novembre - dicembre 2012 N. 11 club milano Eugenio Finardi: “Molte persone pensano per parole, i matematici e i musicisti usano il linguaggio dei numeri”. La straordinaria avventura in Antartide dell’Endurance raccontata dagli scatti originali del fotografo Hurley. Fumare il sigaro è un’arte, anche a Milano: si scoprono regole antiche, storie affascinanti e luoghi inaspettati. Alla scoperta di Dublino attraverso i romanzi degli scrittori che l’hanno amata come Joyce, Beckett e Wilde. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro editorial Navigli addio Quando arrivai a Milano meno di 20 anni fa mi innamorai di una città frenetica e difficile, con meno attrattive rispetto ad altre, ma che proprio per questo era gelosa di quelle zone che la rendevano unica: Brera con le sue chiese e i suoi palazzi storici, il quadrilatero della moda con le sue vetrine, il Duomo con quella forma così strana e quella Madunina che vigila su tutto e tutti, i navigli con le sue botteghe di artisti e i suoi ristorantini. Quando nel 2006 decisi di aprire questa folle attività di piccolo editore e avevo bisogno di un ufficio non ebbi alcun dubbio e la fortuna mi aiutò: un’amica mi disse che si era liberato un piccolo spazio di 45 metri quadrati sul Vicolo dei Lavandai. Lo presi al volo. In quel luogo si respiravano creatività e arte come da nessuna altra parte, e speravo di riuscire ad assorbirne l’energia per osmosi. Fu esattamente così. Quell’energia che avevo respirato il primo giorno era più forte di tutto: più forte dello spazio buio e sempre più piccolo man mano che l’attività cresceva, dell’umidità e del freddo invernale così come delle zanzare d’estate, della mancanza di una linea ADSL decente, del frastuono del ristorante a fianco e delle bizze del padrone di casa. Ho provato a cambiare, ma quell’atmosfera non l’ho ritrovata in altri luoghi. Dove non sono riuscite le caratteristiche bohémien del naviglio è riuscita un’ordinanza del Comune. Dallo scorso giugno è iniziata una sperimentazione, già confermata, per rendere tutta la zona un’isola pedonale. Di per sé si tratterebbe di un’ottima notizia e sarebbe potuta diventare uno strumento per riqualificare il quartiere. Peccato che l’amministrazione (che ho votato) si sia dimenticata che per risanare una zona non basta una delibera per impedire l’accesso alle auto, così come per rendere l’aria più pulita o invogliare i cittadini a usare i mezzi pubblici non basta tassare gli ingressi all’interno della cerchia dei bastioni. Occorrono anche misure alternative e ogni buon amministratore dovrebbe sapere che senza un giusto mix di divieti e incentivi (chiamatelo pure “carota e bastone”), la situazione che vuoi migliorare rischia persino di peggiorare. Nella fattispecie si dovrebbe capire cosa si intende preservare e, al contrario, cosa si vuole combattere. Il Naviglio Grande per anni è stato un luogo vivace non soltanto per la sua movida notturna, ma più ancora per la sua storia e la sua cultura che attirano scolaresche in gita, stranieri curiosi e appassionati di arte e di storia. A qualsiasi ora del giorno. Chi amministra la città dovrebbe saperlo: Milano è nata e si è sviluppata nei secoli proprio grazie ai suoi navigli e sarebbe un peccato pensare che una zona come questa possa avere un senso solo grazie ai suoi locali, peraltro quasi tutti di altissimo livello. Recentemente ho vissuto un episodio che, per quanto piccolo, ha rappresentato una pietra tombale della mia piccola storia su questi argini: due simpatici vigili mi hanno multato perché stavo scaricando pacchi e caricando riviste sulla mia auto proprio davanti al nostro ufficio, operazione di normale routine per chi fa il mio lavoro. In questi casi la scena, non si sa come mai, assume sempre tratti grotteschi e un po’ comici: mentre io provavo a spiegare che a quell’ora le operazioni di carico/scarico erano autorizzate e che era esattamente ciò che stavo facendo, l’arguto uomo in divisa mi rispondeva che per fare carico/scarico dovevo avere un furgone. Morale: se non hai un furgone sui Navigli non puoi aprirci un’attività che implichi un minimo di logistica. Così, mentre chiudono botteghe di artigiani e artisti, piccoli negozi e trattorie a gestione familiare, aprono catene di ristoranti e spopolano le bancarelle (legali?). Non è una tragedia, ma è importante essere coerenti e consapevoli di ciò che si sta facendo, perché se l’obiettivo della giunta era un altro allora si tratta di incompetenza e questo è più preoccupante. Stefano Ampollini 4 ph: Pierluca De Carlo coNteNts point of view 10 focus ascoltate una radio vi renderà più liberi cigar movie meneghino di Roberto Perrone di Elisabetta Gentile inside 26 12 brevi dalla città di Cristina Buonerba outside 14 brevi dal mondo di Cristina Buonerba cover story 16 Cody Un extraterrestre a milano di Alberto Motta Jared interview 28 milano “l’autostoppista” di Jean Marc Mangiameli focus 30 l’acqua che arriva da lontano di Filippo Spreafico focus 32 capo, ho perso l’aereo… di Alessia Delisi portfolio 20 design inferno bianco Un esempio calzante Foto di Frank Hurley di Dino Cicchetti style 35 38 true brit spirit di Luigi Bruzzone style 40 Non solo moda di Giuliano Deidda wheels Guidare off-limits di Andrea Zappa 44 W E T HE PEOPL E THE TWINS They teach wilderness survival skills to all kinds of people. WATCH THE STORY ON MCSAPPAR E L.COM 6 hi tech 46 food Un cuore di silicio Un cibo da re di Filippo Spreafico di Marilena Roncarà sport equipment 56 WWW.jacobcohen.it contents 48 Sciando sulle nuvole di Gianandrea Lecco food 58 Trattoria del Nuovo Macello di Valerio Venturi club house 60 L’importanza dell’innovazione week-end di Enrico S. Benincasa 50 Emozione ad alta quota a cura della Redazione di Club Milano wellness 51 Benessere secondo natura di Chiara Belforti week-end 52 Dublino tra le righe di Cristina Buonerba overseas 54 Sulla rotta di Van Dike free time di Andrea Zappa Da non perdere 62 a cura di Enrico S. Benincasa free time 64 TerreMoMi a cura della Redazione di Club Milano In copertina Eugenio Finardi. Foto di Davide Zanoni. “Sono Elliott Erwitt, e lo sono da un certo numero di anni.” 8 www.citroen.it point of view roberto perrone Vive a Milano da trent’anni, ma ha conservato solide radici zeneisi. Nato a Rapallo, è giornalista e scrittore. Per il Corriere della Sera si occupa di sport, enogastronomia e viaggi. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali il suo ultimo romanzo Occhi negli occhi edito da Mondadori. Ascoltate una radio vi renderà più liberi “Con la radio si può scrivere leggere o cucinare”. Lo so, quando poi mi rileggo penso che potrei essere accusato di eccesso di nostalgia. Una volta gli anni Sessanta, una volta gli anni Ottanta, in mezzo i Settanta, come in questo caso. Tra un po’ rimpiangerò l’altro ieri, del resto ho sempre odiato il Capodanno, con le sue scarpe scomode, i suoi lazzi, i suoi fuochi d’artificio. Ho sempre pensato che un anno che finisce è un anno in meno. Comunque quando sento il nome di Eugenio Finardi comincio a canticchiare “amo la radio perché arriva dalla gente, entra nelle case, ci parla direttamente”. Quando Finardi cantava questa canzone esplodeva in Italia il fenomeno delle radio libere. Da destra a sinistra, cattoliche, laiche, solo musica, solo rock, solo heavy metal, solo dialetto, solo di giorno, solo di notte. Che mezzo meraviglioso. L’ho sempre amato, anche quando c’era il monopolio Rai. Ricordo una sera d’estate, la finestra della mia camera spalancata su un cielo stellato e sulla prospettiva di raggiungere gli amici sul lungomare. Poi un “clic” sulla radio e una voce calda che parlava. Era l’inizio della Trilogia della Villeggiatura di Carlo Goldoni. Non sono più uscito. Negli anni bui del terrorismo e delle città in fiamme, le radio si sfidavano, erano contro, ma c’erano anche quelle che dialogavano, che mandavano musica e parole come ponti tra diverse ideologie, cercando un punto d’incontro. Spesso lo erano proprio, riunendo, attorno a un microfono, percorsi esistenziali antitetici. Erano compagne di studio, di lavoro, di passioni, di solitudine. Poi, qualche anno dopo, in una radio ho lavorato, avvolto da un meraviglioso senso di libertà. Certe notti ero da solo, lì nello studio, con i dischi in vinile, i piatti, il microfono, il telefono con cui dialogavo con gli ascoltatori. È stata un’esperienza ricca di emozioni. Poi sono partito per Milano e ho lasciato lo studio con i dischi in vinile e la vista sul mare. Perché racconto tutto questo? Perché le radio esistono anche adesso, ma le ascoltiamo più distratti, persi nelle cuffie di un iPod, sempre con un telefono incollato all’orecchio, un social network da aggiornare (al 90% con stupidaggini) o un canale satellitare acceso 24 ore su 24. Non vi sentite come catturati in una ragnatela di comunicazioni che invece di avvicinarvi gli uni agli altri, vi allontanano? Se volete sapere cos’è la libertà accendete la radio. “Se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente”. Roberto Perrone 10 IBRIDO & DIESEL ENTRATE IN UNA NUOVA ERA. CITROËN DS5 Hybrid4 Linee eccezionali, performance tecnologiche senza precedenti, rara eleganza. In più un’innovativa tecnologia Full Hybrid Diesel: 200 cv di potenza massima, modalità 4WD ed emissioni di soli 91 g di CO 2/Km. SCOPRI CITROËN DS5 CON FULL LEASING TAN 1,99% E DOPO 4 ANNI LA PUOI RESTITUIRE. TI ASPETTIAMO NEI NOSTRI SHOWROOM. CRÉATIVE TECHNOLOGIE Citroën DS5 Hybrid4 Airdream. Consumo su percorso misto: 3,9 l/100 Km. Emissioni di CO2 su percorso misto: 102 g/Km. Il valore 200 cv è riferito alla potenza cumulata e con una velocità inferiore a 120 Km/h. Offerta delle Concessionarie Citroën che aderiscono all’iniziativa, riservata unicamente ai possessori di partita IVA, valida su tutte le vetture disponibili in rete fino ad esaurimento scorte, non cumulabile con altre iniziative in corso. Esempio di leasing finanziario rivolto alla clientela Business riferito a Citroën DS5 Hybrid4 Airdream Business. Prezzo di vendita promozionato, riservato a Società iscritte presso la Camera di Commercio o soggetti con Partita IVA con un parco di almeno due veicoli, €227.048 IVA esclusa, messa su strada esclusa (IPT esclusa). - Primo canone € 6.000 IVA esclusa + 47 canoni mensili da € 635 IVA esclusa – possibilità di riscatto € 5.719 IVA esclusa - nessuna spesa di istruttoria - spese di gestione contratto che ammontano allo 0,09% dell’importo relativo al prezzo di vendita del veicolo decurtato del primo canone, TAN 1,99% .TAEG/ISC 3,75%. Il canone include i servizi opzionali FreeDrive Business (manutenzione ordinaria e straordinaria 48 mesi/200.000 Km), Azzurro Insieme (antifurto IDENTICAR e polizza Furto Incendio - prov. MI) e Responsabilità Civile Auto. (Importo totale mensile dei servizi IVA esclusa € 222,02). Offerta valida fino al 30/11/2012. Salvo approvazione Citroën Financial Services - divisione Banque PSA Finance – Succursale d’Italia. Fogli informativi presso la Concessionaria. Le foto sono inserite a titolo informativo. CITROËN ITALIA S.P.A. SUCCURSALE DI MILANO VIA GATTAMELATA 41 TEL 02397631 VIALE MONZA 65 TEL 0226112347 www.citroenmilano.it INSIDE Longines compie 180 anni FGF Store inaugura a Milano è stato inaugurato in via Manzoni 16/A, nel cuore del quadrilatero della moda milanese, il nuovo flagship store di FGF Industry. Un elegante spazio di 300 metri quadri che racchiude al suo interno le collezioni dei tre brand aziendali: Blauer, C.P. Company e BPD Be Proud Of This Dress. Lo store, appena arrivato in città, si aggiunge a quelli di Londra, Padova, Cortina, Olbia e Puntaldia. Longines, la maison dei segnatempo conosciuta in tutti il mondo, ha spento 180 candeline. Per l’occasione, ha festeggiato con un party presso lo Spazio Dedon in zona Tortona. Durante la serata sono stati presentati alcuni modelli in esclusiva dal Museo Longines di Saint-Imier e orologi iconici che hanno fatto la storia del marchio. www.longines.com www.fgf-industry.com Just Like You Herno approda a Milano Ha inaugurato al civico 1 di Via della Spiga il primo monomarca Herno. Uno spazio che, nel suo arredamento, rispecchia in tutto il concept del celebre brand di capospalla. Un ambiente accogliente e confortevole, caratterizzato da pareti in ardesia e morbida flanella intervallate dal logo del marchio, simbolo di riferimento nell’outwear di lusso. www.herno.it 12 Citizenzs of Humanity, il marchio della West Coast statunitense, lancia una nuova iniziativa: Just Like You, un progetto charity di cortometraggi dedicati a personaggi creativi che hanno influenzato il brand. I protagonisti dei video hanno realizzato T-shirt in edizione limitata in vendita sul sito del marchio e in store selezionati, il cui ricavato sarà devoluto in beneficenza. citizensofhumanity.com Cin Cin Ora che Natale è alle porte ed è quasi tempo di vacanze e parenti, ogni scusa è buona per bere in compagnia. E tra cenoni e succulenti pranzi, un buon digestivo è indispensabile. Amaro Ramazzotti, nato nel 1815 all’ombra della Madonnina, omaggia il capoluogo dedicando una special edition di bottiglie che riprendono quattro skyline della città. www.ramazzotti.it outSIDE La Galleria illy arriva a Pechino Dopo NY, Milano, Trieste, Istanbul, Berlino e Londra, la Galleria illy sbarca a Pechino. Uno spazio plurifunzionale dove, fino al 2 dicembre, ci saranno corsi di degustazione e preparazione dell’espresso condotti dall’Università del caffè. Per l’occasione, è stato realizzato uno chandelier alto cinque metri che ripercorre la storia delle tazzine d’autore degli ultimi vent’anni. www.illy.com Ruco Line compie 25 anni Per festeggiare il suo venticinquesimo anniversario, Ruco Line, brand leader nella produzione di sneakers con la zeppa, ha pubblicato una monografia che ne ripercorre la storia. Il leit motiv del progetto è il tema del viaggio, che vede come protagonisti non solo Marco Santucci e Daniela Penchini, fondatori del marchio, ma anche le particolari caratteristiche che hanno reso Ruco Line celebre in tutto il mondo. www.rucoline.it Giubbino di pelle, cromature e In Sella Dall’8 all’11 novembre a Verona si è rinnovato il consueto appuntamento con Fieracavalli: un’occasione per immergersi nel panorama equestre internazionale tra spettacoli, eventi, competizioni e concorsi. Tra le novità, il progetto Cavallo in tutti i sensi, uno spazio dove scoprire le migliori offerte equituristiche del momento. www.fieracavalli.it The Italian Talent Home sweet home Quality Living, concept store di cinque piani situato nel centro storico di Verona, si è aggiudicato l’ultima edizione del Global Innovator Award come miglior punto vendita di oggettistica e design d’Italia. A marzo 2013 QL parteciperà al Gran Galà internazionale di Chicago per competere con i vincitori degli altri paesi in gara. All’interno dei suoi spazi, QL offre proposte di arredo, design e oggettistica per la casa. www.qualitylivingverona.it Il premio della giuria del Festival di Annency è stato assegnato a Tutti i rumori del mare, debutto cinematografico di Federico Brugia. Il giovane regista di spot pubblicitari è tra gli autori italiani più riconosciuti all’estero. Pluripremiato all’Advertising Film Festival di Cannes, al Clio Awards di New York e al New York Film Festival, ha anche diretto video musicali per Elton John e Luciano Pavarotti. Fall / Winter 2013/14 InternatIonal FashIon trade show JANUARY 15–17, 2013 StAtioN-BeRliN luckenwalder Str. 4-6, 10963 Berlin www.premiumexhibitions.com 14 Cover story Cover story eugenio finardi UN EXTRATERRESTRE A MILANO Roccando rollando, ripercorriamo gli itinerari musicali e le geografie metropolitane dell’autore di Musica ribelle. Dalle jam session delle origini – insieme ad Alberto Camerini all’Ippodromo del Galoppo – fino alla sua prima al teatro La Scala di Milano, la storia di un nativo americano che ha cantato l’Inno di Mameli in piazza San Giovanni a Roma per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. di Alberto Motta Foto di Davide Zanoni Eugenio Finardi (Milano, 16 luglio 1952) inizia il suo percorso musicale suonando con Alberto Camerini. Il suo primo disco viene prodotto dalla mitologica casa discografia Cramps (etichetta, tra gli altri, degli Area) nel 1975. 16 Milano, via Cesare Correnti. È il caotico primo pomeriggio di un tardo ottobre che sa di marzo. Eugenio Finardi ci accoglie nel più didascalico dei cortili milanesi, quello dello storico Studio Convertino, mentre fuori le tavole calde parlano mandarino e lì alla fermata del 2 i nuovi bauscia si fanno chiamare hipster. Sembra di trovarsi in un libroilleggibile di Bruno Munari. Il cantante milanese – ma di origini americane – indossa con savoir faire le contraddizioni della città: ricorda il passato di una via Vincenzo Monti, estrema frontiera prima della campagna, subito dopo si appassiona parlando di iPod e archivi digitali. I due estremi sono tenuti insieme da quei 28 dischi che in 40 anni di carriera musicale fanno di Finardi uno dei cantanti (“non sono un cantautore” – precisa lui) simbolo di Milano. Oggi vive la musica con l’incoscienza di un punk – non a caso nei suoi primi progetti (a 12 anni) lo vediamo a fianco di Alberto Camerini – l’interesse onnivoro di un Lester Bangs (per dire, definisce “genio” il chitarrista dei Calibro 35) e la posa rilassata di un “Grande Lebowski” (che peraltro ricorda, e non poco, con codino e pizzetto). Ci sarebbe ancora da raccontare di Bill Clinton, dei lanci da 39 mila metri, di Paolo Giordano. Ma iniziamo dalla città. Eugenio, qual è il tuo posto segreto di Milano? Beh, questo cortile… In realtà Milano è piena di luoghi segreti, tutto il verde è nei cortili, negli angoli. Il mio altro posto segreto è dove sono poi finito ad abitare, nelle stradine attorno all’Ippodromo del Galoppo, dove andavo a suonare da ragazzo. C’era un mio amico che abitava in una scuderia lì vicino, ed era un posto dove potevamo fare rumore. Quella zona mi aveva sempre attirato – io abitavo in via Vincenzo Monti, che era il limite esterno di Milano, ai tempi – e mi piaceva questo misto di città e campagna. E ora abito proprio lì. Ancora oggi il mio cane non si ritiene un cane di città: se lo porto in via Torino con il guinzaglio si spaventa. È più abituato a stare in mezzo ai cavalli. I musicisti milanesi passano per essere, allo stesso tempo, sexy e lamentosi. In che squadra ti schieri? Sono sufficientemente lamentoso e sufficientemente sexy. Non è che abbia mai molto usato la parte sexy; solo adesso, che ho 60 anni, arrivano un sacco di belle donne a dirmi: “Ah, quando avevi 20 anni, o 30 anni, avrei fatto follie per te” e io: “E perché non sei venuta? Dov’eri?” Le persone in genere pensano per paro- le, solo i matematici e i musicisti hanno un linguaggio altro, quello dei numeri, e questo ci rende strani. Mia moglie spesso mi accusa di non esserci, perché magari sto pensando a una musica, a qualcosa che mi gira per la testa. A mia volta lo vedo in mia figlia, musicista anche lei, sempre lì a cantare. E mi accorgo che mentre le parlo lei sta pensando ad altro. Però tu hai il vaccino e riconosci il suo retropensiero. E proprio per questo io e lei ci capiamo. Ma tornando ai musicisti, abbiamo anche molte fisime: io detesto chi usa male la voce. Ricordo Bill Clinton, con quella laringite perenne. Mi fa male solo sentirlo parlare. Beh, sarà stata una malattia professionale, quanto avrà dovuto parlare, durante il mandato presidenziale! Sì. Anche perché si fa più fatica a parlare che a cantare. Paradossalmente alcune canzoni riposano la voce, la scaletta di un concerto si fa anche pensando a quello. E torniamo a parlare di musica. Che dischi consigli ai lettori di Club Milano? Sto ascoltando Tilt di Scott Walker, i Beirut, Blunderbuss di Jack White (leader degli White Stripes, loro il poporoppopopo, NdR), poi c’è il mio all 17 Cover story Cover story “Una volta che hai eseguito anche in minima parte composizioni di John Cage, la tua mente si è aperta” La playlist preferita di Eugenio Finardi: Tilt di Scott Walker, Blunderbuss di Jack White, Mescalero degli ZZ Top e So Beautiful or So What di Paul Simon. star di sempre che è Mescalero degli ZZ Top e… ah no! È bellissimo l’ultimo di Paul Simon, So Beautiful or So What. Passiamo alla musica fatta in casa. In questi giorni sono in sala prove per creare cose nuove. Ho idee che devono ancora cristallizzarsi. A proposito di prove: hai presentato al Blue Note di Milano una reinterpretazione in chiave quintetto jazz del tuo repertorio. Quanto avete provato prima della prima? Quattro ore. Un paio d’ore il giorno prima e quattro ore il giorno stesso. Questo prima della data zero che abbiamo tenuto in Puglia quest’estate. Prima del concerto al Blue Note abbiamo provato giusto un paio d’ore. Non sei uno che butta via le ore. No, è che non c’è bisogno. Uno dei dischi migliori che ho registrato negli ultimi anni è quello su Vysotsky (Vladimir Semënoviò Vysockij, poeta, chitarrista, attore – fonte Wikipedia) con il quale ho vinto la targa Tenco, diretto da Carlo Boccadoro con musiche di Filippo Dal Corno insieme all’ensemble di classica contemporanea Sentieri Selvaggi. Bene, quel disco (Eugenio Finardi intepreta Vladimir Vysotsky) è stato registrato dalle due del pomeriggio alle due di notte. Sai, la musica classica è scritta su spartito, quindi la esegui e buona la prima. Niente ansia da prestazione? No, anzi, adrenalina. Come quello che si è lanciato da 39.000 metri. Ho pensato immediatamente “anch’io lo voglio fare”. Diciamo che ogni esperienza musicale fatta, dal fado al blues alla classica al teatro alla narrazione, ha aggiunto un tassello alle mie capacità. E a ogni livello salivo di grado, come in un 18 videogioco. Una volta che hai eseguito anche in minima parte composizioni di John Cage, la tua mente si è aperta. Non impari a cantare tutto, ma impari ad ascoltare quello che ti sta attorno. E poi il bello del jazz è l’improvvisazione, a ogni concerto il pubblico sentirà note e interpretazioni uniche. Questo prendersi dei rischi è parte del gioco. Quindi parliamo di una dimensione artigianale, materica della musica. Dipende. Il musicista è condannato a essere musicista, ne parlavamo prima. Quelli che vogliono fare i musicisti per autonominarsi artisti esistono, ma non vanno molto lontano – a parte nella canzonetta italiana. Ma per chi nasce condannato, con il linguaggio della musica già acceso, non è una scelta. Un esempio di talento su tutti? Mario Convertino, il fondatore dello studio in cui ci troviamo ora, era un vero artista: se quello che il cliente gli chiedeva andava contro la sua visione, non riusciva a farlo. Un controesempio? Il caso attuale è quello di Paolo Giordano, autore de La solitudine dei numeri primi; è ora al suo secondo romanzo e lo accusano di aver scritto lo stesso libro. Quello è un problema. Io vengo accusato di cambiare continuamente genere, ma quello che rispondo è che non sono nato nella canzone d’autore, io provengo dal blues, dal rock e quindi mi adatto. Che è il limite a volte del pop, della Pausini, del pausinificio che la circonda. Eh, lì è una scelta industriale. Invece prendi Lucio Dalla: nel suo universo armonico era completamente immerso e lo riconoscevi sempre, subito. Due persone che ti hanno lasciato a bocca aperta? Lucio Bardi, chitarrista di De Gregori: a 12 anni ero in sala prove con Alberto Camerini, ci prendemmo una pausa per litigare al bar, lui rimase giù e quando tornammo stava suonando da solo; era già ai livelli di Eric Clapton. Un altro è Massimo Martellotta, il chitarrista dei Calibro 35. Vivi nella musica da oltre 40 anni. Fai una previsione per il futuro? Penso che rock e derivati saranno una costante, sono la nuova classica, i musicisti hanno un rispetto etimologico per il genere. Il rap e la cassa in quattro hanno fatto il giro del mondo e ora stanno tornando da est. Le prossime star verranno dall’India e dalla Cina, dal Maghreb. I nuovi Beatles arriveranno da lì. iPod o giradischi? iPod. Ne ho uno carico con tutti i miei brani che uso come archivio. Ora dovrò prenderne un altro da 180 giga per riempirlo di altre canzoni. Raccontaci l’esperienza più emozionante della tua carriera. Il mio primo concerto alla Scala, a gennaio 2011. Con mia madre e la mia famiglia nel palco reale. Ma anche cantare L’inno di Mameli in piazza San Giovanni a Roma per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Salutiamo e prendiamo il tram. Guardiamo fuori. Scorgiamo la targa Non gettate alcun oggetto dai finestrini. Titolo del disco d’esordio di Eugenio Finardi, 1975, Cramps Records, prodotto insieme ad Alberto Camerini, con cameo di Franco Battiato (sotto lo pseudonimo Franc Jonia), altre eccellenze dal passato milanese. Ma questa è un’altra storia. 19 Portfolio Portfolio inferno bianco Quando si narra dei marinai di una volta si parla spesso di “uomini di ferro su navi di legno”, mai espressione è stata tanto appropriata come nel caso del capitano Ernest Shackleton e del suo equipaggio. L’avventura della nave Endurance (1914-1917), se pur fallimentare, è forse la più incredibile nella storia delle esplorazioni di inizio secolo. Incredibili sono anche le foto di Frank Hurley, il fotografo ufficiale della missione: scatti che danno ancora di più l’idea della grandiosità dell’impresa. di Andrea Zappa Foto courtesy Nutrimenti / Frank Hurley L’Endurance non raggiunse mai le coste antartiche. L’obiettivo della missione era di navigare attraverso il Mare di Weddell (Oceano Atlantico) fino al continente bianco, sbarcare e raggiungere con le slitte, passando per il Polo Sud, il Mare di Ross (Oceano Pacifico), dove, una seconda nave, l’Aurora, avrebbe dovuto recuperare l’intera spedizione. Purtroppo il tre alberi di 44 metri rimase imprigionato tra i ghiacci andando così alla deriva per mesi, sino a quando il 21 novembre del 1915 la nave venne letteralmente sbriciolata dalla morsa dei ghiacci, costringendo Shackleton e i suoi a un’estenuante lotta per la sopravvivenza. Il comandante porterà in salvo tutti i suoi uomini. Il 9 agosto 1914 Shackleton parte da Plymouth, Inghilterra, con 28 uomini, 69 cani e un gatto, Mrs Chippy. A dicembre l’Endurance si trova a fare rotta nel Mare di Weddell, ma la nave incontra quasi subito il pack (strato di ghiaccio derivato dallo sgretolamento della banchisa) e la missione si rivela un’estenuante ricerca di spazi d’acqua navigabili. Cinque settimane di inferno bianco, dove gli uomini, per avanzare, sono costretti a sbarcare e rompere con seghe e picconi il ghiaccio. Il 19 gen20 naio 1915, non c’è più nulla da fare, l’Endurance si ritrova completamente imprigionata. A maggio, oltre che dal ghiaccio gli uomini di Shackleton vengono avvolti anche dal buio del lungo inverno australe: le ore di luce sono solo due. La temperatura esterna si aggira attorno a -25° C. La pressione del pack è elevata, la nave inizia a gemere e a torcersi e lo scafo viene sfondato dal ghiaccio. Il 27 ottobre Shackleton è costretto a dare l’ordine di abbandonare la nave. Ora c’è solo una cosa da fare, tornare a casa trascinando sul ghiaccio le tre scialuppe di sette metri salvate dall’inabissamento della nave avvenuto a novembre. I crepacci e i taglienti Blizzard (le tempeste di neve) rendono l’avanzamento impossibile: solo 18 chilometri in una settimana. L’idea viene abbandonata e si decide di fare campo e aspettare la frantumazione del ghiaccio. Le provviste iniziano a scarseggiare e gli uomini per sopravvivere devono abbattere i cani da slitta. A inizio aprile l’equipaggio si divide sulle tre scialuppe e abbandona finalmente il pack. Dopo circa una settimana di navigazione, il 14 aprile 1916, Shackleton e i suoi sbarcano sull’isola di Elephant: uno “scoglio” inospitale ricoperto di neve e ghiaccio, fuori da qualsiasi rotta. Lì non li troveranno mai. L’unica possibilità per non morire di stenti è tentare di raggiungere con una delle scialuppe una stazione baleniera della Georgia del Sud a circa 800 miglia nautiche (1.400 km in uno dei mari più tempestosi al mondo). Il 24 aprile 1916 Shackleton parte con cinque uomini. L’equipaggio sfida a forza di remi e con una piccola vela le grandi onde dello Stretto di Drake, il 9 maggio la scialuppa tocca nuovamente terra, concludendo una delle più temerarie navigazioni della storia. Ma la costa raggiunta è quella sbagliata. La stazione baleniera è sull’altro lato dell’isola. A questo punto Shackleton, Worsley e Tom Crean decidono di tentare la scalata delle montagne ghiacciate che li separano dalla costa abitata. Riescono nell’impresa e i balenieri di Stromness li accolgono increduli. Una volta in salvo Shackleton inizia a organizzare una spedizione di soccorso per il recupero degli altri marinai. Soltanto però al quarto tentativo, a bordo di una nave militare cilena, riuscirà a raggiungere nuovamente i suoi uomini. È il 30 agosto 1916. L’Endurance imprigionata tra i ghiacci mentre va alla deriva a 69° di latitudine Sud. Il tre alberi di 44 metri e 300 tonnellate si sbriciolerà sotto la morsa del pack il 15 novembre 1915, lasciando in mezzo a un inferno bianco i 28 uomini di equipaggio. 21 Portfolio Foto sopra. L’unico modo per far avanzare l’Endurance è scendere sul pack e rompere a forza di braccia il ghiaccio. Foto a fianco. Cena del giorno di mezzo inverno, 22 giugno 1915. 22 Portfolio L’equipaggio prepara i cani per una battuta di caccia. Il cibo inizia a scarseggiare e bisogna recuperare carne fresca di foche e pinguini, 25 agosto 1915. 23 Portfolio Portfolio L’Endurance cede Foto sopra. sotto la pressione Una delle tende del ghiaccio. Il pack di Ocean Camp, il respira, si spacca e si campo attorno alla ricompatta creando nave che ospiterà “schegge di ghiaccio” per mesi l’equipaggio che sollevano e dell’Endurance. perforano lo scafo. Foto a fianco. La partenza da Elephant Island di Shackleton con cinque uomini. La scialuppa navigherà per 16 giorni nel tempestoso Stretto l’occhio di hurley Shackleton in Antartide è il volume fotografico, edito da Nutrimenti (pp.288 – 29 euro), sulla leggendaria spedizione dell’Endurance. Il libro raccoglie più di 200 fotografie che Frank Hurley scattò durante i due anni che trascorse sul pack prima e su Elephant Island poi, 24 come membro della missione. Nonostante fosse stato costretto ad abbandonare gran parte delle attrezzature Hurley continuò il suo lavoro sino alla fine, documentando un’eccezionale impresa che, senza quelle foto, sarebbe stata forse dimenticata. www.nutrimenti.net di Drake prima di raggiungere la Georgia del Sud. 800 miglia su una lancia di sette metri: un’impresa epica. 25 FOCUS FOCUS CIGAR MOVIE MENEGHINO poltrona per cigar addicted Il design pensa agli amanti del sigaro e crea Garibaldi, poltrona fumoir disegnata da Luca Scacchetti per Domodinamica. Dotata nei fianchi di un piano ribaltabile verso l’alto dove è possibile appoggiare tutto quello che serve per gustare al Milano scopre il “fumare bene” e diventa amante dei sigari. Cubani & co. si svelano con luoghi da scoprire e regole da imparare catapultandoci in un universo di storie affascinanti e seducenti. massimo un buon cubano, la seduta e il suo pouf sono realizzati con telaio in legno multistrato di pioppo e imbottitura poliuretanica flessibile. A completare il progetto ci pensa Paolo Castelli che realizza la lampada aspirante Fumò. Base in marmo bianco di Carrara, stelo e cappello aspirante in acciaio verniciato. di Elisabetta Gentile 01 01. Il locale milanese Noon sceglie mobili di modernariato per il suo fumoir dalle atmosfere chic e dal sapore vintage. 26 La leggenda narra che l’embargo americano a Cuba del 1960 venne posticipato di 24 ore per poter rifornire JFK e la Casa Bianca di Avana. È noto che Churchill amasse così tanto fumare da addormentarsi con un cubano ancora acceso tra le mani, per questo le sue cravatte erano spesso bucate. Verità o fantasia, il mondo dei sigari racchiude storie meravigliose e tradizioni affascinanti. Anche a Milano, dove si scrive la sceneggiatura di un nuovo genere: il cigar movie. Fatto di personaggi e attori fenomenali. La location è la Casa del Habano, luogo di culto per gli amanti meneghini del sigaro, gestito con maestria dai fratelli Luca e Simone Borla. L’attore principale è Stefano Bertini. Per lui i sigari (caraibici) sono diventati il pane quotidiano da quando, nel 2005, ha aperto la propria società di distribuzione, unica in Italia a importare Flor De Selva, Villa Zamorano e Cumpay, direttamente dall’Honduras e dal Nicaragua. Si comincia con le regole del fumare nel modo giu- indirizzi La Casa del Habano via Augusto Anfossi, 28 The Westin Palace Milan piazza della Repubblica, 20 Bulgari Hotel Milan via Privata Fratelli Gabba, 7/b Noon Milano via Giovanni Boccaccio, 4 Bertini Lupi Sigari via Castel Morrone 1/a sto: “Gli accendini sono permessi ma solo di alcuni tipi. Vietati gli zippo che con la benzina intaccano il sapore, l’ideale è un fiammifero di cedro. La conservazione deve essere fatta servendosi degli humidor che sono scatole rivestite di cedro, umidificate al 60/75% che garantiscono il corretto mantenimento e difendono il sigaro dal temuto lasioderma (parassita del tabacco, NdR)”. E ancora: “il sigaro premium, quello vero, è fatto a mano con foglie intere. Poi ci sono quelli fatti a macchina, detti meccanizzati, che possono avere all’interno foglie intere oppure trinciato (tabacco tagliato e sminuzzato, NdR). Ma di solito il vero intenditore non li fuma”. La regola aurea per Stefano è che “il fumatore di sigaro è appassionato del bon vivre”. Buon vino, ottimo cibo e un cubano, per un trittico che non delude mai. Ma questa è solo la base (ludica). La faccenda in realtà è molto più seria. Si parla infatti – come precisa Bertini – di qualcosa che già esisteva migliaia di anni fa e “le rovine della Valle di Copán in Hondu- 02 ras ne sono testimonianza, con incisioni che raffigurano uomini che fumano”. I nostri fratelli maggiori realizzavano sigari secondo il metodo contemporaneo. Essiccazione e fermentazione erano e sono le basi per creare il prodotto. Cubano o toscano che sia. E se questi sono gli step fondamentali per la realizzazione, gli interpreti di questa saga lunga vite intere sono degni della miglior tradizione narrativa. Personaggi gloriosi già solo nei nomi, che ti fanno venire voglia di aspirare per prendere parte a quest’affascinante commedia umana. Maestri de liga o master blender, a seconda della scelta linguistica, torcedor e catador: eccoli i divi del sigaro! I primi decidono e selezionano i tabacchi da usare, i secondi trasformano in realtà queste scelte e gli ultimi sono veri e propri sommelier. E poi c’è lei, come in ogni film che si rispetti, la donna. E nel cigar movie di Stefano il ruolo è interpretato da Maria Pia Selva detta Maya Selva. Natali hondureñi, studi a Miami e vita a Parigi. Produttrice di tabacco, unica donna a imporsi nei punti di potere del fumo caraibico. L’incontro tra i due co-protagonisti avviene tramite Internet. Un contatto, un appuntamento, un sodalizio. Se i Flor de Selva prodotti da Maya si trovano nel nostro Paese è solo merito e giusta intuizione di Stefano che con la sua attività cerca di diffondere il più possibile la cultura del buon fumo. Ma non è l’unico. Paladini sono anche i membri del Cigar Club Ambrosiano. Fondato nel 2002 da cinque ragazzi milanesi, conta oggi una trentina di iscritti. “Il nostro punto di partenza è un buon Avana, ma siamo aperti anche agli altri”, spiega Pietrogiacomi, membro dell’associazione da due anni e orgoglioso di poter diffondere la bellezza della convivialità del fumare insieme. Il “Fight Club” del tabacco si riunisce ogni mercoledì al fumoir del Westin Palace che in città, insieme a quello dell’Hotel Bulgari e del Noon, è l’unico luogo dove si possono degustare in pace e tranquillità cubani & co. 02. La cura dei dettagli nella preparazione, dal raccolto fino al packaging, rendono i sigari di Maya Selva prodotti di prima qualità. Foto A.C. Wöhrl per Villa Zamorano. 27 Interview interview philippe daverio “L’Expo? La città non è pronta, il sistema dei trasporti non c’è e delle tematiche dell’evento non si discute.” milano “l’autostoppista” Critico d’arte, docente universitario, conduttore tv. Abbiamo raggiunto l’intellettuale più “pop” d’Italia per un parere sull’offerta culturale milanese, le nuove architetture del centro città e l’appuntamento, sempre più vicino, dell’Expo 2015. di Jean Marc Mangiameli Foto courtesy ufficio stampa Rai 28 Prof. Daverio, ci consigli una mostra da vedere a Milano. Una buona mostra è quella che celebra il XVII centenario dell’editto di Costantino, realizzata dal Museo Diocesano (a Palazzo Reale fino al 17 marzo 2013, curata da Gemma Sena Chiesa e Paolo Biscottini, NdR). È il risultato di una ricerca, non di un’operazione preconfezionata, come quasi tutte oggi. Quando facevo l’assessore avevo creato una macchina di produzione intellettuale e di ricerca interna al comune di Milano: non compravamo mostre, ma ne elaboravamo sempre di nuove. Lei era nella giunta di Marco Formentini, che rapporto ha oggi con la Lega? Formentini e la Lega non sono la stessa cosa. Inoltre, nei primi anni, la Lega era un partito fortemente innovativo, di rottura, di critica; era un’alternativa alla Milano corrotta di tangentopoli. C’era una grande energia e volontà di cambiamento. Oggi non è più così, la Lega è un partito mediocre, che sta tentando faticosamente di rinnovarsi senza più l’appoggio trasversale di una società innovativa. Oggi l’elettorato è sostanzialmente reazionario – nel senso etimologico della parola – senza più volontà di fabbricare tempi nuovi. Dell’attuale sindaco cosa mi dice? Ho sostenuto molto Pisapia in campagna elettorale, ma oggi non sono più molto convinto. Non ho visto succedere nulla di interessante. Sembra che manchi un’idea di futuro e che i grandi temi che dovevano venire affrontati in modo intelligente siano stati lasciati li dov’erano. L’Expo avrà un seguito molto modesto rispetto a quelle che sono le aspettative. A proposito, tutti ne parlano come di una grande opportunità, ma per chi? Per chi fa affari immobiliari. Milano non è in grado di affrontare un così grande numero di presenze. Se va in tilt col Salone del Mobile, con appena 400 mila anime, figuriamoci con l’Expo, dove si arriverà a sei milioni. La città non è pronta, il sistema dei trasporti non c’è e delle tematiche dell’evento non si discute. Il dialogo sull’alimentazione nel mondo, sul rapporto tra la città e la campagna, sulla sopravvivenza del pianeta, lei ne ha mai sentito parlare? L’Expo ha generato anche parecchi investimenti immobiliari. Cosa ne pensa delle nuove emergenze architettoniche del centro città? Da una parte trovo che i grattacieli mettano di buon umore, la gente è contenta. Paradossalmente si recupera il rapporto con la campagna, questo perché oggi la natura a Milano non si vede, ma dal tetto dei grattacieli sì. Non sono d’accordo però sulla scelta di chiamare architetti stranieri, e per giunta nemmeno i più noti al mondo. Quando eravamo noi a realizzare le nostre architetture oggettivamente avevamo più successo. Guardi la Torre Velasca per esempio, i giapponesi ce l’hanno copiata e sono ancora lì a fotografarla. Le faccio notare però che non tutti i milanesi amano quell’edificio... Perché è tenuto molto male, avrebbe bisogno di un rilancio. Dal punto di vista architettonico è mirabile e la sua morfologia linguistica è interessante perché è la trasposizione moderna della torre del Castello Sforzesco. È stata molto copiata in Giappone e in Cina ed è un esempio eclatante di come noi italiani per tanti anni siamo stati i protagonisti, mentre oggi non lo siamo più. Continui... Ad esempio, il Pirelli ha ispirato il grattacielo MetLife (ex Pan Am) di New York. Tre anni dopo, a Giò Ponti venne affidata la concessione della realizzazione del Museo di Denver in Colorado: un capolavoro architettonico. Io penso che nella vita sia più bello essere protagonisti che autostoppisti. Purtroppo, negli ultimi anni, Milano ha smesso di essere protagonista per essere autostoppista. Parliamo di progetti italiani allora, come il Bosco verticale di Boeri. Cosa ne pensa? Vorrei vederlo finito. Con queste architetture contemporanee si pone un problema che prima non c’era. Noi usiamo marmo e cotti che col tempo migliorano. Invece l’architettura nord europea e americana utilizza materiali che vanno presto in obsolescenza e necessitano di parecchia manutenzione. Noi non abbiamo questa cultura, ogni volta che si devono pulire i vetri diventa un problema. Bosco verticale andrà incontro a difficoltà analoghe. Se la manutenzione c’è, sarà interessante, altrimenti genererà cadaveri. Mi tolga una curiosità: dove va a fare shopping? Mi rivolgo a parecchi sarti. Una volta ne avevo uno che lavorava direttamente in casa mia, ora mi affido a un napoletano molto bravo, che vive e lavora a Carrara. Ogni tanto le camicie me le faccio fare in Calabria, oppure a Londra o a New York. Insomma, dove capita. Devo però confessare che molti gilet me li compra mia moglie, nei negozi vintage. Qual è il suo luogo preferito a Milano? Direi casa mia. Suvvia, ci sarà pure uno spazio pubblico... No, per quanto riguarda gli spazi pubblici, non trovo che Milano sia stata in grado di fare qualità. Poi io esco poco, vado in giro per il mio quartiere, tra via Amedei e P.zza Sant’Alessandro. 29 FOCUS FOCUS L’ acqua che arriva da lontano Dai ghiacciai della Patagonia agli atolli dell’Oceano Pacifico: un viaggio alla ricerca delle acque più pure da portare in tavola. Con un occhio all’ecologia e al design. La Carta delle Acque La mineralizzazione, il pH e le altre caratteristiche organolettiche permettono alle acque di differenziarsi tra di loro in maniera anche sensibile: con la Carta delle Acque, stilata dall’Associazione Degustatori Acque Minerali, si è cercato di valorizzare queste differenze proponendo abbinamenti specifici, esattamente come si fa con i vini. La regola aurea è quella dei contrasti: acque acidule per pietanze grasse, acque molto mineralizzate e sapide per le portate più leggere o i dolci. www.degustatoriacque.com di Filippo Spreafico 01 01. Il nome del brand finlandese Veen Waters deriva dalla dea Veen Emonen, la Madre dell’Acqua. Le bottiglie sono realizzate dal designer Antti Eklund. 30 Storicamente l’Italia mantiene nei confronti dell’acqua un atteggiamento paradossale: nonostante sia circondata dalle migliori fonti al mondo e sia dotata di un sistema “acquedottistico” di buon livello, il nostro paese è da sempre ai primi posti per consumo pro capite di acqua in bottiglia: nel 2011 ci siamo posizionati addirittura terzi al mondo dopo Arabia Saudita e Messico. Il consumo di acqua in bottiglia si traduce oggi in un’offerta sempre più varia e specializzata, ma soprattutto sempre più attenta alla propria qualità: dopo vino, olio e birra, anche l’acqua reclama a gran voce una presa di coscienza, quella di un prodotto destinato a diventare raro e prezioso, da cercare e selezionare perché diventi finalmente protagonista della tavola. Fino a oggi relegate all’ambito della ristorazione di lusso, le acque pregiate vedono in questi ultimi anni un notevole sviluppo in termini di mercato, grazie soprattutto alla diffusione di spazi adatti alla vendita, come le gastronomie di qualità, o di portali online completamente dedicati. È altrettanto vero che la costante richiesta di acqua imbottigliata e il suo ap- sul web www.fijiwater.com www.vosswater.com www.blingh2o.com www.diucowater.com www.veenwaters.com provvigionamento nei più remoti angoli del globo comportano notevoli conseguenze in termini ambientali ed ecologici: in un mondo che si muove sempre più verso una consapevolezza a chilometro zero, come è possibile mettere d’accordo il bisogno di lusso con una coscienza ecologica? La risposta sta nella sostenibilità dei processi e nella compensazione delle emissioni prodotte. Tra le prime a essersi imposte sul mercato delle acque di lusso, la Fiji Water è forse oggi il marchio più celebre e popolare, anche grazie al sostegno ricevuto, in termini di immagine, da numerose star internazionali. L’acqua viene prelevata direttamente da una falda artesiana di Viti Levu, una delle principali isole dell’arcipelago vulcanico: il punto di forza del prodotto sta in un sistema di imbottigliamento completamente automatizzato, che non prevede l’intervento umano, permettendo così di arrivare al consumatore finale perfettamente vergine, “untouched by man” come precisa il claim dell’azienda. Per compensare i costi energetici e garantire il minor impatto ambientale possibile, oggi Fiji Water è partner di numerose 02 iniziative e progetti volti alla salvaguardia dell’ecosistema locale, dalla scelta di packaging responsabili all’impiego di trasporti a bassa emissione. Imbottigliata nel suo inconfondibile e iconico cilindro di vetro, l’acqua Voss arriva direttamente dal cuore della Scandinavia: la purezza del prodotto e la sua composizione oligominerale la rendono una delle acque preferite dai grandi ristoranti e alberghi del mondo, tra cui anche l’Hilton e il Park Hyatt di Milano. Le strategie di sostenibilità ambientale intraprese dal gruppo svedese consentono inoltre di azzerare completamente le emissioni di CO2, offrendo all’utente un prodotto dall’anima green. Punta invece tutto sulla sua immagine glamour e su un packaging d’impatto una delle acque più costose al mondo, la statunitense (meglio, hollywoodiana) Bling H2O, di stanza presso gli eventi più esclusivi dello show business internazionale: venduta unicamente nel suo store online, l’acqua è disponibile in bottiglie di diversi formati ed edizioni, dalle Platinum Bottle alle versioni completamente realizzate a mano e tempestate di cristalli Swarovski. Il viaggio dell’acqua Diuco comincia invece dai ghiacciai delle Ande e termina a Collòn Curà, un villaggio di 200 anime nel cuore della Patagonia, dopo un lungo percorso sotterraneo che le garantisce una filtrazione perfetta e completamente naturale: quella che risulta è un’acqua antica e delicata, oggi riscoperta e impreziosita da un packaging ricercato e di altissimo design che l’ha portata a essere uno dei premium brand più importanti di tutta l’Argentina. Di natura altrettanto esclusiva e presente solo in selezionati ristoranti, Spa e alberghi del mondo, l’acqua Veen viene raccolta in Lapponia, prelevata direttamente da una fonte a flusso libero e filtrata dai sedimenti millenari dell’area. Il gruppo Veen Waters è rinomato nel mondo non solo per la bontà dell’acqua, ma anche per il pluripremiato design delle sue bottiglie di vetro, esposte oggi all’interno dell’Helsinki Design Museum. Nonostante tutto, la domanda rimane: in un mondo dove l’acqua è sempre più un bene per pochi, bastano un’impronta ecologica a impatto zero, un design ricercato e una qualità certificata a giustificare questa risorsa come il nuovo prodotto di lusso? 02. L’inconfondibile design delle bottiglie Voss, l’acqua norvegese rigorosamente artesiana oggi presente sulle tavole dei migliori ristoranti del mondo. 31 FOCUS FOCUS Capo, ho perso l’aereo… Avete mancato la coincidenza? Siete in anticipo di tre ore sul volo? Niente paura, perché a rendere più piacevole la permanenza in aeroporto ci sono ora centri benessere, locali e ristoranti d’autore. E presto anche un museo. di Alessia Delisi 02 LE COCCOLE DI ETIHAD Ecco come l’attesa di un volo Etihad Airways può rivelarsi un’esperienza piacevole: la compagnia aerea offre infatti ai suoi ospiti della Classe Pearl Business e Prima Classe Diamond un’incredibile pausa di relax nelle esclusive aree lounge dell’Aeroporto Internazionale di Abu Dhabi, oltre che in quelle di tutti gli altri aeroporti di destinazione. Trattamenti benessere da 15 minuti nella prestigiosa Six Senses Spa e menu à la carte nel ristorante riservato. Inoltre Champagne bar e Cigar Lounge per gli amanti di sigari e bollicine. 03 01 01. Una veduta del mercatino di Natale dentro l’aeroporto di Monaco di Baviera. 32 Non più semplici luoghi di transito, ma avveniristiche strutture in cui è possibile praticare attività di ogni tipo, tra cui naturalmente volare. È questo l’identikit dei moderni aeroporti. A firmarli sono, il più delle volte, architetti e designer di fama internazionale il cui intento è quello di interpretare le esigenze di chi, sempre più spesso, trascorre in queste moderne cattedrali gran parte del proprio tempo. Non solo: molti dei più favolosi e importanti aeroporti mondiali posseggono qualità compositive impensabili altrove, ma capaci nel contempo di definire la città che li ospita con tutta la sua ricca trama culturale. Ne è un esempio il futuristico Terminal 3 dell’aeroporto internazionale di Pechino: realizzato nel 2008 dall’architetto britannico Norman Foster per supportare l’afflusso di turisti durante i giochi olimpici, ha la forma di un dragone stilizzato che evoca, con i colori rosso e oro, i fasti della Cina imperiale. Inutile aggiungere che è dotato di ogni comfort possibile, costituendo una sorta di città nella città: ci sono infatti ristoranti e fast food, supermercati, negozi e boutique di lusso, oltre ai numerosi angoli di meditazione e riposo che reinterpretano i principi tipicamente orientali del Feng Shui. Il Changi Airport di Singapore, invece, con i suoi tre terminal costituisce un vero e proprio eden dedicato a tutti i business traveller che vogliano alleviare lo stress da jet-lag, magari con una seduta di riflessologia plantare o con una passeggiata tra gli spettacolari giardini: dal Butterfly Garden, dedicato alle diverse specie di farfalle tropicali, all’inebriante Fragrant Garden che vanta un’incredibile varietà di alberi profumati. Servizi da mille e una notte anche nelle numerose aree lounge dell’aeroporto internazionale di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, mentre all’Incheon International Airport di Seul chi non è stanco può optare per una partita a golf o un giro di roulette al Golden Gate Casinò. Neppure l’Europa è da meno quando si tratta di rendere più piacevole la permanenza a terra tra un volo e l’altro, basti citare l’imponente Terminal 5 dello scalo di Londra Heathrow. Realizzato da Richard Rogers, già autore del sinuoso Barajas di Madrid, rappresenta uno straordinario esempio di architettura eco-compatibile, recentemente insignito del prestigioso premio “Supreme Award for Structural Engineering Excellence”. Al suo interno, oltre agli shop delle migliori marche, il Caviar House & Prunier, ristorante del pluristellato chef britannico Gordon Ramsay, in cui, accanto all’eccellente selezione di caviali Prunier, è possibile degustare il celebre salmone affumicato Balik. Il tutto naturalmente accompagnato da una selezione di vini e champagne da veri intenditori. Altro concept per Ikarus, ristorante dell’Hangar 7 di Salisburgo che, sotto la guida dello chef altoatesino Roland Trettl, ospita ogni mese una star della cucina internazionale con l’intento di creare, nel corso dell’anno, un incredibile patchwork di sapori. A novembre sarà la volta dell’olandese Jacob Jan Boerma, mentre a dicembre a deliziare i palati fini sarà la cucina tecno-emozionale dello spagnolo Ramon Freixa. E se gli aeroporti di Londra e Salisburgo sono la dimostrazione del fatto che anche le attese più estenuanti possono avere le loro dolcezze, a Parigi invece a fare da protagonista è l’arte: a partire dal 2013 infatti lo scalo di Roissy Charles de Gaulle verrà dotato di uno spazio museale destinato a ricevere una selezione di opere provenienti da alcune delle più grandi istituzioni francesi. Certo non sarebbe la prima volta che un aeroporto si consacra all’arte: in Olanda, per esempio, l’Amsterdam-Schiphol vanta già da tempo uno spazio riservato al Rijksmuseum, uno dei più importanti musei della città. E non è tutto: all’aeroporto di Monaco di Baviera c’è persino un mercatino di Natale in cui potere approfittare dell’attesa per fare gli ultimi acquisti. Insomma, qualunque sia la loro attrattiva, la tendenza degli aeroporti moderni è quella di trasformarsi in luoghi capaci di attirare anche i non-viaggiatori. Luoghi in cui poter sostare e godere di esperienze piacevoli. E poi, se c’è tempo, volare. 02. ll ristorante Ikarus del Red Bull Hangar-7 dell’aeroporto di Salisburgo. Foto di Helge Kirchberger. 03. Il suggestivo Butterfly Garden all’interno del Terminal 3 del Changi Airport di Singapore. 33 design advertorial Omega 3 sotto l’albero Un esempio calzante Le festività natalizie sono ormai alle porte e il consorzio Bleu Blanc Coeur Italia propone per l’occasione dei cesti-dono di prodotti sani dagli elevati standard nutrizionali. Una piacevole sorpresa ricca di Omega 3. La Falkland è disponibile in 3 differenti lunghezze: l’originale disegnata da Bruno Munari lunga 165 cm e due versioni più corte derivate dall’idea iniziale di info Fattorie Italiane servizi srl via Alessandria 8 Milano T 02 83311200 www.bleu-blanc-coeur.com/ita Il Natale ideale per un italiano? Una tavola imbandita, cibo di qualità e un folto numero di parenti e amici con i quali festeggiare e condividere le prelibatezze del menù. Bleu Blanc Coeur Italia lo sa bene e con i suoi cesti Extralusso, Stellato, Soffice e Candido offre un’esperienza unica che unisce gusto e piacere al concetto di prodotto sano, frutto di una filiera alimentare rigorosa e controllata che ha alla base l’utilizzo del lino. In passato gli animali di allevamento venivano alimentati sulla base di questa pianta erbacea ricca di Omega 3 e con una ridotta presenza di grassi saturi (Omega 6). Il risultato erano prodotti come uova, latte e carne dal profilo nutrizionale eccellente ed equilibrato. La sfida del consorzio BBC è di ritornare a integrare l’alimentazione degli animali con il lino, così da garantire 34 nel giro di pochi mesi ottimi risultati nell’alimento finale che risulta di gusto e di qualità superiore. I benefici del lino per l’animale riducono inoltre una parte dei costi aggiuntivi dell’allevamento (approccio nutrizionale più efficiente, riduzione di costi sanitari, etc.) È dunque una filiera agricola rigorosamente controllata in ogni sua fase a fare la differenza, riuscendo così a garantire al consumatore finale un’alimentazione con caratteristiche nutrizionali migliorate. Gli Omega 3 sono infatti acidi grassi “buoni”, fondamentali per la salute: risultano importanti per la formazione delle membrane cellulari e dei tessuti nervosi, per garantire una migliore risposta immunitaria e per aiutare a prevenire le malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Purtroppo attraverso la dieta normale ne assumiamo solo la metà del fabbisogno quotidiano (due grammi al giorno). Per questo, il reintegro del lino alla base dell’alimentazione animale rappresenta una garanzia di qualità e attribuisce alla filiera BBC un obiettivo salutistico, aspetto riconosciuto anche dalla Comunità Europea. Bleu Blanc Coeur Italia, che conta circa 30 membri, divisi in sette categorie (produzione vegetale, alimentazione animale, produzione animale, agricoltori produttori, trasformatori, distributori e consumatori) rientra in un progetto internazionale che vede coinvolti anche: Inghilterra, Canada, Spagna, Israele, Paesi Bassi, Portogallo, Svizzera e Tunisia. I prodotti BBC costano mediamente solo un 10% in più rispetto ai prodotti standard, ma al contempo sono portatori di un concetto fondamentale: “la salute nasce da ciò che mangiamo”. Anche a Natale. Munari di vendere il diffusore “al metro”. Bruno Munari, attento osservatore del quotidiano, è sempre riuscito a rivoluzionare gli usi del popolo italiano, dalle forchette parlanti alle calze luminose. Testo e illustrazione di Dino Cicchetti 35 laviniastyle.com design 01 01. La lampada venduta a 215 euro può essere lavata senza dover togliere gli anelli. 36 È divertente immaginare cosa avesse di fronte Bruno Munari quando ideò la lampada Falkland per Danese. Lo si può pensare attento spettatore in un night club a osservare donnine formose che si denudano, oppure ostaggio di rapinatori dal volto coperto in una banca o, ancora, e forse sembra la teoria più plausibile, passante curioso fra i vicoli grigi della sua Milano, quando stendere i panni per le vie del quadrilatero non era un delitto. Sì, perché la lampada Falkland è fatta per buona parte di filanca, il tessuto sintetico delle calze femminili a cui si agganciano degli anelli concentrici di metallo. È stata progettata nel 1964, solo cinque anni dopo la creazione del collant in nylon. Lo stesso Munari raccontava: “Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada. Noi non facciamo lampade, mi risposero. E io: vedrete che le farete”. Spiegata così la Falkland però non sembra un granché, eppure si tratta di uno dei capisaldi del Kaa /// cocoon Un’alternativa tecnica all’utilizzo della filanca, è sempre stato il cocoon. Questo materiale, all’apparenza un tessuto tesato, è in realtà una resina spruzzata nata in ambito militare negli Stati Uniti. Il primo a impiegarla fu il designer americano George Nelson negli anni Cinquanta. Venne poi ripreso dai fratelli Castiglioni che ne intuirono il potenziale e crearono la lampada Taraxacum S per Flos. Dopo 45 anni anche Marcel Wanders si è cimentato con questo materiale, facendo di fatto un omaggio ai Castiglioni. La sua Zeppelin S1 è nata rivestendo con questo tessuto un tradizionale lampadario a bracci in metallo con tanto di lampadine-candele. design industriale italiano sotto tutti gli aspetti. Stiamo parlando di un oggetto facilmente assemblabile, composto di materiali economici prodotti industrialmente. La sua forma spontanea è generata unicamente dalla tensione delle componenti che la costituiscono: per ottenerla, infatti, è necessario e sufficiente il gesto di appenderla. Seppure alta un metro e sessanta, la lampada ripiegata nella scatola scompare raggiungendo lo spessore di pochi centimetri favorendo lo stoccaggio, il trasporto e abbattendo notevolmente i costi per il cliente. Infine, l’effetto della luce attraverso il tubo, ritmato come se fosse una nuvola, risulta morbido e diffuso. Un capolavoro. Munari sosteneva che “il sogno dell’artista è comunque quello di arrivare al Museo, mentre il sogno del designer è quello di arrivare ai mercati rionali”. Con la sua classe e la sua eleganza formale, quest’oggetto ha la forza per poter essere collocato nei due ambiti, senza mai sfigurare. sculture digitali per fabbricare idee green production www.exnovo-italia.com lampada “Kaa” design Roberto Nicolini & Ignazio Pomini Complementi d’arredo realizzati in 3D printing tecnologia al servizio del design esclusivo. style style Under the rain True Brit spirit Trascurato da molti, quest’utilissimo accessorio torna a essere indispensabile nel guardaroba dell’autunno. altea Coppola in lana bouclé. pedro garcia Pochette in suede chiusa da una grande fascia elastica. brooksfield Mantella in lana blu. lacoste chaussures Desert boot in suede con zeppa e delicati dettagli in lana. Burberry Paul Smith Accessories Ombrello con riga college e Ombrello nero con bordino multi riga impugnatura e asta in legno. impugnatura borchiata. e manico in legno. www.samsonite.com www.burberry.com www.paulsmith.co.uk ShedRain Jean Paul Gaultier Borsalino Ombrello ad apertura automatica Ombrello in cotone stampato a mano Ombrello in seta con stampa fantasia con pannelli stampa pois. made in France. e manico in legno. www.shedrain.com www.guydejean.com www.borsalino.it Pasotti London Undercover Gianfranco Ferré Ombrello in doppio tessuto, Ombrello con asta e impugnatura in Ombrello in tessuto doppia coperta 100% made in Italy. faggio e stampa Naval Stripe. con impugnatura in metallo lavorato. www.pasottiombrelli.com www.londonundercover.co.uk www.ombrellilanzetti.it Finale a sorpresa per lo show londinese di Burberry Prorsum. La sfilata autunno inverno si è infatti conclusa con l’uscita di tutte le modelle con gli ombrelli aperti sotto una suggestiva nevicata. di Luigi Bruzzone 38 Samsonite Ombrello rivestito in Teflon con 39 style style Non Solo Moda Officina Slowear, inaugurata lo scorso maggio a Roma, in via Campo di Marzio Proporre uno stile di vita completo, dal cuore tutto italiano, e imporlo con successo nel resto del mondo. L’espansione costante dell’universo Slowear dimostra che si può. Come farlo ce lo spiega Mario Griariotto, CEO Retail and Marketing dell’azienda. 22. L’allestimento dello spazio di 80 mq, all’interno di un edificio del 1600, è stato curato da Carlo Donati. di Giuliano Deidda Foto di Andrea Vailetti È un momento molto impegnativo per Mario Griariotto, CEO Retail and Marketing di Slowear. Il gruppo ha infatti intensificato quest’anno il numero di negozi nel mondo, arrivando a 14 tra monomarca e shop-in-shop: tre a Milano, due a Parigi, più Londra, Beirut, Città del Messico, Udine, Treviso, Roma, Tokyo, Istanbul e Seul, mentre si prevede l’apertura di altri 25 entro il 2014, senza contare la presenza in 1000 punti vendita multimarca. Lo abbiamo incontrato per approfondire la filosofia del progetto, che è riuscito a coniugare uno stile di vita originale al senso per il business. Partiamo dalle origini. Come è nata l’idea di accorpare in un’unica realtà dei marchi specializzati in diverse tipologie di prodotto, mantenendo le loro identità? È stato il primo esperimento del genere, seguito da tentativi di imitazione di scarso successo. In sintesi si è trattato di un concreto e coerente progetto di stile, per quanto rivoluzionario. È un tipo di operazione che poteva riuscire solo a un’azienda a gestione familiare come la Incotex. Trattandosi di un marchio storico (ha festeggiato sessant’anni l’anno scorso), specializzato e dall’immagine molto precisa, aveva stretto un patto molto forte con i consumatori. Quando è arrivato il momento di inserire la collezione di pantaloni in un contesto più ampio, Roberto Compagno, proprietario dell’azienda, ha deciso di non buttarsi in un progetto di total look qualsiasi, perché non si può essere bravi a fare tutto allo stesso modo. La ricerca è sta40 ta orientata verso marchi decisi e dalle filosofie compatibili. Il primo brand a essere incorporato è stato Zanone, una linea di maglieria creata da un architetto che già aveva la giusta credibilità e una distribuzione compatibile a quella di Incotex. Poi sono arrivate le camicie Glanshirt, brand fondato nel 1960, dallo stile rétro e rilassato, e Montedoro, altra realtà storica del made in Italy, specializzata in giacche e capispalla. La coerenza è stata alla base di quest’operazione di business. Mantenendo l’identità dei diversi marchi si è creato un stile di vita, anziché un total look. Quant’è importante per Slowear l’identità italiana? C’è molto cuore italiano nella nostra proposta, ma non ci nascondiamo dietro etichette tradizionali. Nella contemporanea realtà globalizzata siamo forse l’unico Paese al mondo che può vantare tante varietà e diversità a tutti i livelli, per cui ci proponiamo in generale di difendere la nostra creatività e il nostro gusto. La vostra filosofia ha il proprio manifesto di stile di vita online, lo Slowear Journal. Come pensa che si evolverà il supporto offerto dal web? È inutile girarci intorno, ormai Internet è una realtà vera e propria e sarà sempre più influente. Appare facile perdersi nelle infinite possibilità che offre, bisogna essere concentrati e selettivi. Il nostro Journal funziona e ci gratifica, teniamo i contatti con i blogger affini alla nostra filosofia. Bisogna avere una visione lungimirante anche in questo settore e, naturalmente, fare attenzione a non snaturare la propria immagine. Ancora non abbiamo un nostro sito di e-commerce ma, dopo tante valutazioni, abbiamo deciso di appoggiarci solo a uno dei tanti che ci hanno fatto delle proposte, vale a dire Mr Porter, l’unico che potesse rappresentare Slowear in modo appropriato. Parliamo di Officina Slowear, il vostro progetto retail su cui avete puntato molto nel 2012 e che l’anno prossimo continuerà a espandersi. Dato che il nostro DNA è frutto dell’unione di realtà diverse, l’ispirazione dei nostri negozi è più vicina al mondo delle boutique multimarca che a quello dei flagship store. La scelta delle location è già indicativa: vie trafficate ma non troppo commerciali, come via Solferino a Milano, South Molton Street a Londra o Rue Vieille Du Temple nel quartiere Marais, a Parigi. L’idea è quella di offrire un’esperienza di shopping piacevole, in un ambiente raffinato e accogliente, dove potersi sedere su un divano a leggere le email sull’iPad, o a sfogliare una rivista. Gli allestimenti sono curati dall’architetto Carlo Donati, che ha personalizzato, senza snaturarlo, il contesto nel quale il negozio si inserisce, attraverso per esempio l’utilizzo di mobili vintage. Le nostre “Officine” propongono inoltre una selezione di accessori, profumi, libri, oggettistica e dischi in vinile, frutto delle ricerche del nostro team e difficili da trovare in altri posti, che completano il lifestyle offerto dalle nostre collezioni. Il tutto da gustare sorseggiando un prosecco, che nei nostri negozi non manca mai. 41 advertorial BMW va in lunetta BMW Milano, filiale commerciale di BMW Italia S.p.A., con sede a San Donato Milanese, conquista il basket milanese e si lega alla EA7 Olimpia Milano per tutta la stagione 2012-2013. Al fianco di grandi squadre ci sono sempre grandi sponsor: questa volta BMW ha deciso di affiancare la EA7 Olimpia nella sua avventura in Coppa Italia ed Eurolega di basket. Dall’asfalto al parquet il passo è breve. Il contratto siglato da BMW Italia S.p.A., testimonia la volontà di aumentare il radicamento del marchio sul territorio, attraverso una realtà sportiva che da sempre è lustro del capoluogo lombardo. “La partnership tra BMW Milano e la squadra di basket EA7 Olimpia Milano – spiega Franz Jung, Presidente e A.D. di BMW Italia – rappresenta per noi un vero fiore all’occhiello e un progetto del quale andiamo particolarmente fieri per due motivi. Da un lato perché BMW e Armani condividono valori come qualità, eccellenza, dinamismo e ricerca della perfezione. In questo senso i due brand sono naturalmente affini. Dall’altro perché, grazie a questo accordo la nostra filiale 42 BMW Milano avvia, in modo molto importante, quel programma di inserimento sempre più capillare nel tessuto della città che riteniamo strategico per il nostro futuro”. BMW mette a disposizione per la mobilità del team, giocatori e manager, ben 22 automobili (BMW Serie 1, BMW Serie 3, BMW Serie 5, BMW Serie 7, BMW X3 e BMW X6). Il marchio della casa di Monaco di Baviera sarà ovviamente visibile sul retro delle maglie della squadra e sulla sopramaglia da riscaldamento, oltre che in tutti gli ambiti della comunicazione della squadra. In risposta alle parole di Franz Jung, Livio Proli, Presidente e Amministratore Delegato dell’Olimpia Milano, evidenzia l’importanza di una partnership così forte: “La squadra è ricca di grandi nomi tra sponsor e partner, che ci garantiscono il sostegno nel portare avanti un progetto molto ambizioso: la presenza di BMW nel nostro team, con il suo nome, la sua reputazione e la qualità dei suoi prodotti, è motivo di orgoglio. Significa che stiamo lavorando al meglio”. La concessionaria di BMW Italia avrà la possibilità di mettere a disposizione per alcuni fortunati clienti 12 posti dedicati per ogni partita disputata in casa. Gli invitati ad assistere ai match avranno anche accesso all’esclusiva lounge prepartita, dove potranno trascorrere in uno spazio dedicato e personalizzato BMW gli istanti che precedono l’incontro e i momenti di relax dell’intervallo. Il prossimo appuntamento da non perdere, in cui BMW Milano sarà anche Game Sponsor, è la sfida del 23 dicembre tra EA7 Olimpia Milano e Cimberio Varese. Ora non resta che attendere il fischio di inizio. www.bmwgroup.com www.bmwmilano.bmw.it wheels wheels Guidare off-limits cayenne check I Centri Porsche di Milano propongono ai possessori di Porsche Cayenne immatricolate prima di maggio 2010 un check up gratuito della propria vettura. Verrà formulato gratuitamente un preventivo personalizzato, oltre a offrire dif- ferenti pacchetti di manutenzione. Per aderire al programma Cayenne Check, basta compilare il form nella sezione “Prenota Tagliando” del sito entro il 15 Dicembre 2012 o presentarsi alle accettazioni dei Centri Porsche di Milano. www.milano.porsche.it indirizzi Centro Porsche Milano Nord via Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est via Rubattino 94 01 Pioggia, neve e ghiaccio sono insidie da tenere ben presenti quando si viaggia in auto. Imparare ad avere il pieno controllo della vettura permette di essere pronti a qualsiasi imprevisto. Tra le curve del ghiacciodromo di Livigno con la Porsche Sport Driving School si impara a fare proprio questo. 02 di Andrea Zappa 01. Un allievo in azione sul ghiacciodromo di Livigno a bordo della 911 Carrera 2s. 44 Durante la stagione invernale guidare su un manto stradale in condizioni non perfette è quasi la normalità. Possibilità che capita ancora più spesso a chi ama la montagna e considera il week-end tra le vette un appuntamento fisso. Indipendentemente dal tipo di vettura che si possiede, ci si deve misurare con strade innevate e, nella peggiore delle ipotesi, se la temperatura scende sotto lo zero, con insidiose lastre di ghiaccio. Diventa quindi importante acquisire la giusta sicurezza per avere il pieno controllo dell’auto, imparando a conoscerne i limiti. Tra le migliori scuole di guida per perfezionare le proprie capacità di pilota spicca la Porsche Sport Driving School (www.porsche.com/italy/motorsportandevents/sportdrivingschool/). Gli “studenti” della scuola possono essere sia fortunati possessori del marchio tedesco, ma più semplicemente anche coloro che hanno il desiderio di misurarsi e divertirsi con un mezzo di grande potenza. I corsi proposti sono molteplici e di vari livelli (Warm-up, Precision, Performance, High-Performance e Master), ma durante la stagione invernale è l’Ice, che si tiene a Livigno nell’ultima settimana di gennaio, a riscuotere grande successo. Durante questi sette giorni verranno tenuti quattro corsi della durata di un giorno e mezzo ciascuno presso il ghiacciodromo del paese. “Sono ormai sette anni che teniamo il corso sulla neve – spiega Nicola Giacobbe, responsabile della scuola presso Porsche Italia e team manager della squadra padovana della Carrera Cup Italia – Ha un prezzo uguale per tutti di 2150 euro, iva compresa, escluso l’alloggio, e prevede un massimo di 20 partecipanti, con un istruttore ogni due clienti. Un rapporto ideale, che utilizziamo anche per i nostri corsi top level in pista. Le auto che utilizziamo sono la 911 Carrera 2s, la 4s, recentemente presentata a Parigi, e la Cayenne”. Il tracciato del circuito sul quale si svolge l’Ice è totalmente di neve battuta e le vetture non sono dotate di gomme chiodate ma di gomme termiche, proprio per riproporre le condizioni che si possono incontrare nel quotidiano. “Per affrontare in sicurezza l’inverno, indipendentemente dal tipo di auto – continua Giacobbe – è fondamentale utilizzare delle gomme termiche. Queste devono essere montate già ai primi di novembre. Le gomme estive, infatti, sotto i sette gradi non garantiscono più un’aderenza adeguata, soprattutto su macchine di una certa cilindrata. In determinate condizioni diventa più difficile controllare la potenza scaricata a terra dal motore, oltre a vanificare l’operato di tutti i sistemi di controllo elettronici”. I Centri Porsche di Milano, per esempio, offrono ai clienti i kit ruote invernali per tutti i modelli 911 Carrera o Carrera S, a due o quattro ruote motrici, con servizio di montaggio, equilibratura e deposito. Sono disponibili due tipologie di kit, con o senza il sistema di controllo automatico della pressione di pneumatici RDK, gommati con gli pneumatici delle migliori marche tutti con marcatura “N” (ovvero conformi alle specifiche progettuali richieste da Porsche). “Al ghiacciodromo di Livigno – prosegue Giacobbe – l’appuntamento è per le 8:30 e, dopo una breve teoria, si comincia a lavorare subito con le vetture: insegnamo a controllare la derapata, a frenare e scartare in condizioni difficili, a compiere degli slalom, a condurre la macchina in sovrasterzo per poi iniziare a fare anche qualche giro di pista. Il giorno dopo, infatti, oltre a riprendere gli esercizi spiegati, viene organizzata una piccola prova a tempo per determinare i più veloci tre piloti del corso”. Ma alla fine l’importante non è essere veloci, ma avere appreso la tecnica corretta per avere il pieno controllo del mezzo, come conclude il responsabile della Porsche Sport Driving School: “Nella guida di tutti i giorni possedere una buona tecnica conta al 90%. Risulta fondamentale sapere cosa è in grado di fare la propria auto: per esempio quanto efficace può essere la frenata, come si comporta il cambio o lo sterzo, come reagisce la vettura con e senza i sistemi elettronici inseriti. Poi, se vogliamo parlare di istinto, quello può fare la differenza, ma a quel punto l’appuntamento è in pista”. 02. Il parco macchine messo a disposizione dalla Porsche Sport Driving School. Il corso Ice prevede un massimo di 20 allievi, con un istruttore ogni due “aspiranti piloti”. 45 hi tech hi tech Un cuore di silicio 01 Se negli anni Cinquanta erano il simbolo di quello che sarebbe stato il futuro, oggi i robot sono entrati di diritto nel mondo reale. Noi forse non li vediamo, ma loro sono già qui. 02 insetti come macchine Si chiama Daisuke Kurabayashi ed è uno dei più importanti roboticist del mondo: le sue ultime ricerche si sono concentrate sullo studio del cervello del baco da seta, un lepidottero in grado di mutare il proprio comportamento in base all’ambiente circostante. Lo scienziato giapponese è partito da questo per derivare il Brain-Machine Hybrid System, trasportando i principi alla base dell’adattamento biologico nell’ambito della robotica. www.titech.ac.jp di Filippo Spreafico 01. Il robot NAO della francese Aldebaran Robotics. Alto 57 cm, è completamente programmabile ed è dotato di telecamere, sensori tattili, sonori e di pressione. 46 La robotica umanoide e di servizio è arrivata il 7 novembre in fiera a Milano, che per una settimana è stata capitale mondiale di macchine e automazioni grazie a Robotica 2012 e Makers Italy. Gli eventi internazionali hanno riunito non solo aziende specializzate e importanti roboticist da tutto il mondo, ma anche creativi digitali e tecnologici che hanno portato in mostra le ultime innovazioni del settore. Oggi la presenza di robot è infatti trasversale in ogni ambito produttivo: le macchine programmate dall’uomo e in grado di effettuare operazioni in maniera indipendente sono diventate di routine non solo nell’industria, ma anche nel settore dei servizi. Basti pensare a tutte quelle situazioni di pericolo in cui l’intervento umano è stato di fatto sostituito dalle macchine, capaci non solo di riconoscere un ambiente nuovo, ma anche di muoversi al suo interno, effettuare analisi, fornire risposte. All’interno della Fiera erano presenti diverse aree tematiche, ciascuna delle quali dedicata a un settore particolare della robotica di servizio: dall’ambito medicale e di assistenza alle persone a quello educational, dalla robotica ludica a quella di salvataggio, fino all’ambito della prototipazione e della realtà virtuale. Il design riveste da sempre un’importanza fondamentale nella progettazione delle macchine: se è vero che siamo portati ad accettare con maggiore facilità ciò che riconosciamo come simile a noi, è allora facile spiegare l’insistenza che progettisti e creativi hanno nel realizzare robot umanoidi dalle caratteristiche sempre più mimetiche e umane. Testimonial d’eccezione della Fiera è stato proprio iCub, il robot androide progettato dall’Istituto Italiano di Tecnologia: nato nel 2009 e sottoposto a continui miglioramenti progettuali, il robot possiede capacità cognitive sviluppate, paragonabili a quelle di un bambino di quattro anni, di cui possiede anche le fattezze, l’altezza e il peso. Ricoperto da una pelle che gli permette di interagire con gli uomini, di capacità espressive in costante evoluzione e, soprattutto, in grado di apprendere dal comportamento umano (distingue le forme degli oggetti, li manipola e li identifica), iCub è una vera e propria piattaforma robotica destinata allo studio e allo sviluppo di nuovo tecnologie. I robot NAO della francese Aldebaran Robotics, anch’essi presenti alla Fiera ma dedicati alla didattica scolastica e universitaria, sono completamente programmabili da zero e forniscono un supporto importante nell’ambito della ricerca, dalle scienze sociali allo studio dell’interazione uomo-macchina. Dal 2008, inoltre, i robot NAO sono diventati lo standard ufficiale utilizzato dalla Federazione RoboCup, la celebre competizione internazionale di calcio che ogni anno vede squadre di robot sfidarsi a “colpi” di software. Non sono mancate, poi, le macchine destinate a offrire un aiuto concreto all’uomo e che promettono di cambiare la vita così come la conosciamo. Gli esoscheletri della Ekso Bionics sono sostegni per il corpo umano, che consentono a portatori di handicap o a persone con una mobilità limitata di andare oltre i loro limiti fisici e di camminare grazie a una vera e propria “tuta bionica” che ne supporta il movimento. L’obiettivo a lungo termine della robotica è quello di essere accessibile e parte integrante del quotidiano: è questo il senso del numero sempre crescente di applicazioni per la casa, dai sistemi di pulizia automatici a quelli di controllo e telesorveglianza. Fa un ulteriore passo in avanti il progetto Adam, dell’italiana Hands Company: il robot, comandato attraverso smartphone e computer, consente al proprietario “lontano” di vedere e di essere visto, di parlare ed essere ascoltato, e soprattutto permette il libero movimento all’interno della casa, diventando così un vero e proprio avatar fisico. Anche il progetto Telenoid, sviluppato dal giapponese Ishiguro in collaborazione con il Laboratorio di Robotica dell’Università di Palermo, ha alla base un concetto simile, ovvero quello di “trasmettere la presenza” di una persona lontana: l’androide, controllato a distanza, replica voce e movimenti e consente all’operatore di attivare azioni comportamentali diverse. Sempre più la vita dell’uomo si intreccia dunque con quella delle automazioni e dei robot: è di fatto inevitabile che presto sorgeranno nuovi interrogativi etici (esistono robot buoni e cattivi? Quale sarà l’impatto sociale della robotica?) a cui sarà necessario dare presto una risposta. 02. ADAM di Hands Company. Il robot domestico teleoperato può muoversi liberamente per la casa, permettendo di vedere e sentire tutto ciò che accade. 47 sport equipment sport equipment Safe freeride Sciando sulle nuvole Tutto l’occorrente per non correre troppi rischi nel praticare lo sci fuoripista. di Luigi Bruzzone natural born wood Gli sci Leaf rendono unica l’esperienza dello sci fuoripista. Unico infatti è il materiale con cui sono costruiti: il legno. Non troverete mai due paia di sci uguali, che vengono prodotti artigianalmente in Italia con tanta passione e utlizzando macchinari all’avanguardia. www.leafskis.com Discendere con gli sci in un ambiente naturale incontaminato è un’esperienza che segna il cuore e lo spirito. Se l’approccio avviene nel rispetto della montagna e dei propri limiti, si viene ripagati con la moneta più pregiata: il piacere di sentirsi liberi. di Gianandrea Lecco Il rider Alberto Benedetti indossa sci Leaf durante un fuoripista in Giappone nel gennaio 2011. Foto di Luce De Antoni. 48 Il fascino della montagna è un richiamo a cui è difficile resistere. L’uomo viene attratto dalle sue vette per la pace che quell’ambiente riesce a regalare, per il silenzio unico che lo allontana dal frastuono delle città, per i colori intensi, puri che portano il cuore a uno stato di gioia interiore. Il fascino della montagna in inverno è del tutto particolare. La neve ammorbidisce le pendenze, copre le asperità, apre la possibilità di itinerari che d’estate sono difficilmente immaginabili. Procedere con le pelli montate sotto gli sci o sfruttare gli impianti di risalita, per poi abbandonare le aree controllate e avventurarsi su nuovi terreni, è una scelta personale. Qualunque essa sia è però fondamentale che venga presa con competenza o con persone qualificate ed esperte: le guide alpine. Avventurarsi in un ambiente montano non controllato, detto volgarmente “fuoripista”, è un’attività che regala emozioni uniche ma che può anche, talvolta, chiedere un dazio molto gravoso. È pertanto fondamentale prendere coscienza di tali rischi e ciò che essi implicano per sé e per gli altri. Rischi che possono essere bassi o anche elevati, e che non potranno mai essere annullati del tutto. Essere dei buoni sciatori o snowboarder è una condizione necessaria ma non sufficiente. Altrettanto importante è muoversi con l’attrezzatura adeguata. La tecnologia oggi aiuta, ma non riduce il rischio. Il mercato offre una sempre più ampia selezione di prodotti per ogni gusto ed esigenza, ma la prima voce nel budget deve essere quella legata alla “sicurezza”. Oltre a sci e scarponi è fondamentale muoversi sempre con zaino, possibilmente con sistema ad airbag ABS che, in caso di coinvolgimento in slavina, viene attivato dall’utente per favorire il galleggiamento. Nello zaino non possono mancare ARVA (ricetrasmettitore che lavora a una frequenza standard internazionale), pala e sonda, che riducono drasticamente i tempi di ritrovamento. D’obbligo indossare il casco, la maschera e il paraschiena. Tutti elementi che non basta possedere, ma è fondamentale saper usare, frequentando camp specialistici come i Mysticfreeride Safety Camp (www.mysticfreeride.com) o i numerosi corsi del CAI, per acquisire tutte le informazioni necessarie a prevenire gli incidenti e sapersi muovere nel caso questi, purtroppo, accadano. Rossignol - Pursuit 14 White Ortovox - 3+ Zerorh+ by Allison - Olympo Casco dotato di sistema di regolazione della taglia. Localizzatore con display circolare, che consente Mascherina con lente altamente resistente Leggerissimo grazie alla struttura In-Mould. una facile lettura delle informazioni. e aerazioni anti-appannamento. www.rossignol.com www.ortovox.it www.zerorh.com Dainese - Back Protector Soft Haglöfs - Bungy Vest Oakley - Unification Pro Jacket Protettore per la schiena in Crash Absorb, Gilet soft shell in tessuto tecnico, garantisce una Giacca realizzata in collaborazione con il pro rider permette di coniugare comfort e protezione. ottima traspirabilità e resistenza a freddo e vento. Seth Morrison, in tessuto Gore-Tex a tre strati. www.dainese.com www.haglofs.com www.oakley.com Garmont - Delirium Salewa - Verbier 26 Pro ABS Backpack Hally Hansen - Enigma Ski Glove Potente, con un flex progressivo e forte, questo Segue perfettamente la forma del corpo questo Questi guanti da sci permettono di rispondere scarpone è appositamente pensato per il freeride. zaino della linea FreeSkiMountaineering. allo smartphone touch screen senza sfilarli. www.garmont.com www.salewa.com www.hellyhansen.com 49 WEEK - END WEllness Benessere secondo natura Emozioni ad alta quota Al bando formulazioni e brevetti hi-tech, in alta quota la cosmesi è green. Mirtilli, fieno ed erbe alpine sono i beauty tips per realizzare massaggi e trattamenti nel rispetto dell’ambiente. di Chiara Belforti romantik hotel post La Spa dell'hotel si prende cura del corpo con la linea cosmetica “Cavallino Care”, formulata con il latte di cavalla di allevamento all’interno della struttura. www.romantikhotelpost.com sul web www.monterosa-ski.com www.guidemonterosa.info www.guidemonterosa.com www.guidechampoluc.com Raggiungere la vetta di una montagna e lasciarsi avvolgere dal silenzio, spinti dal desiderio di scivolare liberamente lungo chilometri di neve polverosa. Tutto questo nel comprensorio Monterosa Ski, dove è il freeride a farla da padrone. a cura della Redazione di Club Milano 01. Sono sempre più numerosi gli sportivi che decidono di praticare la disciplina del freeride. Le discese in fuoripista in neve fresca permettono di sentirsi in completo contatto con la natura, amplificando la sensazione di libertà. 50 Neve fresca, candidi pendii ancora vergini e il brivido della pura adrenalina ad alta quota che solo un fuoripista riesce a regalare: se per questa stagione invernale siete in vena di un po’ di sano divertimento, il freeride è ciò che state cercando. Monterosa Ski è tra i principali comprensori sciistici di tutte le Alpi e rappresenta la meta ideale per chi vuole abbandonarsi a questa disciplina attraverso itinerari unici e sempre vari. Sorge ai piedi del massiccio del Monte Rosa e, nel complesso, abbraccia le valli d’Ayas, di Gressoney e la Valsesia. Innumerevoli sono i percorsi per i fuoripista: dai tracciati tra i boschi di Champoluc a quelli in quota al Passo dei Salati fino ad arrivare al ghiacciaio di Indren, che è facilmente raggiungibile grazie al nuovo Funifor Passo dei Salati-Indren, che raggiunge i 3.275 metri in meno di 5 minuti. Tutte e tre le valli invogliano a splendide serpentine sui pendii più affascinanti del comprensorio, ampi spazi di neve e chilometri di percorsi che si snodano tra baite e laghi alpini. A questo punto non potrete fare altro che abbandonare mente e corpo alla bellezza della montagna e all’adrenalina del freeride. Per chi, invece, è alle prime armi e desidera avere una maggiore sicurezza, ci sono a disposizione guide esperte di Monterosa Ski. Mentre, i più appassionati che hanno voglia di sfidare i propri limiti, non possono perdere la possibilità di raggiungere il punto di partenza per il freeride in elicottero. Esistono ben 50 punti di atterraggio in Val D’Aosta per chi non resiste alla voglia di assaporare il piacere dell’irresistibile powder e di raggiungere quote superiori ai 4000 metri. La piscina panoramica con vista sulle Dolomiti dell'Alpina Dolomites Gardena Health Lodge & Spa. maso weidacherhof Sull’altopiano del Renon, il centro propone avvolgimenti nella lana di pecora, per depurare la pelle, riattivare la circolazione sanguigna e fare il pieno di energia. www.weidacherhof.com sport&kurhotel bad moos I bagni termali di Sesto (BZ) offrono uno scrub rigenerante con una particolare farina, derivata dall’essicazione delle pigne, da associare a un bagno agli oli essenziali di pino per un benessere tutto naturale. www.badmoos.it L’ufficialità è arrivata solo nel giugno del 2009, quando le Dolomiti sono state dichiarate Patrimonio Naturale dell’Umanità dall’Unesco, anche se lo splendore dei Monti Pallidi è da sempre nel cuore di quanti hanno avuto la fortuna di ammirare di persona il fascino dei loro paesaggi incontaminati. In un luogo dove la natura è protagonista assoluta, nell’area più spettacolare dell’Alpe di Siusi, sorge l’Alpina Dolomites Gardena Health Lodge & Spa, un cinque stelle che ha fatto dei principi di eco-sostenibilità la sua filosofia di vita. La struttura, inaugurata due anni fa, è realizzata in legno e pietra ed è abbracciata da un panorama mozzafiato, da ammirare attraverso le vetrate delle zone comuni. Oltre a godere di una posizione privilegiata per gli amanti dello sci e di una cucina gourmet per gli ospiti più golosi, il fiore all’occhiello è l’Alpina Beauty Farm, per assaporare proposte wellness “a chilometro zero” e vivere un’esperienza indimenticabile nelle acque calde della piscina a cielo aperto. I rituali vedette sono quelli a base di ingredienti di montagna: come il protocollo viso anti-età al latte di capra, un alimento ricco di acidi, proteine, minerali e vitamine, ottimo per nutrire le cellule cutanee, stimolandone la rigenerazione, oppure il lifting alla genziana, una pianta che cresce ad alta quota, ed è in grado di dare sostegno al tessuto epidermico in virtù della sua capacità di resistere a condizioni climatiche estreme. Per il corpo, niente di meglio di un impacco al fieno per alleviare la stanchezza e stimolare la circolazione, un avvolgimento al latticello (un derivato del burro), efficace per lenire le irritazioni e un bagno agli estratti di abete rosso e bianco, che distende le tensioni muscolari e rasserena la mente. Sul fronte massaggi, l’olio di pino mugo scioglie le articolazioni, il miele revitalizza e idrata in profondità, mentre i mirtilli contrastano la ritenzione idrica e rafforzano le pareti venose. Perché Madre Natura pensa proprio a tutto, benessere compreso. 51 WEEK - END WEEK - END Dublino tra le righe guinness storehouse Conosciuto ai più come il museo della birra, il Guinness Store House è una delle principali attrazioni di Dublino, nonché uno dei luoghi maggiormente visitati in tutto il paese. Una struttura di sette piani che si sviluppa intorno a un atrio centrale a forma di pinta, dove è possibile scoprire tutti i segreti della birra più famosa d’Irlanda. Sul tetto dell’ultimo piano, si trova il Gravity Bar, per godere di una vista a 360° sulla città. Naturalmente, accompagnati da una birra appena spillata. www.guinness-storehouse.com sul web www.discoverireland.com www.visitdublin.com www.aerlingus.com flyingbookclub.ie www.writersmuseum.com 01 02 Tra pinte di Guinness e pub, antiche università e musei straboccanti di libri, passeggiare per le strade di Dublino ti fa sentire protagonista della trama di un racconto. È meglio cenare con Joyce, chiacchierare con Kavanagh o farsi una serata con Wilde? “Quando morirò, nel mio cuore sarà scritto Dublino” James Joyce di Cristina Buonerba 01. Vista di uno dei numerosi ponti che attraversano il Liffey di Dublino, il fiume che delimita il confine naturale tra la zona nord e sud della città. 52 Passeggiare per le strade di Dublino equivale a sfogliare le pagine di un romanzo: andando alla scoperta di stradine e vicoletti nascosti, frequentando bar e luoghi storici ci si sente protagonisti delle trame dei grandi scrittori che l’hanno vissuta e raccontata attraverso le loro parole. James Joyce, Oscar Wilde e Samuel Beckett si sono lasciati ispirare dal fascino di questo luogo, dichiarato Città della Letteratura dall’UNESCO. I suoi abitanti sono famosi per la loro grande capacità di raccontare storie e trascorrere le gelide serate d’inverno all’interno di numerosi pub. Quindi non ci sarebbe nulla di cui stupirci se scoprissimo che Beckett o Flann O’Brien erano soliti far volare la propria fantasia seduti su qualche sgabello di Temple Bar sorseggiando boccali di ottima Guinness. Tanto per fare un esempio, il pub Oliver St John Gogarty era uno dei preferiti del poeta Patrick Kavanagh, dove veniva a trascorrere le serate in compagnia del suo amico Flann O’Brien. Una curiosità: nel 1931 Kavanagh partì dalla sua casa natale nella Contea di Monaghan e percorse ben 120 chilometri a piedi prima di arrivare a Dublino in cerca di fortuna come scrittore. Prima di morire, espresse il desiderio di avere “solo una panchina da viandante lungo la riva del canale”. Ancora oggi, proprio lungo il Grand Canal di Dublino, si può trovare quella panchina sulla quale riposa la sua statua di bronzo. Tra le altre “chicche” della città spicca lo storico Brazen Head, che serve da bere ai dublinesi dal 1198: si dice che questo locale sia stato una vera e propria seconda casa per Jonathan Swift, l’autore dei Viaggi di Gulliver. Ma non solo, perché leggenda vuole che a varcare quella soglia sia stato Robin Hood in persona. James Joyce, attraverso la voce di Leopold Loom, il protagonista dell’Ulisse, descriveva il pub Davy Byrne’s come un bel bar tranquillo e accogliente. Ancora oggi è possibile godere della sua atmosfera, bere una pinta e provare ottimi piatti a base di frutti di mare. Sempre per rimanere sulle orme dell'autore di Dubliners, non si può perdere una visita al Ja- mes Joyce Museum, che si trova a pochi passi dalla celebre Martello Tower. Al suo interno è possibile trovare fotografie, appunti e lettere, nonché la primissima versione dell’Ulisse. Se si è particolarmente amanti di questo capolavoro, vale la pena scaricare l’applicazione gratuita In The Steps Of Ulysses iWalk: una guida audio che permette di ripercorrere per filo e per segno i luoghi più simbolici del romanzo. Un esempio può essere l’antica farmacia Sweny, dove Leopold Bloom acquistò una saponetta al limone: con un po’ di tempo a disposizione, si può prendere parte a uno dei tanti gruppi di lettura che vengono organizzati regolarmente. Per lasciarsi avvolgere completamente dal fascino letterario di Dublino, il consiglio è di fare una capatina al Trinity College, una delle università più antiche e prestigiose del Paese, dove Oscar Wilde studiò materie classiche e Samuel Beckett approfondì francese, italiano e inglese. Entrambi conseguirono la laurea e, seguendo l’esempio di Jonathan Swift, ottennero il prestigiosissimo ti- tolo di Doctor of Divinity. All’interno del Trinity College è possibile ammirare l’originale Book of Kells, un manoscritto medioevale contenente la copia decorata dei Quattro Vangeli in latino. Risale all’800 a.C. ed è considerato un vero e proprio capolavoro dell’arte celtica. Non può poi assolutamente mancare una visita al Dublin Writers Museum, che raccoglie la storia dell’immensa tradizione letteraria irlandese. È situato in un’antica casa in stile georgiano e custodisce gli ultimi tre secoli della letteratura irlandese tra libri, lettere e oggetti personali appartenenti a Swift, Wilde, Yeats e Joyce. Al suo interno vengono organizzate letture di gruppo, esposizioni e spettacoli teatrali all’ora di pranzo. E per i buongustai di libri e dibattiti, The Flying Book Club è un vivace club letterario dove approfondire e scoprire curiosità su scrittori contemporanei e del passato. E perché no, è anche un’ottima occasione per farsi un po’ l’orecchio e mettersi alla prova con l’impegnativo accento irlandese! 02. Gli interni del Trinity College, una delle università più antiche e prestigiose del mondo. All’interno della sua biblioteca sono custoditi circa un milione di libri, tra cui una delle prime edizioni della Divina Commedia. 53 overseas overseas Sulla rotta di Van Dike sul web www.bvitourism.it www.aragornsstudio.com www.chefdavide.com www.biras.com www.beyc.com 01 Ancora poco conosciute dal turismo di massa nostrano, le British Virgin Islands sono una delle destinazioni caraibiche più apprezzate da chi ricerca tranquillità e contatto con la natura. Il modo migliore per visitarle? Certamente in barca, seguendo le rotte dei pirati di un tempo. di Andrea Zappa 01. Veduta aerea di alcuni maxi yacht presso i pontili galleggianti dello YCCS Marina Virgin Gorda. Foto courtesy BVI Tourism Board. 54 Sebbene le Isole Vergini Britanniche non siano una meta classica per la voglia di caraibi degli italiani, nomi come Tortola, Virgin Gorda, Jost Van Dyke e Peter Island possono suonare famigliari ai più. Queste isole, infatti, sono state il rifugio di molti filibustieri all’epoca di caravelle e galeoni, diventando involontariamente protagoniste di innumerevoli libri e romanzi dedicati alla pirateria. L’arcipelago, situato a poco più di cento chilometri a est di Porto Rico, era meta gradita ai pirati di un tempo proprio per le sue caratteristiche: una sessantina di isole disposte a corona dalle forme più diverse, vicine tra loro, le cui acque sono ben protette dalle onde dell’oceano e dal soffio degli Alisei. Qui, era facile navigare e soprattutto nascondersi nella miriade di baie e insenature, che questi smeraldi verdeggianti offrivano a chi arriva dal mare aperto. Oggi le cose non sono cambiate, a parte ovviamente l’assenza di pennoni e “penda- gli da forca”. Il consiglio è quello di affittare uno yacht e navigare a vista lasciando la carta nautica sottocoperta, facendosi attrarre solo dalla bellezza delle spiagge e delle baie. Le compagnie di charter sono innumerevoli, in grado di soddisfare i gusti e le esigenze più diverse. Il punto di partenza è sicuramente Tortola, la più grande dell’arcipelago, in cui si trova Road Town, la capitale delle BVI. Se volete rispettare le tradizioni della pirateria e fare scorta di rum per la cambusa, la prima tappa deve essere la lunga e bianca spiaggia di Cane Garden Bay. Qui si trova una vecchia distilleria ancora in funzione, in cui lo stomaco verrà messo a dura prova. Chi invece ha la consuetudine di tornare da una vacanza con un certo “bottino” di souvenir, a Trellis Bay su Beef Island si trova l’Aragorn’s Studio, il miglior laboratorio di artigianato di tutte le BVI. Se state veleggiando da qualche giorno e siete stufi del vostro cuoco di bordo e volete de- 02 gustare piatti raffinati dall’animo italiano, potete chiedere ospitalità a Davide Pugliese, un toscano con la passione per la cucina trapiantato alle BVI. Ex-fotografo di moda, dopo Milano e New York, ha trovato la sua dimensione su Scrub Island dove gestisce il piccolo Wali Nikiti Resort. Una piccola realtà alberghiera ideale per isolarsi dal resto del mondo, che comprende solo cinque cottage completamente immersi nel verde. Pugliese, oltre a essere un eccellente chef, conosce l’arcipelago come le sue tasche e può dare ottimi consigli sul prosieguo della rotta. Tra questi c’è sicuramente quello di raggiungere l’ampia baia di North Sound di Virgin Gorda, dove si trova il Bitter End Yacht Club, di fronte al quale stanziano di solito i più bei yacht dei caraibi. Alla sera tutti gli equipaggi scendono a terra, animando l’intera zona in tipico stile caraibico. La parte meridionale dell’isola offre le bellissime Savannah Bay, Mahoe, Spring Bay, ma la spiaggia più famosa è sicuramente The Baths. Qui, giganteschi massi morenici creano grotte e piscine naturali di rara bellezza, dando vita a un labirinto costiero incantato e interrotto solo da qualche piccola mezzaluna di sabbia bianca. Sull’isola si può soggiornare al Biras Creek Resort, un hotel quattro stelle dotato di spiaggia privata e Spa. Oppure “spendere” una notte da sogno nello splendido Bitter End Yacht Club, caratterizzato da eleganti cottage in legno dai caratteristici tet- seguendo gli alisei Chi vuole vivere una vacanza diversa, a base di un pizzico di agonismo, due dita di rum e una spruzzata di lime, può affittare una barca e iscriversi alla BVI Spring Regatta. La competizione, che si tiene a marzo, rappresenta, insieme alla St. Maarten Heineken Regatta e all’Antigua Sailing Week, uno dei principali appuntamenti della stagione velica caraibica. Famosa in tutto il mondo non soltanto per i suoi luoghi meravigliosi, si distingue per l’atmosfera che si respira in banchina. La vera sfida infatti sono i “dopo-gara” che proseguono per sei giorni fino a notte fonda in perfetto caribbean style. www.bvispringregatta.org ti rossi, premiato da Condé Nast Traveler (USA) come uno dei 100 resort più belli al mondo. C’è poi la piccola isola di Jost Van Dike, che prende il nome dal leggendario pirata olandese, il suo rifugio preferito di ritorno dalle varie scorrerie. La costa sud offre tra le tante spiagge quella di White Bay, un nome che è di per sé una garanzia. Ma l’isola è famosa soprattutto per il Foxy’s, un locale sulla spiaggia di Great Harbour. Il proprietario, dalla grigia capigliatura rasta, di giorno pesca aragoste e la sera suona sul palco del bar. L’atmosfera è molto rilassata e verso l’ora del tramonto il rum inizia a scorrere a fiumi. Da vedere a ovest di Jost Van Dyke anche la piccola Sandy Cay: la lingua di sabbia bianca che la cinge e la fitta vegetazione che vi cresce nel centro la rendono l’isola deserta per antonomasia. Gli appassionati di immersioni non possono poi mancare Anegada, la più selvaggia delle isole dell’arcipelago. Il suo punto più elevato misura tre metri sul livello del mare. I numerosi relitti incagliati sulla barriera corallina poco distante, costituiscono il paese dei balocchi per qualsiasi sub. Chi invece preferisce scendere a terra, lungo il sentiero naturale di Bones Bight si possono incrociare i rari esemplari di iguana di Anegada. Non dimenticate, quando sbarcate, di portarvi sempre dietro una pala: non sia mai che durante la passeggiata possiate imbattervi in una vecchia X disegnata sul terreno. 02. Le accattivanti trasparenze della desolata Deadman's Beach su Peter Island. Foto courtesy BVI Tourism Board. 55 food food Un cibo da re sul web www.fieradeltartufo.org www.museodeltartufo.it www.neronorcia.it www.tartufonerofragno.it www.tuber.it www.universitadeicanidatartufo.it 01 Presenza fissa alle corti dei nobili d’Europa e apprezzato per un profumo che a detta di molti è addirittura afrodisiaco, il tartufo è diventato nel tempo uno status symbol, senza tuttavia mai disdegnare le cucine più semplici. Del resto è un regalo della terra: cresce senza essere per forza coltivato. La vera sfida è trovarlo. di Marilena Roncarà 01. Una veduta di Piazza San Benedetto a Norcia durante la Mostra Mercato del Tartufo. In primo piano uno stand di prodotti gastronomici locali, tra cui fa bella mostra di sé il famoso tartufo nero pregiato, tipico della zona. 56 “È bello girare la collina insieme al cane: mentre si cammina, lui fiuta e riconosce per noi le radici, le tane, le forre, le vite nascoste, e moltiplica in noi il piacere delle scoperte. Fin da ragazzo, mi pareva che andando per boschi senza un cane avrei perduto troppa parte della vita e dell’occulto della terra”, sono parole di Cesare Pavese tratte da La casa in collina, ma potrebbero essere benissimo quelle di un qualunque tartufaio esperto che racconta il piacere di andare per boschi, sentire l’odore della terra che profuma di tartufo e vedere il cane che scava alacremente per trovare il tanto agognato fungo. Ma partiamo dall’inizio, quello vero, dato che pare che il prezioso alimento fosse già conosciuto in epoche remote e molto apprezzato da Greci e Romani. Questi ultimi ne avevano attribuito l’origine misteriosa ai fulmini scagliati da Giove in prossimità delle querce. Vero è che il tartufo è un fungo sotterraneo, che nasce in ma- niera spontanea quando o l’acqua o gli insetti ne trasportano le spore sulle radici di qualche albero, come la quercia, il nocciolo, il pioppo o il tiglio. Il tartufo non si coltiva quindi, ma per nascere ha bisogno di trovare un perfetto equilibrio tra il clima, le condizioni ambientali e l’umidità del terreno. È un fungo che cresce a una profondità variabile da pochi centimetri a mezzo metro sotto terra e, una volta giunto a maturazione, emana il suo odore caratteristico. I periodi di raccolta variano da regione a regione e per il tartufo bianco sono i mesi compresi tra settembre e dicembre. Per andare a cercarlo bisogna svegliarsi presto la mattina e uscire armati di pazienza. I tartufai sono personaggi solitari e misteriosi e soprattutto sono molto gelosi dei luoghi dove vanno a “caccia”: “Nei posti segreti – dicono i più – si va solo di sera, con la nebbia e con il cane, per poter poi un giorno raccontare: quel posto l’ho scoperto io”. fiera che vai, tartufo che trovi Si è appena conclusa (18 novembre) l’82° Fiera Internazionale del tartufo bianco d’Alba, che si svolge quasi in contemporanea con quella di Acqualagna, mentre, per gli amanti del tartufo nero, sempre a cavallo tra ottobre e novembre, c’è la Fiera di Fragno, in provincia di Parma. Infine, per chi il tartufo lo vuole bianco e anche nero, l’appuntamento da non mancare è a San Sebastiano Curone la terza domenica di novembre. Bisogna aspettare invece febbraio per il nero pregiato di Norcia in occasione della 50° Mostra Mercato Nazionale del tartufo Nero Pregiato di Norcia e dei Prodotti Tipici. In Italia si raccolgono circa una decina di specie di tartufi, il più pregiato è il tartufo bianco di Alba o di Acqualagna, il famoso Tuber Magnatum Pico, poi c’è il tartufo nero di Norcia e Spoleto (detto anche nero pregiato) e ancora il Bianchetto, lo Scorzone estivo e tanti altri. Gli ambienti ottimali si trovano sull’Appenino centrale, dove non mancano le rotte del gusto, come la Strada del Tartufo, che conduce ad assaporare le eccellenze gastronomiche di un territorio che dall’Emilia Romagna arriva fino all’Umbria. Ma altrettanti itinerari si trovano anche nel nord d’Italia o in Campania, dove abbonda il tartufo di Bagnoli, mentre la città marchigiana di Acqualagna e i territori del Monferrato sono le zone del tartufo bianco pregiato. E proprio ad Alba, nelle Langhe, c’è il più vecchio mercato del settore, dove viene fissata anche la quotazione ufficiale del famoso tubero. E se il prezzo da un lato non stupisce per le cifre in rialzo, d’altro canto fa sorridere ripensando a un Marcello Mastroianni d’annata che, nel film di Marco Ferreri, L’uomo dei Cinque palloni, mette in scena una costosissima “grattata di tartufo”, ripetendo tra sé e sé il costo per ogni lamella, fino a fermarsi a quota 4.000 lire, non per raggiunti limiti di spesa, quanto per un incipiente mal di fegato. Ma era il 1969, altri tempi. Oggi per 10 grammi di tartufo bianco, che è la quantità minima necessaria per la preparazione di un buon piatto, servono all’incir- 02 ca dai 16 ai 25 euro. Se pensiamo che è composto per l’80 per cento da acqua, ci rendiamo conto ancora di più quanto è prezioso. Ma qual è il suo segreto? Come ha fatto un alimento, entrato quasi in sordina nelle ricette piemontesi grazie a cuochi savoiardi cresciuti nelle cucine nobili di Parigi, a conquistare le tavole di tutto il mondo? Come fa a conferire un tono a piatti semplici, come l’uovo al paletto (se non l’avete ancora assaggiato, dovete farlo) e originalità alle ricette più sfiziose come i classici tagliolini al tartufo? La risposta è tutta in quel suo profumo, che non possiamo non avvertire e che invece di appagarci, ci invoglia ad annusarlo ancora. Per diventare cercatori di tartufi, bisogna munirsi di una tessera regionale, seguire i periodi di raccolta e soprattutto serve un cane, che però va addestrato bene, come fanno ad esempio all’Università dei cani da tartufo di Roddi, una delle scuole più singolari al mondo. Si tratta di un ateneo per studenti a 4 zampe, fondato nel 1880 e ufficializzato nel 1935. Ne è rettore Giovanni Monchiero, un esperto trifolaio, che porta avanti una passione di famiglia. Le lezioni si tengono andando per boschi e sentieri e, in due o tre settimane, un tempo da far invidia a qualsiasi riforma scolastica, si consegue la laurea. Ma anche qui, ad “avere naso” si impara poi solo sul campo, uscendo quasi ogni giorno con il proprio padrone. 02. Un cane riceve le coccole del padrone, dopo aver trovato il prezioso tubero, un tartufo bianco d’Alba. Per capire se un cane è predisposto alla ricerca del tartufo, bastano pochi giorni. Non è una questione di razza o pedigree, quanto di olfatto e istinto. I migliori a scovare il fungo ipogeo sono, infatti, i cani meticci. 57 food food La ricetta dello chef Marco Tronconi e Giovanni Traversone Tronconi e Traversone ci presentano uno dei piatti simbolo della Trattoria del Nuovo Macello, il baccalà mantecato al latte. La Trattoria del Nuovo Macello, a due passi dall'ortomercato, è un'oasi di buona cucina dove la creatività sposa la tradizione. Traversone e Tronconi, chef talentuosi giustamente celebrati dalle guide, raccontano la loro mission: fare buona ristorazione con ottimo rapporto qualità-prezzo, vivificando ogni giorno la storia quasi secolare della loro locanda. di Valerio Venturi Baccalà mantecato al latte La vostra trattoria è aperta da 80 anni. Giovanni, come siete arrivati a inaugurare il “nuovo corso” del ristorante della tua famiglia? Giovanni: Io e Marco siamo amici d’infanzia, abbiamo fatto ogni cosa insieme. A un certo punto mi è venuta l’idea di metter mano alla locanda dei miei. Non da solo, ma con lui, un altro amico e mia sorella. Era la fine degli anni Novanta. Che caratteristiche aveva l’attività dei Traversone? Marco: La trattoria era attiva da anni, si lavorava con i camionisti e gli operatori del mercato. Si offriva una cucina semplice con materia prima fresca. Con il vostro arrivo, cos’è cambiato in cucina? M: Il locale è una vera trattoria, con cucina del territorio e in parte ligure: piatti locali ma già moderni... G: Abbiamo puntato a una cucina più raffinata, più “presentata”, ma seguendo un’evoluzione naturale: uno scalino per volta. 58 Oggi qual è la vostra linea? M: Offriamo piatti ben fatti a prezzi ragionevoli e cerchiamo materia prima dal produttore. Anche così – e seguendo la stagionalità – conteniamo i prezzi. Come ha reagito la città alla “new wave” della trattoria? G: La “nuova trattoria” ha rappresentato una novità che ha fatto rumore, prima di noi non esisteva niente di simile. La stampa ci ha “spinto” e ancora oggi tutti parlano bene di noi. In cosa siete stati innovativi? M: Abbiamo voluto conservare l’immagine di una trattoria tranquilla, piacevole, in cui si mangia bene... G: E con una cucina che però sa sorprendere. Poche realtà lavorano così. Com’è la ristorazione in città? G: Quando andiamo a trovare i nostri colleghi “scelti” si va sul sicuro, in altri casi si rischia di spendere e di mangiare così così. Per evitare la fuffa, è bene comprare le guide e informarsi. Cosa pensate dei servizi tipo Trip Advisor? M: Funzionano. Il fatto che si possa scrivere liberamente praticamente qualsiasi cosa, però, non è carino. Magari c’è un avventore nervoso, o succedono poche cose che fan sì che il buono diventi cattivo. Quali sono i vostri piatti-manifesto? G: Siamo famosi per la cotoletta, il baccalà mantecato, i risotti. I clienti trovano sia la tradizione (declinata in chiave moderna) sia l’innovazione. Sentite la crisi? G: Un po’ sì. Se la città non offre niente si lavora poco. E poi c’è più attenzione a quanto si spende. Che fare? G: Puntiamo sulla qualità e sul prezzo: abbiamo il menù di pranzo a 18 euro e cambia tutti i giorni. Il futuro? G: Speriamo di rimanere “giusti” con i tempi, i modi e i contenuti. Poi ci piacerebbe aprire un nuovo locale: una trattoria vera. M: Vogliamo riprovare con la formula antica: cucina semplice ed economica. Ingredienti per 4 persone: 1 baffa di baccalà, ½ l di latte, ½ cipolla, 1 spicchio d’aglio, 3 patate piccole, olio, burro, salvia. Mettere a bagno per due giorni in acqua fresca corrente il baccalà. Sfilettarlo, spinarlo e togliere la pelle. Lessare le patate con la buccia, a cottura ultimata togliere la buccia e tagliare a dadini. Affettare la cipolla e insieme allo spicchio di aglio intero farla cuocere in una pentola per mezz'ora, senza farla dorare. In una padella, rosolare i tranci di baccalà con olio, burro e salvia. Una vol- trattoria del nuovo macello Capita raramente di desinare in una locanda aperta da più di 80 anni. Alla Trattoria del Nuovo Macello, poi, i gestori sono i discendenti dei proprietari originari. Proprio davanti al mattatoio, Silvio Traversone aveva scelto di aprire una trattoria per gli operai della beccheria e dell’ortomercato. Ora i suoi nipoti Paola e Giovanni, insieme al socio e amico Marco Tronconi, hanno in mano le sorti dell’attività. Del ristorante del nonno hanno conservato l’atmosfera, i colori caldi delle pareti, la pavimentazione, i mobili anni Trenta e Cinquanta. La cucina? Si è rinnovata, ma è rimasta fedele ai sapori della tradizione lombarda e casalinga. Parole d’ordine della locanda di via Lombroso? Fantasia, innovazione, continuità e stagionalità. Un’oasi di milanesità, un giusto mix tra passato e futuro. Via Cesare Lombroso, 20 Milano www.trattoriadelnuovomacello.it ta cotti, adagiarli nella pentola dove precedentemente si erano fatte dorare delle cipolle e dell’aglio, aggiungere le patate lessate e latte fresco; fare cuocere a fuoco dolce per circa un'ora, mescolando il composto e spezzettando a minuscoli frammenti il baccalà sino a renderlo quasi cremoso ma consistente. Servirlo su un crostone di polenta, con cipollotto fondente e composta d’arancio. 59 Club house Club house L’importanza dell’innovazione “Come azienda sosteniamo progetti legati ai giovani, allo sport, alla cultura, alla sostenibilità e, soprattutto, all’innovazione.” L’incontro tra il Team Piatti e il Tennis Club Milano Alberto Bonacossa ha un nuovo sostenitore: Bayer. Daniele Rosa, Direttore Comunicazione del gruppo Bayer in Italia, ci spiega perché la multinazionale tedesca ha deciso di promuovere questo progetto. di Enrico S. Benincasa Foto di Andrea Zappa Dottor Rosa, cosa vi ha spinto a impegnarvi a sostenere il lavoro del Team Piatti con i giovani del Tennis Club Milano Bonacossa? Tutto parte dalla nostra mission a livello globale, Science For a Better Life. In Bayer questo si traduce in forti investimenti nella ricerca, per poi creare farmaci e prodotti che migliorino la qualità della nostra vita. L’innovazione, quindi, è parte integrante del nostro DNA. In tutto il mondo sosteniamo progetti legati ai giovani, allo sport, alla cultura, alla sostenibilità e, soprattutto, all’innovazione. L’idea di fare lo stesso con il Team Piatti ci piace perché questa realtà si distingue per il metodo d’insegnamento del tennis, dove i video e l’informatica hanno un ruolo fondamentale. E ci piace ancor di più che questa cosa sia unita al lavorare con i giovani e lo sport, aree da sempre d’interesse per Bayer. Oltre alla polisportiva Bayer Leverkusen, di cui tanti conoscono la squadra di calcio, in che modo Bayer sostiene lo sport nel mondo? Cerchiamo di avvicinarci allo sport dilettantistico e alle discipline meno conosciute, ma comunque vicine alla gente. Per esempio abbiamo sostenuto il badminton, sport nazionale nei paesi asiatici ma poco diffuso qui da noi se non nelle scuole. Stiamo sostenendo il running, il tennistavolo, la boxe dilettantistica e alcuni campionati minori 60 di motorsport. Non stiamo parlando di professionismo, ma di realtà vicine alla gente comune e pulite. Riteniamo che il tennis rientri in questa categoria. Essere vicini allo sport è quindi parte fondamentale delle vostre strategie di comunicazione… Fare dei buoni prodotti, investire in ricerca e sviluppo e curare l’immagine sono asset fondamentali per ogni azienda. Nella comunicazione oggi conta molto la coerenza, e noi cerchiamo di esserlo in tutte le nostre attività che facciamo, sia che riguardino lo sport, i giovani, il territorio o la cultura. Coerenti anche con l’innovazione però: per esempio, di recente abbiamo creato una nuova pubblicazione. Non abbiamo voluto fare un prodotto cartaceo, ma sperimentare con il mondo mobile. È nata così Scienza 2.0, una nuova rivista per iPad scaricabile gratuitamente dall’App Store, che sfrutta tutte le peculiarità di uno strumento come il tablet: quindi le gallery di immagini, l’audio e il video sono parte di essa tanto quanto i testi. Esistono società o divisioni del vostro gruppo che lavorano a stretto contatto con il mondo del tennis? Bayer è conosciuta in tutto il mondo per i farmaci, ma si occupa anche di agricoltura e dei nuovi materiali che nascono dai polimeri. In quest’ultimo campo abbiamo più di 10 mila prodotti, è assolutamente probabile che qualcuno sia oggi utilizzato nella produ- zione di racchette, corde o delle stesse superfici su cui si gioca. Non escludo, poi, che da qualche parte nel mondo ci siano delle attività di ricerca legate in qualche modo al mondo del tennis. So che anche lei è un giocatore di tennis, oltre che grande appassionato. Che cosa l’ha fatta innamorare di questo sport? Mi è sempre piaciuta la competitività e la voglia di vincere di chi ci gioca. Una competitività che riguarda solo il campo, dove la correttezza è sempre presente. Ho sempre ritenuto il tennis uno sport per tutti perché non ha dei costi altissimi, ed è comodo perché si può giocare anche un’ora, quindi in teoria si può fare ogni giorno. Possono praticarlo tutti sin da giovani, ed è una disciplina che ti accompagna per tutta la vita e ti aiuta a tenerti in forma anche in età senior. Quali sono i suoi tennisti preferiti? Mi piace Federer, da sempre. Recentemente ho avuto modo di conoscere Ljubicic ed è stato un bell’incontro. Mi ha colpito la sua storia personale, decisamente “da libro”. Tra gli italiani sono molto amico di Paolo Canè e seguo sempre con attenzione le nostre tenniste: bellissime donne e grandissime sportive di esempio in tutto il mondo. Mi piacciono anche i nostri due migliori tennisti, Seppi e Fognini. Sono diversi come giocatori e anche come carattere, ma faccio il tifo per entrambi! 61 free time free time Da non perdere... Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città e non solo nei prossimi mesi. a cura di Enrico S. Benincasa Chiara Civello 2012 da incorniciare per Chiara Civello: prima il palcoscenico di Sanremo, poi i buoni risultati dell’album Al Posto del Mondo in cui è contenuto anche il brano Problemi che, nella versione in portoghese composta con Dudu Falcao e Ana Carolina, ha vinto il premio Multishow come migliore canzone brasiliana 2012. Non resta che chiudere l'anno in bellezza nel famoso locale di via Borsieri. Blue Note - Milano il 21 e 22 dicembre www.bluenotemilano.com Irene Grandi & Stefano Bollani Per la sua 40esima stagione il Teatro Franco Parenti presenta un progetto speciale dedicato all’Amleto. Da ottobre a maggio saranno in programma diverse rappresentazioni del capolavoro di Shakespeare, curate da registi italiani e internazionali. A dicembre anche Danio Manfredini proporrà la sua versione, asciugata degli aspetti prettamente letterari ma focalizzata sul punto di vista di Amleto stesso, che Manfredini vede come uomo di pensiero e d’immaginazione. Teatro Franco Parenti - Milano il 12 e 14 dicembre www.teatrofrancoparenti.it 62 Si conoscono da vent’anni e da dieci hanno entrambi un’idea fissa: registrare un disco tutto loro. Non che le occasioni di ascoltarli o vederli suonare siano mancate, perché Stefano Bollani e Irene Grandi hanno incrociato il loro cammino musicale più volte, sia sul palco che in studio. Un progetto discografico con tour annesso, però, era un pallino di entrambi. “Il disco (…) lo realizzavamo nella nostra testa, c’era un file sempre aperto in cui finiva tutto quello che sarebbe potuto diventare il repertorio”, racconta Stefano, “c’erano un sacco di pezzi candidati, ma il bello è che quando siamo arrivati in studio la scaletta si è fatta da sé”, conclude Irene. La strana coppia è ben assortita, e nel disco – uscito il 23 ottobre per Carosel- Amore e Psiche Per la prima volta la scultura di Canova Amore e Psiche stanti, esposta al Louvre, arriva a Palazzo Marino, per il solito (quinto anno consecutivo) appuntamento gratuito con l’arte durante il periodo natalizio. Non verrà però da sola, perché i curatori hanno deciso di affiancarle il dipinto Psyché et l’Amour di Francois Gerard, anch’esso ispirato dall’affascinante soggetto narrato da Apuleio. Sala Alessi di Palazzo Marino Milano dal 1 dicembre al 13 gennaio www.comune.milano.it Mediolanum Forum - Assago il 1 dicembre www.lagrandesfida.net Teatro della Luna - Milano il 18 dicembre www.grandibollani.com Il Principe Amleto La Grande Sfida lo Records – gioca con la musica passando da Viva La Pappa col Pomodoro di Rita Pavone a No Surprises dei Radiohead, andando a pescare anche dai repertori di artisti come Chico Barque e Pino Daniele. Bravi loro a colmare la distanza tra visioni per i più antitetiche, ma bravi anche a interpretare i due inediti donati da Cristina Donà e Niccolò Fabi (rispettivamente Come Non Mi Hai Visto Mai e Costruire, quest’ultimo primo singolo del disco). Un progetto del genere non poteva non prevedere un tour, che è iniziato il 9 novembre da Assisi. I teatri italiani li hanno quasi girati tutti, manca giusto Milano che è stata scelta come penultima data, a una settimana da Natale. Perché non farsi un regalo anticipato? Chiusa oramai la stagione tennistica con i Masters maschili e femminili, è tempo di riposo per i giocatori e le giocatrici pro. Ma fino a un certo punto, perché dicembre è un ottimo mese per i match di esibizione in giro per il mondo. I grandi successi raccolti dal tennis femminile italiano sono stati lo spunto per organizzarne uno anche a Milano. Si chiama La Grande Sfida, ed è un evento che l’anno scorso, con Flavia Pennetta e Francesca Schiavone contro le sorelle Williams, ha visto il Mediolanum Forum registrare il tutto esaurito. Quest’anno tornerà ma con diverse protagoniste: saranno le nostre Sara Errani e Roberta Vinci a doversela vedere con due tra le più belle e brave tenniste del circuito WTA, Ana Ivano- vic e Maria Sharapova. La formula, rispetto al debutto dello scorso anno, è stata variata: si giocheranno due set di singolare e uno di doppio. L’agonismo non mancherà di certo, visto che queste campionesse – tutte e quattro entro le prime sedici della classifica – scendono sempre in campo per vincere. Ma sarà anche l’occasione per festeggiare i grandi risultati raggiunti da Sara e Roberta nel 2012. In doppio hanno vinto US Open e Roland Garros e sono stabilmente prime in classifica, in singolare Roberta ha vinto un torneo mentre Sara ben quattro. La Errani, inoltre, ha raggiunto le semifinali a New York e la finale a Parigi, perdendo proprio contro la Sharapova. Sarà questa l’occasione per la rivincita? Abelow Schmabelow La produzione artistica di Joshua Abelow è solo apparentemente dicotomica. In bilico tra il figurativo e l’astratto, si divide tra piccole tele rigide e metodiche (anche cromaticamente parlando) e disegni-schizzi che, invece, danno l’impressione di essere stati realizzati di getto. Ma è proprio il rifiuto di una qualunque logica consequenziale la base dell’opera di questo artista-blogger di Brooklyn, condita sempre dall’ironia del paradosso. Brand New Gallery - Milano dal 22 novembre al 22 dicembre www.brandnew-gallery.com 63 free time network TerreMoMi Puoi trovare Club Milano in oltre 200 location selezionate a Milano Il 24 novembre presso lo showroom Valcucine Milano Brera, appuntamento con un’asta di beneficenza per l’Emilia Romagna e un viaggio in bicicletta A/R Modena – Milano percorso in ventiquattro ore. a cura della Redazione di Club Milano sul web www.demode.it/terremomi www.valcucine.it www.volontariamo.it www.iridefixed.it La squadra di ciclisti a scatto fisso capeggiata da Iride Fixed Modena si prepara ad affrontare il viaggio Modena-Milano A/R in ventiquattro ore inforcando le loro biciclette. Il design italiano va all’asta, in occasione di una serata organizzata per raccogliere fondi per aiutare le persone colpite dal forte sisma che nei mesi scorsi ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna. L’appuntamento è fissato per sabato 24 novembre, a partire dalle ore 17 presso lo showroom Valucine Milano Brera in Corso Garibaldi 99. Il battitore d’eccezione sarà Filippo Solibello, voce inconfondibile del programma Caterpillar AM di Radio 2. Durante l’evento presenterà schizzi progettuali, pezzi speciali e numerose opere realizzate ad hoc per l’occasione da alcune delle firme più prestigiose del panorama del design italiano. Tra gli artisti coinvolti, 64 spiccano i nomi di Aldo e Matteo Cibic, Lorenzo Damiani, Carlotta De Bevilacqua, Rodolfo Dordoni, Davide Groppi, James Irvine, Kengo Kuma, Matteo Ragni, Ugo La Pietra e molti altri. L’iniziativa, promossa da Demode, Valcucine, Iride Fixed Modena e Brera Design District, è un’opportunità imperdibile per unire le nostre forze e prendere parte a una serata dedicata all’Emilia Romagna. L’intero ricavato dell’asta sarà devoluto all’Associazione Servizi Per il Volontariato di Modena, una Onlus che si occupa della ricostruzione di alcuni luoghi distrutti dal sisma, come “la casa del volontariato” di Mirandola, che diventerà sede di interventi sociali de- dicati a bambini e anziani. Inoltre, una squadra di ciclisti a scatto fisso, capeggiata da Iride Fixed Modena, percorrerà la tratta Modena – Milano A/R in ventiquattro ore, per prendere l’assegno del ricavato dei fondi raccolti e consegnarlo all’associazione. Durante la serata ci sarà un collegamento con i ciclisti, che condivideranno attraverso delle miniclip la loro posizione e il loro viaggio. Per non perdersi neppure un passaggio, sarà possibile seguire la biciclettata in diretta dagli account Twitter e Instagram di @iridemodena e @demode_it. A fine asta, poi, non mancherà l’occasione di prendere parte a un aperitivo di accoglienza per i ciclisti. night & restaurant: Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Caffè Savona Via Montevideo 4 California Bakery Pzza Sant’Eustorgio 4 - V.le Premuda 449 - Largo Augusto Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 V.le Certosa 63 N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 - P.zza Cavour 7 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36 Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16 Zerodue_ Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 56 Via Tucidide 56 3Jolie Via Induno 1 20 Milano Via Celestino 4 stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 FNAC Via Torino 45 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini 1 Henry Cottons C.so Venezia 7 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rossocorsa C.so porta Vercellina 16 Porsche Haus Via Stephenson 53 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99 showroom: Alberta Ferretti Via Donizetti 48 Alessandro Falconieri Via Uberti 6 And’s Studio Via Colletta 69 Bagutta Via Tortona 35 Casile&Casile Via Mascheroni 19 Damiano Boiocchi Via San Primo 4 Daniela Gerini Via Sant’Andrea 8 Gap Studio C.so P.ta Romana 98 Gallo Evolution Via Andegari 15 ang. Via Manzoni Gruppo Moda Via Ferrini 3 Guess Via Lambro 5 Guffanti Concept Via Corridoni 37 IF Italian Fashion Via Vittadini 11 In Style Via Cola Montano 36 Interga V.le Faenza 12/13 Jean’s Paul Gaultier Via Montebello 30 Love Sex Money Via Giovan Battista Morgagni 33 Massimo Bonini Via Montenapoleone 2 Miroglio Via Burlamacchi 4 Missoni Via Solferino 9 Moschino Via San Gregorio 28 Parini 11 Via Parini 11 Red Fish Lab Via Malpighi 4 Sapi C.so Plebisciti 12 Spazio + Meet2Biz Alzaia Naviglio Grande 14 Studio Zeta Via Friuli 26 Who’s Who Via Serbelloni 7 beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Caroli Health Club Via Senato 11 Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Palestre Downtown P.za Diaz 6 - P.za Cavour 2 Fitness First V.le Cassala 22 - V.le Certosa 21/a - Foro Bonaparte 71 - Via S.Paolo 7 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1 art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31 hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42 inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di PreSaint-Didier (AO) 65 ColophoN club milano Alzaia Naviglio Grande, 14 20144 Milano T +39 02 45491091 [email protected] www.clubmilano.net direttore responsabile publisher Stefano Ampollini M.C.S. snc è via Monte Stella, 2 art director 10015 Ivrea TO Luigi Bruzzone distribuzione caporedattore [email protected] Andrea Zappa C M Y editore redazione Contemporanea srl Enrico S. 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