Patrimoni all’estero Regolarizzazione e monitoraggio alla luce delle novità legislative Opportunità e rischi per i contribuenti e i professionisti che li assistono 13 marzo 2014 Dogana Veneta Lazise (VR) Relazione di NICOLA FIORINI Dottore Commercialista in Verona §§§ A) Monitoraggio Dal 1990, con il venire meno del controllo dei cambi, gli Italiani possono liberamente investire all’estero. Questa facoltà non poteva essere ulteriormente negata, dal momento che la libertà di movimento dei capitali era e rimane uno dei pilastri dell’Unione Europea. Era tuttavia evidente come il Fisco fosse molto preoccupato per le conseguenze che potevano derivarne in termini di facilità di evasione, specie per quanto concerne i redditi di natura finanziaria. Fin da subito, con D.L. 167 del 1990, si è quindi cercato di circoscrivere il rischio e lo si è fatto sostanzialmente in due modi, modi che, complessivamente, configurano il cosiddetto monitoraggio sui capitali all’estero. In primo luogo, si incentiva chi si serve degli intermediari finanziari italiani. Se i beni sono affidati in amministrazione o gestione a una banca italiana o a un altro intermediario qualificato e questo intermediario ha contezza di tutti i flussi finanziari riguardanti i capitali all’estero, allora è come se l’investimento fosse in Italia e il contribuente ne deriva due principali benefici: 1) non deve preoccuparsi di calcolare e versare le imposte, perché l’intermediario pensa a tutto; 2) gli viene garantita una certa riservatezza, perché le sue disponibilità non vengono (non venivano) comunicate al Fisco. I benefici che ne deriva il Fisco sono evidenti. In secondo luogo, e qui passiamo dalla carota al bastone, si impongono pesanti controlli e obblighi dichiarativi. I controlli erano quelli a carico degli intermediari finanziari. Le banche e gli altri intermediari finanziari residenti dovevano tenere evidenza di tutti i flussi (da e per l’estero) superiori a una certa soglia, comunicandoli a richiesta dell’amministrazione finanziaria. Gli obblighi dichiarativi erano quelli a carico dei contribuenti che avessero osato non dare in gestione i loro beni ad un intermediario italiano. Costoro dovevano annualmente comunicare al Fisco non solo le disponibilità all’estero a fine anno ma anche tutti i flussi (dall’estero, verso l’estero, estero su estero). Nasce così il famoso (o famigerato) quadro RW della dichiarazione dei redditi. Ovviamente, gli obblighi dichiarativi in questione erano assistiti da un gravoso apparato sanzionatorio. Fin dall’origine, si trattava di sanzioni che prescindevano dal fatto che ci fosse stata concretamente un’evasione d’imposta. Era 1 sanzionato il mero fatto di non comunicare (o di comunicare falsamente). Se fossimo in campo penale, parleremo di reati di pericolo. L’assetto complessivo rimane invariato nelle sue linee essenziali dal 1990 ai giorni nostri. Questo non significa che siano mancate evoluzioni significative, tutt’altro. Gli scossoni più importante risalgono al 2001 e al 2009, in occasione delle diverse edizioni dello scudo fiscale. Torniamo alla politica del bastone e della carota. Se la carota era lo scudo, con le sue allettanti promesse di sanatorie a buon prezzo e di anonimato, il bastone era rappresentato da un (è il caso di dire) terrificante aggravamento delle sanzioni per le violazioni del Quadro RW. Se fino al 2001 la sanzione era di un milione di Lire, con la prima edizione dello scudo le sanzioni diventavano proporzionali al capitale (dal 5 al 25%) e, dal 2009, crescevano ulteriormente (dal 10 al 50% del valore dei beni non dichiarati, a cui si aggiunge la confisca per equivalente)1. Non solo. Se le disponibilità all’estero si trovano in un Paese black-list, le sanzioni raddoppiano e si applica la presunzione (relativa) che le disponibilità in questione siano frutto di redditi non tassati2. Sempre in concomitanza con lo scudo del 2009, assistiamo inoltre ad una dilatazione indiscriminata della tipologia dei beni oggetto di dichiarazione. Se fino a quel momento si ritenevano rilevanti le attività finanziarie e gli immobili (tra l’altro non sempre), l’Agenzia ci disse, con interpretazione assai dubbia, che si dovevano indicare, quadri, automobili, barche et similia. Nell’immediato questa interpretazione poteva anche far comodo a qualcuno perché, allargando il novero dei beni dichiarabili, si apriva la strada al rimpatrio di questi beni tramite lo scudo. A regime, le implicazioni negative erano di gran lunga prevalenti. Si tratta ormai in larga misura di un tema di “archeologia fiscale” perché nel frattempo l’A.F. ha fatto in modo di ottenere copertura legislativa alla sua stravagante interpretazione, o almeno così la pensano i più. La questione mantiene una sua limitata rilevanza pratica ai fini della voluntary disclosure per stabilire se è stato redatto correttamente il quadro RW riferito al 2007 (ammesso e non concesso che sia ancora accertabile). Le novità in materia di monitoraggio di cui parliamo oggi, pur collocandosi nel solco dell’impostazione tradizionale, si configurano come una nuova e rilevante scossa di assestamento. Non stiamo parlando di un’iniziativa spontanea del Legislatore ma di una sorta di atto dovuto volto a scongiurare guai peggiori. Le sanzioni erano spropositate, più che espropriative. Sia pure tardivamente, l’UE ha reagito, minacciando una procedura di infrazione. Non a caso le norme in esame sono contenute nella cosiddetta Legge Europea del 20133. Le sanzioni per le violazioni del Quadro RW vengono quindi ridotte sensibilmente. Viene meno la confisca; le sanzioni amministrative variano dal 3 al 10% (contro il range 10-50% applicabile in precedenza, come già ricordato sopra)4. Vale il principio del favor rei, pertanto le nuove sanzioni si applicano anche alle violazioni anteriori. Senonché, il Legislatore ha approfittato della Legge Europea per un intervento di restyling che va ben al di là delle rimodulazione delle sanzioni. Procedo per sommi capi, riservandomi di ritornare sui singoli temi in maggior dettaglio in sede di dibattito. Continuiamo con le altre novità gradite al contribuente (e al suo commercialista), la prima essendo ovviamente la diminuzione delle sanzioni. È stato abolito il monitoraggio sui flussi finanziari da rendicontare in RW. Spariscono quindi le sezioni prima e terza del Quadro in 1 Ci limitiamo a ricordare le sanzioni relative alle consistenze non dichiarate, trascurando per semplicità quelle relative all’infedele dichiarazione dei flussi, anch’esse molto pesanti 2 Articolo 12, D.L. 1 luglio 2009, n. 78 3 Legge 6 agosto 2013, n. 97, articolo 9 4 Permane il raddoppio per i capitali collocati in Stati non collaborativi 2 questione. Non è cosa da poco. Come si dovessero compilare queste sezioni non si è mai capito bene, molti si dimenticavano di fornire le indicazioni dovute, gli errori erano probabili, le sanzioni pesanti5. Purtroppo, le novità gradite finiscono qui. Tra l’altro, vedremo poi quando pareremo di connessioni tra Quadro RW da un lato, IVIE e IVAFE dall’altro, che le semplificazioni legate ai flussi sono più apparenti che reali. Veniamo alle novità sgradite e cominciamo da quello che un relatore forbito definirebbe l’ambito soggettivo. I destinatari degli obblighi di monitoraggio rimangono invariati e sono quindi sempre gli stessi dal 1990. Parliamo di persone fisiche, enti non commerciali e società semplici (nonché altri enti fiscalmente equiparati alle società semplici), sempreché tali soggetti siano fiscalmente residenti in Italia. D’ora in poi, costoro non possono limitarsi a riportare i beni di cui siano titolari diretti e formali ma devono includere anche i beni di cui siano titolari effettivi. Per definire che cosa si intenda per titolare effettivo, la disposizione6 rinvia a quanto disposto in materia dalla normativa antiriclaggio 7 . In questo modo “importiamo” in campo fiscale tutti i dubbi interpretativi che tale concetto ha generato in materia di antiriclaggio e che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle in più di sei anni di applicazione. Vale la pena di sensibilizzare i clienti fin d’ora su questo nuovo scenario. Se aspettiamo settembre, rischiamo di “arrivare lunghi”. Le novità legislative di cui stiamo parlando si applicano infatti già con la redazione del Quadro RW 2014, quindi con riferimento al periodo d’imposta 2013. Il tema del titolare effettivo è di gran lunga il più delicato tra quelli di nuova introduzione. La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 23.12.2013, che commenta diffusamente la normativa in esame, dedica molto spazio a questa problematica, delineando una casistica dettagliata. Mi limito in proposito a poche considerazioni. Sappiamo che titolare effettivo ai fini antiriciclaggio può essere solo una persona fisica. L’Agenzia ci dice che, ai fini fiscali, “lo status di titolare effettivo è riferibile, oltre che alle persone fisiche, anche agli enti non commerciali e alle società semplici ed equiparate”8. L’estensione è ardita e non sembra trovare copertura normativa. L’intento è, o almeno così viene dichiarato, di natura agevolativa, nel senso che consente di non risalire la catena partecipativa fino all’ultimo gradino, quello delle persone fisiche. La cosa, peraltro, è tutt’altro che chiara e la Circolare sembra dire il contrario quando parla di trust. Se in materia di partecipazioni societarie l’identificazione del titolare effettivo si presenta non di rado problematica, essa rischia di diventare un vero e proprio rompicapo quando parliamo di enti non societari. Le difficoltà sono particolarmente significative per quanto concerne i trust. Non è questa la sede per parlare di trust, istituto tra l’altro assai poco praticato rispetto al gran parlare che se ne fa, quantomeno se ci riferiamo ai trust veri e non a quelli meramente apparenti, costituiti per lo più all’estero a scopo di occultamento. Mi limito a dire che il professionista che si imbatte in un trust farà bene a prestare molta attenzione al tema del titolare effettivo e a capire su chi ricada l’obbligo dichiarativo, se sul trust o sul singolo beneficiario (o su entrambi). E farà bene a farlo fin d’ora. Non è detto che i professionisti degli altri beneficiari (o del trustee) la pensino come lui e che il trustee estero sia disposto a dargli le informazioni che gli servono per redigere l’RW. 5 Per completezza, se sparisce il monitoraggio dei flussi che i contribuenti dovevamo gestire autonomamente in dichiarazione, non sparisce certo, anzi viene per certi versi rafforzato, quello di cui sono incaricati gli intermediari finanziari. L’argomento non forma oggetto della presente relazione 6 Art. 4, comma 1, ultimo periodo, D. L. 167/90, come modificato dalla Legge Europea 2013 7 Art. 1, comma 2, lett. u) e allegato tecnico del D.Lgs. 231/2007 8 Provvedimento direttoriale del 18 dicembre 2013 e conseguente Circolare 38/E di cui sopra 3 Sempre in tema di titolare effettivo, è disposto quello che potremmo definire il consolidamento delle partecipazioni all’interno della famiglia. In altri termini, per stabilire se una certa persona fisica supera la percentuale rilevante di partecipazione ed è quindi titolare effettivo, bisogna sommare anche le partecipazioni di cui sono titolari i suoi familiari, cioè coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado. Il bello è che tutti si qualificano come titolari effettivi e devono dichiarare per l’intero. Si introduce così un altro buon motivo per rimanere single. È appena il caso di dire che la copertura normativa di questa disposizione è quantomeno dubbia. Che cosa deve fare il titolare effettivo? Non può dichiarare la partecipazione nella società9 di cui sia appunto titolare effettivo ma direttamente i beni da questa posseduti che si trovino all’estero. L’Agenzia delle Entrate, bontà sua, ha almeno escluso dall’obbligo dichiarativo la persona fisica titolare effettivo di una società italiana che abbia investimenti all’estero. Inoltre, la persona fisica residente che sia titolare effettivo di una società residente in un Paese collaborativo può limitarsi ad indicare la partecipazione, senza “scendere” ai beni sottostanti. Il problema quindi sussiste in sostanza quando ci sono investimenti che, in ultima istanza, si collocano in Paesi black-list. Ovviamente, per fare il suo dovere, la persona fisica residente dovrà ottenere la collaborazione degli amministratori della società in questione. Chissà costoro come reagiranno ad una simile richiesta. Ricordiamoci che stiamo parlando di società “vere”, che cioè si interpongono realmente tra la persona fisica che le controlla e il bene sottostante. Se fossimo in presenza di soggetti interposti fittiziamente, l’obbligo di dichiarazione dei beni sottostanti c’è da sempre e a prescindere dal fatto di essere il titolare effettivo. La seconda novità su cui voglio attirare la vostra attenzione è l’eliminazione della soglia al di sotto della quale veniva meno l’obbligo di dichiarare. Tale soglia era di € 10.000 ed ora non c’è più. Quindi se avete una colf srilankese o una badante rumena avvistele che devono redigere il quadro RW per il conto corrente che hanno nel loro Paese. Letteralmente, l’obbligo scatta solo per chi redige la dichiarazione dei redditi, quindi chi beneficia dell’esonero dalla dichiarazione dovrebbe essere esonerato anche dalla presentazione di RW. Il Fisco però la pensa diversamente ed in effetti è difficile ammettere che un lavoratore dipendente che possiede all’estero una casa da 1 milione di euro possa farla franca solo perché (legittimamente) non presente il Modello Unico. L’ultima novità che vi suggerisco di annotare è quella concernente la valorizzazione dei beni all’estero. In primo luogo, se è vero che è venuto meno il monitoraggio dei flussi, è altrettanto vero che, d’ora in poi, devo dichiarare anche se al 31 dicembre non possiedo all’estero neanche un euro, purché ci sia stato un capitale durante l’anno. Se ho avuto attività all’estero anche per un solo giorno, devo dirlo. In secondo luogo, devo indicare i dati che servono al calcolo dell’IVIE e dell’IVAFE, quindi valore all’inizio del periodo d’imposta (ovvero al primo giorno di possesso), valore al termine del periodo d’imposta (ovvero al termine del periodo di possesso) e periodo di possesso. Anche i criteri di valorizzazione sono quelli dettati ai fini IVIE e IVAFE. Detto così sembra relativamente semplice. In realtà, in presenza di gestioni finanziarie dinamiche, può trattarsi di un piccolo incubo. È vero che si tratta di un lavoro che si doveva comunque fare ai fini (soprattutto) dell’IVIE. Tuttavia, portare questa logica all’interno del Quadro RW rischia di complicare le cose, soprattutto a livello di sanzioni. Per società semplici ed enti non commerciali si tratta di una beffa, visto che non sono soggetti 9 Parliamo per semplicità solo di società, ma le considerazioni valgono, mutatis mutandis, anche per le “partecipazioni” ad enti non societari 4 passivi di IVIE e IVAFE. Per beni patrimonio diversi dagli immobili, si continua ad indicare il valore d’acquisto. Non mi soffermo sui temi dei diritti reali parziali, delle comunioni di beni, delle cointestazioni, delle deleghe a disporre sul conto, del possesso per interposta persona. Prima di passare alla Voluntary Disclosure, un cenno al ruolo degli intermediari finanziari. Come si diceva in esordio, chi affida i beni all’estero ad un intermediario finanziario residente è esonerato dall’obbligo di compilare il quadro RW. Questa regola non è più così granitica. Avete forse seguito sulla stampa il balletto attorno all’obbligo generalizzato di ritenuta d’ingresso sui flussi provenienti dall’estero. Quindi sapete che quest’obbligo demenziale è stato sospeso in attesa di essere abrogato. Pochi invece hanno notato che questa (tendenziale) abrogazione può trasformarsi in alcune circostanze in una polpetta avvelenata. L’esonero dall’RW non discende più semplicemente dal fatto che un certo bene sia in gestione ad un intermediario residente ma dal fatto ulteriore che i redditi da esso derivanti siano concretamente stati assoggettati a ritenuta. Se la ritenuta non è più applicabile, i beni diventano dichiarabili. Speriamo ci mettano una pezza. B) Voluntary Disclosure Potremmo cominciare dicendo “c’era una volta lo scudo fiscale …”. Fino a pochi anni fa, di fronte all’evasione fiscale internazionale, lo Stato si sentiva debole. Le piazze finanziarie offshore sembravano pressoche inviolabili, protette da un segreto bancario roccioso e dalla scarsa determinazione degli Stati cui sottraevano gettito. Ogni tanto qualche spallone veniva beccato al confine di Chiasso, oppure capitava che litigi familiari o aziendali portassero alla luce fondi esteri, ma si trattava di casi isolati. Da questa debolezza nascevano gli scudi. Lo Stato faceva ponti d’oro a chi si rendeva disponibile a riportare in Italia le proprie ricchezze. Dunque, tassazione bassa e forfettaria, anonimato, esimenti penali ad ampio spettro, possibilità di utilizzare i capitali regolarizzati come giustificazione contro accertamenti su altri fronti. Il mondo è cambiato. L’inizio di questa nuova fase può simbolicamente essere fatto risalire al febbraio del 2008, quando la polizia tedesca perquisì l’abitazione e l'ufficio del numero uno di Deutsche Post, Klaus Zumwinkel. Emerse in quell’occasione che i servizi segreti tedeschi (i servizi segreti) avevano acquistato informazioni riservate pagando (sarebbe meglio dire corrompendo) circa 4 milioni di euro ad Heinrich Kieber, un ex dipendente di una banca del Liechtenstein, fornendogli tra l’altro una nuova identità. Da quel giorno ne abbiamo viste di tutti i colori, Liste Falciani, Liste Pessina, banchieri svizzeri arrestati in America, la Svizzera che si impegna a conformarsi agli standard dell’OCSE, il FATCA americano, la Convenzione contro le doppie imposizioni con San Marino, etc. Una spinta decisiva l’ha data la grande crisi economica esplosa alla fine del 2008. Gli Stati ad alta tassazione non potevano più permettersi di perdere gettito in modo sostanziale a causa degli Stati off-shore. Per la prima volta si è passati dalle parole ai fatti e i Paradisi fiscali sono stati oggetto di un attacco generalizzato e sistematico. Oggi stiamo procedendo con grande velocità verso un mondo dove: a) le amministrazioni finanziarie dei diversi paesi scambiano informazioni in maniera automatica; b) il segreto bancario è sempre più permeabile; 5 c) le norme antiriciclaggio vengono applicate in modo generalizzato e severo, rendendo sempre più difficile per chi evade trovare assistenza finanziaria e professionale affidabile e di qualità; d) le nuove tecnologie informatiche rendono la riservatezza una specie di chimera. La conseguenza di queste circostanze è che portare e gestire soldi all’estero è sempre più complesso e pericoloso. Oggi quindi lo Stato si sente forte. Non deve più pregare il contribuente riluttante ma può fare (o pensa di poter fare) la voce grossa. In questo contesto nasce, e prima dell’Italia in altri Paesi, la Voluntary Disclosure (VD). Fino a due giorni fa, da questo punto in poi, la mia relazione sarebbe stata diversa. Vi avrei spiegato che cosa prevede il D. L. 28 gennaio 2014, n. 4, il provvedimento con cui il Governo Letta aveva appunto inteso introdurre in Italia la VD. È di due giorni fa la notizia che, d’accordo il Governo, la Commissione finanze della Camera ha stralciato l’art. 1, quello che interessa in questa sede. Sotto questo profilo, il Decreto diventa un “vuoto a perdere”, non verrà convertito, per la gioia di chi si era affrettato ad autodenunciarsi (e, più modestamente, di chi aveva organizzato convegni sul tema). Nella mia relazione pensavo di essere stato sufficientemente realista/pessimista prevedendo che la VD sarebbe stata messa a punto per approssimazioni successive, cioè con norme introdotte successivamente a correzione/integrazione di quelle già in vigore. Ma la realtà ci sorprende sempre. La legiferazione per approssimazioni successive è portata all’estremo, con DL usati come grandi sondaggi di opinione. Vediamo l’effetto che fa e poi ci ripensiamo. Come direbbe Groucho Marx, “questi sono i miei valori, se non vi piacciono ne ho anche degli altri”. Rimane comunque di grande interesse il dibattito che si è sviluppato in questi ultimo mesi e che, speriamo, servirà a rendere migliore la prossima versione della normativa. Segue in carattere corsivo il testo della relazione scritta prima della decisione di non convertire il Decreto L’elemento caratterizzante della VD è implicito in quanto detto finora. Non stiamo parlando di una riedizione dello scudo ma di una forma speciale di ravvedimento operoso. Di questo si tratta. La via d’accesso al ravvedimento è la stessa dello scudo, aver commesso violazioni delle norme in materia di monitoraggio; più chiaramente, aver omesso di redigere il Quadro RW o averlo redatto falsamente all’entrata in vigore della norma. Parliamo quindi di violazioni commesse fino al 31.12.2013. Ma le analogie con lo scudo finiscono qui. Al trasgressore viene richiesta una vera e propria autodenuncia. Egli deve: a) spiegare al Fisco come si è creata la disponibilità all’estero, in quali Paesi, come si compone, come è stata gestita e movimentata. Questa dettagliata spiegazione dev’essere accompagnata da documentazione probante; b) calcolare le imposte evase e pagarle fino all’ultimo euro (e in unica soluzione) per tutti i periodi d’imposta per i quali le violazioni in materia di RW siano ancora accertabili; c) pagare le sanzioni. Soffermiamoci sulle sanzioni, perché si tratta di un aspetto chiave. Per quanto concerne le sanzioni sulle imposte evase, il nostro trasgressore non avrà diritto ad alcun beneficio speciale. L’unico beneficio, si fa per dire, consisterà nell’usufruire degli istituti premiali che l’ordinamento prevede in via ordinaria. Tanto per fare un esempio, a fronte di una maggiore imposta sul reddito, la sanzione sarà pari ad un sesto dell’imposta per effetto dell’acquiescenza all’accertamento, ex art. 15, comma 2-bis del D.Lgs. 218/97. Per quanto concerne le sanzioni per le violazioni del Quadro RW sembra comparire un primo, timido, beneficio: si paga la metà del minimo edittale. Siccome tale minimo è il 3%, applicabile anche per il passato per il principio del favor rei, la sanzione sembrerebbe pari all’1,5% del valore non dichiarato, che diventa il 3% per i capitali collocati in Paesi non white-list per i quali, ricordiamolo, il minimo edittale è doppio. In realtà le cose sono più complicate, ma su questo aspetto torneremo poi. 6 Sarà anche vero che il possessore di capitali all’estero si sente braccato e non vede l’ora di emergere, ma è difficile pensare che sia disposto all’autolesionismo. Se non collabora e viene scoperto pagherà (forse) un po’di più a titolo di sanzioni sulle violazioni di RW ma, a fronte di questo modesto costo, porta a casa i seguenti vantaggi: 1) il Fisco potrebbe non accorgersi di lui. Le probabilità di essere scoperti sono certo ben più elevate che nel passato ma verosimilmente ancora ben lontane dal 100%; 2) potrebbe intervenire la decadenza per periodi d’imposta lontani, magari i più onerosi perché ad essi risale la creazione della provvista e si tratta di provvista derivante da evasione, quindi tassabile. In particolare, ricordiamo che, se il capitale non dichiarato si trova in un Paese black-list, c’è l’inversione dell’onere della prova. In altri termini, è il contribuente che deve dimostrare di non aver evaso. A questo si aggiunge il raddoppio dei termini decadenziali per l’accertamento; 3) qualora scoperto, il contribuente potrebbe non essere denunciato alla Procura della Repubblica, denuncia invece automatica per chi si avvalga della VD. Leggo sui giornali che l’Amministrazione finanziaria annuncia che non ci saranno automatismi, ma mi sembrano annunci che lasciano il tempo che trovano. Al tempo stesso leggo sui giornali che a Roma si va verso il numero chiuso per i processi penali. Quando si dice la lungimiranza del Legislatore; 4) non corre il rischio di essere denunciato dal suo Commercialista, in applicazione delle norme in materia di antiriciclaggio. Non ci sono infatti esoneri a questo proposito, come si è affrettato a dichiarare il MEF10. Non è chiaro quindi se la prestazione resa dal Commercialista ai fini della VD rientri nell’attività in senso lato defensionale e se quindi si applichi l’esonero dall’obbligo di effettuare la segnalazione per operazione sospetta ex art. 23, comma 4 del D.Lgs. 231/07, oppure se parliamo di attività meramente consulenziale, con quello che ne deriva. Sono ansioso di sentire il parere del Professor Borsari a questo proposito. Potremmo riassumere dicendo che chi ha “peccato mortalmente” non ha interesse alla VD perché troppo onerosa, mentre chi ha peccato venialmente, commettendo violazioni formali ma senza evadere in modo rilevante, non ha interesse alla VD perché le sanzioni a regime sono simili a quelle agevolate e in più non si paga il commercialista (e magari anche l’avvocato penalista). Qualcuno potrebbe ritenere fuorviante questa sintesi. Questo qualcuno avrebbe buon gioco nell’osservare che i benefici della VD non si limitano (forse) alle sanzioni in materia di RW ma si estendono al campo penale. È vero. La VD è causa di non punibilità di due reati tributari, l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele11. Inoltre, è prevista un’attenuazione della pena per i reati di dichiarazione fraudolenta12. Il Professor Borsari spiegherà con ben altra autorevolezza che cosa si debba pensare della copertura penale portata dalla VD. Mi sembra comunque di poter dire che la sintesi di cui sopra non viene smentita anche considerando la variabile penale. I peccatori veniali per definizione non hanno commesso reati e quindi dei benefici penali non si curano. I peccatori mortali raramente ricadranno nella dichiarazione omessa o infedele, ma quasi sempre nella dichiarazione fraudolenta. Avere una diminuzione di pena è una bella cosa ma forse non così allettante come la speranza di non subirne alcuna perché il reato non viene a galla o perchè, una volta emerso, si estingue per prescrizione. Per carità, ci possono essere anche altri profili degni di considerazione (carcerazione preventiva, sequestri, etc.), ma parliamo di casi estremi. Sempre a proposito di reati, bisogna anche considerare che la VD non comporta esoneri o attenuazioni dagli altri reati che spesso si accompagnano alla costituzione di disponibilità all’estero. L’amministratore o il socio di una società che costituisce una disponibilità all’estero, quand’anche la finalità ultima fosse di tipo evasivo, pone in essere delle condotte che configurano anche reati non tributari, tipicamente il falso in bilancio o l’infedeltà patrimoniale. Con la VD si ha di fatto un’autodenuncia anche per questi reati. Oltre alle pesanti conseguenze per chi dichiara, diviene pressoche inevitabile il coinvolgimento di terzi, persone fisiche ed enti. Siamo ancora in sede di conversione del Decreto, quindi correttivi sono possibili. È anche possibile che si proceda “per approssimazioni successive”, cioè con nuovi provvedimenti normativi che correggono lo strumento in corso di applicazione, come tra l’altro è accaduto anche per gli scudi. Quindi l’atteggiamento razionale in questo momento è quello dello wait and see. Tra l’altro, non ci sono ancora indicazioni intepretative da parte dell’Agenzia delle Entrate, comunque da prendere con le pinze visto l’interesse a minimizzare le problematiche. Rebus sic stantibus, chi può essere interessato a fare la VD? Chi ha bisogno assoluto di avere i soldi in Italia, chi ha sentore di essere scoperto, chi teme di essere denunciato (più o meno volontariamente) da altri. 10 Ministero dell’Economia e delle Finanze, 31.1.2014, prot. DT 8624 Rispettivamente, artt. 4 e 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 12 Artt. 2 e 3 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 11 7
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