XVIII congresso provinciale della CGIL del Trentino Relazione del segretario generale uscente Paolo Burli 1 Vezzano, 27 marzo 2014 Care delegate, cari delegati, care compagne, cari compagni, amici e gentili ospiti, il 14 febbraio scorso le lavoratrici ed i lavoratori dello stabilimento Volkswagen di Chattanooga in Tennessee hanno respinto con 712 voti contrari e 626 favorevoli l’ingresso in fabbrica dello United Auto Workers, il sindacato americano del settore automobilistico. Dopo una durissima campagna elettorale che ha visto la mobilitazione dell’establishment del Partito Repubblicano e delle lobby anti-sindacali, il movimento dei lavoratori ha subito una sconfitta che probabilmente neppure i ricorsi presentati dallo Uaw al National Labor Relations Board potranno ribaltare. Ci sono quasi 8.000 chilometri di distanza tra Chattanooga e Trento, tra il Tennessee e l’Italia. Perché partire da così lontano e da una realtà tanto particolare per introdurre i lavori del nostro congresso? Perché non iniziare invece dalle contraddizioni di una globalizzazione che fa rinascere dalla povertà nuove potenze, ma non sa imporre standard di libertà sindacale e condizioni di lavoro accettabili a livello internazionale? Perché non partire dalle vittorie e dalle sconfitte del movimento sindacale in Italia e in Europa, alle prese con una crisi economica e sociale ormai drammatica? Perché non partire dal Trentino e dalle decine di vertenze aziendali aperte, dalle difficoltà del nostro mercato del lavoro, dalla contrazione del bilancio provinciale? IL CAMBIAMENTO POSSIBILE Ho deciso di introdurre la mia relazione con il voto di Chattanooga per ricordarci che, a nessuna latitudine il cambiamento è mai facile! Ci impone la fatica di guardare in faccia la realtà senza filtri e poi di convincere chi ci sta attorno. E a volte questi sforzi non bastano. Cambiare si può, a volte si deve. Spesso però i cambiamenti passano attraverso piccole e grandi sconfitte. Di fronte ad esse non bisogna arrendersi, ma sapersi rialzare per tornare a lottare Ebbene, è proprio un deciso cambio di prospettiva e di strategia il fulcro della lotta democratica per la sindacalizzazione dello stabilimento Volkswagen a Chattanooga. Lì, per la prima volta in uno stato americano, azienda e sindacato, grazie al supporto dell’organizzazione dei metalmeccanici tedeschi, l’IgMetall, e grazie alla nascita di una vera un'alleanza sindacale internazionale, hanno posto le premesse per importare in America la co-determinazione, ossia la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione delle imprese. Il sogno del leader dello Uaw, Bob King, di trasferire la Mitbestimmung nel cuore del capitalismo mondiale, non si è 2 infranto con il voto del 14 febbraio. Ha subito un rallentamento, ma non è morto. Perché se un cambiamento è radicato e profondo, neppure una sconfitta, seppur bruciante, può fermarlo. A cambiare in questo caso è il paradigma delle relazioni sindacali. Si vuole passare da un modello fondato sulla considerazione della controparte come avversario sempre e comunque, a quello in cui lavoratori e datore di lavoro possono diventare partner dentro l’impresa per raggiungere determinati obiettivi. In verità, nessuno quanto il sindacato americano ha dovuto cambiare se stesso nel corso degli ultimi anni. Basti pensare che nel 2009 due delle Big Three, Chrysler e General Motors, fallirono e solo l’ingresso nell’azionariato dei fondi dei lavoratori, una contrattazione che ha ridotto drasticamente i salari e l’intervento dei governi del nord America, ne garantirono la sopravvivenza. Proprio sulla base di queste drammatiche esperienze, il sindacato dell’automotive ha rielaborato in profondità le proprie strategie di azione. «Lo Uaw del ventunesimo secolo - ha dichiarato il suo leader, Bob King il 2 agosto 2010 a Detroit - dovrà essere fondamentalmente e radicalmente diverso dallo Uaw del ventesimo secolo». «Se non introducessimo cambiamenti radicali per affrontare le sfide della ricostruzione della classe media di tutto il mondo - ha concluso Bob King - ciò equivarrebbe a tradire la coraggiosa eredità pionieristica del nostro sindacato». Cambiare è l’unica opportunità per restare davvero fedeli alla propria tradizione e ai propri compiti. La sfida è lanciata e non riguarda solo il sindacato a stelle e strisce. Cambiare per servire meglio le lavoratrici ed i lavoratori, le pensionate ed i pensionati, è un compito che riguarda tutto il movimento sindacale, per primi noi stessi! Cambiare significa in primo luogo riaffermare che prosperità e democrazia non possono sussistere senza sindacati liberi, ma significa anche puntare, all’interno della propria azione rivendicativa, all’innovazione e alla massima qualità del prodotto per i consumatori perché così si promuove e tutela davvero l'occupazione di qualità. Poi significa mettere al centro della propria azione la difesa dell'ambiente accanto a quella della salute. Significa appunto costruire relazioni sindacali improntate alla collaborazione. È quello che succede in Germania dove i consigli aziendali eletti dai lavoratori hanno più poteri delle nostre RSU e dove i lavoratori che siedono nei consigli di sorveglianza partecipano alla gestione dell’impresa e nominano i membri dei consigli di amministrazione. A nord del Brennero, a pochi chilometri da qui, le relazioni sindacali sono più mature e responsabili perché esistono da anni norme e istituti contrattuali che obbligano le parti a condividere strategie ed obiettivi e quindi ad assumere atteggiamenti meno conflittuali e più collaborativi. In questo modello l’attività rivendicativa del sindacato non è bandita. La notte del Primo maggio dello scorso anno, con lo slogan ”Plus für uns, plus für alle”, l’IgMetall ha proclamato lo sciopero di tutti gli addetti del settore metalmeccanico in Baviera e nel Baden-Württemberg per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro. Dopo alcune settimane di agitazione, il sindacato tedesco delle tute blu ha strappato un aumento salariale del 5,6% in 20 mesi. PARTECIPARE PER DARE PIÙ VOCE AL LAVORO 3 Sappiamo bene che la co-gestione non è la panacea di tutti i mali e che la situazione sociale in Germania è fatta di luci ed ombre, mentre la locomotiva tedesca beneficia degli squilibri prodotti dall’austerità a livello continentale. Ma come sindacato trentino crediamo che sia da percorrere anche qui la strada della Mitbestimmung, come sancito anche dall’articolo 46 della Costituzione. Chiediamo quindi alla giunta provinciale di sostenere anche legislativamente questo processo che non dovrà avere contorni rigidi. Se nelle grandi aziende del terziario, in quelle partecipate dagli enti pubblici o nelle imprese manifatturiere vocate all’export la presenza di lavoratori nei cda o il varo di meccanismi duali non è impraticabile, nei settori più frammentati - per esempio nel turismo e nel multiservizi - bisognerà adattare gli strumenti propri delle esperienze più avanzate della bilateralità artigiana, della mutualità cooperativa e delle casse edili. L’obiettivo deve essere quello di estendere per via negoziale, migliorare o garantire ex novo a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori più incisive forme di informazione e di coinvolgimento e così migliorare la capacità contrattuale. Tra l’altro, i recenti accordi interconfederali con Confindustria su democrazia e rappresentanza sindacale possono realmente migliorare il sistema delle relazioni industriali. La certificazione del grado di rappresentanza, l’impossibilità dell’impresa di scegliere la controparte, il fatto che i lavoratori saranno chiamati ad esprimersi sui contratti collettivi che li riguardano, ci permettono una svolta importante, dopo anni di accordi separati. Ora le polemiche, un po’ sopra le righe, che hanno animato il dibattito congressuale, vanno superate. Anche dentro questa platea le opinioni sul testo unico del 10 gennaio sono discordanti. Ma, una volta chiusa la fase di consultazione, dovremo lavorare in Trentino affinché i principi contenuti in quegli accordi diventino un patrimonio condiviso e comune, a partire dall’elezione delle RSU dove queste non sono ancora state attivate. Non vogliamo però nasconderci dietro un dito. Il cambiamento verso relazioni partecipative non sarà facile, né immediato. Gli imprenditori anche in Trentino faticano a comprendere l'importanza di questo passaggio storico e sembrano prediligere il rapporto diretto, quasi corporativo, con la politica invece di puntare sul capitale territoriale qualificando le relazioni sindacali. Così accade che non tutti i rappresentanti delle imprese abbiano sottoscritto l'accordo per la sanità integrativa territoriale o che sull’operatività di Sanifonds qualche categoria nicchi per interessi di bottega. Va poi detto che ad oggi non si è ancora trovato il modo di condividere i contenuti del patto di legislatura su sviluppo e lavoro promosso dalla Provincia che invece come sindacati vorremmo definire velocemente. Questi atteggiamenti dilatori fanno male al Trentino! Le organizzazioni datoriali trentine, non tutte per fortuna, non sembrano interessate all’estensione di forme di democrazia industriale. Dovremo far cambiare loro idea, dovremo convincerle della bontà della nostra proposta anche attivando modalità innovative di mobilitazione perché siamo intimamente convinti che migliori relazioni sindacali garantiscono migliori condizioni di lavoro e più alti livelli di competitività. Condividere le informazioni produce infatti fiducia reciproca e un forte legame di corresponsabilità. Cambiare è faticoso, difficile, lo sappiamo. Per questo dovremo dimostrare coraggio, abnegazione e lungimiranza. Qualità e valori questi che il sindacato italiano ha dimostrato più volte nella sua storia praticando il cambiamento anche quando questo sembrava insostenibile. Nel febbraio del 1978, per esempio, nel bel mezzo della contestazione sociale e nel periodo 4 forse più doloroso e drammatico del terrorismo politico, l'allora federazione sindacale unitaria di CGIL-CISL-UIL mise fine alla politica della “conflittualità permanente” e liquidò come un errore la logica del salario come variabile indipendente. Era la svolta dell’Eur guidata da Luciano Lama. Nel gennaio del 1978 rispondendo ad Eugenio Scalfari Lama sosteneva infatti che «un sistema economico non sopporta variabili indipendenti. I capitalisti sostengono che il profitto è una variabile indipendente. I lavoratori e il loro sindacato, quasi per ritorsione, hanno sostenuto in questi anni che il salario è una variabile indipendente. Ebbene - continuava Lama - dobbiamo essere intellettualmente onesti: è stata una sciocchezza, perché in un’economia aperta le variabili sono tutte dipendenti una dall’altra» Allora il sindacato unitario predicava la moderazione salariale per combattere la disoccupazione. Non si opponeva agli esuberi quando questi erano giustificati da ragioni economiche. Era d’accordo nel limitare nel tempo la copertura della cassa integrazione. Il sindacato proponeva nuove politiche del lavoro per sostenere chi perdeva il posto nella ricerca di una nuova occupazione e reclamava investimenti pubblici per sostenere la crescita e la creazione di nuova occupazione. In questo solco si è mosso sindacato trentino in maniera unitaria a partire dal 2008. IL TRENTINO, TRA L’ITALIA E L’EUROPA Oggi verifichiamo, per esempio, come reddito di garanzia e delega sugli ammortizzatori sociali - provvedimenti condivisi dal sindacato trentino - possono diventare strumenti decisivi per aiutare le famiglie più deboli e chi ha perso l’impiego. Ma siamo anche consapevoli che da soli gli interventi economici non bastano. Servono servizi più efficienti nel favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, servono investimenti sulla formazione continua e sulla riqualificazione del personale espulso dal mercato del lavoro. Gli edili nel loro congresso hanno ribadito, per esempio, che non basta iniettare denaro pubblico nel settore per risollevare le sorti di chi ha perso il lavoro nelle costruzioni. Bisogna sostenerne il ricollocamento in altri comparti perché il boom dell’edilizia registrato nei primi anni Duemila difficilmente tornerà. Lo stesso dicasi per la dolorosa vertenza Whirlpool. A tutto il personale che nei prossimi mesi uscirà dalla storica fabbrica del freddo di Spini di Gardolo abbiamo fatto una promessa: nessuno verrà lasciato solo. Abbiamo scommesso sul fatto di poter trovare un’attività sostitutiva, ma vogliamo garantire la piena riqualificazione professionale per offrire una reale possibilità di reimpiego a tutti. Di questo processo, come sindacato, siamo garanti e chiediamo alle istituzioni locali di agire velocemente e con efficacia, supportando in tutto e per tutto l'impegno prezioso ed insostituibile di Agenzia del Lavoro che sulla vicenda Whirlpool sta già operando al massimo delle proprie capacità. Su welfare, politiche industriali e riduzione del carico fiscale su lavoratori e pensionati tocca anche al Governo nazionale dare segni tangibili della volontà di cambiare. Conosciamo i vincoli imposti dall’Europa, su cui tornerò più avanti, ma dal premier Renzi ci attendiamo molto di più e meglio di quanto disposto fino ad ora con il decreto che ha liberalizzato il contratto a tempo determinato e ha superato di fatto l’apprendistato professionalizzante. Aumentare la flessibilità che si tramuta in precarietà ed eliminare uno strumento di qualificazione del lavoro giovanile non significa superare le drammatiche difficoltà del mercato del lavoro italiano. La vera 5 svolta il Governo dovrà imprimerla sul fronte del sostegno alla domanda interna e nei rapporti con l’Unione europea. Così la promessa di aumentare le buste paga, diminuendo la pressione fiscale che grava sui redditi delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti, va nella giusta direzione. Ma ancora non è dato sapere quali saranno le coperture certe di questi provvedimenti e soprattutto non esistono ancora i dettagli dei singoli interventi. Al sindacato non interessano tavoli di concertazione fine a se stessi, bensì l’equità e l’efficacia delle misure. E su questo non facciamo sconti a nessuno. Il Trentino sta vivendo una stagione molto difficile, dal punto di vista sociale ed economico. Se le esportazioni nel 2013 sono in crescita raggiungendo il livello record di 3,3 miliardi di euro, ciò non è sufficiente a sostenere che la recessione sia finita. La crisi morde ancora. Il prodotto interno lordo provinciale dello scorso anno è stimato in contrazione dell’1,2%, mentre i consumi delle famiglie si prevedono in calo del 2,2% e la disoccupazione secondo l’Istat è salita nel 2013 al 6,6%, un dato che non era così alto dal 1996 quando la percentuale di chi cercava un lavoro in Trentino aveva raggiunto il 7,1%. Così la stima della Provincia secondo cui il 20% delle famiglie trentine è a rischio povertà o esclusione sociale appare del tutto compatibile con questo quadro economico. Se la situazione sociale non esplode lo si deve allora anche all’impegno quotidiano di chi opera nel volontariato sociale. Un impegno insostituibile di cui abbiamo voluto ricordare l’importanza promuovendo una raccolta fondi a favore del Punto d’Incontro di Trento. A questo proposito voglio ringraziare Vincenzo Passerini per l’intervento con cui ha aperto i lavori di questo nostro congresso. A Vincenzo e con lui alle migliaia di volontari che in Trentino operano ogni giorno a favore dei più deboli va il nostro grazie. Alle difficoltà dell’economia si aggiungono le ristrettezze della finanza pubblica provinciale. Il bilancio della Provincia è in calo del 2,4%, con un saldo negativo di 110 milioni di euro rispetto al 2013 che potrebbe salire a 200 milioni se verrà confermato il taglio dell’Irpef proposto dal governo Renzi. Il bilancio provinciale subisce gli effetti delle manovre di austerità varate da Tremonti prima, da Monti e Saccomanni poi. Tra riserva all’erario, miglioramento del patto di stabilità e accantonamenti forzosi all’appello mancano 1,4 miliardi di euro, quasi un terzo del bilancio. Le giunte provinciali di Trento e Bolzano stanno trattando con il Governo per la definizione di un meccanismo di compartecipazione al consolidamento dei conti pubblici nazionali chiaro e definitivo. Si basa sul concetto di residuo fiscale, ossia la differenza tra il gettito fiscale statale prodotto sul territorio e la spesa dello Stato per gli abitanti del Trentino. Questa trattativa deve procedere celermente perché non accetteremo più che l’Autonomia venga utilizzata come un bancomat da cui lo Stato preleva qualunque cifra a suo piacimento. Con le proprie tasse i trentini debbono infatti pagare funzioni quali la scuola, l’università, le politiche di sviluppo, le infrastrutture, la sanità, la pubblica amministrazione ed ora anche le agenzie fiscali e l’amministrazione giudiziaria, che altrove sono a totale carico dello Stato. Resta il fatto che, comunque vada questa trattativa - una trattativa che oggi si intreccia con la riforma del titolo V della Costituzione - con il 2017 terminerà la devoluzione delle quote variabili dallo Stato alla Provincia fissate nel patto di Milano del novembre 2009. Fra quattro anni il Trentino potrebbe fare i conti con un taglio strutturale, a competenze accresciute, di circa 800 milioni di euro. Si tratta del 5% del Pil locale. 6 E quindi evidente che la revisione della spesa pubblica dev’essere la priorità anche per la nostra Provincia, in un processo in cui anche il sindacato, se vuole essere coinvolto, deve sapersi fare carico “confederalmente” del processo di contenimento del bilancio. Avremo più competenze e meno risorse in Trentino, almeno all’inizio di questo processo. Dovremo infatti fare di più con meno e poi molto dipenderà da noi. Solo la crescita economica garantirà al Trentino il gettito fiscale per finanziare le politiche provinciali. Per questo dobbiamo evitare politiche fiscali azzardate, bandire ogni forma di taglio lineare ed impedire la drastica riduzione degli investimenti pubblici che non farebbero altro che gettare il Trentino in una spirale recessiva. Va riqualificato tutto il complesso della spesa pubblica, sia quella corrente che quella in conto capitale, rendendola più efficiente e produttiva in ogni comparto. Perché come ci ha spiegato l’economista italiana Mariana Mazzuccato anche la nazione del liberismo più sfrenato, gli Stati Uniti, ha fondato i propri progressi tecnologici ed economici sugli investimenti statali o federali nei settori più disparati. Non è vero che l’intervento pubblico non serve o addirittura è dannoso. Semmai le politiche di investimento efficienti ed orientate alla crescita sono imprescindibili in un’economica moderna. Il sindacato non lo sostiene solo a livello locale. Lo dice la CGIL con il suo Piano del lavoro, lo dice anche la Confederazione europea dei sindacati quando propone un Nuovo patto per l’Europa. Lo afferma anche la DGB, la confederazione sindacale tedesca, che nel dicembre 2012 ha presentato il suo progetto, un Piano Marshall per l’Europa. Si tratta di un piano di investimenti europeo su infrastrutture e interventi sociali per 260 miliardi l’anno per dieci anni, cofinanziato anche grazie all’emissione di bond comunitari. È il primo abbozzo di una vera politica dell’Unione in materia di sviluppo: apre la strada anche alla condivisione del debito finalizzato alla crescita e vuole dare un’alternativa concreta alle cieche politiche europee di austerity che lo stesso Fondo monetario internazionale ha bocciato fin dalla metà del 2012. Quello della DGB è un progetto dal profilo molto ambizioso che ora, di fatto, la CES ha assunto come proprio. Certo, siamo ancora lontani dalla costruzione di un welfare comune europeo o della definizione di contratti di lavoro continentali. Ma la proposta del sindacato europeo va nella giusta direzione. Lo sviluppo deve tornare ad essere l’obiettivo che unisce l’Europa. L’austerità e l’assenza di una vera solidarietà tra i diversi Stati minano ogni prospettiva di sviluppo e di integrazione e sottraggono all’Europa anche il ruolo di propulsore di pace e progresso fondati sul superamento dei nazionalismi e sulla cooperazione. Lo dimostrano anche le preoccupanti spinte anti europee che si manifestano in Italia, in Francia e nella stessa Germania, ma anche la drammatica vicenda ucraina, la cui popolazione ha scelto in gran parte di riavvicinarsi all’Unione europea, mentre Bruxelles balbetta intimorita dalle possibili conseguenze sull’economia continentale di una rottura con una potenza energetica come la Russia di Putin. SCOMMETTERE SU SVILUPPO E COESIONE SOCIALE Tornando al Trentino, crediamo che la ricetta del sindacato europeo valga anche per la nostra provincia. Dobbiamo cioè puntare su edilizia sociale, interventi per l’invecchiamento attivo, qualificazione dei servizi alla persona, diffusione della fibra ottica, investimenti su 7 infrastrutture e logistica integrata, tutela dell’ambiente, manutenzione del territorio ed efficienza energetica, anche a partire da una maggior utilizzo del Progettone in questi ultimi tre campi. Per fare questo, però, la spesa in conto capitale della Provincia non può scendere sotto il livello attuale del 30% del bilancio provinciale, mentre vanno ricercate le migliori sinergie con i territori limitrofi - Tirolo e Alto Adige, ma anche il Triveneto - per qualificare alcuni servizi, in particolare nella sanità, nell’istruzione e nella ricerca. Vanno poi attivati definitivamente i nuovi strumenti per sostenere finanziariamente gli investimenti privati. Il Fondo strategico, cui partecipa anche Laborfonds, va messo al servizio delle imprese che sanno innovare e vogliono crescere. Bisogna quindi tagliare sprechi e spese superflue, a partire dai costi eccessivi della politica. Non è accettabile che un ex consigliere percepisca lauti vitalizi o liquidazioni milionarie mentre migliaia di famiglie anche in Trentino debbono tagliare su tutto per arrivare a far quadrare i conti. Non è solo insostenibile, ma palesemente ingiusto. Bene hanno fatto quindi alcuni ex consiglieri a restituire gli anticipi sui propri vitalizi e confidiamo che altri seguano il loro esempio. Ora però serve una legge che intervenga su tutti questi trattamenti. Non ci sono più giustificazioni! Rendere più efficiente la spesa pubblica e sostenibile a lungo termine la finanza provinciale non è un dovere solo degli amministratori. Anche le parti sociali debbono essere responsabili di questo processo. In primo luogo, contribuendo all’eliminazione della piaga dell’elusione e dell’evasione fiscale, del lavoro nero, dei meccanismi corruttivi, fenomeni questi che, purtroppo, non sono sconosciuti al Trentino. Gli interventi di riduzione fiscale introdotti dalla Provincia tolgono ogni alibi, semmai ce ne fosse stato bisogno, a chi tra gli imprenditori piccoli o grandi tenta di venir meno ai propri doveri di contribuente. Evadere il fisco in Trentino significa tagliare il ramo su cui si è seduti: ogni euro che si sottrae al fisco, lo si toglie alla sanità, al welfare, alla scuola, allo sviluppo economico e a tutti i servizi pubblici. Come sindacato abbiamo un compito ulteriore: vigilare ed operare affinché il welfare locale non venga utilizzato in modo parassitario. Se è vero che la Guardia di Finanza ha accertato circa 7 milioni di euro di benefici economici accordati ingiustificatamente a persone che non ne avrebbero avuto diritto, non possiamo non interrogarci sulla necessità di nuovi strumenti di controllo. Inoltre, dobbiamo ribadire con forza che il reddito di garanzia e la delega sugli ammortizzatori sociali, oltre a offrire copertura a chi ne è privo, debbono essere utilizzati per l’attivazione dei lavoratori in sospensione o privi di lavoro. L’ammortizzatore sociale non è un risarcimento, ma un’assicurazione che serve a riqualificarsi e a cercare un nuovo impiego, magari migliore del precedente. Dobbiamo poi sostenere i processi di innovazione, semplificazione e riorganizzazione della Pubblica Amministrazione locale, la cui efficienza è uno dei fattori fondamentali della crescita. Su questo fronte chiediamo alla Giunta provinciale un progetto chiaro sull’articolazione dei livelli istituzionali e degli enti locali. Si sta retrocedendo rispetto all’idea originaria di Comunità di Valle e di gestioni associate, ma ancora non si vede la nuova strada su cui incamminarsi. La Giunta sappia che non accetteremo tentennamenti. Prima e durante la crisi, il lavoro pubblico ha subito una campagna di svalorizzazione e denigrazione. Questo rancore ci consegna il problema di come ricostruire il rapporto fra il cittadino e la pubblica amministrazione. Se vogliamo riaffermare la centralità dei servizi pubblici, a partire da quelli fondamentali soprattutto per i cittadini più deboli, è indifferibile che il sindacato 8 si assuma il compito di una riforma anche nella nostra provincia. Dove sono necessari percorsi di mobilità interna per garantire l’efficienza della pubblica amministrazione, va garantita un’adeguata riqualificazione professionale del personale e non è possibile continuare ad eludere il problema dei rinnovi contrattuali, bloccati anche in Trentino ormai da troppi anni. La crisi economica, il consolidamento dei bilanci pubblici, le difficoltà del mercato del lavoro, non ce lo nascondiamo, possono indurre la tentazione di imboccare forme di protezionismo, di localismo o addirittura la rinascita di pericolose derive razziste. Può succedere in Europa dove il dibattito sul ritorno alle monete nazionali e l’immagine di un’Unione europea solo matrigna ci fanno dimenticare che l’Europa siamo noi e che noi possiamo cambiarla in meglio, a partire dal voto di maggio. Ma anche a livello locale c’è il rischio che l’Autonomia vagheggi se stessa come il Trentino dei trentini. Sarebbe un incubo. Accanto alla prospettiva dell’Euroregione con Tirolo e Alto Adige, coltiviamo nella nostra pratica quotidiana, l’idea di una comunità accogliente che ripudi e condanni ogni forma di violenza e che sappia sempre dare piena cittadinanza a chi vi giunge da straniero e offra a tutti, anche nei momenti di crisi, l’opportunità di contribuire allo sviluppo del Trentino nel pieno rispetto della propria cultura d’origine, della propria identità, del proprio credo. Lo dico chiaro e forte ai rappresentanti delle istituzioni locali: un’Autonomia che si chiuda in se stessa, che discrimini in base al timbro sul passaporto, al colore della pelle o all’idioma in cui si recita una preghiera, è destinata fatalmente a morire. Al di là di ragionevoli vincoli sulla residenza, chiunque professi la necessità di mettere steccati o alzare muri non fa il bene della nostra comunità, soprattutto quando questa è ricca di giovani cittadini trentini a tutti gli effetti perché nati e vissuti tra i nostri monti, ma che non posso esibire un documento di identità italiano solo per ragioni burocratiche. Noi ci battiamo perché questo scandalo abbia fine, come ci ha insegnato un nostro compagno di viaggio, Antonio Rapanà, cui siamo vicini oggi più che mani nella sua battaglia per riprendersi dalla malattia. CONTRATTARE PER CRESCERE E RIDURRE LE DISEGUAGLIANZE Questo è il tempo della responsabilità. Anche in Trentino. Serve quindi una classe dirigente capace e lungimirante che non scelga scorciatoie o che non guardi alle scadenze di breve periodo. Ciò vale però anche per le parti sociali. Il recente accordo tra CGIL CISL UIL del Trentino e Confindustria Trento del gennaio scorso va in questa precisa direzione e assume come presupposto la necessità di migliorare le relazioni industriali a livello provinciale. Siamo infatti consapevoli che la crescita economica dipende dalle politiche pubbliche, ma anche da una contrattazione che sappia stimolare la creazione di valore. Perché dove non c’è ricchezza è impossibile redistribuire. Siamo pienamente consapevoli che in questa congiuntura la contrattazione, a partire da quella di secondo livello, si è fatta sempre più complicata. Ma non si tratta solo di dimostrarsi responsabili come sindacato nel tentativo di contemperare la necessità di tutelare i redditi con quella di garantire i posti di lavoro. Si tratta di innestare nella contrattazione meccanismi che rendano più agevole il recupero di competitività. Non sempre ciò corrisponde ad un taglio del costo del lavoro. Anzi a volte può essere controproducente perché deprime l’economia e quindi sottrae risorse allo sviluppo locale. 9 Abbiamo come movimento sindacale la necessità di qualificare la nostra attività contrattuale, sapendo calarci nelle realtà aziendali ed insieme alle lavoratrici ed ai lavoratori trovare le soluzioni adatte caso per caso. Abbiamo bisogno di nuovi strumenti di analisi, di nuove competenze. Per questo abbiamo investito in tsm LaReS, la prima scuola sindacale unitaria, organizzando percorsi formativi specifici per delegati e dirigenti sindacali su temi come l’analisi di bilancio, il welfare contrattuale, la formazione continua, il diritto del lavoro e tanti altri. Vorremmo giungere anche a garantire alle RSU impegnate nella contrattazione strumenti di consulenza simili a quelli offerti ai sindacati altoatesini dall’Istituto per il lavoro di Bolzano. Come confederazione, insieme al rafforzamento della tutela individuale offerta dai servizi, anche nell’ottica di una positiva gestione delle transizioni e delle “carriere di vita”, vogliamo investire sul monitoraggio e sul coordinamento dell’attività di contrattazione a livello provinciale. Crediamo infatti che sia nostro compito aiutare le categorie a mettere in rete le proprie esperienze e condividere le buone pratiche, così da migliorare complessivamente l’attività contrattuale a vantaggio delle lavoratrici e dei lavoratori, dei pensionati e delle pensionate che rappresentiamo. Oggi più che mai lavoratori e pensionati vivono in un mondo, in una società in cui le diseguaglianze crescono invece di ridursi. Il Trentino, fino a pochi anni fa, viveva una condizione privilegiata, ma secondo l’Istat il reddito disponibile delle famiglie in provincia tra il 2007 e il 2012 si è ridotto. Nello stesso periodo la differenza tra il reddito familiare disponibile in Alto Adige e quello in Trentino è salito dai 2.600 euro del 2007 ai 2.900 euro del 2012. Quella dell’aumento delle diseguaglianze è una piaga che caratterizza una larga fetta dei paesi industrializzati. Tra questi, gli Stati Uniti rappresentano il punto più avanzato di processi economici e sociali che poi investono, seppur in modo diverso, il resto dei paesi avanzati. Così è bene dare uno sguardo oltre oceano per osservare i cambiamenti in atto. Negli Usa si registra in primo luogo una crescente diseguaglianza di reddito nel mercato del lavoro. Il sociologo americano Erik Olin Wright ha dimostrato, dati alla mano, che se durante il boom degli anni ‘60 gli Stati Uniti creavano per lo più impieghi mediamente ben remunerati ingrossando così le fila della classe media, durante l’espansione occupazionale degli anni ‘90 si è assistito invece ad una netta polarizzazione degli impieghi: i nuovi posti di lavoro sono stati per lo più a bassa qualificazione e quindi poco remunerati o viceversa ad altissima professionalità e con ricche retribuzioni. L’economista italiano Enrico Moretti, oggi docente a Berkeley, ha invece notato come negli Stati Uniti sia in atto un processo di forte divergenza tra le diverse aree del paese. Diseguaglianze di reddito si registrano infatti anche tra medesimi lavori e dipendono dal dinamismo economico di ogni singola area geografica. Così fare il cameriere a San Francisco, capitale mondiale dei fondi di venture capital e delle imprese dotcom, rende mediamente molto di più che fare lo stesso mestiere in una zona depressa come Detroit. Infine, due studiosi del MIT di Boston, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee sostengono che la rivoluzione digitale e l’incessante processo di innovazione determineranno enormi diseguaglianze tra chi sarà in grado di cogliere le opportunità occupazionali create dalle nuove tecnologie e chi invece verrà espulso dal mercato del lavoro a causa del diffondersi dell’automazione. 10 Per vincere queste tre sfide - diseguaglianza di reddito, di sviluppo regionale e di competenze - tre sono gli strumenti decisivi: un welfare proattivo, l’investimento pubblico sulla conoscenza e una contrattazione sempre più inclusiva. Un’istruzione di qualità, la formazione continua, la capacità di produrre ricerca i cui risultati vengano velocemente trasferiti sia nei meccanismi produttivi che nei processi educativi, determinano oggi più che mai il futuro sviluppo di un territorio. Per questo il Trentino deve puntare sulla qualificazione della scuola pubblica, sulla formazione professionale, su un ruolo più forte della nostra Università e sulla ricerca scientifica e tecnologica senza cedere alle sirene di tagli lineari che sarebbero davvero controproducenti nel lungo periodo. Poi per una società più equa, serve una contrattazione capace di garantire avanzamenti concreti a tutti i livelli professionali in ogni comparto. Non è una sfida semplice, perché oggi è sempre più facile essere una lavoratrice o un lavoratore e, nonostante questo, non riuscire a garantire una vita dignitosa a sé e alla propria famiglia. Serve il supporto delle istituzioni, anche in Trentino. Un primo esempio virtuoso in questo seno sarebbe l’estensione ai comuni e agli enti strumentali dell’applicazione dell’atto di indirizzo sugli appalti di servizio. Gli anni trascorsi dall'ultimo congresso ad oggi sono stati difficili ed anche dolorosi per il vuoto lasciato dalla mia amica, la compagna Milena e dai compagni Nando Salzano, Silvano Perenzoni ed Aldo Farinati, che assieme a tanti altri hanno dato molto alla nostra organizzazione, insegnandoci ad essere persone affidabili e testimoniando con il proprio esempio che in questa nostra organizzazione i valori contano ancora. Voglio ringraziarvi, care delegati e cari delegati e insieme a voi ringraziare tutte le donne e tutti gli uomini che, nonostante le crescenti difficoltà economiche e sociali, hanno rappresentato il sindacato dentro i luoghi di lavoro. Vi siete assunti una grande responsabilità, quella di testimoniare i valori ed i principi in cui crediamo e di diventare un punto di riferimento, una speranza per migliaia di lavoratrici e lavoratori, di pensionate e di pensionati smarriti dentro una profonda crisi che colpisce la dignità ed i progetti di vita delle persone. Così come voglio ringraziare tutta la nostra struttura, a partire dalle compagne e dai compagni dei servizi. Sono cosciente - tutta l'organizzazione ne è consapevole - di come siano stati la nostra frontiera, la nostra “protezione civile” nel fattivo sostegno a tutti quelli che si sono rivolti alle nostre sedi. Fare il segretario generale di questa organizzazione, alle volte è davvero una responsabilità che sembra insopportabile. Solo l'impegno e l'affetto delle persone che mi circondano, a tutti i livelli, ti fanno superare ostacoli che da solo non riusciresti ad affrontare. Tutto questo è quel cuore pulsante del sindacato che mi rende orgoglioso di essere uno di voi, di rappresentare un’organizzazione fondata sulla libertà, sulla partecipazione e sulla diversità non solo delle espressioni politiche, ma anche delle identità di ciascuno - donne e uomini, stranieri ed italiani, credenti ed atei, eterosessuali, gay, lesbiche e transessuali - una diversità che rappresenta la ricchezza del nostro sindacato. Care delegate, cari delegati, il 18° congresso della CGIL del Trentino è stato vissuto in un clima di grande correttezza, seppur in presenza di un dibattito acceso su tanti punti dei documenti nazionali. Non ci soddisfa però il grado di partecipazione alle assemblee di base che in Trentino ha 11 coinvolto solo il 15% degli iscritti. Confido che nell’assise di Rimini la CGIL tutta rifletta sull’opportunità di innovare procedure e modalità di svolgimento del congresso, a partire dalla costruzione dei documenti che animano il nostro dibattito. Voglio terminare questa mia relazione, con un messaggio di fiducia. Il nostro sindacato è oggi più vitale che mai. Il dibattito è una ricchezza imprescindibile. Dobbiamo far sì che il nostro sano pluralismo sappia coniugarsi in Trentino con la capacità di unire sempre di più il movimento sindacale. Lo dobbiamo in primo luogo alle lavoratrici ed ai lavoratori, alle pensionate e ai pensionati, ai giovani, agli studenti e ai disoccupati che vedono in noi un punto di riferimento, un baluardo a difesa di diritti vecchi e nuovi: quello ad un’occupazione, ad una giusta retribuzione, a condizioni di lavoro dignitose, alla libertà di esprimere sempre il proprio pensiero e la propria identità, anche quella sessuale, affettiva e di genere. Le sfide che ci attendono nei prossimi anni sono molte e difficili. Alcuni dei cambiamenti necessari alla crescita del movimento sindacale e all’affermazione dei diritti di cittadinanza oggi ci sono forse persino sconosciuti. Ma, come disse Luciano Lama, non dobbiamo avere paura delle novità. «Non rifiutate la realtà - ci invitava il segretario generale della CGIL nel suo ultimo discorso da sindacalista, ormai 28 anni fa -. Non rifiutate la realtà perché vi presenta incognite nuove e non corrisponde a schemi tradizionali, magari profondamente radicati in voi. Sappiate che questi sono comodi, ma sicuramente ingannevoli». Facciamo nostro l’appello di un grande segretario generale della CGIL quale è stato Luciano Lama e impegniamoci ogni giorno a concretizzarlo. Viva il sindacato, viva la CGIL. Paolo Burli segretario generale uscente della CGIL del Trentino 12
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