QUADERN / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Coniuge superstite soggetto passivo IMU Possibile versare entro il 31 marzo l’IMU dei terreni agricoli / Arianna ZENI I soggetti passivi dell’IMU sono individuati dall’art. 9 comma 1 del DLgs. 23/2011. In linea di massima, soggetto passivo è il proprietario dell’immobile, tuttavia, se l’immobile è gravato da un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, soggetto passivo è il titolare di tale diritto, e non il proprietario (anche detto “nudo proprietario”). Nel caso di decesso di un coniuge sorge in capo a quello superstite (che quindi diventa soggetto passivo dell’IMU) il diritto di abitazione della casa che “era adibita a residenza familiare”. L’art. 540 c.c. stabilisce che “al coniuge anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”. In dottrina si ritiene che menzionando il diritto “di [...] Chi, invece, ha già pagato l’imposta ora non più dovuta può chiedere il rimborso / Antonio PICCOLO Sulla tormentata storia dell’IMU agricola, le cui nuove regole sono state dettate dall’art. 1 del DL n. 4/2015 (in corso di conversione), si prospettano altri capitoli. Con l’approvazione del Senato del Ddl. n. S.1749, infatti, sono state proposte altre novità, oltre a quella di concedere più tempo ai contribuenti per il pagamento dell’IMU agricola 2014 senza interessi e sanzioni. La sanatoria fino al 31 marzo 2015 costituisce un’opportunità per tutti coloro che, a seguito della nuova mappa del regime di esonero, hanno assunto la veste di soggetto passivo dell’IMU. Tra questi soggetti vanno rimarcati alcuni particolari operatori agricoli come, ad esempio, i piccoli coltivatori diretti e i braccianti agricoli o campagnuoli proprietari di terreni agricoli ubicati nelle zone non considerate più montane o di collina. Per tali contribuenti è stata prevista la possibilità di pagare l’IMU per il 2014 (codice tributo 3914 per il modello F24), secondo le nuove regole, entro il 31 marzo 2015 senza applicazione di interessi e sanzioni, oppure di presentare ai Comuni competenti la richiesta di rimborso o di compensazione (se prevista dal regolamento comunale) per i terreni agricoli considerati non esenti dal DM 28 novembre A PAGINA 2 INEVIDENZA Bonus investimenti contabilizzato come contributo in conto impianti Fatture elettroniche gratuite per i commercialisti Mutuo dissenso di cessione d’azienda con registro proporzionale Le valutazioni false possono sfuggire al sindaco non revisore Si può richiedere la CIGS anche dopo l’ammissione a procedure concorsuali 2014 ma divenuti oggetto di esenzione con il citato art. 1 del DL n. 4/2015. Lo stesso documento ha dato il via libera all’esenzione IMU anche per gli anni successivi al 2014 con riferimento ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile (non collocati in zone montane o di collina). Il comma 4 dell’art. 1 del DL n. 4/2015 aveva, infatti, riconosciuto l’agevolazione per questi ultimi terreni soltanto per l’anno 2014. In buona sostanza si tratta di una nuova puntata della telenovela del trattamento IMU dei terreni agricoli (e di quelli non coltivati) totalmente montani (T), parzialmente montani (P) e non montani (NM), iniziata con la pubblicazione del DM 28 novembre 2014 che ha ridisegnato la mappa dei terreni agricoli ricadenti nelle zone montane o di collina ex lettera h), comma 1 dell’art. 7 del DLgs. n. 504/1992 (elenco dei comuni allegato alla C.M. n. 9/249 del 14 giugno 1993, applicabile ai fini ICI). La decisione di dare ai contribuenti più tempo per assolvere l’obbligazione tributaria, senza interessi e sanzioni, trova [...] A PAGINA 3 FISCO Il Principato di Monaco firma l’accordo per lo scambio di informazioni / Gianluca ODETTO È arrivata in extremis ieri, 2 marzo 2015, la firma dell’accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali tra l’Italia e il Principato di Monaco. Si completa, quindi, nel giro di una settimana un tris di accordi probabilmente impensabile sino a pochi anni fa, iniziato il 23 febbraio 2015 con il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Italia-Svizzera, proseguito con l’accordo per lo scambio di informazioni con il Liechtenstein del 26 febbraio 2015 e conclusosi proprio ieri con il [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Coniuge superstite soggetto passivo IMU Il diritto di abitazione spetta al coniuge superstite limitatamente alla quota di proprietà del defunto o di proprietà comune dei coniugi / Arianna ZENI I soggetti passivi dell’IMU sono individuati dall’art. 9 comma 1 del DLgs. 23/2011. In linea di massima, soggetto passivo è il proprietario dell’immobile, tuttavia, se l’immobile è gravato da un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, soggetto passivo è il titolare di tale diritto, e non il proprietario (anche detto “nudo proprietario”). Nel caso di decesso di un coniuge sorge in capo a quello superstite (che quindi diventa soggetto passivo dell’IMU) il diritto di abitazione della casa che “era adibita a residenza familiare”. L’art. 540 c.c. stabilisce che “al coniuge anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”. In dottrina si ritiene che menzionando il diritto “di abitazione” nel sopracitato art. 540 il legislatore abbia voluto riferirsi al diritto reale di cui all’art. 1022 c.c. secondo cui “chi ha diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. Il diritto di abitazione scaturisce ex lege per effetto dell’apertura della successione, con riferimento al diritto sulla casa già spettante al defunto, se la casa sia stata “di proprietà del defunto” o di proprietà comune del defunto e del coniuge superstite. Come affermato dalla Cassazione nella sentenza del 22 luglio 1991 n. 8171, “al coniuge sono riservati, in ogni caso, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del de- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 funto o comuni tra i due coniugi. Tali diritti, gravando, come espressamente stabilisce il secondo comma dell’art. 540 c.c. della nuova formulazione, sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli, presuppongono, per la loro concreta realizzazione, l’appartenenza della casa e del relativo arredamento al “de cuius” o in comunione a costui e all’altro coniuge, essendo manifestamente inammissibile una loro estensione a carico di quote di soggetti estranei all’eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto a altri soggetti”. Nello stesso senso la Cassazione del 10 marzo 1987 n. 2474, ove si aggiunge che “l’attribuzione del nuovo diritto al coniuge superstite rimane circoscritto nell’ambito di quanto rientrava nella sfera dominicale del «de cuius»”. In conclusione, dovrebbe potersi ritenere che il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite sorga limitatamente alla quota di proprietà del defunto o di proprietà comune dei coniugi. Per fare un esempio, quindi, se la casa di residenza familiare risulta in comproprietà di Tizio (coniuge defunto per la quota di 1/2), Caio (figlio per la quota di 1/4) e Sempronia (nuora per la quota di 1/4), il coniuge superstite (Mevia) avrebbe il diritto di abitazione della sola quota di Tizio. In questo caso, i soggetti obbligati al pagamento dell’IMU sarebbero Mevia per la quota di 1/2 in diritto di abitazione, Caio per la quota di 1/4 in piena proprietà e Sempronia per la quota di 1/4 in piena proprietà. / 02 ancora FISCO Possibile versare entro il 31 marzo l’IMU dei terreni agricoli Chi, invece, ha già pagato l’imposta ora non più dovuta può chiedere il rimborso / Antonio PICCOLO Sulla tormentata storia dell’IMU agricola, le cui nuove regole sono state dettate dall’art. 1 del DL n. 4/2015 (in corso di conversione), si prospettano altri capitoli. Con l’approvazione del Senato del Ddl. n. S.1749, infatti, sono state proposte altre novità, oltre a quella di concedere più tempo ai contribuenti per il pagamento dell’IMU agricola 2014 senza interessi e sanzioni. La sanatoria fino al 31 marzo 2015 costituisce un’opportunità per tutti coloro che, a seguito della nuova mappa del regime di esonero, hanno assunto la veste di soggetto passivo dell’IMU. Tra questi soggetti vanno rimarcati alcuni particolari operatori agricoli come, ad esempio, i piccoli coltivatori diretti e i braccianti agricoli o campagnuoli proprietari di terreni agricoli ubicati nelle zone non considerate più montane o di collina. Per tali contribuenti è stata prevista la possibilità di pagare l’IMU per il 2014 (codice tributo 3914 per il modello F24), secondo le nuove regole, entro il 31 marzo 2015 senza applicazione di interessi e sanzioni, oppure di presentare ai Comuni competenti la richiesta di rimborso o di compensazione (se prevista dal regolamento comunale) per i terreni agricoli considerati non esenti dal DM 28 novembre 2014 ma divenuti oggetto di esenzione con il citato art. 1 del DL n. 4/2015. Lo stesso documento ha dato il via libera all’esenzione IMU anche per gli anni successivi al 2014 con riferimento ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile (non collocati in zone montane o di collina). Il comma 4 dell’art. 1 del DL n. 4/2015 aveva, infatti, riconosciuto l’agevolazione per questi ultimi terreni soltanto per l’anno 2014. In buona sostanza si tratta di una nuova puntata della telenovela del trattamento IMU dei terreni agricoli (e di quelli non coltivati) totalmente montani (T), parzialmente montani (P) e non montani (NM), iniziata con la pubblicazione del DM 28 novembre 2014 che ha ridisegnato la mappa dei terreni agricoli ricadenti nelle zone montane o di collina ex lettera h), comma 1 dell’art. 7 del DLgs. n. 504/1992 (elenco dei comuni allegato alla C.M. n. 9/249 del 14 giugno 1993, applicabile ai fini ICI). La decisione di dare ai contribuenti più tempo per assolvere l’obbligazione tributaria, senza interessi e sanzioni, trova conforto nelle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212/2000). In particolare, il comma 2 dell’art. 3 vieta di stabilire adempimenti fiscali a carico dei contribuenti prima che siano decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni impositive, mentre il comma 3 del successivo art. 10 rende inapplicabili le sanzioni quan/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 do le violazioni dipendono da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria. Anche nel caso di specie, infatti, il caos ha regnato indisturbato, analogamente a quanto accaduto l’anno scorso per la “Mini-IMU”. Pertanto, in mancanza di altri colpi di scena alla Camera, i soggetti che entro la nuova scadenza del 10 febbraio 2015 non hanno pagato (in tutto o in parte) l’IMU dovuta per il 2014 sui terreni agricoli ex montani, oppure hanno pagato l’imposta non più dovuta ex art. 1 del DL n. 4/2015, potranno attivarsi per sanare l’infrazione (versando il solo tributo entro il 31 marzo 2015) o per chiedere la restituzione (presentando al Comune competente un’istanza di rimborso in carta libera). Si ricorda che consultando l’elenco ISTAT (www.istat.it/it/archivio/6789) va individuata la colonna “Comune Montano” in cui si possono trovare i valori: - T (Totalmente montano) - terreni esenti dall’IMU; - P (Parzialmente montano) - terreni esenti soltanto se posseduti e condotti dai coltivatori diretti (CD) o dagli imprenditori agricoli professionali (IAP persone fisiche o società) iscritti nella previdenza agricola, oppure se posseduti dai CD o dagli IAP e concessi in affitto o in comodato ad altri CD o IAP; - NM (Non montano) - terreni non considerati esenti dall’IMU e quindi assoggettati all’imposta. Inoltre, se il Comune risulta, ad esempio, “Parzialmente montano” (P), ma l’altitudine supera i 600 metri, si applica l’esenzione su tutti i terreni in virtù del citato DM 28 novembre 2014. Se invece il comune risulta “Non montano” (NM), ma l’altitudine è tra i 281 metri e i 600 metri, si applica l’esenzione solo sui terreni di proprietà dei CD e degli IAP anche nei casi di concessione in affitto o in comodato dei terreni stessi ad altri CD o IAP. Come ricordato dal Dipartimento delle Finanze nella risoluzione n. 2/DF del 3 febbraio 2015, i soggetti che hanno effettuato i versamenti dell’imposta relativamente ai terreni che sulla base dei precedenti criteri risultavano imponibili e che, invece, in virtù dei nuovo criteri (stabiliti dal 2014 dall’art. 1 del DL n. 4/2015) sono esenti dall’IMU, hanno diritto a richiedere il rimborso di quanto pagato o a effettuare la compensazione, se prevista con regolamento comunale. Tra le novità proposte v’è una detrazione di 200 euro per i CD e gli IAP possessori di terreni agricoli ubicati nelle cosiddette “colline svantaggiate” (zone ricadenti nell’elenco di cui alla citata C.M. n. 9/249 del 14 giugno 1993 che in virtù della classificazione ISTAT sono divenute “non montane”). / 03 ancora FISCO Il Principato di Monaco firma l’accordo per lo scambio di informazioni Arriva in extremis l’accordo con l’Italia che consentirà di richiedere alle Autorità monegasche i dati dei conti dei soggetti italiani / Gianluca ODETTO È arrivata in extremis ieri, 2 marzo 2015, la firma dell’accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali tra l’Italia e il Principato di Monaco. Si completa, quindi, nel giro di una settimana un tris di accordi probabilmente impensabile sino a pochi anni fa, iniziato il 23 febbraio 2015 con il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Italia-Svizzera, proseguito con l’accordo per lo scambio di informazioni con il Liechtenstein del 26 febbraio 2015 e conclusosi proprio ieri con il documento siglato tra Italia e Monaco. Come per gli altri due accordi, quello con il Principato di Monaco non è ancora efficace (a tal fine occorre, infatti, la ratifica e lo scambio degli strumenti di ratifica, atti spesso lunghi e laboriosi); tuttavia, la semplice sottoscrizione del documento risulta immediatamente produttivo di effetti ai (soli) fini della voluntary disclosure, la quale potrà avvenire a condizioni più vantaggiose se le attività sono detenute nel Principato, in quanto si ricade nella fattispecie dei rapporti con Stati o territori che fanno parte delle black list di cui ai DM 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001 (Monaco viene menzionato in entrambe) e che hanno siglato, entro il 2 marzo 2015, un apposito accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali conforme ai criteri previsti dall’art. 26 del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni. Criteri e metodologie per lo scambio di informazioni sono, di fatto, comuni a quanto già concordato con la Svizzera e il Liechtenstein: viene, quindi, previsto il metodo dello scambio su richiesta (subordinato a specifiche domande provenienti da uno Stato e riguardanti le attività o i redditi di fonte estera), anche se vi è un impegno espresso ad adottare in un momento successivo il criterio dello scambio automatico, subordinatamente ad un nuovo accordo che aggiorni quello esistente. Le richieste non potranno avere carattere retroattivo, ma dovranno al contrario riguardare situazioni in essere alla data della sottoscrizione dell’accordo (2 marzo 2015) o a date successive, ma non a date anteriori. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 La conformità all’art. 26 del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni viene “certificata” dalla presenza delle clausole (inserite nel modello all’atto della revisione del 2005, e oggi codificate nei paragrafi 4 e 5 dell’art. 26 medesimo) secondo le quali lo Stato che riceve le richieste non può rifiutarsi di darvi corso né in quanto non vi è un interesse diretto per il contrasto ai fenomeni evasivi in base alla propria normativa interna, né soprattutto in quanto le informazioni richieste sono detenute da banche e istituzioni finanziarie (va da sé che questo ultimo aspetto permette di superare il segreto bancario, il quale non può essere opposto all’atto del ricevimento delle richieste). Inopponibile il segreto bancario Dal punto di vista tecnico, l’accordo con il Principato di Monaco ha caratteristiche similari a quello siglato la scorsa settimana con il Liechtenstein. Non avendo, infatti, Monaco una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia, gli strumenti per lo scambio di informazioni sono necessariamente regolati da un Accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali (Tax Information Exchange Agreement, TIEA), strumento ad hoc per regolare la materia sulla base di pattuizioni bilaterali tra gli Stati. Per quanto riguarda, invece, la Svizzera, si era proceduto a modificare la parte della Convenzione con l’Italia (l’art. 27) riguardante i criteri per lo scambio di informazioni, con il medesimo fine di adeguare tali criteri all’art. 26 del modello OCSE. Come nel caso della Svizzera e del Liechtenstein, infine, sono state gettate le basi per interventi più ampi. Oltre alla già citata adozione dello scambio automatico di dati, l’Italia si impegna, infatti, a rimuovere il Principato di Monaco dalla black list di cui al DM 23 gennaio 2002 in materia di deducibilità dei costi ai sensi dell’art. 110 comma 10 del TUIR e ad includere Monaco nella white list di cui al DM 4 settembre 1996 e successive modifiche e integrazioni. / 04 ancora FISCO Bonus investimenti contabilizzato come contributo in conto impianti Tale modalità è preferibile, secondo Confindustria, alla rilevazione nella voce 22 del Conto economico / Pamela ALBERTI Con riferimento alla rilevazione in bilancio del credito d’imposta per nuovi investimenti in beni strumentali ex art. 18 del DL 91/2014, in dottrina sono emerse due possibili alternative. In base all’orientamento prevalente, i crediti d’imposta condizionati all’esecuzione di investimenti dovrebbero essere contabilizzati come contributi in conto impianti, nella voce A.5 del Conto economico, previa imputazione della quota annuale di contributo per competenza. Secondo un diverso orientamento, la contabilizzazione del credito d’imposta in esame potrebbe avvenire nella voce 22 del Conto economico, movimentata in avere per l’importo del credito d’imposta stesso utilizzabile in un dato esercizio, sulla base del documento OIC 25 (come avveniva per la detassazione Tremonti-ter). Tale impostazione deriverebbe dalla circostanza che nella voce D.12 del passivo di Stato patrimoniale andrebbero iscritti i debiti per imposte “al netto dei crediti d’imposta, se compensabili”. Confindustria, nel documento di febbraio 2015 n. 1, predilige il primo metodo, affermando che il secondo non è adatto alla fattispecie in esame. Secondo l’Associazione, infatti, il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali è assimilabile ai fini contabili ai contributi in conto impianti, in quanto presenta le caratteristiche indicate nella definizione contenuta nel § 79 dell’OIC 16 (nella versione aggiornata al 2014), ovvero “somme erogate da un soggetto pubblico (Stato o enti pubblici) alla società per la realizzazione di iniziative dirette alla costruzione, riattivazione e ampliamento di immobilizzazioni materiali, commisurati al costo delle medesime. Sono contributi per i quali la società beneficiaria può essere vincolata a mantenere in uso le immobilizzazioni materiali cui essi si riferiscono per un determinato tempo, stabilito dalle norme che li concedono”. I contributi in conto impianti, si ricorda, devono essere rilevati contabilmente: - nel momento in cui esiste una ragionevole certezza che i contributi saranno erogati (OIC 16, § 80); - con un criterio sistematico lungo la vita utile dei cespiti (OIC 16, § 81). Al riguardo, Confindustria evidenzia che “pur considerando che il diritto al contributo dovrebbe ritenersi perfezionato nei confronti dell’erario solo con la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di effettuazione dell’investimento, sembrerebbe corretto ammettere / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 che ai diversi effetti della rilevazione in bilancio il contributo possa invece essere contabilizzato nello stesso esercizio in cui sono acquisiti i cespiti agevolati e a partire dal quale, peraltro, dovrebbe anche iniziare generalmente il processo di ammortamento in sede contabile; dato che al momento della redazione del relativo bilancio l’impresa è in grado di verificare con ragionevole certezza le condizioni sostanziali di spettanza del beneficio”. Quanto alla modalità di contabilizzazione, il documento OIC 16 prevede due possibili metodi per l’imputazione dei contributi in conto impianti a Conto economico in relazione alla vita utile dei cespiti a cui sono si riferiscono: - il metodo “diretto”, in base al quale i contributi sono portati a riduzione del costo delle immobilizzazioni materiale, con conseguenti minori ammortamenti nei successivi esercizi di competenza; - il metodo “indiretto”, in base al quale i contributi sono imputati alla voce A.5 del Conto economico “Altri ricavi e proventi” e sono rinviati per competenza agli esercizi successivi mediante l’iscrizione di risconti passivi. Metodo dei risconti passivi Secondo Confindustria è preferibile utilizzare il metodo “indiretto” di contabilizzazione dei contributi in conto impianti. L’Associazione suggerisce di utilizzare tale metodo anche per una migliore gestione delle riprese in aumento e in diminuzione ai fini fiscali. In sostanza, occorre quindi: - iscrivere il credito d’imposta nella voce A.5 “Altri ricavi e proventi” di Conto economico; - in contropartita, utilizzare la voce C.II.4-bis “Crediti tributari” dell’attivo di Stato patrimoniale, con separata indicazione degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo; - rinviare la quota di contributi di competenza degli esercizi successivi tramite l’iscrizione di risconti passivi. La scelta di tale metodo dovrà, inoltre, essere indicata in Nota integrativa (paragrafo 139 del documento OIC 12/2014). La rilevazione come contributo sembra coerente con la forma dell’agevolazione, trattandosi di un credito d’imposta e non di una detrazione. Si evidenzia altresì che, essendo il beneficio, per espressa disposizione normativa, irrilevante ai fini delle imposte sui redditi, lo stesso dovrebbe essere neutralizzato mediante una variazione in diminuzione in dichiarazione. / 05 ancora FISCO Fatture elettroniche gratuite per i commercialisti In arrivo una convenzione del CNDCEC, per le prime 12 fatture nessuna spesa. Agevolazioni per le successive / Savino GALLO C’è anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili tra gli enti che, in vista dell’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica verso tutte le pubbliche amministrazioni (scatterà il prossimo 31 marzo), hanno deciso di attivarsi per offrire delle agevolazioni, in termini di costi, ai propri iscritti. Grazie, infatti, ad un accordo sottoscritto la scorsa settimana con la società che fornisce a CNDCEC e Ordini locali il software per la gestione del ciclo passivo delle fatture, ogni commercialista avrà a disposizione 12 fatture gratuite. L’accordo, che dovrebbe essere ufficializzato a breve dal Consiglio nazionale di categoria, non prevede alcuna spesa nemmeno per la conservazione sostitutiva. I costi, dunque, saranno sostenuti solo a partire dalla tredicesima fattura ma, fa sapere il Tesoriere del CNDCEC, Roberto Cunsolo, “si sta lavorando perché possano comunque essere ridotti (in modo da allinearli a quelli più bassi offerti dal mercato, ndr), sia per le fatture emesse direttamente dal commercialista che per quelle emesse in qualità di intermediario, per conto dei propri clienti”. Delle spese, quindi, ci saranno comunque, ma si tratterà di cifre sostenibili, a maggior ragione se rapportate ai vantaggi, in termini di “contenimento e trasparenza della spesa pubblica”, nonché di “velocizzazione dei pagamenti”, che scaturiranno per l’intero sistema Paese. Questo il pensiero espresso dalla Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, intervenuta ieri ad un convegno dedicato alla fatturazione elettronica e organizzato a Roma dall’Agenzia per l’Italia Digitale. “La fatturazione elettronica verso tutte le amministrazioni pubbliche (ad oggi è obbligatoria solo verso le amministrazioni centrali, ndr) – ha aggiunto Orlandi – innesca un processo irreversibile, che speriamo possa concludersi con la fatturazione elettronica tra privati, necessaria per consentire il controllo fiscale, la modernizzazione delle imprese e un risparmio in termini contabili”. In tutto, ha ricordato Marianna Madia, Ministra della Pubblica Amministrazione, che ha aperto il convegno di ieri, saranno “circa 20 mila le amministrazioni coinvolte”. In realtà, considerando che molte Amministrazioni hanno più di un centro di spesa, saranno circa 50 mila gli uffici interessati, molti dei quali già censiti dall’AGID. Numeri che rendono l’idea della complessità di una iniziativa che si inserisce nella più ampia “sfida della digitalizzazione”, senza la quale / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 “la riforma della Pubblica Amministrazione non potrà che essere un fallimento”. Complessità acuite dal “digital divide”, prima di tutto culturale, che il Paese deve scontare rispetto a tanti altri Paesi europei (l’Italia è al quart’ultimo posto in termini di diffusione del mezzo informatico). Basti pensare, ha sottolineato Alessandra Poggiani, Direttrice generale dell’AGID, che circa 24 milioni di Italiani non hanno mai utilizzato internet e che esiste ancora un 2% degli oltre 8 mila Comuni che non può contare su nessun tipo di connessione (a questo proposito, il provvedimento sulla banda larga, che prevede investimenti per circa 5-6 miliardi di euro, sarà all’esame del Consiglio dei Ministri di oggi). Va da sé che molti enti locali non siano ancora pronti per l’addio alla fattura cartacea, ed altrettanto può dirsi per alcune Regioni, che non hanno fatto ancora alcun investimento per dotarsi di una piattaforma per la gestione delle fatture elettroniche. A rendere più facile la transizione, però, ci saranno i “Digital champions”, rete di circa 1500 “volontari digitali” (a Roma ne erano presenti 110, selezionati dal Digital Champion, Riccardo Luna) che, attraverso l’organizzazione di diverse iniziative su tutto il territorio nazionale, si propongono di aiutare soggetti pubblici e privati nell’avvicinamento all’informatica. Il convegno di ieri era tutto dedicato a loro, in vista del “D-day” sulla fatturazione elettronica, previsto per il prossimo 9 marzo, giorno in cui partiranno ufficialmente le iniziative territoriali. Un “esempio virtuoso”, ha commentato Orlandi che, a margine dell’evento, si è soffermata anche sulla procedura di “Whistleblowing”, introdotta dall’Agenzia delle Entrate (prima nella P.A.) e partita ufficialmente la scorsa settimana. Si tratta della possibilità, offerta ad ogni dipendente, di denunciare, nella massima riservatezza, condotte illecite perpetrate da colleghi. Attraverso alcuni canali specifici, si potrà effettuare la segnalazione (“le prime sono già arrivate”, ha sottolineato Orlandi) ad un “team ristrettissimo” di soggetti, chiamati ad analizzare la denuncia e procedere di conseguenza. Guai, però, a chiamarli “delatori”. Orlandi rifiuta categoricamente il termine, puntando, piuttosto, sulla “necessità di trasparenza” e sul “grande senso civico di chi si ribella” ai comportamenti scorretti. Soggetti che “denunciavano anche prima”, ma con “meno tutele e più preoccupazione”. / 06 ancora FISCO Mutuo dissenso di cessione d’azienda con registro proporzionale Lo afferma la Cassazione, sostenendo che il mutuo dissenso abbia l’effetto di far retrocedere i beni precedentemente ceduti / Anita MAURO L’atto di mutuo dissenso di un precedente contratto di cessione d’azienda sconta l’imposta di registro proporzionale, comportando la retrocessione dei beni inizialmente ceduti. Questo, in breve, il contenuto dell’ordinanza n. 4134, depositata, ieri, 2 marzo 2015, dalla Corte di Cassazione. Il tema della corretta imposizione indiretta dell’atto di mutuo dissenso (o “risoluzione per mutuo consenso”) non è nuovo (si veda “Effetti fiscali del mutuo dissenso in cerca di coerenza” del 27 gennaio 2015). La Cassazione, con l’ordinanza in commento, si esprime a favore della tassazione in misura proporzionale dell’atto di mutuo dissenso avente ad oggetto un precedente atto avente effetti traslativi. In particolare, nel caso di specie, le parti di un precedente contratto di cessione di ramo d’azienda, registrato nel 2008 e regolarmente assoggettato ad imposizione (applicando l’imposta di registro proporzionale del 3%), disponevano la risoluzione del precedente contratto. La Commissione tributaria regionale riteneva che l’atto di mutuo dissenso della precedente cessione del ramo d’azienda, non configurando alcun trasferimento di ricchezza, non potesse essere assoggettato ad imposizione proporzionale di registro. Infatti, secondo la Commissione, l’atto di mutuo dissenso scaturisce dalla volontà delle parti di ripristinare l’originario assetto patrimoniale, anteriore alla cessione del ramo d’azienda e, pertanto, non comporta una retrocessione, né alcun “corrispettivo”. Tuttavia, le conclusioni della Regionale non vengono condivise dalla Cassazione che, citando un orientamento della giurisprudenza di legittimità relativo al mutuo dissenso di precedente compravendita, giunge a conclusioni opposte (la sentenza citata dall’ordinanza qui in commento concerneva, in particolare, lo scioglimento per mutuo consenso di un atto di vendita con riserva della proprietà ed era relativa alla previgente disciplina dell’imposta di registro; della sentenza non vengono, peraltro, forniti gli estremi). In particolare, la Suprema Corte afferma che il mutuo dissenso rientra tra gli “eventi risolutivi del contratto” e determina la “ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio”, da assoggettare a tassazione / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 a norma dell’art. 28 del DPR 131/86. L’art. 28 del DPR 131/86 – argomenta la Cassazione – regola due diverse ipotesi di tassazione degli atti risolutivi di negozi giuridici: - il primo comma del citato art. 28 riguarda il caso in cui la risoluzione trovi la propria fonte in una clausola o condizione risolutiva espressa contenuta nel negozio da risolvere; - il secondo comma del medesimo art. 28, invece, concerne “ogni altro caso”. Nel caso di specie, atteso che la risoluzione dell’atto di cessione di ramo d’azienda deriva, dichiaratamente, dalla stipula di un successivo atto di mutuo dissenso e non dall’operatività di una clausola o condizione risolutiva, si ricade nella disciplina recata dall’art. 28 comma 2 del DPR 131/86, in base alla quale “l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione”. Pertanto, prosegue l’ordinanza, poiché l’atto di mutuo dissenso “realizza, per concorde volontà, la ritrattazione bilaterale del contratto, che si concretizza in un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario, di cui neutralizza gli effetti” (cfr. Cass. n. 17503/2005), tale atto, uguale e contrario al precedente, va autonomamente tassato. In poche parole, la Corte sembra affermare che dall’atto di mutuo dissenso di precedente cessione di ramo d’azienda scaturisca una nuova e contraria cessione del medesimo ramo d’azienda, da assoggettare autonomamente ad imposizione in misura proporzionale. Non si può non rilevare, tuttavia, come vi sia una parte della giurisprudenza e della dottrina che, invece, riconducono all’atto di mutuo dissenso meri effetti “estintivi”. In particolare, come ricordato dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 14 febbraio 2014 n. 20 (in materia di mutuo dissenso di donazione), la giurisprudenza riconduce al mutuo dissenso meri effetti estintivi del contratto e ripristinatori della situazione precedente (cfr. Cass. nn. 18844/2012 e 20445/2011). D’altro canto, in senso opposto a quanto affermato nella pronuncia in commento, si esprime, nel recente Studio n. 142-2014/T, anche il Consiglio Nazionale del Notariato. / 07 ancora IMPRESA Le valutazioni false possono sfuggire al sindaco non revisore Per il Tribunale di Torino, ai fini della responsabilità dei sindaci, il primo punto da considerare è l’esistenza o meno della funzione di revisione legale / Maurizio MEOLI L’attività di vigilanza posta in essere dai sindaci privi della funzione di revisione legale non è strutturalmente idonea ed efficace a portare alla luce le c.d. frodi in valutazione, ma solo le c.d. frodi contabili, consistenti in modifiche o invenzioni arbitrarie di valori quantitativi certi e oggettivi, tali da occultare la reale situazione economica, finanziaria e/o patrimoniale della società. A fornire queste importanti precisazioni è la sentenza 27 gennaio 2015 n. 1801 del Tribunale di Torino, quale premessa civilistica di considerazioni relative alla responsabilità penale dei sindaci per concorso nel reato di false comunicazioni sociali contestato agli amministratori di una spa. Si ricorda, innanzitutto, come al collegio sindacale competa un “controllo di legalità sostanziale”: i sindaci vigilano sul diligente operato degli amministratori senza sindacarne il merito delle scelte di gestione, ma il modo in cui esse sono adottate. In particolare, il “controllo di legalità sostanziale” non consiste nell’esprimere giudizi di secondo grado sulla convenienza degli atti compiuti rispetto ad altre possibili scelte imprenditoriali, ma nel verificare la correttezza e la prudenza gestionale degli amministratori, l’eventuale assunzione da parte loro di rischi ingiustificatamente superiori a quelli connaturati all’attività d’impresa e, in definitiva, l’esercizio del controllo sugli atti che caratterizzano l’indirizzo di fondo della gestione o che presentano caratteristiche anomale. Un simile controllo si manifesta in tutta la sua importanza soprattutto nelle ipotesi di “patologia societaria”, ovvero in tutti quei casi in cui l’operato degli amministratori dovesse infrangere le regole di congruità e ragionevolezza, comportando una violazione dell’obbligo di amministrazione corretta della società e di conservazione del patrimonio sociale. Con particolare riguardo a tali ipotesi patologiche, poi, al fine di valutare la responsabilità del collegio sindacale, occorre debitamente considerare se allo stesso sia o meno attribuita anche la revisione legale. Si ricorda, infatti, che al collegio sindacale – ancorché non investito della revisione legale – spetta in ogni caso l’obbligo di vigilare sul funzionamento del sistema contabile e, quindi, sulla rispondenza dell’iter di redazione del bilancio alle regole di correttezza e congruità, secondo quanto si è innanzi precisato, soprattutto sfruttando il bagaglio di conoscenza di fatti e informazioni ricavabili azionando i doveri di ispezione e di controllo, nonché partecipando alle riunioni degli organi sociali. Tale “vigilanza” contabile – comun/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 03 MARZO 2015 que rientrante tra i doveri dei sindaci non investiti formalmente della revisione legale – presenta connotati ben precisi: è “ampia”, “poco dettagliata”, “residuale” (nel senso di ultima) e “filtrata” dall’azione di coloro che della revisione legale vera e propria sono investiti, con tutti gli strumenti, le competenze e gli oneri connessi. Ad ogni modo, il collegio sindacale (non investito della revisione legale) non può di certo considerarsi libero da qualsivoglia responsabilità in ordine alla veridicità e regolarità del bilancio; responsabilità che è senz’altro ipotizzabile per i fatti gestionali la cui esposizione è stata omessa (ancorché effettivamente avvenuti), e per fatti esposti in bilancio ma mai avvenuti. Nella categoria delle falsificazioni eclatanti, poi, per le quali non può aprioristicamente escludersi la responsabilità del sindaco non investito anche della revisione legale, possono individuarsi le c.d. “frodi contabili”, consistenti in modifiche o invenzioni arbitrarie di valori quantitativi certi ed oggettivi, tali da occultare la reale situazione economica, finanziaria e/o patrimoniale della società. Già in astratto, invece, la “vigilanza” contabile del sindaco non revisore non è strutturalmente idonea ed efficace a portare alla luce le c.d. “frodi in valutazione”; quelle, cioè, comportanti alterazioni del bilancio per operazioni di stima e valutazione di dati non determinati e certi alla data di chiusura dell’esercizio, ma involgenti giudizi e calcoli prognostici. Tali giudizi non sono suscettibili di essere valutati come veri o falsi, come corretti o non corretti, facendo cioè ricorso ad elementi certi ed oggettivi. Il falso in valutazione viene pertanto “catturato” (o meglio dovrebbe essere “catturato”) dall’attività di “vigilanza” contabile solo ove vi siano sintomi eclatanti che in certo senso compensino la natura prognostica e tecnica della posta; ad esempio, si pensi: alla totale difformità tra i criteri di valutazione in concreto adottati e quelli che, nelle note esplicative al bilancio, vengono indicati come adottati; alla violazione delle clausole generali che presiedono alla redazione del bilancio, quali la chiarezza, l’intelligibilità e la prudenza. Rischiano comunque di sfuggire alla vigilanza contabile, perché sostanzialmente “asintomatiche”, quelle stime consistenti in giudizi prognostici simili a congetture per cui non esistono formule algebriche che possano garantire una perfetta aderenza della valutazione alla realtà fattuale che si intende rappresentare e, quindi, che possano poi consentire la verificabilità di correttezza da parte di chi controlla. / 08 ancora LAVORO & PREVIDENZA Si può richiedere la CIGS anche dopo l’ammissione a procedure concorsuali Con la circolare 4, il Ministero del Lavoro illustra l’ambito applicativo dell’art. 3 della L. 223/91 / Luca MAMONE L’impresa interessata da procedure concorsuali, che prosegue anche parzialmente l’attività, può richiedere il trattamento di CIGS, previsto dal comma 1 dell’art. 3 della L. 223/91, anche in un momento successivo alla data di ammissione a una delle predette procedure. Questo è uno dei chiarimenti del Ministero del Lavoro contenuti nella circolare n. 4 di ieri, 2 marzo 2015, emanata con la finalità di fornire una corretta interpretazione e chiarimenti riferiti all’ambito applicativo del citato art. 3 della L. 223/91, con il quale il legislatore ha appositamente disciplinato il trattamento straordinario di integrazione salariale in presenza di procedure concorsuali. In particolare, ricordiamo che, ai sensi di tale norma, il trattamento straordinario di integrazione salariale viene concesso, con decreto del Ministro del Lavoro, ai lavoratori delle imprese aventi diritto, nei casi di dichiarazione di fallimento, di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria. Tale ammortizzatore sociale, sempre secondo la disposizione in argomento, può tuttavia essere concesso qualora sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività, nonché di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, valutabili in base a parametri oggettivi definiti, sempre in sede ministeriale, mediante l’emanazione di un apposito decreto. Spetta al curatore, al liquidatore o al commissario richiederlo per un periodo non superiore a 12 mesi. Infine, la norma in esame stabilisce che il trattamento straordinario di integrazione salariale può essere concesso anche nel caso di ammissione al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni. Facendo seguito a quest’ultima ipotesi di applicazione, nella circ. 4/2015 il Ministero del Lavoro precisa che la CIGS può essere concessa non solo nel caso di cessione dei beni, ma anche qualora venga presentato un piano concordatario caratterizzato dalla prosecuzione dell’attività di impresa. Inoltre, sempre con riferimento all’ambito applicativo, i tecnici ministeriali ricordano che il beneficio della CIGS può essere esteso anche a favore dei lavoratori alle dipendenze di quelle aziende che hanno sottoscritto accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L. Fall. Come spiegato nell’intervento di prassi in esame, la volontà ministeriale di includere anche quest’ultima ipotesi nel novero dei casi di concessione della CIGS individuati dall’art. 3 della L. 223/91 scaturisce dall’aver riscontrato un sempre più frequente ricorso delle imprese ad accordi con i creditori aventi la finalità di ridurre l’esposizione debitoria e tentare l’opera di risanamento. Invece, per quanto riguarda i limiti temporali di fruizione del trattamento straordinario di integrazione salariale, nella circ. 4/2015 si precisa che è ormai consolidata prassi ministeriale far decorrere il trattamento in questione dalla data in cui interviene il provvedimento formale di ammissione o sottoposizione a una delle predette procedure concorsuali. Pregiudizi economici dalla sospensione dell’attività Tuttavia, sul punto, il Ministero del Lavoro evidenzia come, in realtà, molto spesso, le aziende interessate decidano di richiedere la CIGS solo successivamente alla data di ammissione alla procedura, dal momento che la sospensione dell’attività lavorativa del personale dipendente comporterebbe una serie di pregiudizi economici facilmente immaginabili, soprattutto considerando la mancata evasione di ordini e commesse acquisiti in precedenza. Pertanto, tenendo conto di queste esigenze, peraltro agevolmente riscontrabili e diffuse in tempo di crisi, i tecnici ministeriali ritengono possibile che un’impresa sottoposta ad una procedura concorsuale, con prosecuzione anche parziale dell’attività, possa richiedere il trattamento straordinario di integrazione salariale ex art. 3, comma 1 della L. 223/1991, anche in un momento successivo alla data di ammissione o sottoposizione a una delle citate procedure concorsuali. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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