QUADERN / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Effetti fiscali del mutuo dissenso in cerca di coerenza Abrogate le deduzioni IRAP per gli agricoli a tempo determinato / Anita MAURO Gli effetti fiscali dell’atto con il quale, consensualmente, le parti di un determinato contratto decidano di scioglierlo, “cancellando” gli effetti della precedente pattuizione tra di essi intercorsa, sono oggetto di opinioni contrastanti in giurisprudenza e prassi. L’atto sopra descritto può essere chiamato atto di “mutuo dissenso” o di “risoluzione per mutuo consenso” e può avere ad oggetto anche contratti ad effetti traslativi, come ad esempio, la compravendita o la donazione. Per quanto concerne il mutuo dissenso di precedente donazione, come già ricordato su Eutekne.info (si veda “Risoluzione consensuale della donazione con imposta fissa” del 15 febbraio 2014), l’Amministrazione finanziaria, nella ris. 14 febbraio 2014 n. 20, modificando il proprio precedente orientamento (ris. n. 329/2007) ha concluso che l’atto di mutuo dissenso [...] Lo prevede il DL 4/2015 in materia di esenzione IMU dei terreni montani, a partire dal 24 gennaio 2015 / Luca FORNERO L’art. 5 comma 13 del DL 91/2014 (c.d. decreto competitività) ha riconosciuto la facoltà di fruire delle deduzioni IRAP finalizzate alla riduzione del cuneo fiscale anche con riferimento ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato, al ricorrere di determinati requisiti (si veda “Confermata l’estensione delle deduzioni IRAP agli agricoli a tempo determinato” del 23 agosto 2014). A tal fine, tale norma ha introdotto il comma 1.1 all’interno dell’art. 11 del DLgs. 446/97. Si tratta – lo ricordiamo – delle seguenti deduzioni: - deduzione dei contributi assistenziali e previdenziali relativi al lavoratore (art. 11, comma 1, lett. a), n. 4 del DLgs. 446/97); - deduzione forfetaria annua variabile in funzione delle caratteristiche dei lavoratori, nonché della relativa zona di impiego (art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 3 del DLgs. 446/97). Ai sensi del successivo comma 14, tale disposizione si applica, previa autorizzazione della Commissione europea richiesta a cura del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013 (vale a A PAGINA 2 A PAGINA 3 INEVIDENZA FISCO Nuova tassonomia XBRL solo per i bilanci approvati “dopo” il 3 marzo 2015 Per gli enti non commerciali dividendi sempre tassati al 77,74% La revoca per giusta causa dei sindaci di srl “passa” sempre dal tribunale Remissione in bonis “insensibile” alle modifiche sul ravvedimento operoso ALTRENOTIZIE dire, dal 2014 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare). L’art. 2 comma 1 del DL 4/2015 ha abrogato i citati commi 13 e 14, a partire dal 24 gennaio 2015. Pertanto, l’estensione delle citate deduzioni ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato deve ritenersi limitata al 2014, a condizione che intervenga la suddetta autorizzazione. Beneficiari dell’agevolazione sono: - i produttori agricoli titolari di reddito agrario, esclusi quelli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime speciale di esonero degli adempimenti IVA (sempreché non vi abbiano rinunciato); - le società agricole di cui all’art. 2 del DLgs. 99/2004. Le deduzioni in esame si applicano per ogni lavoratore agricolo dipendente a tempo determinato impiegato nel periodo d’imposta, purché: - quest’ultimo abbia lavorato almeno 150 giornate; - il contratto abbia almeno una [...] / A PAGINA 9 Certificati verdi e bianchi soggetti a reverse charge / Simonetta LA GRUTTA In occasione del Videoforum 2015 del 22 gennaio scorso, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni primi chiarimenti sull’applicazione delle previsioni di cui all’art. 17 comma 6 lettere d-bis) e d-ter) DPR 633/72, introdotte dalla legge di stabilità per il 2015. Le nuove norme hanno esteso il regime dell’inversione contabile (reverse charge) ai trasferimenti domestici di titoli ambientali quali: - le quote di emissioni di gas [...] A PAGINA 6 ancora IL CASO DEL GIORNO Effetti fiscali del mutuo dissenso in cerca di coerenza Giurisprudenza e prassi forniscono spunti contraddittori in caso di risoluzione per mutuo consenso di contratti ad effetti traslativi / Anita MAURO Gli effetti fiscali dell’atto con il quale, consensualmente, le parti di un determinato contratto decidano di scioglierlo, “cancellando” gli effetti della precedente pattuizione tra di essi intercorsa, sono oggetto di opinioni contrastanti in giurisprudenza e prassi. L’atto sopra descritto può essere chiamato atto di “mutuo dissenso” o di “risoluzione per mutuo consenso” e può avere ad oggetto anche contratti ad effetti traslativi, come ad esempio, la compravendita o la donazione. Per quanto concerne il mutuo dissenso di precedente donazione, come già ricordato su Eutekne.info (si veda “Risoluzione consensuale della donazione con imposta fissa” del 15 febbraio 2014), l’Amministrazione finanziaria, nella ris. 14 febbraio 2014 n. 20, modificando il proprio precedente orientamento (ris. n. 329/2007) ha concluso che l’atto di mutuo dissenso di precedente donazione sia soggetto ad imposizione in misura fissa, sia dal punto di vista dell’imposta di registro (200 euro) che delle imposte ipotecaria e catastale, ove dovute (200 + 200 euro), a meno che non preveda un corrispettivo. In tale ultimo caso, infatti, a norma dell’art. 28 del DPR 131/86, su tale somma sarebbe dovuta l’imposta proporzionale di registro. Per la citata risoluzione, in particolare, il mutuo dissenso della precedente donazione immobiliare ha un mero “effetto eliminativo” e, sebbene comporti la restituzione dell’immobile, questa non integra il presupposto per l’applicazione dell’imposta di registro sui trasferimenti immobiliari (a norma dell’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86). Infatti, “la consegna dell’immobile all’originario proprietario non assume rilievo ai fini dell’imposta di registro”, in quanto risulta la conseguenza necessaria dell’eliminazione della donazione. Tali conclusioni sono state condivise dalla sentenza della C.T. Reg. Firenze n. 2154/1/14. Nel caso di risoluzione per mutuo consenso della precedente compravendita, potrebbe accogliersi un’impostazione simile. Infatti, anche tale atto configura, civilisticamente, un negozio risolutorio e ripristinatorio della precedente situazione, con effetti reatroattivi. Il tema è stato attentamente esaminato dalla C.T. Reg. Potenza n. 4/2/2009 che, ritenendo che la risoluzione della precedente compravendita non realizzi una “retrocessione” dell’immobile, ma solo l’eliminazione della precedente compravendita, la assoggetta ad imposta di registro in misura fissa. Questa impostazione pare, però, revocata in dubbio da una recente e non ben motivata ordinanza della Corte di Cassa/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 zione (20 gennaio 2015 n. 791). Il tema esaminato da tale pronuncia, per la verità, non è quello della tassazione dell’atto di mutuo dissenso, bensì la valutazione degli effetti della risoluzione della compravendita, per mutuo dissenso, sull’agevolazione prima casa goduta sull’acquisto. In poche parole, la Cassazione afferma che la risoluzione della compravendita agevolata, se effettuata entro 5 anni dall’acquisto, comporti la decadenza dall’agevolazione prima casa (a meno che non venga acquistato un’altra abitazione principale entro 1 anno). Si ricorda, in proposito, che la decadenza dall’agevolazione prima casa si verifica (tra il resto) in caso di trasferimento “per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con il beneficio” entro 5 anni dall’acquisto. Perché il mutuo dissenso comporti la decadenza dall’agevolazione prima casa, pertanto, è necessario che esso sia equiparabile ad un atto di “trasferimento a titolo oneroso o gratuito”. Ma, come ricordato anche dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 20/2014, tale conclusione è rifiutata dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 18844/2012 e 20445/2011) che riconduce al mutuo dissenso meri effetti estintivi del contratto e ripristinatori della situazione precedente. Altra questione, poi, è quella relativa al pagamento delle imposte sull’atto “eliminato” per mezzo del mutuo dissenso. Infatti, come riconosciuto dalla ris. 20/2014, il mutuo dissenso non costituisce presupposto per la restituzione dell’imposta di registro corrisposta all’atto della compravendita immobiliare, atteso che l’art. 38 del DPR 131/86 limita il diritto al rimborso ai casi di nullità o annullabilità riconosciuti con sentenza. Ma dall’art. 38 del DPR 131/86, invece, ad avviso di chi scrive, non si può trarre alcun elemento utile ad affermare che la risoluzione per mutuo dissenso comporti la decadenza dall’agevolazione prima casa. La conclusione cui è pervenuta la Cassazione n. 791/2015 (che, peraltro, incentra la sua motivazione sulle disposizioni del Testo Unico dell’imposta di registro, ma concerne la liquidazione di maggiore IVA), non solo contraddice la tesi civilistica che rinviene solo effetti “eliminatori” nel mutuo dissenso, ma appare paradossale, ove nega che il mutuo dissenso possa avere effetti (fiscali) eliminatori dell’atto di acquisto, ma attribuisce al medesimo atto di mutuo dissenso la capacità di determinare la decadenza dall’agevolazione prima casa in relazione a quel medesimo atto originario (ormai inesistente). / 02 ancora FISCO Abrogate le deduzioni IRAP per gli agricoli a tempo determinato Lo prevede il DL 4/2015 in materia di esenzione IMU dei terreni montani, a partire dal 24 gennaio 2015 / Luca FORNERO L’art. 5 comma 13 del DL 91/2014 (c.d. decreto competitività) ha riconosciuto la facoltà di fruire delle deduzioni IRAP finalizzate alla riduzione del cuneo fiscale anche con riferimento ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato, al ricorrere di determinati requisiti (si veda “Confermata l’estensione delle deduzioni IRAP agli agricoli a tempo determinato” del 23 agosto 2014). A tal fine, tale norma ha introdotto il comma 1.1 all’interno dell’art. 11 del DLgs. 446/97. Si tratta – lo ricordiamo – delle seguenti deduzioni: - deduzione dei contributi assistenziali e previdenziali relativi al lavoratore (art. 11, comma 1, lett. a), n. 4 del DLgs. 446/97); - deduzione forfetaria annua variabile in funzione delle caratteristiche dei lavoratori, nonché della relativa zona di impiego (art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 3 del DLgs. 446/97). Ai sensi del successivo comma 14, tale disposizione si applica, previa autorizzazione della Commissione europea richiesta a cura del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013 (vale a dire, dal 2014 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare). L’art. 2 comma 1 del DL 4/2015 ha abrogato i citati commi 13 e 14, a partire dal 24 gennaio 2015. Pertanto, l’estensione delle citate deduzioni ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato deve ritenersi limitata al 2014, a condizione che intervenga la suddetta autorizzazione. Beneficiari dell’agevolazione sono: - i produttori agricoli titolari di reddito agrario, esclusi quelli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime speciale di esonero degli adempimenti IVA (sempreché non vi abbiano rinunciato); - le società agricole di cui all’art. 2 del DLgs. 99/2004. Le deduzioni in esame si applicano per ogni lavoratore agricolo dipendente a tempo determinato impiegato nel periodo d’imposta, purché: - quest’ultimo abbia lavorato almeno 150 giornate; - il contratto abbia almeno una durata triennale. Le deduzioni competono nella misura del 50% degli importi ordinariamente previsti per gli altri beneficiari. Ne deriva, pertanto, che, su base annua, per i lavoratori impiegati in Regioni svantaggiate (Abruzzo, Molise, Basilica- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 ta, Puglia, Calabria, Sardegna, Campania e Sicilia), la deduzione forfetaria spetta nella misura di: - 10.500 euro, se si tratta di dipendente a tempo determinato con età inferiore a 35 anni, indipendentemente dal sesso, o di sesso femminile, indipendentemente dall’età; - 7.500 euro, negli altri casi. Per i lavoratori impiegati nelle altre Regioni, invece, la deduzione forfetaria spetta (sempre su base annua) nella misura di: - 6.750 euro, se si tratta di dipendente a tempo determinato con età inferiore a 35 anni, indipendentemente dal sesso, o di sesso femminile, indipendentemente dall’età; - 3.750 euro, negli altri casi. Si ricorda che la deduzione maggiorata per le aree svantaggiate è fruibile nei limiti delle regole relative agli aiuti “de minimis”, in base alle quali l’importo complessivo degli aiuti non può superare i 200.000 euro su un periodo di tre esercizi finanziari (si veda “Anche nel nuovo regime «de minimis», limite di 200.000 euro” del 22 aprile 2014). Quanto ai contributi assistenziali e previdenziali, gli stessi sono deducibili in misura pari al 50% per ogni dipendente a tempo determinato agevolato. Soppressa anche la deducibilità integrale Ugualmente soppressa risulta la deducibilità integrale, ai fini IRAP, dei costi relativi ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato, la quale, al ricorrere di determinati requisiti e previa autorizzazione della Commissione europea, richiesta a cura del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, avrebbe dovuto applicarsi dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, vale a dire dal 2015, per i soggetti “solari” (si veda “Dal 2015 interamente deducibili anche i costi per gli agricoli a tempo determinato” del 28 novembre 2014). Tale deducibilità era prevista dall’ultimo periodo dell’art. 11 comma 4-octies del DLgs. 446/97, introdotto dall’art. 1 comma 20 della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015). L’art. 2 comma 1 del DL 4/2015 abroga tale ultimo periodo e la relativa norma di decorrenza (art. 1 comma 25 della L. 190/2014), con il risultato che, di fatto, la deducibilità integrale dei costi relativi ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato non opererà mai. / 03 ancora PROFESSIONI Nuova tassonomia XBRL solo per i bilanci approvati “dopo” il 3 marzo 2015 La scadenza dovrebbe essere interpretata come termine per l’approvazione e non per il deposito dei documenti nel vecchio formato / Savino GALLO La nuova tassonomia XBRL diverrà obbligatoria anche per la redazione della Nota integrativa per i bilanci approvati, e non depositati, dopo il 3 marzo 2015. Dovrebbe essere questa l’interpretazione che i Conservatori delle Camere di Commercio adotteranno in merito al data-soglia individuata per il passaggio alla nuova tassonomia integrata del bilancio d’esercizio che, stando ai primi chiarimenti forniti da XBRL Italia, andava considerata come data ultima per il deposito dei bilanci con il vecchio formato (con Nota integrativa in pdf). Un’interpretazione che, fin dall’inizio, non aveva convinto i commercialisti, preoccupati che la discordanza tra la data di approvazione e quella di deposito potesse poi creare dei problemi nella fase di registrazione dei bilanci presso il Registro delle imprese. Perplessità che il Consiglio nazionale di categoria non ha mancato di comunicare ai rappresentanti di Unioncamere, con cui questa mattina ci si incontrerà nella sede di piazza Repubblica, nell’ambito del tavolo tecnico sulla campagna bilanci 2015. Una riunione propedeutica alla pubblicazione della Guida al deposito bilanci 2015, che servirà anche per fare chiarezza sul termine del 3 marzo 2015 e sulla sua corretta interpretazione. Oggi, dunque, dovrebbero arrivare comunicazioni ufficiali, ma come detto è probabile che a passare sia la linea dei commercialisti. Almeno queste le indiscrezioni che arrivano dal convegno dedicato a “Le novità su Nota integrativa e standard XBRL”, tenutosi ieri presso l’ODCEC di Roma. Presente, tra gli altri, il Tesoriere del CNDCEC, Roberto Cunsolo, che, a margine dell’evento, si è soffermato sul punto: “Per noi – ha spiegato – il 3 marzo deve essere considerato come il termine ultimo per l’approvazione dei bilanci con il vecchio formato. Abbiamo evidenziato le problematiche che potrebbero derivare da una diversa interpretazione e abbiamo trovato condivisione da parte di Unioncamere, / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 quindi, crediamo che possa sposare questa linea”. Una tesi non confermata, ma nemmeno smentita, da Paola Fumiani, Responsabile tecnico XBRL di Infocamere, che, nell’attesa della riunione di oggi, si è limitata a dichiarare: “Qualsiasi tipo di processo sarà governato dal buon senso. È un processo complicato e costoso per tutti. Non solo per i professionisti ma anche per le Camere di commercio. Domani (oggi, ndr), troveremo sicuramente un accordo con i nostri interlocutori, anche perché è interesse di tutti fare una campagna bilanci che sia veloce ed efficiente”. Aspettando le decisioni che arriveranno dalla riunione odierna, il convegno di ieri è servito per iniziare a prendere familiarità con il nuovo vocabolario con cui dovrà essere redatta la Nota integrativa del bilancio. Ad illustrarlo anche il Presidente di XBRL Italia, Marco Conte, che, assieme Cunsolo e Fumiani, ha partecipato alla tavola rotonda intitolata “XBRL – un vantaggio o un aggravio per i commercialisti?” “Questa innovazione – ha risposto Conte – è uno sforzo più concettuale che operativo. Bisogna entrare nell’ordine di idee che la relazione, che noi siamo abituati a trattare come un insieme di parole, debba essere standardizzata, con dei campi preordinati, e che vada scritta secondo una certa tecnica. Non è un aggravio di lavoro, è proprio un nuovo modo di operare”. Conte, dunque, respinge le perplessità in merito all’adozione della nuova tassonomia per la Nota integrativa, pur riconoscendo che la novità possa creare un po’ di “disorientamento” iniziale: “Questo – ha concluso – sarà un anno in cui si scaricheranno sui professionisti e sulle imprese una serie di adempimenti nuovi e questo dà un po’ di sconcerto. Lo capisco. Proprio per questo, i tempi di elaborazione della tassonomia sono stati lunghi, in modo tale da permetterci di coinvolgere al massimo tutti gli operatori, dai professionisti alle software house”. / 04 ancora FISCO Per gli enti non commerciali dividendi sempre tassati al 77,74% Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’aggravio vale anche per gli utili derivanti dal possesso di partecipazioni in regime d’impresa / Gianluca ODETTO L’Agenzia delle Entrate ha sostenuto, nelle risposte rese durante la Videoconferenza del 22 gennaio 2015, che le modifiche apportate dall’art. 1 comma 655 della legge di stabilità 2015 alla disciplina dei dividendi percepiti dagli enti non commerciali riguardano indistintamente gli utili derivanti dalle partecipazioni possedute nell’ambito dell’attività istituzionale e nell’ambito della sfera commerciale. Va sul punto ricordato che le modifiche in commento sono due. La prima riguarda l’aspetto “numerico” e prevede che la quota esclusa da imposizione di tali utili passi dal 95% al 22,26%. Tale aggravio impositivo ha effetto retroattivo per tutti i dividendi messi in distribuzione dal 1° gennaio 2014 anche se, limitatamente al 2014 stesso, è previsto un credito d’imposta pari alla differenza tra l’imposta dovuta in base al nuovo regime e l’imposta calcolata secondo le previgenti disposizioni (il credito, però, potrà essere recuperato solo a partire dal 2016); il credito d’imposta ha valenza meramente transitoria, in quanto dal 2015 gli enti non commerciali rimangono esposti alla maggiore tassazione senza più alcuna possibilità di sgravio. La seconda modifica, sulla quale si innesta l’interpretazione resa dall’Agenzia, concerne l’eliminazione dell’inciso “anche nell’esercizio di impresa” dall’art. 4 comma 1 lettera q) del DLgs. 344/2003 (norma che tuttora disciplina la fattispecie). Prima delle modifiche della L. 190/2014, infatti, la disposizione prevedeva che gli utili percepiti dagli enti non commerciali anche nell’esercizio di impresa non concorressero alla formazione del reddito imponibile nella misura del 95% del loro ammontare. Nell’attuale formulazione, la riduzione al 22,26% della percentuale di esclusione riguarda gli utili percepiti da tali enti, senza più alcuna indicazione ulteriore di sorta. Così posta la legge, si poteva ipotizzare che le modifiche potessero riguardare i soli utili derivanti dalle partecipazioni possedute nell’ambito dell’attività istituzionale dell’ente. Mentre, infatti, in precedenza il trattamento uniforme degli utili “istituzionali” e degli utili “commerciali” era assicurato dal fatto che la quota imponibile del 5% riguardava anche gli utili percepiti in regime di impresa, l’attuale assetto normativo rendeva legittima una lettura per cui: - da una parte, per gli utili di fonte istituzionale, operassero le nuove regole, con tassazione del 77,76% del dividendo; - dall’altra parte, per gli utili percepiti nella sfera impren- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 ditoriale, si dovessero applicare le ordinarie regole del reddito d’impresa che, per gli enti non commerciali, prevedono la tassazione nella medesima misura prevista per le persone fisiche che detengono partecipazioni nella sfera imprenditoriale, ovvero nel limite del 49,72% dell’utile percepito. Aggravio non limitato alla sfera istituzionale dell’ente L’impostazione assunta dall’Agenzia delle Entrate nel corso della Videoconferenza del 22 gennaio è stata di diverso tenore: è stato, infatti, sostenuto che la soppressione dell’inciso “anche nell’esercizio di impresa” non ha inteso determinare regole differenti di tassazione a seconda che le partecipazioni afferiscano alla sfera istituzionale o a quella commerciale; per entrambi, quindi, la tassazione avverrebbe nel limite del 77,74% (di fatto, quindi, sembra di capire che l’inciso presente nel vecchio testo della norma rivestisse carattere semplicemente “formale”, sicché la sua eliminazione non comporterebbe conseguenze di sorta). Continuerebbe, quindi, la diversità di trattamento tra dividendi e plusvalenze (per queste ultime, infatti, rileva la natura delle partecipazioni possedute, in quanto solo le partecipazioni detenute quali beni d’impresa possono accedere alla participation exemption, con tassazione limitata al 49,72%), con un’importante differenza: mentre prima della L. 190/2014 la tassazione dei dividendi risultava più favorevole di quella delle plusvalenze, nell’attuale contesto le distribuzioni risultano tendenzialmente più onerose rispetto alle cessioni delle partecipazioni. Venendo alle conseguenze pratiche della linea interpretativa dell’Agenzia, essa comporta in ogni caso un’imposta di 21,38 euro per ogni 100 euro di dividendo (a 100 euro di provento corrisponde, infatti, una base imponibile di 77,74, che moltiplicata per l’aliquota IRES del 27,5% dà un’imposta di 21,38); adottando, invece, le regole ordinarie per le partecipazioni afferenti la sfera imprenditoriale l’imposta sarebbe pari a 13,67 (importo ottenuto applicando l’aliquota IRES a 49,72). Numeri che possono avere un significato di mera notizia se scritti su un foglio di carta, ma che calati nella realtà di grandi enti non commerciali, quali le fondazioni bancarie, potrebbero preludere a situazioni di contenzioso con il Fisco per importi rilevanti. / 05 ancora FISCO Certificati verdi e bianchi soggetti a reverse charge L’Agenzia delle Entrate chiarisce quali titoli ambientali sono interessati dalle nuove norme / Simonetta LA GRUTTA In occasione del Videoforum 2015 del 22 gennaio scorso, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni primi chiarimenti sull’applicazione delle previsioni di cui all’art. 17 comma 6 lettere d-bis) e d-ter) DPR 633/72, introdotte dalla legge di stabilità per il 2015. Le nuove norme hanno esteso il regime dell’inversione contabile (reverse charge) ai trasferimenti domestici di titoli ambientali quali: - le quote di emissioni di gas a effetto serra definite ex art. 3 della direttiva 2003/87/CE; - altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla direttiva 2003/87/CE; - i certificati relativi al gas e all’energia elettrica. In buona sostanza, si tratta di titoli volti a consentire agli operatori di ottemperare agli obblighi connessi al rispetto dell’ambiente, sia mediante la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra secondo i parametri inizialmente delineati dal Protocollo di Kyoto, sia mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili e di mezzi di efficientamento per la produzione di energia elettrica e/o gas. La ratio delle nuove disposizioni, come confermato dalla relazione tecnica, risiede nella necessità di porre in essere delle misure di contrasto ai fenomeni evasivi e alle frodi IVA – in special modo frodi carosello – che caratterizzano il settore. Misure particolarmente necessarie e urgenti per il nostro ordinamento, visto che la quasi totalità degli Stati membri ha già implementato l’obbligatorietà del meccanismo dell’inversione contabile per le operazioni in parola, determinando un serio rischio che gli operatori meno corretti potessero confluire nel mercato italiano. Misure particolarmente necessarie e urgenti anche in considerazione del fatto che l’elevato valore dei titoli scambiati produce, in caso di attuazione di comportamenti illeciti, pesanti ripercussioni sulle (mancate) entrate dello Stato. Le motivazioni sopra illustrate spiegano perché il legislatore italiano, seguendo l’esempio del legislatore comunitario (art. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 199-bis della Direttiva 2006/112/CE), ha utilizzato una definizione ampia dei titoli ambientali il cui trasferimento è assoggettato al regime del reverse charge, che possa anche tenere conto di eventuali evoluzioni nel settore. Una prima conferma che le nuove norme devono leggersi in questo senso viene dall’interpretazione fornita in occasione del recente Videoforum; invero, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che rientrano nell’ambito oggettivo delle nuove disposizioni: - i “certificati verdi”, introdotti nel nostro ordinamento con il DLgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva 96/92/CE, che sono titoli rappresentativi della produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili e, come tali, consentono ai produttori di energia elettrica di adempiere all’obbligo di immettere ogni anno in rete una determinata quota di energia elettrica “pulita”; - i “certificati bianchi” (di cui ai Decreti Ministeriali del 20 luglio 2004 e successive modifiche), che attestano il risparmio di gas ed energia elettrica conseguito attraverso sistemi di efficientamento della produzione; - le “garanzie di origine” (introdotte con DLgs. n. 28/2011), che hanno lo scopo di permettere ai fornitori di energia elettrica di provare ai clienti finali l’attestazione della quota o della quantità di energia che – nel proprio mix energetico – deriva da fonti rinnovabili. Auspicabile un elenco esaustivo da parte dell’Agenzia Tuttavia, sarebbe preferibile che l’Agenzia delle Entrate fornisse un elenco esaustivo dei titoli ambientali interessati dalle nuove norme, rivedibile periodicamente per tenere conto delle inevitabili evoluzioni del settore. Invero, il già ricordato elevato valore delle operazioni in parola, in presenza di dubbi interpretativi circa l’effettiva portata delle disposizioni di cui all’art. 17 comma 6 lettere d-bis) e d-ter) DPR 633/72, potrebbe avere pesanti ripercussioni in termini sanzionatori anche per l’operatore che agisce in buona fede. / 06 ancora PROFESSIONI La revoca per giusta causa dei sindaci di srl “passa” sempre dal tribunale Necessario un controllo giurisdizionale volto ad appurare la sopravvenuta insussistenza dell’obbligo correlato al capitale sociale / Maurizio MEOLI Ai fini della revoca per giusta causa dei sindaci di srl nominati in relazione all’entità del capitale sociale deve ritenersi imprescindibile il decreto di approvazione del Tribunale, ex art. 2400 comma 2 c.c., anche se solo per accertare che la nomina dell’organo sia esclusivamente dipesa dall’abrogato secondo comma dell’art. 2477 c.c. A precisarlo è il Ministero della Giustizia nella nota 13 gennaio 2015 n. 4865, richiamata dalla circolare 19 gennaio 2015 n. 6100 del Ministero dello Sviluppo economico. Si ricorda che l’art. 20 comma 8 del DL 91/2014 convertito ha abrogato il secondo comma dell’art. 2477 c.c., che imponeva la nomina dell’organo di controllo o del revisore nelle srl con capitale sociale non inferiore a quello minimo stabilito per le spa (contestualmente ridotto a 50.000 euro). A fronte dell’evidenziata abrogazione, nelle srl permane l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore quando la società: è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’art. 2435-bis c.c. ai fini della redazione del bilancio in forma abbreviata. In tal caso l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati. Nelle srl tenute alla redazione del bilancio ordinario, quindi, a prescindere dall’entità del capitale sociale, resta fermo l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore. In sede di conversione in legge del DL 91/2014, inoltre, è stato precisato che la sopravvenuta insussistenza dell’obbligo di nomina (di organo di controllo o revisore legale) correlato all’entità minima del capitale sociale “costituisce giusta causa di revoca”. Rispetto a tale novità, ci si è chiesti se, per la revoca dell’organo di controllo, occorra anche l’intervento del Tribunale richiesto dall’art. 2400 comma 2 c.c. Da un lato, infatti, si è ritenuto tale intervento non necessario, avendo provveduto già il legislatore a ricondurre l’ipotesi di revoca in questione alla nozione di giusta causa; dall’altro, stante la mancata espressa esclusione dell’intervento del Tribunale da parte della norma transitoria, si è ritenuto che esso, chiamato in causa da un ricorso degli amministratori, dovrebbe provvedere con decreto, sentiti i soggetti interessati, ad appurare non già la riconducibilità dell’ipotesi di revoca alla nozione di giusta causa, quanto l’effettiva sussistenza del presupposto ovvero che l’obbligo di nomina dell’organo di controllo risulti legato esclusivamente / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 all’ammontare del capitale sociale e non agli altri parametri e situazioni oggettive di cui all’art. 2477 comma 3 c.c. Tale situazione dovrebbe valere anche nel caso di collegio sindacale o sindaco unico con funzione di revisione legale, in forza della prevalenza dall’art. 2400 c.c. – cui implicitamente sembra rinviare la precisazione resa in sede di conversione in legge del DL 91/2014 – sulle indicazioni del DLgs. 39/2010, sancita dall’art. 1 comma 2 del DM 261/2012 (ai sensi del quale, la cessazione dall’ufficio dei sindaci è disciplinata dall’art. 2400 c.c. anche quando la revisione legale dei conti è dagli stessi esercitata). Resta, invece, sufficiente la decisione dei soci nell’ipotesi in cui la revoca dovesse riguardare il revisore legale. La revoca per giusta causa di tale soggetto per l’intervenuta carenza dei requisiti legali (ex dell’art. 4 comma 1 lett. i) del DM 261/2012) non richiede l’approvazione della delibera assembleare con decreto del Tribunale (cfr. gli artt. 13 del DLgs. 39/2010 e 3 del DM 261/2012). Come evidenziato in premessa, il Ministero della Giustizia – chiamato in causa dal MISE per gli aspetti di sua competenza rispetto ad un quesito formulato dall’ANAV (Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori) – ha accolto la seconda soluzione sopra ricordata. Si osserva, in particolare, come il venir meno del presupposto in base al quale era avvenuta la nomina del collegio sindacale non sia sufficiente a produrne la decadenza di diritto, nonostante la precisazione fornita in sede di conversione in legge del DL 91/2014. In assenza di un’esplicita previsione normativa, quindi, permane la necessità di un controllo giurisdizionale volto a verificare l’esistenza stessa del fatto costituente giusta causa. D’altra parte, l’art. 2400 comma 2 c.c. non è stato oggetto di alcuna modifica; ciò diversamente da quanto disposto per il revisore legale dall’art. 2409-quater c.c. (articolo che prevedeva analogo decreto del Tribunale di approvazione della delibera di revoca e che è stato espressamente abrogato). Quindi, è ritenuto imprescindibile il decreto di approvazione del Tribunale ex art. 2400 comma 2 c.c. ai fini della revoca per giusta causa dei sindaci di srl, anche se solo per accertare che la nomina dell’organo sia esclusivamente dipesa dall’abrogato secondo comma dell’art. 2477 c.c. In relazione, invece, alla revoca per giusta causa del revisore legale per lo stesso motivo, si conferma che l’abrogazione dell’art. 2409-quater c.c. e la procedura di cui all’art. 3 del DM 261/2012 rendono sufficiente la sola delibera assembleare di revoca. / 07 ancora FISCO Remissione in bonis “insensibile” alle modifiche sul ravvedimento operoso Permane lo sbarramento temporale della “prima dichiarazione utile” e la necessità di pagare i 258 euro / Alfio CISSELLO Relativamente alle comunicazioni il cui invio costituisce un requisito per l’accesso a regimi fiscali particolari, o per fruire di determinate detrazioni d’imposta, non opera mai, a nostro avviso, l’art. 11 del DLgs. 471/97, che punisce l’omessa/irregolare comunicazione prescritta dalla legge fiscale con una sanzione da 258 euro a 2.065 euro. Se ad esempio non è stata esercitata, nel modello “RLI”, l’opzione per la cedolare secca, i canoni di locazione seguiranno il regime impositivo ordinario, e nessuna sanzione da omessa comunicazione può essere irrogata, in quanto siamo al di fuori dell’ambito applicativo concernente, appunto, le violazioni sulle comunicazioni. In tal caso, se, erroneamente, il contribuente ha sottoposto i canoni locatizi al regime di tassazione della “cedolare secca”, ci potrà essere la sanzione da dichiarazione infedele. Trova però applicazione la c.d. “remissione in bonis” ex art. 2 comma 1 del DL 16/2012, secondo cui, se non sono iniziati controlli, “la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, non è preclusa”, laddove il contribuente abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento, effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile e, infine, versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione dell’art. 11 comma 1 lett. a) del DLgs. 471/97, secondo le modalità stabilite dall’art. 17 del DLgs. 241/97, esclusa la compensazione. La c.d. “remissione in bonis”, ad esempio, riguarda l’opzione per la tassazione consolidata ex art. 117 del TUIR, l’invio del modello “EAS” ex art. 30 del DL 185/2008 oppure l’opzione per la c.d. “tonnage tax” ex art. 155 del TUIR. Per “prima dichiarazione utile”, l’Agenzia delle Entrate ritiene si debba intendere quella cronologicamente successiva / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 allo spirare del termine relativo all’adempimento oggetto di remissione (circ. 28 settembre 2012 n. 38). Quindi, se una comunicazione strumentale per accedere ad un particolare regime tributario concernente le imposte sui redditi deve essere trasmessa entro il 31 dicembre 2014 (si pensi, a titolo esemplificativo, all’opzione per la trasparenza fiscale di cui all’art. 115 del TUIR ante DLgs. 175/2014 in merito al triennio 2014-2016), entro il 30 settembre 2015, termine di presentazione della dichiarazione dei redditi ex art. 2 del DPR 322/98, va effettuata la “remissione in bonis”. Remissione inibita dall’inizio del controllo fiscale L’Agenzia delle Entrate ha inoltre specificato che non rileva, a questi fini, l’art. 2 comma 7 del DPR 322/98, che considera valide le dichiarazioni dei redditi presentate con un ritardo massimo di novanta giorni. Occorre evidenziare che la “remissione in bonis” è, come appena esposto, un particolare istituto che ammette di trasmettere le comunicazioni strumentali per accedere a determinati regimi fiscali tardivamente, a fronte del pagamento dei 258 euro. Non rientra, tecnicamente, nell’ambito del ravvedimento operoso, posto che esso consente di sanare errori ed omissioni che rappresentano una violazione della legge tributaria (situazione alquanto diversa), quindi alla “remissione in bonis” non sono applicabili le modifiche apportate dalla L. 190/2014. Pertanto, nonostante per il ravvedimento, limitatamente ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, non sussista più alcun limite temporale (essendo ora inibito solo dalla notifica dell’atto impositivo), in merito alla “remissione in bonis” permane lo sbarramento temporale della “prima dichiarazione utile”. / 08 ancora FISCO Non sempre l’avviso bonario deve precedere la notifica della cartella In caso di controllo automatico, l’obbligo del contraddittorio c’è solo se esistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione / Alessandro BORGOGLIO Con la sentenza n. 1306, depositata ieri, la Cassazione torna a pronunciarsi sulla necessità della comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo e, quindi, del contraddittorio endoprocedimentale, in relazione alla procedura di accertamento automatizzato ex art. 36-bis del DPR 600/1973 (c.d. “liquidazione automatica” delle dichiarazioni). La Suprema Corte ha confermato il principio, da ritenersi ormai consolidato, per cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatico è legittima anche se non è stato preventivamente emesso l’avviso bonario, sempreché la pretesa derivi da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate (cfr. Cass. 3948/2011). La comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo prevista dal predetto art. 36-bis del DPR 600/1973 e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972 è necessaria, infatti, solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati (cfr. Cass. 17396/2010). I giudici di legittimità, con la sentenza di ieri, riprendendo un recente arresto (Cass. nn. 15311 e 15312 del 2014), hanno argomentato che le conclusioni sopra esposte derivano dal diverso quadro normativo che sottende i controlli automatici e quelli formali, per i quali il legislatore ha previsto garanzie procedimentali diverse in funzione dell’intensità del potere accertativo esercitabile con le due differenti tipologie di controllo. Laddove, infatti, con il controllo formale ex art. 36-ter del DPR 600/1973, è prevista una capacità per il Fisco di incidere sul merito di quanto dichiarato dal contribuente, con valutazioni tecniche “non automatiche”, potendo disconoscere detrazioni e deduzioni, la legge prevede una precisa scansione procedimentale consistente nella richiesta, preventiva al controllo, di chiarimenti o documenti al contribuente (comma 3) e della conseguente comunicazione recante l’esito del controllo (comma 4). Mentre, per l’accertamento automatico ex art. 36-bis del DPR 600/1973, avendo esso un ambito operativo chiuso e limitato alla mera liquidazione della dichiarazione, il legislatore ha solo previsto la comunicazione dell’esito del controllo al contribuente se diverso rispetto a quello emergente dalla dichiarazione (comma 3). Il diverso potere previsto per le due fattispecie accertative ha indotto il legislatore ad adottare forme di contraddittorio preventivo obbligatorio, da applicare sempre per ogni singolo controllo, solo nell’ipotesi di controllo formale ex art. 36-ter. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 Occorre, tuttavia, ricordare che l’art. 6, comma 5 dello Statuto del Contribuente (legge 212/2000) stabilisce che, a pena di nullità, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, con il servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La Cassazione ha stabilito più volte che tale disposizione statutaria condiziona l’obbligo di preventiva comunicazione alla sussistenza di incertezze di rilievo, che non sono certamente sussistenti quando l’esito del controllo evidenzi solo una differenza tra il dichiarato ed il versato (ex pluris, cfr. Cass. nn. 26310/2010, 7536/2011, 7329/2012). Se, infatti, il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivanti dalla liquidazione automatica della dichiarazione, non avrebbe posto l’inciso nella prefata norma circa la sussistenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (cfr. Cass. 8342/2012). In caso di controllo automatico, quindi, come stabilito con la pronuncia depositata ieri, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, mediante l’emissione dell’invito di cui all’art. 36-bis, comma 3 del DPR 600/1973, sussiste solo qualora esistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (Cass. 15584/2014). Nel caso oggetto della pronuncia in commento, era stata eccepita anche la tardiva iscrizione a ruolo ex art. 17 del DPR 602/1973, oggi abrogato, nonché la tardiva notifica della cartella. La Cassazione ha precisato, in proposito, che, con la riforma attuata dall’art. 1, commi 5-bis e 5-ter, del DL 106/2005, si è passati dal previgente regime di decadenza ancorato all’iscrizione a ruolo a quello legato alla notifica della cartella di pagamento, peraltro senza soluzione di continuità, atteso che erano state previste apposite norme transitorie. Dalla predetta riforma, quindi, la legittimità della pretesa erariale è subordinata alla notificazione della cartella di pagamento entro un termine di decadenza (cfr. art. 25 del DPR 602/1973), dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione della dichiarazione (nello stesso senso, Cass. 16826/2006). In sostanza, l’unico termine decadenziale rilevante è quello della notifica della cartella di pagamento. / 09 ancora IMPRESA Da febbraio disponibili i registri telematici nel settore agroalimentare Tra qualche giorno sarà disponibile il registro dematerializzato per la pasta, a partire dal 1° marzo quelli per zucchero, latte in polvere e burro / Antonio PICCOLO La dematerializzazione dei registri di carico e scarico è una realtà anche per le paste alimentari, le sostanze zuccherine, il latte conservato e la produzione del burro, essendo stati emanati i relativi decreti attuativi di “Campolibero”. Con quattro decreti tutti datati 8 gennaio 2015 (prot. dal n. 8 al n. 11), infatti, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF) ha dato il via libera ai provvedimenti attuativi di “Campolibero” di cui all’art. 1-bis del DL n. 91/2014 conv. L. n. 116/2014) relativi alla dematerializzazione dei registri di carico e scarico per gli sfarinati e le paste alimentari (comma 6), per la produzione del burro (comma 7), per le sostanze zuccherine (comma 8) e per il latte conservato (comma 9). Come annunciato dallo stesso MIPAAF, si tratta di una rilevante e importante operazione di dematerializzazione nel settore agroalimentare, dato che a regime coinvolgerà quasi 100.000 operatori e si avrà l’eliminazione di carichi burocratici che pesano sulla competitività delle nostre aziende agricole. Infatti, l’eliminazione dei registri cartacei comporterà di conseguenza anche l’eliminazione dell’onere delle vidimazioni. Inoltre, con la nuova modalità di tenuta dei registri, è facilitato anche il lavoro di controllo da parte degli ispettori, che potranno procedere con le verifiche in modo più costante, rapido ed efficace, potendo avere piena conoscenza di tutte le movimentazioni di prodotto operate dalle ditte prima dell’effettuazione dei controlli. Nello specifico i decreti attuativi in commento ricordano innanzitutto che: - il “SIAN” è il Sistema informativo agricolo nazionale; - il “registro di carico e scarico di produzione di burro” è il registro di cui all’art. 1, comma 6 della L. n. 1526/1956; - il “registro di carico e scarico del latte conservato” è il registro di cui all’art. 3 della L. n. 138/1974; - il “registro di carico e scarico delle sostanze zuccherine” è il registro di cui all’art. 28 della L. n. 82/2006; - il “registro di carico e scarico degli sfarinati e delle paste alimentari” è il registro di cui all’art. 12, comma 3 del DPR n. 187/2001 e all’art. 5 del relativo DM 17 dicembre 2013; - il “registro dematerializzato” è il registro di carico e scarico tenuto in forma telematica; - gli “operatori” sono le persone fisiche o giuridiche o le associazioni di tali persone per gli sfarinati, le paste alimen- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 tari e la produzione del burro; i produttori, gli importatori, i grossisti e gli utilizzatori per il latte conservato e le sostanze zuccherine. I registri dematerializzati sono realizzati nell’ambito del SIAN e saranno disponibili: - dal 1° febbraio 2015 per quello degli sfarinati e delle paste alimentari; - dal 1° marzo 2015 per quelli delle sostanze zuccherine, del latte conservato e della produzione del burro. Gli operatori devono iscriversi al SIAN secondo le modalità riportate nell’allegato 1 di ciascun decreto, mentre le modalità per la tenuta del registro dematerializzato sono indicate nel successivo allegato 2. Tali allegati potranno essere modificati o sostituiti con decreto dal capo del Dipartimento dell’ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF). Il titolare del trattamento dei dati conservati nel registro dematerializzato, ai sensi delle previsioni di cui al DLgs. n. 196/2003, è il MIPAAF, che ne assicura la gestione tecnica e informatica. Tuttavia, le disposizioni transitorie e finali stabiliscono che: - fino al 30 giugno 2015 il registro può essere tenuto sia con modalità telematiche, sia in formato cartaceo; - a partire dal 1° luglio 2015 il registro dovrà essere tenuto esclusivamente con modalità telematiche. Fino al 30 giugno possibile tenere il registro anche in formato cartaceo Si ricorda che i registri dematerializzati non sono soggetti ad alcuna vidimazione preventiva, né ad una stampa periodica obbligatoria, e che le registrazioni sono distinte per ogni stabilimento o deposito dell’operatore, identificato da un codice alfanumerico attribuito dagli uffici territoriali dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (codice ICQRF). Infine, è appena il caso di rimarcare che per le violazioni relative alla tenuta del registro dematerializzato, si rende applicabile la diffida di cui all’art. 1, comma 3 del citato DL n. 91/2014. Per le violazioni relative alla tenuta del registro dematerializzato conseguenti al malfunzionamento del sistema telematico, attestato dal SIAN, è esclusa la responsabilità dell’operatore, dato che l’errore non è determinato da sua colpa. / 10 ancora FISCO Donazione al trust “decettiva” ai fini del reato di riciclaggio Per la Cassazione, il trasferimento si risolve nella dismissione attuata con atto a titolo gratuito di un bene acquistato con denaro di provenienza illecita / Maria Francesca ARTUSI Controversa e di centrale importanza è la problematica dell’identificazione del momento consumativo del reato di riciclaggio. Con la sentenza n. 3415, depositata ieri, la Cassazione ha affrontato un ricorso avverso un decreto con cui si disponeva il sequestro preventivo per equivalente avverso l’erede di alcune somme provenienti da un reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del DLgs. 74/2000. A costei era contestato il reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. per aver ricevuto dei proventi dell’evasione fiscale commessa dal padre e con questi avere, in un primo momento, acquistato un immobile del valore di 400.000 euro e, successivamente, aver donato tale immobile per il valore di 53.700 euro a un trust. La condotta di riciclaggio sarebbe integrata dalla sostituzione delle somme frutto del risparmio fiscale illecito, essendo le diverse operazioni successive atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro ricevuto dal padre. Interessante elemento di dibattito presentato ai giudici di legittimità riguarda l’identificazione del momento consumativo del delitto di riciclaggio. Ci si chiede, infatti, se si possa affermare che la consumazione del reato sia avvenuta alla data di acquisto del predetto immobile, cioè al momento della sostituzione del denaro provento di reato con il bene medesimo; ovvero la condotta illecita prosegua e si completi con la successiva donazione. Seguendo la prima strada interpretativa – quella della consumazione al momento dell’acquisto dell’immobile – diventerebbe irrilevante la successiva condotta di conferimento al trust, in quanto post factum non punibile, condotta il cui disvalore è assorbito, e dunque neutralizzato, nell’illecito già precedentemente commesso. L’identificazione del momento consumativo del riciclaggio non è una questione meramente dogmatica; anzi, rappresenta uno snodo interpretativo centrale nella prassi applicativa di tale fattispecie. Basti pensare che da ciò dipendono: il decorso della prescrizione; la possibilità di un concorso tra più condotte di riciclaggio; il rapporto con il reato presupposto; recentemente, inoltre, l’eventualità della configurazione del c.d. autoriciclaggio. A tale proposito si è registrato nel tempo un contrasto tra le tesi che considerano integrato il riciclaggio anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita – atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro viene automatica/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 27 GENNAIO 2015 mente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tandundem (Cass. n. 26746 del 7 luglio 2011) – e quelle posizioni che affermano che le condotte di cui all’art. 648-bis c.p., ovvero la sostituzione, il trasferimento, così come le altre operazioni, debbano caratterizzarsi per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene. Così, il trasferimento di soldi da un conto a un altro non sarebbe idoneo a celare la provenienza illecita, né ad integrare i tratti di un’operazione atta a farne perdere le tracce, poiché in realtà il denaro traslato lascerebbe una traccia indelebile (Cass. n. 13448 del 23 febbraio 2005). La sentenza depositata ieri afferma il contenuto decettivo della donazione al trust, dal momento che il trasferimento si risolve nella dismissione attuata con atto a titolo gratuito di un bene acquistato con denaro di provenienza illecita, ponendosi così in essere un’attività di ripulitura costituente quella tipologia di illecito impiego sanzionato dalle norme penali (non è chiaro, però, perché qui la Cassazione introduca un riferimento anche all’art. 648-ter c.p. – illecito impiego di denaro o altra utilità –, data la controversa identificazione del limite tra questa fattispecie e il riciclaggio vero e proprio). La Suprema Corte precisa, altresì, che l’effettività della condotta ostativa e dissimulatoria non è contraddetta dal fatto che la donazione rivesta forma di atto pubblico. La tracciabilità del denaro non si riconnette, infatti, secondo i giudici di legittimità, alla pubblicità dell’atto, bensì all’idoneità delle operazioni poste in essere a rendere più difficoltosa l’identificazione. La tracciabilità del denaro non si riconnette alla pubblicità dell’atto Tale nozione di idoneità, rifacendosi all’inquadramento del riciclaggio come reato di pericolo (astratto o concreto?), si pone tra quelle affermazioni che saranno alla base delle prime interpretazioni della nuova fattispecie di autoriciclaggio, in particolare per poter qualificare l’esclusione della punibilità nei casi di “mera utilizzazione” e di “godimento personale”, che rappresentano quelle ipotesi di fruizione del denaro o dei beni prive del carattere decettivo e dissimulatorio che rappresenta la ratio della sanzionabilità di tali condotte. / 11 ancora LETTERE Dopo le vicissitudini dell’IMU agricola, questo vi pare un Paese normale? Spettabile Redazione, scrivo in merito alla vicenda IMU agricola. Facciamo una breve cronistoria degli ultimi quattro-cinque giorni, ricordando che la scadenza originaria era il 26 gennaio, lunedì (ieri, ndr): - 21 gennaio: nonostante le richieste di tutte le associazioni del mondo agricolo, il Governo pare intenzionato a NON concedere alcuna proroga; - 22 gennaio: il TAR Lazio decide di NON confermare la sospensiva dell’obbligo di pagamento scritta nel decreto del presidente dello stesso TAR due giorni prima di Natale. Resta in essere un altro ricorso con scadenza 4 febbraio: la scadenza parrebbe essere congelata in attesa del giudizio di merito. - 23 gennaio (venerdì): vengono inviate le deleghe dei clienti da pagare il giorno 26 (lunedì). - 24 gennaio (sabato): l’articolo da voi pubblicato (si veda “Il versamento dell’IMU sui terreni agricoli slitta al 10 febbraio” del 24 gennaio) – e di cui vi ringrazio – deve interpretare un comunicato stampa che annuncia la pubblicazione di un DL che sposta il termine di pagamento al 10 febbraio. - 24 gennaio (sabato): dopo avere verificato chi è stato escluso o meno, dobbiamo chiamare i clienti – quelli reperibili – avvisandoli di NON pagare le deleghe che abbiamo consegnato il giorno prima o di cercare di fermare le deleghe già inviate via Entratel (sempre il giorno prima). Tutto ciò mentre gli studi sono ingolfati dalla concomitanza della scadenza di CU e comunicazione annuale dati IVA (che sappiamo già che l’anno prossimo sarà abolita). Domanda: ma vi pare un Paese normale? Francesco Cantù Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Lecco Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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