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Patrimoni all’estero
Regolarizzazione e monitoraggio alla luce delle novità legislative
Opportunità e rischi per i contribuenti e i professionisti che li assistono
13 marzo 2014
Dogana Veneta
Lazise (VR)
Relazione di
NICOLA FIORINI
Dottore Commercialista in Verona
§§§
A) Monitoraggio
Dal 1990, con il venire meno del controllo dei cambi, gli Italiani possono liberamente investire
all’estero. Questa facoltà non poteva essere ulteriormente negata, dal momento che la libertà
di movimento dei capitali era e rimane uno dei pilastri dell’Unione Europea. Era tuttavia
evidente come il Fisco fosse molto preoccupato per le conseguenze che potevano derivarne in
termini di facilità di evasione, specie per quanto concerne i redditi di natura finanziaria.
Fin da subito, con D.L. 167 del 1990, si è quindi cercato di circoscrivere il rischio e lo si è fatto
sostanzialmente in due modi, modi che, complessivamente, configurano il cosiddetto
monitoraggio sui capitali all’estero.
In primo luogo, si incentiva chi si serve degli intermediari finanziari italiani. Se i beni sono
affidati in amministrazione o gestione a una banca italiana o a un altro intermediario
qualificato e questo intermediario ha contezza di tutti i flussi finanziari riguardanti i capitali
all’estero, allora è come se l’investimento fosse in Italia e il contribuente ne deriva due
principali benefici: 1) non deve preoccuparsi di calcolare e versare le imposte, perché
l’intermediario pensa a tutto; 2) gli viene garantita una certa riservatezza, perché le sue
disponibilità non vengono (non venivano) comunicate al Fisco. I benefici che ne deriva il Fisco
sono evidenti.
In secondo luogo, e qui passiamo dalla carota al bastone, si impongono pesanti controlli e
obblighi dichiarativi. I controlli erano quelli a carico degli intermediari finanziari. Le banche e
gli altri intermediari finanziari residenti dovevano tenere evidenza di tutti i flussi (da e per
l’estero) superiori a una certa soglia, comunicandoli a richiesta dell’amministrazione
finanziaria. Gli obblighi dichiarativi erano quelli a carico dei contribuenti che avessero osato
non dare in gestione i loro beni ad un intermediario italiano. Costoro dovevano annualmente
comunicare al Fisco non solo le disponibilità all’estero a fine anno ma anche tutti i flussi
(dall’estero, verso l’estero, estero su estero). Nasce così il famoso (o famigerato) quadro RW
della dichiarazione dei redditi. Ovviamente, gli obblighi dichiarativi in questione erano
assistiti da un gravoso apparato sanzionatorio. Fin dall’origine, si trattava di sanzioni che
prescindevano dal fatto che ci fosse stata concretamente un’evasione d’imposta. Era
1
sanzionato il mero fatto di non comunicare (o di comunicare falsamente). Se fossimo in campo
penale, parleremo di reati di pericolo.
L’assetto complessivo rimane invariato nelle sue linee essenziali dal 1990 ai giorni nostri.
Questo non significa che siano mancate evoluzioni significative, tutt’altro. Gli scossoni più
importante risalgono al 2001 e al 2009, in occasione delle diverse edizioni dello scudo fiscale.
Torniamo alla politica del bastone e della carota. Se la carota era lo scudo, con le sue allettanti
promesse di sanatorie a buon prezzo e di anonimato, il bastone era rappresentato da un (è il
caso di dire) terrificante aggravamento delle sanzioni per le violazioni del Quadro RW. Se fino
al 2001 la sanzione era di un milione di Lire, con la prima edizione dello scudo le sanzioni
diventavano proporzionali al capitale (dal 5 al 25%) e, dal 2009, crescevano ulteriormente
(dal 10 al 50% del valore dei beni non dichiarati, a cui si aggiunge la confisca per
equivalente)1. Non solo. Se le disponibilità all’estero si trovano in un Paese black-list, le
sanzioni raddoppiano e si applica la presunzione (relativa) che le disponibilità in questione
siano frutto di redditi non tassati2. Sempre in concomitanza con lo scudo del 2009, assistiamo
inoltre ad una dilatazione indiscriminata della tipologia dei beni oggetto di dichiarazione. Se
fino a quel momento si ritenevano rilevanti le attività finanziarie e gli immobili (tra l’altro non
sempre), l’Agenzia ci disse, con interpretazione assai dubbia, che si dovevano indicare, quadri,
automobili, barche et similia. Nell’immediato questa interpretazione poteva anche far comodo
a qualcuno perché, allargando il novero dei beni dichiarabili, si apriva la strada al rimpatrio di
questi beni tramite lo scudo. A regime, le implicazioni negative erano di gran lunga prevalenti.
Si tratta ormai in larga misura di un tema di “archeologia fiscale” perché nel frattempo l’A.F.
ha fatto in modo di ottenere copertura legislativa alla sua stravagante interpretazione, o
almeno così la pensano i più. La questione mantiene una sua limitata rilevanza pratica ai fini
della voluntary disclosure per stabilire se è stato redatto correttamente il quadro RW riferito
al 2007 (ammesso e non concesso che sia ancora accertabile).
Le novità in materia di monitoraggio di cui parliamo oggi, pur collocandosi nel solco
dell’impostazione tradizionale, si configurano come una nuova e rilevante scossa di
assestamento.
Non stiamo parlando di un’iniziativa spontanea del Legislatore ma di una sorta di atto dovuto
volto a scongiurare guai peggiori. Le sanzioni erano spropositate, più che espropriative. Sia
pure tardivamente, l’UE ha reagito, minacciando una procedura di infrazione. Non a caso le
norme in esame sono contenute nella cosiddetta Legge Europea del 20133. Le sanzioni per le
violazioni del Quadro RW vengono quindi ridotte sensibilmente. Viene meno la confisca; le
sanzioni amministrative variano dal 3 al 10% (contro il range 10-50% applicabile in
precedenza, come già ricordato sopra)4. Vale il principio del favor rei, pertanto le nuove
sanzioni si applicano anche alle violazioni anteriori. Senonché, il Legislatore ha approfittato
della Legge Europea per un intervento di restyling che va ben al di là delle rimodulazione delle
sanzioni. Procedo per sommi capi, riservandomi di ritornare sui singoli temi in maggior
dettaglio in sede di dibattito.
Continuiamo con le altre novità gradite al contribuente (e al suo commercialista), la prima
essendo ovviamente la diminuzione delle sanzioni. È stato abolito il monitoraggio sui flussi
finanziari da rendicontare in RW. Spariscono quindi le sezioni prima e terza del Quadro in
1
Ci limitiamo a ricordare le sanzioni relative alle consistenze non dichiarate, trascurando per semplicità quelle
relative all’infedele dichiarazione dei flussi, anch’esse molto pesanti
2 Articolo 12, D.L. 1 luglio 2009, n. 78
3 Legge 6 agosto 2013, n. 97, articolo 9
4 Permane il raddoppio per i capitali collocati in Stati non collaborativi
2
questione. Non è cosa da poco. Come si dovessero compilare queste sezioni non si è mai capito
bene, molti si dimenticavano di fornire le indicazioni dovute, gli errori erano probabili, le
sanzioni pesanti5. Purtroppo, le novità gradite finiscono qui. Tra l’altro, vedremo poi quando
pareremo di connessioni tra Quadro RW da un lato, IVIE e IVAFE dall’altro, che le
semplificazioni legate ai flussi sono più apparenti che reali.
Veniamo alle novità sgradite e cominciamo da quello che un relatore forbito definirebbe
l’ambito soggettivo. I destinatari degli obblighi di monitoraggio rimangono invariati e sono
quindi sempre gli stessi dal 1990. Parliamo di persone fisiche, enti non commerciali e società
semplici (nonché altri enti fiscalmente equiparati alle società semplici), sempreché tali
soggetti siano fiscalmente residenti in Italia. D’ora in poi, costoro non possono limitarsi a
riportare i beni di cui siano titolari diretti e formali ma devono includere anche i beni di cui
siano titolari effettivi. Per definire che cosa si intenda per titolare effettivo, la disposizione6
rinvia a quanto disposto in materia dalla normativa antiriclaggio 7 . In questo modo
“importiamo” in campo fiscale tutti i dubbi interpretativi che tale concetto ha generato in
materia di antiriclaggio e che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle in più di sei anni di
applicazione. Vale la pena di sensibilizzare i clienti fin d’ora su questo nuovo scenario. Se
aspettiamo settembre, rischiamo di “arrivare lunghi”. Le novità legislative di cui stiamo
parlando si applicano infatti già con la redazione del Quadro RW 2014, quindi con riferimento
al periodo d’imposta 2013.
Il tema del titolare effettivo è di gran lunga il più delicato tra quelli di nuova introduzione. La
Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 23.12.2013, che commenta diffusamente la
normativa in esame, dedica molto spazio a questa problematica, delineando una casistica
dettagliata. Mi limito in proposito a poche considerazioni.
Sappiamo che titolare effettivo ai fini antiriciclaggio può essere solo una persona fisica.
L’Agenzia ci dice che, ai fini fiscali, “lo status di titolare effettivo è riferibile, oltre che alle
persone fisiche, anche agli enti non commerciali e alle società semplici ed equiparate”8.
L’estensione è ardita e non sembra trovare copertura normativa. L’intento è, o almeno così
viene dichiarato, di natura agevolativa, nel senso che consente di non risalire la catena
partecipativa fino all’ultimo gradino, quello delle persone fisiche. La cosa, peraltro, è tutt’altro
che chiara e la Circolare sembra dire il contrario quando parla di trust.
Se in materia di partecipazioni societarie l’identificazione del titolare effettivo si presenta non
di rado problematica, essa rischia di diventare un vero e proprio rompicapo quando parliamo
di enti non societari. Le difficoltà sono particolarmente significative per quanto concerne i
trust. Non è questa la sede per parlare di trust, istituto tra l’altro assai poco praticato rispetto
al gran parlare che se ne fa, quantomeno se ci riferiamo ai trust veri e non a quelli meramente
apparenti, costituiti per lo più all’estero a scopo di occultamento. Mi limito a dire che il
professionista che si imbatte in un trust farà bene a prestare molta attenzione al tema del
titolare effettivo e a capire su chi ricada l’obbligo dichiarativo, se sul trust o sul singolo
beneficiario (o su entrambi). E farà bene a farlo fin d’ora. Non è detto che i professionisti degli
altri beneficiari (o del trustee) la pensino come lui e che il trustee estero sia disposto a dargli
le informazioni che gli servono per redigere l’RW.
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Per completezza, se sparisce il monitoraggio dei flussi che i contribuenti dovevamo gestire autonomamente in
dichiarazione, non sparisce certo, anzi viene per certi versi rafforzato, quello di cui sono incaricati gli
intermediari finanziari. L’argomento non forma oggetto della presente relazione
6 Art. 4, comma 1, ultimo periodo, D. L. 167/90, come modificato dalla Legge Europea 2013
7 Art. 1, comma 2, lett. u) e allegato tecnico del D.Lgs. 231/2007
8 Provvedimento direttoriale del 18 dicembre 2013 e conseguente Circolare 38/E di cui sopra
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Sempre in tema di titolare effettivo, è disposto quello che potremmo definire il
consolidamento delle partecipazioni all’interno della famiglia. In altri termini, per stabilire se
una certa persona fisica supera la percentuale rilevante di partecipazione ed è quindi titolare
effettivo, bisogna sommare anche le partecipazioni di cui sono titolari i suoi familiari, cioè
coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado. Il bello è che tutti si
qualificano come titolari effettivi e devono dichiarare per l’intero. Si introduce così un altro
buon motivo per rimanere single. È appena il caso di dire che la copertura normativa di
questa disposizione è quantomeno dubbia.
Che cosa deve fare il titolare effettivo? Non può dichiarare la partecipazione nella società9 di
cui sia appunto titolare effettivo ma direttamente i beni da questa posseduti che si trovino
all’estero. L’Agenzia delle Entrate, bontà sua, ha almeno escluso dall’obbligo dichiarativo la
persona fisica titolare effettivo di una società italiana che abbia investimenti all’estero. Inoltre,
la persona fisica residente che sia titolare effettivo di una società residente in un Paese
collaborativo può limitarsi ad indicare la partecipazione, senza “scendere” ai beni sottostanti.
Il problema quindi sussiste in sostanza quando ci sono investimenti che, in ultima istanza, si
collocano in Paesi black-list. Ovviamente, per fare il suo dovere, la persona fisica residente
dovrà ottenere la collaborazione degli amministratori della società in questione. Chissà
costoro come reagiranno ad una simile richiesta. Ricordiamoci che stiamo parlando di società
“vere”, che cioè si interpongono realmente tra la persona fisica che le controlla e il bene
sottostante. Se fossimo in presenza di soggetti interposti fittiziamente, l’obbligo di
dichiarazione dei beni sottostanti c’è da sempre e a prescindere dal fatto di essere il titolare
effettivo.
La seconda novità su cui voglio attirare la vostra attenzione è l’eliminazione della soglia al di
sotto della quale veniva meno l’obbligo di dichiarare. Tale soglia era di € 10.000 ed ora non c’è
più. Quindi se avete una colf srilankese o una badante rumena avvistele che devono redigere il
quadro RW per il conto corrente che hanno nel loro Paese. Letteralmente, l’obbligo scatta solo
per chi redige la dichiarazione dei redditi, quindi chi beneficia dell’esonero dalla dichiarazione
dovrebbe essere esonerato anche dalla presentazione di RW. Il Fisco però la pensa
diversamente ed in effetti è difficile ammettere che un lavoratore dipendente che possiede
all’estero una casa da 1 milione di euro possa farla franca solo perché (legittimamente) non
presente il Modello Unico.
L’ultima novità che vi suggerisco di annotare è quella concernente la valorizzazione dei beni
all’estero. In primo luogo, se è vero che è venuto meno il monitoraggio dei flussi, è altrettanto
vero che, d’ora in poi, devo dichiarare anche se al 31 dicembre non possiedo all’estero
neanche un euro, purché ci sia stato un capitale durante l’anno. Se ho avuto attività all’estero
anche per un solo giorno, devo dirlo. In secondo luogo, devo indicare i dati che servono al
calcolo dell’IVIE e dell’IVAFE, quindi valore all’inizio del periodo d’imposta (ovvero al primo
giorno di possesso), valore al termine del periodo d’imposta (ovvero al termine del periodo di
possesso) e periodo di possesso. Anche i criteri di valorizzazione sono quelli dettati ai fini IVIE
e IVAFE. Detto così sembra relativamente semplice. In realtà, in presenza di gestioni
finanziarie dinamiche, può trattarsi di un piccolo incubo. È vero che si tratta di un lavoro che
si doveva comunque fare ai fini (soprattutto) dell’IVIE. Tuttavia, portare questa logica
all’interno del Quadro RW rischia di complicare le cose, soprattutto a livello di sanzioni. Per
società semplici ed enti non commerciali si tratta di una beffa, visto che non sono soggetti
9
Parliamo per semplicità solo di società, ma le considerazioni valgono, mutatis mutandis, anche per le
“partecipazioni” ad enti non societari
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passivi di IVIE e IVAFE. Per beni patrimonio diversi dagli immobili, si continua ad indicare il
valore d’acquisto.
Non mi soffermo sui temi dei diritti reali parziali, delle comunioni di beni, delle cointestazioni,
delle deleghe a disporre sul conto, del possesso per interposta persona.
Prima di passare alla Voluntary Disclosure, un cenno al ruolo degli intermediari finanziari.
Come si diceva in esordio, chi affida i beni all’estero ad un intermediario finanziario residente
è esonerato dall’obbligo di compilare il quadro RW. Questa regola non è più così granitica.
Avete forse seguito sulla stampa il balletto attorno all’obbligo generalizzato di ritenuta
d’ingresso sui flussi provenienti dall’estero. Quindi sapete che quest’obbligo demenziale è
stato sospeso in attesa di essere abrogato. Pochi invece hanno notato che questa (tendenziale)
abrogazione può trasformarsi in alcune circostanze in una polpetta avvelenata. L’esonero
dall’RW non discende più semplicemente dal fatto che un certo bene sia in gestione ad un
intermediario residente ma dal fatto ulteriore che i redditi da esso derivanti siano
concretamente stati assoggettati a ritenuta. Se la ritenuta non è più applicabile, i beni
diventano dichiarabili. Speriamo ci mettano una pezza.
B) Voluntary Disclosure
Potremmo cominciare dicendo “c’era una volta lo scudo fiscale …”. Fino a pochi anni fa, di
fronte all’evasione fiscale internazionale, lo Stato si sentiva debole. Le piazze finanziarie offshore sembravano pressoche inviolabili, protette da un segreto bancario roccioso e dalla
scarsa determinazione degli Stati cui sottraevano gettito. Ogni tanto qualche spallone veniva
beccato al confine di Chiasso, oppure capitava che litigi familiari o aziendali portassero alla
luce fondi esteri, ma si trattava di casi isolati. Da questa debolezza nascevano gli scudi. Lo
Stato faceva ponti d’oro a chi si rendeva disponibile a riportare in Italia le proprie ricchezze.
Dunque, tassazione bassa e forfettaria, anonimato, esimenti penali ad ampio spettro,
possibilità di utilizzare i capitali regolarizzati come giustificazione contro accertamenti su
altri fronti.
Il mondo è cambiato. L’inizio di questa nuova fase può simbolicamente essere fatto risalire al
febbraio del 2008, quando la polizia tedesca perquisì l’abitazione e l'ufficio del numero uno di
Deutsche Post, Klaus Zumwinkel. Emerse in quell’occasione che i servizi segreti tedeschi (i
servizi segreti) avevano acquistato informazioni riservate pagando (sarebbe meglio dire
corrompendo) circa 4 milioni di euro ad Heinrich Kieber, un ex dipendente di una banca del
Liechtenstein, fornendogli tra l’altro una nuova identità. Da quel giorno ne abbiamo viste di
tutti i colori, Liste Falciani, Liste Pessina, banchieri svizzeri arrestati in America, la Svizzera
che si impegna a conformarsi agli standard dell’OCSE, il FATCA americano, la Convenzione
contro le doppie imposizioni con San Marino, etc. Una spinta decisiva l’ha data la grande crisi
economica esplosa alla fine del 2008. Gli Stati ad alta tassazione non potevano più permettersi
di perdere gettito in modo sostanziale a causa degli Stati off-shore. Per la prima volta si è
passati dalle parole ai fatti e i Paradisi fiscali sono stati oggetto di un attacco generalizzato e
sistematico.
Oggi stiamo procedendo con grande velocità verso un mondo dove:
a) le amministrazioni finanziarie dei diversi paesi scambiano informazioni in maniera
automatica;
b) il segreto bancario è sempre più permeabile;
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c) le norme antiriciclaggio vengono applicate in modo generalizzato e severo, rendendo
sempre più difficile per chi evade trovare assistenza finanziaria e professionale
affidabile e di qualità;
d) le nuove tecnologie informatiche rendono la riservatezza una specie di chimera.
La conseguenza di queste circostanze è che portare e gestire soldi all’estero è sempre più
complesso e pericoloso. Oggi quindi lo Stato si sente forte. Non deve più pregare il
contribuente riluttante ma può fare (o pensa di poter fare) la voce grossa. In questo contesto
nasce, e prima dell’Italia in altri Paesi, la Voluntary Disclosure (VD).
Fino a due giorni fa, da questo punto in poi, la mia relazione sarebbe stata diversa. Vi avrei
spiegato che cosa prevede il D. L. 28 gennaio 2014, n. 4, il provvedimento con cui il Governo
Letta aveva appunto inteso introdurre in Italia la VD. È di due giorni fa la notizia che,
d’accordo il Governo, la Commissione finanze della Camera ha stralciato l’art. 1, quello che
interessa in questa sede. Sotto questo profilo, il Decreto diventa un “vuoto a perdere”, non
verrà convertito, per la gioia di chi si era affrettato ad autodenunciarsi (e, più modestamente,
di chi aveva organizzato convegni sul tema). Nella mia relazione pensavo di essere stato
sufficientemente realista/pessimista prevedendo che la VD sarebbe stata messa a punto per
approssimazioni successive, cioè con norme introdotte successivamente a
correzione/integrazione di quelle già in vigore. Ma la realtà ci sorprende sempre. La
legiferazione per approssimazioni successive è portata all’estremo, con DL usati come grandi
sondaggi di opinione. Vediamo l’effetto che fa e poi ci ripensiamo. Come direbbe Groucho
Marx, “questi sono i miei valori, se non vi piacciono ne ho anche degli altri”.
Rimane comunque di grande interesse il dibattito che si è sviluppato in questi ultimo mesi e
che, speriamo, servirà a rendere migliore la prossima versione della normativa.
Segue in carattere corsivo il testo della relazione scritta prima della decisione di non
convertire il Decreto
L’elemento caratterizzante della VD è implicito in quanto detto finora. Non stiamo parlando di una riedizione dello
scudo ma di una forma speciale di ravvedimento operoso. Di questo si tratta.
La via d’accesso al ravvedimento è la stessa dello scudo, aver commesso violazioni delle norme in materia di
monitoraggio; più chiaramente, aver omesso di redigere il Quadro RW o averlo redatto falsamente all’entrata in
vigore della norma. Parliamo quindi di violazioni commesse fino al 31.12.2013. Ma le analogie con lo scudo
finiscono qui. Al trasgressore viene richiesta una vera e propria autodenuncia. Egli deve:
a) spiegare al Fisco come si è creata la disponibilità all’estero, in quali Paesi, come si compone, come è stata
gestita e movimentata. Questa dettagliata spiegazione dev’essere accompagnata da documentazione
probante;
b) calcolare le imposte evase e pagarle fino all’ultimo euro (e in unica soluzione) per tutti i periodi d’imposta
per i quali le violazioni in materia di RW siano ancora accertabili;
c) pagare le sanzioni.
Soffermiamoci sulle sanzioni, perché si tratta di un aspetto chiave. Per quanto concerne le sanzioni sulle imposte
evase, il nostro trasgressore non avrà diritto ad alcun beneficio speciale. L’unico beneficio, si fa per dire, consisterà
nell’usufruire degli istituti premiali che l’ordinamento prevede in via ordinaria. Tanto per fare un esempio, a fronte
di una maggiore imposta sul reddito, la sanzione sarà pari ad un sesto dell’imposta per effetto dell’acquiescenza
all’accertamento, ex art. 15, comma 2-bis del D.Lgs. 218/97. Per quanto concerne le sanzioni per le violazioni del
Quadro RW sembra comparire un primo, timido, beneficio: si paga la metà del minimo edittale. Siccome tale minimo
è il 3%, applicabile anche per il passato per il principio del favor rei, la sanzione sembrerebbe pari all’1,5% del
valore non dichiarato, che diventa il 3% per i capitali collocati in Paesi non white-list per i quali, ricordiamolo, il
minimo edittale è doppio. In realtà le cose sono più complicate, ma su questo aspetto torneremo poi.
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Sarà anche vero che il possessore di capitali all’estero si sente braccato e non vede l’ora di emergere, ma è difficile
pensare che sia disposto all’autolesionismo. Se non collabora e viene scoperto pagherà (forse) un po’di più a titolo di
sanzioni sulle violazioni di RW ma, a fronte di questo modesto costo, porta a casa i seguenti vantaggi:
1) il Fisco potrebbe non accorgersi di lui. Le probabilità di essere scoperti sono certo ben più elevate che nel
passato ma verosimilmente ancora ben lontane dal 100%;
2) potrebbe intervenire la decadenza per periodi d’imposta lontani, magari i più onerosi perché ad essi risale
la creazione della provvista e si tratta di provvista derivante da evasione, quindi tassabile. In particolare,
ricordiamo che, se il capitale non dichiarato si trova in un Paese black-list, c’è l’inversione dell’onere della
prova. In altri termini, è il contribuente che deve dimostrare di non aver evaso. A questo si aggiunge il
raddoppio dei termini decadenziali per l’accertamento;
3) qualora scoperto, il contribuente potrebbe non essere denunciato alla Procura della Repubblica, denuncia
invece automatica per chi si avvalga della VD. Leggo sui giornali che l’Amministrazione finanziaria
annuncia che non ci saranno automatismi, ma mi sembrano annunci che lasciano il tempo che trovano. Al
tempo stesso leggo sui giornali che a Roma si va verso il numero chiuso per i processi penali. Quando si dice
la lungimiranza del Legislatore;
4) non corre il rischio di essere denunciato dal suo Commercialista, in applicazione delle norme in materia di
antiriciclaggio. Non ci sono infatti esoneri a questo proposito, come si è affrettato a dichiarare il MEF10.
Non è chiaro quindi se la prestazione resa dal Commercialista ai fini della VD rientri nell’attività in senso
lato defensionale e se quindi si applichi l’esonero dall’obbligo di effettuare la segnalazione per operazione
sospetta ex art. 23, comma 4 del D.Lgs. 231/07, oppure se parliamo di attività meramente consulenziale,
con quello che ne deriva. Sono ansioso di sentire il parere del Professor Borsari a questo proposito.
Potremmo riassumere dicendo che chi ha “peccato mortalmente” non ha interesse alla VD perché troppo onerosa,
mentre chi ha peccato venialmente, commettendo violazioni formali ma senza evadere in modo rilevante, non ha
interesse alla VD perché le sanzioni a regime sono simili a quelle agevolate e in più non si paga il commercialista (e
magari anche l’avvocato penalista).
Qualcuno potrebbe ritenere fuorviante questa sintesi. Questo qualcuno avrebbe buon gioco nell’osservare che i
benefici della VD non si limitano (forse) alle sanzioni in materia di RW ma si estendono al campo penale. È vero. La
VD è causa di non punibilità di due reati tributari, l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele11. Inoltre, è
prevista un’attenuazione della pena per i reati di dichiarazione fraudolenta12. Il Professor Borsari spiegherà con ben
altra autorevolezza che cosa si debba pensare della copertura penale portata dalla VD. Mi sembra comunque di
poter dire che la sintesi di cui sopra non viene smentita anche considerando la variabile penale. I peccatori veniali
per definizione non hanno commesso reati e quindi dei benefici penali non si curano. I peccatori mortali raramente
ricadranno nella dichiarazione omessa o infedele, ma quasi sempre nella dichiarazione fraudolenta. Avere una
diminuzione di pena è una bella cosa ma forse non così allettante come la speranza di non subirne alcuna perché il
reato non viene a galla o perchè, una volta emerso, si estingue per prescrizione. Per carità, ci possono essere anche
altri profili degni di considerazione (carcerazione preventiva, sequestri, etc.), ma parliamo di casi estremi.
Sempre a proposito di reati, bisogna anche considerare che la VD non comporta esoneri o attenuazioni dagli altri
reati che spesso si accompagnano alla costituzione di disponibilità all’estero. L’amministratore o il socio di una
società che costituisce una disponibilità all’estero, quand’anche la finalità ultima fosse di tipo evasivo, pone in essere
delle condotte che configurano anche reati non tributari, tipicamente il falso in bilancio o l’infedeltà patrimoniale.
Con la VD si ha di fatto un’autodenuncia anche per questi reati. Oltre alle pesanti conseguenze per chi dichiara,
diviene pressoche inevitabile il coinvolgimento di terzi, persone fisiche ed enti.
Siamo ancora in sede di conversione del Decreto, quindi correttivi sono possibili. È anche possibile che si proceda
“per approssimazioni successive”, cioè con nuovi provvedimenti normativi che correggono lo strumento in corso di
applicazione, come tra l’altro è accaduto anche per gli scudi. Quindi l’atteggiamento razionale in questo momento è
quello dello wait and see. Tra l’altro, non ci sono ancora indicazioni intepretative da parte dell’Agenzia delle
Entrate, comunque da prendere con le pinze visto l’interesse a minimizzare le problematiche.
Rebus sic stantibus, chi può essere interessato a fare la VD? Chi ha bisogno assoluto di avere i soldi in Italia, chi ha
sentore di essere scoperto, chi teme di essere denunciato (più o meno volontariamente) da altri.
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Ministero dell’Economia e delle Finanze, 31.1.2014, prot. DT 8624
Rispettivamente, artt. 4 e 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74
12 Artt. 2 e 3 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74
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