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Diritto tributario italiano
Alcuni spunti di riflessione sulla voluntary
disclosure italiana tratti
dall’esperienza internazionale
Francesco Baccaglini
Avvocato fiscalista presso il family office
Starfin S.A.
www.starfin.ch
Postilla all’articolo di Antonio Della Carità pubblicato
in questo numero di Novità fiscali
1.
Premessa
L’articolo dell’avvocato Della Carità mette bene in evidenza
alcune gravi criticità legate all’incertezza normativa e interpretativa che ancora avvolge la voluntary disclosure italiana. Un
quadro così instabile, oltre che poco conveniente in termini di
riduzione delle sanzioni, ne pone seriamente a rischio l’esito
positivo in termini di adesione e, di conseguenza, di gettito,
poiché la rende meno attrattiva al contribuente già reduce
dall'esperienza negativa dell’ultimo scudo fiscale[1].
Anche l’OCSE, nel report del settembre 2010 intitolato “Offshore voluntary disclosure, comparative analysis, guidance and policy
advice”, metteva in evidenza la necessità di dare certezza alle
conseguenze cui porta la voluntary disclosure sotto i seguenti
profili:
◆
◆
◆
◆
ammontare delle imposte;
sanzioni pecuniarie;
conseguenze penali;
conseguenze ai fini dell’antiriciclaggio.
Solo laddove tutti gli elementi sopra citati siano ben chiari e
quantificabili dal contribuente, l’Italia può sperare di avviare un
programma di voluntary disclosure di successo.
2.
L’esperienza della voluntary disclosure negli Stati
diversi dall’Italia
L’esperienza maturata in altri Stati che hanno adottato forme
di voluntary disclosure insegna che certezza e forme premiali di
sanzioni sono la chiave vincente. La misura delle sanzioni a cui
va incontro il contribuente che decide di autodenunciarsi varia
da Stato a Stato.
La Svizzera, ad esempio, risulta essere fra i Paesi più “generosi”,
atteso che prevede la non applicazione di sanzioni per il contribuente che si autodenuncia la prima volta (articolo 175 capoverso 3 LIFD). Dalla seconda autodenuncia in poi, le sanzioni
si rendono applicabili, ma sono ridotte (20%, anziché 100%).
La disposizione svizzera ha portata ampia (riguarda le contravvenzioni e i delitti fiscali, e non distingue fra occultamento
di fondi all’interno o all’esterno dello Stato) ed è permanente,
cioè non è limitata a una finestra temporale[2].
Tuttavia, la Svizzera non è l’unico Stato a non applicare alcuna sanzione pecuniaria per i soggetti che si autodenunciano.
Recentemente, anche i Paesi Bassi hanno introdotto un programma di voluntary disclosure senza applicazione di sanzioni
in caso di autodenuncia entro il 30 giugno 2014 per le violazioni commesse in passato. A regime, la non applicazione delle
sanzioni scatta se l’autodenuncia avviene entro due anni da
quando è stata commessa la violazione. Oltre tale termine, le
sanzioni si rendono applicabili, ma sono sensibilmente ridotte.
Alla fine del 2013 si è aggiunto il Liechtenstein con un programma di tax amnesty per i fondi non dichiarati detenuti all’estero
che prevede la non applicazione di sanzioni per chi si autodenuncia nel corso del 2014. A regime, l’autodenuncia sarà possibile con il pagamento di una sanzione ridotta pari al 20% delle
imposte dovute.
Altri Stati, invece, hanno scelto la riduzione delle sanzioni senza esenzioni. Ad esempio, gli Stati Uniti d’America (di seguito
USA) sono attualmente alla terza edizione di programmi di autodenuncia. L’“Offshore Voluntary Disclosure Program” (di seguito
OVDP) era stato approvato nel corso del 2009 con l’intento di
permettere ai contribuenti americani con conti non dichiarati
all’estero di autodenunciarsi prima che l’Internal Revenue Service
(di seguito IRS) venisse in possesso di tali informazioni attraverso un accordo con le banche estere depositarie di tali conti.
In particolare, l’OVDP era scaduto il 15 ottobre 2009, appena prima che UBS ed IRS chiudessero l’accordo sulla base del
quale UBS si impegnava a consegnare alle autorità americane
i nominativi di 4’000 contribuenti americani con conti offshore.
Da allora, il programma di voluntary disclosure dei contribuenti
si è intrecciato con il programma di voluntary disclosure offerto alle banche. L’attuale “Offshore Voluntary Disclosure Initiative”
succede all’OVDP ed è stata riaperta a tempo indeterminato
dopo la scadenza originaria del 31 agosto 2011. La proroga
coincide con lo sforzo americano di perseguire non solo i pro-
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pri contribuenti, ma anche le banche, i loro funzionari, nonché
i professionisti esteri che offrono assistenza nell’occultare fondi fuori dai confini domestici.
Sotto quest’ultimo fronte, alla fine del 2013 è scaduto il termine del “Program for Non-Prosecution Agreements or Non-Target
Letters for Swiss Banks”, che permetteva alle banche svizzere di
collaborare con le autorità americane consegnando i nomi di
contribuenti statunitensi con conti non dichiarati ed evitare
le conseguenze penali nel caso in cui le banche siano successivamente accusate di aver aiutato ad occultare tali averi
all’estero. In questo caso le banche sono soggette a sanzioni
che variano dal 20% al 50% del valore del conto secondo il
periodo in cui è stata aperta la relazione con il cliente americano. Risulta che un centinaio di banche svizzere abbiano
aderito al programma.
Proprio la possibilità di evitare le sanzioni penali è stato uno
dei maggiori incentivi ai programmi americani di autodenuncia. Di fatti, è prassi consolidata da parte di tutti gli Stati che
hanno adottato un programma di voluntary disclosure quella di
offrire al contempo una copertura dalle conseguenze penali.
In molti casi, essa dipende dal semplice riconoscimento della
volontà di collaborare espressa dal contribuente con il gesto
dell’autodenuncia. Fa eccezione la Germania, dove è possibile
pagare una somma pari al 5% delle imposte non dichiarate per
estinguere le sanzioni penali.
Il Regno Unito invece ha scelto la strada di differenziare il programma di voluntary disclosure a seconda dei Paesi in cui sono
detenuti gli investimenti esteri, prevedendo un programma
ad hoc per quattro Paesi: Guernsey, Jersey, Isola di Man e Liechtenstein. Con i tre territori che sono Dipendenze della Corona è stato firmato un accordo per lo scambio di informazioni
automatico, mentre con il Liechtenstein è entrato in vigore un
accordo sullo scambio di informazioni nel 2011 a cui è seguito
una nuova convenzione contro le doppie imposizioni redatta secondo gli standards OCSE anche per quanto attiene allo
scambio di informazioni. Per i contribuenti inglesi che hanno
fondi non dichiarati in questi Paesi è quindi offerta la possibilità di accedere in forma anonima al programma di “Offshore
Disclosure Facility” entro il 30 settembre 2016 (5 aprile 2016 per
il Liechtenstein). La data coincide con l’entrata in vigore dello
scambio di informazioni automatico sulla base del modello Foreign Account Tax Compliance Act (di seguito FATCA) americano
a cui hanno aderito 64 Stati (a dicembre 2013), a partire dalle
originarie 5 maggiori economie europee[3]. Il programma di
voluntary disclosure inglese prevede il pagamento delle imposte piene e degli interessi, una riduzione delle sanzioni (al 10%
delle imposte non dichiarate per i periodi sino al 2007/2008 e
al 20% per i periodi successivi, anziché al 30%-100%) e la non
applicazione delle sanzioni penali.
3.
Le conseguenze ai fini dell’antiriciclaggio
della voluntary disclosure
L’esperienza maturata con i programmi di voluntary disclosure
di altri Stati ha messo in evidenza che uno dei freni maggiori
all’autodenuncia da parte dei contribuenti sono le conseguenze
ai fini dell’antiriciclaggio. Infatti, nel documento sopra citato,
l’OCSE ha ammesso che la voluntary disclosure presenta riflessi
sotto il profilo della normativa antiriciclaggio. Tuttavia, l’OCSE
si limita a prendere atto della diversità della legislazione dei singoli Stati e delle possibili criticità osservando che i programmi
di voluntary disclosure non devono costituire un’eccezione all’applicazione della normativa antiriciclaggio, con la conseguenza
che i contribuenti potrebbero persino temere di rivolgersi a un
professionista a causa dell’obbligo di questi di effettuare segnalazioni agli organi competenti in materia di antiriciclaggio.
Quest’ultimo sembra essere proprio il caso italiano. Infatti,
l’attuale quadro della normativa antiriciclaggio in Italia non
presenta particolari disposizioni in merito alla voluntary disclosure. Di conseguenza, si applicano le disposizioni antiriciclaggio ordinarie, senza eccezioni, come confermato dal Dipartimento del Tesoro nella circolare protocollo DT 8624 del 31
gennaio. Pertanto, i professionisti italiani a cui si rivolgessero i
contribuenti anche solo per informazioni in merito alla possibilità di autodenuncia soggiacciono a tutti gli obblighi imposti
dalla normativa antiriciclaggio, in particolare quello della segnalazione delle operazioni sospette ai sensi dell’articolo 12
D.Lgs. n. 231/2007. La disciplina dello scudo fiscale prevedeva
invece una esenzione ad hoc per i reati da esso coperti (articolo 13-bis, comma 3 D.L. n. 78/2009 e Circolare n. 43/E del
2009). Non è chiaro nella prassi se l’obbligo di segnalazione
sussista anche in caso di autodenuncia (la dottrina sembra
divisa, mentre il notariato si è schierato contro l’obbligo di
segnalazione nello studio n. 261-2013/B). La questione risulta particolarmente delicata atteso che alla luce delle recenti
novità normative, potrà capitare di frequente che il contribuente desista dalla volontà di autodenunciarsi all’Agenzia
delle Entrate una volta conclusa la fase di assessment, ovvero
il calcolo del costo della voluntary disclosure fra imposte, sanzioni e interessi. In tal caso, il professionista che ha assistito il
contribuente nei calcoli di convenienza si troverà in difficoltà
nel fare valere l’esimente specifica prevista dall’articolo 12,
comma 2, D.Lgs. n. 231/2007, ovvero l’esame della posizione
giuridica del cliente in quanto non più collegata alla difesa in
un procedimento giudiziario.
In questo senso, l’Italia contravviene ad uno dei principi cardine contenuti nel citato documento OCSE, ovvero la certezza
delle conseguenze a cui va incontro, anche in tema di antiriciclaggio, il contribuente che si autodenuncia. A livello globale,
l’intrecciarsi della normativa antiriciclaggio con quella fiscale
è destinato ad aumentare con il recepimento delle 40 Rac-
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comandazioni del Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale
(di seguito GAFI) del febbraio 2012, una delle quali impone di
inserire i reati fiscali fra i reati prodromici al reato di riciclaggio.
La Svizzera, ad esempio, sta modificando la propria normativa
interna con l’intento di inserire i reati fiscali gravi fra i reati
presupposto[4].
Merita osservare che nelle bozze circolate era prevista un’aggravante specifica se il fatto fosse commesso nell’esercizio di
una professione ovvero di attività bancaria o finanziaria. Come
noto, la normativa italiana punisce il reato di riciclaggio ovunque sia commesso, non solo in Italia, con evidenti ricadute anche sulla piazza finanziaria svizzera dove si ritiene sia collocato
la maggior parte dei fondi non dichiarati.
Al fine di fare chiarezza sulle conseguenze dei programmi di
autodenuncia in materia di antiriciclaggio, il GAFI ha adottato
un best practices paper nell’ottobre 2012 dal titolo “Managing the
anti-money laundering and counter-terrorist financing policy implications of voluntary tax compliance programmes”. Nella sostanza, il
paper afferma che i programmi di voluntary disclosure non presentano particolari rischi ai fini antiriciclaggio, salvo abbiano
caratteristiche di tax amnesty o rimpatrio dei fondi.
Sulla base delle best practices internazionali, il GAFI individua
quattro principi base ai quali gli Stati che attuano programmi
di voluntary disclosure dovrebbero adeguarsi al fine di evitare
l’utilizzo di tali programmi ai fini di riciclaggio. I quattro principi
sono: (i) l’applicazione di efficaci misure preventive; (ii) l’assenza di esenzioni parziali o totali dall'applicazione della disciplina
antiriciclaggio; (iii) il coordinamento e la cooperazione tramite
scambio di informazioni fra le varie autorità competenti al fine
di individuare, investigare e perseguire gli abusi; (iv) l’assistenza
legale e lo scambio di informazioni fra le autorità degli Stati
coinvolti nel programma di voluntary disclosure.
L’ultimo principio, in particolare, impone alle autorità dello
Stato in cui i fondi sono occultati e lo Stato di rimpatrio di collaborare fra loro. Se lo Stato in cui sono collocati i fondi adotta
le Raccomandazioni GAFI, come è il caso della Svizzera, è possibile semplificare le procedure antiriciclaggio. Se lo Stato non
le adotta allora è necessario aumentare la due diligence.
4.
L’accordo Rubik è (ancora) un’alternativa?
Alcuni aspetti penalizzanti del D.L. sulla voluntary disclosure
hanno riacceso le speranze di coloro che non hanno mai abbandonato l’auspicio che la Svizzera potesse raggiungere un
accordo con l’Italia sulla base del modello Rubik, nonostante
lo scarso gettito proveniente dagli accordi in vigore con Regno Unito e Austria e l’affossamento (politico) tedesco. Rispetto alla voluntary disclosure, l’accordo Rubik presenta alcuni
indubbi vantaggi:
◆
◆
Se da un lato l’incertezza sotto il profilo delle conseguenze ai
fini della normativa sul riciclaggio può rappresentare una delle
maggiori incognite all’autodenuncia, l’eventuale introduzione del reato di autoriciclaggio potrà costituire invece uno dei
maggiori incentivi. Già la bozza dell’emendamento alla Legge
di stabilità circolata a dicembre 2013 aveva previsto l’introduzione del reato di autoriciclaggio, come pure la bozza del
testo del D.L. approdata al Consiglio dei ministri del 24 gennaio 2014. Quest’ultimo testo prevedeva la rilevanza penale dei
fatti commessi successivamente al 31 luglio 2014. L’introduzione del reato di autoriciclaggio è particolarmente complessa
in quanto va coordinata con fattispecie affini quali il reimpiego,
la ricettazione o il favoreggiamento reale, così come sottolineato dalla Commissione Greco; inoltre gli effetti possono essere
dirompenti se non accompagnata da un programma appunto
di voluntary disclosure. Per questo motivo l’introduzione del reato di autoriciclaggio sembra essere stata rinviata a un futuro
decreto legge sulla giustizia.
Ciò non di meno, la sanzionabilità delle condotte quali il reimpiego dei fondi occultati all’estero, come ad esempio l’acquisto
di un immobile per trascorrervi le vacanze, potrà configurare il
reato di (auto)riciclaggio con sanzioni pensanti ipotizzate fino
a dodici anni di reclusione e multe fino a 50’000 euro.
◆
la certezza delle sanzioni e delle imposte che devono essere
corrisposte, nonostante il calcolo per stabilire l’ammontare
dell’imposta liberatoria sia particolarmente complesso;
la possibilità di mantenere i fondi in Svizzera senza incorrere in maggiori oneri amministrativi;
la garanzia dell’anonimato con le maggiori tutele connesse,
compresa quella di evitare che i rapporti con gli intermediari finanziari svizzeri siano comunicati all’anagrafe tributaria dei conti italiana.
Quest’ultimo aspetto risulta essere il più critico alla luce del
D.L. appena approvato, che richiede un’inedita autorizzazione
preventiva da parte del contribuente italiano all’intermediario estero a trasmettere alle autorità finanziarie italiane richiedenti i dati relativi alle attività oggetto di collaborazione
volontaria, che non siano collocate o trasferite in uno Stato
membro dell'UE o dello SEE che adotta lo scambio di informazioni (Islanda e Norvegia al momento, mentre il Liechtenstein
ha già firmato la Convenzione multilaterale dell’OCSE e del
Consiglio d’Europa sulla reciproca assistenza amministrativa
in materia fiscale [di seguito Convenzione di Strasburgo] che
permetterà lo scambio di informazioni con l’Italia non appena
ratificata)[5]. È evidente l’intento dell’amministrazione italiana
di avere contezza degli averi all’estero dei propri contribuenti.
L’accordo Rubik e la voluntary disclosure non devono essere visti necessariamente come fattispecie alternative, ma possono
anzi essere coordinati fra loro.
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L’accordo fra Liechtenstein e Austria, entrato in vigore il 1. gennaio 2014, è un ottimo esempio di convivenza dei due modelli.
Esso, infatti, permette al contribuente austriaco di scegliere fra
la tassazione secondo il modello Rubik e la voluntary disclosure. Nel primo caso, l’agente pagatore del Liechtenstein preleva
l’imposta liberatoria e la trasmette all’autorità fiscale del Liechtenstein, che a sua volta la trasferisce all’amministrazione fiscale austriaca per masse in forma anonima. Nel caso di opzione
per la voluntary disclosure, l’agente pagatore preleva le imposte
dovute per gli anni accertabili e le trasmette al fisco austriaco
insieme ai dati relativi al contribuente. Chiaramente il modello
dell’accordo è semplificato dalla mancanza di applicazione di
sanzioni da parte dell’Austria in caso di voluntary disclosure.
Tuttavia, se l’Italia accettasse una soluzione di semplificazione
del calcolo dell’imposta e delle sanzioni, ad esempio con un
metodo forfetario, sarebbe possibile ribaltare l’onere amministrativo delle voluntary disclosure sugli agenti pagatori svizzeri,
che sarebbero automaticamente autorizzati a trasmettere
alle autorità italiane richiedenti tutti i dati. Il mantenimento
dell’anonimato con l’imposta Rubik dovrebbe essere disincentivato da un costo maggiore.
5.
Lo scambio di informazioni quale maggiore incentivo
alla voluntary disclosure
Paradossalmente, oggi la maggiore spinta alla voluntary disclosure proviene proprio dalla Svizzera e da tutti i maggiori centri
finanziari che hanno recentemente rinunciato al segreto bancario e che hanno adottato iniziative legislative volte a incentivare una maggiore trasparenza dei capitali ivi detenuti, anche
tramite lo scambio di informazioni transnazionale.
Infatti, alcuni contribuenti esteri, fra cui anche italiani, hanno
ricevuto nel corso del 2013 comunicazioni dalle banche e dai
gestori svizzeri in cui si chiedeva loro – in vario modo – di dare
prova che i conti intrattenuti presso di loro fossero dichiarati
nello Stato di residenza[6] oppure di provvedere alla loro regolarizzazione. È possibile che nel corso del 2014 tale genere di
comunicazione si intensifichi a fronte del mutato quadro normativo svizzero. Tali comunicazioni sono anche la conseguenza delle recenti iniziative legislative avanzate dal Consiglio federale, il quale si trova stretto fra due esigenze contrapposte.
Da una parte mantenere la reputazione della Svizzera come
primaria piazza finanziaria a livello mondiale, dall’altra tutelare
la privacy e, più in generale, la sfera personale di coloro che
affidano a gestori elvetici i loro patrimoni. Nel corso degli ultimi anni, la Confederazione ha sacrificato la seconda esigenza
a favore della prima, compiendo un’importante svolta sotto il
duplice profilo dell’assistenza amministrativa e della rinuncia
al segreto bancario.
È inutile in questa sede ripercorrere i passi che hanno portato
la Svizzera ad abbandonare il segreto bancario ed a intraprendere la strada dell’assistenza amministrativa[7]. Ritengo utile
però svolgere alcune brevi considerazioni in merito all’impatto
che il mutato quadro normativo svizzero può avere sulla collaborazione volontaria italiana, in particolare sulla tempistica.
Il D.L. prevede il termine del 30 settembre 2015 per l’attivazione della procedura di collaborazione volontaria (originariamente indicato nell’emendamento alla Legge di stabilità al 30
settembre 2016). L’anticipazione probabilmente è da ricondurre al rapido diffondersi di accordi sullo scambio di informazioni a livello internazionale, in particolare in Svizzera.
Anzitutto, la Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore fra Italia e Svizzera sarà rinegoziata per essere allineata ai
più recenti standards OCSE, segnatamente in merito allo scambio di informazioni senza la limitazione del segreto bancario.
Verosimilmente sarà prevista anche la possibilità di effettuare
lo scambio di informazioni per domande raggruppate. Se la
Convenzione venisse rinegoziata nel corso del 2014, è possibile che entri in vigore il 1. gennaio 2015. Tuttavia, le convenzioni
che la Svizzera ha rinegoziato recentemente contenevano una
“grandfather clause”, ai sensi della quale le modifiche allo scambio di informazioni, al pari delle altre modifiche contenute nei
protocolli aggiuntivi, sono applicabili o dall’entrata in vigore
del Protocollo o dal 1. gennaio dell’anno successivo a quello di
entrata in vigore della convenzione.
Il 18 dicembre 2013, il Consiglio federale ha approvato il mandato per negoziare la revisione dell’Accordo sulla fiscalità del
risparmio concluso con l’UE. Tale accordo prevede la possibilità
per il contribuente di uno Stato membro dell’UE che percepisce interessi da un agente pagatore svizzero di scegliere fra
lo scambio automatico di informazioni oppure l’applicazione
di una ritenuta alla fonte. L’attuale accordo si è rivelato poco
efficace perché facilmente aggirabile. Lussemburgo e Austria
si sono dichiarati disposti a eliminare l’opzione della ritenuta
alla fonte e quindi a passare allo scambio di informazioni automatico tout court, a condizione che anche gli altri cinque Stati
extra-UE coinvolti (Svizzera, Andorra, Liechtenstein, Monaco e
San Marino) adottino misure equivalenti. In linea di principio
i dati scambiati potrebbero concernere le annualità a partire
dal 2015, assumendo che i negoziati procedano speditamente.
Tuttavia, lo strumento che deve destare maggiore preoccupazione per coloro che possiedono fondi non dichiarati in Svizzera è la Convenzione di Strasburgo a cui il Consiglio federale
ha deciso di aderire. La Convenzione di Strasburgo prevede
l’assistenza nella riscossione dei crediti tributari, le verifiche fiscali simultanee, la partecipazione a verifiche fiscali all’estero
e lo scambio di informazioni in materia fiscale su richiesta o
spontaneo. Lascia liberi gli Stati di estenderlo anche a quello
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automatico su base bilaterale o multilaterale. Lo scambio di
informazioni può avvenire anche tramite domande raggruppate. La Convenzione di Strasburgo in linea di principio non ha
effetto retroattivo. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 28 capoverso
7, in caso di violazioni penalmente sanzionabili ai sensi della
legislazione dello Stato richiedente, le domande di assistenza possono riguardare anche annualità precedenti a quella
dell’entrata in vigore. Il successivo articolo 30 capoverso 1 lettera f) fa, in ogni caso, salva la possibilità per gli Stati di limitarne l’effetto retroattivo a non prima di tre anni dall’entrata
in vigore della Convenzione di Strasburgo fra gli Stati coinvolti. Se tale Convenzione entrasse in vigore per la Svizzera nel
2015, l’Italia, che ne è già parte, potrebbe effettuare richieste
di scambio di informazioni relative a violazioni penalmente rilevanti dal periodo di imposta 2012 e seguenti, salvo che la
Svizzera decida di non limitarne la retroattività. In quest’ultimo caso, le domande potrebbero riguardare anche periodi di
imposta antecedenti al 2012.
Sul fronte dello scambio di informazioni, l’Italia non è stata
particolarmente solerte nel ratificare gli accordi sullo scambio di informazioni con i cosiddetti paradisi fiscali. Infatti, ha
firmato accordi sul modello del Tax Information Exchange Agreement (TIEA) dell’OCSE con l’Isola di Man (il 16 settembre 2013,
ratificato dall’Isola di Man il 22 novembre), le Isole Cayman (il
3 dicembre 2012), Gibilterra (il 2 ottobre 2012), Guernsey (il 5
settembre, ratificato da Guernsey il 13 dicembre 2012), Jersey (il 13 marzo 2012, ratificato da Jersey il 17 maggio 2012),
Bermuda (il 23 aprile 2012), le Isole Cook (17 maggio 2010).
Nessuno di questi accordi è stato ancora ratificato dall’Italia,
anche se a dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato i disegni delle leggi di ratifica.
Tuttavia, l’Italia ha concluso alcuni accordi con Paesi strategici che potrebbero verosimilmente accogliere i capitali in fuga
dalla Svizzera o da altri centri finanziari che stanno adottando
gli standards OCSE. In particolare, nel 2012 è entrato in vigore
il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato di Singapore, in cui, inter alia, è riscritto
interamente il testo dell’articolo 25, che disciplina lo scambio
di informazioni, seguendo il Modello OCSE del 2010, quindi
anche per informazioni coperte dal segreto bancario. Dello
stesso tenore il Protocollo alla Convenzione con San Marino,
entrato in vigore insieme alla Convenzione a ottobre 2013 e
la Convenzione con Hong Kong, che è già stata firmata e ratificata nel 2013, ma è ancora in attesa dello scambio degli
strumenti di ratifica per entrare in vigore.
Infine, si segnala per completezza la Direttiva n. 2011/16/UE
del Consiglio dell’UE del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale fra gli Stati membri
dell’UE, che prevede lo scambio di informazioni spontaneo e
su richiesta per tutte le tipologie di imposte, esclusi i dazi, le
accise, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e i contributi previdenziali. Soprattutto, la Direttiva dispone a partire dal 1.
gennaio 2015 lo scambio automatico obbligatorio di informazioni disponibili dal periodo di imposta 2014, relative ai
redditi di lavoro, ai compensi agli amministratori, ai prodotti
assicurativi sulla vita, alle pensioni, alla proprietà e ai redditi
immobiliari. Inoltre, è già stata presentata una proposta di Di-
rettiva (COM[2013]348) per estendere lo scambio automatico
a dividendi, plusvalenze, redditi generati da attività detenute
in un conto finanziario, importi per i quali un istituto finanziario è obbligato o debitore ed ai saldi dei conti, sempre con
riferimento alle informazioni disponibili dal periodo di imposta
2014 (anche le royalties dovrebbero rientrare in tale ambito di
applicazione a partire dal 2017). Poiché la proposta di voluntary disclosure italiana impone di autodenunciare tutti i fondi
offshore, qualora questi fossero detenuti in uno Stato membro,
il contribuente si vedrebbe costretto a regolarizzare anche i
fondi detenuti fuori dall’UE, segnatamente in Svizzera, con un
evidente effetto domino.
6.
Conclusioni
Lo scambio di informazioni senza la limitazione del segreto
bancario è una realtà già diffusa ed è destinata a diventare
l’unico standard. Gli ultimi Stati membri dell’OCSE (Svizzera,
Austria, Lussemburgo e Belgio) che ancora avevano una riserva all’articolo 26 Modello OCSE l’hanno di recente ritirata.
Moltissimi Stati si stanno muovendo verso lo scambio di informazioni automatico. Anche i piccoli paradisi fiscali hanno
intrapreso tale strada sotto la pressione esercitata dalle maggiori economie mondiali.
L’Italia, al pari di molti altri Stati, vuole offrire la possibilità ai
propri contribuenti di regolarizzare i fondi esteri non dichiarati.
Un quadro normativo e interpretativo chiaro sono la chiave
per il successo di una campagna di autodenuncia, come insegna l’esperienza internazionale. In alternativa, dovrebbe
quantomeno essere data la possibilità al contribuente di mantenere l’anonimato sino al momento definitivo di irrogazione
delle sanzioni, senza conseguenze sotto il profilo dell’antiriciclaggio per il professionista che lo assiste.
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Elenco delle fonti fotografiche:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c0/View_from_top_
of_Gibbs_Lighthouse_Bermuda.jpg [27.01.2014]
http://global.fncstatic.com/static/managed/img/Opinion/660-IRS-building-AP.jpg [27.01.2014]
http://wto.in.ua/gallery/albums/album-50/lg/Liechtenstein_vaduz_schloss.jpg [27.01.2014]
[1] Alla fine del 2011 è stata introdotta un’imposta straordinaria (1%) applicata sul valore delle
attività finanziarie oggetto di regolarizzazione
tramite le varie edizioni dello scudo fiscale ancora
segretate alla data del 6 dicembre 2011 e, a regime, un’imposta speciale (1% per il 2011, 1.35%
per il 2012 e 4‰ dal 2013) sulle medesime attività
(si veda l’articolo 19, commi 6 e seguenti D.L. n.
201/2011). Il 9 agosto 2013, l’Agenzia delle Entrate ha reso note le istruzioni al Provvedimento del
25 marzo 2013 recante “modalità per la comunicazione integrativa annuale all’archivio dei rapporti finanziari”, da cui emerge l’obbligo di comunicare anche
i dati relativi ai conti scudati ancora segretati, di
fatto annullando la riservatezza di tali conti nei
confronti del fisco italiano.
[2] Sotto questo profilo lascia perplessi la scelta
operata dal decreto legge, in cui si dispone che “la
richiesta di accesso alla collaborazione volontaria non
può essere presentata più di una volta”. Tale limitazione appare in contraddizione con la stessa previsione normativa che permette di attivare la procedura entro il 30 settembre 2015 per le violazioni
commesse fino al 31 dicembre 2013. La spiegazione può essere rinvenuta nella circostanza che debbano essere autodenunciati tutti gli investimenti e
le attività finanziarie costituiti o detenuti all’estero.
Può anche essere letta nel senso di precludere al
contribuente la possibilità di accedere nuovamente alla procedura premiale laddove commetta delle
nuove violazioni nonostante abbia effettuato la
voluntary disclosure su tutti gli investimenti e le attività finanziarie estere. Ipotesi quest’ultima diversa
e ulteriore rispetto a quella indicata dall’avvocato
Della Carità, ma difficilmente configurabile.
[3] Si veda l’articolo di Guastalla Giovanni, Il riciclaggio fiscale secondo il diritto svizzero e quello
italiano: esame comparato, in: NF 12/2013, Manno, dicembre 2013, pagine 13 e seguenti.
[4] Durante il G-5 dell’aprile 2013, Italia, Regno
Unito, Germania, Francia e Spagna si sono impegnate a portare avanti un programma di scambio
di informazioni automatico basato sul modello
FATCA americano. Successivamente, le adesioni
sono cresciute fino all’attuale numero di 64 Stati.
Grazie agli strumenti di indagine recentemente
introdotti durante il Global Forum on transparency
and exchange of information for tax purposes tenutosi a Giacarta il 21-22 novembre 2013, l’Italia ha
ottenuto la presidenza del neo costituito gruppo
Automatic Exchange of Information.
[5] La bozza di emendamento circolata risultava
penalizzante per chi voleva effettuare il rimpatrio
giuridico dai Paesi diversi da quelli europei citati
in evidente violazione della libertà di circolazione
dei capitali sancita dal Trattato sul Funzionamento dell'UE. Con la nuova autorizzazione rilasciata
dai contribuenti agli intermediari, l’Italia sembra
aver sposato l’approccio americano degli accordi
diretti fra IRS e intermediari finanziari previsti dal
modello FATCA. Tuttavia, gli intermediari dovranno valutare attentamente la compatibilità dell'invio diretto di informazioni sensibili relative ai propri clienti all'amministrazione finanziaria italiana
alla luce delle disposizioni interne al proprio ordinamento. Non è detto che l'autorizzazione del
titolare effettivo dei fondi costituisca esimente
valida per le violazioni di norme poste a tutela del
segreto bancario e della riservatezza. Solitamente questo genere di informazioni è scambiato fra
amministrazioni degli Stati coinvolti. Ad esempio,
gli intermediari svizzeri dovranno valutare come
costruire l’autorizzazione all'invio delle informazioni relative ai conti dei propri clienti in modo
che sia compatibile con l'ordinamento svizzero,
segnatamente con l'articolo 47 della Legge federale sulle banche e le casse di risparmio (di seguito
LBCR) e l’articolo 271 del Codice penale svizzero
(di seguito CP).
[6] In alcuni casi le banche chiedono ai contri-
buenti italiani di esibire il Modulo RW della dichiarazione italiana, oppure di accettare lo scambio di
informazioni automatico ai sensi dell’Accordo tra
Svizzera e UE sulla tassazione del risparmio.
[7] Sul tema del segreto bancario e dell’assistenza amministrativa si rinvia, ex pluribus, a Garufi
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