Attività Parlamentare Raccolta delle interrogazioni presentate alla Camera e al Senato n. 6/2014 2014 INDICE CAMERA ........................................................................................................................................... 4 Risoluzione in Commissione sull'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo nella zona del delta del Po, sulla subsidenza, anche in riferimento alla presenza di un rigassificatore e della centrale Enel di Porto Tolle ................................................................................................. 4 Interrogazione a risposta scritta sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar Adriatico croato da parte della società norvegese Geo Spectrum Limited ........................................................................................................................... 6 Interrogazione a risposta scritta sugli impianti a carbon fossile .................................................. 10 Interrogazione a risposta scritta sulla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del Gargano ........................................................................................... 10 Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica della cava di Calancoi a Sassari, divenuta discarica nella quale si sono riversati rifiuti di ogni genere e sulla revisione del sistema di gestione dei rifiuti ......................................................................................................................... 11 Mozione sul dissesto idrogeologico .............................................................................................. 15 Interrogazione a risposta scritta sull'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore (Frosinone), alimentato per mezzo di CDR (combustibile da rifiuto) ....................... 18 Interrogazione a risposta in Commissione sui contributi relativi alla produzione di energia elettrica versati dal GSE per gli impianti a biogas e biomassa ............................................... 20 Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sull’individuazione di un ambito unico di distribuzione di gas in provincia di Bologna ............................................. 21 Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sull’introduzione di misure a favore della distribuzione del metano per autotrazione nei codici di rete............... 22 Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, all’interrogazione sulle problematiche connesse alla realizzazione di un elettrodotto tra Puglia e Albania ......................................... 24 Interrogazione a risposta in Commissione sugli interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste ............................................................................................ 29 2 Interrogazione a risposta scritta sul superamento del Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) ................................................................................................................. 31 Interrogazione a risposta scritta sulle trivellazioni e sulla realizzazione di un pozzo e di un oleodotto nel Vallo di Diano, in Lucania, da parte di Eni ........................................................ 34 Interrogazione a risposta scritta sul sistema delle agevolazioni per le imprese a grande consumo di energia, con particolare riferimento alla deliberazione in materia, dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas..................................................................................................... 36 Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica dell'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di Avellino ......................................................................................................................................... 37 Interrogazione a risposta in Commissione sulla realizzazione di interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino ..................................................................................... 38 Interrogazione a risposta scritta sul settore dell'autotrasporto .................................................. 39 SENATO ........................................................................................................................................... 41 Interrogazione a risposta scritta sui contratti di fornitura di energia elettrica e sul procedimento avviato dall'AEEG nei confronti di Eni ............................................................. 41 Interrogazione a risposta orale sulla situazione delle acque nella valle Olona, in Lombardia e sugli ulteriori interventi di messa in sicurezza operativa del polo chimico ex Montedison ............................................................................................................................... 44 3 CAMERA Risoluzione in Commissione sull'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo nella zona del delta del Po, sulla subsidenza, anche in riferimento alla presenza di un rigassificatore e della centrale Enel di Porto Tolle MORETTO e altri (PD) L'VIII Commissione, premesso che: i recenti accadimenti alluvionali hanno riportato al centro dell'attenzione il tema della sicurezza idrogeologica che, in Veneto, per caratteristiche geomorfologiche, necessita di particolare attenzione. Alcune aree del territorio veneto, in particolare parti significative della fascia costiera veneziana, il delta del fiume Po e un ampio settore del suo entroterra, sono interessati da fenomeni di subsidenza, i cui effetti hanno ricadute sull'assetto idraulico, geologico e di tutela del territorio e risulta, quindi, necessario mettere in atto ogni azione che possa limitare tali fenomeni irreversibili; in nome del principio di precauzione va anteposta la sicurezza e la tutela di un territorio fragile, in difficile equilibrio e già pesantemente sfruttato e compromesso, ad ogni possibile interesse economico derivante dall'estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo, anche perché gli introiti sarebbero in ogni caso incommensurabilmente inferiori a quanto necessario per ulteriori interventi sulle opere di difesa a mare e per la messa in sicurezza del bacino idrografico del Po e dell'Adige. Senza contare il rischio a cui verrebbero sottoposti non solo centri urbani, ma anche beni storicoartistici, monumentali ed ambientali disposti lungo il corso dei fiumi e lungo le coste; la fascia padana in generale e nello specifico l'area al largo delle coste venete (Alto Adriatico) è notoriamente ricca di idrocarburi; dagli anni Trenta e soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, fino alla sospensione decisa dal Governo nazionale nel 1961, furono estratti nel territorio del Delta del Po miliardi di metri cubi di metano e gas naturali, contribuendo ad aggravare notevolmente il fenomeno della subsidenza, che determina un progressivo abbassamento del suolo; la subsidenza «antropica», derivata all'estrazione del gas metano, ha contribuito ad aggravare notevolmente la situazione idrogeologica di un territorio, il Polesine – l'attuale provincia di Rovigo – che nel 1951 è stato colpito da una rovinosa alluvione; nel periodo 1951-1960 è stimato che gli abbassamenti del suolo raggiunsero i 2 metri, ma le conseguenze del fenomeno non si sono fermate con l'interruzione delle estrazioni e, fino al 1980, gli 4 abbassamenti hanno raggiunto e superato i 3 metri. Studi recenti effettuati dall'università di Padova hanno dimostrato una «coda» della subsidenza nel periodo 1983-2008, che ha raggiunto i 50 cm nella zona meridionale del Delta del Po, al confine tra Veneto ed Emilia Romagna; in questa stessa zona, a ridosso delle coste polesane, è attualmente presente un rigassificatore e l'impatto sul territorio di questa recente struttura si somma alla presenza trentennale della centrale Enel di Porto Tolle, situata nell'estremo Delta del Po: un impatto ambientale che deve fare i conti con l'equilibrio di un delicato ecosistema e con le previsioni, avanzate da più parti, di un progressivo innalzamento del livello del mare, destinato ad interessare nei prossimi anni anche il territorio deltizio; buona parte del territorio polesano deltizio è area protetta in quanto già parco regionale veneto del Delta del Po; rispetto al fenomeno della subsidenza, cronicità di questa porzione costiera d'Italia, si sono registrati nel tempo attenzione e sensibilità di vari Governo, che hanno adottato politiche di tutela del territorio e determinato anche significativi interventi pubblici; numerosi provvedimenti legislativi regionali e nazionali hanno allontanato dalla costa il pericolo della subsidenza indotto dalle estrazioni a mare, a maggior ragione le estrazioni a terra contrasterebbero con i concetti tecnici che costituiscono presupposto della normativa citata, e quindi non possono ritenersi ammissibili nell'entroterra delle suddette zone di mare nelle quali è posto il divieto in questione; è urgente la necessità di tutelare il territorio della pianura così come quello lagunare e costiero dal rischio di subsidenza e quindi anche dai conseguenti pericoli di eventi alluvionali, di erosione dei litorali, dell'aumento di forze distruttive delle onde, della risalita del cuneo salino, che invece risultano favoriti dalle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi; l'area del permesso di ricerca intestata a AleAnna Resources, LLC, interessa alvei, invasi e corsi d'acqua tutelati; zone soggette a dissesto idrogeologico, zone esondabili o a ristagno idrico, zone di riconosciuta fragilità ambientale, zone a rischio di incidente rilevante, zone sottoposte a continua attività di bonifica anche mediante opere e manufatti idrovori, complessi archeologici (siti e monumenti) ufficialmente riconosciuti, edifici di pregio architettonico, ville venete, centri storici; aree naturali protette; aree SIC-ZPS; in data 25 gennaio 2011, il consiglio regionale del Veneto ha già approvato una proposta di legge statale, da trasmettere al Parlamento nazionale, denominata «Interventi di tutela dal fenomeno della subsidenza dei territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia», primo firmatario il consigliere regionale Graziano Azzalin, che ha già illustrato il testo in Commissione ambiente; 5 la vicenda della subsidenza e dei rischi derivanti dalla ricerca di idrocarburi è da tempo ormai posta all'attenzione della commissione VIA della regione Veneto; appare necessario un ruolo attivo del Governo nazionale per monitorare i fenomeni della subsidenza, dell'erosione delle coste, dell'impatto ambientale di strutture già esistenti – impatto particolarmente rilevante nel Delta del Po, come si è accennato – e del progressivo innalzamento del livello del mare, nonché per mettere in atto strategie complessive finalizzate alla tutela della specificità del territorio del Delta del Po, che partano dal pronto coinvolgimento di tutti gli attori locali e da una rinnovata elaborazione di carattere generale rispetto alla valenza nazionale dei problemi in essere e delle questioni che qui sono state richiamate, impegna il Governo: a tener conto, per le ragioni di cui sopra, della specificità del territorio dell'Alto Adriatico, con particolare riferimento alla costa polesana e quella veneziana, al Delta del Po e all'entroterra padovano e veneziano prossimo all'area polesana, e della necessità di un intervento rispetto ai fenomeni della subsidenza, a dell'erosione delle coste e ai rischi derivanti dall'innalzamento progressivo del livello del mare; a istituire e a convocare, per quanto di competenza un tavolo di coordinamento con la regione Veneto, l'Ente parco regionale Veneto Delta del Po, le istituzioni locali dei comuni del rodigino, del veneziano e del padovano interessati da tale fenomeno, e le forze sociali del territorio, rispetto ai temi richiamati e alle possibili strategie da mettere in campo; a verificare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare l'articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale», al fine di vietare le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, nel territorio delle province di Padova, Rovigo e Venezia anche relativamente ai procedimenti in corso. (7-00256) Interrogazione a risposta scritta: sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar Adriatico croato da parte della società norvegese Geo Spectrum Limited BENEDETTI e altri (M5S) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che: 6 il Governo croato senza alcuna gara pubblica e senza alcuno studio di impatto ambientale, ha contattato direttamente la società norvegese Geo Spectrum Limited, che dall'inizio di settembre 2013 sta conducendo la scansione del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali; la società conta di rifarsi delle spese vendendo i dati ottenuti nel corso delle rilevazioni alle compagnie petrolifere, mettendo quindi sul mercato i risultati delle scansioni; l'organizzazione internazionale per la difesa del mare «Ocean Care» chiede al Governo croato di fermare l'attività di ricerca sottomarina per avviare un confronto pubblico, visto che quella stessa attività costituisce un enorme rischio per il patrimonio ittico croato e porterebbe grave nocumento anche allo sviluppo turistico del Paese; secondo il presidente di «Ocean Care», Sigrid Lüber, come riportato dal quotidiano di Zagabria Ve#62;ernji list, la tecnica adoperata nella ricerca dei giacimenti di gas o di petrolio cosiddetta «2D» prevede il rilascio di vere e proprie bombe di onde sonore ogni dieci secondi pari a 260 decibel ciascuna, mentre il rumore di un jet non supera i 125, 140 decibel; secondo il presidente del Blue World Insitute, Draško Holcer, le specie ittiche più danneggiate sarebbero quelle dei delfini e delle balene che possono percepire le onde sonore anche a chilometri di distanza. L'intensità con cui queste vengono «sparate» danneggia il loro sistema uditivo provocando lesioni ed emorragie e, a lungo andare, la fuga di queste due specie dal loro habitat; una interrogazione dell'eurodeputato Zanoni chiede alla commissione europea indagini sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar adriatico mediante l'utilizzo di onde sonore, segnalando inoltre che, lungo alcune coste italiane dell'alto adriatico si sta assistendo ad una concomitante ecatombe di tartarughe marine comuni con 165 esemplari morti in meno di due mesi, rendendo necessarie indagini anche sulla strana concomitanza del fenomeno italiano con le ricerche in corso in Croazia; con l'attuazione della direttiva 2008/56/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 190 del 13 ottobre 2010) il rumore diventa un parametro di qualità dell'ambiente marino, imponendo agli Stati membri di affrontare il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento transfrontaliere. La Commissione europea ha applicato il principio secondo cui l'assenza di certezza scientifica, qualora sussista il pericolo di danni gravi o irreversibili, non esonera gli Stati dal dovere di predisporre misure efficaci per evitare il degrado ambientale (principio 15 della dichiarazione di Rio). Tutti i Paesi devono inoltre assicurare che «le attività condotte sotto la propria giurisdizione e sotto il proprio controllo avvengano in modo tale da non provocare danno da inquinamento ad altri Stati e al loro ambiente»; 7 pertanto, a prescindere dalla mancanza di disposizioni specifiche sia a livello interno che internazionale, vige il principio di carattere generale correlato all'obbligo di vigilare affinché il rumore sottomarino prodotto da attività soggette alla propria giurisdizione non determini effetti dannosi sugli ecosistemi di altre nazioni, coerentemente con il generale «obbligo di proteggere e preservare l'ambiente marino» (articolo 192 della convenzione UNCLOS); si tratta di una cooperazione dai tratti variabili in quanto gli Stati devono cooperare, direttamente o tramite le competenti organizzazioni internazionali, al fine di promuovere studi e sviluppare programmi di ricerca scientifica sull'inquinamento acustico sottomanno, garantendo la protezione di tutte le specie a rischio, sulla base di quanto disposto dalla convenzione sulla diversità biologica e del relativo patto d'azione del 2006 della Comunità europea (PAB); si legge nel rapporto tecnico 2012 dell'ISPRA «valutazione e mitigazione dell'impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani», che il concetto di inquinamento acustico è stato esteso all'ambiente acquatico quando si è giunti alla certezza che alcuni suoni antropogenici hanno effetti negativi su diversi phyla di organismi, in particolare sui cetacei; l'esposizione al rumore di origine antropica può produrre un ampia gamma di effetti sugli organismi acquatici, in particolare sui mammiferi marini. L'esposizione a rumori molto forti può addirittura produrre danni fisici permanenti ad altri organi oltre a quelli uditivi e può in alcuni casi portare al decesso del soggetto colpito; lo studio di Bowles e altri (1994) ha dimostrato la tendenza dei capodogli a cessare i loro click (sistemi di segnali sonori per l'ecolocalizzazione e la socializzazione) interrompendo l'attività di feeling (alimentazione) in risposta agli impulsi sismici emessi da una nave a più di 300 chilometri di distanza; uno studio di Miller e altri (2009) ha ampiamente dimostrato la tendenza dei capodoglio a non spostarsi dalla zona dr impatto acustico, nonostante il ramp up (suoni di allarme usati come deterrenti per non fare avvicinare i mammiferi alla fonte del rumore); lo studio di Madsen e altri 2006 ha inoltre dimostrato come la propagazione sonora sia molto più complicata di quella generalmente rappresentata dai modelli utilizzati per le misure di mitigazione. L'impatto acustico potrebbe verificarsi a distanze maggiori di quelle previste e ben oltre l'area di mare che gli osservatori a bordo nave possono efficacemente monitorare; le specie di cetacei che frequentano i nostri mari sono inserite nelle liste rosse dell'IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) in categorie che evidenziano la necessità di maggiori informazioni e di ungenti azioni di conservazione e protezione; molte specie sono incluse in direttive convenzioni e accordi di carattere internazionale per la protezione degli habitat, delle specie e della biodiversità (CBD, direttiva habitat, convenzione di 8 Bonn, CITES, convenzione di Barcellona protocollo ASPIM, IWC) che sono state ratificate dall'Italia; anche la nuova strategia per l'ambiente marino (2008/56/EC – Marine Strategy Framework Directive) prevede il mantenimento della diversità biologica marina oltre agli specifici programmi di monitoraggio per la valutazione dello stato dell'ambiente sulla base di specifici elementi, fra i quali i mammiferi marini; il 1o luglio 2013 la Croazia è diventato il 28o Stato membro dell'Unione europea; da notizie di stampa pare che la Croazia si appresterebbe a liberalizzare il settore della ricerca e dell'estrazione di risorse naturali di metano e di petrolio sul suo territorio, incluso il sottofondo marino nell'Adriatico, che finora era monopolio della società petrolifera nazionale Ina; sarebbero previste semplificazione delle procedure burocratiche per ottenere permessi per la ricerca e lo sfruttamento di risorse dì idrocarburi gassosi e liquidi –: se il Governo croato abbia informato ufficialmente a mezzo di formale notificazione il Governo italiano delle attività di scansione mediante l'utilizzo di onde sonore del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali; se il Governo italiano, indipendentemente dalla formale notificazione di attività frontaliera posta in essere dal Governo croato, sia comunque a conoscenza dei fatti e delle suddette attività poste in essere dal Governo croato o da società da esso incaricate; quali garanzie di misure idonee ed efficaci siano state offerte dal Governo croato al fine di proteggere e preservare l'ambiente marino ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 della convenzione UNCLOS, di evitare il degrado ambientale alla luce del principio 15 della dichiarazione di Rio, di protezione della diversità biologica marina disciplinata dalla direttiva 2008/56/EC, ed ogni via precauzionale per evitare l'inquinamento transfrontaliero, anche in considerazione che il delta del Po è candidato ad essere riconosciuto riserva di biosfera dall'Unesco e la laguna di Venezia è già nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità; se, indipendentemente dalle eventuali garanzie offerte dal Governo croato, sia intenzione del Governo italiano promuovere un'indagine conoscitiva al fine di accertare se allo stato esiste il rischio che dalle suddette attività possano derivare danni e inquinamento di ogni tipo ai danni del nostro Stato; se sia intenzione del Governo italiano, a seguito delle risultanze di indagini conoscitive sullo stato delle attività poste in essere dal Governo croato, giungere alla ratifica di un protocollo di intervento congiunto al fine di predisporre misure idonee ed efficaci per prevenire ogni tipo di danno e 9 inquinamento, e, comunque, disciplinare le ipotesi di responsabilità per tutti i danni che dovessero essere eventualmente procurati ai cittadini italiani e al nostro Stato dalle suddette attività. (4-03492) Interrogazione a risposta scritta: sugli impianti a carbon fossile PAGLIA (SEL) Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: l'evoluzione del mercato dell'energia indica un progressivo spostamento della capacità produttiva dalle centrali a combustione verso le fonti rinnovabili; tale processo mette in discussione la stessa sostenibilità economica di medio periodo degli impianti di tipo tradizionale, tanto da aver indotto di recente il Parlamento a riconoscere sul piano economico i costi di messa a disposizione della capacità produttiva; in particolare sono gli impianti a carbon fossile a doversi ritenere superati, per ragioni di impatto ambientale, e tali sono considerati in prospettiva anche dalla strategia economica nazionale; si potrebbe ipotizzare una riconversione ad altra fonte di alimentazione delle centrali a carbone, che risultano peraltro oggi alimentate essenzialmente da combustibile acquistato all'estero –: quale sia la quantità di carbone in tonnellate che ogni anno viene utilizzato nelle singole centrali; quali siano i Paesi di provenienza del carbone utilizzato e per ciascun Paese di provenienza quali siano le quantità tonnellate/anno importate; quali siano i costi necessari per acquistare la materia prima; quali e quante siano le società di trading che si occupano degli acquisti di carbone; quali e quante siano le società di trasporto coinvolte per la gestione della logistica. (4-03504) Interrogazione a risposta scritta sulla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del Gargano DI GIOIA e altri (MISTO) Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al 10 Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che: un largo fronte di amministrazioni locali, raccogliendo le richieste dei cittadini del territorio, ha inviato, il 27 gennaio 2014, una lettera al Presidente del Consiglio e ai Ministri interessati, un appello nel quale si richiede di rivedere le posizioni in merito ai programmi di insediamento degli impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del Gargano; le aree maggiormente interessate sono quelle prospicienti i comuni di Zapponeta e di Margherita di Savoia; le associazioni del territorio contrarie a questa opera hanno già raccolto migliaia di firme nella loro petizione; il numero di sindaci, firmatari dell'appello, si è ulteriormente allargato nel corso di questi ultimi giorni; in tale istanza, i sindaci non disconoscono la necessità di ridurre l'uso di combustibili fossili per produrre energia, ciò nonostante fanno presente che nel decidere dove collocare gli impianti eolici offshore non si può non tener conto delle peculiarità dei territori interessati; in tal senso, non si può non evidenziare la naturale vocazione turistica delle aree interessate che potrebbero subire danni enormi, in termini ambientali ed economici, con le relative ricadute negative sul fronte occupazionale; non a caso, a fronte del parere favorevole della commissione di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispetto a due dei progetti interessati (quello della Trevi Energy spa e della Gargano Sud) vi è stato il parere negativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; in materia di collocazione di parchi eolici le direttive dell'Unione europea sono estremamente chiare nella parte che riguarda la compatibilità degli stessi con la conservazione della natura e la difesa dell'assetto paesaggistico, elementi questi che, evidentemente, non sono garantiti nella situazione in esame, visto che una parte degli impianti dovrebbe essere addirittura collocata nell'area protetta del parco nazionale del Gargano –: se non si ritenga fondamentale preservare la sostenibilità economica, sociale e ambientale dei territori interessati dai progetti in questione proteggendone l'ecosistema marino, le risorse naturali, la vocazione turistica del territorio; se non si ritenga, di conseguenza, necessario, alla luce di quanto sopra esposto e viste le giuste proteste delle amministrazioni e dei cittadini dei territori coinvolti, sospendere qualsiasi decisione in merito alla collocazione degli impianti eolici offshore nel mare del golfo di Manfredonia e del Gargano convocando, al contempo, un tavolo di confronto con i rappresentanti delle comunità interessate al fine di arrivare a soluzioni condivise. (4-03524) Interrogazione a risposta scritta: sulla bonifica della cava di Calancoi a Sassari, divenuta discarica nella quale si sono riversati rifiuti di ogni genere e sulla revisione del sistema di gestione dei rifiuti 11 CORDA (M5S) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: a ridosso della Valle dei Ciclamini, in località Calancoi, ubicata a nord-est della città Sassari, sorge un'estensione di centomila metri quadrati (10 ettari), utilizzata in origine come cava da cui si estraeva tufo per l'edilizia; Calancoi è divenuta discarica nel 1983 ed ha funzionato come tale fino al 1997. Per 14 anni su di essa si sono riversati rifiuti di ogni genere, da quelli solidi urbani a inerti pericolosi, ceneri da inceneritore, fanghi da inceneritore e rifiuti speciali; le attività minerarie sono caratterizzate, come noto, dall'avere un forte impatto sul territorio che subisce modificazioni sia morfologiche sia dal punto di vista dei processi ambientali. In particolare, questi ultimi portano ad una serie di problematiche che interessano tutte le matrici ambientali – suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria – compromettendo inoltre la biodiversità e l'identità dei luoghi. Nel passato, per di più, la gestione delle attività minerarie prescindeva dall'obiettivo della tutela dell'ambiente e, piuttosto, le modalità di messa in dimora dei materiali di scarto erano improvvisate ed ispirate alla massima economicità e rapidità. Inoltre, i bacini di accumulo erano generalmente realizzati nei compluvi naturali con la messa in opera di sbarramenti a carattere temporaneo. Nel tempo tali cumuli di materiale, ancora ricchi di minerali, sono stati esposti all'azione erosiva dello scorrimento superficiale delle acque determinando una contaminazione da metalli pesanti nelle diverse matrici ambientali; queste considerazioni e le difficoltà nel realizzare gli interventi di messa in sicurezza e/o bonifica risolutivi delle problematiche di quest'area, hanno indotto alla redazione del piano di bonifica delle aree minerarie dismesse del Sulcis-Iglesiente-Guspinese il cui obiettivo principale era il risanamento ambientale delle aree prioritarie di intervento (perimetrate attraverso l'ordinanza commissariale n. 2 del 23 febbraio 2008 ed illustrate negli allegati 1 e 2 del piano) nonché la predisposizione dei cronoprogrammi delle attività di bonifica da porre in essere; a tale scopo, il piano commissariale ha individuato delle macro-aree a cui vengono ricondotte le aree minerarie caratterizzate da analoghi problemi ambientali, così da individuare possibili soluzioni comuni ed uscire, in tempi quanto più brevi possibile, dall'emergenza ambientale; i criteri di individuazione di tali macro-aree, indipendenti o concomitanti, vengono selezionati in: primario interesse rilevanti dimensioni di recupero dell'attività produttivo mineraria o turistico (coltivazione e dell'area; trattamento); rilevanti dimensioni del fenomeno di inquinamento derivato dall'attività mineraria; ubicazione nel medesimo bacino idrografico o in piccoli bacini idrografici costieri adiacenti; concorso di diverse collegamento diretto aree con minerarie il all'inquinamento medesimo centro di di singole matrici trattamento ambientali; mineralogico; sono svariati gli interventi intrapresi negli anni da parte delle autorità locali, qui di seguito elencati: 12 nel 1999 è avvenuto il primo finanziamento da parte della regione Sardegna a favore del comune di Sassari per far fronte ai primi interventi di progettazione ed esecuzione di bonifica per un importo, espresso in lire, di un miliardo e trecentomilioni (ovvero euro 671.393,97), stanziati in modo seguente: per l'anno 1999 trecento milioni e per l'anno 2001 un miliardo; nel mese di giugno 2003 è stato consegnato all'amministrazione comunale il progetto di caratterizzazione dell'area, eseguita in base alla vecchia normativa ambientale costituita dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, meglio noto come «decreto Ronchi». Nel mese di settembre la Giunta comunale di Sassari ha approvato il progetto e nel mese di dicembre è stata indetta la gara d'appalto; nel 2005 l'amministrazione comunale ha fatto richiesta di inserimento di Calancoi nel sito di interesse nazionale, a cui è seguita la consegna, da parte dei tecnici, di due elaborati titolati «rapporto conclusivo delle indagini previste dal piano di caratterizzazione» e «progetto preliminare di bonifica»; il sito di bonifica «Aree industriali di Porto Torres» è stato inserito nell'elenco dei siti d'interesse nazionale dall'articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179. L'area potenzialmente inquinata è stata perimetrata, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998, con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 7 febbraio 2003. L'area perimetrata ha una superficie totale di oltre 4.600 ettari. Con decreto ministeriale del 3 agosto 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 20 settembre 2005, è stata altresì inserita nella perimetrazione del sito di interesse Nazionale di Porto Torres, compresa la discarica di Calancoi; le principali criticità ambientali, per quel che riguarda il suolo ed il sottosuolo, che si riscontrano nell'area riguardano una compromissione connessa specialmente alla presenza di attività industriali in esercizio nonché di discariche non controllate di rifiuti tossico-nocivi e industriali speciale contaminazione da metalli pesanti BTEXS, idrocarburi Leggeri e pesanti, IPA, alifatici clorurati cancerogeni. Per quel che concerne, invece, le acque di falda, l'area marino costiera e le aree fluviali, si evidenzia una contaminazione di tipo diffuso da metalli, BTEXS, solventi clorurati, IPA, idrocarburi e clorobenzeni, con presenza di notevoli spessori di prodotto surnatante; talvolta è stata rinvenuta anche la presenza di sottonatante. La qualità delle acque dell'area marina risulta compromessa in quanto fortemente condizionata dai reflui industriali e civili. Inoltre, il Rio Mannu a causa dei numerosi processi produttivi industriali ed agricoli della zona, dei diversi scarichi di reflui urbani nonché dello scarico a mare di materiale di dragaggio del porto industriale, risulta fortemente contaminato; il 13 dicembre 2013 sono stati avviati i lavori relativi al risanamento ambientale e sistemazione naturale, con un primo intervento di messa in sicurezza, grazie al progetto redatto dall'RTP (Raggruppamento temporaneo di professionisti), costituito dalla Montana spa e dagli ingegneri Antonio Fraghì e Roberto Mura; un milione di euro è la cifra stabilita per l'intervento che verrà eseguito dall'RTI, il raggruppamento temporaneo di imprese costituito da due 13 ditte locali: la nuova Prima srl e la Rina srl, a seguito di un'apposita gara ad evidenza pubblica, espletata anche per la scelta dei progettisti. I lavori, finanziati nell'ambito del POR 2007-2013, mirano a mettere in sicurezza il sito, intervenendo su vari aspetti: in particolare, l'intervento riguarderà la stabilità dei pendìi e la verifica dei rischi connessi a possibili incendi o a contaminazioni della falda; l'intervento dovrebbe consentire la realizzazione di nuovi pozzi sia per l'aspirazione del biogas ancora presente, sia per l'estrazione dei percolati. Dovrebbe essere inoltre messa in opera una torcia mobile dotata di biofiltro per il trattamento del biogas, prima dell'emissione in atmosfera. I lavori prevedono inoltre il monitoraggio dei comparti ambientali limitrofi: le sorgenti delle acque dei pozzi idrici situati nel raggio di un chilometro, le acque superficiali e i sedimenti fluviali del rio Bunnari; si ritiene altresì necessario migliorare il sistema di gestione dei rifiuti, promuovendo la prevenzione, la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti, la raccolta differenziata, nel rispetto della normativa comunitaria, al fine di conseguire gli obiettivi percentuali previsti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, il riuso, il riciclaggio e il recupero di materia e di energia, minimizzando il conferimento in discarica dei rifiuti in applicazione di quanto disposto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, elevando la sicurezza dei siti per lo smaltimento e favorendo lo sviluppo di un efficiente sistema di imprese e assicurando la piena attuazione delle normative di settore attraverso la pianificazione e la realizzazione di un sistema integrato di gestione dei rifiuti su scala di ambiti territoriali ottimali; è inoltre necessario introdurre innovazioni di processo nei sistemi di gestione dei rifiuti promuovendo la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti e favorendo il recupero energetico, in particolar modo dei rifiuti biodegradabili inclusi tra le fonti di energia rinnovabili ai sensi della difettiva 2001/77/CE; i sopracitati interventi dovrebbero realizzarsi solo se vi è la certezza delle risorse finanziarie. A fronte quindi dell'inaridirsi delle risorse finanziarie pubbliche per le bonifiche e della persistenza di un quadro normativo che sembrerebbe favorire l'inazione, piuttosto che la soluzioni dei problemi ambientali e sanitari causati dalle aree contaminate, non si è trovato di meglio che proporre l'ennesima sanatoria con la legge n. 13 del 2009, che in particolare all'articolo 2 riduce la complessa gestione degli interventi di bonifica e della pianificazione del futuro delle aree interessate a un «condono tombale»: l'assessorato all'ambiente del comune di Sassari ha inviato all'Arpas una richiesta di esito in merito agli esami di laboratorio effettuati durante il sopralluogo del mese di dicembre 2013 –: quale sia lo stato attuale dei lavori dell'area di Calancoi. (4-03519) 14 Mozione sul dissesto idrogeologico GIORGETTI e altri (LN) La Camera, premesso che: le incessanti precipitazioni dei primi giorni di febbraio hanno messo in ginocchio gran parte del Paese; l'ondata di maltempo ha creato frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud, e ha fatto registrare fino ad oltre 5 metri di neve e rischio valanghe sulle Alpi orientali; il livello di criticità nel Veneto ha raggiunto i massimi livelli: oltre 1000 gli evacuati, un morto, danni alle colture e alle cose stimati per ora attorno ai 500 milioni di euro; il padovano, dove sono esondati diversi canali collegati al Bacchiglione, interi quartieri sono stati totalmente allagati da oltre un metro e mezzo di acqua, costringendo molte famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni attraverso le barche della protezione civile; il disastro è arrivato a pochi giorni di distanza dall'alluvione di Modena del 19 gennaio 2014, quando la rottura dell'argine destro di Secchia nella frazione di San Matteo, ha inondato Modena, Bastiglia, Bomporto, San Prospero, Medolla e altre zone della provincia di Modena, provocando l'allagamento di una superficie di 75 chilometri quadrati, l'evacuazione di 600 persone, il blocco delle strade, frane e smottamenti, oltre duemila ettari di coltivazioni con grano e altri cereali sommerse nell'acqua; l'S.O.S. idrogeologico lanciato dalla Protezione civile ha riportato alla ribalta il problema cronico di cui soffre il Paese, ossia la mancanza di un programma organico di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili; l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni; il nostro Paese ha un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto; secondo uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione; più di 5 milioni i cittadini italiani ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio; un'indagine mostra che «quasi il 60 per cento degli italiani indica frane e smottamenti come una delle prime tre emergenze ambientali del Paese»; 15 secondo i dati elaborati dal Cnr-Irpi, fra il 1960 e il 2012, tutte le 20 regioni italiane hanno subito eventi fatali: 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell'evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti). Le vittime dal 1960 a oggi per frane e inondazioni sono state dunque in totale oltre 4 mila, gli sfollati e i senzatetto per le sole inondazioni superano rispettivamente i 200 mila e i 45 mila; secondo i dati apparsi sui giornali in questi giorni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche di prevenzione e di difesa del suolo, mentre nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per riparare i danni causati da frane ed alluvioni; tali dati rendono evidente l'impellente necessità di un piano pluriennale di prevenzione e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, finanziato dallo Stato e cofinanziato dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge; risulta evidente che si tratta di un'emergenza nazionale e che se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle alluvioni; la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e occupazione; in questi giorni, i mass media hanno riportato l'esempio del bacino di laminazione di Montebello che ha raccolto, trattenuto ed evitato che si riversassero soprattutto sul basso vicentino e sul padovano circa 4 milioni di metri cubi di acqua. Si tratta di un impianto costruito addirittura nel 1926 che raccoglie a Nord le acque dell'Agno-Gua’ attraverso 12 sifoni di presa e si può trasformare in un lago di 6 milioni di metri cubi d'acqua, su oltre 50 ettari, quasi tutti di proprietà demaniale, raggiungendo una profondità sino a 20 metri; si tratta di un esempio delle soluzioni che servono, certamente costose, in grado di mantenere l'acqua il più possibile in bacini per evitare che a valle i fiumi possano provocare danni; il 26 giugno 2013 sono state accolte dal Governo alcune delle mozioni presentate alla Camera da tutti i gruppi che hanno impegnato lo stesso Governo sugli obiettivi da raggiungere in merito al dissesto idrogeologico; la legge di stabilità 2014 ha cercato di sbloccare circa 1.400 milioni di euro di finanziamenti per il rischio idrogeologico stanziati dai precedenti governi e ha stanziato ulteriori 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016; tuttavia, nella scorsa legislatura sono state calcolate necessità di prevenzione del rischio idrogeologico per un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del 16 Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero; per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi; i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione degli interventi e della mitigazione dei rischi; negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno costituiscono un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono frenati dal patto di stabilità interno; appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea; recentemente si è tanto parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'uscita delle spese sostenute dal nostro Paese per finanziare gli interventi delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; infatti, nell'ottobre 2013, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato la necessità di non calcolare nel 3 per cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione e formazione; si tratta di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni che permette maggiore efficienza all'utilizzo dei fondi europei e sostiene il superamento delle politiche di austerità; sulla scia dei provvedimenti adottati per le reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T, occorre attuare un passo importante a livello dell'Unione europea, per escludere dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità interno, le spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, impegna il Governo ad assumere le opportune iniziative affinché uno degli obiettivi prioritari e fondamentali del prossimo semestre italiano di presidenza europea diventi l'esclusione, dalla contabilizzazione delle spese ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per finanziare gli interventi necessari per la prevenzione dei dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico, 17 provvedendo, conseguentemente, all'esclusione di tali spese dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno. (1-00339) Interrogazione a risposta scritta: sull'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore (Frosinone), alimentato per mezzo di CDR (combustibile da rifiuto) FRUSONE e altri (M5S) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che: al confine con il Molise e la Campania, nel comune di San Vittore del Lazio in provincia di Frosinone è situato l'inceneritore di rifiuti per recupero energetico di San Vittore alimentato per mezzo di CDR – combustibile da rifiuto – proveniente in parte dalla SAF spa di Colfelice. A tale impianto sono state aggiunte due nuove linee messe in esercizio tra ottobre (Linea 2) e dicembre (Linea 3) del 2011. L'inceneritore viene a collocarsi nelle immediate vicinanze di nuclei abitati ed è poco distante ad aree di importante valore naturalistico per la presenza di alcuni siti di interesse comunitario SIC–ZSC (Monti di Mignano Montelungo e Catena di Monte Cesima in provincia di Caserta e Monte Corno – Monte Sammucro in provincia di Isernia) e di aree di interesse ambientale e storico (Abbazia di Montecassino in provincia di Frosinone e Parco regionale di Roccamonfina – Foce del Garigliano in provincia di Caserta), alle porte di paesi appartenenti alle Valle dei Santi, come Sant'Andrea sul Garigliano, Sant'Ambrogio sul Garigliano, Sant'Apollinare, San Giorgio al Liri, Cassino, Cervaro (comuni ubicati nella provincia di Frosinone), San Pietro Infine, Rocca d'Evandro, Mignano Montelungo, RoccaMonfina e Galluccio (comuni ubicati nella provincia di Caserta). Come riportato nel DGR Lazio 217/2012, l'impianto ricade all'interno della zone della Valle del Sacco (SIR – siti di interesse regionale – ) che rappresenta, nel suo complesso e insieme all'agglomerato di Roma, una delle zone più critiche a livello regionale. In parte il territorio dove grava l'impianto è già in parzialmente compromesso dalla presenza dell'autostrada E45, della linea TAV Roma-Napoli, della SP81, della SS480, della Zona industriale di Rocca D'Evandro, dalla SS430, da un deposito di materiale ferroso e da un impianto di betonaggio oramai inattivo da alcuni anni destinato a bonifica mai portata a compimento; al grave stress territoriale a cui è sottoposta l'area interessata dall'inquinamento atmosferico («cumulo» dell'inquinamento preesistente e «sommatoria» delle due nuove linee dell'inceneritore) non è corrisposto un numero adeguato di centraline rimaste sempre e solo due (appartenenti all'ACEA spa) dall'avvio della prima linea. Non 18 essendo mai stato elaborato un registro tumori non c’è l'esatta percezione del reale rischio sanitario che corrono le popolazioni pertinenti al perimetro del comune di San Vittore. La rete regionale di monitoraggio dell'ARPA Lazio ha in attivo una sola centralina che si trova ad una decina di chilometri dall'inceneritore nella città di Cassino. Tale rischio risulta maggiormente elevato nelle aree con vocazione agricola; il comune di Forlì ha prodotto uno studio analitico pubblicato sul suo sito istituzionale: la «Relazione finale del sui lavori del Tavolo Interistituzionale in tema di diossine/furani e PCB nelle matrice ambientali ed alimentari del territorio forlivese». In esso sono riportati i risultati delle indagini condotte dall'Asl per la ricerca di diossine, furani e PCB eseguiti nel 2011 in allevamenti rurali del forlivese. A questi campioni si aggiungono altri condotte dall'ISDE. I risultati emersi da questa ulteriore e più nutrita indagine confermano in pieno quanto già segnalato dall'ARPA territoriale che i livelli previsti già superavano i limiti previsti dal regolamento 1881 della CEE. In Italia non è previsto un limite di legge per la presenza di diossina su terreni dedicati alla pastorizia e all'allevamento di animali; da un articolo del Fatto quotidiano del 27 aprile 2011 la dottoressa Patrizia Gentilini e il dottor Stefano Raccanelli, parlando di diossine/furani e PCB, dichiarano: «Queste sostanze non sono assunte attraverso l'aria che si respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse attraverso i fumi, contaminano terreno e pascoli ed entrano nella catena alimentare». Per le diossine, infatti, il pericolo non è rappresentato dall'aria che si respira, ma dagli alimenti contaminati che finiscono nei nostri piatti ogni giorno. «Si tratta di molecole molto stabili e perciò persistenti, sono insolubili in acqua ma hanno un'elevata affinità per i grassi», hanno spiegato gli autori dello studio. «Si accumulano negli organismi viventi in concentrazioni anche molte migliaia di volte superiori rispetto all'ambiente»; da quanto riportato nell'interrogazione a risposta scritta 4-11106 del 2 marzo 2011 (in corso), depositata dall'onorevole Ermete Realacci, risulta che presso l'inceneritore di San Vittore del Lazio e stato rinvenuto materiale radioattivo proveniente dall'impianto di Colfelice, così come affermato dall'ARPA LAZIO – sezione Frosinone – nella nota n. 0025546 del 9 aprile 2010 indirizzata all'assessore all'ambiente della provincia di Frosinone. Al fine di verificare la presenza di materiale radioattivo conferito all'impianto di Colfelice, la regione Lazio, con determinazione dirigenziale n. C1628 del 15 luglio 2010 ha autorizzato la SAF spa a dotarsi di un contatore geiger. Il materiale radioattivo all'interno dell'impianto rappresenta un'ulteriore pericolo per la salute dei cittadini, ai quali non potrà mai essere assicurata la completa neutralizzazione delle sostanze contaminanti –: se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione ambientale in cui versa l'area del Cassinate; se si intendano assumere iniziative normative al fine di fissare un limite legale alla presenza di diossine su terreni destinati alla pastorizia e all'allevamento degli animali; se i Ministri interrogati, ciascuno secondo le proprie competenze, non ritengano necessario valutare 19 se predisporre un piano nazionale di screening territoriale specifico sugli allevamenti di animali all'aperto nel rispetto del regolamento (CE) n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006 con particolare riferimento alla verifica dei tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. (4-03545) Interrogazione a risposta in Commissione: sui contributi relativi alla produzione di energia elettrica versati dal GSE per gli impianti a biogas e biomassa TERZONI (M5S) Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: con la sentenza 93/2013 la Corte Costituzionale ha cassato la legge regionale della regione Marche n. 3 del 2012 nelle parti in cui escludeva gli impianti biogas e biomassa per la produzione di energia elettrica da verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (screening) e conseguentemente, dalla stessa valutazione di impatto ambientale (VIA); successivamente alla sentenza il TAR Marche ha accolto i ricorsi presentati contro la realizzazione di queste centrali revocandone le autorizzazioni (sentenze 559/2013; 215/2014); la regione Marche sta cercando di porre rimedio approvando una nuova legge con la quale si riattivano tali autorizzazioni imponendo una VIA postuma e realizzando così quello che appare all'interrogante l'ennesimo palese strappo normativo e costituzionale; le autorizzazioni per questo tipo di centrali rappresentano condizione vincolante per accedere ai contributi rilasciati dal GSE –: se il Ministro sia informato sulla possibilità che il GSE, a fronte della revoca delle autorizzazioni di cui sopra ad opera del TAR, stia continuando a versare i contributi relativi alla produzione di energia elettrica; se il Ministro, nel caso in cui il versamento non sia stato interrotto, non ritenga necessario e urgente assumere iniziative affinché siano sospesi tali versamenti e sia recuperato quanto indebitamente ricevuto dai proprietari degli impianti. (5-02115) 20 Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione sull’individuazione di un ambito unico di distribuzione di gas in provincia di Bologna, presentata da Fabbri – PD. Preme evidenziare che – come peraltro già rappresentato dagli uffici del MiSE agli enti locali coinvolti – i comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Monte Veglio e Savigno ricadono nell'ambito di Modena 2 per motivi di interconnessione della rete all'impianto di «Valle SamoggiaBazzano-Zocca»; così come il comune di Crespellano, ricade nell'ambito Bologna 2 a motivo dell'interconnessione con l'impianto «Anzola dell'Emilia». A Seguito della prospettata fusione, in coerenza con la normativa vigente, il nuovo comune (risultato dalla fusione dei 5 comuni citati) verrà ad essere ricompreso nell'ambito Modena 2 perché l'impianto prevalente che serve il comune stesso, si trova in tale ambito, in quanto interconnesso con i comuni di Guiglia (MO), Marano sul Panaro (MO), Zocca (MO) e Montese (MO). Ai sensi del Decreto Ministeriale del 18 ottobre 2011 recante «Determinazione dei comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale del settore della distribuzione del gas» si esplicita infatti, tra i criteri che hanno guidato il Ministero dello sviluppo Economico alla determinazione degli ambiti e dei comuni ad essi appartenenti, il criterio dell'interconnessione. In particolare i Comuni interconnessi devono appartenere allo stesso ambito, con la precisazione che, laddove un comune sia servito da più impianti di distribuzione di gas naturale, si considera che il comune sia servito solo dall'impianto prevalente, cioè dall'impianto che serve il maggior numero di clienti nel territorio comunale. Tale è la situazione in cui si troverà il futuro nuovo comune. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: il processo di liberalizzazione per la distribuzione di gas in Italia è iniziato con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 164 del 2000;il decreto ministeriale del 19 gennaio del 2011 recante la definizione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale, al comma 1, dell'articolo 1, reca: «Gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare e l'affidamento del servizio di distribuzione del gas sono determinati in numero di 177». Al successivo comma 2 reca invece: «Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, da comunicare alla Conferenza Unificata, sono indicati i Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale»;in vista della scadenza (al 31 dicembre 2013) dei contratti di gestione delle reti e di distribuzione del gas, il dipartimento per l'energia e l'Autorità nazionale per l'energia e il gas stanno facendo la ricognizione per la definizione degli 21 ambiti territoriali ottimali, operazione preliminare alla definizione del perimetro di pertinenza per la definizione e la pubblicazione dei bandi di gara finalizzati alla selezione del soggetto gestore; in provincia di Bologna i comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno hanno formalmente deliberato ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 24 del 1996 la fusione dei suddetti comuni che prevede dal 1o gennaio 2014 il commissariamento finalizzato all'elezioni del comune unico per la primavera del 2014; attualmente 4 comuni su 5 pur essendo in territorio bolognese sono stati finora inseriti nell'ambito territoriale di Modena per la distribuzione del gas, mentre quello di Crespellano, il più grande per popolazione, nell'ambito territoriale di Bologna; la definizione dell'ambito territoriale per la selezione del soggetto gestore gas viene a sovrapporsi in termini temporali con la nascita del nuovo comune unico –: se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di individuare un unico ambito territoriale di riferimento in modo da garantire a tutti gli abitanti del nuovo comune, le stesse modalità di erogazione del servizio nonché condizioni tariffarie e al contempo accogliere la richiesta degli stessi comuni suddetti di inserimento nell'ambito territoriale di Bologna 2, a prescindere dalla perimetrazione dell'ambito precedente individuato. (5-01355) Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione sull’introduzione di misure a favore della distribuzione del metano per autotrazione nei codici di rete, presentata da Tiziano Arlotti – PD. In premessa si rammenta che, come rappresentato nell'interrogazione, lo sviluppo della rete di distributori di metano dipende anche dalle iniziative e dagli indirizzi che si vogliano fornire circa gli impulsi da dare allo sviluppo del settore attraverso l'attuazione dell'articolo 17, comma 11, del decreto-legge n. 1 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge 27 del 24 marzo 2012. Tale dispositivo stabilisce che «l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, coerentemente con gli indirizzi del Ministro dello sviluppo economico stabiliti per la diffusione del metano da autotrazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto adotta misure affinché nei codici di rete e di distribuzione di cui al d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164, siano previste modalità per accelerare i tempi di allacciamento dei nuovi impianti di distribuzione di metano per uso autotrazione alla rete di trasporto o di distribuzione del gas, per ridurre gli stessi oneri di allacciamento, in particolare per le aree dove tali impianti siano presenti in misura limitata, nonché per la riduzione delle penali per i superi di capacità impegnata previste per gli stessi impianti». Per quanto di competenza di questo Ministero, si evidenzia che sono in fase di elaborazione finale gli 22 indirizzi da trasmettere all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, per la predisposizione delle misure di modifica ai codici di rete di trasporto e di distribuzione del gas metano. Tali modifiche dovranno essere volte, come accennato, ad accelerare il processo di adeguamento delle reti stesse alla distribuzione del metano per autotrazione e più in particolare a diminuirne tempi e costi di allacciamento, nonché a ridurre le penali per eventuali impegni superiori della capacità giornaliera prefissata. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: dal 2003 in Italia esistono i «codici di rete», insieme di regole e condizioni cui deve sottostare chiunque trasporti, immetta o estragga gas dalla rete nazionale di trasporto; dalla loro introduzione, i codici di rete prevedono, tra l'altro, che chiunque prelevi gas dalla rete debba indicare contrattualmente quella che tecnicamente viene menzionata come «Capacità giornaliera», ovvero il volume di gas massimo che l'utente si impegna a non superare giornalmente, pena l'applicazione di una sanzione che costituisce un onere particolarmente pesante per gli operatori; l'eventuale adozione da parte dell'utente di un livello di capacità giornaliera molto elevato (al fine di evitare sforamenti nei prelievi) determina per contro, un costo del gas per ogni metro cubo sensibilmente maggiore, pertanto il distributore che preleva gas dalla rete prenota una capacità in linea con il venduto del proprio impianto; molteplici, secondo i dati della Federazione nazionale distributori e trasportatori di metano (Federmetano), sono le situazioni problematiche che il limite della capacità giornaliera crea alla attività degli operatori e agli automobilisti che hanno scelto questo carburante; si viene a creare inoltre una situazione di impari concorrenza determinata dal rispetto di questo parametro nei confronti degli operatori che vendono carburanti liquidi (benzina gasolio GPL), per cui non esistono limiti o vincoli alla vendita; il decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012, all'articolo 17, comma 11, stabilisce che «l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, coerentemente con gli indirizzi del Ministro dello sviluppo economico stabiliti per la diffusione del metano per autotrazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto adotta misure affinché nei codici di rete e di distribuzione di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, siano previste modalità per accelerare i tempi di allacciamento dei nuovi impianti di distribuzione di metano per uso autotrazione alla rete di trasporto o di distribuzione di gas, per ridurre gli stessi oneri di allacciamento, in particolare per le aree dove tali impianti siano presenti in misura limitata, nonché per la riduzione delle penali per i superi di capacita impegnata previste per gli stessi 23 impianti»; nonostante le citate disposizioni di legge, nessun provvedimento (che darebbe slancio allo sviluppo della rete di distributori stradali eliminando uno dei tanti lacci che imbrigliano il desiderio di fare impresa) è stato ancora adottato –: quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro in relazione a quanto descritto e se siano stati adottati gli indirizzi di cui in premessa. (5-01530) Risposta del Sottosegretario per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione sulle problematiche connesse alla realizzazione di un elettrodotto tra Puglia e Albania, presentata da Giuseppe L'Abbate – M5S. Preliminarmente preme evidenziare che la linea di interconnessione (c.d. merchant line) oggetto dell'interrogazione, è stata autorizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell'Ambiente e previa intesa della Regione Puglia, ai sensi del decreto-legge n. 239/2003 e s.m.i. Tale norma prevede un procedimento unico per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica e delle c.d. merchant lines, cioè «le reti elettriche di interconnessione con l'estero con livello di tensione pari o superiore a 150 kv qualora per esse vi sia un diritto di accesso a titolo prioritario». In applicazione di tale dettato normativo, la società Enel Produzione S.p.A. ha presentato al Mise l'istanza per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio della merchant line tra l'Italia e l'Albania «Casamassima – Porto Romano», fino al confine di Stato italiano. Il procedimento autorizzativo ha visto la partecipazione sia delle amministrazioni territoriali, tra le quali la Regione Puglia, con l'espressione dell'intesa al progetto con delibera di Giunta Regionale n. 44/2012 e del parere di compatibilità ambientale, sia delle amministrazioni statali, tra le quali il Ministero della Salute, competente per quanto riguarda la materia delle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici CEM, ed il Ministero dell'Ambiente, competente sia in merito alla posa del cavo in mare ex d.lgs. n. 152/2006, sia in materia di rischi incendi. Al termine dell'iter autorizzativo è stato emanato il decreto n. 239/EL-155/192 /2013 del 19 settembre 2013 di autorizzazione alla società Enel Produzione S.p.A. delle opere succitate. Per quanto attiene al quesito posto dagli On.li Interroganti circa i possibili effetti in termini di campi elettro-magnetici, determinati da un'eventuale realizzazione di una «Fase II» di incremento della potenza elettrica installata in territorio albanese da 500 a 1000 MW, va segnalato che il citato decreto prevede, nella fase esecutiva, una serie di adempimenti posti a carico della società proponente riguardanti i dati dell'esposizione elettromagnetica. Al riguardo, infatti l'articolo 4 del 24 suddetto decreto, comma 8, prescrive che: «Per tutta la durata dell'esercizio delle opere in corrente alternata la società titolare del decreto autorizzativo dovrà fornire i valori delle correnti agli organi di controllo previsti dal DPCM 8 luglio 2003, secondo le modalità e la frequenza ivi stabilite. Dei suddetti adempimenti, nonché del rispetto degli obblighi di cui all'articolo 3, la società titolare del decreto di autorizzazione deve fornire, alle Amministrazioni autorizzanti, apposita dettagliata relazione». Per quanto attiene al rispetto dei parametri europei di riduzione delle emissioni di CO2 a seguito dell'entrata in funzione della centrale termoelettrica albanese alimentata a carbone, si rappresenta che, tali problematiche risultano superate dal momento che è infondato l'assunto che la società Enel stia costruendo in Albania una centrale a carbone. Al riguardo, infatti, si segnala che la società Enel ha rappresentato che nell'anno 2007 ha avviato un progetto di sviluppo di un impianto a carbone pulito nella stessa località sopracitata. Tale processo è stato portato avanti per due anni, interrotto e poi definitivamente abbandonato a novembre del 2011, quando la società ha formalmente rinunciato allo sviluppo del progetto, ritirandosi dall'accordo siglato con il Ministero dell'Economia, Commercio ed Energia albanese. In ordine al secondo quesito posto dagli Onorevoli Interroganti, si sottolinea che la merchant line autorizzata alla società Enel si deve inquadrare tra le infrastrutture previste nel Reg. EU. n. 714/2009 e nel D.lgs. n. 93/2011, recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché l'abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE» e che pertanto non può avere caratteristiche di linea diretta ad un punto di produzione, ma deve essere sempre considerata, come infrastruttura di collegamento tra la rete elettrica italiana e quella albanese con la quale, nel rispetto dell'interesse generale, è possibile migliorare il mercato energetico europeo e trans europeo. Infine, per quanto concerne i temi più precisamente ambientali, si fa rinvio alle valutazioni positive espresse nel corso del procedimento dalle amministrazioni competenti. Si chiarisce comunque che sull'opera non è stata richiamata la VAS effettuata sul Piano di Sviluppo di Terna S.p.A., dal momento che le cd. merchant lines non rientrano tra gli interventi promossi da Terna S.p.A. e finanziati con risorse pubbliche. La compatibilità della linea con la rete elettrica di trasmissione è stata valutata mediante un parere di Terna, acquisito nell'iter autorizzativo. Per completezza di informazione, si rappresenta, infine, che il decreto autorizzativo succitato è stato oggetto di ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo, promosso dal Comune di Polignano a Mare. Nella camera di consiglio del 18 dicembre presso il TAR Puglia, il giudice amministrativo ha disposto con ordinanza cautelare la sospensione degli effetti del decreto 25 autorizzativo, al fine di rivedere l'approdo all'interno del territorio comunale di Polignano a Mare. Tale ordinanza è ad oggi oggetto di impugnazione da parte della società Enel dinnanzi al Consiglio di Stato. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: la regione Puglia è dotata di uno strumento programmatico denominato PEAR (piano energetico ambientale regionale) adottato con delibera G.R. n. 827 dell'8 giugno 2007 e poi aggiornato con delibera G.R. n. 602 del 28 marzo 2012, che contiene indirizzi e obiettivi strategici in campo energetico in un orizzonte temporale di dieci anni. Il PEAR concorre pertanto a costituire il quadro di riferimento per i soggetti pubblici e privati che, in tale campo, assumono iniziative nel territorio della regione Puglia; il PAN (piano di azione nazionale), previsto dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili fornisce indicazioni dettagliate sulle azioni da porre in atto per il raggiungimento, entro il 2020, dell'obiettivo vincolante per l'Italia di coprire con energia prodotta da fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali; in data 16 dicembre 2011, la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione relativa alla «Tabella di marcia per l'energia 2050», la cosiddetta «roadmap 2050», con la quale ha fissato l'obiettivo della riduzione delle emissioni di carbonio dell'80 per cento da raggiungere, appunto, entro il 2050; la SEN (strategia energetica nazionale), datata marzo 2013, prevede «il mantenimento di un ruolo chiave del gas nella transizione energetica, nonostante una riduzione del suo peso percentuale e in valore assoluto nell'orizzonte dello scenario. Come evidenziato anche nella Roadmap europea 2050, la sostituzione in Europa del carbone e dell'olio con il gas naturale nel breve e nel medio termine darà un contributo essenziale alla riduzione delle emissioni»; in data 9 marzo 2009 la società Enel Produzione spa ha presentato al Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per l'energia istanza ai sensi dell'articolo 1, comma 26, della legge n. 239 del 2004 per l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di un collegamento (merchant-line) in corrente continua tra l'Italia e l'Albania da 500 kV ovvero tra impianti rispettivamente di 1 e 500 megawatt nei paesi di Casamassima (Bari) e Porto Romano (provincia di Durres - Albania), dove Enel possiede un impianto a carbone in funzione dal prossimo anno. Istanza accolta dal Ministero che ha emanato il decreto interministeriale n. 239/EL-155/192/2013 del 19 settembre 2013; la lunghezza complessiva del tracciato marino è di circa 197 chilometri di cui 27, in acque italiane sino all'approdo sulle coste del comune di Polignano a Mare (Bari) in località S. Vito, in un'area 26 densamente antropizzata tra Cala Ponte e Porto Cavallo, che interesserà aree attualmente destinate alle attrezzature funzionali e ricettive turistiche, ai sensi dell'articolo 53 del piano regolatore e, successivamente, zone destinate ad uso agricolo. Il tratto terminale di 300 metri nel comune di Polignano in contrada Grottole interesserà un territorio classificato come Va (zone a vincolo archeologico) e Vm (aree di rispetto di beni storico-culturali), per i quali il piano regolatore generale statuisce la inedificabilità. I suddetti cavi saranno posati in una trincea larga circa 0,7 metri e ricavata su percorso stradale che interesserà, per circa 31 chilometri, i comuni di Polignano a Mare, Conversano, Mola di Bari, Turi e Casamassima, con una profondità di circa 1,5 metri. Il tratto terminale, seppur lungo la strada provinciale, per circa 5 chilometri giunge in prossimità di un'ampia zona di interesse archeologico in località Purgatorio, nei pressi della Lama Giotta, su cui insiste un vincolo idrogeologico; la centrale Enel di Porto Romano è costituita da unità della capacità di 800 megawatt ciascuna: il 60 per cento della produzione sarà esportato in Italia (7,8 TWh) mentre il restante 40 per cento sarà destinato al mercato albanese, sebbene attualmente l'Albania produca energia al 99 per cento da fonte idrica (energia prodotta 5,15 GWh e potenza installata idrica 1,86 GW). L'investimento per la costruzione del cavidotto è pari a 2,2 miliardi di euro; la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, nota anche come «direttiva Vas», estende l'obbligo di valutazione ambientale ai processi di pianificazione e programmazione. La valutazione di impatto ambientale agisce necessariamente a un livello del processo decisionale che risente di decisioni già prese in ambito pianificatorio e programmatorio; la direttiva Vas è volta a intervenire all'origine di tali decisioni, con l'obiettivo di «garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi [...] che possono avere effetti significativi sull'ambiente» (articolo 1); in applicazione dell'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito dalla legge n. 17 del 2007, a partire dal 31 luglio 2007 è entrata in vigore la Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006, avente ad oggetto le «Procedure per la valutazione ambientale strategica (Vas), per la valutazione d'impatto ambientale (Via) e per l'autorizzazione ambientale integrata (Ippc)». Con decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2007 di riordino del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata istituita la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale cui sono assegnate le competenze in materia di valutazione ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale, anche per le opere strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001. La Commissione, infatti, accorpa la Commissione per la valutazione d'impatto ambientale, istituita ai sensi dell'articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni, e la Commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale, 27 istituita ai sensi dell'articolo 184, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Tra le funzioni della Commissione figurano «le attività tecnico-istruttorie per la valutazione ambientale strategica dei piani e programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato, in attuazione di quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, ed esprime il proprio parere motivato per il successivo inoltro al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che adotta il conseguente provvedimento»; nel decreto Mise-Matt a quanto consta agli interroganti è assente qualsiasi riferimento alla procedura di Vas (valutazione ambientale strategica) applicata al piano di sviluppo della rete di trasmissione (previsto dal terzo pacchetto energia composto da due direttive e tre regolamenti). Il terzo pacchetto energia introduce il piano di sviluppo decennale di rete che deve essere redatto sulla base dei piani di sviluppo nazionali e in conformità con gli scenari elaborati da ENTSO-E (European Network of Transmission System Operators Electricity). Oltre alla stretta correlazione con i piani nazionali, il piano europeo si propone uno sviluppo coerente con i piani di investimento regionali. Tutto questo è coerente con la strategia europea comune di passaggio verso una low carbon economy; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 regolamenta la redazione dei Sia (studio impatto ambientale) e le leggi regionali lo replicano nella sostanza. Nel Sia prodotto per l'elettrodotto Albania-Italia a giudizio degli interroganti è disatteso l'articolo 5 «Quadro di riferimento ambientale», comma 3, lettera a)«Stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall'opera sul sistema ambientale, nonché le interazioni degli impatti con le diverse componenti ed i fattori ambientali, anche in relazione ai rapporti esistenti tra essi». Inoltre, come da «Allegato I – Componenti e Fattori Ambientali», «Lo studio d'impatto ambientale di un'opera con riferimento al quadro ambientale dovrà considerare le componenti naturalistiche ed antropiche interessate, le interazioni tra queste ed il sistema ambientale preso nella sua globalità», mancano le componenti ed i fattori ambientali «f) salute pubblica: come individui e comunità», «h) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all'ambiente sia naturale che umano» con «la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell'ambiente interessato, per cause naturali ed antropiche, prima dell'intervento» e «la definizione e caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissioni di radiazioni prevedibili in conseguenza dell'intervento»; sia la VIA (valutazione d'impatto ambientale) sia il decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico autorizzano un impianto relativo ad un progetto di potenza pari a 500 megawatt mentre già adesso, in fase documentale, è prevista una successiva «Fase II» per arrivare a complessivi 1.000 megawatt –: 28 se i Ministri interrogati intendano far in modo che vengano completate le procedure e le analisi, soprattutto dal punto di vista elettromagnetico, come riportato in premessa, a maggior ragione in vista di una «Fase II» che porterà l'elettrodotto a 1.000 megawatt; se i Ministri interrogati ritengano utilmente strategico il progetto in questione, soprattutto in relazione ai dubbi emersi sul rispetto delle direttive nazionali ed europee, e come questo debba poi interfacciarsi con la rete di distribuzione attualmente esistente, dato che la regione Puglia dispone già di una sovrapproduzione di energia da fonti rinnovabili che risulta sprecata a causa di mancanza di accumulatori efficaci e di una rete sottostante non efficiente; se i Ministri interrogati ritengano che l'approvvigionamento da centrale a carbone non metta in difficoltà il rispetto dei parametri normativi europei di riduzione dell'emissione di CO2. (5-01799) Interrogazione a risposta in Commissione sugli interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste PRODANI (M5S) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'accordo di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, EZIT (l'Ente zona industriale di Trieste) e l'autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste»; l'obiettivo dell'accordo è quello di facilitare i soggetti responsabili e i soggetti interessati a operare la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica dei suoli, delle falde, delle acque superficiali e delle aree marino-costiere del SIN, offrendo la possibilità di adottare procedure celeri con tempi certi di risposta, tenendo conto del diverso impatto esercitato sulle aree di rispettiva competenza; la copertura delle spese previste, contenuta nell'articolo 11 dell'accordo, prevede il ricorso a risorse pubbliche e private. Le prime sono quantificate in 13.432.000 euro e sono suddivise tra il «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale» (10.832.000 euro) assegnate alla regione Friuli Venezia Giulia e il decreto d'impegno protocollo 8717/QdV/DI/G/SP del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2.600.000 euro), mentre le seconde devono essere quantificate in fase di approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario; l'articolo 12 del testo stabilisce che il soggetto responsabile 29 dell'accordo è il direttore generale della direzione tutela delle risorse idriche e del territorio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o un suo delegato; ad oggi le procedure sembrano ferme alla sola caratterizzazione di alcune parti del SIN, peraltro su superfici di territorio ridotte, e quindi non sarebbe stata avviata nessuna opera di bonifica. Quest'inerzia delle autorità preposte è stata oggetto di un'interrogazione, la n. 4-00776, per la quale non è ancora pervenuta la risposta scritta del Governo; il 20 novembre 2013 sul quotidiano Il Piccolo di Trieste è stato pubblicato l'articolo «Bonifiche, ok le risorse all'Ezit» in cui Confindustria Trieste ha espresso soddisfazione per l'atto amministrativo regionale di affidamento che mette a disposizione dell'EZIT 7,3 milioni di euro per completare le caratterizzazioni necessarie alla valutazione dell'effettivo stato di inquinamento dell'area e all'avvio dei successivi interventi di messa in sicurezza e di bonifica; il 30 gennaio 2014 le istituzioni nazionali e locali competenti hanno sottoscritto a Roma, presso la sede del Ministero dello sviluppo economico, l'accordo quadro per la realizzazione degli interventi a seguito del riconoscimento dell'area industriale di Trieste quale «area di crisi industriale complessa». In quest'occasione si è manifestata solo la defezione dell'Autorità portuale di Trieste che non ha sottoscritto il testo chiedendo alcuni chiarimenti in relazione a possibili conflitti di competenze sulle aree demaniali marittime; la grave situazione industriale e occupazionale in cui versa la Ferriera di Servola – stabilimento del gruppo Lucchini dedito principalmente alla produzione di ghisa destinata ai settori metalmeccanico e siderurgico – ha spinto il Governo a includere Trieste tra le aree di crisi industriale complessa con il decreto legge n. 43 del 2013 sulle emergenze ambientali, superando la procedura di individuazione fissata dall'articolo 27 del decreto legge «sulla crescita» (n. 83 del 2012), resa operativa con il decreto attuativo del Mise dal 31 gennaio 2013; l'accordo del 30 gennaio 2014 è stato sottoscritto dopo l'entrata in vigore del decreto legge n. 145 del 2013, noto come «Destinazione Italia», che prevede la nomina a commissario straordinario del presidente della regione Debora Serracchiani, per l'esecuzione del documento all'epoca ancora non sottoscritto; il testo, richiamando in premessa l'accordo sulle bonifiche del 2012, riconosce come delimitazione geografica dell'area di crisi industriale complessa quella del perimetro dell'EZIT insieme alle aree demaniali in concessione alla società Servola spa. In pratica l'area coincide con quella del SIN; gli articoli 6, 7 e 8 del documento fanno un chiaro riferimento agli interventi di bonifica e messa in sicurezza del sito della Ferriera di Servola; l'articolo 6 riguarda il progetto integrato di messa in sicurezza e reindustrializzazione del sito della Ferriera, e stabilisce chiaramente che gli interventi relativi, definiti nell'accordo, sono a carico dell'aggiudicatario della procedura di evidenza pubblica necessaria per il passaggio di proprietà; l'articolo 7 segue la stessa linea del precedente per definire il programma degli interventi di messa in sicurezza a carico del 30 soggetto interessato non responsabile della contaminazione per l'immediata fruizione dell'area; l'articolo 8, poi, al comma 3, prevede il cofinanziamento per la cifra complessiva di 41 milioni e 500 mila euro a valere del fondo per lo sviluppo e la coesione; a parte il richiamo nella premessa, non risulta in nessuna parte del testo il legame con l'accordo di programma del 2012 relativo alla bonifica del SIN di Trieste; questa confusione, legata alla nomina del commissario straordinario, si aggiunge a una serie di decisioni ed atti normativi che, invece di semplificare procedure e contenuti, sembrano rendere ancora più confusionaria la gestione delle distinte emergenze – industriale e ambientale – che coinvolgono la Ferriera sovrapponendosi, incrociandosi e legandosi tra loro indissolubilmente –: se sia ancora valido l'accordo di programma sottoscritto dalle istituzioni nazionali e locali il 25 maggio 2012 per la bonifica del SIN di Trieste; se siano stati avviati e, nel caso, a che punto siano i lavori per la bonifica del sito; come siano stati impiegati i finanziamenti pubblici previsti, stimati in circa 13 milioni e mezzo di euro. (5-02142) Interrogazione a risposta scritta: sul superamento del Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) REALACCI (PD) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: come più volte ricordato, secondo i dati dell'ultimo Rapporto ecomafie di Legambiente, il giro illegale di rifiuti in Italia è di almeno 4,1 miliardi di euro l'anno di cui 3,1 derivano da rifiuti speciali e un miliardo dagli appalti della gestione dei rifiuti solidi urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa; le inchieste per traffico organizzato di rifiuti ex articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono ad oggi oltre 253, con 1.367 ordinanze di custodia cautelari, oltre 4.000 denunce e 698 aziende coinvolte; il SISTRI, ovvero Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nasce con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e pericolosi). Il SISTRI dovrebbe avere il duplice obiettivo di semplificare l'iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore, ma nella realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa il SISTRI non hai mai centrato le aspettative; il predetto sistema si basa sull'utilizzo di due apparecchiature elettroniche: una cosiddetta black box, ovvero un transponder, da montare sui 31 mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti per tracciarne i movimenti e un token usb da 4 gigabyte equipaggiata con un software per autenticazione forte e firma elettronica che viaggia assieme ai rifiuti, su cui sono salvati tutti i dati ad essi relativi; sono obbligati ad aderire a tale sistema di tracciabilità: tutti i produttori iniziali di rifiuti pericolosi; tutti i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da trattamenti effettuati sulle acque, da trattamento di rifiuti e costituiti da fanghi da abbattimento delle emissioni in atmosfera con più di 10 dipendenti; tutti i trasportatori di rifiuti speciali prodotti da terzi; i trasportatori di propri rifiuti speciali pericolosi; i gestori di impianti di recupero e smaltimento, gli intermediari e i commercianti di rifiuti senza detenzione degli stessi; i comuni e gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania; l'avvio del sopraddetto SISTRI è stato infatti più volte rinviato e poi sospeso fino al 30 giugno 2013 per motivi di ordine tecnico, legale e gestionale, per poi andare in vigore dal 1o ottobre 2013 solo per chi tratta rifiuti pericolosi. Per i produttori di rifiuti, comuni e imprese campane la partenza prevista è il 3 marzo 2014. Per questa serie di piccoli artigiani il SISTRI viaggerà in parallelo ai classici adempimenti cartacei costituiti da registri di carico/scarico e formulario di trasporto rifiuti fino al 1° agosto 2014, dopo di che il tracciamento telematico diventerà esclusivo. Mentre per il via al terzo scaglione, costituito da operatori del trasporto intermodale e dagli altri gestori di rifiuti urbani bisognerà attendere l'adozione degli specifici decreti ministeriali; l'obbligo di SISTRI varrà perciò anche per diverse categorie di piccoli artigiani al pari degli altri produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi già obbligati ad utilizzare il sistema informatico per la tracciabilità dei rifiuti pericolosi. Si tratta di carrozzieri, elettrauto, parrucchieri, orafi se utilizzano acidi, tintorie, lavanderie, impiantisti, fabbri e falegnami che effettuano anche verniciature, odontotecnici, metalmeccanici, autofficine, tipografie, estetiste; i ripetuti appelli da parte delle associazioni di rappresentanza imprenditoriale volti a modificare la necessità di dotarsi di apparecchiature elettroniche – sul cui numero si basa il corrispettivo riconosciuto al concessionario dal contratto di servizio – non sono stati adeguatamente considerati, nonostante la fattibilità tecnica di semplici modifiche di sistema ad esempio collegamento in remoto, uso di password e altro; le associazioni di categorie imprenditoriali interessate lamentano il fatto che dalla penultima data di entrata in operatività (quindi dal giugno 2012 al marzo 2014) nulla è stato fatto in termini di diffusione delle apparecchiature, riallineamento del funzionamento delle stesse, approntamento della formazione degli operatori. Il Sistri presenta pertanto gli stessi deficit strutturali e conoscitivi che suscitarono tanto allarme nel maggio 2011 quando, con il famoso click day si appalesò l'impreparazione dell'apparato di assistenza e l'approssimazione dell'intero sistema; dal 1° ottobre 2013 l'entrata in vigore del Sistri ha comportato pesanti rallentamenti nel lavoro di gestori e trasportatori, nella peggiore, un vero e proprio blocco 32 delle attività. Tale situazione, oltre a ripercuotersi sull'attività delle imprese, rischia soprattutto di favorire la gestione illegale dei rifiuti, come dimostra il calo dei quantitativi di rifiuti raccolti già riscontrato a seguito dell'operatività di ottobre: nell'ultimo trimestre del 2013 i dati sulla raccolta dei rifiuti mostrano un calo di circa il 20/25 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente; le rilevazioni effettuate nella filiera dalle maggiori associazioni di categoria, dopo la partenza del SISTRI, il 1o ottobre indicano che i tempi per tracciare i rifiuti sono aumentati, rispetto al sistema cartaceo, del 1500 per cento cui corrispondono costi 20 volte superiori; nella risposta dello scorso 17 settembre 2013 all'interrogazione n. 5/00913 presentata dall'interrogante il Ministro dell'Ambiente Andrea Orlando precisava: «In particolare, attraverso una normativa secondaria, verranno individuate ulteriori semplificazioni tese a razionalizzare il sistema di tracciabilità per la gestione e la movimentazione dei rifiuti in modo da renderlo semplice, efficace e trasparente e senza sovraccarichi organizzativi da parte delle aziende, anche al fine di eliminare gli strumenti più contestati dagli utenti, vale a dire la cosiddetta black box e la chiavetta USB. La semplificazione si pone anche in una prospettiva di progressiva riduzione dei costi a carico degli utenti, e di aumento dei servizi ad essi offerti, anche mediante la possibilità che la piattaforma informatica del Sistri confluisca in un sistema informativo più ampio a servizio della pubblica amministrazione. Nella consapevolezza che un sistema informatico non è mai perfetto ab initio, ma senz'altro perfettibile alla luce della sua applicazione pratica, non solo è stata prevista una prima semplificazione in fase transitoria, ma dopo questa sono previste semplificazioni periodiche, previa consultazione degli utenti, al fine di adeguare il sistema all'evoluzione tecnologica e alle esigenze via via manifestate dagli utenti, con una logica di work in progress (...) Una particolare attenzione è stata posta al sistema sanzionatorio in fase di prima applicazione del Sistri, al fine di attenuare gli effetti derivanti dall'operatività di un nuovo sistema da parte degli operatori, prevedendo una soglia di tre violazioni consentite oltre la quale verrà applicata la sanzione stessa. Alla luce delle osservazioni già pervenute da parte delle associazioni, vi è la disponibilità del Ministro dell'ambiente a ampliare ulteriormente, in sede di emendamenti al decreto-legge, la soglia di non punibilità, purché si tratti di illeciti colposi, mentre non possono consentirsi deroghe alla punibilità di illeciti dolosi (quale ad esempio la consapevole e voluta non iscrizione al Sistema)»; la motivazione con la quale i Ministri interrogati continuano a giustificare l'ineluttabilità del Sistri è quella del danno erariale per violazione del contratto con Selex Spa, che si determinerebbe qualora il Sistri venisse superato a favore di un sistema più agile per le imprese operatrici. Tale condizione non soleva le importanti responsabilità del decisore pubblico sui costi e le difficoltà del sistema verso le imprese obbligate all'adesione al Sistri –: 33 se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano valutare una rapida iniziativa normativa per il superamento del Sistri sostituendolo con nuovi criteri da affidare poi a normativa secondaria e pur mantenendo, nel frattempo, il sistema esistente, se non ritengano utile intervenire da subito affinché si garantisca maggiore efficacia del Sistri, data anche l'urgenza di dare una soluzione efficace al problema del contrasto allo smaltimento illegale di rifiuti; se non ritengano utile censire e integrare i vari sistemi già esistenti al livello regionale; se essi intendano poi adottare per il nuovo sistema di tracciabilità informatizzata gli indirizzi indicati unanimemente dalle 31 organizzazioni delle imprese interessate e se non sia altresì utile che nella progettazione, sperimentazione e miglioramento del nuovo sistema siano coinvolte le organizzazioni delle imprese e ugualmente che si prevedano misure di semplificazione, per determinate categorie, sulla base della individuazione di esigenze obiettive di tutela ambientale; se i Ministri interrogati non ritengano più utile che il nuovo sistema di tracciabilità entri completamente in funzione solo dopo essere stato efficacemente collaudato. (4-03564) Interrogazione a risposta scritta: sulle trivellazioni e sulla realizzazione di un pozzo e di un oleodotto nel Vallo di Diano, in Lucania, da parte dei Eni CIRIELLI (FDI) Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: è di pochi giorni fa la notizia che la compagnia petrolifera Eni spa avrebbe avviato la procedura autorizzativa per iniziare le trivellazioni nel Vallo di Diano, nel cuore dell'Appennino lucano, un territorio ricco di acqua e di risorse paesaggistiche; in particolare, il progetto presentato dalla Eni prevede la realizzazione di un pozzo «Pergola 1», situato nel comune di Marsico Nuovo (Potenza) e un oleodotto di circa nove chilometri che interesserebbe un'area in cui sono presenti le più importanti sorgenti perenni che portano acqua in Campania, nonché in prossimità dell'area Sic Monti della Maddalena e sulla faglia sismica «Pergola-Melandro»; si tratta dell'ennesima caccia al petrolio che sta fortemente minacciando questo territorio, posto che già due anni fa i sindaci dei comuni coinvolti si erano schierati contro la Shell che aveva presentato una richiesta in regione Campania per effettuare studi e carotaggi nella zona Monte Cavallo e meno di un anno fa, nell'aprile 2013, erano tornati ad occuparsi della vicenda per impedire alla Apennine 34 Energy di ottenere il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma nel territorio del Vallo di Diano e nella vicina regione Basilicata; cambia lo scenario ma non le preoccupazioni: l'area interessata dalla procedura, infatti, oltre a far parte del parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, si caratterizza anche per la diffusa presenza di siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale (aree SIC e ZPS), nonché di riconoscimenti UNESCO; le politiche comunitarie, nazionali e regionali in detto territorio sono state sempre orientate alla valorizzazione del turismo e delle risorse naturali, culturali, agricole ed artigianali, a sostegno, quindi, del cosiddetto sviluppo eco-compatibile; nonostante le scelte fatte da questa terra vadano, pertanto, nella direzione opposta alle estrazioni e allo sfruttamento delle risorse ambientali, l'incubo delle trivellazioni petrolifere, che due anni fa, come nel 2013, sembrava essere stato scongiurato, è tornato purtroppo a incombere nell'area tra Campania e Basilicata, ancora una volta oggetto di interessi privati legati alle attività di estrazione di idrocarburi; anche in questa occasione le amministrazioni degli otto comuni coinvolti (Atena Lucana, Montesano Sulla Marcellana, Padula, Polla, Sala Consilina, Sant'Arsenio e Teggiano) si sono schierate con fermezza contro la richiesta di autorizzazione avanzata da Eni; particolare preoccupazione desta la vicenda, posto che si tratta di una zona ad alto rischio sismico, idrogeologico e che coinvolge molti comuni al confine con il parco naturale del Cilento; ad allarmare i cittadini e le amministrazioni locali sarebbe, in particolar modo, il rischio che la regione, in grave difficoltà economica, possa cedere alla richiesta della compagnia petrolifera e concedere il permesso alle esplorazioni; sul punto è intervenuto persino il Wall Street Journal secondo il quale «il governo italiano, anche con l'intento di superare la difficile situazione economica, sta cercando di facilitare in Basilicata la strada alle trivellazioni delle principali compagnie petrolifere. Offrendo alle amministrazioni regionali e locali maggiori guadagni, il governo spera di superare l'opposizione che ha ostacolato le operazioni di trivellazione. L'obiettivo è di duplicare la produzione annuale di petrolio del Paese e tagliare i costi di importazione di energia di circa un quarto entro il 2020»; a parere dell'interrogante i rischi ambientali e le conseguenze per la popolazione sarebbero troppo elevati per poter consentire ricerche petrolifere e non ci sarebbe, peraltro, alcun guadagno reale, né immediato, né futuro per l'area che, al contrario, vedrebbe aumentare i volumi di traffico dovuti all'attraversamento di mezzi pesanti e crescere l'inquinamento nel suo complesso, con notevoli ripercussioni sullo sviluppo ecocompatibile avviato; appare oltremodo necessario scongiurare questo ennesimo scempio che potrà segnare la definitiva distruzione del territorio interessato e, in particolare, del Vallo di Diano –: se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se siano già state concesse le autorizzazioni alla Eni per il progetto e, in caso negativo, se non intendano sospendere ogni 35 procedura in essere convocando urgentemente un tavolo tecnico a cui siano invitati tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, tenuto conto altresì della volontà chiaramente e fortemente espressa dai rappresentanti istituzionali del Vallo di Diano contro qualsiasi ipotesi di ricerca petrolifera, a salvaguardia dell'interesse primario e collettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. (4-03567) Interrogazione a risposta scritta: sul sistema delle agevolazioni per le imprese a grande consumo di energia, con particolare riferimento alla deliberazione in materia, dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas TONINELLI (M5S) Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che: in attuazione del comma 1 dell'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Misure urgenti per la crescita del Paese) è stato emanato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, 5 aprile 2013; il succitato decreto all'articolo 2 definisce le imprese a forte consumo di energia quelle «per le quali, nell'annualità di riferimento, si sono verificate entrambe le seguenti condizioni: a) abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria attività, almeno 2,4 gigawattora di energia elettrica oppure almeno 2,4 gigawattora di energia diversa dall'elettrica; b) il rapporto tra il costo effettivo del quantitativo complessivo dell'energia utilizzata per lo svolgimento della propria attività, (...), e il valore del fatturato, (...), non sia risultato inferiore al 3 per cento»; la deliberazione 467/2013/R/Com dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Prima applicazione delle disposizioni in materia di agevolazioni relative agli oneri generali di sistema per le imprese a forte consumo di energia elettrica) prevede che: «gli oneri per il riconoscimento delle agevolazioni (...) siano esplicitati in una nuova componente di tipo parafiscale AE, nell'ambito della rideterminazione degli oneri generali di cui al decreto legge 83/12, a carico di tutte le utenze non beneficiarie delle medesime agevolazioni»; ne consegue che il costo delle agevolazioni alle imprese cosiddette energivore verrà ripartito sotto forma di una componente tariffaria in bolletta tra gli utenti non agevolati, e quindi a pagare saranno le famiglie e le piccolemedie imprese che non rientrano della definizione di imprese a grande consumo di energia –: se quanto riportato in premessa corrisponda al vero; considerata la forte crisi economica in atto, quali iniziative, anche normative, i Ministri intendano adottare al fine di impedire che il sistema per le agevolazioni per le imprese a grande consumo di energia penalizzi le piccole e medie imprese e famiglie. (4-03552) 36 Interrogazione a risposta scritta: sulla bonifica dell'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di Avellino D'AGOSTINO (SCpI) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che: già il 6 giugno 2013 in Commissione VIII l'interrogante ha portato all'attenzione del Ministro interrogato la gravissima situazione in cui versa l'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di Avellino, in particolare: il 3 giugno 2013, gli agenti del Corpo forestale dello Stato di Avellino hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo dello stabilimento e dell'area dove era allocata l'azienda «Isochimica spa», sita in Pianodardine – Zona A.S.I. di Avellino, disposto in via d'urgenza dalla procura della Repubblica ai sensi dell'articolo 321 comma 3-bis del codice di procedura penale; la suindicata azienda era addetta alla scoibentazione di carrozze e vagoni ferroviari; secondo quanto reso noto dalla procura della Repubblica il provvedimento di sequestro è stato adottato d'urgenza, in quanto dalle ultime verifiche disposte gli inquirenti «hanno accertato che lo stato attuale di “ammaloramento” degli oltre 500 cubi di cemento-amianto friabile (su un totale di circa 2.767 tonnellate – 2.276.000 chilogrammi – di tale materiale lavorato) ivi illecitamente smaltiti, dal 1983 al 1988, nel corso dell'attività industriale dell'Isochimica spa è tale da imporre per essi una valutazione di generalizzata inidoneità a trattenere le fibre di amianto, la cui dispersione nell'area aziendale va ad integrare quell'evento grave e complesso che, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo, collettivamente, l'incolumità di un numero indeterminato di persone»; nel suindicato provvedimento di sequestro sono stati contestati a 24 indagati, a vario titolo, i reati di cui agli articoli 110 e 434, comma 1 e 2 del codice penale (concorso in disastro ambientale doloso), di cui agli articoli 113, 434 in relazione all'articolo 449, comma 1 del codice penale (cooperazione colposa in disastro ambientale) e di cui all'articolo 328 del codice penale; secondo quanto comunicato dalla procura della Repubblica sono in corso ulteriori indagini nei confronti di persone allo stato non identificate, ai fini dell'accertamento di eventuali, ulteriori coinvolgimenti e responsabilità nella mancata attività di bonifica e messa in sicurezza dello smaltimento e dell'area; l'attività di indagine prosegue anche in ordine ai reati di cui agli articoli 589 del codice penale e 590 del codice penale relativi ai decessi di vari dipendenti della «Isochimica spa ed alle lesioni in danno di altri lavoratori, nonché in ordine alla fattispecie di reato ex articolo 347 del codice penale (rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro); i primi risvolti dell'inchiesta giudiziaria sulla vicenda Isochimica – in particolare l'affermazione della procura della Repubblica secondo cui la mancata bonifica dell'area dello stabilimento espone a 37 concreto pericolo un numero indeterminato di cittadini – impone a tutti, ciascuno per il proprio ruolo istituzionale e politico, di mettere in essere con la massima urgenza tutte le iniziative necessarie per tutelare la popolazione di Avellino residente nella zona di Pianodardine; mentre la giustizia fa il proprio corso per l'accertamento della verità, naturalmente nella doverosa cornice di garantismo verso le persone a vario titolo indagate, le istituzioni devono collaborare affinché vengano immediatamente rimossi gli ostacoli di ogni ordine e grado che hanno sin qui impedito o rallentato l’iter di bonifica dell'area Isochimica; la vicenda Eternit, che pure ha destato il giusto clamore in tutto il Paese, secondo gli esperti non è più grave di quella dell'Isochimica, per la quale si sono già registrati 13 decessi e accertati oltre 150 casi di patologie molto gravi –: a distanza di oltre sette mesi alcuna concreta iniziativa è stata assunta per garantire la bonifica dell'area in questione in tempi rapidissimi, così come raccomandato dalla stessa procura di Avellino; di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare per contribuire a risolvere la gravissima situazione che minaccia la salute dei cittadini dell'area. (4-03595) Interrogazione a risposta in Commissione: sulla realizzazione di interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino VELO e MANCIULLI (PD) — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: il decreto legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015), prevede, al comma 5 dell'articolo 1, che «Al fine di consentire la realizzazione degli interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino, il CIPE, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, delibera in ordine al progetto definitivo relativo al lotto n. 7 – tratto tra l'intersezione della strada statale 398 fino allo svincolo di Gagno – compreso nella bretella di collegamento al porto di Piombino, parte integrante dell'asse autostradale Cecina-Civitavecchia, approvato con delibera CIPE n. 85/2012 del 3 agosto 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2012»; ad oggi, a 10 mesi dall'approvazione del decreto, tale opera non risulta essere stata ancora esaminata dal CIPE; il ritardo nell'approvazione del progetto sta provocando pesanti ripercussioni che minano il tentativo di rilancio dell'area portuale e industriale di Piombino, dichiarata, in base al 38 decreto sopra citato, area di crisi industriale complessa –: quali siano i motivi del ritardo nell'esame da parte del Cipe del progetto definitivo relativo al lotto n. 7 – tratto tra l'intersezione della strada statale 398 fino allo svincolo di Gagno – compreso nella bretella di collegamento al porto di Piombino, parte integrante dell'asse autostradale Cecina-Civitavecchia; se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente assumere un'iniziativa per far sì che il progetto sia inserito all'ordine del giorno della prossima seduta del Cipe. (5-02154) Interrogazione a risposta scritta: sul settore dell'autotrasporto ROSATO (PD) — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: il settore dell'autotrasporto — che impiega in tutta Europa direttamente circa 10 milioni di persone (costituendo il 4,5 per cento dell'occupazione totale e generando il 4,6 per cento del prodotto interno lordo europeo) — si pone come un ambito vitale per l'economia del nostro Paese, radicato soprattutto nel Nordest; questo specifico mercato è stato colpito da una durissima crisi a partire dal 2008, dovuta all'andamento dell'economia globale, che è stata ancora più acuta a causa dell'instaurarsi da parte di alcune aziende straniere europee che effettuano operazioni di trasporto merci sul territorio nazionale in regime di cabotaggio, molteplici forme di concorrenza sleale basate sul mancato rispetto di alcune norme italiane; tra le pratiche utilizzate da queste società vi sono anche palesi superamenti dell'orario settimanale di lavoro, turni irregolari di cabotaggio internazionale, distaccamenti «fasulli» in Italia di lavoratori da parte di società con sede all'estero, ed altre rinunce dei diritti dei lavoratori; casi di peggioramento delle condizioni di lavoro ed altre simili violazioni sono oggetto di numerose denunce anche da parte di alcuni documenti sindacali, e sono all'attenzione del Governo che a novembre 2013 ha sottoscritto un protocollo d'intesa con le associazioni di categoria dell'autotrasporto per rafforzare le azioni di contrasto alle pratiche sopra esposte e per prevedere un maggiore coinvolgimento di tutte le autorità per «definire possibili ulteriori controlli di filiera»; è superfluo ricordare che questo sfruttamento e dequalificazione dei conducenti, e più in generale, le condizioni di lavoro, se non ottimali, possono essere causa diretta di gravi incidenti stradali, che accadono sempre più spesso, coinvolgendo mezzi stranieri non in regola con le minime norme di sicurezza e mettendo a rischio anche la sicurezza dei cittadini che transitano su strade e autostrade; sono corrette le aperture dell'Unione europea indirizzate alla liberalizzazione del settore dei trasporti, a patto che evitino la creazione di fenomeni di dumping 39 sociale basato sulle eterogenee condizioni che esistono all'interno dell'Unione e sui livelli differenti di costi e diritti; a parere dell'interrogante, paiono condivisibili le preoccupazioni sollevate sul futuro dell'autotrasporto italiano, e va rinnovato l'invito a porre in essere tutte le azioni di contrasto alle condotte di squilibrio contrattuale –: quali iniziative il Governo intenda mettere in campo, anche in sede europea, per evitare che la competizione nel mercato dell'autotrasporto si scarichi sulle condizioni di lavoro e sulle retribuzioni dei lavoratori, specialmente dopo l'eventuale liberalizzazione dei settore; quali iniziative di competenza il Governo abbia posto in essere o intenda promuovere sul terreno normativo ed amministrativo per fronteggiare il rischio di concorrenza sleale da parte degli autotrasportatori stranieri europei che effettuano operazioni di trasporto merci sul territorio nazionale in regime di cabotaggio; come il Governo intenda definire possibili ulteriori controlli di filiera attraverso l'annunciata azione congiunta di tutte le autorità coinvolte in dette azioni di contrasto all'elusione delle normative italiane. (4-03587) 40 SENATO Interrogazione a risposta scritta: sui contratti di fornitura di energia elettrica e sul procedimento avviato dall'AEEG nei confronti di Eni GIROTTO e CASTALDI (M5S) Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che: con il decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, viene data "Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE"; gli allegati I delle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE, nell'elencare le misure sulla tutela dei consumatori rispettivamente del settore elettrico e del settore gas naturale, prevedono che i clienti siano adeguatamente informati del consumo effettivo di energia elettrica e di gas naturale e dei relativi costi, con frequenza tale da consentire loro di regolare il proprio consumo e che tali informazioni siano fornite ad intervalli adeguati che tengano conto della capacità del contatore del cliente; per la fornitura di gas di clienti serviti alle condizioni contrattuali regolate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, già l'articolo 5 della deliberazione n. 229/01 prevede che la fatturazione dei consumi debba avvenire con una frequenza che varia secondo i consumi annui del cliente finale ed in particolare, nella formulazione introdotta dalla deliberazione ARG/gas n. 69/09, secondo una periodicità almeno: a) quadrimestrale, per i clienti con consumo annuo fino a 500 Smc (standard metro cubo); b) trimestrale, per i clienti con consumo annuo compresi tra 501 e 5.000 Smc; c) mensile per tutti i clienti titolari il cui consumo annuo è superiore a 5.000 Smc, ad esclusione dei mesi in cui i consumi storici sono inferiori del 90 per cento ai consumi medi mensili; ai sensi dell'art. 11 della deliberazione ARG/com n. 104/10 i contratti di fornitura di energia elettrica e di gas predisposti dagli esercenti la vendita contengono, tra gli altri elementi, almeno la periodicità di emissione delle fatture (comma 1, lett. g, punto i); dall'analisi dei dati trasmessi dallo Sportello per il consumatore all'Autorità ai sensi dell'articolo 7 della deliberazione 548/2012/E/com risulta che, almeno nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2012 e il 30 settembre 2013: la mancata fatturazione da parte di ENI ai suoi clienti ha costituito oggetto di 1.785 reclami con riferimento alle forniture di gas e di 1.305 reclami con riferimento alle forniture di energia elettrica e dual fuel; da successive comunicazioni tra ENI e l'Autorità è emerso che, nel periodo compreso tra il 1° aprile 41 2011 e il 1° gennaio 2013, ben 82.959 clienti ENI del settore elettrico, gas naturale e dual fuel che hanno cambiato fornitore in quel periodo, non hanno ricevuto la fattura di chiusura; la mancata fatturazione di chiusura riguarda, quindi, un numero considerevole dei casi di switch out complessivamente gestiti; nell'istanza di partecipazione e contestuale memoria procedimentale, depositata da "Altroconsumo" in merito al procedimento avviato dall'Autorità Aeeg con deliberazione 31 ottobre 2013 n. 477/2013/S/com, nei confronti di ENI, si legge che i comportamenti posti in essere da ENI sono in contrasto con le disposizioni dettate in materia di conguaglio definitivo e passaggio ad altro operatore contenute nella direttiva 2009/73/CE, nonché con gli artt. 3 e 43, comma 2, del decreto legislativo n. 93 del 2011. In proposito, l'art. 1, lett. J), dell'allegato 1 alla stessa direttiva, recante "Misure a tutela del consumatore", stabilisce che i consumatori devono ottenere un conguaglio definitivo a seguito di un eventuale cambiamento del fornitore di gas naturale non oltre 6 settimane dopo aver effettuato il cambiamento di fornitore; il cambiamento di fornitore deve essere, quindi, sempre accompagnato da un conguaglio finale in modo tale che il consumatore sia messo nelle condizioni di valutare l'opportunità della scelta effettuata; dalle segnalazioni pervenute ad Altroconsumo risulta che i ritardi accumulati dalla società nella periodicità della fatturazione hanno inciso negativamente anche su tale possibilità: da un lato alcuni consumatori hanno lamentato problemi specificamente legati alla fatturazione del conguaglio a passaggio avvenuto, altri invece hanno sottolineato le difficoltà di decidere sull'eventuale passaggio a causa della indisponibilità dei dati di consumo per periodi di tempo anche molto lunghi; a parere degli interroganti l'impossibilità di conoscere l'entità dei propri consumi e, di conseguenza, di prevedere e programmare i medesimi in funzione della spesa rappresenta, di per sé, una palese violazione dei diritti riconosciuti ai consumatori, che vengono in questo modo privati della possibilità di organizzare, sulla base della propria personale situazione economica, i consumi medesimi. Risulta, inoltre, evidente che l'impossibilità di determinare l'ammontare delle somme dovute all'operatore ha limitato e continua ancora oggi a limitare drasticamente la possibilità del singolo consumatore di scegliere consapevolmente tra i diversi fornitori presenti sul mercato; gli utenti, infatti, a causa delle condotte poste in essere dalla società, ad oggi non hanno la possibilità di comparare le offerte commerciali dei diversi operatori né di verificarne la convenienza alla luce delle specifiche caratteristiche dei propri consumi (quantitativo di gas e/o elettricità consumati, periodi di maggior utilizzo, eccetera) e, quindi, non sono in grado di valutare, non disponendo di tutte le informazioni necessarie, l'opportunità della scelta di un operatore diverso da ENI (cosiddetto switch out); tale possibilità risulta ancora più compromessa dalla totale incertezza sugli importi, sui tempi e sulle modalità di pagamento della fattura di conguaglio definitivo una volta deciso di passare a diverso operatore; 42 la totale assenza di qualsivoglia informazione determina un'intollerabile compressione della libertà dei consumatori e una violazione delle più elementari norme in tema di trasparenza dei prezzi nei confronti dell'utenza; la condotta di ENI, quindi, non consentendo al cliente di cambiare facilmente venditore e nella specie non consentendo al cliente di chiudere definitivamente il proprio rapporto con la società di vendita uscente nei tempi previsti, crea un potenziale ostacolo alla concorrenza, se non altro diffondendo tra i consumatori sfiducia nella possibilità di cambiare facilmente fornitore, chiudendo definitivamente il rapporto con il precedente, e nel buon funzionamento del mercato; ciò è tanto più grave in considerazione del fatto che la condotta è posta in essere dall'operatore incumbent nel mercato della vendita del gas ai clienti finali, nonché da uno dei principali operatori del mercato della vendita di energia elettrica ai clienti finali; considerato che: nella deliberazione dell'Autorità del 21 luglio 2011, n. VIS 75/11, ENI veniva condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria, tra l'altro, a causa della violazione delle norme in materia di periodicità della fatturazione per cui "l'adozione di un idoneo sistema informatico e la risoluzione dei relativi problemi di gestione rientrano nell'ordinaria gestione aziendale della società" (pag. 11 della deliberazione); appare evidente che ENI, essendo tenuta alla diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma 2, del codice civile (si vedano le sentenze Cassazione civile, sez. III, 9 agosto 2007, n. 17478; Cassazione civile, sez. I, 12 giugno 2007, n. 13777; Cassazione civile, sez. I, 5 luglio 2000, n. 8983), avrebbe dovuto adoperarsi per assicurare ai clienti la conformità della fatturazione alla normativa di riferimento, prevedendo e organizzando un sistema in grado di evitare simili disservizi ai clienti; il comportamento di ENI appare, inoltre, ancor più grave alla luce del fatto che la società era già da tempo consapevole dell'esistenza di criticità legate al sistema di fatturazione, avendo già subito per la stessa ragione una specifica sanzione applicata dall'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il servizio idrico con la citata deliberazione 21 luglio 2011, si chiede di sapere: quali misure in particolare di carattere normativo il Ministro in indirizzo ritenga opportune adottare affinché tali comportamenti non si ripetano in futuro; se non intenda adottare tutte le opportune iniziative entro i limiti di competenza per ripristinare l'effettiva concorrenza nel mercato energetico, nonché assicurare ai consumatori il diritto di informazione in tempo reale sui propri consumi al fine di svolgere, con consapevolezza, il proprio ruolo all'interno di un mercato energetico efficiente. (4-01676) 43 Interrogazione a risposta orale: sulla situazione delle acque nella valle Olona, in Lombardia e sugli ulteriori interventi di messa in sicurezza operativa del polo chimico ex Montedison BIGNAMI e altri (M5S) Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute - Premesso che: la valle Olona è un'area produttiva in gran parte contaminata nel suolo principalmente da mercurio; la valle prende il nome dal fiume Olona che nasce nelle Prealpi varesine e ha una lunghezza complessiva di 71 chilometri, sino a Milano; attraversa 45 comuni appartenenti alle province di Varese e Milano; lungo l'Olona la qualità delle acque viene monitorata nelle stazioni di Varese, Lozza, Fagnano Olona, Legnano e Rho; come segnalato in un recente documento elaborato da Legambiente Lombardia, l'Olona registra giudizi molto negativi sulla qualità delle acque da Varese a Lainate, collezionando valutazioni che vanno dallo "scarso" al "cattivo". Secondo quanto riportato nel documento più della metà dei carichi organici inquinanti nel tratto tra Castiglione e Rho deriva da scarichi non depurati, anche il Lura e il Buzzente sono in uno stato critico, e nei tratti dove confluiscono nell'Olona provocano un peggioramento delle condizioni del fiume, che registra uno stato di qualità che viene definito "pessimo"; Legambiente Lombardia segnala inoltre come il 50 per cento dei depuratori sull'Olona presentino anomalie o malfunzionamenti rilevati dall'Agenzia regionale protezione ambientale; anche il depuratore di Varese ha notevoli difficoltà nella rimozione dei carichi di azoto ammoniacale; considerato che: la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque) istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque e introduce un approccio innovativo nella legislazione europea tanto dal punto di vista ambientale quanto dal punto di vista amministrativo gestionale. Tra gli obiettivi fissati dalla direttiva vi è quello del raggiungimento dello stato di qualità "buono" per tutte le acque entro il 31 dicembre 2015; la Regione Lombardia nel proprio piano di tutela e uso delle acque ha chiesto una proroga al 2027 per il raggiungimento dello stato "buono" e al 2015 per il raggiungimento dello stato "sufficiente" per i fiumi Lambro, Seveso, Olona e Mella; nei confronti dell'Italia è stata aperta dalla Commissione europea la procedura di infrazione n. 2009/2034 per l'applicazione degli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva del Consiglio 91/271/CEE del 21 maggio 2008, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, ai cui obblighi avrebbe dovuto ottemperare entro il 31 dicembre 1998; il mancato adeguamento comporterebbe sanzioni che graverebbero nella misura di 10 milioni di euro per ogni mancato depuratore e di 200.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'assolvimento degli adempimenti previsti; la pessima qualità delle acque del fiume Olona è dovuta al fatto che gli scarichi costituiscono il 40-60 per cento della portata del fiume. I depuratori 44 consortili che scaricano lungo l'asse dell'Olona sono 6. La Provincia di Varese ha concesso autorizzazioni allo scarico in deroga complessivamente a 22 industrie, 5 delle quali scaricano nei depuratori consortili sul fiume Olona. La Regione ammette, nella risoluzione di luglio 2013, che gli scarichi in deroga compromettono la capacità depurativa dei depuratori. Tali deroghe sono attualmente in fase di rinnovo; nel complesso la valle Olona registra uno stato ambientale estremamente critico, con un preoccupante inquinamento delle falde acquifere, dell'aria e del suolo; si apprende dai molteplici rapporti di caratterizzazione e le migliaia di analisi effettuate dal 2006 ad oggi che il polo chimico ex Montedison di Castellanza e Olgiate Olona ha inquinato la falda acquifera sottostante. L'unico intervento di messa in sicurezza operativa è costituito da una barriera idraulica di 7 pozzi che emungono oltre 3 milioni di metri cubi all'anno (fino a 100 metri di profondità) da tale acqua di falda, si chiede di sapere: se i Ministri in indirizzo, nell'ambito delle proprie competenze, siano a conoscenza della situazione e quali siano le ripercussioni sulla salute dei cittadini della valle; quali azioni, nei limiti delle rispettive attribuzioni, intendano intraprendere in collaborazione con la Regione Lombardia e gli enti territoriali interessati per far sì che il fiume Olona raggiunga gli standard di qualità delle acque definite dalla direttiva europea 2000/60/CE nei tempi previsti dalla legge, per evitare di incorrere in sanzioni; se sia stato redatto un quadro completo di quanti e quali fiumi in Italia non rispettano i parametri di qualità definiti dalla direttiva europea 2000/60/CE; se siano previsti ulteriori interventi di messa in sicurezza operativa del polo chimico ex Montedison. (3-00731) 45
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