito dei contratti di lavori pubblici, fornisce alcune indicazioni anche con riferimento al più generale potere di autotutela della pubblica amministrazione rispetto alla dinamica negoziale. Tale potere, infatti, si esercita non solo attraverso la revoca, ma anche con ricorso all’annullamento d’ufficio e può intervenire in momenti differenti del procedimento di contrattazione. In altri termini, le opzioni che in concreto si possono registrare a proposito dell’esercizio dell’autotutela nell’ambito del percorso negoziale seguito dalla amministrazione pubblica sono varie e non si esauriscono nel ricorso al potere di revoca dei provvedimenti per sopravvenuti motivi di interesse pubblico. Pertanto, l’Adunanza plenaria, fermo restando che il potere di revoca in senso stretto non può più intervenire nella fase di esecuzione dei contratti di lavori pubblici, incidentalmente fornisce anche ulteriori spunti al riguardo, affermando che: - fino alla stipula del contratto, la pubblica amministrazione può sempre ricorrere alla revoca dell’aggiudicazione, purché ancora in una fase procedimentale, stante, del resto, quanto previsto dall’art. 11, c. 9, Codice dei contratti pubblici, secondo il quale anche dopo l’aggiudicazione definitiva è fatta salva la possibilità di esercitare i poteri di autotutela; - successivamente alla stipula del contratto, la pubblica amministrazione può sempre esercitare i poteri di autotutela autoritativa ammessi da altre disposizioni speciali che ne definiscono anche i presupposti. E’ il caso, per esempio, dell’art. 94, c. 2, decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, che prevede un’ipotesi di recesso qualora vi siano tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa che sta eseguendo il contratto stipulato (21); - è sempre ammesso, sia prima che dopo l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti della gara, (17) Cfr. G. La Rosa, La revoca del provvedimento amministrativo, cit., 237 ss. (18) Cfr. A. Corpaci, Ambito e connotati della funzione di autotutela delle stazioni appaltanti nel sistema dell’amministrazione pubblica dei contratti, in Amministrazione pubblica dei contratti, a cura di D. Sorace, cit., 224 s., secondo il quale «nella materia in questione il potere di revoca in senso proprio non trova spazio»; A. Linguitti, Art. 134, in Codice dei contratti pubblici commentato, a cura di L.R. Perfetti, Milano, 2013, 1587. (19) La disposizione citata consente alle amministrazioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un contratto di fornitura o di servizi di recedere in qualsiasi tempo dal contratto «nel caso in cui, tenuto conto anche dell'importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.A. (…) successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica, proposta da Consip s.p.a., delle condizioni economiche». Recentemente, il Consiglio di Stato si è pronunciato a proposito di tale disposizione qualificando il potere di recesso da essa riconosciuto come corrispondente ad un potere contrattuale e non autoritativo: «una fattispecie di recesso unilaterale del contratto, che costituisce mera specificazione di quanto comunque consentito al committente, nell’ambito dei contratti di appalto, a norma dell’art. 1671 cod. civ.»: Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2014, n. 1312, in Urb. app., 2014, 798 ss., con commento di F. Manganaro, Recesso dall’appalto pubblico e giurisdizione ordinaria. (20) Da segnalare Cass. Civ., sez. I, 20 marzo 2013 n. 6873, la quale ha affermato che «anche nell’appalto continuativo o periodico di servizi, sia pubblico che privato, trova applicazione l’art. 1671 cod. civ., in tema di recesso unilaterale del committente, recesso che costituisce esercizio di un diritto potestativo e che, come tale (…) non richiede la ricorrenza di una giusta causa e può essere esercitato per qualsiasi ragione, ponendosi in relazione all’esigenza di evitare che il medesimo committente resti vincolato pure quando sia venuto meno il suo interesse alla prestazione dei servizi appaltati e quindi anche se, come nella specie, ritenga il relativo costo eccedente le proprie disponibilità e previsioni di spesa. Il diritto (del committente) di recedere dal contratto di appalto in ogni momento, ai sensi dell’art. 1671 cod. civ., obbliga il recedente a tenere indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno ossia del danno emergente e del lucro cessante, da liquidare secondo i principi regolatori del risarcimento del danno - anche in via equitativa». (21) Per la giurisprudenza tale facoltà di recesso è riconducibile ad un tipico potere amministrativo discrezionale, il cui esercizio è destinato ad incidere sul rapporto negoziale: cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 391, Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4467, Id., sez. III, 26 settembre 2014, n. 4852, e in dottrina, tra i tanti, F. Luciani, Informazione antimafia e poteri di autotutela dell’amministrazione appaltante, in Giustamm.it, 2014, n. 2. Giornale di diritto amministrativo 1/2015 83 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici L'autotutela con riferimento all’attività negoziale dell'amministrazione pubblica ha carattere polimorfo, poiché può avere natura diversa (autoritativa o contrattuale), oltre che differenziarsi per presupposti, strumenti e conseguenze. Ovviamente, tale diversità si riverbera anche a proposito della giurisdizione, dato che a seconda dei casi il giudice adito dovrà essere quello amministrativo o quello ordinario. Ma la poliedricità dell'autotutela genera anche incertezza al momento dell'esercizio del relativo potere, soprattutto nei casi in cui il regime pubblicistico si sovrappone a quello privatistico nella definizione del modello di azione della pubblica amministrazione. Ciò è evidente nella vicenda di cui qui si discute: da un lato, la pubblica amministrazione potrebbe invocare il generale potere di revoca per sopravvenute ragioni di interesse pubblico, che, in virtù di alcuni tratti di specialità che le sono ancora riconosciuti, l’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, regola anche con riferimento ad atti negoziali; dall'altro, per i contratti di lavori pubblici, grazie ad una previsione del Codice del 2006, la pubblica amministrazione ha un diritto potestativo di recesso ad nutum da esercitare se decide di sciogliersi dal vincolo contrattuale. Per l’Adunanza plenaria, però, i due regimi non sono intercambiabili, poiché la specialità della regolamentazione codicistica impone all’amministrazione che ha stipulato il contratto con l’appaltatore di opere pubbliche di sciogliersi dal vincolo negoziale solo con un atto privatistico di recesso e non con un provvedimento autoritativo con effetti risolutori sul rapporto contrattuale sottostante. Recentemente, in altri casi i giudici intervenuti su questioni analoghe legate allo scioglimento unilaterale della pubblica amministrazione dal programma contrattuale hanno valorizzato la natura privatistica del potere esercitato, ora in ragione della posizione paritaria delle parti (24), ora in ragione dell’impossibilità per l’amministrazione pubblica di far valere unilateralmente il vizio del contratto stipulato (25). La pronuncia qui in commento, invece, preferisce ricorrere al criterio interpre- (22) Cfr. F. Goisis, Autotutela e sorte del contratto medio tempore stipulato, in I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala, I, Padova, 2014, 1008 ss., il quale ricorda come «il dovere primario di eliminare le violazioni del diritto dell’Unione europea (…) debba coinvolgere anche l’eliminazione del contratto». (23) Cfr. Corte di giustizia Ue, sez. IV, 21 dicembre 2011, in causa C-465/2010, e le altre pronunce richiamate da F. Goisis, Autotutela e sorte del contratto medio tempore stipulato, in I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala, cit., 1010 ss., e Id., L’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo per illegittimità comunitaria, in Dir. amm., 2010, 141 ss. (24) Cfr. ad esempio, Cons. Stato, Ad. plen., 5 maggio 2014, n. 13, nella quale si afferma che «allorché non sia ravvisabile una determinazione autoritativa con riferimento alla stipula di contratti derivati a corredo di un’emissione obbligazionaria, le decisioni assunte dall’ente territoriale (Regione) che abbia stipulato i contratti di swap hanno natura privatistica in ragione della posizione paritaria rivestita dall’ente pubblico che si sia vincolato contrattualmente al soggetto privato (art. 1, comma 1-bis l. n. 241 del 1990). Ne consegue che la controversia proposta avverso atti che abbiano inteso annullare in autotutela tali decisioni, puntando sull’effetto caducante (o viziante) che può prodursi a carico del contratto per effetto dell’annullamento dell’atto presupposto, esula dalla giurisdizione amministrativa. Invero, perché possa darsi corso ad autotute- la, con conseguente produzione dell’effetto caducante del contratto a valle, occorre che l’atto presupposto assuma il carattere dell’atto realmente prodromico rispetto alla successiva contrattazione, ossia si configuri come determinazione autoritativa procedimentalizzata e riferita ai contenuti essenziali dell’operazione da porre in essere, il che non si verifica quando l’atto di annullamento impugnato rechi l’imputazione dei vizi dei contratti alle delibere che si pretende autoannullare, risolvendosi tale operazione in un mero artificio, poiché in tal caso la materia del contendere è costituita non dal sindacato sulla legittimità di un atto di imperio, ma dal giudizio sulla fondatezza dei vizi addebitati ai contratti, che, secondo il fondamentale principio affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 204 del 2004, esula dalla giurisdizione amministrativa». E Id., 29 gennaio 2014 n. 6: «lo speciale potere di autotutela privatistica della P.a. (di cui peraltro l’ordinamento conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) ricorre quando, nell’ambito di un rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione» (25) Molto interessante è l’ordinanza della Cass, sez. un., 23 ottobre 2014 n. 22554: «l’amministrazione, una volta con- anche ai sensi dell’art. 1, c. 136, l. n. 311/2004. Nel caso dell’annullamento, quindi, la stipula del contratto non è un fatto idoneo a neutralizzare il potere di autotutela dell’amministrazione pubblica; anzi, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, l’intervento autoritativo potrebbe risultare doveroso se il contratto stipulato sia stato originato da una gara condotta senza rispettare i parametri del diritto comunitario (22). A differenza della revoca, l’annullamento d’ufficio presuppone una illegittimità dei provvedimenti che si vogliono rimuovere. Per la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, quando tale illegittimità è frutto di una violazione del diritto comunitario, allora l’annullamento dell’aggiudicazione e l’eliminazione del contratto si impongono come necessari e prevalgono anche sull’esigenza di tutelare i principi di certezza giuridica o di legittimo affidamento (23). Alcune considerazioni conclusive 84 Giornale di diritto amministrativo 1/2015 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici tativo della specialità del regime, che incrina il rapporto di parità negoziale tra le parti e consente all’amministrazione pubblica di sciogliersi dal vincolo unilateralmente. Gli art. 21-sexies, l. n. 241/1990, e 134, d.lgs. n. 163/2006, sono le fonti di questa specialità: sono le due disposizioni che permettono all’amministrazione di decidere indipendentemente dalla volontà del privato di interrompere il rapporto contrattuale, ma non attraverso un intervento pubblicistico di revoca o di annullamento, bensì attraverso un atto privatistico di recesso (26). L’affermazione della specialità del regime non permette di risolvere tutte le ambiguità che presentano la natura e le modalità di esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere di autotutela per ragioni di opportunità sopravvenute rispetto ad un contratto di appalto in corso di esecuzione. Si tratta di una ambiguità che si colloca in un contesto più ampio di incertezza interpretativa che caratterizza tutte quelle disposizioni che, come l’art. 21-sexies, tendono a sottoporre a regime privatistico l’azione dei pubblici poteri: disposizioni che, come sottolineato dalla dottrina giusprivatistica, «nate per semplificare l'azione amministrativa, per coordinare in modo sistematico gli atti della p.a., per “liberalizzare” le modalità di esercizio della funzione pubblica consentendo alla p.a. di agire “come agiscono i privati” (…) prestano il fianco ad una pluralità di interpretazioni che creano incertezza proprio in quei rapporti che vorrebbero liberare dal giogo dei procedimenti burocratizzati» (27). A ben vedere, il recesso preso in considerazione dall’art. 134, d.lgs. n. 163/2006, consiste nella facoltà di decidere unilateralmente della sorte del contratto, alla quale corrisponde la piena soggezione dell’altra parte contrattuale, compensata, però, da un apposito indennizzo. La figura è riconducibile al recesso legale ad nutum, configurato come potere privatistico e caratterizzato dalla facoltà di «derogare alla impegnatività del contratto, fondato esclusivamente sulla unilaterale volontà di una parte» (28). Siamo di fronte ad un’ipotesi in cui l’amministrazione persegue le sue finalità istituzionali anche con strumenti di diritto privato, ma al di fuori della «attività amministrativa»: «la disdetta o il recesso in un contratto di diritto privato sono a loro volta manifestazione di autonomia privata e come tali assoggettati alla disciplina relativa» e, stando così le cose, non possono trovare integrale applicazione le regole e le garanzie della l. n. 241, poiché «se così fosse, l’attività, del cui carattere privatistico si è certi, si trasformerebbe in attività a regime amministrativo» (29). Seguendo tale prospettiva, è da escludere anche che l’esercizio del potere potestativo in cui si sostanzia il recesso segua ad uno specifico procedimento amministrativo, idoneo, tra l’altro, a generare in capo alla parte privata una posizione di interesse legittimo (30). Ma pur circoscrivendo il recesso della pubblica amministrazione da un contratto di appalto di lavori pubblici in fase di esecuzione in un contesto di diritto privato, questo non impermeabilizza la relativa dinamica dall’influenza di logiche più amministrativistiche, in quanto non è pensabile che la natura pubblicistica del soggetto che ricorre a tale strumento di autotutela sia del tutto irrilevante. Del resto, è la stessa pronuncia che qui si commenta a ricordare che «l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico». Non dimentichiamo che anche nella prospettiva privatistica il recesso disciplinato dall’art. 134 è pur sempre un potere di autotutela, non condizionato da specifici presupposti se non quelli riconducibili a generiche e sopravvenute ragioni di opportunità ed il cui esercizio è sempre in funzione del raggiungimento dei fini imposti dalla cluso il contratto, è del tutto carente del potere di sottrarsi unilateralmente al vincolo che dal contratto medesimo deriva: ipotizzare che essa abbia la possibilità di far valere unilateralmente eventuali vizi del contratto, semplicemente imputando quei medesimi vizi agli atti prodromici da essa posti in essere in vista dell’assunzione del predetto vincolo negoziale, equivarrebbe a consentire una sorta di revoca del consenso contrattuale, sia pure motivato con l’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela, che la pariteticità delle parti negoziali esclude per il contraente pubblico non meno che per il contraente privato». (26) Sulla natura privatistica del recesso consentito dall’art. 21-sexies, l. n. 241/1990, e sulla incompatibilità tra recesso e revoca, cfr. le considerazioni già svolte in dottrina da V. Cerulli Irelli, Introduzione, in La pubblica amministrazione e la sua azio- ne, a cura di N. Paolantonio, A. Police, A. Zito, Torino, 2005, 21, e L. Giani, Art. 21-sexies. Recesso dai contratti, in ivi, 534 ss. (27) Così G. Alpa, Autonomia privata ed applicazione delle norme civilistiche ai contratti pubblici, in Il diritto privato della pubblica amministrazione, a cura di P. Stanzione e A. Saturno, cit., 78. (28) Così S. Sangiorgi, Recesso, in Enc. giur., XXX, Roma, Treccani, 1993, 3. (29) In questi termini G. Greco, L’azione amministrativa secondo il diritto privato: i principi, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di V. Cerulli Irelli, cit., 84. (30) E’ quanto recentemente affermato, dando applicazione al principio contenuto nella pronuncia qui in commento, dal Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 2014, n. 4025. Giornale di diritto amministrativo 1/2015 85 AVCP BIBLIOTECA - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Giurisprudenza commentata Contratti pubblici legge all’amministrazione pubblica (31). Non deve meravigliare, pertanto, se venga ipotizzato - anche sulla base di specifiche pronunce in tal senso uno spazio per l’intervento della magistratura contabile nel caso si dimostrasse irrazionale e diseconomica la scelta dell’amministrazione di procedere al recesso di un appalto di lavori pubblici (32). Si tratta, in fin dei conti, di interferenze tra il re- gime privatistico del potere di autotutela ed il regime pubblicistico del soggetto che lo esercita che appaiono scontate e difficilmente rimuovibili, destinate a riaprire la discussione sul potere di autotutela contrattuale della pubblica amministrazione. Proprio per questo, si ha l’impressione che il rapporto tra revoca e recesso rispetto ai contratti pubblici sia un capitolo non ancora chiuso. (31) La dottrina privatistica segnala che il recesso può essere un potere o un diritto: come potere è un rimedio riconosciuto dal contratto o dalla legge contro l'inadempimento o per l'onerosità o l’intollerabilità della prosecuzione del rapporto. «In questi casi, tuttavia, il recesso costituisce un potere di autotutela e il suo esercizio è assoggettato al controllo dell'adeguatezza del mezzo alla sua funzione. Il diritto di recesso tutela invece l'interesse obiettivo della parte all'interruzione del rapporto contrattuale, e l'esercizio del diritto è rimesso esclusivamente all'autonoma decisione del titolare, salvo il limite del princi- pio di buona fede»: così C.M. Bianca, Diritto civile. 3 Il Contratto, Milano, 1987, 704. Evidenzia l’attinenza delle valutazioni compiute dall’amministrazione nelle ipotesi di jus poenitendi alla funzione pubblica, F. Cortese, Le operazioni con strumenti finanziari derivati e l’autotutela amministrativa, in questa Rivista, 2012, 394 ss. (32) Prospetta tale ipotesi, segnalando alcune sentenze del giudice contabile, A. Gaz, Il recesso, in I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala, II, cit., 1526. 86 Giornale di diritto amministrativo 1/2015
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