“Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico

“Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico
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‘DOPO’ LA TRACHEOTOMIA NEL PAZIENTE NEUROLOGICO
A.G. Dragonetti*, G. Mantini*, O. Morelli*, V. Sansone**, I. Chiusa***
I progressi delle tecniche rianimatorie e riabilitative, associati all’introduzione di nuovi
principi farmacologici, hanno consentito un progressivo prolungamento dell’aspettativa di
vita per i pazienti affetti da malattie neurologiche fino a pochi anni fa gravate da prognosi
assai povera se non decisamente infausta, spostando in molti casi la sopravvivenza da pochi
mesi a molti anni o addirittura ad un tempo teoricamente indefinito. Il miglioramento delle
tecniche di gestione delle funzioni respiratorie, oltre che deglutitorie e fonatorie, attraverso il ricorso sempre più frequente alla tracheotomia gestionale o curativa, ha consentito a
questi complessi pazienti di ridurre drasticamente le infezioni delle vie respiratorie, che
rappresentavano una delle principali cause di exitus precoce, sia in terapia intensiva sia nei
reparti di riabilitazione e spesso anche nelle cure domiciliari. Tuttavia, come ben noto agli
specialisti del settore, anche nel paziente neurologico il “dopo” della tracheotomia è strettamente legato al “prima”, e cioè al rispetto dei tre tempi fondamentali di questa chirurgia:
indicazione, esecuzione e gestione.
Il numero delle malattie neurologiche che possono necessitare di tracheotomia nella loro
storia naturale è quindi in costante aumento (Tab. I).
Si pone, infatti, indicazione alla tracheotomia in un paziente neurologico quando si è di
fronte a:
• necessità di ventilazione artificiale meccanica a lungo termine impraticabile in modalità
non invasiva;
• incapacità di mantenere il controllo delle prime vie aeree grazie ai riflessi;
• necessità di mantenere un’adeguata toelette delle vie aeree nei pazienti con meccanismo
della tosse, inefficace come nelle patologie neuromuscolari e del midollo spinale.
I pazienti affetti da malattie neurologiche, eccetto le lesioni midollari, hanno in linea generale come comune denominatore, il decadimento progressivo delle funzionalità respiratorie
e deglutitorie che, oltre ai deficit neurologici specifici di ogni singola patologia, portano
frequentemente a complicazioni per le quali è indicata un’assistenza ventilatoria con diversi
gradi di invasività fino alla necessità di una tracheotomia gestionale o temporanea o definitiva. La tracheotomia consentirà al paziente di trarre vantaggio non solo da un’adeguata
Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria-Az Osp Niguarda Ca’ Granda, Milano** .
Struttura Complessa di Neurorianimazione-Az Osp Niguarda Ca’ Granda, Milano
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ventilazione meccanica ma anche dall’aspirazione delle secrezioni tracheobronchiali e dalla
prevenzione degli eventuali episodi ab ingestis.
Nel processo decisionale sono innanzitutto da tenere in considerazione le eventuali volontà
espresse nel consenso informato dal paziente, ancora capace di intendere e di volere, prima
che la patologia neurologica progressiva porti al deterioramento delle sue capacità cognitive
e decisionali; tali volontà, che aprono talora contenziosi e dubbi di tipo etico e giuridico,
possono essere cambiate dal paziente in ogni momento costringendo talora gli operatori a
prendere decisioni in situazioni anche d’urgenza.
Tabella I: Le malattie neurologiche che possono necessitare di una tracheotomia
Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)
Atrofie Muscolai Spinali (SMA)
Distrofie miotomiche di tipo 1 (DM, distrofia di Steinert) e di tio 2 (DM2)
Distrofie Muscolari (distrofia di Duchenne)
Polineuropatie senso motorie
Polineuropatie ereditarie
Distrofia Miotonica di Steiner
Polimiositi - Dermatomiositi
Miastenia Gravis
Lesioni Midollari
Locked in Syndrome
Parkinson e Parkinsonismo
Sindrome di Guillain-barré
Distonie Generalizzate
Uno dei momenti più delicati della strategia gestionale del paziente neurologico è quello
in cui si deve porre la corretta indicazione al tipo di tracheotomia da eseguire. L’utilizzo di
una tecnica percutanea dovrebbe in linea di massima essere riservato ai casi di tracheotomia
temporanea mentre la tracheotomia chirurgica è indicata ogni volta che non si preveda la
reversibilità e pertanto va considerata una tracheostomia definitiva.
La scelta non è però sempre così facilmente schematizzabile in quanto entrano sempre
in gioco, oltre ai fattori prognostici legati alla patologia, anche altre variabili quali età,
condizioni generali del paziente, comorbilità, fattori ambientali e logistici (timing di “discharging” dal trattamento intensivistico, eventuale previsione di domiciliazione o di trasferimento in unità riabilitativa), possibilità di un’eventuale decannulazione e di riabilitazione
della deglutizione, respirazione e fonazione e non ultimi i fattori sociali e familiari.
La corretta indicazione è fondamentale per evitare al paziente, ai curanti e ai caregivers
inconvenienti correlati con una procedura non idonea che si risolveranno solo con ulteriori
procedure di conversione di una tracheotomia dilatativa in tracheotomia chirurgica oppure
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di revisione della precedente tracheotomia chirurgica. Nel paziente neurologico la tracheotomia dovrebbe essere eseguita quando ormai indispensabile per concedere al paziente,
dotato ancora di una discreta autosufficienza motoria e intellettiva, la maggior autonomia
possibile nella gestione della vita quotidiana e di relazione.
Il timing all’esecuzione della tracheotomia viene di solito stabilito dal curante che a seconda
delle realtà ospedaliere potrà essere il neurologo o lo pneumolgo specialista in ventilazione.
Difficilmente sarà lo specialista ORL al quale è riservato il ruolo di esecutore di una procedura chirurgica la cui indicazione è stata posta dai colleghi. Lo specialista che più frequentemente è consultato di fronte ad una dispnea è il rianimatore al quale è comunemente
affidata la gestione della via aerea. Solo nelle Aziende Ospedaliere più complete in termini
di presenza di specialisti e dimensioni il paziente può contare sulla presenza di un’equipe
di specialisti che collaborano nel processo di “decision making” così da rendere non solo
adeguato il timing della tracheotomia ma anche corretto l’utilizzo della tecnica.
Molte malattie neurologiche, infatti, non sono omogenee ma hanno manifestazioni e progressioni diverse. La SLA per esempio, soprattutto quella a esordio bulbare può avere un
decorso rapido, entro 1-2 anni dalla diagnosi ma nelle forme a esordio spinale il decorso può
essere più lento, con una possibilità di sopravvivenza in alcuni casi a 10 anni anche senza
ventilazione meccanica. Nelle forme a esordio bulbare in particolare, il quadro è dominato
dalla disartria e disfagia ingravescenti a cui si associa un dimagrimento rapido. In questi
casi la NIMV può essere molto difficile per l’impossibilità di gestire le secrezioni e la salivazione; la tracheotomia diventa spesso inevitabile per assicurare una ventilazione efficace
e quindi la sopravvivenza. In questo caso è chiaro che il paziente affetto da SLA è destinato
al mantenimento definitivo e “sine die” della tracheotomia e quindi la decisione più corretta
è quella di procedere ad una tracheotomia chirurgica.
Schematicamente si può affermare che:
- la tracheotomia d’emergenza è esclusivamente chirurgica;
- la tracheotomia d’urgenza è chirurgica di prima scelta o percutanea se le condizioni lo
consentono e se è prevista una reversibilità;
- la tracheotomia d’elezione si divide a sua volta in:
• tracheotomia gestionale o temporanea di prima scelta percutanea ma anche chirurgica se non sono disponibili materiali e personale addestrato;
• tracheostomia definitiva esclusivamente chirurgica.
Le due diverse tecniche di tracheotomia sono state ampiamente trattate in termini d’indicazione, metodiche e materiali dalla letteratura internazionale(4,5).
È noto che entrambe le tecniche sono operatore-dipendente benché nelle percutanee sia
necessario l’impiego di strumentario endoscopico e dei diversi kit di materiale che rendono
la metodica più costosa. La gestione post operatoria della tracheotomia è analoga nei reparti
specialistici mentre la gestione della cannula al domicilio e in reparti non specialistici è più
semplice in caso di tracheotomia con stoma completo in quanto viene eliminato il rischio
anossico legato all’estrusione accidentale della cannula. La tracheotomia percutanea richiede, infatti, sempre la gestione da parte di personale addestrato, la presenza di strumentazione e ambienti idonei, risultando così poco idonea alla gestione domiciliare.
La richiesta della conversione chirurgica di una tracheotomia dilatativa rappresenta a nostro parere un segno di fallimento di tutto l’algoritmo gestionale a partire dalla leggerezza
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prospettica dell’indicazione iniziale. Infatti, tale richiesta indica che il paziente tracheotomizzato presenta complicazioni gestionali per le quali la tracheotomia è un fattore peggiorativo della sua già complessa patologia. In ambiti ospedalieri dove la patologia neurologica non afferisce routinariamente, l’utilizzo di procedure dilatative in terapia intensiva è
effettuato senza tener conto dell’andamento progressivo di alcune malattie come la SLA
per le quali subentrano implicazioni cliniche e gestionali. Dato l’andamento sicuramente
progressivo-degenerativo della malattia, seppur con le previste variabilità temporali, e la
previsione di una lunga gestione (spesso anche domiciliare) della tracheotomia, il paziente
affetto da SLA dovrebbe essere sottoposto sempre ad una tracheotomia chirurgica ab initio.
La conversione chirurgica di una tracheotomia dilatativa non è, infatti, sempre agevole in
quanto il precedente atto invasivo può aver determinato un sovvertimento anatomico che
rende complesso il recupero di anelli tracheali e l’abboccamento della trachea alla cute.
È frequente, infatti, riscontrare la perdita di anelli tracheali che sono stati lesionati dalle
manovre della tracheotomia percutanea. L’obiettivo, infatti, è quello di confezionare uno
stoma sufficientemente stabile e di dimensione adeguata alla tenuta della cuffia durante la
ventilazione forzata.
Nelle SLA bulbari può essere concettualmente corretto porre indicazione alla laringectomia totale quale alternativa alla tracheotomia. Benché si tratti di un intervento di chirurgia
maggiore, proposto a un paziente con aspettative di vita limitate, la laringectomia totale
rappresenta una metodica di diversificazione delle due vie, aerea e digestiva, che consente
al paziente di proseguire l’alimentazione per le vie naturali. Nella nostra esperienza di gestione delle vie aeree e della disfagia dei pazienti afferenti al Centro Nemo per il trattamento
delle SLA, sito all’interno della nostra Azienda Ospedaliera, solo una paziente affetta da
SLA bulbare ha accettato l’indicazione alla laringectomia totale e nei 3 mesi successivi, che
rappresentato un tempo prolungato rispetto all’aspettativa di vita della paziente, è stata in
grado di proseguire la nutrizione per os. Il decadimento cognitivo ha però poi comportato il
posizionamento di una PEG.
Per quanto riguarda le attrezzature, inoltre, è indispensabile che un centro di riferimento
gestionale della tracheotomia abbia a disposizione, oltre che i più avanzati macchinari per
l’assistenza alla tosse (esempio: In-Exufflator o Cofflator) anche un’ampia disponibilità
di tipi di cannula tracheale, in termini di forme, dimensioni e materiali, in modo da poter
gestire anche le situazioni anatomiche più complesse (Fig. 1). È ormai acquisito che la cuffia delle cannule dev’essere ad alto volume e bassa pressione così da ridurre al minimo le
complicanze meccaniche.
Per il paziente neurologico è fondamentale riuscire a comunicare con la parola ed è possibile anche se sottoposto a ventilazione artificiale detendendo la cuffia della cannula. Questo in
genere non comporta, soprattutto nei pazienti affetti da patologia neuromuscolare, significative riduzioni del volume d’aria ventilato, ma richiede un’iniziale fase di adattamento durante la quale il paziente deve cercare la coordinazione tra le fasi inspiratorie ed espiratorie,
per il controllo delle corde vocali che, contrariamente a quanto avviene fisiologicamente,
vanno chiuse in inspirazione e aperte in espirazione, in modo da consentire all’espirato di
ritorno di passarvi attraverso creando suoni articolati(9).
Il paziente neurologico tracheotomizzato ha spesso un deficit della deglutizione correlato
alla patologia neurologica di base(2). L’obiettivo riabilitativo e gestionale è quello di con-
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Fig. 1 - RM cervicale in paziente affetto da distonia generalizzata: la dislocazione della trachea può
rendere complesso il cambio cannula.
servare, fino a che è possibile, sia la respirazione che la deglutizione spontanee per vie
naturali, anche dopo il posizionamento di una tracheotomia a scopo ventilatorio riducendo
(ma non azzerando) il rischio di ab ingestis. La saliva o il cibo inalati in presenza di cannula
cuffiata ristagnano al di sopra della cuffia aumentando il rischio di granulazioni, tracheomalacia e stenosi tracheali. L’abitudine inoltre di tendere la cuffia durante l’alimentazione è
quantomeno discutibile; infatti la cannula cuffiata è di ostacolo al movimento di elevazione
laringea e chiusura del piano glottico sebbene in letteratura si trovano opinioni discordanti.
È stato dimostrato, infatti, che in individui non-disfagici la tracheotomia non influisce sul
movimento di elevazione della laringe (11), mentre è significativamente più elevata la frequenza di aspirazione silente e ridotta in condizioni di cannula cuffiata(10).
La sostituzione della cannula è effettuata mediamente ogni 3 mesi, sebbene con frequenza
variabile da paziente a paziente. La procedura, nel paziente neurologico ventilato, dev’essere sempre eseguita da personale addestrato e in ambiente idoneo non solo in caso di tracheotomia percutanea ma anche in presenza di una tracheotomia chirurgica qualora il paziente
sia affetto da alterazioni del calibro e del decorso tracheale condizionato dalla patologia di
base (m. di Duchenne, distonia)(1).
La rimozione della cannula tracheale è sicuramente un obiettivo primario sia perché permette la ripresa dell’autonomia respiratoria sia perché riduce il rischio di complicanze respiratorie correlate al suo prolungato mantenimento. Nelle patologie neurologiche in cui ciò
è ipotizzabile, la gestione e lo svezzamento dalla cannula rappresentano uno degli aspetti
fondamentali da affrontare nella fase di riabilitazione, per raggiungere la progressiva indipendenza da tutti i sistemi di supporto artificiali(8,6). Nel cerebroleso la gestione della cannula tracheotomica dev’essere strettamente correlata alla valutazione e al trattamento della
disfagia. Sicuramente il mantenimento della cannula tracheotomica presenta molteplici
vantaggi. Dalla revisione degli studi presenti in letteratura si evidenzia che non esistono
protocolli condivisi da tutti i centri di riabilitazione per la gestione e lo svezzamento dalla
cannula tracheotomica ed è quindi difficile sistematizzare l’approccio.
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Nel documento finale della Consensus Conference SIMFER del 2010 sulla grave cerebrolesione acquisita(3) è raccomandato il non mantenimento della cuffiatura soprattutto in pazienti non costantemente monitorati ed è consigliata la decannulazione solo dopo:
- valutazione clinica della tolleranza alla progressiva chiusura fino almeno a 48 ore consecutive (saturazione O2>92% in aria ambiente);
- sufficiente efficacia della tosse e capacità di autogestione delle secrezioni;
- assenza d’infezioni con Rx torace negativa e assenza di ostruzione delle vie aeree superiori;
- soddisfacenti condizioni di nutrizione ed efficacia almeno parziale della deglutizione
dopo valutazione fibroscopica di pervietà delle vie respiratorie;
- funzionalità delle corde vocali;
- assenza di complicanze.
Si sottolinea che la decannulazione è possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato
vegetativo o di minima coscienza dopo aver verificato una ragionevole efficacia della tosse
e della deglutizione automatica. Nelle indicazioni quindi c’è una stretta correlazione tra la
gestione della cannula con la valutazione delle secrezioni orofaringee e della funzione deglutitoria come ben descritto e protocollato nella Consensus Conference a cui si rimanda (3).
La nostra esperienza più che ventennale nella gestione delle tracheotomie nei pazienti in
carico alle terapie intensive, (neurorianimazione, cardiorianimazione, terapia subintensiva)
e reparti ad alta intensità di cura e specializzazione (Stroke Unit, Unità Spinale, centro
NEMO per la cura delle malattie neuromuscolari) ci ha consentito di crescere in un’equipe
pluridisciplinare dove l’apporto di ogni specialità è servito a migliorare non solo la gestione
del paziente tracheotomizzato ma anche la crescita culturale degli operatori. L’otorinolaringoiatra è passato dall’essere un esecutore di un atto chirurgico ad attore in equipe con gli
altri specialisti nel processo d’indicazione e di gestione della tracheotomia come è corretto
che sia, visto che su di lui ricadono inevitabilmente la gestione delle complicanze postoperatorie, qualunque sia la tecnica utilizzata, o delle problematiche connesse con la gestione
della cannula tracheale.
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