Orfeo Picariello e AA

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FABIO M. GUARINO, GAETANO ODIERNA,
ORFEO PICARIELLO*
Introduzione
Nella sua accezione più ampia, il termine biodiversità o diversità biologica indica la varietà delle forme viventi sulla Terra a tutti i suoi livelli, dai geni agli ecosistemi (Gaston & Spicer, 2004). A livello intraspecifico, lo studio della biodiversità
consente di descrivere all’interno di una specie e quindi di identificare individui che
condividono numerosi caratteri simili ma che si differenziano per alcuni aspetti da
individui di altre popolazioni della medesima specie. A livello interspecifico lo studio della biodiversità di un’area geografica consente di identificare e contare tutte le
specie viventi in quell’area, ossia consiste nel determinare la ricchezza di specie di
un’area. A livello di ecosistemi, la diversità biologica rappresenta la varietà di specie
presenti in un dato ecosistema. La studio della biodiversità ci permette di comprendere come i viventi nel corso dell’evoluzione si siano adattati nei diversi
ambienti e abbiano assunto un’infinità di forme, dimensioni e altre proprietà. Della
diversità biologica quasi sempre si tende ad evidenziare l’aspetto spettacolare e
ricreativo (ad esempio molti documentari naturalistici), tralasciando che essa è un
parametro essenziale per il mantenimento della vita sulla Terra. Pertanto, la conoscenza della biodiversità rappresenta anche un importante strumento per la salvaguardia e gestione delle risorse naturali.
Il presente contributo intende fornire un quadro della diversità biologica a livello interspecifico degli Anfibi e Rettili italiani e analizzarne le variazioni nel corso
dell’ultimo secolo. Particolare attenzione sarà rivolta al ruolo svolto dallo sviluppo
di metodologie innovative per lo studio della biodiversità nel determinare variazioni nella composizione dell’erpetofauna italiana. Per comodità didattica, si farà riferimento alle categorie tassonomiche della sistematica tradizionale, pur consapevoli
del notevole contributo arrecato dalla cladistica alla definizione di unità sistematiche di tali vertebrati.
I metodi per lo studio della biodiversità erpetologica
Analisi morfologica
L’approccio morfologico consiste nella raccolta di dati morfometrici e/o meristici. I primi descrivono la forma dell’individuo (lunghezza, peso, etc.) e consistono in variabili continue. I caratteri morfologici sono fortemente influenzati da
*
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università di Napoli Federico II
OBIETTIVO SCIENZA
La biodiversità degli Anfibi
e dei Rettili italiani
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OBIETTIVO SCIENZA
diversi parametri ambientali (ad esempio temperatura). I dati meristici riguardano
invece caratteri discreti che possono essere contati, come ad esempio il numero di
squame cefaliche in una lucertola o il numero di vertebre presacrali in un geotritone. Tali caratteri sono fissati precocemente nello sviluppo dell’individuo e raramente subiscono l’influenza dell’ambiente. L’analisi morfologica è stata la prima ad
essere utilizzata per studi tassonomici e sistematici in ambito erpetologico, così
come in altri ambiti zoologici, ed ha l’indubbio vantaggio di poter essere condotta
su un gran numero di individui, in modo relativamente rapido, arrecandovi il minimo disturbo e senza richiedere necessariamente il loro sacrificio. Inoltre, i dati morfologici possono essere raccolti anche dagli esemplari museali e dai reperti fossili per
i quali solo recentemente sono stati sviluppati protocolli di analisi biolmolecolari.
Con i recenti progressi delle metodiche biomolecolari si è assistito ad una generale
tendenza a considerare sempre meno l’importanza dei dati morfologici per studi
tassonomici e sistematici (Scotland et al., 2003). Ciononostante l’analisi morfologica, soprattutto quando condotta con l’ausilio di sistemi informatizzati, continua
a rivestire un ruolo fondamentale nella identificazione di nuove specie. Ad esempio,
un recente studio multivariato su quattordici caratteri morfologici ha messo in evidenza che le popolazioni di saettone (serpente colubride) dell’Italia meridionale e
della Sicilia, fino a pochi anni fa ascritte alla sottospecie Elaphe longissima romana,
sono nettamente differenziate dalle popolazioni del resto di Italia e di Europa (Lenk
& Wuster, 1999, Herp. J., 9, pp. 153-162). Tale studio, in accordo con i risultati
derivanti dallo studio delle proteine plasmatiche, ha permesso di concludere che le
popolazioni di saettone dell’Italia meridionale (fino alla Campania) appartengono
ad una specie diversa, a cui si è dato nome di Elaphe lineata, rispetto alle altre popolazioni italiane ed europee, per le quali rimane valido il nome Elaphe longissima.
48
Analisi eco-etologica
Tra i caratteri fenotipici che si sono dimostrati utili nell’analisi delle specie vi sono
anche differenze comportamentali. Negli Anfibi Anuri grande importanza hanno le
emissioni acustiche nell’interazione intraspecifica e l’analisi dei canti attraverso i
sonogrammi spesso si è rivelata utile per supportare la distinzione tra taxa molto
simili precedentemente ascritti ad una stessa specie. Ad esempio, in Hyla arborea l’analisi di diversi parametri del canto (durata, numero di impulsi, ecc.) delle popolazioni dei taxa intermedia e sarda ha supportato il loro status di specie (Rosso,
Castellano & Giacoma, 2004, Ital. J. Zool., 71 suppl 2, pp. 169-174), in precedenza avanzata in base a studi genetici. Un altro esempio è dato dalla differenziazione
bioacustica tra le specie del genere Discoglossus (Glaw & Vences, 1991, AmphibiaReptilia, 12, pp. 385-394). Relativamente agli Anfibi Urodeli, tutti i tritoni ascritti
fino ad inizio degli anni ‘90 al genere Triturus posseggono un elaborato e complesso rituale di corteggiamento che include una danza prolungata da parte del maschio,
con vari tipi di esibizioni, e la deposizione da parte del maschio di una spermatofora. Tuttavia il maschio delle varie specie di tritoni differisce nel pattern di corteggiamento esibito. Ad esempio, nei tritoni con cresta dorsale assente o bassa (Lissotriton
italicus and L. vulgaris, rispettivamente) i maschi mostrano una fase di ventilazione
codale (“tail-fanning”) molto pronunciata; tale fase è invece assente nei tritoni con
cresta dorsale pronunciata (es. Triturus carnifex). Per quanto attiene ai Rettili, la revi-
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Analisi cariologica
Gli studi cariologici utilizzano metodi di indagine volti a determinare la dimensione e composizione del menoma e la formula cromosomica (cariotipo); inoltre,
consentono di localizzare specifiche regioni cromosomiche (tramite colorazioni di
bandeggio cromosomico) o specifiche sequenze di DNA (tramite FISH – ibridazioni in situ fluorescenti). Tali tipi di indagini sono state estensivamente applicate
all’erpetofauna, inclusa quella italiana, e hanno fornito rilevanti informazioni tassonomiche e sistematiche su tali vertebrati.
Gli studi della dimensione e della composizione del genoma hanno evidenziato
un andamento evolutivo nettamente differente tra gli Anfibi e Rettili. Gli Urodeli
hanno dimensioni genomiche (GS) enormi, oltre alcune decine di volte la GS dell’uomo. Per le specie italiane le variazioni della GS vanno da 2C = 41,04 pg/N in
Triturus cristatus carnifex (= T. carnifex) a 2C= 143,20 pg/N in Speleomantes italicus, con valore medio di circa 60 pg/ N. Gli Anuri posseggono invece genomi più
contenuti; infatti, per quelli italiani la GS va da 2C= 4,88 pg/N in Pelodytes punctatus a 2C= 21,1 pg/N in Bombina pachypus, con valore medio di 12,3 pg/N). Per
quanto riguarda i Rettili, le Tartarughe e i Coccodrilli posseggono dimensioni genomiche simili a quelle degli Anuri; in particolare, nelle tartarughe italiane la GS va
da 5,3 pg/N in Chelonia mydas a 2C=10,9 in Testudo graeca. L’ampia variabilità
interspecifica della GS può essere osservata anche tra specie congeneriche: ad esempio tra Speleomantes genei (2C= 84,64 pg/N) e S. italicus (2C= 143,20 pg/N), tra
Rana temporaria (2C= 8,52 pg/N) e R. latastei (2C=13,60 pg/N), tra Testudo hermanni (2C= 7,1 pg/N) e T. graeca (2C= 10,9 pg/N). Nei Sauri e nei Serpenti la GS
è più limitata (valore medio 2C= 4,4 pg/N) e le variazioni genomiche interspecifiche sono ancora più contenute1. Gli studi basati sulla cinetica di riassociazione di
sequenze di DNA hanno evidenziato che la frazione più rilevante del genoma degli
Anfibi, delle Tartarughe e dei Coccodrilli è costituita da DNA non codificante
(altamente e mediamente ripetuto), le cui variazioni sono responsabili delle differenze interspecifiche della GS che si osserva in questi gruppi di animali (Olmo,
2003, Cytogenet. Genome Res., 101, pp. 166-171). Nei Sauri e nei Serpenti la frazione genomica più abbondante è quella a sequenze uniche (codificante), mentre
quella non codificante è rappresentata soprattutto da sequenze altamente ripetute,
le quali sono localizzate quasi esclusivamente nel centromero e nei telomeri. È stato
suggerito che l’accumulo e la conservazione delle frazioni di DNA non codificante
(ripetitivo e non ripetitivo) degli Anfibi, delle Tartarughe e dei Coccodrilli rispetto
agli Squamati abbiano un ruolo adattativo poiché possono influenzare la regolazione del metabolismo nucleare e cellulare (Olmo, 2003, loc. cit.)
Le indagini cromosomiche, applicate all’erpetofauna da circa un secolo, fino agli
anni ’70 sono state condotte con metodi di colorazioni convenzionali. Sbbene limitate alla sola descrizione del cariotipo, tali indagini hanno fornito rilevanti infor1
Informazioni più dettagliate e complete sulla GS degli anfibi e dei rettili italiani (e di molte altre specie animali) sono disponibili al sito http://www.genomesize.com a cura di Valery Gregory.
OBIETTIVO SCIENZA
sione dello status tassonomico dei ramarri normalmente attribuiti alla specie Lacerta
viridis si è avvalsa anche del contributo di studi di ecologia riproduttiva.
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OBIETTIVO SCIENZA
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mazioni per lo studio della tassonomia e della filogenesi degli Anfibi e dei Rettili.
Degni di nota sono gli studi condotti su svariate specie di Anfibi da Alessandro
Morescalchi che hanno consentito all’autore di formulare l’ipotesi che l’evoluzione
del cariotipo nei tre ordini sarebbe avvenuta secondo modalità comuni: da cariotipi ancestrali, “asimmetrici” simili a quelli esibiti ad esempio dai pletodontidi o dagli
ascafidi (elevato numero di cromosomi, differenti per forma e dimensioni) a cariotipi derivati, “simmetrici”, simili a quelli che si ritrovano nei tritoni o s nelle salamandre o nei ranidi o ilidi (ridotto numero di cromosomi, uguali per forma e
dimensioni).
A partire dagli anni ’80, l’applicazione all’erpetofauna delle colorazioni di bandeggio, sviluppate nell’uomo già un decennio prima, ha consentito di studiare la
composizione dei cromosomi degli Anfibi e dei Rettili con importanti risvolti dal
punto di vista tassonomico e sistematico. Al riguardo, per le specie italiane vanno
menzionati gli studi di Odierna e collaboratori sui Discoglossidi, sulle rane rosse e
sui Lacertidi, in cui è stato evidenziato il buon valore diagnostico del numero e della
localizzazione dell’organizzatore nucleolare e della localizzazione e composizione
dell’eterocromatina (Odierna, Aprea, Arribas & Capriglione, 2000, Folia, 49, pp.
75-84; Odierna, Olmo & Cobror, 1987, Amphibia-Reptilia, 8, pp. 373-382)2.
Le colorazioni di bandeggio hanno consentito anche di evidenziare la presenza
di cromosomi sessuali e di seguirne l’evoluzione nei taxa correlati (Olmo, Odierna
& Capriglione, 1987, Cromosoma, 96, pp. 33-38; Odierna, Kupriyanova,
Capriglione & Olmo, 1993, Amphibia-Reptilia, 14, pp. 1-11). In particolare, gli
Anfibi e i Rettili costituiscono dei buoni modelli per la comprensione dell’origine
e dell’evoluzione dei cromosomi sessuali, poiché nell’ambito di tali vertebrati vi
sono specie in cui la determinazione del sesso è ambientale (ESD, environmemtal
sex determination), come ad esempio molti Cheloni dulciaquicoli e marini e tutti
i Coccodrilli in cui il sesso è determinato dalla temperatura ambientale, e specie in
cui la determinazione del sesso è genetica (GSD, genetic sex determination), con o
senza la presenza di cromosomi sessuali eteromorfici. Quest’ultimi negli Anfibi
sono poco frequenti; negli Anuri, ad esempio, sono stati documentati in poco meno
di venti specie. In tali specie sono stati rinvenuti sistemi cromosomici semplici o
complessi maschili (XX/XY; X1X1X2X2/ X1X2Y XAAY) o femminili (ZZ/ZW;
Z1Z1Z2Z2/Z1Z2W; 00/0W) con il cromosoma Y o W completamente o parzialmente eterocromatico, omomorfico o eteromorfico rispetto al cromosoma X o Z.
Negli anfibi, inoltre, i cromosomi sessuali sono elementi labili e relativamente
recenti; il tipo di sistema cromosomico (maschile o femminile) può variare nella
stessa famiglia, nello stesso genere o addirittura nella stessa popolazione. Negli
Squamati i cromosomi sessuali sono più frequenti rispetto agli Anfibi: ad esempio
circa il 75% delle specie di serpenti posseggono cromosomi sessuali, che sono sempre di tipo femminile. L’eterogametia femminile è stata anche rinvenuta nei
Lacertidi, nei Gekkonidi e negli Agamidi, tuttavia negli Iguanidi e negli Scincidi il
sesso eterogametico è maschile. Il tipo del sistema dei cromosomi sessuali, la morfologia e la composizione del cromosoma del cromosoma Y nei rettili hanno un rile2
Informazioni citogenetiche più dettagliate per questi e per gli altri gruppi di specie dell’erpetofauna
italiana sono reperibili nel recente volume Amphibia della Fauna d’Italia (Lanza et al., 2007).
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Analisi molecolare
Il progresso delle tecnologie diagnostiche e la rilevante riduzione dei tempi e dei
costi ha consentito la messa a punto di metodi molecolari di indagine finalizzati
all’inquadramento tassonomico e sistematico di molte specie animali, compresi gli
Anfibi e i Rettili.
L’analisi di loci enzimatici mediante elettroforesi delle proteine (sistemi geneenzima) ha permesso anche in campo erpetologico di condurre studi su numerosi
individui provenienti da differenti popolazioni. Tali studi spesso hanno evidenziato
differenze nelle frequenze alleliche dei loci esaminati tra le diverse popolazioni, talmente evidenti da ritenere plausibile separare i gruppi testati in due differenti specie. A titolo di esempio, le rane brune che popolano i corsi d’acqua appenninici
sono state considerate sino agli anni ‘90 una sottospecie delle rane brune balcaniche (Rana graeca), anche se i due areali di distribuzione erano nettamente disgiunti, era cioè impossibile che una rana appenninica potesse mescolare i propri geni
con una balcanica. Per mezzo di uno studio preliminare dei sistemi gene- enzima di
diverse popolazioni è stato dimostrato che le rane brune italiane sono una specie
endemica italiana, Rana italica, distinta da quella balcanica (Picariello, Scillitani,
Cretella, 1990, Amphibia-Reptilia, 11, pp.189-192). Successive analisi cromosomiche e molecolari hanno confermato la netta separazione tra le due specie. Mediante
l’analisi dei sistemi gene- enzima, spesso abbinate a metodi morfologici, sono state
“scoperte” in Italia nuove specie di Anfibi e Rettili. Tra gli anfibi vale la pena citare
il caso del discoglosso (Discoglossus pictus), specie unica con popolazioni siciliane,
sarde e corse, suddiviso in tre nuove specie: D. pictus in Sicilia; D. sardus in
Sardegna e D. galganoi in Corsica. Tra i rettili ricordiamo la descrizione di due
nuove specie nell’ambito del complesso di specie affini a Chalcides chalcides, vale a
dire la luscengola comune (Chalcides chalcides) e la luscengola striata (C. striatus).
(Caputo, 1993, Boll. Mus. Reg. Sci. Nat., Torino, 11, pp. 47-120)
Da circa un ventennio sono state messe a punto nuove tecniche di analisi e
manipolazione del DNA, affidabili, semplici ed economiche. Il sequenziamento,
cioè la decodifica dell’ordine con cui i quattro nucleotidi (Adenina, Timina,
OBIETTIVO SCIENZA
vante valore tassonomico. Ad esempio, le differenze a carico della morfologia dei
cromosomi W tra le popolazioni delle Iberolacerta del gruppo momticola hanno
contribuito al riconoscimento specifico nel caso di tre popolazioni (I. martinezricai,
I. cyreni e I. galani) (Arribas, Carranza, Odierna, 2006, Zootaxa, 1240, pp. 1-55).
Ancora nei lacertidi, la lucertola vivipara (Zootoca vivipara) esibisce un estensivo
polimorfismo del sistema di cromosomi sessuali, che può essere semplice (ZZ/ZW)
o complesso (ZZAA/ZAAW) , della morfologia e della composizione del cromosoma W: ciò ha portato al riconoscimento di sei ”razze” cromosomiche il cui valore
tassonomico è oggetto di indagini.
L’introduzione di metodiche di citogenetica molecolare, quali quelle che impiegano specifiche sonde cromosomiche in grado di valutare la conservazione di un
riconoscibile ordine cromosomico dei geni (sintonia cromosomica) in gruppi di
specie correlati, ha consentito di ottenere informazioni tassonomiche e sistematiche sempre più dettagliate. Ad esempio, è stato mostrato che il cromosoma 1 è conservato citogeneticamente nelle tartarughe da almeno 66 milioni di anni
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OBIETTIVO SCIENZA
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Guanina e Citosina) compongono le lunghe sequenze di DNA, è diventato un processo rapido e relativamente semplice grazie a potenti sequenziatori laser collegati al
computer. Con l’uso di tali metodiche, quindi, si è potuto sequenziare l’intero
genoma umano e di altri animali e piante. Oggi, gli zoologi confrontano le sequenze di vari tratti del DNA mitocondriale o nucleare per esplorare la biodiversità
molecolare delle popolazioni animali. In particolare, il DNA mitocondriale presenta il vantaggio di essere molto conservativo in quanto derivato da un progenitore
simbionte: piccole mutazioni di sequenze omologhe, anche di pochi nucleotidi,
testimoniano separazioni genetiche proporzionali al tasso complessivo di mutazione. Maggiori sono le percentuali di mutazioni tra i taxa, più lontano si presume
essere stato il tempo remoto di separazione: tarando questo sistema con l’aiuto di
evidenze paleontologiche si può costruire un orologio molecolare. Anche i frammenti omologhi di numerosi geni nucleari vengono sequenziati e confrontati per
analoghi scopi. Ogni ricercatore ha peraltro l’obbligo di rendere pubbliche tali
sequenze depositandole presso “banche genomiche” telematiche, cosicché basta
interrogare tramite internet tali banche, come ad esempio Gen-Bank
(www.ncbi.nlm.nih.gov), per visionare le sequenze depositate di qualsiasi specie,
uomo compreso. Mediante programmi di allineamento di sequenze omologhe è
possibile valutare e quantificare la differenza in nucleotidi tra i frammenti omologhi che si presume proporzionale alle divergenze genomiche e quindi evolutive tra
i taxa. Utilizzando tali metodiche la sistematica erpetologica italiana risulta oggi
praticamente rivoluzionata, in quanto sono state individuate nuove specie per lo
più endemiche della Penisola Italiana. Ciò è accaduto per esempio per il ramarro
italiano, ascritto alla specie Lacerta bilineata, non più Lacerta viridis, che invece
popola il resto dell’Europa a Nord delle Alpi. Altro esempio è dato dalle raganelle
presenti sul territorio italiano, dove dall’unica specie Hyla arborea (raganella comune) con areale di distribuzione prevalentemente centro-europeo, sono state differenziate Hyla intermedia (raganella italiana) presente in gran parte del territorio italiano, e Hyla sarda (raganella tirrenica), presente in Sardegna e sue maggiori isole,
e parte dell’Arcipelago Toscano. Anche gli ululoni, anuri dall’aspetto simile ad un
piccolo rospo e con il ventre vivacemente colorato di giallo e nero, sono stati distinti in Bombina variegata fino al Nord del Po, mentre sull’Appennino è presente una
nuova specie endemica (Bombina pachypus).
Esistono porzioni di DNA che non codificano, cioè che non vengono trascritte
in RNA e quindi non producono proteine. Tali DNA sono spesso formati da unità
che si ripetono in tandem centinaia e persino migliaia di volte, formando lunghe
catene di monomeri tutti uguali tra loro. Se tali unità sono formate da pochi
nucleotidi (2-10) vengono definiti microsatelliti, se invece ogni unità e formata da
50-1000 nucleotidi siamo in presenza di DNA satellite. Entrambi vengono usati
per differenti scopi tassonomici: i microsatelliti degli Anfibi e Rettili, come quelli
dell’uomo, sono molto variabili nel numero di ripetizioni anche tra individui di una
stessa popolazione o più spesso tra esemplari appartenenti a differenti popolazioni;
per tale motivo vengono analizzati in studi di popolazione o per saggiare la variabilità individuale. Il DNA satellite mostra invece sequenze molto omogenee tra loro,
tanto da essere facilmente amplificato mediante specifici primer. Per questa sua
caratteristica il DNA satellite viene utilizzato nei Rettili e Anfibi come marcatore
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Il numero di specie di Anfibi e Rettili italiani a partire da fine ‘800
Secondo la sistematica tradizionale la classe degli Anfibi comprende 3 ordini,
due dei quali, gli Anuri e gli Urodeli, sono rappresentati nella erpetofauna italiana.
La classe dei Rettili, invece, comprende 4 ordini e anche in tal caso l’erpetofauna
italiana annovera specie appartenenti a due ordini: Cheloni e Squamati (quest’ultimo con i sottordini di Sauri e Ofidi). La composizione in specie dell’erpetofauna
italiana a partire dall’ultima decade del 1800 è stata analizzata prendendo in considerazione i dati riportati in alcune monografie e guide che hanno rappresentato (e
per certi aspetti alcune di esse ancora rappresentano) fondamentali strumenti di
lavoro per la maggioranza degli erpetologi di campo (per il repertorio bibliografico,
vedi tabella 1). Inoltre, per quanto attiene la composizione dell’erpetofauna italiana nell’ultimo ventennio sono state prese come riferimento le checklist pubblicate
in Amori et al. (1993), Razzetti et al. (2001), Razzetti et al. al., (2006) e, per i soli
Anfibi3 , in Lanza et al., (2007) (tabella 1). Occorre precisare che alcune delle pubblicazioni esaminate (ad esempio Tortonese e Lanza, 1968; Amori et al., 1993;
3
Il volume sui Rettili della Fauna d’Italia, Calderini Bologna è in preparazione.
OBIETTIVO SCIENZA
molecolare di specie. Le rane brune europee, ad esempio, mostrano un DNA satellite uniforme tra le varie popolazioni della stessa specie, ma profondamente differente tra le diverse specie del gruppo. In particolare, la Rana temporaria, da noi presente sulle Alpi e sull’Appennino settentrionale, mostra un DNA satellite uniforme
in tutte le popolazioni del suo immenso areale di distribuzione che va dalla Spagna
alla Russia, mentre tutte le altre specie di rane brune hanno sequenze talmente differenti tra loro e quindi specie-specifiche, che basta la sequenza o una semplice
digestione del DNA satellitare con enzimi e successiva elettroforesi per individuare
in modo univoco la specie a cui appartiene il DNA satellite (Feliciello, Picariello &
Chinali, 2005, Gene, 349, pp153-164).
Recentemente è stata sviluppata una nuova metodica definita barcoding perché
ispirata ai codici a barre stampati sui prodotti commerciali. In particolare, Stoeckle
ed Hebert (2008), ideatori del barcoding, hanno proposto di utilizzare piccole
sequenze del DNA mitocondriale che mostrano specifiche mutazioni di alcuni
nucleotidi presenti solo in una determinata specie animale o vegetale ma non in
altre. In un prossimo futuro, con la progressiva automazione delle tecniche di analisi del DNA, sarebbe quindi possibile inserire un pezzetto di tessuto in un sequenziatore automatico ed ottenere all’istante l’identificazione dell’organismo.
Utilizzando una sequenza di circa 300 paia di basi del gene dell’enzima mitocondriale citocromo-ossidasi, ad esempio, Herbert e Stoeckle ritengono di poter identificare più del 95% di numerose specie animali sia terrestri che marine.
Dopo aver constatato che almeno dieci esemplari della stessa specie possiedono
la medesima sequenza del DNA mitocondriale, diversa da tutte le altre sinora depositate in GenBank, il Consorzio internazionale per il Barcode degli Eucarioti pubblica tale sequenza sul suo sito ufficiale (www.barcoding.si.edu). Tale sequenza
potrebbe comunque non essere realmente peculiare di una sola specie in quanto
ancora sono carenti gli studi sulla variabilità genetica intraspecifica di tutte le
sequenze genomiche, anche di quelle poco variabili come il DNA mitocondriale.
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Tab. 1 - Numero di specie di Anfibi e Rettili italiani a partire da fine 1800.
Anfibi
U
A U+A
Rettili
C
S
O
Anfibi+Rettili Fonte bibliografica
C+S+O
8 10 18
7 16 16
39
57
Camerano, 1883, 1884, 1885, 1889, 1891
10 13 23
7 14 17
38
61
Vandoni 1914a, b
9 14 22
7 19 18
44
66
Capocaccia, 1968
11 16 27
7 21 18
46
73
Tortonese e Lanza, 1968
11 19 30
7 21 18
46
76
Bruno, 1979; 1983;
17 21 38
12 26 20
58
96
Amori et al., 1993
17 22 39
10 27 20
57
96
Razzetti et al., 2001
17 23 40
8 25 18
51
91
Razzetti et al., 2006
18 24 42
dati non pubblicati
nd
Lanza et al., 2007
Legenda: A, Anuri; U, Urodeli; C, Cheloni, S, Sauri; O, Ofidi.
OBIETTIVO SCIENZA
Bibliografia
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Nat., 4, pp. 5-48. CAMERANO, 1883, Mem. R. Accad. Sc. Torino, Sci. Fis. Mat., Torino, (2)
35, pp. 187- 284. CAMERANO, 1884, Mem. R. Accad. Sc. Torino, Sci. Fis. Mat., Torino, (2)
36, pp. 405-486; CAMERANO, 1885, Mem. R. Accad. Sc. Torino, Sci. Fis. Mat., Torino, (2)
37, pp. 491-591. CAMERANO, 1889, Mem. R. Accad. Sc. Torino, Sci. Fis.Mat., Torino, (2)
39, pp.195-243. CAMERANO, 1891, Mem. R. Accad. Sc. Torino, Sci. Fis.Mat., Torino, (2) 41,
pp. 403-481.CAPOCACCIA, 1968, Mondatori, Milano, 159 pp. LANZA, ANDREONE,
BOLOGNA, CORTI & RAZZETTI, 2007, In: Fauna d’Italia-Amphibia, Edizioni Calderini de il
Sole 24 ORE Bologna, pp. XI+537. RAZZETTI, BONINI. & ANDREONE, 2001, Ital. J.Zool.,
68, pp.:243-259. RAZZETTI, ANDREONE, CORTI &, SINDACO, 2006, In: Atlante degli Anfibi
e dei Rettili d’Italia. Sindaco R., Doria G., Razzetti E & Bernin F. (Eds.),. Societas
Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa, Firenze, pp.149-177. TORTONESE & LANZA,
1968, Aldo Martelli Editore, Milano, 190 pp. VANDONI, 1914a. Ed. Hoepli, Milano,
XII+274 pp. VANDONI, 1914B, Ed. Hoepli, Milano, XI+176
54
Razzetti et al., 2001), nello stilare l’elenco di specie, hanno preso in considerazione
l’Italia geografica, comprendente cioè la penisola e le isole politicamente italiane ma
anche i territori geograficamente ma non politicamente italiani, come la Corsica, le
isole Maltesi, il Nizzardo (Francia) e il Goriziano e parte dell’Istria (Slovenia) così
come definita da alcuni autori (Lanza & Corti, 1993, Suppl Ric. Biol Selvaggina, 21,
pp. 5-49). Altre pubblicazioni (ad esempio Bruno 1979, 1982; Razzetti et al., 2006)
hanno invece riportato l’elenco delle specie ricadenti nel territorio politicamente italiano. Per rendere omogeneo il confronto tra le diverse fonti bibliografiche, abbiamo
seguito il secondo criterio sebbene consapevoli che l’Italia politica è ripetutamente
mutata nel corso del ‘900. Inoltre, quando citate, sono state considerate come facenti parte dell’erpetofauna italiana anche specie alloctone ed acclimatate (ad esempio
Rana catesbeiana). Dall’analisi dei dati (tabella 1) risulta evidente che il numero di
specie di Anfibi e Rettili italiani sia progressivamente aumentato, passando dalle 57
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Fig. 1 – Riproduzione del frontespizio del “Compendio d’Erpetologia o d’Istoria Naturale dei
Rettili” pubblicato nel 1835 come traduzione da parte di Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro,
dell’opera di Bory S. Vincent . Fino alla metà del secolo diciannovesimo Anfibi e Rettili erano
considerati ancora un unico taxon. Nel 1825, Latreille, zoologo collaboratore di Cuvier, propose
di utilizzare il nome di Anfibi solo per rane, rospi e salamandre , distinguendoli dai Rettili in cui
però erano ancora inclusi gli Apodi.
OBIETTIVO SCIENZA
specie complessive citate da Camerano (lavori dal 1893 al 1891, vedi tabella 1) alle
91 elencate nell’Atlante degli Anfibi e Rettili (Sindaco et al., 2006). Il maggior numero di specie erpetologiche riportate nelle cheklist di Amori et al. (1993) e di Razzetti
et al. (2001) rispetto alla checklist cronologicamente successiva di Razzetti et al
(2006) è dovuta a vari motivi. In Amori et al. (1993) sono considerate anche specie
segnalate in passato e non più confermate (Rana arvalis e Chamaleo chamaleo) o specie inserite nella lista come potenzialmente presenti (due testuggini dulciaquicole,
Mauremys caspita e M leprosa, e due tartarughe marine, Eretmochelys imbricata e
Lepidochelys kempii). Anche in Razzetti et al. (2001) vengono annoverate nella checklist numerose specie potenzialmente presenti (Eretmochelys imbricata, Lepidochelys
kempii, Agama agama, Chamaleo chamaleo: quest’ultime due introdotte). Per contro,
in Razzetti et. al (2006) sono considerate alcune nuove specie (ad esempio il lacertide Lacerta bilineata). Per quanto riguarda i soli Anfibi, il numero di specie elencate in
Lanza et al. (2007) è di poco superiore a quello (43 contro 40) riportato da Razzetti
et al. (2006). Ciò è dovuto al riconoscimento su basi molecolari di due specie distinte di salamandrina (Salamandrina terdigitata e S. perspicillata) e di una nuova specie
di rospo smeraldino (Bufo lineatus, rospo smeraldino italiano).
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OBIETTIVO SCIENZA
Considerazioni conclusive
Come sottolineato da Razzetti et al., (2006), la compilazione di una checklist
non rappresenta un semplice lavoro bibliografico di integrazione di revisioni tassonomiche pubblicate precedentemente, in quanto è necessaria una valutazione critica di tutti i dati disponibili e una scelta relativa alla validità dei taxa. Se i dati non
sono valutati criticamente può accadere che venga annoverata nel patrimonio faunistico di un territorio una specie della quale si hanno una o poche segnalazioni non
convincenti (e il caso, ad esempio, del rospo ostetrico, Alytes obstetricans).
Nell’ultimo ventennio la complessità del panorama tassonomico dell’erpetologia
italiana, così come di quella mondiale, è incrementata per effetto soprattutto delle
moderne indagini biomolecolari che hanno permesso la risoluzione di complessi
casi di tassonomia. D’altro canto è anche emerso che un approccio integrato morfoecologico-molecolare spesso aiuta a comprendere meglio, rispetto ai singoli approcci, la diversità biologica nei suoi differenti livelli.
Gli Anfibi e i Rettili rappresentano un’importante componente della biodiversità animale italiana. Secondo un recente studio (Balletto, 2005), tali specie nel complesso costituiscono circa il 36% dell’intera erpetofauna europea e circa il 20% di
quella dell’intera area euro-mediterranea; inoltre, il numero delle specie italiane di
Anfibi e Rettili è nettamente superiore a quello di tutti gli altri paesi europei.
Elevato risulta anche il numero di specie endemiche: 18 di Anfibi e 7 di Rettili,
includendo gli endemismi sardo-corsi. Quest’ultimo dato acquista particolare significato se si considera che l’aree peninsulari del bacino del Mediterraneo sono considerate uno dei maggiori “hotspot” di biodiversità mondiale (Myers et al., 2000) e
rappresentano regioni geografiche di estremo interesse per studi longitudinali di
biologia evolutiva come la comprensione dei meccanismi che sono alla base dei processi di speciazione e dei cambiamenti graduali di un carattere o delle frequenze
alleliche in una determinata direzione geografica (cline).
Infine, non è mai superfluo ricordare che anfibi e rettili svolgono un ruolo fondamentale in molti ecosistemi e alcuni di questi vertebrati possono rappresentare
anche degli utili strumenti per monitorare lo stato di alterazione dell’ambiente.
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Bibliografia
BALLETTO E.,. 2005. Amphibia e Reptilia. In: Ruffo S., Stoch (Eds.). Checklist e
distribuzione della fauna italiana. Memorie del Museo Civico di Storia Naturale
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