pediatra per amico bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani Realizzato e diffuso con la collaborazione dell’Associazione Culturale Pediatri Anno XIV n. 4/2014 - Euro 3,50 un Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. I, comma I, DCB ROMA Aut. n. 15/2009 Celiachia: tutto quello che c’è da sapere Editoriale Celiachia, celiachia… hi non ha almeno un celiaco nella cerchia delle proprie conoscenze? E chi non conosce almeno una persona che, pur senza essere celiaco, si astiene dal consumare alimenti Vincenzo Calia che contengono il Pediatra di famiglia, Roma glutine? La storia di questa intolleranza (che non è una malattia, come spiega molto chiaramente lo speciale contenuto in questo numero di UPPA) è molto interessante. Pare che la celiachia esista da sempre, cioè da quando fu introdotta la coltivazione del grano e questo cereale diventò la base della nostra alimentazione: era temuta perché dava diarrea e scarso assorbimento intestinale. Ma solo dopo la Seconda guerra mondiale fu possibile stabilire un collegamento fra questi disturbi e il glutine, una sostanza presente nella farina di grano. A chi, come me, studiava medicina alla fine degli anni sessanta si insegnava che per evitare il “malassorbimento” sarebbe stato meglio rimandare a lungo l’introduzione delle farine contenenti glutine nell’alimentazione e che la sospensione dell’assunzione di questi alimenti comportava la guarigione e consentiva la successiva reintroduzione del glutine nella dieta, sicché molti che oggi sono in età adulta raccontano di “essere stati celiaci” da bambini. La frequenza di questo disturbo sembrava anche avere una strana distribuzione: raro in America, al centro dell’attenzione in Europa, inesistente in Asia. Tutto lasciava credere che si trattasse di una di quelle malattie “di moda”, che ogni tanto vengono all’attenzione della comunità dei medici, diventano oggetto di studi, congressi e discussioni accanite, per poi finire nel dimenticatoio (non sembri strano ai nostri lettori, ma la storia della medicina è piena di queste vicende). C E invece non era così: il progresso delle conoscenze, a cui la medicina italiana ha dato un contributo tutt’altro che marginale, ci ha portato a conoscere in profondità questo fenomeno e oggi sappiamo che la diarrea e il “malassorbimento” sono solo la punta dell’iceberg: la parte maggiore è fatta di un’infinita varietà di danni agli organi e ai tessuti, che possono manifestarsi in mille modi o addirittura restare silenti per decenni. E così sappiamo che in America era un fenomeno raro perché nessuno si prendeva la briga di cercarne i sintomi, mentre in Asia era sconosciuto perché lì si mangia riso e l’alimentazione è “naturalmente” senza glutine. Così, mentre la scienza progredisce, la parola “glutine” diventa popolare e la ricerca di un’alimentazione sempre più “salutare” porta a un paradosso: i celiaci che seguono una dieta fin da piccoli rischiano, crescendo, di non riuscire a tollerare le limitazioni dietetiche che gli vengono imposte, mentre chi celiaco non è va alla ricerca spasmodica di alimenti gluten free. Un fenomeno spiegato in parte dalla maggiore digeribilità dei cereali privi di glutine (come leggerete nello “speciale”). E alla fine la celiachia ci appare per quello che è: il paradigma di una medicina moderna che, avendo debellato le malattie più gravi e diffuse (almeno nei Paesi ricchi come il nostro), si dedica al miglioramento continuo delle condizioni di salute alla ricerca e all’eliminazione dei fattori di rischio più reconditi e misteriosi, con l’aiuto delle tecnologie diagnostiche più moderne, della genetica e della statistica. Con l’obiettivo, sempre più dichiarato, di allungare e migliorare all’infinito la nostra vita. Che fortuna che abbiamo avuto di nascere ora e qui! [email protected] 3 Anno XIV numero 4/2014 foto di copertina Archivio UPPA un pediatra per amico www.uppa.it SOMMARIO Bimestrale per i genitori scritto e diffuso dai pediatri in collaborazione con L’Associazione Culturale Pediatri direttore responsabile Vincenzo Calia referente dell’Associazione Culturale Pediatri Laura Reali hanno scritto su questo numero Vincenzo Calia, Costantino Panza, Paolo Roccato, Vitalia Murgia, Paolo Siani, Carlo Corchia, Tommaso Montini, Daniele Novara, Elena Uga, Luigi Greco, Andrea Satta, Anna Rita Marchetti, Cecilia Pizzorno, Manuela Filippa, Maria Cristina Stasi, Rossella Faraglia coordinamento redazionale e raccolta immagini Sonia Bozzi ufficio abbonamenti Lorenzo Besson, Daniela Mantuano ritratti Francesca D’Ottavi illustrazioni dello speciale Federica Fruhwirth impaginazione Phanes srl - Roma redazione piazza Armenia 10 - 00183 Roma telefono 06.89.01.46.22 - fax 06.70.49.75.87 stampa Artigrafiche Boccia spa - Salerno abbonamenti: annuale euro 21,00 - biennale euro 35,00 c.c. postale n° 93275550 intestato a Un pediatra per amico sas editore Un Pediatra Per Amico s.a.s. - www.uppa.it Concessionarie per la pubblicità: QuickLine sas Via Santa Caterina da Siena, 3 34122 Trieste - Tel. 040.77.37.37 Ombretta Bolis - [email protected] L’IVA è considerata nel prezzo di vendita ed è assolta dall’Editore ai sensi dell’art.74, primo comma, lettera C, DPR 26/10/1972 n° 633. 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Il Nido è meglio di Daniele Novara 46 INSERTO ILLUSTRATO NATI PER LA MUSICA Musica da piccoli per avere una marcia in più di Cecilia Pizzorno e Manuela Filippa KuRuRu, il figlio del sole Testi di Luigi Dal Cin Illustrazioni di Benedetta Giaufret ed Enrica Rusinà 30 48 GIOCARE E STARE INSIEME Arancia, Limone, Mandarino... di Maria Cristina Stasi SPECIALE: CELIACHIA La celiachia non è una malattia a cura di Elena Uga con la collaborazione di Luigi Greco 50 VENGO ANCH’IO Chi ha inventato la campana? di Rossella Faraglia 33 Quattro domande, quattro risposte e quattro ricette 51 POSTA & RISPOSTA Ancora sulle allergie 39 VIA LE ROTELLE Saltellando sul marciapiede 54 RADIO MAGICA Sotto questo sole, bello ascoltare di Andrea Satta 40 di Redazione Radiomagica LA PAROLA AI GENITORI Una scuola che non è una scuola di Francesca 42 LO SO FARE ANCH’IO Il dentifricio di Elena Uga 43 LETTURE PER GENITORI Mangiare e dintorni di Vincenzo Calia 44 NATI PER LEGGERE Non solo in vacanza di Redazione Nati per Leggere 45 NATI PER LEGGERE La poesia del libraio di Anna Rita Marchetti ERRATA CORRIGE Sul numero 3 di UPPA (maggio-giugno) a pag. 43 c’è un errore nel sottotitolo: il cognome dell’autrice del libro “Parole di scuola” è Veladiano e non Velariano. Ce ne scusiamo con l’autrice e con i lettori. Nascere Tandem o sidecar? Allattare contemporaneamente due fratellini, nati uno dopo l’altro, si può Veronica Pozza Ostetrica, Seveso (MB) P iù che le biciclette amo le moto che profumano di Harley e dico sempre che “allatterò in sidecar!” ma la sostanza non cambia. La sostanza è che ora, in gravidanza, sto allattando il mio secondo figlio e che se egli vorrà popperà poi allegramente con il nuovo nato, in Sidecar appunto o in Tandem come dicono tutti. Già il fatto che mio figlio a 16 mesi goda ancora dei mille sapori del latte materno fa vacillare i più, ma quando notano incuriositi il rigonfiamento sotto la maglia, la pancia, la casa del nuovo inquilino, allora non si tiene più nessuno e chiunque, ma vi assicuro proprio chiunque, esclama meravigliato: “Ma come, allatti in gravidanza? Non fai male al bambino?”. A questo punto io chiedo sempre “A quale bambino?”, insomma a chi dovrei far male? All’impavido poppatore che ignaro di tutto si affida alle linee guida OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), piuttosto che a quelle della salumiera del quartiere, o al piccolo, anche lui ignaro, che porto ancora nel grembo? Perché per una madre supporre di far male “alla creatura” è un bel colpo ma per fortuna sono un’ostetrica e lo accuso benissimo... lo accusano meno bene i miei interlocutori. NON CI SONO RISCHI Allattare in gravidanza nella stragrande maggioranza dei casi non è rischioso e non lo dico soltanto io. Nel 2002 l’Accademia Americana dei Medici di Famiglia ha affermato che se una donna è sana. l’allattamento in gravidanza non è rischioso ed è una decisione che spetta unicamente alla donna, cosa che dovrebbe essere scontata, ma che scontata non è: in una società come la nostra, dove ogni scelta materna è assoggettata al paternalismo medico e degli operatori sanitari in generale, mi piace ribadirlo: la decisione spetta soltanto alla donna. Diversamente da quel che tutti pensano, le contrazioni uterine non costituiscono un problema, o almeno non più di quanto avvenga in una coppia che continua l’attività sessuale. Quella che entra in gioco nell’allattamento in gravidanza è soprattutto la relazione con il “bambino che poppa” e il “bambino nel grembo” e solo la madre sa cosa sia meglio per entrambi e, soprattutto, cosa sia meglio per lei. Foto Lucia Poggiali 6 Le fisiologiche modificazioni del seno in gravidanza portano alla maggior parte delle donne che allattano durante la gestazione una ipersensibilità ai capezzoli che può essere tanto dolorosa da portarle all’interruzione delle poppate, altre volte invece è la stanchezza a condurre a questa scelta o il bisogno di “prendersi cura” del poppatore in modo diverso. Se una donna continua ad allattare in gravidanza noterà probabilmente una produzione diversa a partire dal secondo trimestre. Le modificazioni ormonali infatti portano a una diminuzione della quantità di latte e a un suo progressivo adeguamento verso le richieste del bambino che nascerà fino alla produzione di colostro in prossimità del parto. I bambini ovviamente si accorgono di queste modificazioni e si comportano di conseguenza, a volte integrando con una maggior quantità di cibi solidi, altre volte abbandonando spontaneamente il seno. A OGNI MAMMA IL SUO ALLATTAMENTO Dunque, trovo che non sia corretto far sentire in colpa una donna perché allatta in gravidanza dal momento che non ci sono studi che ne evidenzino la pericolosità. Ovviamente, precedenti parti prematuri, perdite di sangue dai genitali, contrazioni uterine o inadeguato apporto calorico sono tutti motivi per abbandonare in un modo dolce l’allattamento al seno, così come, se il bambino che poppa è ancora allattato in modo esclusivo (non svezzato per intenderci), bisogna verificare che l’apporto calorico sia adeguato e agire secondo necessità. Non sono ancora arrivata al sidecar e quando arriverò di sicuro mi farò guidare dall’istinto e dalla naturale conoscenza di madre, più che da quella accademica di ostetrica. Chi allatta in sidecar (perdonatemi ma mi piace davvero molto più che tandem, anche perché si sta uno accanto all’altro mentre in bici si sta in fila indiana) sa che la precedenza va data al nuovo nato e che potrebbe esserci un momento di transizione e adeguamento alle richieste dei bambini un po’ stressante. Il mio “bambino che poppa” è ormai a circa 2-3 poppate al giorno, nonostante l’allattamento sia per noi ancora (e da sempre) una questione di domanda e offerta, non prestabilito e a orari e sicuramente questo mi fa vivere il secondo allattamento in maniera più leggera. Vi assicuro che a oggi credo di non aver fatto nessuna scelta, ma di aver semplicemente lasciato che ciò accadesse perché sentivo che era la cosa giusta. COSA DICE LA SCIENZA Il Ministero della Salute, grazie al lavoro congiunto del proprio Tavolo tecnico operativo interdisciplinare sull’allattamento al seno, istituito con decreto nel dicembre 2012, e la Società Italiana di Medicina Perinatale (SIMP), nel marzo 2013 ha espresso in un documento le raccomandazioni su “Allattamento al seno durante la gravidanza”. In sintesi, le conclusioni raggiunte riguardo alla sovrapposizione tra allattamento e gravidanza: 1. Non c’è evidenza in letteratura di aumentato rischio di aborto. 2. Nessuna evidenza di aumentato rischio di ritardo di crescita intrauterino né di malnutrizione materna nei paesi industrializzati. 3. Possibile minor crescita del bambino allattato, documentato nei paesi a risorse limitate, ma non noto in paesi come l’Italia. Va sottolineato che il rischio, potenziale, è maggiore durante il periodo in cui il latte materno rappresenta l’unico alimento del bambino che, verosimilmente, non si sovrappone alla gravidanza. 4. Non è documentato che la suzione al seno collegata all’allattamento determini parto pretermine per attivazione di contrazioni. 5. Alcune situazioni potrebbero richiedere consigli individuali da parte dei professionisti sanitari, anche se mancano evidenze scientifiche sull’utilità dell’interruzione dell’allattamento in tali situazioni. Queste conclusioni hanno permesso di arrivare alla seguente posizione: “SIMP e Tavolo Tecnico del Ministero della Salute ritengono che per la maggior parte delle donne la coesistenza di gravidanza ed allattamento al seno risulti sicura per la madre, embrione, feto e lattante.” http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_213 6_allegato.pdf Paola Bortolazzo, Infermiera Prof.le e consulente allattamento IBCLC [email protected] [email protected] 7 Cosa c’è di vero Tempo libero: chi l’ha visto? Per un bambino “perdere tempo” può essere il modo migliore per crescere Costantino Panza Pediatra di famiglia, Sant’Ilario d’Enza (RE) M arco e Anna, cavalieri dal lungo mantello, galoppano risalendo su ripide cime tempestate di neve: dovranno combattere contro mille pericoli. Da lontano si sente una invocazione: “Ragazzi, cos’è questo baccano? Smettetela di saltare su e giù dal divano e andate a fare i compiti”. Chiara, madre alle prime armi, prepara una pappa di terra, saliva e qualche sassolino, mescolando questi preziosi ingredienti con amorevole pazienza nel palmo della mano. Infine, dopo aver chiacchierato a lungo con tutte le sue invisibili amiche, inizia ad imboccare sua figlia. Ne avrà per tutto il pomeriggio. “Cosa stai facendo con la tua bambola, bimba mia?”, chiama da lontano una voce familiare. Marco, Anna e Chiara stanno impegnando il loro tempo in giochi di pura fantasia, senza regole o apparenti finalità. Non sarebbe meglio indirizzarli a un gioco organizzato, a una disciplina parascolatica o a fare i compiti? In altre parole: per un bambino è inutile o necessario il perdere tempo? Scegliamo di rispondere a questa domanda partendo da lontano, molto lontano. UN PO’ DI STORIA Nella storia della nostra specie i bambini sono stati allevati e accuditi in continua prossimità da genitori e nonni per i primi anni di vita. Poi venivano lasciati per lo più a giocare liberamente insieme al gruppo dei bambini della tribù o del villaggio fino all’età puberale o ancora più tardi, quando, attraverso un rituale, 8 avveniva il passaggio nel mondo degli adulti. Non c’erano scuole o attività organizzate per loro durante gli anni della fanciullezza. I bambini giocavano tra di loro e il tempo libero era l’unica regola. Gli antropologi che hanno misurato in queste antiche popolazioni tribali le attività svolte dai bambini hanno mostrato che il tempo libero occupa il 70% della giornata, mentre il 30% è impegnato nella raccolta del cibo, lavori domestici e spostamenti. Solo alla fine del ‘700 sono state create le istituzioni pubbliche per insegnare a leggere, scrivere, imparare mestieri e specializzazioni: apprendimenti necessari per inserirsi nel moderno mondo del lavoro. Il mondo estremamente competitivo richiede professioni sempre più qualificate. I genitori sono quindi impegnati a offrire le migliori opportunità di crescita per i loro bambini e l'impegnano in innumerevoli attività parascolastiche e discipline sportive. In questo scenario convulso sta letteralmente scomparendo il tempo libero. I bambini hanno a disposizione sempre minor tempo per il gioco non organizzato, senza regole e con obiettivi non definiti, gioco detto anche di fantasia, dove il bambino “fa finta che”, da solo o in compagnia di altri bambini, si scollega dal mondo reale costruendo un mondo fantastico dove può indossare i panni di un supereroe, un genitore o, perché no, un mostro malvagio intrecciando una trama di cui non conosce l’inizio e la fine. A COSA SERVE IL GIOCO LIBERO? Il gioco libero permette al bambino di usare la sua creatività e lo impegna a sviluppare la sua immaginazione, coinvolgendo le sue competenze emotive, cognitive e fisiche. Questo è il gioco dove il bambino può esplorare liberamente contenuti e regole e condurre in prima persona l’attività, mentre il genitore rimane un discreto supervisore senza intervenire nelle dinamiche costruite dal bambino. Se questo gioco è partecipato da più bambini, insegna a ogni bambino a riconoscere il pensiero dell’altro, a misurarsi con il gruppo, condividere, negoziare, risolvere conflitti e gestire i propri interessi. Muoversi liberamente in questo mondo fantastico aiuta il bambino a controllare le sue paure o a mettersi alla prova, migliorando così la confidenza nelle proprie capacità e favorendo la propria resilienza, ossia la capacità di attraversare esperienze difficili senza soccombere. I bambini che costruiscono giochi liberi inventano nuove funzioni per oggetti deputati normalmente per altri usi: sono più creativi. I necessari confronti tra i protagonisti di queste storie di fantasia stimolano le funzioni linguistiche anche nei bambini che si esprimono con più difficoltà. Il gioco non strutturato migliora la capacità di risolvere i problemi, una funzione cognitiva preziosissima, utile per il controllo dell’impulsività e per pianificare e indirizzare il pensiero. Spesso i bambini scelgono per questi giochi eventi o situazioni che li hanno spaventati, sperimentando, nella finzione, diverse possibilità di comprensione e risoluzione dei conflitti; utilizzando il gioco e non situazioni concrete, il bambino può mettersi alla prova senza gestire elevati livelli di stress. Immaginatevi ora queste attività di gioco immerse in un parco, all’aperto: che esperienza per il corpo e per i sensi, oltre che per la mente! Ma quanta difficoltà: città costruite senza pensare a spazi idonei e sicuri per il gioco libero dei bambini, genitori spesso senza supporto di nonni o impegnati in orari di lavoro da incastrare con gli orari scolastici dei figli rendono la possibilità di trovare un po’ di tempo libero un orizzonte irraggiungibile. ESERCITARE LA FANTASIA Il gioco di fantasia che il bambino attua nel suo tempo libero è un potente stimolo per la mente ed è stato studiato e misurato con attenzione dalla psicologia contemporanea. Un bambino a cui sono offerte attività organizzate, giochi interattivi, libri scolastici, video o programmi per computer rischia di aumentare i propri livelli di stress e di ansia da prestazione senza un giusto bilanciamento con il gioco creativo, libero, senza regole. I genitori, nel proporre le “migliori opportunità” per il loro ragazzo rischiano di cancellare questo prezioso tempo di crescita del bambino. Oppure, si fanno irretire da messaggi pubblicitari che hanno lo scopo principale di vendere un prodotto, spacciato come un’opportunità per accrescere l’intelligenza del figlio. 9 Pensateci bene: il tempo libero dedicato al gioco senza regole e senza oggetti speciali oggi è quasi completamente scomparso: ogni frammento di tempo della giornata di un bambino rischia di essere mercificato (computer, TV, palestra, consumo di musica o video…), misurato in termini di denaro speso per una attività che risulta essere un affare economico, al soldo di una industria dell’intrattenimento o altro, con il guadagno economico come obiettivo principale. Il tempo libero non costa denaro e non ha bisogno di attrezzi speciali! Il gioco libero, semplicemente, è un’attività fondamentale per la crescita di una persona. Il tempo libero, quindi, è una faccenda maledettamente seria per un genitore e una risorsa irrinunciabile per ogni bambino. [email protected] 10 LA CORTECCIA DI PINO La pineta si allargava su una piccola collina, ai piedi del Castello. Il Castello, che a me sembrava più che altro una torre grossa e tozza, era diroccato, affogato nelle erbacce e pericoloso da esplorare per via degli anfratti e delle piccole voragini che si aprivano sui pavimenti: era rimasto abbandonato per secoli, avvolto nelle sue leggende, ignorato da quasi tutti gli abitanti della cittadina e frequentato da ragazzini come me che, a loro rischio e pericolo e violando i divieti dei genitori, trascorrevano da quelle parti le loro lunghe giornate estive. Ma quello che più mi piaceva non era esplorare quella strana collina abbandonata, ma lavorare la corteccia dei pini che la ricoprivano. Era fatta di grosse scaglie rossastre di una materia legnosa e friabile: avevo scoperto che strofinandola energicamente su un sasso si consumava e si poteva modellare ricavandone gli oggetti più strani. A me piaceva farne delle barchette: prendevo un pezzo di corteccia, lo grattavo su un sasso fino a fargli assumere la forma di uno scafo e poi, con un coltellino, lo scavavo come immaginavo che gli indigeni dei romanzi di Salgari di cui ero un accanito lettore scavassero i tronchi per farne delle piroghe. Quando la forma mi sembrava perfetta cercavo di far navigare la mia barchetta in un rigagnolo, quasi sempre senza successo perché la corteccia era leggera, si inzuppava e si rovesciava su un fianco. Un buon motivo per produrre un’altra barchetta. Credo di aver varato un’intera flotta, che portavo a casa quando tornavo la sera per la cena. Erano gli anni della scuola elementare e trascorrevo così la maggior parte del tempo libero durante le vacanze estive. V. C. Lo spazio della mente Un distacco che non può far male Lasciare il lavoro per “accudire meglio” i figli: un errore da evitare ono la mamma di Giulia, 13 mesi, che da un mese frequenta il nido dalle otto e mezza all’una. L’ambientamento sembra sia andato bene; dico sembra perché ho dei dubbi e non riesco a capire se dipendono dalla mia sofferenza per il distacco (lavoro pendolare, part time verticale nei giorni dispari, quindi Giulia non ha una routine sempre uguale) o da elementi oggettivi. Mi è infatti sembrato che sia più attaccata a me. Ovvero prolunga la poppata anche dopo il termine, la esige non appena torno e all’ora corrispondente al mio ritorno anche nei giorni in cui non lavoro. È una regressione? La bimba ha un carattere aperto e allegro. Spesso non piange neanche più quando la accompagniamo: è ambientata o rassegnata? La mia ansia si è aggravata per il fatto che è caduta e si è fatta male al labbro. So benissimo che la moda del momento è quella di dire che il nido è un’opportunità, ma i miei dubbi rimangono e sono disposta a mettere in discussione il mio posto di lavoro chiedendo l’aspettativa. Giulia non parla e non mi può dire se sta soffrendo per questo distacco e se si fida ancora di me e di noi. Ilaria S Paolo Roccato Psicoanalista, Società Psicoanalitica Italiana, Torino SENSI DI COLPA INGIUSTIFICATI La sua lettera mi ha molto toccato, per due motivi: perché presenta un problema con un possibile trabocchetto molto diffuso nella nostra società; e per il modo così sensibile, attento e “affettivo” di pensare e presentare la questione. Si direbbe che lei si senta un poco in colpa per aver messo la sua bambina al nido, come se si trattasse di una specie di abbandono. Le viene, allora, da “spiarla”, per cercare di cogliere dei segni che possano confermare o smentire il suo timore. Le accade così di allarmarsi per dei normalissimi, sani segni di affettuosità (prolungare la poppata anche dopo il termine del deflusso di latte, cercare il seno non appena la vede o all’orario usuale delle “poppate del reincontrarsi”). Lei certamente sa che il contatto con il seno è finalizzato, sì, all’alimentazione, ma anche (e in certi momenti ancor più) alla realizzazione di un contatto affettuoso. I bambini (come gli adulti, del resto) hanno bisogno di nutrire, far crescere e stabilizzare il rapporto dentro la propria mente. E lo fanno accumulando esperienze di contatto e di rapporto, ma anche di assenza e di mancanza. Ogni occasione è buona. È frequente osservare che i bambini giocano col capezzolo della mamma, a volte estasiati, a volte divertiti, a volte eccitati. Ed è buona cosa che le mamme partecipino a quei giochi, sempre che non ne siano infastidite. Che gusto ci sarebbe, infatti, a partecipare a un gioco fastidioso per uno dei due partner? Come ogni elemento psichico e relazionale, anche l’attaccamento ha i suoi alti e bassi. È normale che sia così, in tutta la vita e in ogni relazione. Non è detto che un aumento sia un male e una diminuzione sia un bene: fa parte del dipanarsi della vita oltre che del progredire nell’evoluzione personale e della relazione. CHI SI ACCONTENTA… Lei si chiede se sua figlia, per il nido, sia “ambientata”‘ o “rassegnata”. Non c’è opposizione fra le due cose: per ambientarsi bisogna accettare che l’ambiente in cui ci si trova sia proprio quello che è, e non un altro. Sapersi anche rassegnare è importante nella vita: aiuta a godere delle cose possibili e a non gettar via esperienze miste, 12 un po’ belle e magari per certi versi un po’ brutte. Che ci sia un po’ di dispiacere al momento del distacco è del tutto normale. Quindi, se sua figlia dovesse anche piangere qualche volta, poco male, tanto più se manifesta un carattere aperto e allegro. Piccoli guai, come la caduta e la rottura di un labbro, fanno parte delle esperienze della vita e del mondo. Esperienze inevitabili, ma che, quando proprio non si è riusciti a scongiurarle, possono essere perfino utili. Quanto meno, servono a potersi pensare non come invulnerabili o onnipotenti. TENERE I PIEDI PER TERRA Per finire, le faccio un’accorata raccomandazione: non lasci il suo lavoro per nessun motivo, meno che mai per l’illusione di potere così star dietro a sua figlia in modo migliore. Una regola generale quando si tratta di dare aiuto a qualcuno è sempre quella di assicurare e stabilizzare per prima cosa se stessi. Se una persona è caduta in un burrone (e non è il caso di sua figlia!) e io voglio cercare di tirarla fuori, prima di tutto devo assicurare me, quanto meno per non finirci anch’io giù nel burrone. Non posso sporgermi verso il malcapitato mettendo a rischio i miei appoggi per terra. Devo rimanere ben saldo sui miei appoggi, facendo attenzione a non compromettere il mio equilibrio. Così è per ogni cosa. Per esempio, se devo insegnare qualche cosa a qualcuno, devo prima impararla bene io. E se ho il sospetto che mia figlia dia segni di insicurezza, prima di tutto devo consolidare la mia sicurezza, che è quello che lei giustamente sta cercando di fare, chiedendomi aiuto. Il problema è che lei cerca di prospettarsi rassicurando se stessa soltanto all’interno del rapporto con sua figlia, a discapito del proprio lavoro, cioè a discapito della sicurezza e della realizzazione di lei medesima. NON FUNZIONA. NON PUÒ FUNZIONARE Purtroppo, ho conosciuto molte mamme che, pensando di far bene, hanno lasciato il proprio lavoro nell’illusione di potere così svolgere meglio i compiti genitoriali. Quasi tutte hanno finito, prima o poi, per fargliela pagare ai figli cento volte di più di quanto era costato a loro stesse. Segno che avevano patito enormemente la rinuncia cui si erano obbligate. E l’hanno fatto senza accorgersene, inscenando poi, magari anni dopo, rivendicazioni sorde (“Con tutto quello che io ho fatto per te…!”); esagerazioni nelle manifestazioni di non essere soddisfatte dei figli (“Possibile che tu mi debba deludere sempre?”); perdita della gioiosità del rapporto con i figli, sentiti inesorabilmente come “ingrati”. Rinunciare al lavoro non vuol dire soltanto rinunciare allo stipendio, ma vuol dire soprattutto rinunciare a un ambito importante di realizzazione di se stessi nella propria vita. Si tratta, oltre tutto, della rinuncia a un certo grado di autonomia, cioè di potere nei confronti di se stessi, del mondo e degli altri, compreso il proprio partner. Spesso è illusorio fantasticare di poter poi riprendere a lavorare una volta che i figli siano cresciuti. Cresciuti quanto? Quando andranno a scuola? No, perché avranno bisogno di aiuto per affrontare il nuovo ambiente e i nuovi compiti personali e sociali. Quando saranno adolescenti? No, perché avranno bisogno di sostegno per affrontare la nuova situazione ormonale e relazionale con l’altro sesso. Quando saranno all’università? No, con tutto quello che avranno da studiare... Quando si saranno innamorati? Con tutto quello che avranno nella mente e nel cuore, se non gli si sta dietro rischiano di sperdersi... Quando si sposeranno e avranno bambini a loro volta? No, perché, tra famiglia e lavoro, non ce la potranno fare, e i nipotini avranno sempre bisogno della loro nonna… Una volta imboccata quella strada di rinuncia così pesante a sé e alle proprie esigenze, non si arriverà mai al momento di ri-mettere se stessi al centro della propria esistenza. È facile, dunque, prendere una cantonata che nei fatti rimarrà irrecuperabile. Tutto questo in ogni caso, ma a maggior ragione se il suo lavoro le piace e le dà soddisfazione. E se il lavoro non le piacesse? Occhio al super-tranello, sempre in agguato, di utilizzare (più o meno inconsapevolmente) le supposte “esigenze” di sua figlia come leva per sradicarsi dal proprio lavoro. Se il lavoro non le aggrada e se ne ha la possibilità, conviene che se ne cerchi un altro che lei senta più adeguato a se stessa. Ma, se appena appena può, non getti via il proprio lavoro. Mai. [email protected] … IL SEGUITO ALLA PROSSIMA PUNTATA Questo articolo può essere considerato una “prima puntata” di una breve serie di due articoli. La mamma di Giulia ha scritto infatti una replica a cui Paolo Roccato ha risposto. La sua risposta comincia così: “Gentilissima Signora, nell’esortarla a non lasciare il lavoro, l’altra volta ho trattato la prospettiva di lei, mamma. Ora vorrei vedere di più la prospettiva di Giulia…” Leggerete l’articolo sul numero di settembre-ottobre. 13 Come eravamo “Non ti toccare!!”: la lotta all’onanismo Pregiudizi, ostacoli, punizioni per ostacolare la normale esplorazione del proprio corpo Paolo Sarti Pediatra di famiglia, Firenze Giuseppe Sparnacci Psicologo e psicoterapeuta, Firenze Immagine tratta da Anna Fischer-Duckelmann, La donna, medico di casa, 1910, sv. ‘onanismo’ 14 nanismo è un termine che fu coniato nel Settecento per indicare la pratica di impedire la generazione della prole mediante l’uso del coito interrotto. Il termine deriva dal nome del personaggio biblico Onan che era ricorso a questa tecnica per non riprodursi (Genesi 38,610). Letteralmente questo termine indica l’atto della “dispersione del seme”, e come tale quindi può riguardare solo gli individui di sesso maschile. Nell’uso corrente però alla parola onanismo viene accostato il significato di pratica della masturbazione, riferendosi quindi anche alla donna. Dalla seconda metà del Settecento fino agli anni Ottanta del Novecento, si è parlato di “pazzia, o disordine, o nevrosi masturbatoria”, un specie di perversione della mente che poteva colpire indifferentemente maschi e femmine, in età prepuberale e addirittura (con sommo orrore) anche i bambini piccoli. Si cercava di contrastare in tutti i modi quella che veniva considerata una follia associata a un’infinita serie di malattie, realizzando, in qualche caso, persino dei veri e propri apparecchi costrittivi per impedire che bambini e bambine si potessero toccare i genitali, con rigide barriere e cinghie di cuoio. O PRIMA LA RELIGIONE, POI LA “SCIENZA” Per secoli, in Occidente, la pratica dell’attività sessuale è avvenuta nel rispetto del dettato biblico di non disperdere inutilmente lo sperma e quindi nel praticare attività sessuali rivolte unicamente alla procreazione. Poi, con l’affermarsi di una medicina sempre più ricca di conoscenze anatomiche e fisiologiche, sono subentrati anche i medici a dettare norme di comportamento sessuale, come se conoscere l’anatomia e la fisiologia degli organi sessuali equivalesse a diventare esperti anche di godimento erotico e di conoscenze emotive e relazionali. L’idea medica che la masturbazione rappresentasse gravi pericoli per la salute ha cominciato a prendere forma nel XVIII secolo: la masturbazione era considerata una malattia della mente con importanti ricadute sulla salute del corpo. Benjamin Rush (1746-1813), psichiatra statunitense, scriveva: “la masturbazione provoca debolezza del seme, impotenza, disuria, tabe dorsale, consunzione polmonare, dispepsia, debolezza della vista, vertigini, epilessia, ipocondria, perdita di memoria, fatuità e morte”. E se ai tempi del controllo morale della Chiesa nei riguardi delle funzioni sessuali tutt’al più veniva castigato il “peccato” della masturbazione, al momento che si affaccia un ulteriore controllo col sapore di scientificità, oltre all’anima, anche il corpo di chi si masturba diventa oggetto di repressione e si arriva a intervenire pesantemente anche con atti chirurgici (soprattutto negli uomini) o con reclusioni manicomiali, soprattutto nelle donne (la repressione e la punizione ricadono sulle donne in termini sempre più eclatanti e con totale intolleranza). Affermazioni rimaste nella sostanza tali fino ad anni a noi molto vicini: ricordiamo ancora le frasi terroristiche con cui i grandi cercavano di tenere “sotto controllo” le nostre prime esplorazioni sessuali che, con un linguaggio popolare ma schietto, suonavano: “troppe seghe abbassano la vista, fanno rimanere piccini, ti consumano il midollo … e fanno anche andar male a scuola!”. È solo dagli anni Settanta che la sessualità comincia il faticoso e osteggiato percorso di liberazione dall’aurea storica di peccato e quindi di proibito. Un percorso ancora lontano dall’essere concluso. L’IMBARAZZO DELL’EDUCAZIONE La sessualità, come vissuto individuale, è in gran parte, se non totalmente, corporeità: conoscenza del corpo, suo uso e valorizzazione; capacità di ascolto, possibilità di ricavarne piacere, capacità di gestirlo in una sessualità matura per relazionarsi e “dialogare” in una reciproca donazione di piacere. Alla nascita il corpo è il punto di riferimento costante nella comunicazione che si stabilisce tra il neonato e chi lo accudisce. L’identità del bambino, il riconoscersi come soggetto diversificato dal resto del mondo, passa attraverso un rapporto corporeo, unico e irripetibile con la persona che si occupa di lui. Uno scambio fisico d’amore che è alla base dello sviluppo affettivo di ogni individuo. Questo rapporto corporeo costituisce il principio di ogni relazione, compresa quella sessuale, e ne fonda la qualità. La sessualità è tutt’uno con la corporeità e non sarà mai disgiunta dal rapporto che l’individuo ha con il proprio corpo. Per mettersi in 15 un qualsiasi rapporto con l’altro, è necessario aver conquistato una propria identità e sicurezza. Ed è necessario aver esplorato e conosciuto il proprio corpo nella sua interezza e nelle sue parti, nelle sue funzioni e nelle sue capacità di raccolta del piacere. La masturbazione si prefigura quindi come una normale esperienza di crescita, una conoscenza di sé ed è ovvio che non rappresenti una minaccia per l’organismo e tanto meno per la mente; è solo il reprimerla che può creare danni. QUANDO SI INIZIA? La masturbazione può avvenire sin dalla prima infanzia quando il bambino scopre che l’area genitale, se stimolata, fornisce piacere - e viene cercata ancor di più a partire dalla pubertà, mentre può diventare meno frequente quando è superata da una matura sessualità di coppia. Poiché tale pratica investe la sfera privata, ogni valutazione sulla sua frequenza e diffusione appare necessariamente legata a sondaggi su base volontaria, che non sempre fotografano la realtà del fenomeno. Uno di questi sondaggi, organizzato in rete della rivista Now di Toronto, ha ricevuto migliaia di risposte. Da tale ricerca risulterebbe che una schiacciante maggioranza di maschi l’81% del campione - avrebbe cominciato a masturbarsi consapevolmente fra i 10 e i 15 anni. Tra le donne, la stessa fascia di età mostrerebbe una più modesta maggioranza del 55%. Non è insolito tuttavia cominciare molto prima, cosa che sarebbe più comune fra le ragazze: il 18% di esse infatti comincerebbe a masturbarsi prima dei 10 anni contro solo il 7% dei i maschi, mentre per la fascia d’età che va dai 10 ai 12 anni la scoperta della masturbazione avverrebbe in percentuali analoghe per maschi e femmine (14%). Per il bambino è assolutamente non comprensibile il fatto che l’esplorazione del proprio corpo debba essere limitata a certe zone e interdetta ad altre: perché è permesso esplorare, giocare, manipolare i piedi e non è permesso farlo con i genitali? Ed è questa serenità del bambino che esplora il proprio corpo alla ricerca del piacere che può turbare l’adulto, tanto più se l’adulto è invece incapace di vivere con gioia e tranquillità la propria sessualità. La sessualità infantile infatti può fare paura all’adulto. Ed è 16 proprio la paura a parlarne, a prendere coscienza della sessualità che trasmetterà al bambino l’idea del proibito; così come le espressioni di disgusto legate agli organi genitali - e, più in generale, alle funzioni corporee - saranno quelle che indurranno nel bambino l’idea di sporcizia legata a questi organi e alle loro funzioni. Ma anche la nostra repressione delle parolacce confinerà nel proibito e nell’ipocrisia la sessualità, anche a livello linguistico. [email protected] [email protected] PRESERVARE DAI TRAVIAMENTI “… è necessario che le madri siano istruite intorno a questo argomento perché possano preservare i loro bambini da questi tristi traviamenti. […] L’alimentazione troppo copiosa, a base principalmente di carne ed alcool, il letto troppo soffice […] l’aria impura della camera, il contegno licenzioso dei genitori davanti ai bambini, la lettura di romanzi, il teatro, ecc. stimolano ad eccitare volontariamente le parti genitali allo scopo di provocare una certa sensazione voluttuosa. [...] Per i bambini piccoli ed ancora irragionevoli si deve fare attenzione a che le loro mani rimangano sempre sopra le coperte del letto. Talora è necessario applicare loro nella notte appositi sacchi chiusi per impedire il toccamento diretto delle parti genitali. Nei casi più severi si ricorra agli apparecchi illustrati in figura. […] Ma non bisogna mai battere o gridar troppo i bambini che si masturbano per non predisporli alle malattie nervose! Si educhino le fanciulle e i giovanetti coi principi della castità vera, rappresentando loro il toccamento delle parti genitali come una cosa brutta e vietata. […] Sono fatali gli anni della scuola […] se nella classe vi è un solo onanista, egli produce sugli altri l’effetto d’un contagio psichico, a cui molti cadono vittime”. testo tratto da Anna Fischer-Duckelmann, La donna, medico di casa, 1910, sv. ‘onanismo’ Curarsi con le piante La pappa della regina Operaie e regine: stesso DNA, ma un destino molto diverso e api non producono solo miele e propoli, sostanze di cui si è già parlato in questa rubrica, note e usate dall’uomo sin dai tempi antichi, ma anche la pappa reale, alimento destinato Vitalia Murgia all’ape regina e di Pediatra, docente del Master uso generale più redi II livello in Fitoterapia, cente (circa 60 anUniversità La Sapienza, Roma ni) nell’ambito dei trattamenti con sostanze naturali. Le comuni larve d’ape mangiano pappa reale solo nei primi tre giorni di vita mentre la larva destinata a diventare regina la mangia per tutta la vita. Insomma, nell’alveare la regalità non si eredita ma si acquisisce grazie agli effetti della pappa reale. L UNA SOSTANZA PORTENTOSA Ma cosa ha di così portentoso questa sostanza da riuscire a modificare il destino di un insetto? Oltre all’acqua (6070%), la pappa reale contiene proteine, glucidi e lipidi, oltre a vitamine, sali minerali, oligoelementi e una piccola percentuale di altre sostanze. La natura ha messo insieme un mix armonico di componenti che fa della pappa reale un agente “epigenetico”, cioè una sostanza in grado di modificare il modo di esprimersi del potenziale genetico delle api. Infatti, le api operaie e l’ape regina pur avendo lo stesso DNA, sviluppano in maniera profondamente differente e hanno fisico, funzioni e durata della vita diversi. Le regine sono più grosse, vivono parecchi anni, non lavorano e sono fertili, mentre le api operaie sono sterili, vivono circa 2-3 mesi e lavorano duramente. Le sostanze contenute nella pappa reale sono in grado di influenzare positivamente molte funzioni delle cellule dell’organismo tra cui la crescita, la differenziazione e la sopravvivenza e ciò è stato dimostrato anche su animali da laboratorio e su linee cellulari umane. Si è visto che la pappa reale modula le attività del sistema immunitario, ha azione antiossidante, apporta energia, facilita lo sviluppo e la sopravvivenza dei tessuti nervosi, è antinfiammatoria e modula il metabolismo degli zuccheri. Insomma, sembra agire in maniera diffusa e delicata sull’organismo intervenendo su più sistemi e apparati. I pochi studi sull’uomo fanno emergere delle proprietà salutistiche di tipo tonico-ricostituente: miglioramento della condizione generale di salute, sensazione di maggiore energia, migliore resistenza alla fatica e migliori prestazioni intellettuali (cognitive e di memorizzazione). Alcuni di questi effetti erano già stati confermati da studi sperimentali sull’animale. La pappa reale in combinazione con piante medicinali (Ginkgo, Ginseng) sembra avere effetti benefici anche sul decadimento delle proprietà cognitive tipico dell’invecchiamento. Assumere regolarmente pappa reale sembra contribuire a migliorare complessivamente varie funzioni dell’organismo e aumentare il senso di benessere di chi la assume. È corretto comunque precisare che allo stato attuale non ci sono ancora certezze assolute sull’effetto benefico complessivo che questa sostanza svolge sull’organismo. [email protected] COME USARE LA PAPPA REALE L’uso di questa sostanza è indicato nei periodi di maggior affaticamento fisico e mentale, in convalescenza e per chi pratica attività sportiva. Solitamente si consigliano cicli di 15-20 giorni che possono essere ripetuti più volte nel corso dell’anno. Non esiste una dose certa che derivi da studi sull’uomo, i dosaggi comunemente consigliati sono ricavati dall’uso comune tradizionale. Le dosi per il bambino sono proporzionali a quelle per l’adulto. Nel caso della pappa reale fresca possono essere indicate: - per i bambini di età maggiore a 1 anno: da una dose minima di 60 mg fino a 500 mg al giorno. - per gli adulti: 200-800 mg al giorno. 17 Paginacp Pediatri senza conflitti L’Associazione Culturale Pediatri aggiorna il suo “Impegno” a un rapporto trasparente con l’industria farmaceutica Paolo Siani Presidente dell’Associacione Culturale Pediatri Carlo Corchia Direttivo nazionale dell’Associazione Culturale Pediatri medici sono una delle categorie più esposte ai conflitti di interessi; tutti, dal medico di famiglia, al grande specialista, dal ricercatore al pediatra, dal direttore di un’importante rivista, al professionista che presenta una comunicazione a un congresso. Un conflitto che si realizza nel momento in cui vi è la ragionevole presunzione che il singolo medico o un’intera comunità scientifica possano, più o meno consapevolmente, mettere da parte il loro interesse primario (la difesa della salute delle persone e la sanità pubblica) in favore di interessi secondari propri o di interessi di altri (un vantaggio personale o il profitto economico proprio o di aziende commerciali). Nel nostro caso sarebbe la salute dei bambini che può esserne influenzata negativamente. I CONFLITTO PERICOLOSO… È chiaro e inequivocabile che ogni conflitto di interesse, anche potenziale, è dannoso. Il modo di agire dei medici, infatti, condiziona in gran parte il grado di fiducia e di rispetto che i cittadini, la società e l’opinione pubblica ripongono nella loro categoria. Minare con i propri comportamenti questa fiducia significa perdere credibilità, erodere le basi della convivenza civile e dei rapporti tra i cittadini, e quindi venir meno a un proprio dovere morale e professionale. I medici italiani ci sembrano (ahimè!) poco attenti all’importanza di questa tematica: l’atteggiamento più comune è quello di ritenere di poter garantire la propria sostanziale indipendenza dalle sponsorizzazioni ricevute. Purtroppo questo atteggiamento coinvolge anche i giovani medici, a testimonianza della scarsa attenzione che le nostre università danno a questo tema. Esiste, al contrario, un’ampia documentazione che prova come l’attività promozionale dell’industria abbia molta influenza sul comportamento dei medici, anche senza che essi ne siano consapevoli. I pazienti ritengono che gli omaggi influenzino il giudizio dei medici più di quanto lo pensino i medici stessi e ritengono sbagliato che essi accettino omaggi dalle industrie farmaceutiche. 18 … MA EVITABILE In realtà il conflitto di interesse fa parte del mondo e della società in cui viviamo e sappiamo bene che non può essere abolito per legge e neppure con un decalogo di norme etiche. Ma proprio per questo dovremmo adottare e seguire alcune regole che servano a evitare, o almeno a limitare, le interferenze con l’attività e il giudizio del medico, in modo che i pazienti non abbiano nemmeno il sospetto che le decisioni che prendiamo e i consigli che dispensiamo ogni giorno siano dettati da interesse personale. I pazienti devono invece avere la certezza che nessuna delle scelte operate dal medico di loro fiducia sia avvenuta sulla spinta di interessi diversi dal fornire loro, sulla base delle più valide e recenti conoscenze scientifiche, la cura più appropriata. Va chiarito che la presenza di un conflitto di interesse non è tout court sinonimo di disonestà, ma esprime soltanto una potenziale interferenza in ciò che viene detto o scritto. Noi pensiamo che il rapporto tra professionisti, associazioni mediche e industria debba essere impostato sulla base di principi di indipendenza e trasparenza, come è avvenuto o sta avvenendo in molti altri paesi, dove cultura etica e deontologia professionale si sono venuti sviluppando di pari passo con la crescita di una generale coscienza civile in tema di rapporti tra professionisti della salute, utenti e industria. UN IMPEGNO CHE VALE PER DUE Per tutti questi motivi, l’Associazione Culturale Pediatri (www.acp.it) ha scelto, per se stessa e per i suoi soci, di darsi una sua regola nei rapporti con l’industria. Un impegno preso ormai quattordici anni fa, che oggi abbiamo deciso di aggiornare e modificare, per stare al passo con i tempi, per chiarire alcuni aspetti che potevano apparire contraddittori e per precisare meglio le attività che devono essere regolate. L’adozione di un impegno di autoregolamentazione ha due obiettivi: offrire ai pazienti, ai medici e al sistema sanitario una garanzia di indipendenza da interessi commerciali e promuovere un rapporto con l’industria che miri a migliorare l’assistenza, la formazione e la ricerca scientifica. Il denaro che l’industria impiega nella pro- Elihu Vedder, La corruzione della legge, Library of Congress, Washington, 1896. 19 mozione commerciale, essenzialmente mirata a realizzare un profitto, potrebbe infatti essere più utilmente impiegato in progetti di formazione e ricerca. L’aggiornamento in particolare, che è parte integrante dell’attività di tutti i medici, deve avvenire in modo indipendente da interessi di terzi o di mercato, soprattutto quando per le spese è prevista la partecipazione dell’industria. Aver adottato quest’impegno di autoregolamentazione non vuol dire demonizzare i rapporti tra industria e medici, ma significa valorizzarli, una volta stabilite regole chiare per tutti. D’ora in avanti l’ACP proporrà il suo “Impegno di autoregolamentazione” all’attenzione delle altre società scientifiche, dei sindacati e dei professionisti della salute, allo scopo di dare un segnale nuovo e positivo alla sanità italiana. [email protected] [email protected] L’IMPEGNO DEI PEDIATRI ACP Ecco in sintesi i punti principali dell’ “Impegno di autoregolamentazione dei rapporti con l’industria” dell’Associazione Culturale Pediatri. 1 - Informazione scientifica Ciascun socio si impegna a valutare correttezza ed eticità di quanto viene sottoposto alla sua attenzione. L’osservanza dei principi di eticità e scientificità vale a maggior ragione per l’informazione contenuta nelle pubblicazioni edite direttamente dall’ACP. L’accettazione di omaggi promozionali o di campioni gratuiti di alimenti per lattanti è in contrasto con i principi dell’impegno. 2 - Aggiornamento Pubblicazioni, libri, abbonamenti a riviste e materiale scientifico di natura informatica possono essere accettati se ciò non è in contrasto con la legge. I soci sono invitati a favorire la costituzione di una comune risorsa di aggiornamento. La partecipazione a iniziative di non specifica pertinenza medico-scientifica è in contrasto con i principi dell’impegno. La produzione da parte dell’ACP di “prodotti” culturali (indicazioni, raccomandazioni, protocolli, linee guida e documenti di consenso) non può prevedere la partecipazione dell’industria ai costi per la loro realizzazione. 3 - Ricerca La partecipazione a ricerche dei soci dell’ACP è vincolata all’esistenza di uno specifico protocollo, approvato da un comitato etico-scientifico. Il partecipante alla ricerca deve disporre di una propria copia del protocollo, deve averne presa attenta visione e aver espresso un proprio parere prima di partecipare attivamente. Nelle ricerche indipendenti, cioè quelle organizzate 20 e gestite direttamente dall’ACP, ci si può avvalere del contributo finanziario dell’industria, ma la proprietà dei dati, la stesura del protocollo, l’elaborazione, l’analisi, l’interpretazione, la pubblicazione e la diffusione dei risultati devono essere del gruppo dei promotori e dei conduttori della ricerca. 4 - Educazione alla salute Il materiale utilizzato e prodotto dall’ACP deve rispondere a principi di eticità, scientificità ed economicità ed essere indipendente da interessi commerciali. 5 - Congressi e riunioni scientifiche L’organizzazione e la realizzazione di queste iniziative devono avvalersi soprattutto di contributi da parte di Aziende Sanitarie e di altri Enti pubblici. È possibile ricorrere alla collaborazione con l’industria se vengono rispettati i principi generali dell’Impegno. I contenuti scientifici devono rispondere a criteri di eticità e scientificità. L’elenco delle industrie che contribuiscono all’iniziativa e i relativi contributi finanziari devono essere resi noti. Nell’ambito delle manifestazioni scientifiche non possono svolgersi iniziative di tipo sociale, culturale o turistico organizzate da singole industrie. Un consuntivo scientifico, di spesa e dei finanziamenti deve essere preparato dal comitato organizzatore al termine delle manifestazioni. Iniziative conviviali o di rappresentanza indipendenti da specifiche attività scientifiche non sono consentite. 6 - Altre norme Nessuna forma di rapporto può essere prevista tra l’ACP e le industrie che violano il Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Meglio saperlo prima Il sesso degli angioletti L’OMS per un’educazione sessuale “olistica” che comincia alla nascita ono tante le cose che sarebbe meglio conoscere prima: il sesso, per esempio. “La Regione Europea dell’OMS si trova di fronte a numerose sfide riguardanti la salute Vincenzo Calia sessuale: i tassi Pediatra di famiglia, Roma crescenti dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale, solo per citarne alcune. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi sono determinanti per il miglioramento della salute sessuale generale. Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità, essi hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi aspetti di rischio che di arricchimento. In questo modo saranno messi in grado di agire responsabilmente non solo verso se stessi ma anche verso gli altri nella società in cui vivono”. S tutto sulla definizione di sessualità, per poi proporre uno schema di educazione sessuale differenziata a seconda delle età, la cui principale novità consiste nell’affermazione che l’educazione sessuale va iniziata alla nascita. Il punto di partenza è che la sessualità umana è “una parte naturale dello sviluppo umano in ogni fase della vita e include componenti fisiche, psicologiche e sociali… un aspetto centrale dell’essere umano lungo tutto l’arco della vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione… Sebbene possa includere tutte queste dimensioni, non tutte sono sempre esperite o espresse… La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano, che non è limitata a determinate fasce di età, che è strettamente connessa al genere, che comprende vari orientamenti sessuali e che va ben oltre la riproduzione..” Le frasi fra virgolette sono prese dal documento e ci sembrano molto chiare e tutte condivisibili. Inizia così un interessante documento pubblicato nel 2011 dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e dal Centro Federale per l’Educazione alla salute (BZgA) della Repubblica Federale Tedesca intitolato “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”, tornato recentemente d’attualità per alcuni articoli di stampa e un’interrogazione parlamentare (vedi box). Per questo molti lettori hanno sollecitato un intervento del nostro giornale. TROPPO BELLO PER ESSERE VERO (ALMENO IN ITALIA) Diciamo subito che il documento ci è sembrato molto interessante e le sue proposte molto belle, troppo belle direi per essere vere; almeno nel nostro Paese. Gli autori di questo documento, una ventina di esperti e professionisti provenienti da molti paesi d’Europa (nessuno, purtroppo, dall’Italia) si sono concentrati prima di Disegno tratto da L. Magni-R. Luciani, I nati ieri e quelle cose lì, Carthusia 2007 21 EDUCAZIONE “OLISTICA” Se la sessualità è tutto questo, l’educazione sessuale deve necessariamente essere qualcosa di più e di diverso da quella che è stato fin ora. Il documento dell’OMS propone che sia “olistica”, un termine forse abusato, ma molto preciso: deriva dal greco “olos” che significa “tutto” e sta a indicare che le caratteristiche di un sistema (in questo caso dell’educazione sessuale) sono qualcosa di più della somma delle sue parti. Fin ora abbiamo avuto diversi approcci “educativi” su questo argomento: quello più tradizionale, definito “come dire di no”, si basa semplicemente sullo scoraggiamento dei rapporti sessuali fuori del matrimonio e ha come obiettivo principale quello di impedire le gravidanze indesiderate e la diffusione del contagio sessuale. C’è poi una versione più “moderna” che, pur comprendendo l’astinenza dai rapporti sessuali, allarga il discorso alla contraccezione e alle pratiche sessuali sicure: è l’educazione sessuale attualmente più diffusa e praticata, per quel poco che si pratica, anche nelle nostre scuole. L’approccio olistico è un’altra cosa: comprende gli elementi del secondo tipo di educazione sessuale, ma li colloca all’interno della prospettiva della crescita e dell’evoluzione di ciascuno, nel pieno godimento della sessualità per come si manifesta nei diversi momenti della sua vita. È questa la cosa più interessante e più nuova. Citiamo ancora il documento: “L’educazione sessuale mette bambini e ragazzi in grado di effettuare scelte che migliorano la qualità della loro vita e contribuiscono a una società solidale e giusta. Tutti i bambini e i ragazzi hanno diritto ad accedere all’educazione sessuale adeguata alla loro età”. LA PIETRA DELLO SCANDALO Le affermazioni che hanno suscitato scandalo e dato la stura alle polemiche sono contenute nella parte principale del documento , una lunga tabella di cose da fare divisa per fasce di età: da zero a 4 anni, da 4 a 6 anni, da 6 a 9 anni, da 9 a 12 anni, da 12 a 15 anni, oltre i 15 anni. Per ciascuna di queste fasce di età sono indicati gli strumenti dell’educazione sessuale che sono fondamentalmen- 22 te tre: le informazioni da trasmettere ai bambini e ai ragazzi, le competenze che i bambini e i ragazzi dovrebbero essere in grado di raggiungere e gli atteggiamenti che dovrebbero sviluppare con l’aiuto dell’educazione sessuale. Conoscenze, competenze e atteggiamenti che dovrebbero riguardare, in maniera evidentemente diversa a seconda dell’età, il proprio corpo, la fertilità e la riproduzione, la sessualità (intesa come rapporto positivo con il proprio corpo), le emozioni e gli affetti, le relazioni e gli stili di vita, la salute, i diritti, i valori e le norme sociali e culturali. Una panoramica veramente completa e impressionante per la sua sistematicità e il rigore con cui è stata redatta (si sente l’impronta “germanica” del documento): più di 400 sono le voci di questa tabella e spaziano su tutto, e quindi anche sulla masturbazione infantile e le esperienze (positive e negative) che il rapporto fisico fra gli esseri umani (che è definito “sessuale” in senso generale). Ma il documento è anche molto attento a spiegare le differenze delle manifestazioni “sessuali” alle diverse età: “Nell’affrontare il comportamento sessuale di bambini e ragazzi, `e importante tenere presente che la loro sessualità `e diversa da quella degli adulti e questi ultimi non dovrebbero prendere in esame il comportamento sessuale di bambini e ragazzi dal proprio punto di vista adulto. Gli adulti attribuiscono un significato sessuale ai comportamenti sulla base della loro esperienza di adulti e talvolta hanno molta difficolta ` a vedere le cose con gli occhi di un bambino o di un ragazzo. Tuttavia, `e essenziale adottare la prospettiva di bambini e ragazzi”. FAMIGLIA E SCUOLA Questa proposta è rivolta prima di tutto a chi si occupa a livello professionale di educazione: gli autori del documento sono per la formazione di personale qualificato che agisca nelle scuole di tutti livelli e per l’inserimento dell’educazione sessuale nei programmi scolastici, senza però trascurare il ruolo della famiglia che è fondamentale nei primissimi anni di vita. È molto improbabile (ahimè!) che una prospettiva di questo tipo si possa realizzare da noi, ma già è molto importante che se ne parli. Chi volesse consultare il documento, lo trova sul nostro sito (www.uppa.it). [email protected] DISINFORMAZIONE: UN CASO DA MANUALE Negli ultimi mesi hanno fatto capolino sulla stampa e persino nelle aule del Parlamento delle prese di posizione in cui si accusava l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e “l’Europa” di essere dei “corruttori di minorenni”. I titoli dei giornali sono stati d’effetto: “Folle imposizione dell’Europa: corsi di masturbazione per i bimbi di 4 anni”; una deputata ha presentato un’interrogazione al Ministro della Salute per avere chiarimenti su quello che lei ha definito un “documento indistinguibile da un manuale di corruzione dei minori”. Bisogna essere veramente ottusi (o forse semplicemente lettori frettolosi e superficiali) per prendere un abbaglio del genere a proposito di un progetto che se ha un difetto è proprio il suo essere troppo ambizioso e in un certo senso “utopistico”. Si tratta di un nuovo tassello della strategia di promozione della salute e dei diritti umani che l’Organizzazione Mondiale della Sanità persegue da sempre, in questo caso applicati ai paesi d’Europa, anche se l’Europa stessa (intesa come Unione europea) non c’entra proprio nulla. Evidentemente chi scrive i titoli di certi giornali le cose non le sa o non le vuole sapere. Disegno tratto da L. Magni-R. Luciani, I nati ieri e quelle cose lì, Carthusia 2007 23 Un mondo possibile Scusi signora, ma il suo bambino… fuma? Dove si fuma ci si ammala di più Tommaso Montini Pediatra di famiglia, Napoli I DIRITTI DELL’INFANZIA Secondo la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia tutti i bambini hanno un diritto assoluto alla salute e allo sviluppo. Di conseguenza, l’uso e l’esposizione dei bambini ai noti rischi da tabacco costituisce una violazione di diritti dell’infanzia. Nel 1999, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riunito gli esperti dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, per esaminare il problema e concordare un programma di intervento per la riduzione degli effetti nocivi e l’eliminazione dell’esposizione dei bambini al fumo. La consultazione ha concluso che il fumo rappresenta un reale rischio per la salute e che le politiche sanitarie pubbliche devono proteggere e garantire il diritto di ogni bambino a crescere libero da fumo di tabacco, in accordo con la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. 24 uando chiedo se in casa si fuma, mi dicono sempre: “Mai vicino al bambino!”. Non ho ancora trovato un genitore che ammetta di fumare davanti ai figli. Mi accorgo però che l’espressione di questi genitori cambia da soddisfatta (per aver “messo a tacere” il pediatra e risolto i complessi di colpa) a smarrita, quando inizio a spiegare tutte le catastrofi che il fumo provoca nei bambini. Q LE COLPE DEI PADRI (E MADRI) RICADONO SUI FIGLI I bambini sono estremamente sensibili all’azione irritante del tabacco. È stato dimostrato che le infezioni respiratorie e l’asma allergico sono molto più frequenti nei figli di fumatori. Secondo uno studio che fu fatto qualche anno fa a Napoli, un pediatra che segua ottocento assistiti, effettua circa 276 visite all’anno in più, solo per colpa del fumo di sigaretta dei genitori. Nello studio bronchiti, faringiti, otiti ricorrenti e asma erano le principali cause di visite. Perché succede questo se nessuno fuma vicino ai bambini (o almeno così dice)? Il fumatore è certamente un portatore di irritazione cronica delle vie respiratorie: questo vuol dire che nelle sue vie aeree vive, in simbiosi con lui, una miriade di germi patogeni che mantengono un’infiammazione cronica (che di tanto in tanto si riacutizza). Il suo respiro è un continuo diffondere di questi germi attraverso goccioline microscopiche che vengono emesse a ogni espirazione. Un suo colpo di tosse è una vera e propria “impallinata”. È ovvio che un bambino che conviva con un fumatore, abbia molte più occasioni di contagiarsi per un’infezione respiratoria. I danni sono maggiori se la mamma ha fumato in gravidanza. In questo caso è documentata una maggiore incidenza di aborti e nascite di bambini con basso peso, che è uno dei più importanti fattori di morbilità del periodo perinatale. Quando la mamma ha fumato in gravidanza, se tutto va bene dopo la nascita, la suscettibilità alle infezioni è ancora maggiore rispetto al bambino che vive in un ambiente dove si fuma, ma figlio di una mamma che non ha fumato in gravidanza. I metaboliti tossici del tabacco inoltre passano anche nel latte materno. Il fumo di sigaretta, insieme alla posizione prona e all’eccessivo calore, è uno dei fattori che ha mostrato una significativa correlazione con la SIDS (Sudden Infant Death Sindrome cioè sindrome della morte improvvisa del lattante) che è una tragica malattia che ha un solo sintomo del tutto inatteso: la morte! Il fumo può indurre broncolabilità e può favorire o complicare un’asma. L’asma è una patologia complessa, ma qui voglio solo ricordare che, mentre gli asmatici solo allergici hanno un’attesa di vita uguale a quella della popolazione normale (pur convivendo per sempre più o meno bene con la loro malattia), gli asmatici allergici e fumatori evolvono spesso, progressivamente, verso la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva. Una situazione grave, cronica, incurabile e molto invalidante che, tra l’altro, abbrevia l’attesa di vita. IL FUMO PROVOCA IL CANCRO “Il fumo fa venire il cancro al polmone…”. È vero, e sarebbe giusto dire anche della laringe, del cavo faringeo, dello stomaco; ma ha una azione tossica anche sui vasi sanguigni. Il fumatore ha, infatti, un maggiore rischio di avere infarti, ictus, tromboflebiti. Tutte patologie gravi e spesso terminali. Togliere il vizio del fumo è difficile. Ma credo che sapere fino in fondo il danno che si arreca a quanto si ha di più caro, sia una motivazione forte per riuscire a smettere. Ho provato a farvi smettere. [email protected] Tratto da Quattro chiacchiere con il pediatra, ed. FrancoAngeli 2014 Foto 123RF Scuola, che passione! Il Nido è meglio Nonni e mamme non possono sostituire questa importante struttura educativa N on sembra possibile eppure negli ultimi due anni è successo proprio questo. I nidi italiani invece di aumentare come numero e frequenza portandoci finalmente al fianco degli altri paesi europei che hanno da sempre investito nel settore, sono diminuiti e tanti hanno addirittura dovuto chiudere i battenti al punto che nella mitica Emilia Romagna le diminuzioni sono state del 17% creando situazioni assolutamente inedite. Daniele Novara Pedagogista, Piacenza 26 UN DISASTRO EDUCATIVO Fino a pochi anni fa infatti i nidi italiani erano talmente pochi che prevalevano le liste d’attesa per cui il genitore sperava che suo figlio potesse entrarvi, vedendo giustamente in questa istituzione educativa un approdo neces- sario per la sua crescita e il suo futuro e anche per garantirsi la possibilità di continuare a lavorare. La crisi economica ha spazzato via questo quadro offrendoci lo spaccato di un disastro educativo che fa pendant con la crisi economica. Il fatto stesso che l’Italia non riesca a uscire come altri paesi europei - l’Inghilterra, la Germania e l’Austria - dalla recessione, appare fortemente connesso con l’abbandono delle politiche scolastiche di qualità e in primis delle politiche a sostegno della frequenza dei bambini ai nidi infantili. A tutt’oggi secondo i dati ISTAT i bambini italiani che frequentano gli asili nido o servizi analoghi sono unicamente il 13,6% della popolazione, ben lontano da quel 33% posto come obiettivo dall’Agenda di Lisbona per tutta l’area europea. Le ricerche longitudinali compiute in varie parti del mondo, ma anche in Europa, sul potenziale di sviluppo che il nido rappresenta sui bambini nell’arco della vita non lasciano dubbi a proposito. Coloro che frequentano nidi di qualità hanno maggiori possibilità di affermarsi nella vita sia dal punto di vista degli apprendimenti culturali e quindi scolastici, sia dal punto di vista del successo individuale. Purtroppo la crisi ha sdoganato un risentimento auto lesivo e controproducente contro queste importante strutture: negli anni scorsi diversi economisti hanno incautamente sostenuto il valore economico di affidare i bambini ai nonni e alle nonne piuttosto che alle istituzioni educative della primissima infanzia. Senza dubbio i nidi italiani sono troppo cari ed è urgente una politica governativa che sostenga le famiglie in questo sforzo economico, ben oltre la cifra irrisoria che si può oggi detrarre dalla dichiarazione dei redditi. Va però detto che ha molto pesato un orientamento poco incline a valutare gli investimenti con la speranza che risparmiando su tutto e su tutti alla fine si avesse un risultato positivo. I genitori che hanno a cuore i propri figli possono semmai valutare la qualità del nido, ma è insensato avere dubbi sui vantaggi di questi ultimi rispetto a soluzioni più domestiche, come quella di affidare i bambini ai nonni. In varie occasioni mi sono trovato a dover gestire in consulenza pedagogica situazioni dove i nonni non riuscivano a fare altro che mantenere la presenza dei nipoti semplicemente davanti a qualche TV o a qualche video schermo. Perdendo così quelli che sono importanti necessità infantili: la compresenza dei coetanei e la necessità della scoperta attraverso il laboratorio sensoriale. Ma vediamo nel dettaglio i vantaggi del nido. LO SVILUPPO DELLA SENSORIALITÀ Fino al terzo anno di vita il bambino apprende sostanzialmente attraverso lo sviluppo sensoriale. Sono esperienze molto semplici ma importantissime: toccare, udire i suoni, guardare, muoversi, scoprire, mettere in bocca, tutte esperienze che in un nido possono essere fatte con la massima libertà. 27 Pensiamo a una delle attività più semplici ma anche più creative di tradizione montessoriana, quella dei travasi. Il bambino trova un contenitore pieno di pasta piuttosto grossa di dimensione, come possono essere le classiche pennette italiane, deve prenderle e travasarle in una serie di contenitori più piccoli: facendo questo semplice gesto dovrà sperimentare e controllare il passaggio di un materiale da un contenitore a un altro. Cosa avviene in questa esperienza? Anzitutto il bambino osserva dentro il contenitore trasparente questo ammasso di pennette, poi con le mani lo prende e lo tocca e lo trasporta in altri contenitori più piccoli. Così facendo sente anche il rumore delle pennette che nel momento in cui si scuotono producono un suono che agisce immediatamente sulla percezione uditiva del piccolo. Alla fine molti bambini portano alla bocca la pennetta stessa senza spezzarla o ingoiarla ma semplicemente per avvertire la sua durezza, la sua dimensione e in un certo senso anche un certo sapore. Finita l’operazione il bambino riporta le pennette trasportate nel vasetto dentro il vaso più grosso con un rumore eccezionalmente musicale che attiva in lui la sensazione di aver fatto qualcosa di importante, di dominare la materia piuttosto che di esserne dominato. In un’attività di laboratorio di questo tipo, che in genere può durare dai 5 ai 20 minuti, il bambino mette assieme tutta una serie di competenze individuali che sono alla base di capacità sempre più sviluppate. Nel nido tutto ciò è possibile perché è attrezzato in questa logica, come può esserlo per colorare un lenzuolo, per dipingere con i piedi, per giocare con le barchette nell’acqua, per coltivare dei fiori, per preparare qualcosa in cucina. Sono delle attività a sfondo sensoriale che rappresentano la premessa di ogni forma di apprendimento, anche poter correre, ballare, saltare in un salone protetto e sicuro, dove anche il cadere non rappresenta un pericolo, dove non ci sono i mobili di casa. Sono opportunità uniche, tanto più nella bella stagione dove questo può essere fatto in uno spazio all’aperto dove ci sono giochi basati sul bisogno motorio infantile, importantissimo in questa età quando il muoversi è effettivamente una delle esperienze più importanti in assoluto. 28 LO SVILUPPO DELL’ATTACCAMENTO SOCIALE Nell’interazione con le altre bambine e bambini il piccolo inizia anche il riconoscimento con sé stesso, la fuoriuscita dalla necessaria fase di ipertrofia narcisistica e onnipotente e incomincia a imparare le forme di autoregolazione sociale. Non per niente è proprio al nido fra i 18 e i 36 mesi che il bambino ha maggiore capacità di gestire autonomamente i contrasti con i suoi coetanei. Da questo punto di vista uno dei vantaggi più espliciti è proprio il rafforzamento delle competenze linguistiche, in quanto la necessità di comunicare con i propri coetanei consente ai bambini di uscire da quelle forme di comunicazione adulto-bambino eccessivamente protettive, che gli impediscono di attivare tutto ciò che hanno imparato e che è invece indispensabile utilizzare per comunicare efficacemente e giocare con altri bambini. Molti genitori sono preoccupati dei cosiddetti morsicatori, che pure ci sono: ma non va dimenticato che il morsicatore al nido è una presenza quasi inevitabile. Le educatrici di qualità sanno come gestirlo mettendo divieti chiari ma anche tollerando quelle situazioni che non sono pericolose (come qualcuno pensa) ma sono semplicemente una necessità di interazione che ha solo conseguenze benefiche. I figli che hanno potuto frequentare nidi di buona qualità pedagogica ci saranno riconoscenti quando, da adulti, sapranno affrontare la vita al meglio delle loro risorse. [email protected] SCEGLIERE IL NIDO Scegliere il nido per i propri figli assume il senso di una speranza per il futuro. Impegnarsi come genitori perché si creino in Italia il più possibile nidi di qualità dove l’aspetto educativo sia prevalente sul puro e semplice accudimento, dove lo sviluppo creativo dei bambini rappresenti un presidio ben più significativo del semplice collocamento fisico del bambino quando si è al lavoro, diventa un impegno che va condiviso e una necessità indispensabile per le nuove generazioni. Tornare all’epoca del fai da te, ai tempi della mamma casalinga, appare un azzardo insostenibile in un momento di crisi. Ribadire che il nido è meglio rappresenta un’azione di buon senso prima ancora che scientifica e pedagogica. da una fiaba Guaranì (Amazzonia orientale, Brasile) Testi: Luigi Dal Cin • Illustrazioni: Benedetta Giaufret ed Enrica Rusinà KURURU, O D I L E G L I F SOLE L I Molto tempo fa, Kururu, il rospo, viveva nella palude e gracidava continuamente, avvolgendo del suo canto l’intera foresta. Quando poi stava per piovere, sembrava che lo sapesse in anticipo e volesse annunciarlo a tutti gli animali: poco dopo, puntualmente, la pioggia arrivava. Nati per Leggere Nati Per Leggere è un’iniziativa dell’Associazione Culturale Pediatri, dell’Associazione Italiana Biblioteche e del Centro per la Salute del Bambino per promuovere la lettura ad alta voce ai bambini fin dai primi mesi di vita. un pediatra per amico Centro per la salute del bambino Si trattava di una coincidenza visto che Kururu cantava semplicemente perché gli piaceva, ma cominciò a girare la voce tra gli animali che il rospo fosse veramente in grado di far scrosciare la pioggia con il suo canto. A forza di sentirselo dire, Kururu si convinse di avere davvero dei poteri particolari: – Se comando la pioggia, devo essere figlio del Sole – cominciò a pensare soddisfatto e, appena qualcuno lo infastidiva, subito minacciava il diluvio: – Attento a quel che dici! Guarda che posso scatenare una pioggia che non finisce più! Tutti gli animali cominciarono a trattarlo con grande rispetto per paura che provocasse la pioggia, e gli portavano in dono moscerini e zanzare. Hai fra le mani uno strumento prezioso. E un bel regalo per un genitore Un Pediatra Per Amico (UPPA) è un bimestrale per i genitori scritto e diffuso dai pediatri. Seguendo le istruzioni puoi abbonarti o regalare un abbonamento Stacca la pagina centrale del giornale Ritaglia il ccpostale e utilizzalo per sottoscrivere l'abbonamento, oppure vai su www.uppa.it/abbonamenti Se vuoi regalare UPPA ritaglia il biglietto, scrivi la tua dedica e consegnalo al destinatario. 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POSTALE BOLLO DELL’UFF. POSTALE codice bancoposta LOCALITA’ IMPORTANTE: NON SCRIVERE NELLA ZONA SOTTOSTANTE importo in euro numero conto AUT. DB/SISB/E 27068 DEL 02.01.2009 Nome e Cognome dell’amico 1 anno per un amico 33,00 euro tipo documento 000093275550< 451> un pediatra per amico Se sei abbonato e regali un abbonamento, riceverai 2 numeri in omaggio A furia di rimpinzarsi, Kururu era diventato tondo come una palla, sempre più arrogante e superbo: le semplici buche della palude, dove aveva sempre vissuto, non gli piacevano più, e aveva preteso che gli altri animali gli costruissero un palazzo di fango, con scalinate e saloni, degno di un re. Poi cominciarono i capricci: – Ho bisogno di scarpe che mi riparino dall’umidità. Per domani voglio la pelliccia dell’orsetto Coati, per tenere i miei piedi al caldo. Altrimenti scatenerò il diluvio! Coati, avvisato dai suoi amici, non sapeva come sfuggire a Kururu. Allora scappò da Iabiru, la cicogna, perché lo aiutasse. – Iabiru, tu conosci ogni cosa sui rospi – disse l’orsetto tutto sconvolto – Kururu è davvero il figlio del Sole? La cicogna, divertita, si fece raccontare l’intera storia. Ogni tanto, durante il racconto, scoppiava a ridere battendo il becco con gusto. – Bene – disse Iabiru quando l’orsetto ebbe terminato la storia – andiamo a cercare quel grasso figlio del Sole! Coati faceva fatica a tenere il passo della cicogna, che aveva gambe molto lunghe. Ma si sforzava a correre più veloce che poteva LA GRANDE STORIA NARTI? BB O A I o IL SITO www.lagiostra.biz to annu Abbonamen € 20,00 : i) er m (10 nu € 16,50 i di UPPA: a: per i lettor intestato1 , 7 6 9 5 ente 6569 elia, 48 Conto corr Giostra - Via Aur F.A.A. La 00165 Roma aggio re copie om Per riceve: tel. 800.869126 e poster VU rivista per bambini da 2 a 7 anni O – Vattene! Io sono il figlio del Sole. Se non mi ubbidisci, invocherò la pioggia perché ti porti via! Vattene! – e intanto cercava di rintanarsi sempre di più nel fango. – Vattene! O scatenerò il diluvio! E annegherete tutti: voi, odiosi animali! – minacciava. Ma la cicogna, con il suo lungo becco, lo snidò senza fatica. E così toccò all’orsetto Coati raccontare agli altri animali della foresta come Iabiru avesse ingoiato in un sol boccone il grasso figlio del Sole. ¬ è concessa da perché non voleva perdersi la scena. Appena li vide arrivare, Kururu si sentì svenire. – Cosa volete da me? – chiese tutto tremante. – Mangiarti – disse Iabiru. offre ricchi materiali per giocare ancora con le storie! SPECIALE Celiachia La celiachia non è una malattia … e neppure un’allergia n libro edito qualche tempo fa si intitola “Sono celiaco, non malato!”, una precisazione necessaria, se si pensa a tutto quello che si sente dire in giro a proposito di celiachia e alla scarsa chiarezza delle idee in proposito. La celiachia è una reazione infiammatoria dell’intestino (e non solo) causata dal contatto con la “gliadina”, una proteina contenuta nel “glutine”, che è una sostanza presente nella farina di grano e di altri cereali. Ma come, direte voi, abbiamo mangiato glutine per millenni, la nostra “dieta mediterranea” è basata sui cereali e soprattutto sul grano! Quindi cos’è successo? Siamo cambiati noi o è cambiato il nostro modo di vedere? Perché così tante persone mangiano “gluten free”? U A cura di Elena Uga Pediatra dell’Ospedale di Vercelli con la collaborazione di Luigi Greco Professore di Pediatria, Napoli 30 UNA “COLLA” DIFFICILE DA DIGERIRE Per capire meglio l’“universo celiachia” dobbiamo innanzitutto capire meglio di cosa stiamo parlando: prima di tutto vediamo cos’è esattamente il glutine. Il glutine è la SPECIALE parte proteica del grano e di altri cereali (i cereali privi di glutine sono riso, mais e grano saraceno) che ha delle caratteristiche peculiari: innanzitutto il glutine “agglutina”, incolla, quindi permette che i derivati dei cereali (pani, farine, dolci) abbiano una certa consistenza e un certo gusto e siano facilmente trasformabili. Proprio perché il glutine “incolla”, è facile capire che, essendo “colloso”, non sia facile da digerire: ecco perché gli alimenti che ne sono privi, cioè gli alimenti “senza glutine”, sono più “leggeri” e digeribili, anche per chi celiaco non è. Già, ma come si diventa celiaci? Innanzitutto ci vuole una predisposizione genetica, questo vuol dire che bisogna avere un gene (un gene molto frequente, comune addirittura a circa il 30% della popolazione) senza il quale la celiachia non può svilupparsi. Quindi circa una persona su tre porta nel proprio DNA il gene della celiachia, ma solo una persona su 100, nel corso della sua vita, diventerà celiaca. Quindi il gene da solo non basta, predispone allo sviluppo dell’intolleranza al glutine, ma è necessario anche l’incontro con un “fattore ambientale” (la cui natura non è ancora nota), che in un momento qualsiasi della vita determina lo scatenarsi di questa reazione anomala. Introducendo un termine medico piuttosto diffuso, possiamo dire che la celiachia è una “malattia autoimmune”: chi possiede il famigerato gene e viene in contatto con l’altrettanto famigerato (e sconosciuto, per ora) fattore ambientale, ogni volta che introduce glutine con la dieta inizia a produrre degli anticorpi che attaccano e distruggono la superficie interna del suo stesso intestino e in particolare i “villi intestinali”. Questa “guerra civile” ha molte ricadute, non solo sull’intestino ma su tutto l’organismo. Alcuni soggetti, particolarmente sensibili, nel momento stesso in cui mangiano glutine hanno immediatamente i sintomi intestinali come il mal di pancia, il vomito, o la diarrea. Altri invece non si accorgono di nulla, ma silenziosamente si possono produrre danni in molti apparati: anemia, problemi legati alla fertilità, carenze di nutrienti e vitamine che vengono poco assorbiti, fragilità delle ossa e molto altro, fino a malattie gravi come il linfoma dell’intestino. Ma allora, se la celiachia è in grado di causare tutti questi cataclismi perché si può dire “Sono celiaco, non malato”? La risposta è semplicissima: perché togliendo il glutine dalla dieta l’intestino e tutto l’organismo del soggetto celiaco tornano perfettamente normali. Per cercare di districarci meglio in questo argomento, che può sembrare difficile e contorto, è meglio che mi tolga il camice e impersoni il ruolo (peraltro a me piuttosto congeniale – ho tre figlie) di mamma. MIO FIGLIO È CELIACO Elena, mamma di Fabrizio, che è un bel bambino di 5 anni, ha scoperto che il piccolo è affetto da celiachia. Da qualche tempo Fabrizio cresceva un po’ meno in peso e AUTOIMMUNE Il nostro organismo possiede un complicato e potente sistema immunitario capace di difenderci a lungo contro una serie infinita di agenti esterni potenzialmente pericolosi o addirittura letali. Questo sistema immunitario si sviluppa durante tutto il corso della vita e acquisisce, soprattutto all’inizio della vita stessa, con il passare del tempo sempre maggiori capacità di risposta contro le possibili (e continue) aggressioni dall’esterno. Può capitare però che il nostro sistema immunitario impazzisca improvvisamente e cominci ad agire anche contro cellule, tessuti e organi del nostro stesso organismo: si sviluppa così una malattia che noi chiamiamo “autoimmune”. La celiachia è una malattia di questo tipo. VILLI INTESTINALI L’intestino è l’organo nel quale il cibo viene trasformato e assorbito, in maniera che possa diventare “carburante” e “materiale da costruzione” per il nostro organismo. La sua forma è quella di un lungo tubo, così lungo che è difficile immaginarlo, guardando l’addome dall’esterno: 8 metri circa in un adulto normale. Ma questo è niente a confronto con l’enorme superficie della sua parete. Infatti, la parte interna di questo tubo è rivestita da un’infinità di minuscole protuberanze, messe l’una accanto all’altra: sono questi i villi intestinali, rivestiti di cellule e percorsi da vasi sanguigni e linfatici, servono ad assorbire materialmente il cibo digerito e funzionano da interfaccia fra l’organismo stesso e il mondo esterno, per quello che riguarda la nutrizione. Se i villi intestinali si appiattiscono, la superficie attiva dell’intestino si riduce di molto e questi scambi diventano più difficili. 31 SPECIALE altezza e il pediatra ha prescritto gli accertamenti. A Fabrizio è stato dapprima effettuato un esame del sangue e poi, visto che il risultato è stato positivo, una gastroscopia. Elena aveva molta paura all’idea che infilassero un tubo in gola al suo piccolo e invece è andato tutto liscio: Fabrizio, leggermente sedato, non si è praticamente accorto di nulla e poche ore dopo l’esame è tornato a casa tranquillo. Dopo qualche giorno l’esito era pronto e la diagnosi confermata: i villi intestinali di Fabrizio sono piatti e infiammati, danneggiati dall’esposizione al glutine. Dopo aver saputo la diagnosi, Elena si è spaventata ancora di più: non ha capito bene tutto quello che le è stato detto, che ha letto e che ha sentito in tv e ha bisogno di chiarirsi le idee. Così ha cercato di fare mente locale e ha scritto alcune domande da fare al suo pediatra. I celiaci non sono malati ma se mangiano il glutine stanno male come gli allergici: allora la celiachia è un’allergia? Se non lo è, che differenze ci sono? La celiachia non è un’allergia, ma una complessa intolleranza immunologica: il glutine, che ha una struttura molto anomala, viene riconosciuto dal sistema immunitario del soggetto celiaco non come qualcosa di buono da mangiare, ma come parte di un virus minaccioso, contro il quale l’organismo del celiaco mette in atto una risposta difensiva esagerata, così esagerata da danneggiare le strutture stesse dell’ospite. Quali alimenti contengono il glutine e quali no? Solo gli alimenti che contengono farina di grano, di orzo o di segale sono vietati al celiaco. Riso, mais e patate non contengono glutine; e così tutti i vegetali e legumi, tutte le carni, i pesci, i formaggi, i latticini, i salumi e tutta la frutta. Talora la farina di grano è nascosta in alimenti che non sembrano contenerla: i Pringles, ad esempio, non sono patatine ma sono fatti di farina di grano, il Ferrero Rocher contiene il Wafer, ecc. Ma basta leggere con cura le etichette per scoprire se un alimento contenga farina di grano, di orzo o di segale. In generale le etichette sono la migliore difesa e chiariscono tutti i dubbi. Le contaminazioni accidentali, in generale, non sono affatto un problema, perché bisogna assumere almeno mezzo cucchiaino di farina perché il glutine in esso contenuto faccia male e così tanta farina non si può certo nascondere in una caramella, una gomma o una bevanda. Nessun farmaco è pericoloso per il celiaco. Come abbiamo detto, le etichette aiutano molto: un celiaco deve evitare grano, frumento, orzo, segale, farina di frumento, di orzo e di segale, amido di frumento e malto. Ricordiamoci che il kamut, spesso presente nei negozi di prodotti biologici e nei cibi integrali, non è altro che una varietà di grano e quindi, ovviamente, va evitato. Non sono invece pericolosi farine e amido di riso, mais, soia, patate, castagne, miglio, grano saraceno; maltosio, maltitolo e maltodestrine sono zuccheri e quindi, anche se sono de32 rivati dal grano, non ne contengono la parte proteica; glutammato e additivi vari, semi di guar, carrube ecc. non contengono glutine. Se la celiachia è una malattia genetica dovremmo fare i test anche noi genitori? E la sorellina? E i cuginetti? La celiachia non si trasmette come le malattie ereditarie, ma almeno il 10% dei familiari dei soggetti celiaci sono a loro volta predisposti verso questo disturbo: è utile fare il test genetico ai familiari e in seguito, solo se il test genetico risulta positivo, fare dei controlli periodici (ogni 2-3 anni) con esami del sangue. Ora che ho scoperto che il mio bimbo è celiaco, non potrò più mangiare al ristorante? Come farò a scuola? E in vacanza? La vita di un celiaco è normalissima, ci vuole solo un po’ di organizzazione. Il rischio di assumere inavvertitamente del glutine usando posate, tovaglie e pentole non esiste: chi paventa questo rischio diffonde solo un fanatismo inconsistente. Lo ripeto: la vita del celiaco deve essere una vita normale: andare al ristorante, fare gite o stages fuori casa, tutto si può fare. Circa 100.000 celiaci fanno una vita normale, conoscono gli alimenti e, nel dubbio, leggono le etichette. SPECIALE Ho sentito parlare di contaminazioni, cosa vuol dire? Come si fa a essere sicuri che il cibo non sia “contaminato”? E come ci si comporta con contenitori e stoviglie? La faccenda delle contaminazioni è solo una leggenda priva di ogni consistenza: paradossalmente potrebbe non essere la celiachia a danneggiare un bambino, ma questi fanatismi, che gli distruggono la vita e rendono intollerabile una condizione che, se ben affrontata, è assolutamente tollerabile. La farina si vede bene se rimane attaccata a qualche utensile, per evitare rischi basta cucinare in modo pulito. Tanta gente ha affrontato, da un giorno all’altro, una dieta senza glutine con il terrore non della presenza dichiarata di farine o amidi con glutine, ma della possibilità di una contaminazione minima in alimenti naturalmente senza glutine: la famosa “traccia di glutine”. Questo terrore ha generato angoscia nei pazienti e nelle loro famiglie, fino a creare abitudini assurde, come portarsi in giro la propria tovaglietta, le posate, le pentole: un grave danno all’equilibrio mentale degli intolleranti al glutine. Si è infatti trasformata una prescrizione positiva come “mangiare meglio e senza glutine”, in una persecuzione quotidiana: non fare, non mangiare, stai attento, sospetta... È ora di cambiare: la dose minima giornaliera di glutine tossica per un celiaco, capace di suscitare un danno al- AIUTATI CHE DIO T’AIUTA Nonostante il celiaco non sia malato e possa vivere una vita tranquilla e serena senza troppe restrizioni, spesso l’idea di eliminare pane e pasta dalla dieta viene difficilmente accolta dal celiaco e dalla sua famiglia. La dieta viene vista come una limitazione alla quotidianità, per non parlare del timore che sia difficile mangiare fuori casa. Per questo da molti anni l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) si prodiga per aiutare e sostenere i celiaci e le loro famiglie e per informare correttamente ristoratori, scuole e altri servizi pubblici a riguardo. Sempre più presso le sezioni regionali dell’AIC nascono gruppi di auto mutuo aiuto fra i soggetti celiaci e i loro famigliari. Le origini del self-help (auto-mutuo aiuto) affondano nelle prime esperienze di gruppi per persone con problemi di alcol dipendenza realizzate negli anni Trenta in America a opera degli Alcolisti l’intestino, è pari a un cucchiaino di farina di grano al giorno per 90 giorni; dosi inferiori sono innocue. Questo è molto importante, perché una dieta estremamente restrittiva e attenta alle “tracce” di glutine diventa una persecuzione per chi la deve osservare: soprattutto gli adolescenti, se ossessionati dalla paura della ‘”traccia”, tenderanno a evitare, per esempio, le gomme da masticare o a scegliere sempre e soltanto un solo tipo di gelato o di patatine. E così si sentiranno limitati nella loro libertà, si stancheranno della dieta e possono finire per abbandonarla del tutto: la dieta deve essere sì senza glutine, ma non può essere una condanna a una vita difficile. Anzi, la scelta “senza glutine” è una scelta positiva, non proibitiva, in quanto gli alimenti che non contengono questa sostanza sono spesso, da un punto di vista nutrizionale, migliori di quelli con il glutine. Adesso che il mio bimbo è celiaco dovrò fare la spesa solo in farmacia o nei negozi specializzati? Carne, pesce, frutta, legumi, ogni ben di Dio, in farmacia? Mai! Trattare il celiaco come un malato e quindi costringerlo a comperare il cibo in farmacia è una “distorsione” che nasce dalla pressione dell’industria. Esistono numerosissimi alimenti naturalmente senza glutine, basta imparare a leggere bene le etichette; molti cibi posso- Anonimi. Da allora, i gruppi di auto-mutuo aiuto si sono diffusi in tutto il mondo e in ogni ambito di disagio sociale o socio-sanitario. Esistono oggi gruppi nell’area dell’handicap, della psichiatria, delle dipendenze patologiche, delle disfunzionalità affettivo-relazionali, dell’oncologia, del sostegno all’allattamento al seno, ecc. Al loro interno persone che hanno in comune un problema, una difficoltà o una malattia si offrono reciprocamente ascolto e aiuto, sviluppando esperienze di accoglienza, solidarietà e riconoscimento capaci di creare grandi cambiamenti e di produrre autentico benessere. I gruppi di auto-mutuo aiuto sono gruppi “alla pari”, non sono guidati da “esperti” e i singoli partecipanti offrono la loro esperienza agli altri. La partecipazione alle attività è sempre libera e gratuita, pertanto, democraticamente alla portata di tutti. SPECIALE no essere autoprodotti e, in ogni caso, sono facilmente reperibili nelle comuni catene di negozi e supermercati. I prodotti speciali senza glutine possono avere, se mai, un ruolo minore nella dieta del celiaco: è comodo avere talora pasta già pronta, un panino congelato o dei biscotti, ma non possono essere la base dell’alimentazione quotidiana. Anzi, è importante che non ci si abitui a vivere con alimenti surrogati di quelli con glutine, come la pasta e il pane della farmacia; è meglio invece sviluppare delle vere alternative alimentari. Un ragazzo, un adulto che vive e lavora in Europa deve essere educato a scegliere le cose più buone tra gli alimenti naturalmente senza glutine, non deve mangiare in farmacia né può portarsi dietro la mamma o la cuoca che cucinino per lui: deve acquisire il piacere dell’alternativa alla pasta e al pane, senza vivere di falso pane e falsa pasta. Mia cugina non è celiaca, eppure le hanno prescritto una dieta senza glutine e non capisco il perché. Quali sono i soggetti che devono mangiare senza glutine? Il glutine non è facile da digerire: è tra le proteine alimentari più difficili da assimilare. Alcuni individui, molto sensibili, pur non essendo celiaci e non correndo i rischi che dalla celiachia derivano, hanno problemi di motilità intestinale e di fermentazione col glutine e con carboidrati contenuti nelle farine. Lo diceva anche la nonna: “Se hai male al pancino, mangia riso e polenta!” E se mi sbaglio? E se Fabrizio decide di far di testa sua e crescendo non segue più la dieta? Cosa può succedere? Se noi siamo genitori fanatici, Fabrizio cercherà di abbandonare la dieta e potrebbe avere seri danni. Non mangerà “tracce” ma si riempirà di pizze e panini! Se siamo equilibrati e intelligenti non avrà nessun problema. L’errore occasionale non porta alcun danno, se non si ripete tutti i giorni: non succede nulla se si sbaglia involontariamente! E se fabrizio dovesse assumere delle medicine? Per capire quanto sia spesso ridicolo il problema delle tracce di glutine, basta vedere i farmaci: se una compressa di Aspro contiene 500 milligrammi di Aspirina e 100 milligrammi di amido di frumento, bisogna ingoiare 10 compresse di Aspro per ingerire 1 grammo di amido; in quel grammo potranno essere presenti circa 2,1 milligrammi di proteine, delle quali 1 milligrammo è composto da glutine. Una quantità 50 volte inferiore al minimo tollerabile. Ma 10 compresse di Aspro farebbero molto male a qualsiasi individuo e provocherebbero un avvelenamento da farmaci: dunque è evidente che nessuno si sognerebbe di assumerle. In pratica non vi sono farmaci che, alle dosi terapeutiche, forniscano quantità rilevanti di glutine. Stesso discorso per gli oli di semi (in cui la possibile contaminazione dell’olio di germe di grano è un evento del tutto improbabile), per lo sciroppo di glucosio e per la farina che potrebbe essere utilizzata nella lavorazione dei salumi. 34 Ma in futuro qualcosa cambierà? Forse Fabrizio tornerà a mangiare tutto quel che desidera? L’Italia è all’avanguardia nella ricerca sulla celiachia e conduce uno studio pluriennale per valutare la possibile prevenzione della malattia denominato PreventCD. Oggi bisogna fare bene la dieta senza glutine, senza limitarsi la vita e senza fanatismi: è la soluzione più facile, più efficace, più sicura. I farmaci che sono, o potrebbero essere proposti nel prossimo futuro per i soggetti celiaci, presentano tutti molti più problemi. Quelli che conosciamo oggi (si parla di una “pillola”) sono meno efficaci e meno sicuri della dieta senza glutine. Ma la ricerca va avanti, anche se lentamente: nel prossimo futuro cominceranno a comparire molecole che possono aiutare il celiaco in momenti straordinari di difficoltà. Potranno forse prevenire alcune complicanze e permettere di correggere eventuali errori dietetici. Il vero problema della celiachia è l’ignoranza e la non accettazione. A molti non entra nel cuore l’idea di non mangiare un bel piattone di pasta: da qui la spasmodica ricerca di alternative a ogni costo. Oggi abbiamo una soluzione facile, sicura, efficace: la ricerca ci darà nuovi strumenti, ma non potrà cancellare il concetto che il glutine è un veleno per il celiaco. Elena e Fabrizio escono dallo studio del loro pediatra rincuorati: la celiachia sarà una nuova avventura, la scoperta di nuovi sapori, tanta bontà e nessuna rinuncia! [email protected] DIAGNOSI: SI PUÒ ANCHE FARE DA SÉ La tecnologia oggi ci mette a disposizione dei “kit diagnostici” che ci consentono di “fare in casa” (meglio però nell’ambulatorio del medico di fiducia) molte diagnosi. Il prototipo, che tutti conosciamo perché esiste da decenni, è il test di gravidanza che si acquista in farmacia. Questi kit sono basati sulla stessa tecnologia che si usa in laboratorio e danno dei risultati in molti casi sovrapponibili a quelli del laboratorio stesso. Ce n’è uno anche per la celiachia e consente la ricerca degli anticorpi antitransglutaminasi IgA e IgG in una goccia di sangue prelevata dal polpastrello di un dito con una puntura assolutamente indolore. Si trova in farmacia a un costo accessibile e, secondo la ditta che lo produce, ha una sensibilità del 96,5% e una specificità del 97,3%, dimostrate da uno studio condotto su diversi centri di eccellenza italiani specializzati nella diagnosi della celiachia. Questo significa che il test, effettuato su un gran numero di persone, è in grado di identificare quasi tutti (95,6%) i soggetti celiaci e di scartare quasi tutti (97,3%) quelli che celiaci non sono. Perciò molti pediatri lo usano in prima battuta per confermare un sospetto di celiachia. SPECIALE LA STORIA DEL GRANO Con il termine grano o frumento si indicano alcune specie del genere Triticum della famiglia delle Graminacee. Il frumento fu tra le prime piante a essere coltivate nell’area definita della “Mezzaluna fertile”, compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate. Gli archeologi hanno attribuito alla coltivazione del frumento un’importante valenza nello sviluppo della società civile e stanziale in quanto, mentre gli ortaggi potevano essere coltivati anche intorno a un campo nomade, la coltivazione del grano spinse i primi contadini a realizzare reti di canali per estendere la colture. Dalla Mezzaluna Fertile il grano si diffuse in Egitto (dove già veniva utilizzato l’orzo) e fu preferito all’orzo per le sue migliori caratteristiche di panificazione. Ancora oggi dal frumento si ricavano, in generale, farine per panificazione, per la produzione di paste alimentari, di biscotti, di dolci, ecc. I principali componenti della farina sono l’amido, il glutine, la destrina, gli zuccheri, le gomme, piccole quantità di sostanze grasse, sostanze minerali, fosfati, sostanze coloranti e vitamine. Mangiamo grano da 10.000 anni, ne mangiamo tanto da circa 2000 anni, tantissimo da 200 anni, eppure i celiaci sono sempre di più e si vanno diffondendo in tutto il mondo, dal Sud America, all’Africa fino in Cina. Forse c’è qualche vantaggio che ha bilanciato, a favore dei celiaci, la possibilità di sopravvivere con questo specifico corredo genetico. O forse il grano è cambiato? A questo proposito, dunque, bisogna considerare che il genere Triticum si classifica in sei specie definite in base al numero di cromosomi che compongono il genoma. Tra queste specie ve ne sono due utilizzate maggiormente per la produzione di alimenti: la specie del grano duro e quella del grano tenero. Una prima differenza fra le due consiste nel fatto che il grano duro contiene più proteine di quello tenero (quindi più glutine). Alcune varietà di grano sono cambiate anche a causa di mutazioni indotte dall’uomo. Nel 1974, ad esempio, irradiando con raggi X la varietà “Cappelli”(dal nome del suo creatore), se ne ottenne una mutazione: il grano “Creso” il cui fusto è più basso del grano originario, per evitare che il vento distenda la pianta compromettendo la mietitura. Oggi la varietà “Creso” è utilizzata in circa il 90% delle coltivazioni italiane, e alcuni ritengono che questa possa essere una delle cause della maggior diffusione dell’intolleranza al glutine. 35 SPECIALE Celiachia Quattro domande Quattro risposte e quattro ricette “naturalmente” senza glutine SCREENING Parola inglese che significa letteralmente “selezionare” o anche “setacciare”; un programma di screening è infatti una specie di setaccio attraverso il quale si fanno passare tutti i soggetti interessati. La stragrande maggioranza di loro supera le maglie della tela, ma non tutti. Alcuni, pochi generalmente, vengono isolati dagli altri: sono questi i casi potenzialmente patologici su cui intervenire. Attenzione però: se le maglie del setaccio sono troppo strette si rischia di classificare come malati molti individui sani (falsi positivi); viceversa ci si può lasciar sfuggire alcuni malati (falsi negativi). COME SI FA OGGI LA DIAGNOSI DI CELIACHIA? Quando c’è il sospetto, in base ai sintomi, che un paziente (adulto o bambino) sia celiaco, il medico prescrive innanzitutto degli esami del sangue: si cercano gli Anticorpi Anti Endomisio (EMA) e gli Anticorpi Anti Transglutaminasi (TTG). Un risultato patologico per questi esami significa che è molto probabile che quella persona sia effettivamente celiaca, ma la diagnosi va confermata facendo una gastroscopia con biopsia, cioè andando a prendere un piccolo frammento di mucosa dell’intestino tenue che andrà poi analizzato al microscopio. Se l’intestino non presenta più i villi, che risultano “piatti” e sono presenti nel tessuto prelevato con la biopsia delle cellule infiammatorie, la diagnosi è fatta. Ma è possibile anche fare a meno della biopsia intestinale e basarsi solo sugli esami del sangue: la Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica ha stabilito dal 2012 che un soggetto che abbia la predisposizione genetica, gli EMA positivi con le TTG almeno 10 volte superiori ai valori normali può iniziare direttamente la dieta senza glutine anche senza fare un esame al microscopio dei villi intestinali; se i sintomi si risolvono con la dieta la diagnosi è fatta e la biopsia si può evitare. Non tutti gli specialisti però sono d’accordo su questa linea di condotta: alcuni pensano che la biopsia vada fatta sempre, perché permette di verificare le condizioni dell’intestino e di “toccare con mano” la diagnosi. Per quello che sappiamo oggi la diagnosi di celiachia è “per sempre”. Nei soggetti celiaci il danno intestinale e i sintomi riprendono dopo un’eventuale reintroduzione del glutine, in qualsiasi momento della vita. SCREENING: PERCHÉ NO? Visto che la celiachia è così diffusa, a volte nascosta e potenzialmente dannosa, non sarebbe ragionevole cercarla facendo gli esami del sangue a tutti i bambini, come si fa, per esempio, con il Pap Test a tutte le donne per diagnosticare precocemente i tumori del collo dell’utero? Purtroppo gli Anticorpi Anti Transglutaminasi, il cui aumento è indispensabile per sospettare una diagnosi di 36 SPECIALE celiachia, in un celiaco possono aumentare in qualsiasi epoca della vita: perciò valori normali per questo esame, in soggetti che siano geneticamente predisposti a diventare celiaci, non escludono che il problema possa presentarsi in un futuro più o meno lontano. Analisi negative a 3 anni, per esempio, potrebbero diventare positive a 6: dunque lo screening avrebbe solo il vantaggio di cogliere quelli che in quel momento hanno gli anticorpi. Uno studio europeo ha dimostrato che può essere utile sorvegliare fra 2 e 5 anni solo i bambini che sono predisposti geneticamente alla celiachia. COSA SONO I TEST GENETICI? Quali sono allora i test genetici per rilevare una predisposizione alla celiachia? I celiaci hanno nel loro DNA due geni, che gli specialisti definiscono con le sigle DQ2 e DQ8. Chi possiede uno o entrambi questi geni potrebbe sviluppare la celiachia in un qualsiasi momento della sua vita. Ricordiamoci però che il 30% della popolazione possiede almeno uno di questi geni, mentre solo un soggetto su cento si ammala. Perciò la genetica è molto utile in negativo: chi non possiede la predisposizione non si ammalerà mai. La ricerca della predisposizione genetica viene consigliata nei parenti di primo grado dei celiaci per decidere se sottoporli o meno a controlli periodici. CELIACHIA E SVEZZAMENTO: È UTILE INIZIARE SENZA GLUTINE? Molti bambini vengono svezzati usando nei primi mesi alimenti senza glutine, nel tentativo di evitare così una possibile celiachia: ha un senso fare questo? L’età in cui viene introdotto nella dieta il glutine non ha alcuna influenza sull’incidenza di celiachia, neppure nei bambini che abbiano familiari celiaci o che siano geneticamente predisposti per questa malattia. Sappiamo però che, come per quasi tutte le malattie di origine autoimmune, l’allattamento al seno è un fattore protettivo che agisce soprattutto se il glutine viene introdotto mentre il bambino assume ancora latte materno. DOLCI FANTASTICI PER MERENDE E FESTE In Piemonte si mangia la Torta di nocciole, preparata con farine di nocciole e uova: occorrono 5 albumi, 180 grammi di nocciole tritate finemente, 160 grammi di zucchero, 20 grammi di amido di mais e una pizzico di sale. Con uno sbattitore si montano gli albumi con il sale, quando iniziano a montare a neve si aggiunge lo zucchero semolato e si continua a montare fino ad ottenere un composto liscio e spumoso. A questo punto si aggiungono la farina di nocciole e l’amido mescolando lentamente dal basso verso l’alto e si distribuisce il composto in uno stampo a cerniera o foderato con carta da forno, poi si cuoce. La torta va cotta in forno preriscaldato a 180°C per 35-40 minuti. In Lombardia invece si mangia la Torta paradiso, preparata con la fecola di patate: occorrono 250 grammi di zucchero, 250 grammi di burro, 250 grammi di fecola di patate, 5 uova, 1 bustina di lievito per dolci, 250 grammi di panna liquida, 1 o 2 cucchiaini di miele millefiori. Bisogna fondere il burro a bagnomaria e lasciarlo raffreddare. Quindi separare i tuorli dagli albumi e montare gli albumi a neve. A questo punto si sbattono i tuorli con lo zucchero. Si setacciano la fecola e il lievito e si aggiungono a cucchiaiate ai tuorli, aggiungendo sempre a cucchiaiate anche il burro raffreddato. Alla fine si incorporano gli albumi montati a neve con la spatola, dal basso verso l’alto, e si versa il composto in uno stampo tondo imburrato. Si inforna e si cuoce in forno preriscaldato a 170° per circa 40 minuti. A Capri potrete deliziarvi della famosa Torta caprese, anche lei “naturalmente senza glutine”: occorrono 300 grammi di mandorle pelate, 4 uova, 200 grammi di zucchero, 100 grammi di burro, 200 grammi di cioccolato fondente, 15 grammi di cacao amaro in polvere, zucchero a velo quanto basta. Dovrete montare bene il burro con lo zucchero e aggiungere, uno alla volta, i tuorli d’uovo, tenendo da parte gli albumi. Questi dovranno essere montati a neve, con un pizzico di sale, se lo preferite. Fate tostare leggermente le mandorle nel forno a circa 200°, quindi lasciatele raffreddare e tritatele con un mixer assieme a una parte del cioccolato fondente ridotto a 37 SPECIALE pezzetti. Fate sciogliere a bagnomaria il restante cioccolato e aggiungetelo al composto di burro e uova. Unite anche la miscela di mandorle e, dopo esservi assicurati che il composto sia diventato ben omogeneo, aggiungete gli albumi mescolando dall’alto verso il basso incorporando più aria possibile. Infornate la torta Caprese in forno statico preriscaldato a 180° per circa 40 minuti, in una teglia leggermente imburrata e infarinata (da fecola di patate o amido di mais per rendere il dolce completamente senza glutine). Dopo averla sfornata, aspettate il suo completo raffreddamento per sformarla (essendo molto delicata potrà anche portar delle crepe che sono però la sua caratteristica). Dopo di che, sarà giunto il momento giusto per cospargerla di una cascata di zucchero a velo! DAL DOLCE AL “SALATO” In Liguria vi verrà offerta la Farinata, una torta salata molto bassa preparata con ingredienti molto semplici, poveri e naturalmente senza glutine: farina di ceci, acqua, sale e olio. Occorrono 900 millilitri di acqua, 300 grammi di farina di ceci, pepe, sale e olio quanto basta. Si mette in una terrina la farina nella classica forma a 38 fontana e si versa al centro, un po’ alla volta, l’acqua. Si mescola il tutto per bene facendo attenzione ai grumi, fino ad ottenere un composto liquido e omogeneo, che si lascia riposare, mescolando di tanto in tanto, dalle 4-5 ore, fino ad arrivare alle 10 ore, coperto con un coperchio e fuori dal frigorifero.Trascorso il tempo necessario, è probabile che si sarà formata della schiuma in superficie: si toglie con un mestolo forato. Si aggiunge al composto il sale e mezzo bicchiere di olio; versate il restante olio in una teglia antiaderente (la tradizione prevederebbe il rame o l’alluminio), coprendone tutto il fondo. Si versa dentro la teglia il composto di ceci che farete cuocere in forno preriscaldato a 220° per circa mezz’ora fino a quando la farinata non risulti di un bel colore dorato; dopo si spegne il forno e si accende il grill per 15 minuti. Quando sarà cotta, si sforna la farinata, che andrà cosparsa di sale e pepe macinato, si taglia a quadrati e si serve ancora calda magari con un bell’accompagnamento di verdure o aromatizzata con un trito di rosmarino e olio. [email protected] Via le rotelle Saltellando sul marciapiede Diamo un valore al tragitto da casa a scuola È Andrea Satta Pediatra di famiglia, Valmontone (RM) Foto archivio UPPA sempre un momento particolare quello che si vive andando a prendere un bambino a scuola. Potrebbe sembrare sempre la stessa scena, un appuntamento scontato e invece quando si affaccia con il suo visino familiare in mezzo a quello di tanti altri, capiamo che si tratta di una dedica che non ha prezzo. So bene che per molti di noi genitori, per mille motivi, non è sempre possibile, anzi molti di noi non vivono quasi mai quella strana attesa, ma raccogliere il momento del rientro nelle nostre braccia dell’esperienza di tutto un giorno di scuola è meraviglioso e utile. Arrotonda un angolo che resterebbe non curato, rifinisce un dettaglio che si sfrangerebbe nelle mille altre vicende della quotidianità, è un raccordo necessario. Così come è importante dare un valore al tragitto tra la casa e la scuola e a quello del rientro. Molti, tutto questo lo sintetizzano con l’automobile, ma l’auto non è un mediatore felice, i piedi, la bicicletta o il tram vanno senz’altro molto meglio. “Bisognerebbe averne il tempo”, direte voi, ma sinceramente, il tempo è sempre la cosa che non abbiamo a disposizione o più spesso è forse la voglia a far difetto? Percorrere a piedi il tratto di strada tra casa e scuola dà valore ai gesti, è una condivisione importante, non lascia passivo il bambino, lo immette nel mondo reale, dopo quello vincolante dell’aula, è ricco di spunti e di variabili, incentiva il dialogo. In assenza di una personale disponibilità a recarsi all’uscita di scuola o all’entrata del mattino, più stimolante, allora, può essere organizzare il percorso, a turno, con altri genitori o, meglio ancora, abbracciare l’esperienza del pedibus e delle catene in bici che in alcune città sono ormai di frequente riscontro. Sono esperimenti che regalano autonomia e che consegnano ai piccoli il senso di un diritto alla città che si scioglie nel fare e nel respirare, nel coesistere e nel contribuire. A me, in fondo, devo dirvi, la tripla fila di automobili in attesa davanti alla scuola, inesorabile anche in sontuose giornate di primavera, fa un po’ tristezza. Nella mano di un bambino che strattona la mano che lo protegge e saltellando percorre un marciapiede, facendo magari mille domande, io leggo un sale felice della vita. [email protected] 39 La parola ai genitori Una scuola che non è una scuola Lo spettacolo triste di uno show di fine anno Francesca Roma Q uella che segue vuole essere una riflessione sulla realtà delle scuole private della città in cui vivo, Roma. Sono una mamma, lavoro con i disabili, mi interrogo sulla responsabilità genitoriale, sul ruolo della scuola e su quella rete che dovrebbe contenere e accompagnare il processo di crescita dei bambini (pediatri, maestri, nonni, associazioni). La mia sensazione è che, in generale, ci sia una comune tendenza a delegare, rinviare, rimuovere. La responsabilità educativa della scuola, in questo senso, ha una rilevanza gigantesca, a mio avviso poco indagata. CHE LO SPETTACOLO ABBIA INIZIO! Maggio in una scuola privata di Roma: tempo di prove per saggi di fine 40 anno ed è tutto un movimento di energie, fisiche ed economiche: costumi, preventivi di catering, consulenze di attori e ballerini, palloncini, canzoni, frasi spot da imparare a memoria, regali, biglietti, lacrime pronte e uso inaspettato del “noi”. Genitori che per il resto dell’anno sembravano latitare all’estero per tutto ciò che odorava di didattica e/o di educazione, di colpo emergono a reclamare la scena. Anche un bambino capirebbe che tutta la macchina della festa si accende per “loro”, i genitori paganti che, narcisisti fino all’osso, tengono in ostaggio una scuola, quella privata, rinunciataria e muta. Una scuola “cattiva maestra” che esercita, a richiesta, la variante grottesca e rovesciata della vocazio- ne educativa: gratificare genitori insicuri, che pagano per non sentirsi dire nulla, che rifuggono il senso di colpa e chiedono ostentatamente di andare bene così come sono. Ben venga quindi qualunque iniziativa “creativa” e stravagante: così l’ego spropositato di madri nevrotiche partorisce balletti e musical dal retrogusto tardo-adolescenziale, in presenza delle povere figlie sulle quali le medesime madri, spesso, rovesciano la propria insoddisfazione di donne separate o in procinto di separarsi. E i mariti, ex o quasi delle stesse, si improvvisano operai acrobatici per montare le impalcature del contorno felliniano della festa, fatto di palloncini, gazebo, luci, impianti stereo, telecamere. E poi le magliette stampate, la canzone composta e musicata per l’occasione, insomma chi più ne ha più ne metta: tutti si canta, tutti si balla, tutti si recita, da bravi figli della TV. E il tutto dice: “l’importante siamo noi”, questo è il messaggio. Un “noi” ipertrofico che è un’ammucchiata di tanti io riottosi e prepotenti fino al giorno prima. I BAMBINI CI GUARDANO E i bambini? I bambini, che dovrebbero stare “al centro” (bugia-slogan di qualunque proposta formativa che si “apre sul territorio”) eseguono obbedienti tutto ciò che viene chiesto loro e guardano, ci guardano e capiscono meglio di noi che non sono loro ciò che più conta nella nostra vita. Nella loro semplicità, con le loro vere esigenze, con il loro esprimersi incerto e non costruito, con il loro gioire disarmante e non per rappresentanza, ci guardano e capiscono che, ancora una volta, i “bambini” non sono loro. Spesso molti non sono più bambini già da un pezzo, lasciati soli, in case vuote a sma- nettare su smartphone, whatsapp, youtube. Figli di genitori troppo ”figli” per esercitare una qualche autorevolezza o responsabilità. Quando queste feste finiscono, una certa amarezza tocca il palato dei pochi genitori “non talentuosi” e poco dotati perché il ridondare degli adulti ha depauperato le cose vere: riconoscere la fatica dei bambini che hanno seguito un percorso di crescita impegnativo, il loro impegno nello stare insieme, il loro stupore per le cose scoperte, la loro meraviglia per la bellezza. Certo i figli si divertono a vedere adulti che si adoperano per qualcosa che attiene la loro vita di bambini, si divertirebbero anche a vederli cuocere la paella per trecento persone o a costruire una barca volante. Giocano, questo sanno fare. Ma l’immagine da brochure di queste feste copre un vuoto che è quello didattico. LA COSA PIÙ IMPORTANTE Cos’è importante per un bambino in età scolare? Tanta energia per provare, riprovare e provare ancora balletti, canti, scenette? Se la stessa energia fosse spesa da educatori e genitori nel declinare per loro la musica, l’arte, il fascino della storia, la magia della scienza, l’importanza insostituibile dei libri; se davvero la scuola fosse scuola, lasciare i propri figli nelle sue stanze sarebbe un piacere e poco conterebbero feste, palloncini, canzoni. Una scuola che sia tale, parla, non è reticente in base a ciò che le conviene, non ha paura di dire cosa si fa e cosa non si fa, non teme l’imbarazzo, la paura e, soprattutto, non è ricattabile. L’educatore è coraggioso, libero, non necessariamente sempre sorridente e malleabile, è fiducioso nel valore della responsabilità, nel potere delle parole, paziente nello ”spezzare” ciò che è importante per il bambino, anche a costo di rimanere solo e di andare controcorrente. Una scuola che sia scuola sa cosa è importante. Quante scuole invece sono diventate luoghi di aggregazione per genitori narcisisti? Chi spiegherà a questi genitori che trasformare queste energie in amore per la cultura, educazione al bello, esperienza del bello, equivale a far crescere la famiglia e la personalità dei propri figli? Essi diventerebbero più curiosi, più capaci, più forti, più competenti a leggere il mondo, più veloci ad afferrare ciò che conta e a scegliere, finalmente. E forse quel profitto si trasformerebbe in future professioni di eccellenza che arricchirebbero tutta la famiglia, sempre che il denaro, con il trascorrere dei decenni, continui a detenere lo scettro tra i valori in famiglia. E chi spiegherà agli educatori che una scuola senza biblioteca non è una scuola e che una scuola che non fa promozione della lettura è come un ristorante vegetariano che cuoce braciole di maiale sottobanco; che una scuola di Roma che non va a vedere Roma non è una scuola, che una scuola che non insegna ai bambini a uscire dal proprio quartiere non è una scuola, che una scuola che si accontenta di quattro paginette brutte di brutti libri non è una scuola, che una scuola che non capisce la potenza educativa della musica non è una scuola, che una scuola che fa finta di non leggere i segni dei tempi e abdica di fronte a nuove tecnologie non è una scuola. Servirebbe qualcosa o qualcuno che rispieghi a tutti che cos’è una scuola. Chi lo farà? [email protected] 41 Lo so fare anch’io Il dentifricio Facile, divertente e buono Elena Uga Pediatra dell’Ospedale di Vercelli “L avatevi i denti!” Quale mamma non ha implorato o inveito almeno una volta con i propri figli nel tentativo di passare loro il rispetto di questa fondamentale pratica quotidiana? “Spazzoliamo su e giù, almeno due minuti, mi raccomando le gengive e i “dentoni” dietro e poi “sciacqua e sputa!”. Ma la nostra attenzione spesso non si sofferma sul dentifricio, al massimo riflettiamo se sia meglio il gusto bubble gum o fragola o su quanto sia accattivante la confezione. Un modo coinvolgente per interessare i bambini al lavaggio dei denti potrebbe essere proporgli di produrre in casa il dentrificio, giocando insieme con gusti e ingredienti. La preparazione domestica del dentifricio è semplice e può partire da ingredienti e aromi diversi per ottenere risultati più o meno graditi, tutti da provare. Una possibilità sono i dentifrici all’argilla: per preparare un dentifricio all’argilla in polvere tritate finemente in un mixer da cucina ½ cucchiaino di argilla verde ventilata, 2 cucchiai di foglie di salvia essiccata, 2 cucchiai di bicarbonato, 5 chiodi di garofano. Potrete aromatizzare il dentifricio con 5 gocce di olio essenziale di menta o di limone, oppure di tea tre oil, che ha un gusto molto forte e un dimostrato potere antisettico. Questo dentifricio sarà costituito da una polvere che potete conservare in un vasetto di vetro con tappo a vite; per utilizzarlo basta inumidire lo spazzolino e impregnarlo ben bene nella polvere. PER TUTTI I GUSTI Se invece preferite una consistenza più “pastosa” e simile a una tradizionale pasta dentifricia bisognerà utilizzare ingredienti come gel, oli o glicerina. Per esempio si possono mescolare 2 cucchiai di olio di cocco a tre di bicarbonato aggiungendo un pizzico di dolcificante (per esempio polvere di Stevia). Alternativa 4 cucchiai di gel all’aloe mescolati a 1 di caolino o bicarbonato oppure 1 cucchiaio di argilla, 2 di bicarbonato e 1 di glicerina. A tutte queste preparazioni possono essere aggiunte alcune gocce (5-10) di olio essenziale a piacere. Quindi non una ricetta, ma tante possibilità di mischiare e inventare (c’è chi addirittura usa la pol42 pa fresca di frutta, tipo le fragole molto mature, frullata con bicarbonato per lavarsi i denti). Ovviamente l’uso di un dentifricio fatto in casa non permette di integrare fluoro, quindi che fare? Nonostante i pareri della comunità scientifica non siano univoci e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga sia praticamente impossibile ottenere gli effetti protettivi della fluoro profilassi senza esporsi al rischio, seppur minimo, di sovradosaggi, una recente pubblicazione del Ministero della Salute sottolinea come la fluoro profilassi non sia necessaria se l’acqua bevuta contiene più di 0,7 mg/dl. Se l’acqua non è abbastanza fluorata, è indicato l’utilizzo di un dentifricio contenente fluoro, se decidiamo di farci il dentifricio in casa dovremo valutare l’utilizzo di integratori di fluoro per bocca. In ogni caso vale la pena di auto produrre il dentifricio per provare, risparmiare, ridurre i rifiuti e dire “l’ho fatto io”. [email protected] IL CAOLINO Tra tutte le argille, il caolino è quella più fine e si adatta bene a essere usato al posto del dentrificio, senza il rischio di rovinare lo smalto dei denti. In natura esistono diverse composizioni di questo silicato e cambiano colore a seconda della presenza o meno di ferro. Si và dal bianco al rossastro e arancione. Quella che si trova comunemente in farmacia è bianca. Come tutte le argille, ha un forte potere battericida e antisettico. Foto 123RF Letture per genitori Mangiare e dintorni Un manuale completo per genitori in gamba Vincenzo Calia Pediatra di famiglia, Roma L’ uomo è ciò che mangia”, sosteneva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. È da qui che conviene partire per parlarvi di un libro appena uscito, “Mangiare per crescere – Consigli per genitori in gamba” di Mauro Destino e Federico Marolla. Un bambino che nasce è un nuovo essere vivente costruito, durante 9 mesi di gravidanza, utilizzando sostanze ed energia derivanti dagli alimenti che la sua mamma ha assunto. Questo bambino cresce e diventa grande: anche questo è un complicato processo di trasformazione degli alimenti che ingerisce, che diventano cervello, muscoli, ossa, pelle, sangue… Ecco che il mangiare ha un grande posto nella nostra vita, al di là dell’ovvio soddisfacimento delle nostre esigenze di nutrizione; e oggi sappiamo anche come e quanto l’alimentazione influisca sulla nostra salute e sulla qualità e la lunghezza della nostra vita. Sappiamo… e non sappiamo: la scienza va avanti e molti meccanismi fisiologici (e patologici) sono conosciuti nei minimi dettagli, ma il comportamento di ciascuno di noi non è sempre coerente con le regole di un mangiare salutare. UN’ACCOPPIATA VINCENTE Pediatri e genitori sono l’accoppiata vincente, che ha in mano, in questo come in altri campi, gli strumenti per garantire ai nostri figli un futuro di buona salute: questo è il motivo che ha spinto Destino e Marolla a scrivere questo prezioso manuale. Di libri sul “mangiare” sono pieni gli scaffali delle librerie, ma questo, non a caso, è dedicato a “genitori in gamba” perché percorre in maniera semplice e completa tutto l’arco delle conoscenze su questo tema. E così, partendo dai principi alimentari e i fabbisogni nutrizionali, ci spiega l’alimentazione dei bambini tappa per tappa, dall’allattamento all’adolescenza, con l’obiettivo di insegnare un’alimentazione sana e correggere gli errori alimentari. Non mancano tabelle, spiegazioni dietetiche, suggerimenti pratici sulla dieta e sullo stile di vite e, dulcis in fundo, ricette gustose e sane. Il tutto corredato, per i genitori che sono in gamba sul serio, da una ricca bibliografia e da un’altrettanto ricca “sitografia”. [email protected] LEGGENDO QUA E LÀ Considerando che il cibo è disponibile sempre e ovunque, imposto da mille influenze (per esempio la pubblicità) e che i figli non sempre sono sotto il controllo diretto dei genitori… è facile immaginare che il mangiare attualmente sottenda a un guerreggiare continuo, invece che a un momento gioioso […] […] è necessario che offriate il buon esempio se volete che ci sia coerenza nelle vostre proposte… ogni bambino tende a imitare i comportamenti dei genitori, e se questi sono errati ogni buon proposito si rivelerà inutile. […] provate adesso a mettere vostro figlio di 4 mesi sul passeggino in cucina… posizionato in modo tale da poter vedere ogni vostro gesto, e iniziate ad apparecchiare […] Questo capitolo è per voi, cari genitori! Mettetevi comodi e lasciate giocare i vostri bambini… Adesso siete voi i protagonisti e determinerete cambiamenti importanti senza imposizioni e senza conflitti. Da: “Mangiare per crescere – Consigli per genitori in gamba” di Mauro Destino e Federico Marolla, Il Pensiero Scientifico Editore, 18,00 euro 43 Nati per leggere Non solo in vacanza Il tempo è meno “libero” ma la lettura continua Redazione Nati per Leggere C i sono dei momenti meravigliosi in cui è possibile godersi con calma la tranquillità del mondo, chiudere fuori dal proprio cuore e dalla propria mente il rumore del quotidiano. Anche quando le vacanze sono finite si può restare seduti o sdraiati e godersi una buona lettura con i nostri piccoli, magari scegliendo libri che comunichino qualcosa a entrambi. Un po’ giocando, un po’ coccolandosi e un po’ seriamente leggendo, possiamo condividere suoni, parole, significati. CERTE VOLTE di Luigi Ballerini, illustrato da Richolly Rosazza, ed. Mottajunior, 2014 Un bambino è alle prese con le emozioni e gli stati d’animo più vari. Si comincia con una serie di situazioni faticose in cui il protagonista non si sente a proprio agio e lo dimostra indossando un travestimento che corrisponde al suo sentire. Lo troviamo con il costume da cane quando rincorre il gatto o da leone quando grida forte per farsi sentire, e così via. Nelle pagine dove il bambi44 no torna sereno e felice le corazze assumono un ruolo diverso. Le illustrazioni cambiano tonalità e sfumature a seconda di come si sente il bambino e variano dai colori più freddi a quelli più caldi, quando pian piano l’umore migliora. Come ogni bambino anche il protagonista di questa storia utilizza ciò che conosce per far sentire la propria presenza, mentre chiede di essere ascoltato e accolto. Dai 4 anni e per tutti coloro che vivono tutte le sfumature della vita! NERO-CONIGLIO di Philippa Leathers, ed. Lapis, 2014 Un piccolo coniglio bianco si sveglia in una bella mattina di sole. Esce dalla sua tana ma subito accade qualcosa di inaspettato. Si accorge che non è solo. Dietro di lui un enorme Nero-Coniglio incombe. Coniglio coraggiosamente prova a mandarlo via, ma Nero-Coniglio non si muove e quando Coniglio scappa, Nero-Coniglio lo insegue. Coniglio allora fugge nella foresta, e lì Nero-Coniglio non c’è. Ma il piccolo coniglio sarà davvero al sicuro? Dai 4 anni e per coloro che affrontano l’ignoto! LUPO & LUPETTO di Nadine Brun-Cosme, illustrazioni di Olivier Tallec, ed. Clichy, 2013 Grande Lupo vive tutto solo sotto il suo alberello. Un giorno arriva Piccolo Lupo e si installa da lui, osando perfino restare per dormire. Il piccolo rimane anche il giorno successivo per la seduta di ginnastica di Lupo, che, per niente rancoroso, gli offre perfino qualche frutto per la colazione. Comincia così la storia di un addomesticamento lento, fatto di silenzi, di sguardi nascosti, di gesti calmi e quasi segreti. Dopo pranzo Lupo parte per l’abituale passeggiatina, ma al suo ritorno – che stupore! – il nuovo amichetto non c’è più. Dove sarà finito? Che strano sentimento quello che prova Lupo … comincia a riconoscere che in compagnia si stava meglio! Dai 4 anni e per tutti coloro che credono nella semplicità della condivisione! [email protected] Nati per leggere La poesia del libraio Per grandi che hanno voglia di emozionarsi, per piccoli che iniziano a scrivere la propria storia Anna Rita Marchetti Libraia di Ponteponente, Roma l randagismo non colpisce solo i cani, sono in tanti a vagare per proprio conto. I gatti, in primo luogo, più restii a qualunque forma di affiliazione, gli uccelli che decidono di emigrare verso climi tropicali, gli uomini ribelli che partono per mondi lontani. E poi ci sono le storie. Sì, anche le storie sono vagabonde, soprattutto quei racconti che non vogliono essere catalogati in strette etichette bibliografiche e girano come farfalle al vento. È quello che succede a “Storia randagia” un libro scritto da Alfredo Stoppa e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini per Fatatrac edizioni, arrivato in libreria nel marzo di quest’anno. Un albo illustrato che sembra un quadro dalla cornice irregolare, strabordante, effimero, transitorio, dove la voce narrante sfugge a una istintiva collocazione. “Veniva dal mare, bianco, tagliante, prepotente... vento randagio. Sollevava, gonfiava, spettinava, portava, sibilava, fischiava, s’intrufolava invadente” e questa voce rimane un mistero fino alla fine. Salta da una pagina all’altra, senza lasciare parole ma le tavole acquarellate ricche di dettagli restano. Si fa presto a riconoscere alcuni luoghi freddi e ventosi, o quei maglioni di lana rossa che si indossano quando il clima diventa glaciale o le sferzate di vento ti abbracciano e ti coccolano. I Ma tutti questi particolari il libro si guarda bene dal descriverli pienamente, li poggia lì sul tavolo, come quando si regalano pacchetti con il nastro argentato fuori e con un dentro, tutto da scoprire. UN VIAGGIO A SORPRESA Poesia vera quella dello scrittore veneto Stoppa, che da anni si dedica ai libri per bambini e che iniziò la sua carriera proprio da libraio, nel lontano 1985. Questa volta ha deciso di regalare ai piccoli lettori solo segni d’arte, quella della poetica appunto. Le illustrazioni sono affidate alla Possentini, curatrice del meraviglioso abbecedario “Alfabeto dei sentimenti” scritto da Janna Carioli, due grandi autrici che ci accompagnano lettera dopo lettera alla scoperta dei sentimenti e del loro speciale linguaggio. A prima vista “Storia randagia” può apparire un albo difficile, di ampia interpretazione, di senso astratto, ma è proprio questo il suo fascino. Ci ricorda un po’ i film onirici felliniani, o del più contemporaneo regista serbo Kusturica, con il suo “Tempo dei gitani”, gente che si sposta, che migra alla ricerca di chissà cosa, e che alla fine capisci che si muove senza un motivo, solo perché interessata a farlo. Insomma “Storia randagia” sembra essere un viaggio a sorpresa dove la mèta la conosci solo alla fine. Un libro per grandi che hanno voglia di emozionarsi e per piccoli che iniziano a scrivere la propria storia. [email protected] ALFREDO STOPPA, LIBRAIO Alfredo Stoppa è stato per più di 25 anni libraio, e nel 1988 decide di fondare una casa editrice. La sua dedizione è verso i libri illustrati di qualità ne quali le parole scritte o disegnate sappiano narrare una storia comune fatta di rimandi, fughe, adesioni e lievi tradimenti. “C’era una volta” è riuscita a portare in Italia autori come Lisbeth Zwerger, Kveta Pacovska (premi internazionali Andersen 1990 e 1992) e Roberto Innocenti (uno dei più affermati illustratori in campo internazionale). 45 Nati per la musica Musica da piccoli per avere una marcia in più I bambini sono sensibili a suoni e musica, imparano in fretta e formano un’identità musicale Cecilia Pizzorno Docente di musica, Lavagna (GE) Manuela Filippa Coordinamento nazionale NPM, Aosta N ati per la Musica (NpM www.natiperlamusica.it) è un progetto nazionale che si propone di sostenere attività che mirino ad accostare precocemente il bambino al mondo dei suoni e alla musica. La musica ha un fondamento antico nel nostro essere uomini e donne; risponde a esigenze profonde ed essenziali, quali il bisogno di incontro e di unione fra gli individui; esercita funzioni vitali nella comunicazione, per esempio, fra genitore e bambino. MUSICA FIN DA PICCOLISSIMI Quando si parla di musica per i bambini molto piccoli non si fa solo riferimento alle attività musicali organizzate, ma a tutta una serie di utilizzi informali della musica che fanno parte della relazione fra i bambini e i loro genitori e che la rendono unica. Imparare a “fare musica” fin da piccolissimi ha degli effetti sullo sviluppo dei bambini che sono ormai scientificamente documentati: le esperienze vissute nella prima infanzia possono migliorare le abilità percettive e la memorizzazione e rendono il bambino più capace di distinguere stimoli ed esperienze; queste competenze, una volta acquisite, saranno trasferite con facilità e immediatezza ad altre sfere dell’apprendimento. I genitori che, insieme ai loro bambini, si dedicano ad ascoltare e a memorizzare i suoni che provengono dall’ambiente che li circonda (il canto degli uccelli, lo scorrere dell’acqua, il ticchettio dell’orologio, il traffico per la strada) sviluppano le loro capacità di discriminazione e di ascolto, oltre che di osservazione attenta del paesaggio sonoro. La musica poi, non dimentichiamolo, è uno strumento eccezionale per esprimere sensazioni ed emozioni (forse il più efficace): il bambino che “fa musica” perciò ha marcia e possiede un prezioso strumento non verbale per comunicare con gli altri e con il mondo circostante; il potenziamento delle abilità comunicative, immaginative e creative rappresenta dunque uno dei punti forti di una buona educazione al musicale. Basta ascoltare un bambino di pochi mesi che “canta” le sue “canzoni” per capire come l’attitudine per il suono sia una predisposizione propria dell’essere umano, ma saper memorizzare melodie complesse, con 46 o senza parole, e saperle ripetere a distanza di tempo è il risultato di un esercizio costante della memoria e delle capacità di attenzione e concentrazione. L’elemento musicale è costituito da strutture e forme che si sviluppano nel tempo: imparando a conoscerlo il bambino sviluppa anche una consapevolezza dell’elemento temporale. Infine, l’abitudine a prestare attenzione al paesaggio sonoro o a brani musicali, favorisce non solo lo sviluppo della capacità stessa di ascolto, di discriminazione e di memorizzazione sonora, ma anche la capacità di prestare attenzione ad un’altra eccezionale sensazione sonora: il silenzio. TUTTI I GENITORI POSSONO FARE MUSICA Anna, mamma, chiede: Tutti i genitori sono in grado di “fare musica” con il proprio bimbo? È necessario essere musicisti? Elisa, educatrice di nido, aggiunge: Come fare musica con i piccoli? Quale musica? Cosa cantare? Quali attività? Come proporle in modo appropriato? Daniele, pediatra: Come ascoltano la musica i bambini? Quali reazioni suscitano le stimolazioni sonore proposte? Enrica, bibliotecaria: È necessario avere strumenti musicali, impianto stereo, materiali specifici e spazi ampi? Ci sono libri che mi possano aiutare nell’organizzare un’attività musicale con i piccoli? È difficile rispondere in modo esaustivo a tutte queste domande che sono, in realtà, solo alcune di quelle che si sente fare chi si occupa di bambini. Molti di loro si sentono inadeguati perché non sono musicisti. Errore: la musicalità di ciascun individuo si esprime nelle diverse manifestazioni legate a esperienze concrete, fisiche e sensoriali e non dipende solo dalle sue competenze musicali; l’abilità di raccontare una storia sonora può maturare anche dall’esperienza, magari aiutata da una formazione ad hoc. CHIUDETE GLI OCCHI E PENSATE ALLA MUSICA… Se ciascuno di noi soltanto si concentra su quello che per lui significa la parola musica, immediatamente vengono in mente ricordi, si rivivono situazioni, anche lontane, legate a momenti particolari della vita: le ninne nanne, le storie cantate, le conte di quando eravamo bambini, i giochi di movimento che si facevano con gli amici in cortile, le canzoni inventate per particolari situazioni. Pensiamo a quanti suoni spontanei animano ogni momento i luoghi frequentati dai bambini; le case, le auto, gli asili nido, le ludoteche e le scuole dell’infanzia custodiscono, infatti, vivaci giochi esplorativi e curiosi giochi simbolici. La costruzione dell’identità sonora di ogni bambino si arricchisce, giorno dopo giorno di nuovi fonemi, di vocalizzi spontanei che accompagnano gestualità, movimenti o situazioni di gioco. L’impronta sonora di ciascuno si impreziosisce e si diversifica da quella degli altri, in una sorta di continuitàdiscontinuità che viene dal vivere in un certo nucleo familiare, dallo scambio, anche sonoro, con i suoi piccoli amici e dai suoni dell’ambiente che lo circonda. Il bambino fa conoscenza della realtà che vivendo esperienze plurisensoriali, sintonizzandosi così con il mondo. Se poi fin dai primi mesi di vita un bambino “ascolta” diversi tipi di musica, provenienti da culture diverse, imparerà, con la stessa naturalezza con cui impara a parlare, a distinguere differenti metriche musicali: sappiamo infatti che i neonati di 6 mesi percepiscono le variazioni metriche, sia negli stimoli complessi che in quelli semplici, e che questa abilità già a 12 mesi cala sensibilmente. La familiarità con melodie e ritmi, la cultura d’appartenenza, sono i fattori che principalmente influenzano l’elaborazione successiva del ritmo: l’attenzione che si pone quindi nel favorire l’ascolto di musiche di diverse culture non può che influenzare la sensibilità musicale del futuro ascoltatore. [email protected] COMPETENZA MUSICALE E IDENTITÀ Ciascuno di noi ha una competenza musicale che consiste, pur usare la definizione del semiologo Gino Stefani nel “sapere, saper fare e saper comunicare mediante e/o intorno alla musica”, e questa competenza si amplia di giorno in giorno, per tutta la vita, e rispecchia l’esperienza personale, i gusti, le affinità, le simpatie, fino a rappresentare identità musicale di ciascuno. 47 Giocare e stare insieme Arancia, Limone, Mandarino... Saltare con la corda: si comincia a 5 anni e poi… avanti fino ai 90 A Maria Cristina Stasi Esperta di cultura ludica, Torino rancia, limone, mandarino, parole che potrebbero far pensare ad una fresca macedonia. Chi ha alle spalle un’infanzia di giochi di strada e di cortile, invece, coglierà di sicuro la suggestione della filastrocca usata per accompagnare i pomeriggi passati a saltare con la corda. Eppure questo gioco sembrerebbe quasi scomparso, rintracciabile ormai solo nel ricordo della generazione del baby boom. Il gioco della corda diviene straordinariamente popolare in Europa tra il 1600 ed il 1700. Entra presto a far parte della tradizione anche per la facilità nel reperire l’ingrediente di base, uno spezzone di corda che più o meno si poteva trovare in ogni casa. In alternativa potevano essere usati anche rami di rampicanti come il luppolo. Oggi le corde per giocare si trovano sul mercato a una modica cifra, ma può bastare un tiro di corda di un paio di metri, che ogni bambino adatterà alla sua altezza avvolgendola attorno al palmo della mano. Giocare a saltare la corda richiede capacità motorie, coordinamento e molta attenzione, anche se con la pratica e un po’ di allenamento diventa alla fine un movimento quasi naturale come quando si va in bicicletta. Aumentando le difficoltà del gioco si mettono alla prova capacità di concentrazione e resistenza. Qualcuno lo consiglia anche come metodo per dimagrire. Si può giocare da soli o con gli amici. Si può iniziare a proporla dai cinque anni e andare avanti fino ai novanta e più. ALCUNE PROPOSTE DI GIOCO All’inizio i bambini giocano a saltare da soli, dato che devono imparare. Si salta con i due piedi uniti o alternati, si fa girare la corda, si inizia e si conta (uno, due, tre, quattro...) e così via finché non si sbaglia e si ricomincia. I bambini sperimentano: salto e mentre sto facendo girare la corda la incrocio davanti a me entrandoci dentro, oppure provo a saltare facendo girare la corda indietro. Ma una volta imparato si può giocare anche in gruppo: parte un giocatore e conta quanti salti riesce a fare senza mai sbagliare, appena un giocatore sbaglia tocca a un altro e così via, vince chi ha fatto più salti oppure prima di iniziare ci si dà un numero di salti da fare (per esempio se si è all’inizio dieci e poi si aumentano quando aumenta l’abilità). Un bambino può fare da arbitro e contare i salti oppure si contano tutti insieme, pian piano si aggiungono alcune varianti, l’incrocio, saltare con due piedi o si salta andando avanti. Altro gioco è saltare in due, si formano coppie di bambini che chiaramente devono avere più o meno la stessa altezza e la capacita di seguire l’altro, i due bambini si mettono di fronte e a turno girano la corda, quando sbagliano sarà l’altro a far girare la corda. Questo gioco a coppie richiede affiatamento e capacità di sincronia. IN GRUPPO La corda deve essere il doppio di quella che viene utilizzata da soli, due bambini tengono l’estremità della corda, il centro della corda deve toccare per terra, un giocatore si mette vicino alla corda in centro e gli altri due giocatori danno il via e iniziano a girare. Quando il giocatore che salta sbaglia, dà il cambio a uno dei compagni. Pian piano si inseriscono delle varianti: quella “Sale e pepe”, per esempio, prevedere che i giocatori che fanno girare la corda andranno più veloci se dicono pepe e più lenti se dicono sale. Sempre in gruppo si dicono delle cantilene che cambiano a seconda dei Paesi. Nella nostra tradizione si andava avanti dicendo: arancia, limone, mandarino, sempre con qualcuno che contava i giri. Ma non erano importanti solo i salti fatti, si valutavano altre abilità come, per esempio, entrare nel gioco mentre la corda sta girando insieme all’altro giocatore che sta già saltando, oppure provare a partire in due, poi in tre e così via. Poi quando se ne ha abbastanza e la corda è robusta, si può usare per giocare al tiro alla fune. Si gioca all’aperto su un terreno pianeggiante per non dare vantaggi o svantaggi alle squadre, partecipano al gioco due squadre, si cerca di avere giocatori di egual forza oppure età e le squadre sono composte dallo stesso numero di partecipanti, si fa un segno per terra e uno sulla fune e si fanno combaciare, a questo punto i giocatori si preparano per essere pronti a tirare la fune al via che viene dato da un arbitro designato dalle due squadre. Al via devono tirare la fune dal loro lato, vince chi fa superare la riga che si trova per terra alla squadra avversaria. [email protected] PER SAPERNE DI PIÙ Marco Fittà, Giochi e giocattoli nell’antichità, Leonardo Arte 1997 Evaldo Serpi, Giochi e passatempi di una volta. Progetto Lavoro SCS, Poggibonsi 2005 Franco Piccinelli, Tre civette sul comò, Newton Compton 1990 Salto acrobatico da campioni con la corda a suon di musica: guarda qui Salto con la corda tutti insieme appassionatamente nelle strade e nelle piazze: guarda qui Se poi volete imparare 30 trucchi per saltare meglio, guardate qui 49 Vengo anch’io Chi ha inventato la campana? Alla scoperta di un “giacimento culturale” La Processione dei Gigli a Nola uesta che proponiamo è una gita non solo inconsueta ma coraggiosa. Il luogo si trova nel Sud devastato dagli abusi edilizi e dal malcostume dei Rossella Faraglia cosiddetti goverStorico dell’Arte, Roma nanti che non conoscono più e non sanno curare i propri tesori. Muove dalla considerazione di Peppino Impastato, come ce l’ha raccontata Marco Tullio Giordana nell’indimenticabile dialogo de “I Cento Passi”: “Non ci vuole niente a distruggere la bellezza [...] è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto. E allora bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla”. Lasciamo perdere i luoghi precisi e ordinati, portiamo i nostri figli a vedere Cimitile, sobborgo di Nola, nella regione dolente, ferita e malinconica che un tempo era la Campania Felix. Portiamoli a vedere un luogo unico e sorprendente per profondità di storia e di fede (per chi crede, valore aggiunto) e proviamo con loro a mettere sulla bilancia la bellezza accanto all’incuria. Perché un “giacimento culturale” è anche questo, non solo le Ville Venete o il Colosseo. Verso la fine del IV secolo giunse S. Paolino, detto da Nola anche se era nato a Bordeaux, il cui attributo iconografico è una campana perché si dice che ne fu l’inventore. Stabile gloria della città, in suo onore ogni 22 giugno si celebra la spettacolare festa dei Gigli, con macchine alte fino a 25 metri. San Paolino vuole fare più bella la chiesa in cui è sepolto Felice, scrive a S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo, la crème de la crème degli intellettuali del tempo insomma, per farsi dare dei consigli su come fare la chiesa. La riorienta, apre nuove porte, sposta l’abside. Vi chiederete: ma come si fa a capirci qualcosa ? Risposta: non ci si “capisce” nulla, ma si ha la sensazione di muoversi in un luogo vivo, nonostante l’origine cimiteriale e questo perché – a differenza della gran parte dei luoghi iper-sfruttati – si ha l’impressione di scoprirlo per la prima volta, aprendo le porte dei vari ambienti, scendendo le scale verso i loculi, sotto il pavimento della chiesa, ammirando praticamente da soli colonne, capitelli, marmi antichi (bellissimi, presi dalle ville romane dei dintorni), mosaici blu e oro che ricordano moltissimo quelli di Ravenna. E poi c’è Enzo Rozza, il custode, discreto e informato che vi racconterà fatti e leggende, come quella di San Gennaro, proprio lui, quello di Napoli, che qui a Cimitile subì una parte del martirio, per ordine di un perfido giudice di nome Timoteo: buttato nella fornace, ancora esistente, ne uscì naturalmente indenne. COS’È CIMITILE ? Il nome viene da cœmeterium, il cimitero pagano di Nola, da cui distava meno di un chilometro, che inizia a essere utilizzato sul finire del II secolo dopo Cristo. Nell’area di questa necropoli pagana venne sepolto in epoca cristiana il sacerdote Felice, uomo pio e umile. Fu molto amato e la sua semplice tomba, un po’ come accadde a quella di San Pietro, venne presto isolata rispetto alle altre e abbellita con un piccolo monumento marmoreo. Questa “memoria” divenne il cuore di una basilica che inglobò il piccolo monumento e si sovrappose alla necropoli. Altri monumenti sorsero intorno, e già allora si configurò in Cimitile un complesso tra i più importanti dell’epoca paleocristiana in Italia. [email protected] Q 50 PER CHI NON HA IL TOM TOM Cimitile si raggiunge con l’Autostrada A1 Roma-Napoli; uscita Caserta Sud; A30 fino a Nola, poi per Cimitile; indicazioni stradali per “Basiliche paleocristiane” da prendere con le molle. Chiedere ai passanti, molto gentili e precisi. Posta & risposta E poi lo chiamano amore Chi aiuta le mamme ad aiutare i bambini? E chi aiuta le mamme che vogliono allattare o donare le staminali del cordone ombelicale? ggi Martina (dieci anni) si è svegliata con la febbre alta, brividi, mal di testa; a scuola non può certo andare! “Chi rimane a casa?”. Mio marito non può, anzi deve scappare al lavoro, nessuna baby-sitter, le ho avvertite con troppo poco anticipo. Va bene, resto io con la mia “piccola” (perché è “piccola”!). Ora chiamo e avverto al lavoro; non saranno contenti, avevo una riunione alle 9.30. Prendo il telefono, mi fermo, esito, penso… “E cosa dico?” “Che cosa prendo?”. Che possibilità ho? Martina ha dieci anni, non ho più i “permessi per malattia figlio”, neppure quelli non retribuiti. Vediamo le “bugie” che potrei raccontare (ma non l’ho mai fatto e mai lo farò, lo so già). Potrei chiedere al mio pediatra di farmi un certificato per Giulia (che ha sei anni), potrei dire che sta male lei, prendere il permesso per malattia figlio e farmi togliere dallo stipendio 60 euro, per un giorno a casa. Ma è una “bugia”, non posso chiedere al mio pediatra di produrre una dichiarazione falsa e non mi va di dire una cosa per un’altra, al lavoro. Potrei chiamare il mio medico curante e dire che sto male io, un’altra “bugia” a mia disposizione. Ma vale lo stesso: dovrei chiedere al mio medico di produrre una certificazione falsa e io stessa devo dire falsità. O Vediamo le altre possibilità a mia disposizione che non mi facciano crescere il naso, come Pinocchio. Potrei prendere un permesso retribuito, ecco, sì! No, no, non posso, ho solo due giorni residui e devo utilizzarli giovedì e venerdì per portare Chiara in ospedale per il follow-up annuale cardiologico. Non posso. Potrei prendere un giorno di “riposo compensativo”, ma le ore che ho cumulato non sono sufficienti e questo permesso deve essere comunicato con anticipo e firmato dal Direttore dell’Ufficio. Potrei comunicare che oggi prendo un giorno di ferie. Sì, ne ho da parte alcuni. Ma vale lo stesso che per il “riposo compensativo”. Infatti, il “congedo ordinario” (questo il nome esatto delle “ferie”) deve essere comunicato in anticipo, approvato e firmato dal Direttore dell’Ufficio. Il male minore è questo, prendo un giorno di ferie, ben cosciente di essere in difetto, che dovrò scusarmi e sperare di non subire un “richiamo” dalla mia Amministrazione. E me lo chiami amore? Il mio amore di mamma (e di tante mamme come me) non è in discussione qui, al solito: siamo sempre presenti, là dove i nostri bambini hanno bisogno e non solo. Non saprei a chi rivolgere questa domanda, senza sembrare scontata, banale o facinorosa: allo Stato? A chi fa le leggi? A chi tutela la famiglia? (in realtà saprei bene con chi dovrei prendermela, ma lascio a ognuno la libertà di individuare le varie mancanze, in tema di legislazione, in questo ambito). Però questa domanda voglio porla; perché si rifletta: desideriamo questi figli, li diamo al mondo e poi? Qualcuno si accorge che i bambini sono preziosi per tutti, non solo per i propri genitori? Qualcuno ha lo sguardo sincero per condividere questi pensieri? Elvira Rizzuto, [email protected] Un commento al volo: giuste le osservazioni di Elvira, però… Quante sono le mamme “garantite” come lei che si trovano di fronte a questo dilemma? E quante invece non hanno dubbi perché non hanno neppure garanzie? Vincenzo Calia – [email protected] 51 ALLATTARE DUE GEMELLI? SI PUÒ Sono mamma di tre adorabili bambini: Ludovica, cinque anni e Sebastiano e Angelica, due gemellini di quasi anno. Quando mi hanno annunciato che la mia seconda gravidanza era gemellare, fra le varie preoccupazioni del caso (non poche!), subito mi sono chiesta se sarei riuscita ad allattarli entrambi. Avevo allattato Ludovica esclusivamente al seno per sette mesi e continuato a farlo fino ai suoi due anni di vita. L’esperienza era stata profondissima e travolgente e, da allora, sono sempre stata una sostenitrice dell’allattamento al seno, ma non conoscevo nessuna mamma di gemelli che l’avesse fatto. Durante i mesi dell’attesa mi sono documentata, contattando anche una Doula della mia zona e una consulente della Leche League, e mi sono convinta e motivata a cercare di ripercorrere con i due piccolini l’esperienza già vissuta in precedenza. 52 La ginecologa che mi ha seguito durante la gravidanza mi ha anticipato che sarebbe stata molto dura, che probabilmente le mie sole risorse non sarebbero bastate, ma mi ha anche assicurato che la motivazione della mamma, in questi casi, vale più di mille statistiche. Non mi restava che aspettare l’arrivo dei piccoli. Sebastiano e Angelica sono nati alla 38esima settimana grazie a un parto naturale. Appena nati sono stati attaccati al seno e il rooming in praticato dall’ospedale ha facilitato l’attaccamento dei bimbi. Appena potevo li avvicinavo al seno e mi rendevo conto che entrambi succhiavano correttamente, sia i primi giorni in ospedale, sia al nostro rientro a casa. Immaginatevi la mia delusione quando, alla prima visita pediatrica, a solo 48 ore dalle dimissioni, mi è stato detto che i bambini non stavano crescendo a sufficienza e che sarebbe stata necessaria la somministrazione di un’aggiunta di latte artificiale. Non volevo arrendermi all’idea di non poterli allattare esclusivamente con il mio latte. Fortunatamente, mi è stato molto utile il suggerimento dell’ostetrica che mi ha seguita durante il parto. Mi ha detto di non scoraggiarmi e di dare loro una piccolissima aggiunta, ma soltanto la sera e per un paio di giorni al massimo, affinché si rinforzassero un po’, ma senza abituarsi. Mi ha suggerito, inoltre, di dargliela con un piccolo cucchiaino anziché con il biberon. Io, nel frattempo, avrei dovuto bere moltissimo, fino alla nausea: tisane, acqua, succhi di frutta, fino a tre o quattro litri al giorno. E, naturalmente, attaccarli al seno continuamente. Sono tornata a casa e ho fatto come lei mi aveva detto. Alla seconda visita, dopo nemmeno una settimana, le pediatre sono rimaste sbalordite nel vedere quanto i bambini fossero aumentati di peso. Ero orgogliosissima di me stessa e anche di loro. Non era stato semplice, ma per il momento ero riuscita nel mio intento. Pur dovendo badare alla nostra primogenita e a tutte le faccende domestiche legate all’arrivo di due piccoli, li stavo nutrendo esclusivamente con il mio latte. Quasi tutti gli operatori sanitari con i quali ho avuto modo di parlare in questi mesi (direi 9 su 10) mi hanno garantito che il mio latte prima o poi sarebbe stato insufficiente, che non sarebbe bastato. Se non avessi vissuto così positivamente il periodo dell’allattamento con la mia prima figlia, sono più che certa che questo avrebbe influito negativamente sulla mia autostima e mi avrebbe spinto a desistere. Invece ho introdotto le prime pappe solo a sei mesi, senza rinunciare alla somministrazione del mio latte. La mia testimonianza è rivolta a tutte le donne che aspettano due gemelli. Vorrei dire loro che, se lo desiderano davvero, possono riuscire ad allattarli entrambi esclusivamente al seno, che saranno fortemente osteggiate non solo dalla gente comune, ma anche dagli operatori sanitari: il pediatra di famiglia si è dovuto ricredere: ogni volta che mi vede mi chiede: “Sta allattando ancora?” e ride, ancora più incredulo, quando io sorrido e gli rispondo “Certo!” Che all’inizio sarà durissima e avranno la sensazione di stare con il seno all’aria dalla mattina alla sera, ma che far crescere due gemelli con il proprio latte si può. Gisella Novello, [email protected] EPPUR SI DONA! Ho letto con interesse l’articolo sulla donazione del sangue cordonale (sul numero 3, 2014) e l’esperienza di Elisabetta da Trieste. Vorrei aggiungere la mia esperienza: con il primo figlio, nato nel 2011, ho riscontrato anch’io una forte ostilità da parte delle ostetriche (non tutte, a dire il vero) e ho quindi dovuto raccogliere le informazioni da sola. All’ospedale l’organizzazione mi è sembrata carente ma per fortuna ho avuto il contatto di un medico che con molta chiarezza e pazienza ha risposto a tutte le mie domande. Ho quindi fatto gli esami del caso e il colloquio informativo. Ma anche nel mio caso dopo la nascita del bambino le ostetriche si sono dimenticate della donazione. Sono convinta che fossero in buona fede e che il problema sia stato soprattutto organizzativo. A distanza di 30 mesi ho ritentato l’esperienza con la mia seconda bambina. Questa volta tutto è andato liscio. Colloquio svolto direttamente in sala parto a 34 settimane, nessuna lungaggine burocratica e personale disponibilissimo. Durante il travaglio è stata subito segnalata la mia intenzione di donare e così è stato. Dopo l’espulsione la bambina mi è stata comunque appoggiata sul petto, io naturalmente non mi sono accorta di nulla, il papà ha potuto seguire orgoglioso il prelievo e la bambina, che oggi compie tre settimane, non mostra alcun segno di trauma. A Trieste quindi donare si può. Luisa Vigini, [email protected] Avviso per i lettori. Attenzione: si sta parlando della donazione del sangue del cordone ombelicale, messo gratuitamente a disposizione di tutti in una “Banca” pubblica in Italia; la conservazione per uso personale del cordone all’Estero è una pratica vietata dalla legge, inutile e costosa: ai limiti della truffa. 53 Radio Magica Sotto questo sole, bello ascoltare La prima radio-biblioteca digitale Redazione di Radiomagica Trieste ltimi scampoli di ferie, ancora un po’ di meritato relax e poi si torna tutti a scuola! Radio Magica, la prima radio-biblioteca digitale d’Italia, continua a proporre i suoi contenuti di qualità con un occhio attento al cambio delle stagioni e alle abitudini e interessi di bambini e ragazzi. In onda ogni giorno, dalle ore 7 alle ore 19, Radio Magica mette a disposizione come sempre un palinsesto eclettico, fra classici della letteratura, storie nuove di zecca, programmi radiofonici per tutti i gusti e buona musica. Fino al 15 settembre (data d’inizio del palinsesto autunnale) continuiamo a goderci l’estate ascoltando “Con le pinne, i braccioli e Minù” (da lunedì a venerdì, alle 10.00 e alle 16.00), un programma dedicato ai bambini della scuola dell’infanzia e alle mille divertenti proposte per i giochi da spiaggia. Protagonista assoluta la gattina Minù, amatissima dai piccoli ascoltatori di Radio Magica per la serie “A casa con Minù”, aiutata in questa nuova avventura da Ugo il Paguro. Ad accompagnare i bambini della scuola primaria, fino al 15 settembre, c’è anche “In vacanza con Fata Priscilla”, trasmissione realizzata con la preziosa collaborazione dello Gnomo Arturo, mentre per i più grandicelli vi proponiamo le repliche della seguitissima “Intorno al mondo con Pepe Pinzimonio”, l’appuntamento con lo chef più goloso d’Italia, la saggia Nonna Rana e le ricette più curiose del mondo (ogni sabato, alle 12.00 e alle 18.30). E per scacciare la malinconia da fine vacanze? Radio Ma- U RADIOMAGICA Nata nel 2010 da un progetto di spin-off dell’Università Ca’Foscari di Venezia, Radio Magica sfrutta i dispositivi digitali per offrire a bambini e ragazzi (anche con bisogni educativi speciali) programmi e storie di qualità, curati da professionisti dello storytelling ed esperti dell’età evolutiva, per diffondere la cultura dell’ascolto attivo, da zero a tredici anni. Fondazione Radio Magica Onlus: fondazione.radiomagica.org Web radio e Biblioteca online: www.radiomagica.org 54 gica, a partire dal 15 settembre, ha in serbo una serie di sorprese per tutti i bambini. LA SCUOLA ALLA RADIO Gli studenti della scuola elementare verranno coinvolti, infatti, in un divertente spazio dedicato ai contenuti “dal basso”: classi intere saranno invitate a scrivere dei temi, secondo un’indicazione della nostra redazione, e gli elaborati verranno letti da attori professionisti, messi in onda sulla web radio e disponibili nella nostra biblioteca. Sempre nella biblioteca magica, continueremo a pubblicare mensilmente nuove storie e nuovi adattamenti radiofonici, ospitati nelle nostre ormai celebri casette animate: questo mese toccherà a “La tartaruga e il granchio” (Ed. La Coccinella), “Che tempo fa?” (Interlinea Edizioni), “Anch’io vado a scuola” e “I primi giorni con mamma e papà” (Kite Edizioni), “Storie di fantasmi per il dopocena” (Biancoenero Edizioni) e due nuovissime avventure della collana “Oscar dove sei?” (EDT - Giralangolo). Per quanto riguarda l’autunno le anticipazioni non sono finite! Vi vogliamo svelare in anteprima che fra poche settimane Radio Magica annuncerà la sua partecipazione alla Venice Marathon 2014, in programma a Venezia il 29 ottobre. La nostra Fondazione ha aderito al Charity Program (alcuni runner correranno per sostenere la nostra causa benefica) e ha organizzato delle strabilianti iniziative dedicate allo storytelling e ai bambini lungo il percorso della corsa. Per sapere tutto, consultate periodicamente il nostro portale! li o c c pi ù i p i La rivista per Ogni mese storie da leggere insieme, giochi, oggetti da costruire; e poi rubriche sull’arte e sugli animali e un sito ricco di materiali per bambini, genitori e insegnanti. Abbonati online su lagiostra.biz o scrivi a [email protected] tel. 06.661321 LA GIOSTRA NEL NON C'È PUBBLICITÁ! CCP n. 6569 596 7 IBAN IT17I05 216032290000000 1196 7 Credito Valte llinese Roma
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