“Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico 149 ‘DOPO’ LA TRACHEOTOMIA NEL PAZIENTE NEUROLOGICO A.G. Dragonetti*, G. Mantini*, O. Morelli*, V. Sansone**, I. Chiusa*** I progressi delle tecniche rianimatorie e riabilitative, associati all’introduzione di nuovi principi farmacologici, hanno consentito un progressivo prolungamento dell’aspettativa di vita per i pazienti affetti da malattie neurologiche fino a pochi anni fa gravate da prognosi assai povera se non decisamente infausta, spostando in molti casi la sopravvivenza da pochi mesi a molti anni o addirittura ad un tempo teoricamente indefinito. Il miglioramento delle tecniche di gestione delle funzioni respiratorie, oltre che deglutitorie e fonatorie, attraverso il ricorso sempre più frequente alla tracheotomia gestionale o curativa, ha consentito a questi complessi pazienti di ridurre drasticamente le infezioni delle vie respiratorie, che rappresentavano una delle principali cause di exitus precoce, sia in terapia intensiva sia nei reparti di riabilitazione e spesso anche nelle cure domiciliari. Tuttavia, come ben noto agli specialisti del settore, anche nel paziente neurologico il “dopo” della tracheotomia è strettamente legato al “prima”, e cioè al rispetto dei tre tempi fondamentali di questa chirurgia: indicazione, esecuzione e gestione. Il numero delle malattie neurologiche che possono necessitare di tracheotomia nella loro storia naturale è quindi in costante aumento (Tab. I). Si pone, infatti, indicazione alla tracheotomia in un paziente neurologico quando si è di fronte a: • necessità di ventilazione artificiale meccanica a lungo termine impraticabile in modalità non invasiva; • incapacità di mantenere il controllo delle prime vie aeree grazie ai riflessi; • necessità di mantenere un’adeguata toelette delle vie aeree nei pazienti con meccanismo della tosse, inefficace come nelle patologie neuromuscolari e del midollo spinale. I pazienti affetti da malattie neurologiche, eccetto le lesioni midollari, hanno in linea generale come comune denominatore, il decadimento progressivo delle funzionalità respiratorie e deglutitorie che, oltre ai deficit neurologici specifici di ogni singola patologia, portano frequentemente a complicazioni per le quali è indicata un’assistenza ventilatoria con diversi gradi di invasività fino alla necessità di una tracheotomia gestionale o temporanea o definitiva. La tracheotomia consentirà al paziente di trarre vantaggio non solo da un’adeguata Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria-Az Osp Niguarda Ca’ Granda, Milano** . Struttura Complessa di Neurorianimazione-Az Osp Niguarda Ca’ Granda, Milano * *** 150 A.G. Dragonetti, G. Mantini, O. Morelli, V. Sansone, I. Chiusa ventilazione meccanica ma anche dall’aspirazione delle secrezioni tracheobronchiali e dalla prevenzione degli eventuali episodi ab ingestis. Nel processo decisionale sono innanzitutto da tenere in considerazione le eventuali volontà espresse nel consenso informato dal paziente, ancora capace di intendere e di volere, prima che la patologia neurologica progressiva porti al deterioramento delle sue capacità cognitive e decisionali; tali volontà, che aprono talora contenziosi e dubbi di tipo etico e giuridico, possono essere cambiate dal paziente in ogni momento costringendo talora gli operatori a prendere decisioni in situazioni anche d’urgenza. Tabella I: Le malattie neurologiche che possono necessitare di una tracheotomia Sclerosi laterale amiotrofica (SLA) Atrofie Muscolai Spinali (SMA) Distrofie miotomiche di tipo 1 (DM, distrofia di Steinert) e di tio 2 (DM2) Distrofie Muscolari (distrofia di Duchenne) Polineuropatie senso motorie Polineuropatie ereditarie Distrofia Miotonica di Steiner Polimiositi - Dermatomiositi Miastenia Gravis Lesioni Midollari Locked in Syndrome Parkinson e Parkinsonismo Sindrome di Guillain-barré Distonie Generalizzate Uno dei momenti più delicati della strategia gestionale del paziente neurologico è quello in cui si deve porre la corretta indicazione al tipo di tracheotomia da eseguire. L’utilizzo di una tecnica percutanea dovrebbe in linea di massima essere riservato ai casi di tracheotomia temporanea mentre la tracheotomia chirurgica è indicata ogni volta che non si preveda la reversibilità e pertanto va considerata una tracheostomia definitiva. La scelta non è però sempre così facilmente schematizzabile in quanto entrano sempre in gioco, oltre ai fattori prognostici legati alla patologia, anche altre variabili quali età, condizioni generali del paziente, comorbilità, fattori ambientali e logistici (timing di “discharging” dal trattamento intensivistico, eventuale previsione di domiciliazione o di trasferimento in unità riabilitativa), possibilità di un’eventuale decannulazione e di riabilitazione della deglutizione, respirazione e fonazione e non ultimi i fattori sociali e familiari. La corretta indicazione è fondamentale per evitare al paziente, ai curanti e ai caregivers inconvenienti correlati con una procedura non idonea che si risolveranno solo con ulteriori procedure di conversione di una tracheotomia dilatativa in tracheotomia chirurgica oppure “Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico 151 di revisione della precedente tracheotomia chirurgica. Nel paziente neurologico la tracheotomia dovrebbe essere eseguita quando ormai indispensabile per concedere al paziente, dotato ancora di una discreta autosufficienza motoria e intellettiva, la maggior autonomia possibile nella gestione della vita quotidiana e di relazione. Il timing all’esecuzione della tracheotomia viene di solito stabilito dal curante che a seconda delle realtà ospedaliere potrà essere il neurologo o lo pneumolgo specialista in ventilazione. Difficilmente sarà lo specialista ORL al quale è riservato il ruolo di esecutore di una procedura chirurgica la cui indicazione è stata posta dai colleghi. Lo specialista che più frequentemente è consultato di fronte ad una dispnea è il rianimatore al quale è comunemente affidata la gestione della via aerea. Solo nelle Aziende Ospedaliere più complete in termini di presenza di specialisti e dimensioni il paziente può contare sulla presenza di un’equipe di specialisti che collaborano nel processo di “decision making” così da rendere non solo adeguato il timing della tracheotomia ma anche corretto l’utilizzo della tecnica. Molte malattie neurologiche, infatti, non sono omogenee ma hanno manifestazioni e progressioni diverse. La SLA per esempio, soprattutto quella a esordio bulbare può avere un decorso rapido, entro 1-2 anni dalla diagnosi ma nelle forme a esordio spinale il decorso può essere più lento, con una possibilità di sopravvivenza in alcuni casi a 10 anni anche senza ventilazione meccanica. Nelle forme a esordio bulbare in particolare, il quadro è dominato dalla disartria e disfagia ingravescenti a cui si associa un dimagrimento rapido. In questi casi la NIMV può essere molto difficile per l’impossibilità di gestire le secrezioni e la salivazione; la tracheotomia diventa spesso inevitabile per assicurare una ventilazione efficace e quindi la sopravvivenza. In questo caso è chiaro che il paziente affetto da SLA è destinato al mantenimento definitivo e “sine die” della tracheotomia e quindi la decisione più corretta è quella di procedere ad una tracheotomia chirurgica. Schematicamente si può affermare che: - la tracheotomia d’emergenza è esclusivamente chirurgica; - la tracheotomia d’urgenza è chirurgica di prima scelta o percutanea se le condizioni lo consentono e se è prevista una reversibilità; - la tracheotomia d’elezione si divide a sua volta in: • tracheotomia gestionale o temporanea di prima scelta percutanea ma anche chirurgica se non sono disponibili materiali e personale addestrato; • tracheostomia definitiva esclusivamente chirurgica. Le due diverse tecniche di tracheotomia sono state ampiamente trattate in termini d’indicazione, metodiche e materiali dalla letteratura internazionale(4,5). È noto che entrambe le tecniche sono operatore-dipendente benché nelle percutanee sia necessario l’impiego di strumentario endoscopico e dei diversi kit di materiale che rendono la metodica più costosa. La gestione post operatoria della tracheotomia è analoga nei reparti specialistici mentre la gestione della cannula al domicilio e in reparti non specialistici è più semplice in caso di tracheotomia con stoma completo in quanto viene eliminato il rischio anossico legato all’estrusione accidentale della cannula. La tracheotomia percutanea richiede, infatti, sempre la gestione da parte di personale addestrato, la presenza di strumentazione e ambienti idonei, risultando così poco idonea alla gestione domiciliare. La richiesta della conversione chirurgica di una tracheotomia dilatativa rappresenta a nostro parere un segno di fallimento di tutto l’algoritmo gestionale a partire dalla leggerezza 152 A.G. Dragonetti, G. Mantini, O. Morelli, V. Sansone, I. Chiusa prospettica dell’indicazione iniziale. Infatti, tale richiesta indica che il paziente tracheotomizzato presenta complicazioni gestionali per le quali la tracheotomia è un fattore peggiorativo della sua già complessa patologia. In ambiti ospedalieri dove la patologia neurologica non afferisce routinariamente, l’utilizzo di procedure dilatative in terapia intensiva è effettuato senza tener conto dell’andamento progressivo di alcune malattie come la SLA per le quali subentrano implicazioni cliniche e gestionali. Dato l’andamento sicuramente progressivo-degenerativo della malattia, seppur con le previste variabilità temporali, e la previsione di una lunga gestione (spesso anche domiciliare) della tracheotomia, il paziente affetto da SLA dovrebbe essere sottoposto sempre ad una tracheotomia chirurgica ab initio. La conversione chirurgica di una tracheotomia dilatativa non è, infatti, sempre agevole in quanto il precedente atto invasivo può aver determinato un sovvertimento anatomico che rende complesso il recupero di anelli tracheali e l’abboccamento della trachea alla cute. È frequente, infatti, riscontrare la perdita di anelli tracheali che sono stati lesionati dalle manovre della tracheotomia percutanea. L’obiettivo, infatti, è quello di confezionare uno stoma sufficientemente stabile e di dimensione adeguata alla tenuta della cuffia durante la ventilazione forzata. Nelle SLA bulbari può essere concettualmente corretto porre indicazione alla laringectomia totale quale alternativa alla tracheotomia. Benché si tratti di un intervento di chirurgia maggiore, proposto a un paziente con aspettative di vita limitate, la laringectomia totale rappresenta una metodica di diversificazione delle due vie, aerea e digestiva, che consente al paziente di proseguire l’alimentazione per le vie naturali. Nella nostra esperienza di gestione delle vie aeree e della disfagia dei pazienti afferenti al Centro Nemo per il trattamento delle SLA, sito all’interno della nostra Azienda Ospedaliera, solo una paziente affetta da SLA bulbare ha accettato l’indicazione alla laringectomia totale e nei 3 mesi successivi, che rappresentato un tempo prolungato rispetto all’aspettativa di vita della paziente, è stata in grado di proseguire la nutrizione per os. Il decadimento cognitivo ha però poi comportato il posizionamento di una PEG. Per quanto riguarda le attrezzature, inoltre, è indispensabile che un centro di riferimento gestionale della tracheotomia abbia a disposizione, oltre che i più avanzati macchinari per l’assistenza alla tosse (esempio: In-Exufflator o Cofflator) anche un’ampia disponibilità di tipi di cannula tracheale, in termini di forme, dimensioni e materiali, in modo da poter gestire anche le situazioni anatomiche più complesse (Fig. 1). È ormai acquisito che la cuffia delle cannule dev’essere ad alto volume e bassa pressione così da ridurre al minimo le complicanze meccaniche. Per il paziente neurologico è fondamentale riuscire a comunicare con la parola ed è possibile anche se sottoposto a ventilazione artificiale detendendo la cuffia della cannula. Questo in genere non comporta, soprattutto nei pazienti affetti da patologia neuromuscolare, significative riduzioni del volume d’aria ventilato, ma richiede un’iniziale fase di adattamento durante la quale il paziente deve cercare la coordinazione tra le fasi inspiratorie ed espiratorie, per il controllo delle corde vocali che, contrariamente a quanto avviene fisiologicamente, vanno chiuse in inspirazione e aperte in espirazione, in modo da consentire all’espirato di ritorno di passarvi attraverso creando suoni articolati(9). Il paziente neurologico tracheotomizzato ha spesso un deficit della deglutizione correlato alla patologia neurologica di base(2). L’obiettivo riabilitativo e gestionale è quello di con- “Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico 153 Fig. 1 - RM cervicale in paziente affetto da distonia generalizzata: la dislocazione della trachea può rendere complesso il cambio cannula. servare, fino a che è possibile, sia la respirazione che la deglutizione spontanee per vie naturali, anche dopo il posizionamento di una tracheotomia a scopo ventilatorio riducendo (ma non azzerando) il rischio di ab ingestis. La saliva o il cibo inalati in presenza di cannula cuffiata ristagnano al di sopra della cuffia aumentando il rischio di granulazioni, tracheomalacia e stenosi tracheali. L’abitudine inoltre di tendere la cuffia durante l’alimentazione è quantomeno discutibile; infatti la cannula cuffiata è di ostacolo al movimento di elevazione laringea e chiusura del piano glottico sebbene in letteratura si trovano opinioni discordanti. È stato dimostrato, infatti, che in individui non-disfagici la tracheotomia non influisce sul movimento di elevazione della laringe (11), mentre è significativamente più elevata la frequenza di aspirazione silente e ridotta in condizioni di cannula cuffiata(10). La sostituzione della cannula è effettuata mediamente ogni 3 mesi, sebbene con frequenza variabile da paziente a paziente. La procedura, nel paziente neurologico ventilato, dev’essere sempre eseguita da personale addestrato e in ambiente idoneo non solo in caso di tracheotomia percutanea ma anche in presenza di una tracheotomia chirurgica qualora il paziente sia affetto da alterazioni del calibro e del decorso tracheale condizionato dalla patologia di base (m. di Duchenne, distonia)(1). La rimozione della cannula tracheale è sicuramente un obiettivo primario sia perché permette la ripresa dell’autonomia respiratoria sia perché riduce il rischio di complicanze respiratorie correlate al suo prolungato mantenimento. Nelle patologie neurologiche in cui ciò è ipotizzabile, la gestione e lo svezzamento dalla cannula rappresentano uno degli aspetti fondamentali da affrontare nella fase di riabilitazione, per raggiungere la progressiva indipendenza da tutti i sistemi di supporto artificiali(8,6). Nel cerebroleso la gestione della cannula tracheotomica dev’essere strettamente correlata alla valutazione e al trattamento della disfagia. Sicuramente il mantenimento della cannula tracheotomica presenta molteplici vantaggi. Dalla revisione degli studi presenti in letteratura si evidenzia che non esistono protocolli condivisi da tutti i centri di riabilitazione per la gestione e lo svezzamento dalla cannula tracheotomica ed è quindi difficile sistematizzare l’approccio. 154 A.G. Dragonetti, G. Mantini, O. Morelli, V. Sansone, I. Chiusa Nel documento finale della Consensus Conference SIMFER del 2010 sulla grave cerebrolesione acquisita(3) è raccomandato il non mantenimento della cuffiatura soprattutto in pazienti non costantemente monitorati ed è consigliata la decannulazione solo dopo: - valutazione clinica della tolleranza alla progressiva chiusura fino almeno a 48 ore consecutive (saturazione O2>92% in aria ambiente); - sufficiente efficacia della tosse e capacità di autogestione delle secrezioni; - assenza d’infezioni con Rx torace negativa e assenza di ostruzione delle vie aeree superiori; - soddisfacenti condizioni di nutrizione ed efficacia almeno parziale della deglutizione dopo valutazione fibroscopica di pervietà delle vie respiratorie; - funzionalità delle corde vocali; - assenza di complicanze. Si sottolinea che la decannulazione è possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza dopo aver verificato una ragionevole efficacia della tosse e della deglutizione automatica. Nelle indicazioni quindi c’è una stretta correlazione tra la gestione della cannula con la valutazione delle secrezioni orofaringee e della funzione deglutitoria come ben descritto e protocollato nella Consensus Conference a cui si rimanda (3). La nostra esperienza più che ventennale nella gestione delle tracheotomie nei pazienti in carico alle terapie intensive, (neurorianimazione, cardiorianimazione, terapia subintensiva) e reparti ad alta intensità di cura e specializzazione (Stroke Unit, Unità Spinale, centro NEMO per la cura delle malattie neuromuscolari) ci ha consentito di crescere in un’equipe pluridisciplinare dove l’apporto di ogni specialità è servito a migliorare non solo la gestione del paziente tracheotomizzato ma anche la crescita culturale degli operatori. L’otorinolaringoiatra è passato dall’essere un esecutore di un atto chirurgico ad attore in equipe con gli altri specialisti nel processo d’indicazione e di gestione della tracheotomia come è corretto che sia, visto che su di lui ricadono inevitabilmente la gestione delle complicanze postoperatorie, qualunque sia la tecnica utilizzata, o delle problematiche connesse con la gestione della cannula tracheale. “Dopo” la tracheotomia nel paziente neurologico 155 Bibliografia 1. Mitchell RB, Hussey HM, Setzen G et al. Clinical consensus statement: tracheostomy care. Otolaryngologi-Head and Neck Surgery 2013;148 (1): 6-20. 2. Garuti G, Reverberi C, Briganti A et al. Swallowing disorders in tracheostomised patientis: a miltidisciplinary multiprofessional approach in decannulation protocols. Multidisciplinary Respiratory Medicine 2014; 9:36; 1-10. 3. SIMFER (Italian Society of Physical and Rehabilitation Medicine). 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