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pediatra
per amico
bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani
Realizzato e diffuso con la collaborazione dell’Associazione Culturale Pediatri
Anno XIV n. 4/2014 - Euro 3,50
un
Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. Spedizione in AP - D.L. 353/2003
(conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. I, comma I, DCB ROMA Aut. n. 15/2009
Celiachia: tutto quello
che c’è da sapere
Editoriale
Celiachia,
celiachia…
hi non ha almeno un celiaco
nella cerchia delle
proprie conoscenze? E chi non conosce almeno una
persona che, pur
senza essere celiaco, si astiene dal
consumare
alimenti
Vincenzo Calia
che contengono il
Pediatra di famiglia, Roma
glutine?
La storia di questa
intolleranza (che
non è una malattia, come spiega molto chiaramente lo
speciale contenuto in questo numero di UPPA) è molto
interessante. Pare che la celiachia esista da sempre, cioè
da quando fu introdotta la coltivazione del grano e questo cereale diventò la base della nostra alimentazione:
era temuta perché dava diarrea e scarso assorbimento
intestinale.
Ma solo dopo la Seconda guerra mondiale fu possibile
stabilire un collegamento fra questi disturbi e il glutine,
una sostanza presente nella farina di grano.
A chi, come me, studiava medicina alla fine degli anni
sessanta si insegnava che per evitare il “malassorbimento” sarebbe stato meglio rimandare a lungo l’introduzione delle farine contenenti glutine nell’alimentazione e
che la sospensione dell’assunzione di questi alimenti
comportava la guarigione e consentiva la successiva reintroduzione del glutine nella dieta, sicché molti che oggi
sono in età adulta raccontano di “essere stati celiaci” da
bambini.
La frequenza di questo disturbo sembrava anche avere
una strana distribuzione: raro in America, al centro
dell’attenzione in Europa, inesistente in Asia.
Tutto lasciava credere che si trattasse di una di quelle
malattie “di moda”, che ogni tanto vengono all’attenzione della comunità dei medici, diventano oggetto di studi,
congressi e discussioni accanite, per poi finire nel dimenticatoio (non sembri strano ai nostri lettori, ma la
storia della medicina è piena di queste vicende).
C
E invece non era così: il progresso delle conoscenze, a cui
la medicina italiana ha dato un contributo tutt’altro che
marginale, ci ha portato a conoscere in profondità questo
fenomeno e oggi sappiamo che la diarrea e il “malassorbimento” sono solo la punta dell’iceberg: la parte maggiore è fatta di un’infinita varietà di danni agli organi e ai
tessuti, che possono manifestarsi in mille modi o addirittura restare silenti per decenni. E così sappiamo che in
America era un fenomeno raro perché nessuno si prendeva la briga di cercarne i sintomi, mentre in Asia era
sconosciuto perché lì si mangia riso e l’alimentazione è
“naturalmente” senza glutine.
Così, mentre la scienza progredisce, la parola “glutine”
diventa popolare e la ricerca di un’alimentazione sempre
più “salutare” porta a un paradosso: i celiaci che seguono
una dieta fin da piccoli rischiano, crescendo, di non riuscire a tollerare le limitazioni dietetiche che gli vengono
imposte, mentre chi celiaco non è va alla ricerca spasmodica di alimenti gluten free. Un fenomeno spiegato in
parte dalla maggiore digeribilità dei cereali privi di glutine (come leggerete nello “speciale”).
E alla fine la celiachia ci appare per quello che è: il paradigma di una medicina moderna che, avendo debellato le
malattie più gravi e diffuse (almeno nei Paesi ricchi come
il nostro), si dedica al miglioramento continuo delle condizioni di salute alla ricerca e all’eliminazione dei fattori
di rischio più reconditi e misteriosi, con l’aiuto delle tecnologie diagnostiche più moderne, della genetica e della
statistica.
Con l’obiettivo, sempre più dichiarato, di allungare e migliorare all’infinito la nostra vita.
Che fortuna che abbiamo avuto di nascere ora e qui!
[email protected]
3
Anno XIV numero 4/2014
foto di copertina Archivio UPPA
un
pediatra
per amico
www.uppa.it
SOMMARIO
Bimestrale per i genitori scritto e diffuso dai pediatri
in collaborazione con L’Associazione Culturale Pediatri
direttore responsabile Vincenzo Calia
referente dell’Associazione Culturale Pediatri Laura Reali
hanno scritto su questo numero Vincenzo Calia, Costantino Panza, Paolo Roccato, Vitalia
Murgia, Paolo Siani, Carlo Corchia, Tommaso Montini, Daniele Novara, Elena Uga,
Luigi Greco, Andrea Satta, Anna Rita Marchetti, Cecilia Pizzorno, Manuela Filippa,
Maria Cristina Stasi, Rossella Faraglia
coordinamento redazionale e raccolta immagini Sonia Bozzi
ufficio abbonamenti Lorenzo Besson, Daniela Mantuano
ritratti Francesca D’Ottavi
illustrazioni dello speciale Federica Fruhwirth
impaginazione Phanes srl - Roma
redazione piazza Armenia 10 - 00183 Roma
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ASSOCIATO A:
3 Celiachia, celiachia…
di Vincenzo Calia
6 NASCERE
Tandem o sidecar?
di Veronica Pozza
8
COSA C’È DI VERO
Tempo libero: chi l’ha visto?
di Costantino Panza
11 LO SPAZIO DELLA MENTE
Un distacco che non può far male
di Paolo Roccato
14 COME ERAVAMO
“Non ti toccare!!”:
la lotta all’onanismo
di Vitalia Murgia
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Vive solo con i suoi introiti: abbonamenti (90%) e pubblicità (10%).
Accetta tutte le inserzioni pubblicitarie, a condizione che non contrastino con la linea
editoriale del giornale, non interferiscano con i suoi contenuti e non violino
il Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno.
17 CURARSI CON LE PIANTE
La pappa della regina
di Vitalia Murgia
18
PAGINACP
Pediatri senza conflitti
di Paolo Siani
e Carlo Corchia
Le pagine pubblicitarie de La Giostra, Radio Magica, Nati per leggere,
Nati per la musica e Medici per i Diritti Umani sono pubblicate a titolo gratuito.
21 MEGLIO SAPERLO PRIMA
Il sesso degli angioletti
di Vincenzo Calia
24
UN MONDO POSSIBILE
Scusi signora,
ma il suo bambino... fuma?
di Tommaso Montini
Imbustato in
26 SCUOLA, CHE PASSIONE!
Il Nido è meglio
di Daniele Novara
46
INSERTO ILLUSTRATO
NATI PER LA MUSICA
Musica da piccoli
per avere una marcia in più
di Cecilia Pizzorno
e Manuela Filippa
KuRuRu, il figlio del sole
Testi di Luigi Dal Cin
Illustrazioni di
Benedetta Giaufret
ed Enrica Rusinà
30
48
GIOCARE E STARE INSIEME
Arancia, Limone,
Mandarino...
di Maria Cristina Stasi
SPECIALE: CELIACHIA
La celiachia
non è una malattia
a cura di Elena Uga
con la collaborazione
di Luigi Greco
50 VENGO ANCH’IO
Chi ha inventato la campana?
di Rossella Faraglia
33 Quattro domande, quattro risposte
e quattro ricette
51 POSTA & RISPOSTA
Ancora sulle allergie
39 VIA LE ROTELLE
Saltellando sul marciapiede
54 RADIO MAGICA
Sotto questo sole, bello ascoltare
di Andrea Satta
40
di Redazione Radiomagica
LA PAROLA AI GENITORI
Una scuola
che non è una scuola
di Francesca
42 LO SO FARE ANCH’IO
Il dentifricio
di Elena Uga
43 LETTURE PER GENITORI
Mangiare e dintorni
di Vincenzo Calia
44 NATI PER LEGGERE
Non solo in vacanza
di Redazione Nati per Leggere
45 NATI PER LEGGERE
La poesia del libraio
di Anna Rita Marchetti
ERRATA CORRIGE
Sul numero 3 di UPPA (maggio-giugno) a pag. 43 c’è un
errore nel sottotitolo: il cognome dell’autrice del libro
“Parole di scuola” è Veladiano e non Velariano. Ce ne
scusiamo con l’autrice e con i lettori.
Nascere
Tandem o sidecar?
Allattare contemporaneamente due fratellini,
nati uno dopo l’altro, si può
Veronica Pozza
Ostetrica, Seveso (MB)
P
iù che le biciclette amo le moto che profumano di
Harley e dico sempre che “allatterò in sidecar!” ma la
sostanza non cambia. La sostanza è che ora, in gravidanza, sto allattando il mio secondo figlio e che se egli vorrà
popperà poi allegramente con il nuovo nato, in Sidecar
appunto o in Tandem come dicono tutti.
Già il fatto che mio figlio a 16 mesi goda ancora dei mille
sapori del latte materno fa vacillare i più, ma quando notano incuriositi il rigonfiamento sotto la maglia, la pancia, la casa del nuovo inquilino, allora non si tiene più
nessuno e chiunque, ma vi assicuro proprio chiunque,
esclama meravigliato: “Ma come, allatti in gravidanza?
Non fai male al bambino?”.
A questo punto io chiedo sempre “A quale bambino?”,
insomma a chi dovrei far male? All’impavido poppatore
che ignaro di tutto si affida alle linee guida OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), piuttosto che a quelle
della salumiera del quartiere, o al piccolo, anche lui ignaro, che porto ancora nel grembo? Perché per una madre
supporre di far male “alla creatura” è un bel colpo ma
per fortuna sono un’ostetrica e lo accuso benissimo... lo
accusano meno bene i miei interlocutori.
NON CI SONO RISCHI
Allattare in gravidanza nella stragrande maggioranza dei
casi non è rischioso e non lo dico soltanto io. Nel 2002
l’Accademia Americana dei Medici di Famiglia ha affermato che se una donna è sana. l’allattamento in gravidanza non è rischioso ed è una decisione che spetta unicamente alla donna, cosa che dovrebbe essere scontata,
ma che scontata non è: in una società come la nostra, dove ogni scelta materna è assoggettata al paternalismo
medico e degli operatori sanitari in generale, mi piace ribadirlo: la decisione spetta soltanto alla donna.
Diversamente da quel che tutti pensano, le contrazioni uterine non costituiscono un problema, o almeno non più di
quanto avvenga in una coppia che continua l’attività sessuale. Quella che entra in gioco nell’allattamento in gravidanza è soprattutto la relazione con il “bambino che poppa” e il “bambino nel grembo” e solo la madre sa cosa sia
meglio per entrambi e, soprattutto, cosa sia meglio per lei.
Foto Lucia Poggiali
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Le fisiologiche modificazioni del seno in gravidanza portano alla maggior parte delle donne che allattano durante la gestazione una ipersensibilità ai capezzoli che può
essere tanto dolorosa da portarle all’interruzione delle
poppate, altre volte invece è la stanchezza a condurre a
questa scelta o il bisogno di “prendersi cura” del poppatore in modo diverso.
Se una donna continua ad allattare in gravidanza noterà
probabilmente una produzione diversa a partire dal secondo trimestre. Le modificazioni ormonali infatti portano a una diminuzione della quantità di latte e a un suo
progressivo adeguamento verso le richieste del bambino
che nascerà fino alla produzione di colostro in prossimità del parto. I bambini ovviamente si accorgono di
queste modificazioni e si comportano di conseguenza, a
volte integrando con una maggior quantità di cibi solidi,
altre volte abbandonando spontaneamente il seno.
A OGNI MAMMA IL SUO ALLATTAMENTO
Dunque, trovo che non sia corretto far sentire in colpa
una donna perché allatta in gravidanza dal momento che
non ci sono studi che ne evidenzino la pericolosità.
Ovviamente, precedenti parti prematuri, perdite di sangue dai genitali, contrazioni uterine o inadeguato apporto calorico sono tutti motivi per abbandonare in un modo dolce l’allattamento al seno, così come, se il bambino
che poppa è ancora allattato in modo esclusivo (non
svezzato per intenderci), bisogna verificare che l’apporto
calorico sia adeguato e agire secondo necessità.
Non sono ancora arrivata al sidecar e quando arriverò di
sicuro mi farò guidare dall’istinto e dalla naturale conoscenza di madre, più che da quella accademica di ostetrica.
Chi allatta in sidecar (perdonatemi ma mi piace davvero
molto più che tandem, anche perché si sta uno accanto
all’altro mentre in bici si sta in fila indiana) sa che la precedenza va data al nuovo nato e che potrebbe esserci un
momento di transizione e adeguamento alle richieste dei
bambini un po’ stressante.
Il mio “bambino che poppa” è ormai a circa 2-3 poppate
al giorno, nonostante l’allattamento sia per noi ancora (e
da sempre) una questione di domanda e offerta, non prestabilito e a orari e sicuramente questo mi fa vivere il secondo allattamento in maniera più leggera. Vi assicuro
che a oggi credo di non aver fatto nessuna scelta, ma di
aver semplicemente lasciato che ciò accadesse perché
sentivo che era la cosa giusta.
COSA DICE LA SCIENZA
Il Ministero della Salute, grazie al lavoro congiunto del
proprio Tavolo tecnico operativo interdisciplinare
sull’allattamento al seno, istituito con decreto nel dicembre 2012, e la Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), nel marzo 2013 ha espresso in un documento le raccomandazioni su “Allattamento al seno
durante la gravidanza”. In sintesi, le conclusioni raggiunte riguardo alla sovrapposizione tra allattamento e
gravidanza:
1. Non c’è evidenza in letteratura di aumentato rischio
di aborto.
2. Nessuna evidenza di aumentato rischio di ritardo di
crescita intrauterino né di malnutrizione materna nei
paesi industrializzati.
3. Possibile minor crescita del bambino allattato, documentato nei paesi a risorse limitate, ma non noto in
paesi come l’Italia. Va sottolineato che il rischio, potenziale, è maggiore durante il periodo in cui il latte
materno rappresenta l’unico alimento del bambino
che, verosimilmente, non si sovrappone alla gravidanza.
4. Non è documentato che la suzione al seno collegata
all’allattamento determini parto pretermine per attivazione di contrazioni.
5. Alcune situazioni potrebbero richiedere consigli individuali da parte dei professionisti sanitari, anche se
mancano evidenze scientifiche sull’utilità dell’interruzione dell’allattamento in tali situazioni.
Queste conclusioni hanno permesso di arrivare alla seguente posizione: “SIMP e Tavolo Tecnico del Ministero della Salute ritengono che per la maggior parte
delle donne la coesistenza di gravidanza ed allattamento al seno risulti sicura per la madre, embrione,
feto e lattante.”
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_213
6_allegato.pdf
Paola Bortolazzo,
Infermiera Prof.le e consulente allattamento IBCLC
[email protected]
[email protected]
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Cosa c’è di vero
Tempo libero: chi l’ha visto?
Per un bambino “perdere tempo”
può essere il modo migliore per crescere
Costantino Panza
Pediatra di famiglia,
Sant’Ilario d’Enza (RE)
M
arco e Anna, cavalieri dal lungo
mantello, galoppano risalendo
su ripide cime tempestate di neve:
dovranno combattere contro mille
pericoli. Da lontano si sente una invocazione: “Ragazzi, cos’è questo
baccano? Smettetela di saltare su e
giù dal divano e andate a fare i compiti”. Chiara, madre alle prime armi,
prepara una pappa di terra, saliva e
qualche sassolino, mescolando questi preziosi ingredienti con amorevole pazienza nel palmo della mano.
Infine, dopo aver chiacchierato a
lungo con tutte le sue invisibili amiche, inizia ad imboccare sua figlia.
Ne avrà per tutto il pomeriggio. “Cosa stai facendo con la tua bambola,
bimba mia?”, chiama da lontano una
voce familiare.
Marco, Anna e Chiara stanno impegnando il loro tempo in giochi di pura fantasia, senza regole o apparenti
finalità. Non sarebbe meglio indirizzarli a un gioco organizzato, a una
disciplina parascolatica o a fare i
compiti? In altre parole: per un
bambino è inutile o necessario il
perdere tempo? Scegliamo di rispondere a questa domanda partendo da lontano, molto lontano.
UN PO’ DI STORIA
Nella storia della nostra specie i
bambini sono stati allevati e accuditi in continua prossimità da genitori
e nonni per i primi anni di vita. Poi
venivano lasciati per lo più a giocare
liberamente insieme al gruppo dei
bambini della tribù o del villaggio
fino all’età puberale o ancora più
tardi, quando, attraverso un rituale,
8
avveniva il passaggio nel mondo degli adulti.
Non c’erano scuole o attività organizzate per loro durante gli anni della fanciullezza. I bambini giocavano
tra di loro e il tempo libero era l’unica regola. Gli antropologi che hanno
misurato in queste antiche popolazioni tribali le attività svolte dai
bambini hanno mostrato che il tempo libero occupa il 70% della giornata, mentre il 30% è impegnato nella
raccolta del cibo, lavori domestici e
spostamenti. Solo alla fine del ‘700
sono state create le istituzioni pubbliche per insegnare a leggere, scrivere, imparare mestieri e specializzazioni: apprendimenti necessari
per inserirsi nel moderno mondo del
lavoro. Il mondo estremamente
competitivo richiede professioni
sempre più qualificate. I genitori sono quindi impegnati a offrire le migliori opportunità di crescita per i
loro bambini e l'impegnano in innumerevoli attività parascolastiche e
discipline sportive.
In questo scenario convulso sta letteralmente scomparendo il tempo libero. I bambini hanno a disposizione sempre minor tempo per il gioco
non organizzato, senza regole e con
obiettivi non definiti, gioco detto anche di fantasia, dove il bambino “fa
finta che”, da solo o in compagnia di
altri bambini, si scollega dal mondo
reale costruendo un mondo fantastico dove può indossare i panni di un
supereroe, un genitore o, perché no,
un mostro malvagio intrecciando
una trama di cui non conosce l’inizio
e la fine.
A COSA SERVE IL GIOCO LIBERO?
Il gioco libero permette al bambino
di usare la sua creatività e lo impegna a sviluppare la sua immaginazione, coinvolgendo le sue competenze emotive, cognitive e fisiche.
Questo è il gioco dove il bambino
può esplorare liberamente contenuti
e regole e condurre in prima persona
l’attività, mentre il genitore rimane
un discreto supervisore senza intervenire nelle dinamiche costruite dal
bambino. Se questo gioco è partecipato da più bambini, insegna a ogni
bambino a riconoscere il pensiero
dell’altro, a misurarsi con il gruppo,
condividere, negoziare, risolvere
conflitti e gestire i propri interessi.
Muoversi liberamente in questo
mondo fantastico aiuta il bambino a
controllare le sue paure o a mettersi
alla prova, migliorando così la confidenza nelle proprie capacità e favorendo la propria resilienza, ossia la
capacità di attraversare esperienze
difficili senza soccombere.
I bambini che costruiscono giochi liberi inventano nuove funzioni per
oggetti deputati normalmente per
altri usi: sono più creativi. I necessari confronti tra i protagonisti di queste storie di fantasia stimolano le
funzioni linguistiche anche nei bambini che si esprimono con più difficoltà. Il gioco non strutturato migliora la capacità di risolvere i problemi, una funzione cognitiva preziosissima, utile per il controllo dell’impulsività e per pianificare e indirizzare il pensiero. Spesso i bambini
scelgono per questi giochi eventi o
situazioni che li hanno spaventati,
sperimentando, nella finzione, diverse possibilità di comprensione e
risoluzione dei conflitti; utilizzando
il gioco e non situazioni concrete, il
bambino può mettersi alla prova
senza gestire elevati livelli di stress.
Immaginatevi ora queste attività di
gioco immerse in un parco, all’aperto: che esperienza per il corpo e per i
sensi, oltre che per la mente! Ma
quanta difficoltà: città costruite senza pensare a spazi idonei e sicuri per
il gioco libero dei bambini, genitori
spesso senza supporto di nonni o
impegnati in orari di lavoro da incastrare con gli orari scolastici dei figli
rendono la possibilità di trovare un
po’ di tempo libero un orizzonte irraggiungibile.
ESERCITARE LA FANTASIA
Il gioco di fantasia che il bambino attua nel suo tempo libero è un potente
stimolo per la mente ed è stato studiato e misurato con attenzione dalla
psicologia contemporanea. Un bambino a cui sono offerte attività organizzate, giochi interattivi, libri scolastici, video o programmi per computer rischia di aumentare i propri livelli di stress e di ansia da prestazione senza un giusto bilanciamento
con il gioco creativo, libero, senza regole. I genitori, nel proporre le “migliori opportunità” per il loro ragazzo
rischiano di cancellare questo prezioso tempo di crescita del bambino.
Oppure, si fanno irretire da messaggi
pubblicitari che hanno lo scopo principale di vendere un prodotto, spacciato come un’opportunità per accrescere l’intelligenza del figlio.
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Pensateci bene: il tempo libero dedicato al gioco senza regole e senza oggetti speciali oggi è quasi completamente scomparso: ogni frammento
di tempo della giornata di un bambino rischia di essere mercificato
(computer, TV, palestra, consumo di
musica o video…), misurato in termini di denaro speso per una attività
che risulta essere un affare economico, al soldo di una industria dell’intrattenimento o altro, con il guadagno economico come obiettivo principale. Il tempo libero non costa denaro e non ha bisogno di attrezzi
speciali! Il gioco libero, semplicemente, è un’attività fondamentale
per la crescita di una persona. Il
tempo libero, quindi, è una faccenda
maledettamente seria per un genitore e una risorsa irrinunciabile per
ogni bambino.
[email protected]
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LA CORTECCIA DI PINO
La pineta si allargava su una piccola collina, ai piedi del Castello.
Il Castello, che a me sembrava più che altro una torre grossa e tozza, era
diroccato, affogato nelle erbacce e pericoloso da esplorare per via degli
anfratti e delle piccole voragini che si aprivano sui pavimenti: era rimasto
abbandonato per secoli, avvolto nelle sue leggende, ignorato da quasi tutti
gli abitanti della cittadina e frequentato da ragazzini come me che, a loro
rischio e pericolo e violando i divieti dei genitori, trascorrevano da quelle
parti le loro lunghe giornate estive.
Ma quello che più mi piaceva non era esplorare quella strana collina abbandonata, ma lavorare la corteccia dei pini che la ricoprivano. Era fatta
di grosse scaglie rossastre di una materia legnosa e friabile: avevo scoperto che strofinandola energicamente su un sasso si consumava e si poteva
modellare ricavandone gli oggetti più strani.
A me piaceva farne delle barchette: prendevo un pezzo di corteccia, lo
grattavo su un sasso fino a fargli assumere la forma di uno scafo e poi, con
un coltellino, lo scavavo come immaginavo che gli indigeni dei romanzi di
Salgari di cui ero un accanito lettore scavassero i tronchi per farne delle
piroghe.
Quando la forma mi sembrava perfetta cercavo di far navigare la mia barchetta in un rigagnolo, quasi sempre senza successo perché la corteccia
era leggera, si inzuppava e si rovesciava su un fianco. Un buon motivo per
produrre un’altra barchetta.
Credo di aver varato un’intera flotta, che portavo a casa quando tornavo la
sera per la cena.
Erano gli anni della scuola elementare e trascorrevo così la maggior parte
del tempo libero durante le vacanze estive.
V. C.
Lo spazio della mente
Un distacco
che non può far male
Lasciare il lavoro per “accudire meglio” i figli:
un errore da evitare
ono la mamma di Giulia, 13 mesi, che da un mese
frequenta il nido dalle otto e mezza all’una. L’ambientamento sembra sia andato bene; dico sembra perché ho dei dubbi e non riesco a capire se dipendono dalla mia sofferenza per il distacco (lavoro pendolare, part
time verticale nei giorni dispari, quindi Giulia non ha
una routine sempre uguale) o da elementi oggettivi. Mi
è infatti sembrato che sia più attaccata a me. Ovvero
prolunga la poppata anche dopo il termine, la esige non
appena torno e all’ora corrispondente al mio ritorno
anche nei giorni in cui non lavoro. È una regressione?
La bimba ha un carattere aperto e allegro. Spesso non
piange neanche più quando la accompagniamo: è ambientata o rassegnata?
La mia ansia si è aggravata per il fatto che è caduta e si
è fatta male al labbro. So benissimo che la moda del
momento è quella di dire che il nido è un’opportunità,
ma i miei dubbi rimangono e sono disposta a mettere in
discussione il mio posto di lavoro chiedendo l’aspettativa. Giulia non parla e non mi può dire se sta soffrendo
per questo distacco e se si fida ancora di me e di noi.
Ilaria
S
Paolo Roccato
Psicoanalista, Società
Psicoanalitica Italiana, Torino
SENSI DI COLPA INGIUSTIFICATI
La sua lettera mi ha molto toccato, per due motivi: perché
presenta un problema con un possibile trabocchetto molto
diffuso nella nostra società; e per il modo così sensibile,
attento e “affettivo” di pensare e presentare la questione.
Si direbbe che lei si senta un poco in colpa per aver messo la sua bambina al nido, come se si trattasse di una
specie di abbandono. Le viene, allora, da “spiarla”, per
cercare di cogliere dei segni che possano confermare o
smentire il suo timore.
Le accade così di allarmarsi per dei normalissimi, sani segni di affettuosità (prolungare la poppata anche dopo il
termine del deflusso di latte, cercare il seno non appena
la vede o all’orario usuale delle “poppate del reincontrarsi”). Lei certamente sa che il contatto con il seno è finalizzato, sì, all’alimentazione, ma anche (e in certi momenti
ancor più) alla realizzazione di un contatto affettuoso. I
bambini (come gli adulti, del resto) hanno bisogno di nutrire, far crescere e stabilizzare il rapporto dentro la propria mente. E lo fanno accumulando esperienze di contatto e di rapporto, ma anche di assenza e di mancanza.
Ogni occasione è buona. È frequente osservare che i bambini giocano col capezzolo della mamma, a volte estasiati,
a volte divertiti, a volte eccitati. Ed è buona cosa che le
mamme partecipino a quei giochi, sempre che non ne siano infastidite. Che gusto ci sarebbe, infatti, a partecipare
a un gioco fastidioso per uno dei due partner?
Come ogni elemento psichico e relazionale, anche l’attaccamento ha i suoi alti e bassi. È normale che sia così, in
tutta la vita e in ogni relazione. Non è detto che un aumento sia un male e una diminuzione sia un bene: fa
parte del dipanarsi della vita oltre che del progredire nell’evoluzione personale e della relazione.
CHI SI ACCONTENTA…
Lei si chiede se sua figlia, per il nido, sia “ambientata”‘ o
“rassegnata”. Non c’è opposizione fra le due cose: per
ambientarsi bisogna accettare che l’ambiente in cui ci si
trova sia proprio quello che è, e non un altro. Sapersi anche rassegnare è importante nella vita: aiuta a godere
delle cose possibili e a non gettar via esperienze miste,
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un po’ belle e magari per certi versi un po’ brutte. Che ci
sia un po’ di dispiacere al momento del distacco è del
tutto normale. Quindi, se sua figlia dovesse anche piangere qualche volta, poco male, tanto più se manifesta un
carattere aperto e allegro.
Piccoli guai, come la caduta e la rottura di un labbro,
fanno parte delle esperienze della vita e del mondo.
Esperienze inevitabili, ma che, quando proprio non si è
riusciti a scongiurarle, possono essere perfino utili.
Quanto meno, servono a potersi pensare non come invulnerabili o onnipotenti.
TENERE I PIEDI PER TERRA
Per finire, le faccio un’accorata raccomandazione: non
lasci il suo lavoro per nessun motivo, meno che mai per
l’illusione di potere così star dietro a sua figlia in modo
migliore.
Una regola generale quando si tratta di dare aiuto a
qualcuno è sempre quella di assicurare e stabilizzare per
prima cosa se stessi. Se una persona è caduta in un burrone (e non è il caso di sua figlia!) e io voglio cercare di
tirarla fuori, prima di tutto devo assicurare me, quanto
meno per non finirci anch’io giù nel burrone. Non posso
sporgermi verso il malcapitato mettendo a rischio i miei
appoggi per terra. Devo rimanere ben saldo sui miei appoggi, facendo attenzione a non compromettere il mio
equilibrio.
Così è per ogni cosa.
Per esempio, se devo insegnare qualche cosa a qualcuno,
devo prima impararla bene io.
E se ho il sospetto che mia figlia dia segni di insicurezza,
prima di tutto devo consolidare la mia sicurezza, che è
quello che lei giustamente sta cercando di fare, chiedendomi aiuto. Il problema è che lei cerca di prospettarsi
rassicurando se stessa soltanto all’interno del rapporto
con sua figlia, a discapito del proprio lavoro, cioè a discapito della sicurezza e della realizzazione di lei medesima.
NON FUNZIONA. NON PUÒ FUNZIONARE
Purtroppo, ho conosciuto molte mamme che, pensando
di far bene, hanno lasciato il proprio lavoro nell’illusione
di potere così svolgere meglio i compiti genitoriali. Quasi
tutte hanno finito, prima o poi, per fargliela pagare ai figli cento volte di più di quanto era costato a loro stesse.
Segno che avevano patito enormemente la rinuncia cui si
erano obbligate. E l’hanno fatto senza accorgersene, inscenando poi, magari anni dopo, rivendicazioni sorde
(“Con tutto quello che io ho fatto per te…!”); esagerazioni
nelle manifestazioni di non essere soddisfatte dei figli
(“Possibile che tu mi debba deludere sempre?”); perdita
della gioiosità del rapporto con i figli, sentiti inesorabilmente come “ingrati”.
Rinunciare al lavoro non vuol dire soltanto rinunciare allo stipendio, ma vuol dire soprattutto rinunciare a un ambito importante di realizzazione di se stessi nella propria
vita. Si tratta, oltre tutto, della rinuncia a un certo grado
di autonomia, cioè di potere nei confronti di se stessi, del
mondo e degli altri, compreso il proprio partner.
Spesso è illusorio fantasticare di poter poi riprendere a
lavorare una volta che i figli siano cresciuti. Cresciuti
quanto? Quando andranno a scuola? No, perché avranno
bisogno di aiuto per affrontare il nuovo ambiente e i
nuovi compiti personali e sociali. Quando saranno adolescenti? No, perché avranno bisogno di sostegno per affrontare la nuova situazione ormonale e relazionale con
l’altro sesso. Quando saranno all’università? No, con tutto quello che avranno da studiare... Quando si saranno
innamorati? Con tutto quello che avranno nella mente e
nel cuore, se non gli si sta dietro rischiano di sperdersi...
Quando si sposeranno e avranno bambini a loro volta?
No, perché, tra famiglia e lavoro, non ce la potranno fare,
e i nipotini avranno sempre bisogno della loro nonna…
Una volta imboccata quella strada di rinuncia così pesante a sé e alle proprie esigenze, non si arriverà mai al
momento di ri-mettere se stessi al centro della propria
esistenza. È facile, dunque, prendere una cantonata che
nei fatti rimarrà irrecuperabile.
Tutto questo in ogni caso, ma a maggior ragione se il suo
lavoro le piace e le dà soddisfazione.
E se il lavoro non le piacesse?
Occhio al super-tranello, sempre in agguato, di utilizzare
(più o meno inconsapevolmente) le supposte “esigenze”
di sua figlia come leva per sradicarsi dal proprio lavoro.
Se il lavoro non le aggrada e se ne ha la possibilità, conviene che se ne cerchi un altro che lei senta più adeguato
a se stessa. Ma, se appena appena può, non getti via il
proprio lavoro. Mai.
[email protected]
… IL SEGUITO ALLA PROSSIMA PUNTATA
Questo articolo può essere considerato una “prima puntata” di una breve serie di due articoli. La mamma di
Giulia ha scritto infatti una replica a cui Paolo Roccato ha
risposto.
La sua risposta comincia così: “Gentilissima Signora, nell’esortarla a non lasciare il lavoro, l’altra volta ho trattato la prospettiva di lei, mamma. Ora vorrei vedere di
più la prospettiva di Giulia…”
Leggerete l’articolo sul numero di settembre-ottobre.
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Come eravamo
“Non ti toccare!!”:
la lotta all’onanismo
Pregiudizi, ostacoli, punizioni per ostacolare
la normale esplorazione del proprio corpo
Paolo Sarti
Pediatra di famiglia, Firenze
Giuseppe Sparnacci
Psicologo e psicoterapeuta,
Firenze
Immagine tratta da Anna Fischer-Duckelmann, La donna, medico di casa, 1910, sv. ‘onanismo’
14
nanismo è un termine che fu coniato nel Settecento
per indicare la pratica di impedire la generazione
della prole mediante l’uso del coito interrotto. Il termine
deriva dal nome del personaggio biblico Onan che era ricorso a questa tecnica per non riprodursi (Genesi 38,610). Letteralmente questo termine indica l’atto della “dispersione del seme”, e come tale quindi può riguardare
solo gli individui di sesso maschile. Nell’uso corrente
però alla parola onanismo viene accostato il significato
di pratica della masturbazione, riferendosi quindi anche
alla donna.
Dalla seconda metà del Settecento fino agli anni Ottanta
del Novecento, si è parlato di “pazzia, o disordine, o nevrosi masturbatoria”, un specie di perversione della
mente che poteva colpire indifferentemente maschi e
femmine, in età prepuberale e addirittura (con sommo
orrore) anche i bambini piccoli. Si cercava di contrastare
in tutti i modi quella che veniva considerata una follia
associata a un’infinita serie di malattie, realizzando, in
qualche caso, persino dei veri e propri apparecchi costrittivi per impedire che bambini e bambine si potessero
toccare i genitali, con rigide barriere e cinghie di cuoio.
O
PRIMA LA RELIGIONE, POI LA “SCIENZA”
Per secoli, in Occidente, la pratica dell’attività sessuale è
avvenuta nel rispetto del dettato biblico di non disperdere inutilmente lo sperma e quindi nel praticare attività
sessuali rivolte unicamente alla procreazione.
Poi, con l’affermarsi di una medicina sempre più ricca di
conoscenze anatomiche e fisiologiche, sono subentrati
anche i medici a dettare norme di comportamento sessuale, come se conoscere l’anatomia e la fisiologia degli
organi sessuali equivalesse a diventare esperti anche di
godimento erotico e di conoscenze emotive e relazionali.
L’idea medica che la masturbazione rappresentasse gravi
pericoli per la salute ha cominciato a prendere forma nel
XVIII secolo: la masturbazione era considerata una malattia della mente con importanti ricadute sulla salute
del corpo. Benjamin Rush (1746-1813), psichiatra statunitense, scriveva: “la masturbazione provoca debolezza
del seme, impotenza, disuria, tabe dorsale, consunzione
polmonare, dispepsia, debolezza della vista, vertigini,
epilessia, ipocondria, perdita di memoria, fatuità e
morte”. E se ai tempi del controllo morale della Chiesa
nei riguardi delle funzioni sessuali tutt’al più veniva castigato il “peccato” della masturbazione, al momento che
si affaccia un ulteriore controllo col sapore di scientificità, oltre all’anima, anche il corpo di chi si masturba diventa oggetto di repressione e si arriva a intervenire pesantemente anche con atti chirurgici (soprattutto negli
uomini) o con reclusioni manicomiali, soprattutto nelle
donne (la repressione e la punizione ricadono sulle donne in termini sempre più eclatanti e con totale intolleranza).
Affermazioni rimaste nella sostanza tali fino ad anni a
noi molto vicini: ricordiamo ancora le frasi terroristiche
con cui i grandi cercavano di tenere “sotto controllo” le
nostre prime esplorazioni sessuali che, con un linguaggio
popolare ma schietto, suonavano: “troppe seghe abbassano la vista, fanno rimanere piccini, ti consumano il midollo … e fanno anche andar male a scuola!”. È solo dagli
anni Settanta che la sessualità comincia il faticoso e
osteggiato percorso di liberazione dall’aurea storica di
peccato e quindi di proibito. Un percorso ancora lontano
dall’essere concluso.
L’IMBARAZZO DELL’EDUCAZIONE
La sessualità, come vissuto individuale, è in gran parte,
se non totalmente, corporeità: conoscenza del corpo,
suo uso e valorizzazione; capacità di ascolto, possibilità
di ricavarne piacere, capacità di gestirlo in una sessualità
matura per relazionarsi e “dialogare” in una reciproca
donazione di piacere. Alla nascita il corpo è il punto di riferimento costante nella comunicazione che si stabilisce
tra il neonato e chi lo accudisce. L’identità del bambino,
il riconoscersi come soggetto diversificato dal resto del
mondo, passa attraverso un rapporto corporeo, unico e
irripetibile con la persona che si occupa di lui. Uno
scambio fisico d’amore che è alla base dello sviluppo affettivo di ogni individuo. Questo rapporto corporeo costituisce il principio di ogni relazione, compresa quella
sessuale, e ne fonda la qualità. La sessualità è tutt’uno
con la corporeità e non sarà mai disgiunta dal rapporto
che l’individuo ha con il proprio corpo. Per mettersi in
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un qualsiasi rapporto con l’altro, è necessario aver conquistato una propria identità e sicurezza. Ed è necessario
aver esplorato e conosciuto il proprio corpo nella sua interezza e nelle sue parti, nelle sue funzioni e nelle sue capacità di raccolta del piacere. La masturbazione si prefigura quindi come una normale esperienza di crescita,
una conoscenza di sé ed è ovvio che non rappresenti una
minaccia per l’organismo e tanto meno per la mente; è
solo il reprimerla che può creare danni.
QUANDO SI INIZIA?
La masturbazione può avvenire sin dalla prima infanzia quando il bambino scopre che l’area genitale, se stimolata, fornisce piacere - e viene cercata ancor di più a partire dalla pubertà, mentre può diventare meno frequente
quando è superata da una matura sessualità di coppia.
Poiché tale pratica investe la sfera privata, ogni valutazione sulla sua frequenza e diffusione appare necessariamente legata a sondaggi su base volontaria, che non
sempre fotografano la realtà del fenomeno. Uno di questi
sondaggi, organizzato in rete della rivista Now di Toronto, ha ricevuto migliaia di risposte. Da tale ricerca risulterebbe che una schiacciante maggioranza di maschi l’81% del campione - avrebbe cominciato a masturbarsi
consapevolmente fra i 10 e i 15 anni. Tra le donne, la
stessa fascia di età mostrerebbe una più modesta maggioranza del 55%. Non è insolito tuttavia cominciare
molto prima, cosa che sarebbe più comune fra le ragazze:
il 18% di esse infatti comincerebbe a masturbarsi prima
dei 10 anni contro solo il 7% dei i maschi, mentre per la
fascia d’età che va dai 10 ai 12 anni la scoperta della masturbazione avverrebbe in percentuali analoghe per maschi e femmine (14%).
Per il bambino è assolutamente non comprensibile il fatto che l’esplorazione del proprio corpo debba essere limitata a certe zone e interdetta ad altre: perché è permesso
esplorare, giocare, manipolare i piedi e non è permesso
farlo con i genitali? Ed è questa serenità del bambino che
esplora il proprio corpo alla ricerca del piacere che può
turbare l’adulto, tanto più se l’adulto è invece incapace di
vivere con gioia e tranquillità la propria sessualità. La
sessualità infantile infatti può fare paura all’adulto. Ed è
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proprio la paura a parlarne, a prendere coscienza della
sessualità che trasmetterà al bambino l’idea del proibito;
così come le espressioni di disgusto legate agli organi genitali - e, più in generale, alle funzioni corporee - saranno quelle che indurranno nel bambino l’idea di sporcizia
legata a questi organi e alle loro funzioni. Ma anche la
nostra repressione delle parolacce confinerà nel proibito
e nell’ipocrisia la sessualità, anche a livello linguistico.
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PRESERVARE DAI TRAVIAMENTI
“… è necessario che le madri siano istruite intorno a
questo argomento perché possano preservare i loro
bambini da questi tristi traviamenti. […] L’alimentazione troppo copiosa, a base principalmente di carne
ed alcool, il letto troppo soffice […] l’aria impura
della camera, il contegno licenzioso dei genitori davanti ai bambini, la lettura di romanzi, il teatro, ecc.
stimolano ad eccitare volontariamente le parti genitali allo scopo di provocare una certa sensazione voluttuosa. [...] Per i bambini piccoli ed ancora irragionevoli si deve fare attenzione a che le loro mani rimangano sempre sopra le coperte del letto. Talora è
necessario applicare loro nella notte appositi sacchi
chiusi per impedire il toccamento diretto delle parti
genitali. Nei casi più severi si ricorra agli apparecchi
illustrati in figura. […] Ma non bisogna mai battere o
gridar troppo i bambini che si masturbano per non
predisporli alle malattie nervose! Si educhino le fanciulle e i giovanetti coi principi della castità vera,
rappresentando loro il toccamento delle parti genitali
come una cosa brutta e vietata. […] Sono fatali gli
anni della scuola […] se nella classe vi è un solo onanista, egli produce sugli altri l’effetto d’un contagio
psichico, a cui molti cadono vittime”.
testo tratto da Anna Fischer-Duckelmann, La donna,
medico di casa, 1910, sv. ‘onanismo’
Curarsi con le piante
La pappa
della regina
Operaie e regine: stesso DNA,
ma un destino molto diverso
e api non producono solo miele
e propoli, sostanze
di cui si è già parlato in questa rubrica, note e usate dall’uomo sin dai tempi antichi, ma anche la pappa reale,
alimento destinato
Vitalia Murgia
all’ape regina e di
Pediatra, docente del Master
uso generale più redi II livello in Fitoterapia,
cente (circa 60 anUniversità La Sapienza, Roma
ni) nell’ambito dei
trattamenti con sostanze naturali. Le comuni larve d’ape mangiano pappa
reale solo nei primi tre giorni di vita mentre la larva destinata a diventare regina la mangia per tutta la vita. Insomma, nell’alveare la regalità non si eredita ma si acquisisce grazie agli effetti della pappa reale.
L
UNA SOSTANZA PORTENTOSA
Ma cosa ha di così portentoso questa sostanza da riuscire
a modificare il destino di un insetto? Oltre all’acqua (6070%), la pappa reale contiene proteine, glucidi e lipidi,
oltre a vitamine, sali minerali, oligoelementi e una piccola percentuale di altre sostanze. La natura ha messo insieme un mix armonico di componenti che fa della pappa reale un agente “epigenetico”, cioè una sostanza in
grado di modificare il modo di esprimersi del potenziale
genetico delle api. Infatti, le api operaie e l’ape regina
pur avendo lo stesso DNA, sviluppano in maniera
profondamente differente e hanno fisico, funzioni e durata della vita diversi. Le regine sono più grosse, vivono
parecchi anni, non lavorano e sono fertili, mentre le api
operaie sono sterili, vivono circa 2-3 mesi e lavorano duramente. Le sostanze contenute nella pappa reale sono
in grado di influenzare positivamente molte funzioni delle cellule dell’organismo tra cui la crescita, la differenziazione e la sopravvivenza e ciò è stato dimostrato anche
su animali da laboratorio e su linee cellulari umane. Si è
visto che la pappa reale modula le attività del sistema
immunitario, ha azione antiossidante, apporta energia,
facilita lo sviluppo e la sopravvivenza dei tessuti nervosi,
è antinfiammatoria e modula il metabolismo degli zuccheri. Insomma, sembra agire in maniera diffusa e delicata sull’organismo intervenendo su più sistemi e apparati. I pochi studi sull’uomo fanno emergere delle proprietà salutistiche di tipo tonico-ricostituente: miglioramento della condizione generale di salute, sensazione di
maggiore energia, migliore resistenza alla fatica e migliori prestazioni intellettuali (cognitive e di memorizzazione). Alcuni di questi effetti erano già stati confermati da
studi sperimentali sull’animale. La pappa reale in combinazione con piante medicinali (Ginkgo, Ginseng) sembra
avere effetti benefici anche sul decadimento delle proprietà cognitive tipico dell’invecchiamento.
Assumere regolarmente pappa reale sembra contribuire
a migliorare complessivamente varie funzioni dell’organismo e aumentare il senso di benessere di chi la assume. È corretto comunque precisare che allo stato attuale
non ci sono ancora certezze assolute sull’effetto benefico
complessivo che questa sostanza svolge sull’organismo.
[email protected]
COME USARE LA PAPPA REALE
L’uso di questa sostanza è indicato nei periodi di maggior affaticamento fisico e mentale, in convalescenza e
per chi pratica attività sportiva. Solitamente si consigliano cicli di 15-20 giorni che possono essere ripetuti più
volte nel corso dell’anno.
Non esiste una dose certa che derivi da studi sull’uomo,
i dosaggi comunemente consigliati sono ricavati dall’uso
comune tradizionale. Le dosi per il bambino sono proporzionali a quelle per l’adulto. Nel caso della pappa
reale fresca possono essere indicate:
- per i bambini di età maggiore a 1 anno: da una dose
minima di 60 mg fino a 500 mg al giorno.
- per gli adulti: 200-800 mg al giorno.
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Paginacp
Pediatri senza conflitti
L’Associazione Culturale Pediatri aggiorna il suo “Impegno”
a un rapporto trasparente con l’industria farmaceutica
Paolo Siani
Presidente
dell’Associacione
Culturale Pediatri
Carlo Corchia
Direttivo nazionale
dell’Associazione
Culturale Pediatri
medici sono una delle categorie più esposte ai conflitti
di interessi; tutti, dal medico di famiglia, al grande
specialista, dal ricercatore al pediatra, dal direttore di
un’importante rivista, al professionista che presenta una
comunicazione a un congresso. Un conflitto che si realizza nel momento in cui vi è la ragionevole presunzione
che il singolo medico o un’intera comunità scientifica
possano, più o meno consapevolmente, mettere da parte
il loro interesse primario (la difesa della salute delle persone e la sanità pubblica) in favore di interessi secondari
propri o di interessi di altri (un vantaggio personale o il
profitto economico proprio o di aziende commerciali).
Nel nostro caso sarebbe la salute dei bambini che può esserne influenzata negativamente.
I
CONFLITTO PERICOLOSO…
È chiaro e inequivocabile che ogni conflitto di interesse,
anche potenziale, è dannoso. Il modo di agire dei medici,
infatti, condiziona in gran parte il grado di fiducia e di rispetto che i cittadini, la società e l’opinione pubblica ripongono nella loro categoria. Minare con i propri comportamenti questa fiducia significa perdere credibilità,
erodere le basi della convivenza civile e dei rapporti tra i
cittadini, e quindi venir meno a un proprio dovere morale e professionale.
I medici italiani ci sembrano (ahimè!) poco attenti all’importanza di questa tematica: l’atteggiamento più comune è quello di ritenere di poter garantire la propria
sostanziale indipendenza dalle sponsorizzazioni ricevute.
Purtroppo questo atteggiamento coinvolge anche i giovani medici, a testimonianza della scarsa attenzione che le
nostre università danno a questo tema. Esiste, al contrario, un’ampia documentazione che prova come l’attività
promozionale dell’industria abbia molta influenza sul
comportamento dei medici, anche senza che essi ne siano consapevoli. I pazienti ritengono che gli omaggi influenzino il giudizio dei medici più di quanto lo pensino i
medici stessi e ritengono sbagliato che essi accettino
omaggi dalle industrie farmaceutiche.
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… MA EVITABILE
In realtà il conflitto di interesse fa parte del mondo e della società in cui viviamo e sappiamo bene che non può
essere abolito per legge e neppure con un decalogo di
norme etiche. Ma proprio per questo dovremmo adottare e seguire alcune regole che servano a evitare, o almeno a limitare, le interferenze con l’attività e il giudizio del
medico, in modo che i pazienti non abbiano nemmeno il
sospetto che le decisioni che prendiamo e i consigli che
dispensiamo ogni giorno siano dettati da interesse personale. I pazienti devono invece avere la certezza che
nessuna delle scelte operate dal medico di loro fiducia
sia avvenuta sulla spinta di interessi diversi dal fornire
loro, sulla base delle più valide e recenti conoscenze
scientifiche, la cura più appropriata. Va chiarito che la presenza di un conflitto di interesse
non è tout court sinonimo di disonestà, ma esprime soltanto una potenziale interferenza in ciò che viene
detto o scritto. Noi pensiamo che il
rapporto tra professionisti, associazioni mediche e industria debba essere impostato sulla base
di principi di indipendenza e
trasparenza, come è avvenuto o sta avvenendo in molti
altri paesi, dove cultura etica e deontologia professionale
si sono venuti sviluppando di pari passo con la crescita
di una generale coscienza civile in tema di rapporti tra
professionisti della salute, utenti e industria.
UN IMPEGNO CHE VALE PER DUE
Per tutti questi motivi, l’Associazione Culturale Pediatri
(www.acp.it) ha scelto, per se stessa e per i suoi soci, di
darsi una sua regola nei rapporti con l’industria. Un impegno preso ormai quattordici anni fa, che oggi abbiamo
deciso di aggiornare e modificare, per stare al passo con i
tempi, per chiarire alcuni aspetti che potevano apparire
contraddittori e per precisare meglio le attività che devono essere regolate.
L’adozione di un impegno di autoregolamentazione ha
due obiettivi: offrire ai pazienti, ai medici e al sistema sanitario una garanzia di indipendenza da interessi
commerciali e promuovere un rapporto
con l’industria che miri a migliorare l’assistenza, la formazione e la ricerca scientifica. Il denaro che
l’industria impiega nella pro-
Elihu Vedder, La corruzione della legge, Library of Congress, Washington, 1896.
19
mozione commerciale, essenzialmente mirata a realizzare un profitto, potrebbe infatti essere più utilmente impiegato in progetti di formazione e ricerca. L’aggiornamento in particolare, che è parte integrante dell’attività
di tutti i medici, deve avvenire in modo indipendente da
interessi di terzi o di mercato, soprattutto quando per le
spese è prevista la partecipazione dell’industria.
Aver adottato quest’impegno di autoregolamentazione
non vuol dire demonizzare i rapporti tra industria e medici, ma significa valorizzarli, una volta stabilite regole
chiare per tutti. D’ora in avanti l’ACP proporrà il suo
“Impegno di autoregolamentazione” all’attenzione delle
altre società scientifiche, dei sindacati e dei professionisti della salute, allo scopo di dare un segnale nuovo e positivo alla sanità italiana.
[email protected]
[email protected]
L’IMPEGNO DEI PEDIATRI ACP
Ecco in sintesi i punti principali dell’ “Impegno di autoregolamentazione dei rapporti con l’industria” dell’Associazione Culturale Pediatri.
1 - Informazione scientifica
Ciascun socio si impegna a valutare correttezza ed eticità di quanto viene sottoposto alla sua attenzione.
L’osservanza dei principi di eticità e scientificità vale
a maggior ragione per l’informazione contenuta nelle
pubblicazioni edite direttamente dall’ACP.
L’accettazione di omaggi promozionali o di campioni
gratuiti di alimenti per lattanti è in contrasto con i
principi dell’impegno.
2 - Aggiornamento
Pubblicazioni, libri, abbonamenti a riviste e materiale scientifico di natura informatica possono essere
accettati se ciò non è in contrasto con la legge. I soci
sono invitati a favorire la costituzione di una comune
risorsa di aggiornamento.
La partecipazione a iniziative di non specifica pertinenza medico-scientifica è in contrasto con i principi
dell’impegno.
La produzione da parte dell’ACP di “prodotti” culturali (indicazioni, raccomandazioni, protocolli, linee
guida e documenti di consenso) non può prevedere
la partecipazione dell’industria ai costi per la loro
realizzazione.
3 - Ricerca
La partecipazione a ricerche dei soci dell’ACP è vincolata all’esistenza di uno specifico protocollo, approvato da un comitato etico-scientifico.
Il partecipante alla ricerca deve disporre di una propria copia del protocollo, deve averne presa attenta
visione e aver espresso un proprio parere prima di
partecipare attivamente.
Nelle ricerche indipendenti, cioè quelle organizzate
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e gestite direttamente dall’ACP, ci si può avvalere
del contributo finanziario dell’industria, ma la proprietà dei dati, la stesura del protocollo, l’elaborazione, l’analisi, l’interpretazione, la pubblicazione e
la diffusione dei risultati devono essere del gruppo
dei promotori e dei conduttori della ricerca.
4 - Educazione alla salute
Il materiale utilizzato e prodotto dall’ACP deve rispondere a principi di eticità, scientificità ed economicità
ed essere indipendente da interessi commerciali.
5 - Congressi e riunioni scientifiche
L’organizzazione e la realizzazione di queste iniziative devono avvalersi soprattutto di contributi da parte di Aziende Sanitarie e di altri Enti pubblici.
È possibile ricorrere alla collaborazione con l’industria se vengono rispettati i principi generali dell’Impegno.
I contenuti scientifici devono rispondere a criteri di
eticità e scientificità.
L’elenco delle industrie che contribuiscono all’iniziativa e i relativi contributi finanziari devono essere
resi noti.
Nell’ambito delle manifestazioni scientifiche non
possono svolgersi iniziative di tipo sociale, culturale
o turistico organizzate da singole industrie.
Un consuntivo scientifico, di spesa e dei finanziamenti deve essere preparato dal comitato organizzatore al termine delle manifestazioni.
Iniziative conviviali o di rappresentanza indipendenti
da specifiche attività scientifiche non sono consentite.
6 - Altre norme
Nessuna forma di rapporto può essere prevista tra
l’ACP e le industrie che violano il Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte
materno.
Meglio saperlo prima
Il sesso degli angioletti
L’OMS per un’educazione sessuale “olistica”
che comincia alla nascita
ono tante le cose
che sarebbe meglio conoscere prima: il sesso, per
esempio.
“La Regione Europea dell’OMS si
trova di fronte a
numerose sfide riguardanti
la salute
Vincenzo Calia
sessuale: i tassi
Pediatra di famiglia, Roma
crescenti dell’HIV e
di altre infezioni
sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate in adolescenza e la
violenza sessuale, solo per citarne alcune. Bambine e
bambini, ragazze e ragazzi sono determinanti per il miglioramento della salute sessuale generale. Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la
sessualità, essi hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi
aspetti di rischio che di arricchimento. In questo modo
saranno messi in grado di agire responsabilmente non
solo verso se stessi ma anche verso gli altri nella società
in cui vivono”.
S
tutto sulla definizione di sessualità, per poi proporre uno
schema di educazione sessuale differenziata a seconda
delle età, la cui principale novità consiste nell’affermazione che l’educazione sessuale va iniziata alla nascita.
Il punto di partenza è che la sessualità umana è “una
parte naturale dello sviluppo umano in ogni fase della
vita e include componenti fisiche, psicologiche e sociali… un aspetto centrale dell’essere umano lungo tutto
l’arco della vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli
di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere,
l’intimità e la riproduzione… Sebbene possa includere
tutte queste dimensioni, non tutte sono sempre esperite
o espresse… La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano, che non è limitata a determinate fasce di
età, che è strettamente connessa al genere, che comprende vari orientamenti sessuali e che va ben oltre la
riproduzione..”
Le frasi fra virgolette sono prese dal documento e ci sembrano molto chiare e tutte condivisibili.
Inizia così un interessante documento pubblicato nel
2011 dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e dal
Centro Federale per l’Educazione alla salute (BZgA) della
Repubblica Federale Tedesca intitolato “Standard per
l’Educazione Sessuale in Europa”, tornato recentemente
d’attualità per alcuni articoli di stampa e un’interrogazione parlamentare (vedi box).
Per questo molti lettori hanno sollecitato un intervento
del nostro giornale.
TROPPO BELLO PER ESSERE VERO (ALMENO IN ITALIA)
Diciamo subito che il documento ci è sembrato molto interessante e le sue proposte molto belle, troppo belle direi per essere vere; almeno nel nostro Paese.
Gli autori di questo documento, una ventina di esperti e
professionisti provenienti da molti paesi d’Europa (nessuno, purtroppo, dall’Italia) si sono concentrati prima di
Disegno tratto da L. Magni-R. Luciani, I nati ieri e quelle cose lì, Carthusia 2007
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EDUCAZIONE “OLISTICA”
Se la sessualità è tutto questo, l’educazione sessuale deve
necessariamente essere qualcosa di più e di diverso da
quella che è stato fin ora. Il documento dell’OMS propone che sia “olistica”, un termine forse abusato, ma molto
preciso: deriva dal greco “olos” che significa “tutto” e sta
a indicare che le caratteristiche di un sistema (in questo
caso dell’educazione sessuale) sono qualcosa di più della
somma delle sue parti.
Fin ora abbiamo avuto diversi approcci “educativi” su
questo argomento: quello più tradizionale, definito “come dire di no”, si basa semplicemente sullo scoraggiamento dei rapporti sessuali fuori del matrimonio e ha come obiettivo principale quello di impedire le gravidanze
indesiderate e la diffusione del contagio sessuale. C’è poi
una versione più “moderna” che, pur comprendendo l’astinenza dai rapporti sessuali, allarga il discorso alla contraccezione e alle pratiche sessuali sicure: è l’educazione
sessuale attualmente più diffusa e praticata, per quel poco che si pratica, anche nelle nostre scuole.
L’approccio olistico è un’altra cosa: comprende gli elementi del secondo tipo di educazione sessuale, ma li colloca all’interno della prospettiva della crescita e dell’evoluzione di ciascuno, nel pieno godimento della sessualità
per come si manifesta nei diversi momenti della sua vita.
È questa la cosa più interessante e più nuova.
Citiamo ancora il documento: “L’educazione sessuale
mette bambini e ragazzi in grado di effettuare scelte che
migliorano la qualità della loro vita e contribuiscono a
una società solidale e giusta. Tutti i bambini e i ragazzi
hanno diritto ad accedere all’educazione sessuale adeguata alla loro età”.
LA PIETRA DELLO SCANDALO
Le affermazioni che hanno suscitato scandalo e dato la
stura alle polemiche sono contenute nella parte principale del documento , una lunga tabella di cose da fare divisa per fasce di età: da zero a 4 anni, da 4 a 6 anni, da 6 a
9 anni, da 9 a 12 anni, da 12 a 15 anni, oltre i 15 anni.
Per ciascuna di queste fasce di età sono indicati gli strumenti dell’educazione sessuale che sono fondamentalmen-
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te tre: le informazioni da trasmettere ai bambini e ai ragazzi, le competenze che i bambini e i ragazzi dovrebbero
essere in grado di raggiungere e gli atteggiamenti che dovrebbero sviluppare con l’aiuto dell’educazione sessuale.
Conoscenze, competenze e atteggiamenti che dovrebbero
riguardare, in maniera evidentemente diversa a seconda
dell’età, il proprio corpo, la fertilità e la riproduzione, la
sessualità (intesa come rapporto positivo con il proprio
corpo), le emozioni e gli affetti, le relazioni e gli stili di vita,
la salute, i diritti, i valori e le norme sociali e culturali.
Una panoramica veramente completa e impressionante
per la sua sistematicità e il rigore con cui è stata redatta
(si sente l’impronta “germanica” del documento): più di
400 sono le voci di questa tabella e spaziano su tutto, e
quindi anche sulla masturbazione infantile e le
esperienze (positive e negative) che
il rapporto fisico fra gli esseri umani
(che è definito “sessuale” in
senso generale).
Ma il documento è anche
molto attento a spiegare le
differenze delle manifestazioni “sessuali” alle diverse
età: “Nell’affrontare il comportamento sessuale di
bambini e ragazzi, `e importante tenere presente
che la loro sessualità `e diversa da quella degli adulti e questi ultimi non dovrebbero prendere in
esame il comportamento sessuale di
bambini e ragazzi
dal proprio punto di vista
adulto. Gli adulti attribuiscono un significato sessuale ai
comportamenti sulla base della loro esperienza di adulti
e talvolta hanno molta difficolta
` a vedere le cose con gli
occhi di un bambino o di un ragazzo. Tuttavia, `e essenziale adottare la prospettiva di bambini e ragazzi”.
FAMIGLIA E SCUOLA
Questa proposta è rivolta prima di tutto a chi si occupa a
livello professionale di educazione: gli autori del documento sono per la formazione di personale qualificato
che agisca nelle scuole di tutti livelli e per l’inserimento
dell’educazione sessuale nei programmi scolastici, senza
però trascurare il ruolo della famiglia che è fondamentale nei primissimi anni di vita.
È molto improbabile (ahimè!) che una prospettiva di
questo tipo si possa realizzare da noi, ma
già è molto importante che se
ne parli.
Chi volesse consultare il documento, lo trova sul nostro
sito (www.uppa.it).
[email protected]
DISINFORMAZIONE: UN CASO DA MANUALE
Negli ultimi mesi hanno fatto capolino sulla stampa e
persino nelle aule del Parlamento delle prese di posizione in cui si accusava l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e “l’Europa” di essere dei “corruttori
di minorenni”.
I titoli dei giornali sono stati d’effetto: “Folle imposizione dell’Europa: corsi di masturbazione per i bimbi di
4 anni”; una deputata ha presentato un’interrogazione
al Ministro della Salute per avere chiarimenti su quello
che lei ha definito un “documento indistinguibile da un
manuale di corruzione dei minori”.
Bisogna essere veramente ottusi (o forse semplicemente lettori frettolosi e superficiali) per prendere un abbaglio del genere a proposito di un progetto che se ha
un difetto è proprio il suo essere troppo ambizioso e in
un certo senso “utopistico”.
Si tratta di un nuovo tassello della strategia di promozione della salute e dei diritti umani che l’Organizzazione Mondiale della Sanità persegue da sempre, in
questo caso applicati ai paesi d’Europa, anche se l’Europa stessa (intesa come Unione europea) non c’entra
proprio nulla.
Evidentemente chi scrive i titoli di certi giornali le cose
non le sa o non le vuole sapere.
Disegno tratto da L. Magni-R. Luciani, I nati ieri e quelle cose lì, Carthusia 2007
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Un mondo possibile
Scusi signora,
ma il suo bambino… fuma?
Dove si fuma ci si ammala di più
Tommaso Montini
Pediatra di famiglia, Napoli
I DIRITTI DELL’INFANZIA
Secondo la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia tutti i bambini hanno un diritto assoluto alla
salute e allo sviluppo. Di conseguenza, l’uso e l’esposizione dei bambini ai noti rischi da tabacco costituisce
una violazione di diritti dell’infanzia.
Nel 1999, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha riunito gli esperti dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, per esaminare il problema e concordare un programma di intervento per la riduzione degli effetti nocivi e l’eliminazione dell’esposizione dei bambini al fumo. La consultazione ha concluso che il fumo rappresenta un reale rischio per la salute e che le politiche
sanitarie pubbliche devono proteggere e garantire il diritto di ogni bambino a crescere libero da fumo di tabacco, in accordo con la Convenzione Internazionale
sui Diritti dell’Infanzia.
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uando chiedo se in casa si fuma, mi dicono sempre:
“Mai vicino al bambino!”. Non ho ancora trovato un
genitore che ammetta di fumare davanti ai figli. Mi accorgo però che l’espressione di questi genitori cambia da
soddisfatta (per aver “messo a tacere” il pediatra e risolto
i complessi di colpa) a smarrita, quando inizio a spiegare
tutte le catastrofi che il fumo provoca nei bambini.
Q
LE COLPE DEI PADRI (E MADRI)
RICADONO SUI FIGLI
I bambini sono estremamente sensibili all’azione irritante del tabacco. È stato dimostrato che le infezioni respiratorie e l’asma allergico sono molto più frequenti nei figli di fumatori. Secondo uno studio che fu fatto qualche
anno fa a Napoli, un pediatra che segua ottocento assistiti, effettua circa 276 visite all’anno in più, solo per colpa
del fumo di sigaretta dei genitori. Nello studio bronchiti,
faringiti, otiti ricorrenti e asma erano le principali cause
di visite.
Perché succede questo se nessuno fuma vicino ai bambini (o almeno così dice)? Il fumatore è certamente un portatore di irritazione cronica delle vie respiratorie: questo
vuol dire che nelle sue vie aeree vive, in simbiosi con lui,
una miriade di germi patogeni che mantengono un’infiammazione cronica (che di tanto in tanto si riacutizza).
Il suo respiro è un continuo diffondere di questi germi
attraverso goccioline microscopiche che vengono emesse
a ogni espirazione. Un suo colpo di tosse è una vera e
propria “impallinata”.
È ovvio che un bambino che conviva con un fumatore,
abbia molte più occasioni di contagiarsi per un’infezione
respiratoria. I danni sono maggiori se la mamma ha fumato in gravidanza. In questo caso è documentata una
maggiore incidenza di aborti e nascite di bambini con
basso peso, che è uno dei più importanti fattori di morbilità del periodo perinatale.
Quando la mamma ha fumato in gravidanza, se tutto va
bene dopo la nascita, la suscettibilità alle infezioni è ancora maggiore rispetto al bambino che vive in un ambiente dove si fuma, ma figlio di una mamma che non ha
fumato in gravidanza. I metaboliti tossici del tabacco
inoltre passano anche nel latte materno.
Il fumo di sigaretta, insieme alla posizione prona e all’eccessivo calore, è uno dei fattori che ha mostrato una significativa correlazione con la SIDS (Sudden Infant
Death Sindrome cioè sindrome della morte improvvisa
del lattante) che è una tragica malattia che ha un solo
sintomo del tutto inatteso: la morte!
Il fumo può indurre broncolabilità e può favorire o complicare un’asma. L’asma è una patologia complessa, ma
qui voglio solo ricordare che, mentre gli asmatici solo allergici hanno un’attesa di vita uguale a quella della popolazione normale (pur convivendo per sempre più o meno
bene con la loro malattia), gli asmatici allergici e fumatori evolvono spesso, progressivamente, verso la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva. Una situazione grave,
cronica, incurabile e molto invalidante che, tra l’altro,
abbrevia l’attesa di vita.
IL FUMO PROVOCA IL CANCRO
“Il fumo fa venire il cancro al polmone…”. È vero, e sarebbe giusto dire anche della laringe, del cavo faringeo,
dello stomaco; ma ha una azione tossica anche sui vasi
sanguigni. Il fumatore ha, infatti, un maggiore rischio di
avere infarti, ictus, tromboflebiti. Tutte patologie gravi e
spesso terminali.
Togliere il vizio del fumo è difficile. Ma credo che sapere
fino in fondo il danno che si arreca a quanto si ha di più
caro, sia una motivazione forte per riuscire a smettere.
Ho provato a farvi smettere.
[email protected]
Tratto da Quattro chiacchiere con il pediatra,
ed. FrancoAngeli 2014
Foto 123RF
Scuola, che passione!
Il Nido è meglio
Nonni e mamme non possono sostituire
questa importante struttura educativa
N
on sembra possibile eppure negli ultimi due anni è
successo proprio questo. I nidi italiani invece di aumentare come numero e frequenza portandoci finalmente al fianco degli altri paesi europei che hanno da sempre
investito nel settore, sono diminuiti e tanti hanno addirittura dovuto chiudere i battenti al punto che nella mitica Emilia Romagna le diminuzioni sono state del 17%
creando situazioni assolutamente inedite.
Daniele Novara
Pedagogista, Piacenza
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UN DISASTRO EDUCATIVO
Fino a pochi anni fa infatti i nidi italiani erano talmente
pochi che prevalevano le liste d’attesa per cui il genitore
sperava che suo figlio potesse entrarvi, vedendo giustamente in questa istituzione educativa un approdo neces-
sario per la sua crescita e il suo futuro e anche per garantirsi la possibilità di continuare a lavorare. La crisi economica ha spazzato via questo quadro offrendoci lo spaccato di un disastro educativo che fa pendant con la crisi
economica. Il fatto stesso che l’Italia non riesca a uscire
come altri paesi europei - l’Inghilterra, la Germania e
l’Austria - dalla recessione, appare fortemente connesso
con l’abbandono delle politiche scolastiche di qualità e in
primis delle politiche a sostegno della frequenza dei
bambini ai nidi infantili.
A tutt’oggi secondo i dati ISTAT i bambini italiani che
frequentano gli asili nido o servizi analoghi sono unicamente il 13,6% della popolazione, ben lontano da quel
33% posto come obiettivo dall’Agenda di Lisbona per
tutta l’area europea. Le ricerche longitudinali compiute
in varie parti del mondo, ma anche in Europa, sul potenziale di sviluppo che il nido rappresenta sui bambini
nell’arco della vita non lasciano dubbi a proposito. Coloro che frequentano nidi di qualità hanno maggiori possibilità di affermarsi nella vita sia dal punto di vista degli
apprendimenti culturali e quindi scolastici, sia dal punto
di vista del successo individuale.
Purtroppo la crisi ha sdoganato un risentimento auto lesivo e controproducente contro queste importante strutture: negli anni scorsi diversi economisti hanno incautamente sostenuto il valore economico di affidare i bambini ai nonni e alle nonne piuttosto che alle istituzioni educative della primissima infanzia.
Senza dubbio i nidi italiani sono troppo cari ed è urgente una politica governativa che sostenga le famiglie in
questo sforzo economico, ben oltre la cifra irrisoria che
si può oggi detrarre dalla dichiarazione dei redditi. Va
però detto che ha molto pesato un orientamento poco
incline a valutare gli investimenti con la speranza che risparmiando su tutto e su tutti alla fine si avesse un risultato positivo. I genitori che hanno a cuore i propri figli possono semmai valutare la qualità del nido, ma è
insensato avere dubbi sui vantaggi di questi ultimi rispetto a soluzioni più domestiche, come quella di affidare i bambini ai nonni. In varie occasioni mi sono trovato
a dover gestire in consulenza pedagogica situazioni dove
i nonni non riuscivano a fare altro che mantenere la
presenza dei nipoti semplicemente davanti a qualche TV
o a qualche video schermo. Perdendo così quelli che sono importanti necessità infantili: la compresenza dei
coetanei e la necessità della scoperta attraverso il laboratorio sensoriale. Ma vediamo nel dettaglio i vantaggi
del nido.
LO SVILUPPO DELLA SENSORIALITÀ
Fino al terzo anno di vita il bambino apprende sostanzialmente attraverso lo sviluppo sensoriale. Sono esperienze molto semplici ma importantissime: toccare, udire i suoni, guardare, muoversi, scoprire, mettere in bocca, tutte esperienze che in un nido possono essere fatte
con la massima libertà.
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Pensiamo a una delle attività più semplici ma anche più
creative di tradizione montessoriana, quella dei travasi.
Il bambino trova un contenitore pieno di pasta piuttosto
grossa di dimensione, come possono essere le classiche
pennette italiane, deve prenderle e travasarle in una serie di contenitori più piccoli: facendo questo semplice
gesto dovrà sperimentare e controllare il passaggio di un
materiale da un contenitore a un altro. Cosa avviene in
questa esperienza?
Anzitutto il bambino osserva dentro il contenitore trasparente questo ammasso di pennette, poi con le mani lo
prende e lo tocca e lo trasporta in altri contenitori più
piccoli. Così facendo sente anche il rumore delle pennette che nel momento in cui si scuotono producono un
suono che agisce immediatamente sulla percezione uditiva del piccolo. Alla fine molti bambini portano alla bocca
la pennetta stessa senza spezzarla o ingoiarla ma semplicemente per avvertire la sua durezza, la sua dimensione
e in un certo senso anche un certo sapore. Finita l’operazione il bambino riporta le pennette trasportate nel vasetto dentro il vaso più grosso con un rumore eccezionalmente musicale che attiva in lui la sensazione di aver fatto qualcosa di importante, di dominare la materia piuttosto che di esserne dominato. In un’attività di laboratorio di questo tipo, che in genere può durare dai 5 ai 20
minuti, il bambino mette assieme tutta una serie di competenze individuali che sono alla base di capacità sempre
più sviluppate.
Nel nido tutto ciò è possibile perché è attrezzato in questa logica, come può esserlo per colorare un lenzuolo,
per dipingere con i piedi, per giocare con le barchette
nell’acqua, per coltivare dei fiori, per preparare qualcosa
in cucina. Sono delle attività a sfondo sensoriale che rappresentano la premessa di ogni forma di apprendimento,
anche poter correre, ballare, saltare in un salone protetto
e sicuro, dove anche il cadere non rappresenta un pericolo, dove non ci sono i mobili di casa. Sono opportunità
uniche, tanto più nella bella stagione dove questo può essere fatto in uno spazio all’aperto dove ci sono giochi basati sul bisogno motorio infantile, importantissimo in
questa età quando il muoversi è effettivamente una delle
esperienze più importanti in assoluto.
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LO SVILUPPO DELL’ATTACCAMENTO SOCIALE
Nell’interazione con le altre bambine e bambini il piccolo
inizia anche il riconoscimento con sé stesso, la fuoriuscita dalla necessaria fase di ipertrofia narcisistica e onnipotente e incomincia a imparare le forme di autoregolazione sociale. Non per niente è proprio al nido fra i 18 e i
36 mesi che il bambino ha maggiore capacità di gestire
autonomamente i contrasti con i suoi coetanei. Da questo punto di vista uno dei vantaggi più espliciti è proprio
il rafforzamento delle competenze linguistiche, in quanto
la necessità di comunicare con i propri coetanei consente
ai bambini di uscire da quelle forme di comunicazione
adulto-bambino eccessivamente protettive, che gli impediscono di attivare tutto ciò che hanno imparato e che è
invece indispensabile utilizzare per comunicare efficacemente e giocare con altri bambini. Molti genitori sono
preoccupati dei cosiddetti morsicatori, che pure ci sono:
ma non va dimenticato che il morsicatore al nido è una
presenza quasi inevitabile. Le educatrici di qualità sanno
come gestirlo mettendo divieti chiari ma anche tollerando quelle situazioni che non sono pericolose (come qualcuno pensa) ma sono semplicemente una necessità di interazione che ha solo conseguenze benefiche. I figli che
hanno potuto frequentare nidi di buona qualità pedagogica ci saranno riconoscenti quando, da adulti, sapranno
affrontare la vita al meglio delle loro risorse.
[email protected]
SCEGLIERE IL NIDO
Scegliere il nido per i propri figli assume il senso di una
speranza per il futuro. Impegnarsi come genitori perché si creino in Italia il più possibile nidi di qualità dove
l’aspetto educativo sia prevalente sul puro e semplice
accudimento, dove lo sviluppo creativo dei bambini
rappresenti un presidio ben più significativo del semplice collocamento fisico del bambino quando si è al lavoro, diventa un impegno che va condiviso e una necessità indispensabile per le nuove generazioni. Tornare
all’epoca del fai da te, ai tempi della mamma casalinga,
appare un azzardo insostenibile in un momento di crisi.
Ribadire che il nido è meglio rappresenta un’azione di
buon senso prima ancora che scientifica e pedagogica.
da una fiaba Guaranì (Amazzonia orientale, Brasile)
Testi: Luigi Dal Cin • Illustrazioni: Benedetta Giaufret ed Enrica Rusinà
KURURU,
O
D
I
L
E
G
L
I
F
SOLE
L
I
Molto tempo fa, Kururu, il rospo, viveva nella palude
e gracidava continuamente, avvolgendo del suo canto l’intera foresta.
Quando poi stava per piovere, sembrava che lo sapesse in anticipo
e volesse annunciarlo a tutti gli animali:
poco dopo, puntualmente, la pioggia arrivava.
Nati per
Leggere
Nati Per Leggere è un’iniziativa dell’Associazione
Culturale Pediatri, dell’Associazione Italiana
Biblioteche e del Centro per la Salute del Bambino
per promuovere la lettura ad alta voce ai bambini fin
dai primi mesi di vita.
un
pediatra
per amico
Centro per la salute del bambino
Si trattava di una coincidenza visto che Kururu cantava
semplicemente perché gli piaceva, ma cominciò a girare
la voce tra gli animali che il rospo fosse veramente in
grado di far scrosciare la pioggia con il suo canto.
A forza di sentirselo dire, Kururu si convinse di avere
davvero dei poteri particolari: – Se comando la pioggia,
devo essere figlio del Sole – cominciò a pensare soddisfatto e, appena qualcuno lo infastidiva, subito minacciava il diluvio:
– Attento a quel che dici! Guarda che posso scatenare
una pioggia che non finisce più!
Tutti gli animali cominciarono a trattarlo con grande
rispetto per paura che provocasse la pioggia, e gli
portavano in dono moscerini e zanzare.
Hai fra le mani uno
strumento prezioso.
E un bel regalo
per un genitore
Un Pediatra Per Amico (UPPA) è un bimestrale
per i genitori scritto e diffuso dai pediatri.
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riceverai 2 numeri in omaggio
A furia di rimpinzarsi, Kururu era diventato tondo come
una palla, sempre più arrogante e superbo: le semplici
buche della palude, dove aveva sempre vissuto, non gli
piacevano più, e aveva preteso che gli altri animali gli
costruissero un palazzo di fango, con scalinate e saloni, degno di un re.
Poi cominciarono i capricci:
– Ho bisogno di scarpe che mi riparino dall’umidità. Per
domani voglio la pelliccia dell’orsetto Coati, per tenere
i miei piedi al caldo. Altrimenti scatenerò il diluvio!
Coati, avvisato dai suoi amici, non sapeva
come sfuggire a Kururu.
Allora scappò da Iabiru, la cicogna, perché lo
aiutasse.
– Iabiru, tu conosci ogni cosa sui rospi –
disse l’orsetto tutto sconvolto – Kururu è davvero il figlio del Sole?
La cicogna, divertita, si fece raccontare l’intera storia. Ogni tanto, durante il racconto,
scoppiava a ridere battendo il becco con
gusto.
– Bene – disse Iabiru quando l’orsetto ebbe
terminato la storia – andiamo a cercare quel
grasso figlio del Sole!
Coati faceva fatica a tenere il passo della
cicogna, che aveva gambe molto lunghe. Ma
si sforzava a correre più veloce che poteva
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rivista per bambini
da 2 a 7 anni
O
– Vattene! Io sono il figlio del Sole. Se non mi
ubbidisci, invocherò la pioggia perché ti porti
via! Vattene! – e intanto cercava di rintanarsi
sempre di più nel fango.
– Vattene! O scatenerò il diluvio! E annegherete tutti: voi, odiosi animali! – minacciava.
Ma la cicogna, con il suo lungo becco, lo
snidò senza fatica.
E così toccò all’orsetto Coati raccontare agli
altri animali della foresta come Iabiru avesse
ingoiato in un sol boccone il grasso figlio del
Sole.
¬
è concessa da
perché non voleva perdersi la scena.
Appena li vide arrivare, Kururu si sentì svenire.
– Cosa volete da me? – chiese tutto tremante.
– Mangiarti – disse Iabiru.
offre ricchi materiali
per giocare ancora con le storie!
SPECIALE
Celiachia
La celiachia
non è una malattia
… e neppure un’allergia
n libro edito qualche tempo fa si intitola “Sono celiaco, non malato!”, una precisazione necessaria, se si
pensa a tutto quello che si sente dire in giro a proposito
di celiachia e alla scarsa chiarezza delle idee in proposito.
La celiachia è una reazione infiammatoria dell’intestino
(e non solo) causata dal contatto con la “gliadina”, una
proteina contenuta nel “glutine”, che è una sostanza presente nella farina di grano e di altri cereali.
Ma come, direte voi, abbiamo mangiato glutine per millenni, la nostra “dieta mediterranea” è basata sui cereali
e soprattutto sul grano! Quindi cos’è successo? Siamo
cambiati noi o è cambiato il nostro modo di vedere? Perché così tante persone mangiano “gluten free”?
U
A cura di Elena Uga
Pediatra dell’Ospedale
di Vercelli
con la collaborazione
di Luigi Greco Professore
di Pediatria, Napoli
30
UNA “COLLA” DIFFICILE DA DIGERIRE
Per capire meglio l’“universo celiachia” dobbiamo innanzitutto capire meglio di cosa stiamo parlando: prima di
tutto vediamo cos’è esattamente il glutine. Il glutine è la
SPECIALE
parte proteica del grano e di altri cereali (i cereali privi di
glutine sono riso, mais e grano saraceno) che ha delle caratteristiche peculiari: innanzitutto il glutine “agglutina”,
incolla, quindi permette che i derivati dei cereali (pani,
farine, dolci) abbiano una certa consistenza e un certo
gusto e siano facilmente trasformabili. Proprio perché il
glutine “incolla”, è facile capire che, essendo “colloso”,
non sia facile da digerire: ecco perché gli alimenti che ne
sono privi, cioè gli alimenti “senza glutine”, sono più
“leggeri” e digeribili, anche per chi celiaco non è.
Già, ma come si diventa celiaci? Innanzitutto ci vuole
una predisposizione genetica, questo vuol dire che bisogna avere un gene (un gene molto frequente, comune addirittura a circa il 30% della popolazione) senza il quale
la celiachia non può svilupparsi. Quindi circa una persona su tre porta nel proprio DNA il gene della celiachia,
ma solo una persona su 100, nel corso della sua vita, diventerà celiaca. Quindi il gene da solo non basta, predispone allo sviluppo dell’intolleranza al glutine, ma è necessario anche l’incontro con un “fattore ambientale” (la
cui natura non è ancora nota), che in un momento qualsiasi della vita determina lo scatenarsi di questa reazione
anomala.
Introducendo un termine medico piuttosto diffuso, possiamo dire che la celiachia è una “malattia autoimmune”:
chi possiede il famigerato gene e viene in contatto con
l’altrettanto famigerato (e sconosciuto, per ora) fattore
ambientale, ogni volta che introduce glutine con la dieta
inizia a produrre degli anticorpi che attaccano e distruggono la superficie interna del suo stesso intestino e in
particolare i “villi intestinali”. Questa “guerra civile” ha
molte ricadute, non solo sull’intestino ma su tutto l’organismo. Alcuni soggetti, particolarmente sensibili, nel
momento stesso in cui mangiano glutine hanno immediatamente i sintomi intestinali come il mal di pancia, il
vomito, o la diarrea. Altri invece non si accorgono di nulla, ma silenziosamente si possono produrre danni in
molti apparati: anemia, problemi legati alla fertilità, carenze di nutrienti e vitamine che vengono poco assorbiti,
fragilità delle ossa e molto altro, fino a malattie gravi come il linfoma dell’intestino.
Ma allora, se la celiachia è in grado di causare tutti questi cataclismi perché si può dire “Sono celiaco, non malato”? La risposta è semplicissima: perché togliendo il glutine dalla dieta l’intestino e tutto l’organismo del soggetto celiaco tornano perfettamente normali.
Per cercare di districarci meglio in questo argomento,
che può sembrare difficile e contorto, è meglio che mi
tolga il camice e impersoni il ruolo (peraltro a me piuttosto congeniale – ho tre figlie) di mamma.
MIO FIGLIO È CELIACO
Elena, mamma di Fabrizio, che è un bel bambino di 5
anni, ha scoperto che il piccolo è affetto da celiachia. Da
qualche tempo Fabrizio cresceva un po’ meno in peso e
AUTOIMMUNE
Il nostro organismo possiede un complicato e potente sistema immunitario capace di difenderci a lungo contro
una serie infinita di agenti esterni potenzialmente pericolosi o addirittura letali. Questo sistema immunitario si
sviluppa durante tutto il corso della vita e acquisisce,
soprattutto all’inizio della vita stessa, con il passare del
tempo sempre maggiori capacità di risposta contro le
possibili (e continue) aggressioni dall’esterno. Può capitare però che il nostro sistema immunitario impazzisca
improvvisamente e cominci ad agire anche contro cellule, tessuti e organi del nostro stesso organismo: si sviluppa così una malattia che noi chiamiamo “autoimmune”. La celiachia è una malattia di questo tipo.
VILLI INTESTINALI
L’intestino è l’organo nel quale il cibo viene trasformato e assorbito, in maniera che possa diventare “carburante” e “materiale da costruzione” per il nostro organismo. La sua forma è quella di un lungo tubo, così lungo che è difficile immaginarlo, guardando l’addome
dall’esterno: 8 metri circa in un adulto normale. Ma
questo è niente a confronto con l’enorme superficie
della sua parete. Infatti, la parte interna di questo tubo
è rivestita da un’infinità di minuscole protuberanze,
messe l’una accanto all’altra: sono questi i villi intestinali, rivestiti di cellule e percorsi da vasi sanguigni e
linfatici, servono ad assorbire materialmente il cibo digerito e funzionano da interfaccia fra l’organismo stesso e il mondo esterno, per quello che riguarda la nutrizione. Se i villi intestinali si appiattiscono, la superficie
attiva dell’intestino si riduce di molto e questi scambi
diventano più difficili.
31
SPECIALE
altezza e il pediatra ha prescritto gli accertamenti. A Fabrizio è stato dapprima effettuato un esame del sangue e
poi, visto che il risultato è stato positivo, una gastroscopia. Elena aveva molta paura all’idea che infilassero un
tubo in gola al suo piccolo e invece è andato tutto liscio:
Fabrizio, leggermente sedato, non si è praticamente accorto di nulla e poche ore dopo l’esame è tornato a casa
tranquillo. Dopo qualche giorno l’esito era pronto e la
diagnosi confermata: i villi intestinali di Fabrizio sono
piatti e infiammati, danneggiati dall’esposizione al glutine. Dopo aver saputo la diagnosi, Elena si è spaventata
ancora di più: non ha capito bene tutto quello che le è
stato detto, che ha letto e che ha sentito in tv e ha bisogno di chiarirsi le idee. Così ha cercato di fare mente locale e ha scritto alcune domande da fare al suo pediatra.
I celiaci non sono malati ma se mangiano il glutine
stanno male come gli allergici: allora la celiachia è
un’allergia? Se non lo è, che differenze ci sono?
La celiachia non è un’allergia, ma una complessa intolleranza immunologica: il glutine, che ha una struttura
molto anomala, viene riconosciuto dal sistema immunitario del soggetto celiaco non come qualcosa di buono da
mangiare, ma come parte di un virus minaccioso, contro
il quale l’organismo del celiaco mette in atto una risposta
difensiva esagerata, così esagerata da danneggiare le
strutture stesse dell’ospite.
Quali alimenti contengono il glutine e quali no?
Solo gli alimenti che contengono farina di grano, di orzo o
di segale sono vietati al celiaco. Riso, mais e patate non
contengono glutine; e così tutti i vegetali e legumi, tutte le
carni, i pesci, i formaggi, i latticini, i salumi e tutta la frutta. Talora la farina di grano è nascosta in alimenti che
non sembrano contenerla: i Pringles, ad esempio, non sono patatine ma sono fatti di farina di grano, il Ferrero
Rocher contiene il Wafer, ecc. Ma basta leggere con cura
le etichette per scoprire se un alimento contenga farina di
grano, di orzo o di segale. In generale le etichette sono la
migliore difesa e chiariscono tutti i dubbi. Le contaminazioni accidentali, in generale, non sono affatto un problema, perché bisogna assumere almeno mezzo cucchiaino
di farina perché il glutine in esso contenuto faccia male e
così tanta farina non si può certo nascondere in una caramella, una gomma o una bevanda.
Nessun farmaco è pericoloso per il celiaco. Come abbiamo detto, le etichette aiutano molto: un celiaco deve evitare grano, frumento, orzo, segale, farina di frumento, di
orzo e di segale, amido di frumento e malto. Ricordiamoci che il kamut, spesso presente nei negozi di prodotti
biologici e nei cibi integrali, non è altro che una varietà
di grano e quindi, ovviamente, va evitato. Non sono invece pericolosi farine e amido di riso, mais, soia, patate, castagne, miglio, grano saraceno; maltosio, maltitolo e
maltodestrine sono zuccheri e quindi, anche se sono de32
rivati dal grano, non ne contengono la parte proteica;
glutammato e additivi vari, semi di guar, carrube ecc.
non contengono glutine.
Se la celiachia è una malattia genetica dovremmo fare i
test anche noi genitori? E la sorellina? E i cuginetti?
La celiachia non si trasmette come le malattie ereditarie,
ma almeno il 10% dei familiari dei soggetti celiaci sono a
loro volta predisposti verso questo disturbo: è utile fare
il test genetico ai familiari e in seguito, solo se il test genetico risulta positivo, fare dei controlli periodici (ogni
2-3 anni) con esami del sangue.
Ora che ho scoperto che il mio bimbo è celiaco, non potrò più mangiare al ristorante? Come farò a scuola? E
in vacanza?
La vita di un celiaco è normalissima, ci vuole solo un po’
di organizzazione. Il rischio di assumere inavvertitamente del glutine usando posate, tovaglie e pentole non esiste: chi paventa questo rischio diffonde solo un fanatismo inconsistente. Lo ripeto: la vita del celiaco deve essere una vita normale: andare al ristorante, fare gite o
stages fuori casa, tutto si può fare. Circa 100.000 celiaci
fanno una vita normale, conoscono gli alimenti e, nel
dubbio, leggono le etichette.
SPECIALE
Ho sentito parlare di contaminazioni, cosa vuol dire?
Come si fa a essere sicuri che il cibo non sia “contaminato”? E come ci si comporta con contenitori e stoviglie?
La faccenda delle contaminazioni è solo una leggenda
priva di ogni consistenza: paradossalmente potrebbe non
essere la celiachia a danneggiare un bambino, ma questi
fanatismi, che gli distruggono la vita e rendono intollerabile una condizione che, se ben affrontata, è assolutamente tollerabile. La farina si vede bene se rimane attaccata a qualche utensile, per evitare rischi basta cucinare
in modo pulito. Tanta gente ha affrontato, da un giorno
all’altro, una dieta senza glutine con il terrore non della
presenza dichiarata di farine o amidi con glutine, ma della possibilità di una contaminazione minima in alimenti
naturalmente senza glutine: la famosa “traccia di glutine”. Questo terrore ha generato angoscia nei pazienti e
nelle loro famiglie, fino a creare abitudini assurde, come
portarsi in giro la propria tovaglietta, le posate, le pentole: un grave danno all’equilibrio mentale degli intolleranti al glutine. Si è infatti trasformata una prescrizione positiva come “mangiare meglio e senza glutine”, in una
persecuzione quotidiana: non fare, non mangiare, stai
attento, sospetta...
È ora di cambiare: la dose minima giornaliera di glutine
tossica per un celiaco, capace di suscitare un danno al-
AIUTATI CHE DIO T’AIUTA
Nonostante il celiaco non sia malato e possa vivere
una vita tranquilla e serena senza troppe restrizioni,
spesso l’idea di eliminare pane e pasta dalla dieta
viene difficilmente accolta dal celiaco e dalla sua famiglia. La dieta viene vista come una limitazione alla
quotidianità, per non parlare del timore che sia difficile mangiare fuori casa. Per questo da molti anni
l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) si prodiga per
aiutare e sostenere i celiaci e le loro famiglie e per
informare correttamente ristoratori, scuole e altri
servizi pubblici a riguardo.
Sempre più presso le sezioni regionali dell’AIC nascono gruppi di auto mutuo aiuto fra i soggetti celiaci e i
loro famigliari. Le origini del self-help (auto-mutuo
aiuto) affondano nelle prime esperienze di gruppi per
persone con problemi di alcol dipendenza realizzate
negli anni Trenta in America a opera degli Alcolisti
l’intestino, è pari a un cucchiaino di farina di grano al
giorno per 90 giorni; dosi inferiori sono innocue.
Questo è molto importante, perché una dieta estremamente restrittiva e attenta alle “tracce” di glutine diventa
una persecuzione per chi la deve osservare: soprattutto
gli adolescenti, se ossessionati dalla paura della ‘”traccia”, tenderanno a evitare, per esempio, le gomme da
masticare o a scegliere sempre e soltanto un solo tipo di
gelato o di patatine. E così si sentiranno limitati nella loro libertà, si stancheranno della dieta e possono finire
per abbandonarla del tutto: la dieta deve essere sì senza
glutine, ma non può essere una condanna a una vita difficile. Anzi, la scelta “senza glutine” è una scelta positiva,
non proibitiva, in quanto gli alimenti che non contengono questa sostanza sono spesso, da un punto di vista nutrizionale, migliori di quelli con il glutine.
Adesso che il mio bimbo è celiaco dovrò fare la spesa solo in farmacia o nei negozi specializzati?
Carne, pesce, frutta, legumi, ogni ben di Dio, in farmacia? Mai! Trattare il celiaco come un malato e quindi costringerlo a comperare il cibo in farmacia è una “distorsione” che nasce dalla pressione dell’industria. Esistono
numerosissimi alimenti naturalmente senza glutine, basta imparare a leggere bene le etichette; molti cibi posso-
Anonimi. Da allora, i gruppi di auto-mutuo aiuto si sono diffusi in tutto il mondo e in ogni ambito di disagio
sociale o socio-sanitario. Esistono oggi gruppi nell’area dell’handicap, della psichiatria, delle dipendenze
patologiche, delle disfunzionalità affettivo-relazionali, dell’oncologia, del sostegno all’allattamento al seno, ecc. Al loro interno persone che hanno in comune un problema, una difficoltà o una malattia si offrono reciprocamente ascolto e aiuto, sviluppando
esperienze di accoglienza, solidarietà e riconoscimento capaci di creare grandi cambiamenti e di produrre autentico benessere.
I gruppi di auto-mutuo aiuto sono gruppi “alla pari”,
non sono guidati da “esperti” e i singoli partecipanti
offrono la loro esperienza agli altri. La partecipazione alle attività è sempre libera e gratuita, pertanto,
democraticamente alla portata di tutti.
SPECIALE
no essere autoprodotti e, in ogni caso, sono facilmente
reperibili nelle comuni catene di negozi e supermercati. I
prodotti speciali senza glutine possono avere, se mai, un
ruolo minore nella dieta del celiaco: è comodo avere talora pasta già pronta, un panino congelato o dei biscotti,
ma non possono essere la base dell’alimentazione quotidiana. Anzi, è importante che non ci si abitui a vivere con
alimenti surrogati di quelli con glutine, come la pasta e il
pane della farmacia; è meglio invece sviluppare delle vere alternative alimentari. Un ragazzo, un adulto che vive
e lavora in Europa deve essere educato a scegliere le cose
più buone tra gli alimenti naturalmente senza glutine,
non deve mangiare in farmacia né può portarsi dietro la
mamma o la cuoca che cucinino per lui: deve acquisire il
piacere dell’alternativa alla pasta e al pane, senza vivere
di falso pane e falsa pasta.
Mia cugina non è celiaca, eppure le hanno prescritto
una dieta senza glutine e non capisco il perché. Quali
sono i soggetti che devono mangiare senza glutine?
Il glutine non è facile da digerire: è tra le proteine alimentari più difficili da assimilare. Alcuni individui, molto sensibili, pur non essendo celiaci e non correndo i rischi che dalla celiachia derivano, hanno problemi di motilità intestinale e di fermentazione col glutine e con carboidrati contenuti nelle farine. Lo diceva anche la nonna:
“Se hai male al pancino, mangia riso e polenta!”
E se mi sbaglio? E se Fabrizio decide di far di testa sua e
crescendo non segue più la dieta? Cosa può succedere?
Se noi siamo genitori fanatici, Fabrizio cercherà di abbandonare la dieta e potrebbe avere seri danni. Non
mangerà “tracce” ma si riempirà di pizze e panini! Se siamo equilibrati e intelligenti non avrà nessun problema.
L’errore occasionale non porta alcun danno, se non si ripete tutti i giorni: non succede nulla se si sbaglia involontariamente!
E se fabrizio dovesse assumere delle medicine?
Per capire quanto sia spesso ridicolo il problema delle
tracce di glutine, basta vedere i farmaci: se una compressa di Aspro contiene 500 milligrammi di Aspirina e 100
milligrammi di amido di frumento, bisogna ingoiare 10
compresse di Aspro per ingerire 1 grammo di amido; in
quel grammo potranno essere presenti circa 2,1 milligrammi di proteine, delle quali 1 milligrammo è composto da glutine. Una quantità 50 volte inferiore al minimo
tollerabile. Ma 10 compresse di Aspro farebbero molto
male a qualsiasi individuo e provocherebbero un avvelenamento da farmaci: dunque è evidente che nessuno si
sognerebbe di assumerle. In pratica non vi sono farmaci
che, alle dosi terapeutiche, forniscano quantità rilevanti
di glutine. Stesso discorso per gli oli di semi (in cui la
possibile contaminazione dell’olio di germe di grano è un
evento del tutto improbabile), per lo sciroppo di glucosio
e per la farina che potrebbe essere utilizzata nella lavorazione dei salumi.
34
Ma in futuro qualcosa cambierà? Forse Fabrizio tornerà a mangiare tutto quel che desidera?
L’Italia è all’avanguardia nella ricerca sulla celiachia e
conduce uno studio pluriennale per valutare la possibile
prevenzione della malattia denominato PreventCD. Oggi
bisogna fare bene la dieta senza glutine, senza limitarsi
la vita e senza fanatismi: è la soluzione più facile, più efficace, più sicura. I farmaci che sono, o potrebbero essere
proposti nel prossimo futuro per i soggetti celiaci, presentano tutti molti più problemi. Quelli che conosciamo
oggi (si parla di una “pillola”) sono meno efficaci e meno
sicuri della dieta senza glutine. Ma la ricerca va avanti,
anche se lentamente: nel prossimo futuro cominceranno
a comparire molecole che possono aiutare il celiaco in
momenti straordinari di difficoltà. Potranno forse prevenire alcune complicanze e permettere di correggere
eventuali errori dietetici.
Il vero problema della celiachia è l’ignoranza e la non accettazione. A molti non entra nel cuore l’idea di non
mangiare un bel piattone di pasta: da qui la spasmodica
ricerca di alternative a ogni costo. Oggi abbiamo una soluzione facile, sicura, efficace: la ricerca ci darà nuovi
strumenti, ma non potrà cancellare il concetto che il glutine è un veleno per il celiaco.
Elena e Fabrizio escono dallo studio del loro pediatra
rincuorati: la celiachia sarà una nuova avventura, la scoperta di nuovi sapori, tanta bontà e nessuna rinuncia!
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DIAGNOSI: SI PUÒ ANCHE FARE DA SÉ
La tecnologia oggi ci mette a disposizione dei “kit
diagnostici” che ci consentono di “fare in casa” (meglio però nell’ambulatorio del medico di fiducia)
molte diagnosi. Il prototipo, che tutti conosciamo
perché esiste da decenni, è il test di gravidanza che
si acquista in farmacia.
Questi kit sono basati sulla stessa tecnologia che si
usa in laboratorio e danno dei risultati in molti casi
sovrapponibili a quelli del laboratorio stesso.
Ce n’è uno anche per la celiachia e consente la ricerca degli anticorpi antitransglutaminasi IgA e IgG in
una goccia di sangue prelevata dal polpastrello di un
dito con una puntura assolutamente indolore.
Si trova in farmacia a un costo accessibile e, secondo
la ditta che lo produce, ha una sensibilità del 96,5%
e una specificità del 97,3%, dimostrate da uno studio
condotto su diversi centri di eccellenza italiani specializzati nella diagnosi della celiachia. Questo significa che il test, effettuato su un gran numero di persone, è in grado di identificare quasi tutti (95,6%) i
soggetti celiaci e di scartare quasi tutti (97,3%) quelli che celiaci non sono.
Perciò molti pediatri lo usano in prima battuta per
confermare un sospetto di celiachia.
SPECIALE
LA STORIA DEL GRANO
Con il termine grano o frumento si indicano alcune
specie del genere Triticum della famiglia delle Graminacee. Il frumento fu tra le prime piante a essere
coltivate nell’area definita della “Mezzaluna fertile”,
compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate. Gli archeologi
hanno attribuito alla coltivazione del frumento
un’importante valenza nello sviluppo della società civile e stanziale in quanto, mentre gli ortaggi potevano essere coltivati anche intorno a un campo nomade, la coltivazione del grano spinse i primi contadini
a realizzare reti di canali per estendere la colture.
Dalla Mezzaluna Fertile il grano si diffuse in Egitto
(dove già veniva utilizzato l’orzo) e fu preferito all’orzo per le sue migliori caratteristiche di panificazione. Ancora oggi dal frumento si ricavano, in generale, farine per panificazione, per la produzione di
paste alimentari, di biscotti, di dolci, ecc. I principali
componenti della farina sono l’amido, il glutine, la
destrina, gli zuccheri, le gomme, piccole quantità di
sostanze grasse, sostanze minerali, fosfati, sostanze
coloranti e vitamine.
Mangiamo grano da 10.000 anni, ne mangiamo tanto
da circa 2000 anni, tantissimo da 200 anni, eppure i
celiaci sono sempre di più e si vanno diffondendo in
tutto il mondo, dal Sud America, all’Africa fino in Cina. Forse c’è qualche vantaggio che ha bilanciato, a
favore dei celiaci, la possibilità di sopravvivere con
questo specifico corredo genetico. O forse il grano è
cambiato? A questo proposito, dunque, bisogna considerare che il genere Triticum si classifica in sei specie definite in base al numero di cromosomi che compongono il genoma.
Tra queste specie ve ne sono due utilizzate maggiormente per la produzione di alimenti: la specie del
grano duro e quella del grano tenero. Una prima differenza fra le due consiste nel fatto che il grano duro
contiene più proteine di quello tenero (quindi più
glutine). Alcune varietà di grano sono cambiate anche
a causa di mutazioni indotte dall’uomo. Nel 1974, ad
esempio, irradiando con raggi X la varietà
“Cappelli”(dal nome del suo creatore), se ne ottenne
una mutazione: il grano “Creso” il cui fusto è più
basso del grano originario, per evitare che il vento
distenda la pianta compromettendo la mietitura. Oggi
la varietà “Creso” è utilizzata in circa il 90% delle
coltivazioni italiane, e alcuni ritengono che questa
possa essere una delle cause della maggior diffusione
dell’intolleranza al glutine.
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SPECIALE
Celiachia
Quattro domande
Quattro risposte
e quattro ricette “naturalmente” senza glutine
SCREENING
Parola inglese che significa letteralmente “selezionare” o anche “setacciare”; un programma di screening è
infatti una specie di setaccio attraverso il quale si fanno passare tutti i soggetti interessati. La stragrande
maggioranza di loro supera le maglie della tela, ma non
tutti. Alcuni, pochi generalmente, vengono isolati dagli
altri: sono questi i casi potenzialmente patologici su cui
intervenire. Attenzione però: se le maglie del setaccio
sono troppo strette si rischia di classificare come malati molti individui sani (falsi positivi); viceversa ci si può
lasciar sfuggire alcuni malati (falsi negativi).
COME SI FA OGGI LA DIAGNOSI DI CELIACHIA?
Quando c’è il sospetto, in base ai sintomi, che un paziente (adulto o bambino) sia celiaco, il medico prescrive innanzitutto degli esami del sangue: si cercano gli
Anticorpi Anti Endomisio (EMA) e gli Anticorpi Anti
Transglutaminasi (TTG). Un risultato patologico per
questi esami significa che è molto probabile che quella
persona sia effettivamente celiaca, ma la diagnosi va
confermata facendo una gastroscopia con biopsia, cioè
andando a prendere un piccolo frammento di mucosa
dell’intestino tenue che andrà poi analizzato al microscopio. Se l’intestino non presenta più i villi, che risultano “piatti” e sono presenti nel tessuto prelevato con la
biopsia delle cellule infiammatorie, la diagnosi è fatta.
Ma è possibile anche fare a meno della biopsia intestinale e basarsi solo sugli esami del sangue: la Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica ha stabilito dal
2012 che un soggetto che abbia la predisposizione genetica, gli EMA positivi con le TTG almeno 10 volte superiori ai valori normali può iniziare direttamente la dieta
senza glutine anche senza fare un esame al microscopio
dei villi intestinali; se i sintomi si risolvono con la dieta
la diagnosi è fatta e la biopsia si può evitare. Non tutti
gli specialisti però sono d’accordo su questa linea di
condotta: alcuni pensano che la biopsia vada fatta sempre, perché permette di verificare le condizioni dell’intestino e di “toccare con mano” la diagnosi.
Per quello che sappiamo oggi la diagnosi di celiachia è
“per sempre”. Nei soggetti celiaci il danno intestinale e i
sintomi riprendono dopo un’eventuale reintroduzione
del glutine, in qualsiasi momento della vita.
SCREENING: PERCHÉ NO?
Visto che la celiachia è così diffusa, a volte nascosta e
potenzialmente dannosa, non sarebbe ragionevole cercarla facendo gli esami del sangue a tutti i bambini, come si fa, per esempio, con il Pap Test a tutte le donne
per diagnosticare precocemente i tumori del collo dell’utero?
Purtroppo gli Anticorpi Anti Transglutaminasi, il cui aumento è indispensabile per sospettare una diagnosi di
36
SPECIALE
celiachia, in un celiaco possono aumentare in qualsiasi
epoca della vita: perciò valori normali per questo esame,
in soggetti che siano geneticamente predisposti a diventare celiaci, non escludono che il problema possa presentarsi in un futuro più o meno lontano. Analisi negative a 3 anni, per esempio, potrebbero diventare positive
a 6: dunque lo screening avrebbe solo il vantaggio di cogliere quelli che in quel momento hanno gli anticorpi.
Uno studio europeo ha dimostrato che può essere utile
sorvegliare fra 2 e 5 anni solo i bambini che sono predisposti geneticamente alla celiachia.
COSA SONO I TEST GENETICI?
Quali sono allora i test genetici per rilevare una predisposizione alla celiachia?
I celiaci hanno nel loro DNA due geni, che gli specialisti definiscono con le sigle DQ2 e DQ8. Chi possiede
uno o entrambi questi geni potrebbe sviluppare la celiachia in un qualsiasi momento della sua vita. Ricordiamoci però che il 30% della popolazione possiede almeno uno di questi geni, mentre solo un soggetto su
cento si ammala. Perciò la genetica è molto utile in negativo: chi non possiede la predisposizione non si ammalerà mai.
La ricerca della predisposizione genetica viene consigliata nei parenti di primo grado dei celiaci per decidere
se sottoporli o meno a controlli periodici.
CELIACHIA E SVEZZAMENTO:
È UTILE INIZIARE SENZA GLUTINE?
Molti bambini vengono svezzati usando nei primi mesi
alimenti senza glutine, nel tentativo di evitare così una
possibile celiachia: ha un senso fare questo?
L’età in cui viene introdotto nella dieta il glutine non ha
alcuna influenza sull’incidenza di celiachia, neppure nei
bambini che abbiano familiari celiaci o che siano geneticamente predisposti per questa malattia.
Sappiamo però che, come per quasi tutte le malattie di
origine autoimmune, l’allattamento al seno è un fattore
protettivo che agisce soprattutto se il glutine viene introdotto mentre il bambino assume ancora latte materno.
DOLCI FANTASTICI PER MERENDE E FESTE
In Piemonte si mangia la Torta di nocciole, preparata
con farine di nocciole e uova: occorrono 5 albumi, 180
grammi di nocciole tritate finemente, 160 grammi di
zucchero, 20 grammi di amido di mais e una pizzico di
sale. Con uno sbattitore si montano gli albumi con il
sale, quando iniziano a montare a neve si aggiunge lo
zucchero semolato e si continua a montare fino ad ottenere un composto liscio e spumoso. A questo punto si
aggiungono la farina di nocciole e l’amido mescolando
lentamente dal basso verso l’alto e si distribuisce il composto in uno stampo a cerniera o foderato con carta da
forno, poi si cuoce. La torta va cotta in forno preriscaldato a 180°C per 35-40 minuti.
In Lombardia invece si mangia la Torta paradiso,
preparata con la fecola di patate: occorrono 250 grammi
di zucchero, 250 grammi di burro, 250 grammi di fecola
di patate, 5 uova, 1 bustina di lievito per dolci, 250 grammi di panna liquida, 1 o 2 cucchiaini di miele millefiori.
Bisogna fondere il burro a bagnomaria e lasciarlo raffreddare. Quindi separare i tuorli dagli albumi e montare
gli albumi a neve. A questo punto si sbattono i tuorli con
lo zucchero. Si setacciano la fecola e il lievito e si aggiungono a cucchiaiate ai tuorli, aggiungendo sempre a cucchiaiate anche il burro raffreddato. Alla fine si incorporano gli albumi montati a neve con la spatola, dal basso
verso l’alto, e si versa il composto in uno stampo tondo
imburrato. Si inforna e si cuoce in forno preriscaldato a
170° per circa 40 minuti.
A Capri potrete deliziarvi della famosa Torta caprese, anche lei “naturalmente senza glutine”: occorrono 300
grammi di mandorle pelate, 4 uova, 200 grammi di zucchero, 100 grammi di burro, 200 grammi di cioccolato
fondente, 15 grammi di cacao amaro in polvere, zucchero
a velo quanto basta. Dovrete montare bene il burro con lo
zucchero e aggiungere, uno alla volta, i tuorli d’uovo,
tenendo da parte gli albumi. Questi dovranno essere
montati a neve, con un pizzico di sale, se lo preferite. Fate
tostare leggermente le mandorle nel forno a circa 200°,
quindi lasciatele raffreddare e tritatele con un mixer
assieme a una parte del cioccolato fondente ridotto a
37
SPECIALE
pezzetti. Fate sciogliere a bagnomaria il restante cioccolato e aggiungetelo al composto di burro e uova. Unite anche la miscela di mandorle e, dopo esservi assicurati che
il composto sia diventato ben omogeneo, aggiungete gli
albumi mescolando dall’alto verso il basso incorporando
più aria possibile. Infornate la torta Caprese in forno statico preriscaldato a 180° per circa 40 minuti, in una teglia
leggermente imburrata e infarinata (da fecola di patate o
amido di mais per rendere il dolce completamente senza
glutine). Dopo averla sfornata, aspettate il suo completo
raffreddamento per sformarla (essendo molto delicata
potrà anche portar delle crepe che sono però la sua caratteristica). Dopo di che, sarà giunto il momento giusto per
cospargerla di una cascata di zucchero a velo!
DAL DOLCE AL “SALATO”
In Liguria vi verrà offerta la Farinata, una torta salata
molto bassa preparata con ingredienti molto semplici,
poveri e naturalmente senza glutine: farina di ceci, acqua, sale e olio. Occorrono 900 millilitri di acqua, 300
grammi di farina di ceci, pepe, sale e olio quanto basta.
Si mette in una terrina la farina nella classica forma a
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fontana e si versa al centro, un po’ alla volta, l’acqua. Si
mescola il tutto per bene facendo attenzione ai grumi, fino ad ottenere un composto liquido e omogeneo, che si
lascia riposare, mescolando di tanto in tanto, dalle 4-5
ore, fino ad arrivare alle 10 ore, coperto con un coperchio e fuori dal frigorifero.Trascorso il tempo necessario,
è probabile che si sarà formata della schiuma in superficie: si toglie con un mestolo forato. Si aggiunge al composto il sale e mezzo bicchiere di olio; versate il restante
olio in una teglia antiaderente (la tradizione prevederebbe il rame o l’alluminio), coprendone tutto il fondo.
Si versa dentro la teglia il composto di ceci che farete
cuocere in forno preriscaldato a 220° per circa mezz’ora
fino a quando la farinata non risulti di un bel colore dorato; dopo si spegne il forno e si accende il grill per 15
minuti. Quando sarà cotta, si sforna la farinata, che andrà cosparsa di sale e pepe macinato, si taglia a quadrati
e si serve ancora calda magari con un bell’accompagnamento di verdure o aromatizzata con un trito di rosmarino e olio.
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Via le rotelle
Saltellando sul marciapiede
Diamo un valore al tragitto da casa a scuola
È
Andrea Satta
Pediatra di famiglia,
Valmontone (RM)
Foto archivio UPPA
sempre un momento particolare quello che si vive
andando a prendere un bambino a scuola. Potrebbe
sembrare sempre la stessa scena, un appuntamento
scontato e invece quando si affaccia con il suo visino familiare in mezzo a quello di tanti altri, capiamo che si
tratta di una dedica che non ha prezzo.
So bene che per molti di noi genitori, per mille motivi,
non è sempre possibile, anzi molti di noi non vivono quasi
mai quella strana attesa, ma raccogliere il momento del
rientro nelle nostre braccia dell’esperienza di tutto un
giorno di scuola è meraviglioso e utile. Arrotonda un angolo che resterebbe non curato, rifinisce un dettaglio che
si sfrangerebbe nelle mille altre vicende della quotidianità, è un raccordo necessario. Così come è importante
dare un valore al tragitto tra la casa e la scuola e a quello
del rientro. Molti, tutto questo lo sintetizzano con l’automobile, ma l’auto non è un mediatore felice, i piedi, la bicicletta o il tram vanno senz’altro molto meglio. “Bisognerebbe averne il tempo”, direte voi, ma sinceramente, il
tempo è sempre la cosa che non abbiamo a disposizione o
più spesso è forse la voglia a far difetto? Percorrere a piedi
il tratto di strada tra casa e scuola dà valore ai gesti, è una
condivisione importante, non lascia passivo il bambino, lo
immette nel mondo reale, dopo quello vincolante dell’aula, è ricco di spunti e di variabili, incentiva il dialogo.
In assenza di una personale disponibilità a recarsi all’uscita di scuola o all’entrata del mattino, più stimolante,
allora, può essere organizzare il percorso, a turno, con
altri genitori o, meglio ancora, abbracciare l’esperienza
del pedibus e delle catene in bici che in alcune città sono
ormai di frequente riscontro. Sono esperimenti che regalano autonomia e che consegnano ai piccoli il senso di un
diritto alla città che si scioglie nel fare e nel respirare, nel
coesistere e nel contribuire.
A me, in fondo, devo dirvi, la tripla fila di automobili in
attesa davanti alla scuola, inesorabile anche in sontuose
giornate di primavera, fa un po’ tristezza.
Nella mano di un bambino che strattona la mano che lo
protegge e saltellando percorre un marciapiede, facendo
magari mille domande, io leggo un sale felice della vita.
[email protected]
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La parola ai genitori
Una scuola
che non è una scuola
Lo spettacolo triste di uno show di fine anno
Francesca
Roma
Q
uella che segue vuole essere una
riflessione sulla realtà
delle scuole private della città in cui
vivo, Roma. Sono una mamma, lavoro con i disabili, mi interrogo sulla
responsabilità genitoriale, sul ruolo
della scuola e su quella rete che dovrebbe contenere e accompagnare il
processo di crescita dei bambini (pediatri, maestri, nonni, associazioni).
La mia sensazione è che, in generale,
ci sia una comune tendenza a delegare, rinviare, rimuovere. La responsabilità educativa della scuola, in questo
senso, ha una rilevanza gigantesca, a
mio avviso poco indagata.
CHE LO SPETTACOLO ABBIA INIZIO!
Maggio in una scuola privata di Roma: tempo di prove per saggi di fine
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anno ed è tutto un movimento di
energie, fisiche ed economiche: costumi, preventivi di catering, consulenze di attori e ballerini, palloncini,
canzoni, frasi spot da imparare a
memoria, regali, biglietti, lacrime
pronte e uso inaspettato del “noi”.
Genitori che per il resto dell’anno
sembravano latitare all’estero per
tutto ciò che odorava di didattica e/o
di educazione, di colpo emergono a
reclamare la scena. Anche un bambino capirebbe che tutta la macchina
della festa si accende per “loro”, i genitori paganti che, narcisisti fino
all’osso, tengono in ostaggio una
scuola, quella privata, rinunciataria
e muta. Una scuola “cattiva maestra”
che esercita, a richiesta, la variante
grottesca e rovesciata della vocazio-
ne educativa: gratificare genitori insicuri, che pagano per non sentirsi
dire nulla, che rifuggono il senso di
colpa e chiedono ostentatamente di
andare bene così come sono.
Ben venga quindi qualunque iniziativa “creativa” e stravagante: così l’ego
spropositato di madri nevrotiche
partorisce balletti e musical dal retrogusto tardo-adolescenziale, in
presenza delle povere figlie sulle
quali le medesime madri, spesso, rovesciano la propria insoddisfazione
di donne separate o in procinto di separarsi. E i mariti, ex o quasi delle
stesse, si improvvisano operai acrobatici per montare le impalcature del
contorno felliniano della festa, fatto
di palloncini, gazebo, luci, impianti
stereo, telecamere. E poi le magliette
stampate, la canzone composta e
musicata per l’occasione, insomma
chi più ne ha più ne metta: tutti si
canta, tutti si balla, tutti si recita, da
bravi figli della TV. E il tutto dice:
“l’importante siamo noi”, questo è il
messaggio. Un “noi” ipertrofico che è
un’ammucchiata di tanti io riottosi e
prepotenti fino al giorno prima.
I BAMBINI CI GUARDANO
E i bambini? I bambini, che dovrebbero stare “al centro” (bugia-slogan
di qualunque proposta formativa
che si “apre sul territorio”) eseguono
obbedienti tutto ciò che viene chiesto loro e guardano, ci guardano e
capiscono meglio di noi che non sono loro ciò che più conta nella nostra
vita. Nella loro semplicità, con le loro vere esigenze, con il loro esprimersi incerto e non costruito, con il
loro gioire disarmante e non per
rappresentanza, ci guardano e capiscono che, ancora una volta, i “bambini” non sono loro. Spesso molti
non sono più bambini già da un pezzo, lasciati soli, in case vuote a sma-
nettare su smartphone, whatsapp,
youtube. Figli di genitori troppo ”figli” per esercitare una qualche autorevolezza o responsabilità.
Quando queste feste finiscono, una
certa amarezza tocca il palato dei
pochi genitori “non talentuosi” e poco dotati perché il ridondare degli
adulti ha depauperato le cose vere:
riconoscere la fatica dei bambini che
hanno seguito un percorso di crescita impegnativo, il loro impegno nello
stare insieme, il loro stupore per le
cose scoperte, la loro meraviglia per
la bellezza.
Certo i figli si divertono a vedere
adulti che si adoperano per qualcosa
che attiene la loro vita di bambini, si
divertirebbero anche a vederli cuocere la paella per trecento persone o
a costruire una barca volante. Giocano, questo sanno fare. Ma l’immagine da brochure di queste feste copre
un vuoto che è quello didattico.
LA COSA PIÙ IMPORTANTE
Cos’è importante per un bambino in
età scolare? Tanta energia per provare, riprovare e provare ancora balletti, canti, scenette? Se la stessa
energia fosse spesa da educatori e
genitori nel declinare per loro la musica, l’arte, il fascino della storia, la
magia della scienza, l’importanza insostituibile dei libri; se davvero la
scuola fosse scuola, lasciare i propri
figli nelle sue stanze sarebbe un piacere e poco conterebbero feste, palloncini, canzoni.
Una scuola che sia tale, parla, non è
reticente in base a ciò che le conviene,
non ha paura di dire cosa si fa e cosa
non si fa, non teme l’imbarazzo, la
paura e, soprattutto, non è ricattabile.
L’educatore è coraggioso, libero, non
necessariamente sempre sorridente
e malleabile, è fiducioso nel valore
della responsabilità, nel potere delle
parole, paziente nello ”spezzare” ciò
che è importante per il bambino, anche a costo di rimanere solo e di andare controcorrente.
Una scuola che sia scuola sa cosa è
importante. Quante scuole invece
sono diventate luoghi di aggregazione per genitori narcisisti? Chi spiegherà a questi genitori che trasformare queste energie in amore per la
cultura, educazione al bello, esperienza del bello, equivale a far crescere la famiglia e la personalità dei
propri figli? Essi diventerebbero più
curiosi, più capaci, più forti, più
competenti a leggere il mondo, più
veloci ad afferrare ciò che conta e
a scegliere, finalmente. E forse quel
profitto si trasformerebbe in future
professioni di eccellenza che arricchirebbero tutta la famiglia, sempre
che il denaro, con il trascorrere dei
decenni, continui a detenere lo scettro tra i valori in famiglia.
E chi spiegherà agli educatori che
una scuola senza biblioteca non è
una scuola e che una scuola che non
fa promozione della lettura è come
un ristorante vegetariano che cuoce
braciole di maiale sottobanco; che
una scuola di Roma che non va a vedere Roma non è una scuola, che
una scuola che non insegna ai bambini a uscire dal proprio quartiere
non è una scuola, che una scuola che
si accontenta di quattro paginette
brutte di brutti libri non è una scuola, che una scuola che non capisce la
potenza educativa della musica non
è una scuola, che una scuola che fa
finta di non leggere i segni dei tempi
e abdica di fronte a nuove
tecnologie non è una scuola.
Servirebbe qualcosa o qualcuno che
rispieghi a tutti che cos’è una scuola.
Chi lo farà?
[email protected]
41
Lo so fare anch’io
Il dentifricio
Facile, divertente e buono
Elena Uga
Pediatra dell’Ospedale
di Vercelli
“L
avatevi i denti!” Quale
mamma non ha implorato o inveito almeno una volta con
i propri figli nel tentativo di passare loro il rispetto di
questa fondamentale pratica quotidiana? “Spazzoliamo
su e giù, almeno due minuti, mi raccomando le gengive e
i “dentoni” dietro e poi “sciacqua e sputa!”. Ma la nostra
attenzione spesso non si sofferma sul dentifricio, al massimo riflettiamo se sia meglio il gusto bubble gum o fragola o su quanto sia accattivante la confezione.
Un modo coinvolgente per interessare i bambini al lavaggio dei denti potrebbe essere proporgli di produrre in
casa il dentrificio, giocando insieme con gusti e ingredienti. La preparazione domestica del dentifricio è semplice e può partire da ingredienti e aromi diversi per ottenere risultati più o meno graditi, tutti da provare.
Una possibilità sono i dentifrici all’argilla: per preparare
un dentifricio all’argilla in polvere tritate finemente in un
mixer da cucina ½ cucchiaino di argilla verde ventilata, 2
cucchiai di foglie di salvia essiccata, 2 cucchiai di bicarbonato, 5 chiodi di garofano. Potrete aromatizzare il dentifricio con 5 gocce di olio essenziale di menta o di limone,
oppure di tea tre oil, che ha un gusto molto forte e un dimostrato potere antisettico. Questo dentifricio sarà costituito da una polvere che potete conservare in un vasetto
di vetro con tappo a vite; per utilizzarlo basta inumidire
lo spazzolino e impregnarlo ben bene nella polvere.
PER TUTTI I GUSTI
Se invece preferite una consistenza più “pastosa” e simile a
una tradizionale pasta dentifricia bisognerà utilizzare ingredienti come gel, oli o glicerina. Per esempio si possono
mescolare 2 cucchiai di olio di cocco a tre di bicarbonato
aggiungendo un pizzico di dolcificante (per esempio polvere di Stevia). Alternativa 4 cucchiai di gel all’aloe mescolati
a 1 di caolino o bicarbonato oppure 1 cucchiaio di argilla, 2
di bicarbonato e 1 di glicerina. A tutte queste preparazioni
possono essere aggiunte alcune gocce (5-10) di olio essenziale a piacere. Quindi non una ricetta, ma tante possibilità di mischiare e inventare (c’è chi addirittura usa la pol42
pa fresca di frutta, tipo le fragole molto mature, frullata
con bicarbonato per lavarsi i denti).
Ovviamente l’uso di un dentifricio fatto in casa non permette di integrare fluoro, quindi che fare? Nonostante i
pareri della comunità scientifica non siano univoci e la
stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga sia
praticamente impossibile ottenere gli effetti protettivi
della fluoro profilassi senza esporsi al rischio, seppur minimo, di sovradosaggi, una recente pubblicazione del Ministero della Salute sottolinea come la fluoro profilassi
non sia necessaria se l’acqua bevuta contiene più di 0,7
mg/dl. Se l’acqua non è abbastanza fluorata, è indicato
l’utilizzo di un dentifricio contenente fluoro, se decidiamo di farci il dentifricio in casa dovremo valutare l’utilizzo di integratori di fluoro per bocca. In ogni caso vale la
pena di auto produrre il dentifricio per provare, risparmiare, ridurre i rifiuti e dire “l’ho fatto io”.
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IL CAOLINO
Tra tutte le argille, il caolino è quella più fine e si
adatta bene a essere usato al posto del
dentrificio, senza il rischio di rovinare lo smalto dei
denti. In natura esistono diverse composizioni di questo silicato e cambiano colore a seconda della presenza o meno di ferro. Si và dal bianco al rossastro e
arancione. Quella che si trova comunemente in farmacia è bianca. Come tutte le argille, ha un forte potere battericida e antisettico.
Foto 123RF
Letture per genitori
Mangiare e dintorni
Un manuale completo per genitori in gamba
Vincenzo Calia
Pediatra di famiglia, Roma
L’
uomo è ciò che
mangia”, sosteneva il filosofo
tedesco Ludwig
Feuerbach. È da qui che conviene partire per parlarvi di
un libro appena uscito, “Mangiare per crescere – Consigli per genitori in gamba” di Mauro Destino e Federico
Marolla.
Un bambino che nasce è un nuovo essere vivente costruito, durante 9 mesi di gravidanza, utilizzando sostanze ed
energia derivanti dagli alimenti che la sua mamma ha assunto. Questo bambino cresce e diventa grande: anche
questo è un complicato processo di trasformazione degli
alimenti che ingerisce, che diventano cervello, muscoli,
ossa, pelle, sangue…
Ecco che il mangiare ha un grande posto nella nostra vita, al di là dell’ovvio soddisfacimento delle nostre esigenze di nutrizione; e oggi sappiamo anche come e quanto
l’alimentazione influisca sulla nostra salute e sulla qualità e la lunghezza della nostra vita. Sappiamo… e non
sappiamo: la scienza va avanti e molti meccanismi fisiologici (e patologici) sono conosciuti nei minimi dettagli,
ma il comportamento di ciascuno di noi non è sempre
coerente con le regole di un mangiare salutare.
UN’ACCOPPIATA VINCENTE
Pediatri e genitori sono l’accoppiata vincente, che ha in
mano, in questo come in altri campi, gli strumenti per
garantire ai nostri figli un futuro di buona salute: questo
è il motivo che ha spinto Destino e Marolla a scrivere
questo prezioso manuale.
Di libri sul “mangiare” sono pieni gli scaffali delle librerie, ma questo, non a caso, è dedicato a “genitori in gamba” perché percorre in maniera semplice e completa tutto l’arco delle conoscenze su questo tema. E così, partendo dai principi alimentari e i fabbisogni nutrizionali,
ci spiega l’alimentazione dei bambini tappa per tappa,
dall’allattamento all’adolescenza, con l’obiettivo di insegnare un’alimentazione sana e correggere gli errori alimentari. Non mancano tabelle, spiegazioni dietetiche,
suggerimenti pratici sulla dieta e sullo stile di vite e, dulcis in fundo, ricette gustose e sane.
Il tutto corredato, per i genitori che sono in gamba sul
serio, da una ricca bibliografia e da un’altrettanto ricca
“sitografia”.
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LEGGENDO QUA E LÀ
Considerando che il cibo è disponibile sempre e ovunque,
imposto da mille influenze (per esempio la pubblicità) e
che i figli non sempre sono sotto il controllo diretto dei
genitori… è facile immaginare che il mangiare attualmente sottenda a un guerreggiare continuo, invece che a un
momento gioioso […]
[…] è necessario che offriate il buon esempio se volete
che ci sia coerenza nelle vostre proposte… ogni bambino
tende a imitare i comportamenti dei genitori, e se questi
sono errati ogni buon proposito si rivelerà inutile.
[…] provate adesso a mettere vostro figlio di 4 mesi sul
passeggino in cucina… posizionato in modo tale da poter
vedere ogni vostro gesto, e iniziate ad apparecchiare […]
Questo capitolo è per voi, cari genitori! Mettetevi comodi
e lasciate giocare i vostri bambini… Adesso siete voi i protagonisti e determinerete cambiamenti importanti senza
imposizioni e senza conflitti.
Da: “Mangiare per crescere – Consigli per genitori in gamba” di Mauro Destino e Federico Marolla, Il Pensiero
Scientifico Editore, 18,00 euro
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Nati per leggere
Non solo in vacanza
Il tempo è meno “libero” ma la lettura continua
Redazione
Nati per Leggere
C
i sono dei momenti meravigliosi
in cui è possibile godersi con calma la tranquillità del mondo, chiudere fuori dal proprio cuore e dalla
propria mente il rumore del quotidiano. Anche quando le vacanze sono finite si può restare seduti o
sdraiati e godersi una buona lettura
con i nostri piccoli, magari scegliendo libri che comunichino qualcosa a
entrambi. Un po’ giocando, un po’
coccolandosi e un po’ seriamente
leggendo, possiamo condividere
suoni, parole, significati.
CERTE VOLTE
di Luigi Ballerini, illustrato da Richolly Rosazza, ed. Mottajunior, 2014
Un bambino
è alle prese
con le emozioni e gli
stati d’animo
più vari. Si
comincia con
una serie di
situazioni faticose in cui
il protagonista non si sente a proprio agio e lo dimostra indossando un travestimento
che corrisponde al suo sentire. Lo
troviamo con il costume da cane
quando rincorre il gatto o da leone
quando grida forte per farsi sentire, e
così via. Nelle pagine dove il bambi44
no torna sereno e felice le corazze assumono un ruolo diverso. Le illustrazioni cambiano tonalità e sfumature
a seconda di come si sente il bambino e variano dai colori più freddi a
quelli più caldi, quando pian piano
l’umore migliora. Come ogni bambino anche il protagonista di questa
storia utilizza ciò che conosce per far
sentire la propria presenza, mentre
chiede di essere ascoltato e accolto. Dai 4 anni e per tutti coloro che vivono tutte le sfumature della vita!
NERO-CONIGLIO
di Philippa Leathers, ed. Lapis, 2014
Un piccolo
coniglio
bianco si
sveglia in
una bella
mattina di
sole. Esce
dalla sua tana ma subito
accade qualcosa di inaspettato. Si accorge che non è solo.
Dietro di lui un enorme Nero-Coniglio incombe. Coniglio coraggiosamente prova a mandarlo via, ma Nero-Coniglio non si muove e quando
Coniglio scappa, Nero-Coniglio lo
insegue. Coniglio allora fugge nella
foresta, e lì Nero-Coniglio non c’è.
Ma il piccolo coniglio sarà davvero al
sicuro?
Dai 4 anni e per coloro che affrontano l’ignoto!
LUPO & LUPETTO
di Nadine Brun-Cosme, illustrazioni
di Olivier Tallec, ed. Clichy, 2013
Grande Lupo
vive tutto solo sotto il
suo alberello. Un giorno
arriva Piccolo Lupo e si
installa da
lui, osando
perfino restare per
dormire. Il piccolo rimane anche il
giorno successivo per la seduta di
ginnastica di Lupo, che, per niente
rancoroso, gli offre perfino qualche
frutto per la colazione. Comincia così la storia di un addomesticamento
lento, fatto di silenzi, di sguardi nascosti, di gesti calmi e quasi segreti. Dopo pranzo Lupo parte per l’abituale passeggiatina, ma al suo ritorno – che stupore! – il nuovo amichetto non c’è più. Dove sarà finito?
Che strano sentimento quello che
prova Lupo … comincia a riconoscere che in compagnia si stava meglio!
Dai 4 anni e per tutti coloro che credono nella semplicità della condivisione!
[email protected]
Nati per leggere
La poesia del libraio
Per grandi che hanno voglia di emozionarsi,
per piccoli che iniziano a scrivere la propria storia
Anna Rita Marchetti
Libraia di Ponteponente, Roma
l randagismo non colpisce solo i
cani, sono in tanti a vagare per
proprio conto. I gatti, in primo luogo, più restii a qualunque forma di
affiliazione, gli uccelli che decidono
di emigrare verso climi tropicali, gli
uomini ribelli che partono per mondi lontani. E poi ci sono le storie. Sì,
anche le storie sono vagabonde, soprattutto quei racconti che non vogliono essere catalogati in strette etichette bibliografiche e girano come
farfalle al vento. È quello che succede a “Storia randagia” un libro scritto da Alfredo Stoppa e illustrato da
Sonia Maria Luce Possentini per Fatatrac edizioni, arrivato in libreria
nel marzo di quest’anno.
Un albo illustrato che sembra un
quadro dalla cornice irregolare, strabordante, effimero, transitorio, dove
la voce narrante sfugge a una istintiva collocazione. “Veniva dal mare,
bianco, tagliante, prepotente... vento
randagio. Sollevava, gonfiava, spettinava, portava, sibilava, fischiava,
s’intrufolava invadente” e questa voce rimane un mistero fino alla fine.
Salta da una pagina all’altra, senza
lasciare parole ma le tavole acquarellate ricche di dettagli restano.
Si fa presto a riconoscere alcuni luoghi freddi e ventosi, o quei maglioni
di lana rossa che si indossano quando il clima diventa glaciale o le sferzate di vento ti abbracciano e ti coccolano.
I
Ma tutti questi particolari il libro si
guarda bene dal descriverli pienamente, li poggia lì sul tavolo, come
quando si regalano pacchetti con il
nastro argentato fuori e con un dentro, tutto da scoprire.
UN VIAGGIO A SORPRESA
Poesia vera quella dello scrittore veneto Stoppa, che da anni si dedica ai libri per bambini e che iniziò la sua carriera proprio da libraio, nel lontano
1985. Questa volta ha deciso di regalare ai piccoli lettori solo segni d’arte,
quella della poetica appunto. Le illustrazioni sono affidate alla Possentini,
curatrice del meraviglioso abbecedario “Alfabeto dei sentimenti” scritto da
Janna Carioli, due grandi autrici che
ci accompagnano lettera dopo lettera
alla scoperta dei sentimenti e del loro
speciale linguaggio.
A prima vista “Storia randagia” può
apparire un albo difficile, di ampia interpretazione, di senso astratto, ma è
proprio questo il suo fascino. Ci ricorda un po’ i film onirici felliniani, o del
più contemporaneo regista serbo Kusturica, con il suo “Tempo dei gitani”,
gente che si sposta, che migra alla ricerca di chissà cosa, e che alla fine capisci che si muove senza un motivo,
solo perché interessata a farlo. Insomma “Storia randagia” sembra essere
un viaggio a sorpresa dove la mèta la
conosci solo alla fine. Un libro per
grandi che hanno voglia di emozionarsi e per piccoli che iniziano a scrivere la propria storia.
[email protected]
ALFREDO STOPPA, LIBRAIO
Alfredo Stoppa è stato per più di 25
anni libraio, e nel 1988 decide di
fondare una casa editrice. La sua
dedizione è verso i libri illustrati di
qualità ne quali le parole scritte o
disegnate sappiano narrare una storia comune fatta di rimandi, fughe,
adesioni e lievi tradimenti.
“C’era una volta” è riuscita a portare in Italia autori come Lisbeth
Zwerger, Kveta Pacovska (premi internazionali Andersen 1990 e 1992)
e Roberto Innocenti (uno dei più affermati illustratori in campo internazionale). 45
Nati per la musica
Musica da piccoli
per avere una marcia in più
I bambini sono sensibili a suoni e musica,
imparano in fretta e formano un’identità musicale
Cecilia Pizzorno
Docente di musica,
Lavagna (GE)
Manuela Filippa
Coordinamento nazionale
NPM, Aosta
N
ati per la Musica (NpM www.natiperlamusica.it) è un
progetto nazionale che si propone di sostenere attività
che mirino ad accostare precocemente il bambino al mondo dei suoni e alla musica. La musica ha un fondamento
antico nel nostro essere uomini e donne; risponde a esigenze profonde ed essenziali, quali il bisogno di incontro e
di unione fra gli individui; esercita funzioni vitali nella comunicazione, per esempio, fra genitore e bambino.
MUSICA FIN DA PICCOLISSIMI
Quando si parla di musica per i bambini molto piccoli
non si fa solo riferimento alle attività musicali organizzate, ma a tutta una serie di utilizzi informali della musica
che fanno parte della relazione fra i bambini e i loro genitori e che la rendono unica.
Imparare a “fare musica” fin da piccolissimi ha degli effetti sullo sviluppo dei bambini che sono ormai scientificamente documentati: le esperienze vissute nella prima
infanzia possono migliorare le abilità percettive e la memorizzazione e rendono il bambino più capace di distinguere stimoli ed esperienze; queste competenze, una volta acquisite, saranno trasferite con facilità e immediatezza ad altre sfere dell’apprendimento.
I genitori che, insieme ai loro bambini, si dedicano ad
ascoltare e a memorizzare i suoni che provengono dall’ambiente che li circonda (il canto degli uccelli, lo scorrere dell’acqua, il ticchettio dell’orologio, il traffico per la
strada) sviluppano le loro capacità di discriminazione e
di ascolto, oltre che di osservazione attenta del paesaggio
sonoro.
La musica poi, non dimentichiamolo, è uno strumento eccezionale per esprimere sensazioni ed emozioni (forse il
più efficace): il bambino che “fa musica” perciò ha marcia
e possiede un prezioso strumento non verbale per comunicare con gli altri e con il mondo circostante; il potenziamento delle abilità comunicative, immaginative e creative
rappresenta dunque uno dei punti forti di una buona educazione al musicale. Basta ascoltare un bambino di pochi
mesi che “canta” le sue “canzoni” per capire come l’attitudine per il suono sia una predisposizione propria dell’essere umano, ma saper memorizzare melodie complesse, con
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o senza parole, e saperle ripetere a distanza di tempo è il
risultato di un esercizio costante della memoria e delle capacità di attenzione e concentrazione. L’elemento musicale è costituito da strutture e forme che si sviluppano nel
tempo: imparando a conoscerlo il bambino sviluppa anche
una consapevolezza dell’elemento temporale. Infine, l’abitudine a prestare attenzione al paesaggio sonoro o a brani
musicali, favorisce non solo lo sviluppo della capacità stessa di ascolto, di discriminazione e di memorizzazione sonora, ma anche la capacità di prestare attenzione ad un’altra eccezionale sensazione sonora: il silenzio.
TUTTI I GENITORI POSSONO FARE MUSICA
Anna, mamma, chiede: Tutti i genitori sono in grado di
“fare musica” con il proprio bimbo? È necessario essere
musicisti?
Elisa, educatrice di nido, aggiunge: Come fare musica
con i piccoli? Quale musica? Cosa cantare? Quali attività? Come proporle in modo appropriato?
Daniele, pediatra: Come ascoltano la musica i bambini?
Quali reazioni suscitano le stimolazioni sonore proposte?
Enrica, bibliotecaria: È necessario avere strumenti musicali, impianto stereo, materiali specifici e spazi ampi?
Ci sono libri che mi possano aiutare nell’organizzare
un’attività musicale con i piccoli?
È difficile rispondere in modo esaustivo a tutte queste
domande che sono, in realtà, solo alcune di quelle che si
sente fare chi si occupa di bambini. Molti di loro si sentono inadeguati perché non sono musicisti. Errore: la
musicalità di ciascun individuo si esprime nelle diverse
manifestazioni legate a esperienze concrete, fisiche e
sensoriali e non dipende solo dalle sue competenze musicali; l’abilità di raccontare una storia sonora può maturare anche dall’esperienza, magari aiutata da una formazione ad hoc.
CHIUDETE GLI OCCHI E PENSATE ALLA MUSICA…
Se ciascuno di noi soltanto si concentra su quello che per
lui significa la parola musica, immediatamente vengono in
mente ricordi, si rivivono situazioni, anche lontane, legate
a momenti particolari della vita: le ninne nanne, le storie
cantate, le conte di quando eravamo bambini, i giochi di
movimento che si facevano con gli amici in cortile, le canzoni inventate per particolari situazioni. Pensiamo a quanti suoni spontanei animano ogni momento i luoghi frequentati dai bambini; le case, le auto, gli asili nido, le ludoteche e le scuole dell’infanzia custodiscono, infatti, vivaci
giochi esplorativi e curiosi giochi simbolici. La costruzione
dell’identità sonora di ogni bambino si arricchisce, giorno
dopo giorno di nuovi fonemi, di vocalizzi spontanei che accompagnano gestualità, movimenti o situazioni di gioco.
L’impronta sonora di ciascuno si impreziosisce e si diversifica da quella degli altri, in una sorta di continuitàdiscontinuità che viene dal vivere in un certo nucleo familiare, dallo scambio, anche sonoro, con i suoi piccoli
amici e dai suoni dell’ambiente che lo circonda. Il bambino fa conoscenza della realtà che vivendo esperienze
plurisensoriali, sintonizzandosi così con il mondo.
Se poi fin dai primi mesi di vita un bambino “ascolta” diversi tipi di musica, provenienti da culture diverse, imparerà, con la stessa naturalezza con cui impara a parlare, a
distinguere differenti metriche musicali: sappiamo infatti
che i neonati di 6 mesi percepiscono le variazioni metriche, sia negli stimoli complessi che in quelli semplici, e che
questa abilità già a 12 mesi cala sensibilmente. La familiarità con melodie e ritmi, la cultura d’appartenenza, sono i
fattori che principalmente influenzano l’elaborazione successiva del ritmo: l’attenzione che si pone quindi nel favorire l’ascolto di musiche di diverse culture non può che influenzare la sensibilità musicale del futuro ascoltatore.
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COMPETENZA MUSICALE E IDENTITÀ
Ciascuno di noi ha una competenza musicale che consiste, pur usare la definizione del semiologo Gino Stefani
nel “sapere, saper fare e saper comunicare mediante
e/o intorno alla musica”, e questa competenza si amplia di giorno in giorno, per tutta la vita, e rispecchia
l’esperienza personale, i gusti, le affinità, le simpatie,
fino a rappresentare identità musicale di ciascuno.
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Giocare e stare insieme
Arancia, Limone, Mandarino...
Saltare con la corda: si comincia a 5 anni e poi… avanti fino ai 90
A
Maria Cristina Stasi
Esperta di cultura ludica,
Torino
rancia, limone, mandarino, parole che potrebbero far
pensare ad una fresca macedonia. Chi ha alle spalle
un’infanzia di giochi di strada e di cortile, invece, coglierà di sicuro la suggestione della filastrocca usata per
accompagnare i pomeriggi passati a saltare con la corda.
Eppure questo gioco sembrerebbe quasi scomparso, rintracciabile ormai solo nel ricordo della generazione del
baby boom.
Il gioco della corda diviene straordinariamente popolare
in Europa tra il 1600 ed il 1700. Entra presto a far parte
della tradizione anche per la facilità nel reperire l’ingrediente di base, uno spezzone di corda che più o meno si
poteva trovare in ogni casa. In alternativa potevano essere usati anche rami di rampicanti come il luppolo.
Oggi le corde per giocare si trovano sul mercato a una
modica cifra, ma può bastare un tiro di corda di un paio
di metri, che ogni bambino adatterà alla sua altezza avvolgendola attorno al palmo della mano.
Giocare a saltare la corda richiede capacità motorie,
coordinamento e molta attenzione, anche se con la pratica e un po’ di allenamento diventa alla fine un movimento quasi naturale come quando si va in bicicletta. Aumentando le difficoltà del gioco si mettono alla prova capacità di concentrazione e resistenza. Qualcuno lo consiglia anche come metodo per dimagrire. Si può giocare da
soli o con gli amici. Si può iniziare a proporla dai cinque
anni e andare avanti fino ai novanta e più.
ALCUNE PROPOSTE DI GIOCO
All’inizio i bambini giocano a saltare da soli, dato che devono imparare. Si salta con i due piedi uniti o alternati,
si fa girare la corda, si inizia e si conta (uno, due, tre,
quattro...) e così via finché non si sbaglia e si ricomincia.
I bambini sperimentano: salto e mentre sto facendo girare la corda la incrocio davanti a me entrandoci dentro,
oppure provo a saltare facendo girare la corda indietro.
Ma una volta imparato si può giocare anche in gruppo:
parte un giocatore e conta quanti salti riesce a fare senza
mai sbagliare, appena un giocatore sbaglia tocca a un altro e così via, vince chi ha fatto più salti oppure prima di
iniziare ci si dà un numero di salti da fare (per esempio
se si è all’inizio dieci e poi si aumentano quando aumenta l’abilità). Un bambino può fare da arbitro e contare i
salti oppure si contano tutti insieme, pian piano si aggiungono alcune varianti, l’incrocio, saltare con due piedi o si salta andando avanti.
Altro gioco è saltare in due, si formano coppie di bambini che chiaramente devono avere più o meno la stessa altezza e la capacita di seguire l’altro, i due bambini si mettono di fronte e a turno girano la corda, quando sbagliano sarà l’altro a far girare la corda. Questo gioco a coppie
richiede affiatamento e capacità di sincronia.
IN GRUPPO
La corda deve essere il doppio di quella che viene utilizzata
da soli, due bambini tengono l’estremità della corda, il centro della corda deve toccare per terra, un giocatore si mette
vicino alla corda in centro e gli altri due giocatori danno il
via e iniziano a girare. Quando il giocatore che salta sbaglia,
dà il cambio a uno dei compagni. Pian piano si inseriscono
delle varianti: quella “Sale e pepe”, per esempio, prevedere
che i giocatori che fanno girare la corda andranno più veloci se dicono pepe e più lenti se dicono sale.
Sempre in gruppo si dicono delle cantilene che cambiano
a seconda dei Paesi. Nella nostra tradizione si andava
avanti dicendo: arancia, limone, mandarino, sempre con
qualcuno che contava i giri. Ma non erano importanti solo i salti fatti, si valutavano altre abilità come, per esempio, entrare nel gioco mentre la corda sta girando insieme all’altro giocatore che sta già saltando, oppure provare a partire in due, poi in tre e così via.
Poi quando se ne ha abbastanza e la corda è robusta, si
può usare per giocare al tiro alla fune.
Si gioca all’aperto su un terreno pianeggiante per non
dare vantaggi o svantaggi alle squadre, partecipano al
gioco due squadre, si cerca di avere giocatori di egual
forza oppure età e le squadre sono composte dallo stesso
numero di partecipanti, si fa un segno per terra e uno
sulla fune e si fanno combaciare, a questo punto i giocatori si preparano per essere pronti a tirare la fune al via
che viene dato da un arbitro designato dalle due squadre.
Al via devono tirare la fune dal loro lato, vince chi fa superare la riga che si trova per terra alla squadra avversaria.
[email protected]
PER SAPERNE DI PIÙ
Marco Fittà, Giochi e giocattoli nell’antichità, Leonardo
Arte 1997
Evaldo Serpi, Giochi e passatempi di una volta. Progetto Lavoro SCS, Poggibonsi 2005
Franco Piccinelli, Tre civette sul comò, Newton Compton 1990
Salto acrobatico da campioni con la corda a suon
di musica:
guarda qui
Salto con la corda tutti insieme appassionatamente
nelle strade e nelle piazze:
guarda qui
Se poi volete imparare 30 trucchi per saltare meglio,
guardate qui
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Vengo anch’io
Chi ha inventato
la campana?
Alla scoperta
di un “giacimento culturale”
La Processione dei Gigli a Nola
uesta che proponiamo è una
gita non solo inconsueta ma coraggiosa. Il luogo si trova
nel Sud devastato
dagli abusi edilizi e
dal malcostume dei
Rossella Faraglia
cosiddetti
goverStorico dell’Arte, Roma
nanti che non conoscono più e non
sanno curare i propri tesori. Muove dalla considerazione
di Peppino Impastato, come ce l’ha raccontata Marco
Tullio Giordana nell’indimenticabile dialogo de “I Cento
Passi”: “Non ci vuole niente a distruggere la bellezza [...]
è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto. E allora bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la
bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla”.
Lasciamo perdere i luoghi precisi e ordinati, portiamo i
nostri figli a vedere Cimitile, sobborgo di Nola, nella regione dolente, ferita e malinconica che un tempo era la
Campania Felix. Portiamoli a vedere un luogo unico e
sorprendente per profondità di storia e di fede (per chi
crede, valore aggiunto) e proviamo con loro a mettere
sulla bilancia la bellezza accanto all’incuria. Perché un
“giacimento culturale” è anche questo, non solo le Ville
Venete o il Colosseo.
Verso la fine del IV secolo giunse S. Paolino, detto da
Nola anche se era nato a Bordeaux, il cui attributo iconografico è una campana perché si dice che ne fu l’inventore. Stabile gloria della città, in suo onore ogni 22 giugno
si celebra la spettacolare festa dei Gigli, con macchine alte fino a 25 metri. San Paolino vuole fare più bella la
chiesa in cui è sepolto Felice, scrive a S. Ambrogio, S.
Agostino, S. Girolamo, la crème de la crème degli intellettuali del tempo insomma, per farsi dare dei consigli su
come fare la chiesa. La riorienta, apre nuove porte, sposta l’abside. Vi chiederete: ma come si fa a capirci qualcosa ? Risposta: non ci si “capisce” nulla, ma si ha la sensazione di muoversi in un luogo vivo, nonostante l’origine cimiteriale e questo perché – a differenza della gran
parte dei luoghi iper-sfruttati – si ha l’impressione di
scoprirlo per la prima volta, aprendo le porte dei vari
ambienti, scendendo le scale verso i loculi, sotto il pavimento della chiesa, ammirando praticamente da soli colonne, capitelli, marmi antichi (bellissimi, presi dalle ville romane dei dintorni), mosaici blu e oro che ricordano
moltissimo quelli di Ravenna. E poi c’è Enzo Rozza, il custode, discreto e informato che vi racconterà fatti e leggende, come quella di San Gennaro, proprio lui, quello di
Napoli, che qui a Cimitile subì una parte del martirio,
per ordine di un perfido giudice di nome Timoteo: buttato nella fornace, ancora esistente, ne uscì naturalmente
indenne.
COS’È CIMITILE ?
Il nome viene da cœmeterium, il cimitero pagano di Nola, da cui distava meno di un chilometro, che inizia a essere utilizzato sul finire del II secolo dopo Cristo. Nell’area di questa necropoli pagana venne sepolto in epoca
cristiana il sacerdote Felice, uomo pio e umile. Fu molto
amato e la sua semplice tomba, un po’ come accadde a
quella di San Pietro, venne presto isolata rispetto alle altre e abbellita con un piccolo monumento marmoreo.
Questa “memoria” divenne il cuore di una basilica che
inglobò il piccolo monumento e si sovrappose alla necropoli. Altri monumenti sorsero intorno, e già allora si configurò in Cimitile un complesso tra i più importanti dell’epoca paleocristiana in Italia.
[email protected]
Q
50
PER CHI NON HA IL TOM TOM
Cimitile si raggiunge con l’Autostrada A1 Roma-Napoli;
uscita Caserta Sud; A30 fino a Nola, poi per Cimitile; indicazioni stradali per “Basiliche paleocristiane” da
prendere con le molle. Chiedere ai passanti, molto
gentili e precisi.
Posta & risposta
E poi lo chiamano amore
Chi aiuta le mamme ad aiutare i bambini?
E chi aiuta le mamme che vogliono allattare o donare le staminali
del cordone ombelicale?
ggi Martina (dieci anni) si è svegliata con la febbre alta,
brividi, mal di testa; a scuola non può certo andare!
“Chi rimane a casa?”. Mio marito non può, anzi deve
scappare al lavoro, nessuna baby-sitter, le ho avvertite
con troppo poco anticipo. Va bene, resto io con la mia
“piccola” (perché è “piccola”!). Ora chiamo e avverto al
lavoro; non saranno contenti, avevo una riunione alle
9.30. Prendo il telefono, mi fermo, esito, penso… “E cosa dico?” “Che cosa prendo?”. Che possibilità ho? Martina ha dieci anni, non ho più i “permessi per malattia figlio”, neppure quelli non retribuiti. Vediamo le “bugie”
che potrei raccontare (ma non l’ho mai fatto e mai lo
farò, lo so già).
Potrei chiedere al mio pediatra di farmi un certificato
per Giulia (che ha sei anni), potrei dire che sta male lei,
prendere il permesso per malattia figlio e farmi togliere
dallo stipendio 60 euro, per un giorno a casa. Ma è una
“bugia”, non posso chiedere al mio pediatra di produrre
una dichiarazione falsa e non mi va di dire una cosa per
un’altra, al lavoro.
Potrei chiamare il mio medico curante e dire che sto male io, un’altra “bugia” a mia disposizione. Ma vale lo stesso: dovrei chiedere al mio medico di produrre una certificazione falsa e io stessa devo dire falsità.
O
Vediamo le altre possibilità a mia disposizione che non
mi facciano crescere il naso, come Pinocchio. Potrei
prendere un permesso retribuito, ecco, sì! No, no, non
posso, ho solo due giorni residui e devo utilizzarli giovedì
e venerdì per portare Chiara in ospedale per il follow-up
annuale cardiologico. Non posso.
Potrei prendere un giorno di “riposo compensativo”, ma
le ore che ho cumulato non sono sufficienti e questo permesso deve essere comunicato con anticipo e firmato dal
Direttore dell’Ufficio. Potrei comunicare che oggi prendo
un giorno di ferie. Sì, ne ho da parte alcuni. Ma vale lo
stesso che per il “riposo compensativo”. Infatti, il “congedo ordinario” (questo il nome esatto delle “ferie”) deve
essere comunicato in anticipo, approvato e firmato dal
Direttore dell’Ufficio.
Il male minore è questo, prendo un giorno di ferie, ben cosciente di essere in difetto, che dovrò scusarmi e sperare di
non subire un “richiamo” dalla mia Amministrazione.
E me lo chiami amore? Il mio amore di mamma (e di
tante mamme come me) non è in discussione qui, al solito: siamo sempre presenti, là dove i nostri bambini hanno bisogno e non solo. Non saprei a chi rivolgere questa
domanda, senza sembrare scontata, banale o facinorosa:
allo Stato? A chi fa le leggi? A chi tutela la famiglia? (in
realtà saprei bene con chi dovrei prendermela, ma lascio
a ognuno la libertà di individuare le varie mancanze, in
tema di legislazione, in questo ambito).
Però questa domanda voglio porla; perché si rifletta: desideriamo questi figli, li diamo al mondo e poi? Qualcuno si accorge che i bambini sono preziosi per tutti, non
solo per i propri genitori? Qualcuno ha lo sguardo sincero per condividere questi pensieri?
Elvira Rizzuto, [email protected]
Un commento al volo: giuste le osservazioni di Elvira,
però…
Quante sono le mamme “garantite” come lei che si trovano di fronte a questo dilemma? E quante invece non
hanno dubbi perché non hanno neppure garanzie?
Vincenzo Calia – [email protected]
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ALLATTARE DUE GEMELLI? SI PUÒ
Sono mamma di tre adorabili bambini: Ludovica, cinque
anni e Sebastiano e Angelica, due gemellini di quasi anno.
Quando mi hanno annunciato che la mia seconda gravidanza era gemellare, fra le varie preoccupazioni del caso
(non poche!), subito mi sono chiesta se sarei riuscita ad
allattarli entrambi. Avevo allattato Ludovica esclusivamente al seno per sette mesi e continuato a farlo fino ai
suoi due anni di vita. L’esperienza era stata profondissima e travolgente e, da allora, sono sempre stata una sostenitrice dell’allattamento al seno, ma non conoscevo
nessuna mamma di gemelli che l’avesse fatto. Durante i
mesi dell’attesa mi sono documentata, contattando anche una Doula della mia zona e una consulente della Leche League, e mi sono convinta e motivata a cercare di
ripercorrere con i due piccolini l’esperienza già vissuta in
precedenza.
52
La ginecologa che mi ha seguito durante la gravidanza
mi ha anticipato che sarebbe stata molto dura, che probabilmente le mie sole risorse non sarebbero bastate, ma
mi ha anche assicurato che la motivazione della mamma,
in questi casi, vale più di mille statistiche. Non mi restava che aspettare l’arrivo dei piccoli.
Sebastiano e Angelica sono nati alla 38esima settimana
grazie a un parto naturale. Appena nati sono stati attaccati al seno e il rooming in praticato dall’ospedale ha facilitato l’attaccamento dei bimbi. Appena potevo li avvicinavo al seno e mi rendevo conto che entrambi succhiavano correttamente, sia i primi giorni in ospedale, sia al
nostro rientro a casa.
Immaginatevi la mia delusione quando, alla prima visita
pediatrica, a solo 48 ore dalle dimissioni, mi è stato detto che i bambini non stavano crescendo a sufficienza e
che sarebbe stata necessaria la somministrazione di
un’aggiunta di latte artificiale. Non volevo arrendermi
all’idea di non poterli allattare esclusivamente con il
mio latte.
Fortunatamente, mi è stato molto utile il suggerimento
dell’ostetrica che mi ha seguita durante il parto. Mi ha detto
di non scoraggiarmi e di dare loro una piccolissima aggiunta, ma soltanto la sera e per un paio di giorni al massimo,
affinché si rinforzassero un po’, ma senza abituarsi. Mi ha
suggerito, inoltre, di dargliela con un piccolo cucchiaino anziché con il biberon. Io, nel frattempo, avrei dovuto bere
moltissimo, fino alla nausea: tisane, acqua, succhi di frutta,
fino a tre o quattro litri al giorno. E, naturalmente, attaccarli
al seno continuamente.
Sono tornata a casa e ho fatto come lei mi aveva detto.
Alla seconda visita, dopo nemmeno una settimana, le pediatre sono rimaste sbalordite nel vedere quanto i bambini fossero aumentati di peso. Ero orgogliosissima di
me stessa e anche di loro. Non era stato semplice, ma per
il momento ero riuscita nel mio intento. Pur dovendo badare alla nostra primogenita e a tutte le faccende domestiche legate all’arrivo di due piccoli, li stavo nutrendo
esclusivamente con il mio latte.
Quasi tutti gli operatori sanitari con i quali ho avuto modo di parlare in questi mesi (direi 9 su 10) mi hanno garantito che il mio latte prima o poi sarebbe stato insufficiente, che non sarebbe bastato. Se non avessi vissuto così positivamente il periodo dell’allattamento con la mia
prima figlia, sono più che certa che questo avrebbe influito negativamente sulla mia autostima e mi avrebbe
spinto a desistere. Invece ho introdotto le prime pappe
solo a sei mesi, senza rinunciare alla somministrazione
del mio latte.
La mia testimonianza è rivolta a tutte le donne che
aspettano due gemelli. Vorrei dire loro che, se lo desiderano davvero, possono riuscire ad allattarli entrambi
esclusivamente al seno, che saranno fortemente osteggiate non solo dalla gente comune, ma anche dagli operatori sanitari: il pediatra di famiglia si è dovuto ricredere: ogni volta che mi vede mi chiede: “Sta allattando ancora?” e ride, ancora più incredulo, quando io sorrido e
gli rispondo “Certo!” Che all’inizio sarà durissima e
avranno la sensazione di stare con il seno all’aria dalla
mattina alla sera, ma che far crescere due gemelli con il
proprio latte si può.
Gisella Novello,
[email protected]
EPPUR SI DONA!
Ho letto con interesse l’articolo sulla donazione del sangue cordonale (sul numero 3, 2014) e l’esperienza di Elisabetta da Trieste.
Vorrei aggiungere la mia esperienza: con il primo figlio,
nato nel 2011, ho riscontrato anch’io una forte ostilità da
parte delle ostetriche (non tutte, a dire il vero) e ho quindi dovuto raccogliere le informazioni da sola. All’ospedale l’organizzazione mi è sembrata carente ma per fortuna
ho avuto il contatto di un medico che con molta chiarezza e pazienza ha risposto a tutte le mie domande. Ho
quindi fatto gli esami del caso e il colloquio informativo.
Ma anche nel mio caso dopo la nascita del bambino le
ostetriche si sono dimenticate della donazione. Sono
convinta che fossero in buona fede e che il problema sia
stato soprattutto organizzativo.
A distanza di 30 mesi ho ritentato l’esperienza con la mia
seconda bambina. Questa volta tutto è andato liscio. Colloquio svolto direttamente in sala parto a 34 settimane,
nessuna lungaggine burocratica e personale disponibilissimo. Durante il travaglio è stata subito segnalata la mia
intenzione di donare e così è stato. Dopo l’espulsione la
bambina mi è stata comunque appoggiata sul petto, io
naturalmente non mi sono accorta di nulla, il papà ha
potuto seguire orgoglioso il prelievo e la bambina, che
oggi compie tre settimane, non mostra alcun segno di
trauma. A Trieste quindi donare si può.
Luisa Vigini, [email protected]
Avviso per i lettori. Attenzione: si sta parlando della donazione del sangue del cordone ombelicale, messo gratuitamente a disposizione di tutti in una “Banca” pubblica in Italia; la conservazione per uso personale del cordone all’Estero è una pratica vietata dalla legge, inutile
e costosa: ai limiti della truffa.
53
Radio Magica
Sotto questo sole,
bello ascoltare
La prima radio-biblioteca digitale
Redazione di Radiomagica
Trieste
ltimi scampoli
di ferie, ancora
un po’ di meritato
relax e poi si torna
tutti a scuola! Radio Magica, la prima radio-biblioteca
digitale d’Italia, continua a proporre i suoi contenuti di
qualità con un occhio attento al cambio delle stagioni e
alle abitudini e interessi di bambini e ragazzi.
In onda ogni giorno, dalle ore 7 alle ore 19, Radio Magica
mette a disposizione come sempre un palinsesto eclettico, fra classici della letteratura, storie nuove di zecca,
programmi radiofonici per tutti i gusti e buona musica.
Fino al 15 settembre (data d’inizio del palinsesto autunnale) continuiamo a goderci l’estate ascoltando “Con le
pinne, i braccioli e Minù” (da lunedì a venerdì, alle 10.00
e alle 16.00), un programma dedicato ai bambini della
scuola dell’infanzia e alle mille divertenti proposte per i
giochi da spiaggia. Protagonista assoluta la gattina Minù,
amatissima dai piccoli ascoltatori di Radio Magica per la
serie “A casa con Minù”, aiutata in questa nuova avventura da Ugo il Paguro.
Ad accompagnare i bambini della scuola primaria, fino al
15 settembre, c’è anche “In vacanza con Fata Priscilla”,
trasmissione realizzata con la preziosa collaborazione
dello Gnomo Arturo, mentre per i più grandicelli vi proponiamo le repliche della seguitissima “Intorno al mondo con Pepe Pinzimonio”, l’appuntamento con lo chef
più goloso d’Italia, la saggia Nonna Rana e le ricette più
curiose del mondo (ogni sabato, alle 12.00 e alle 18.30).
E per scacciare la malinconia da fine vacanze? Radio Ma-
U
RADIOMAGICA
Nata nel 2010 da un progetto di spin-off dell’Università
Ca’Foscari di Venezia, Radio Magica sfrutta i dispositivi
digitali per offrire a bambini e ragazzi (anche con bisogni educativi speciali) programmi e storie di qualità,
curati da professionisti dello storytelling ed esperti dell’età evolutiva, per diffondere la cultura dell’ascolto
attivo, da zero a tredici anni.
Fondazione Radio Magica Onlus: fondazione.radiomagica.org
Web radio e Biblioteca online: www.radiomagica.org
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gica, a partire dal 15 settembre, ha in serbo una serie di
sorprese per tutti i bambini.
LA SCUOLA ALLA RADIO
Gli studenti della scuola elementare verranno coinvolti,
infatti, in un divertente spazio dedicato ai contenuti “dal
basso”: classi intere saranno invitate a scrivere dei temi,
secondo un’indicazione della nostra redazione, e gli elaborati verranno letti da attori professionisti, messi in onda sulla web radio e disponibili nella nostra biblioteca.
Sempre nella biblioteca magica, continueremo a pubblicare mensilmente nuove storie e nuovi adattamenti radiofonici, ospitati nelle nostre ormai celebri casette animate: questo mese toccherà a “La tartaruga e il granchio” (Ed. La Coccinella), “Che tempo fa?” (Interlinea
Edizioni), “Anch’io vado a scuola” e “I primi giorni con
mamma e papà” (Kite Edizioni), “Storie di fantasmi per
il dopocena” (Biancoenero Edizioni) e due nuovissime
avventure della collana “Oscar dove sei?” (EDT - Giralangolo).
Per quanto riguarda l’autunno le anticipazioni non sono
finite! Vi vogliamo svelare in anteprima che fra poche
settimane Radio Magica annuncerà la sua partecipazione
alla Venice Marathon 2014, in programma a Venezia il
29 ottobre. La nostra Fondazione ha aderito al Charity
Program (alcuni runner correranno per sostenere la nostra causa benefica) e ha organizzato delle strabilianti
iniziative dedicate allo storytelling e ai bambini lungo il
percorso della corsa. Per sapere tutto, consultate periodicamente il nostro portale!
li
o
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pi
ù
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p
i
La rivista per
Ogni mese storie da leggere insieme, giochi,
oggetti da costruire; e poi rubriche sull’arte e sugli animali
e un sito ricco di materiali per bambini, genitori e insegnanti.
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