Le capacità di sviluppo e adattamento del cervello

SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI
(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)
Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma
TESI DI DIPLOMA
DI
MEDIATORE LINGUISTICO
(Curriculum Interprete e Traduttore)
Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle
LAUREE UNIVERSITARIE
IN
SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA
LE CAPACITÀ DI SVILUPPO E ADATTAMENTO
DEL CERVELLO UMANO
RELATORI:
Prof.ssa Adriana Bisirri
CORRELATORI:
Prof. Nicholas Farrell
Prof. Carlos Medina
Prof.ssa Claudia Piemonte
CANDIDATA:
ALESSANDRA ARENA
ANNO ACCADEMICO 2012/13
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A mio padre.
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Sommario
Introduzione...................................................................................................... 7
CAPITOLO I .................................................................................................... 8
1. Neuroanatomia e neurofisiologia dei processi di produzione del
linguaggio ............................................................................................................... 8
1.1. Struttura psicologica del linguaggio ...................................................... 15
2. Memorizzazione del linguaggio .................................................................... 19
3. Il cervello dell’interprete ................................................................................ 25
CAPITOLO II ................................................................................................ 31
1. Il cervello umano e le funzioni motorie ....................................................... 31
2. I riflessi e i movimenti automatizzati ........................................................... 35
3. Il pilota di Formula 1 ...................................................................................... 41
3.1. Studio sulla guida passiva ....................................................................... 43
3.2. Mental Economy Project......................................................................... 45
4. La plasticità del cervello ................................................................................ 46
CAPITOLO III ............................................................................................... 49
1. Uno sguardo d’insieme da una cabina a un abitacolo ................................ 49
2. Il pensiero ......................................................................................................... 53
3. L’attenzione ..................................................................................................... 56
4. Cervelli a confronto ........................................................................................ 59
Conclusioni...................................................................................................... 65
English section ................................................................................................ 67
CHAPTER I .................................................................................................... 68
1. Neuroanatomy and neurophysiology of language production’s process . 68
1.1 Psychological structure of language ....................................................... 73
2. Language memorization ................................................................................. 77
3. The interpreter’s brain .................................................................................... 81
4
CHAPTER II .................................................................................................. 87
1. The human brain and motor functions.......................................................... 87
2. The reflexes and reactive movements .......................................................... 90
3. The Formula 1 driver ...................................................................................... 94
3.1 Passive driving study ................................................................................ 96
3.2 Mental Economy Project .......................................................................... 98
4. Brain plasticity................................................................................................. 99
CHAPTER III............................................................................................... 101
1. From a booth to a cockpit ............................................................................ 101
2. The thought .................................................................................................... 104
3. The attention .................................................................................................. 106
4. Brains in comparison .................................................................................... 109
Conclusions ................................................................................................... 113
Sección española ........................................................................................... 115
CAPÍTULO I ................................................................................................ 116
1. Neuroanatomía y neurofisiología de los procesos de producción del
lenguaje ............................................................................................................... 116
2. Memorización del lenguaje .......................................................................... 119
3. El cerebro del intérprete ............................................................................... 122
CAPÍTULO II............................................................................................... 127
1. El cerebro humano y las funciones motoras .............................................. 127
2. Los reflejos y los movimientos automáticos ............................................. 129
3. El piloto de Fórmula 1 .................................................................................. 132
3.1. Estudio de conducción pasiva .............................................................. 134
4. Plasticidad neuronal ...................................................................................... 135
CAPÍTULO III ............................................................................................. 137
1. Una visión general entre una cabina y un habitáculo ............................... 137
2. El pensamiento .............................................................................................. 139
3. La atención ..................................................................................................... 140
5
4. Cerebros en comparación ............................................................................. 142
Conclusiones ................................................................................................. 145
Bibliografia ................................................................................................... 146
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Introduzione
Il nostro cervello è fatto per dare un senso a ciò che vediamo, ascoltiamo,
odoriamo, tocchiamo e assaggiamo. È in grado di aggiungere i tasselli mancanti o
che sfuggono alla nostra percezione con ciò che ci aspettiamo sia il quadro
d’insieme. È l’organo del corpo che consuma più energia pur costituendo solo il
2% della massa corporea, ma che grazie alla sua evoluzione fa sì che l’uomo sia la
specie più evoluta sulla terra. 1,400 grammi di sostanza che ci permettono di
correre, reagire agli stimoli, immagazzinare informazioni di qualsiasi genere,
pensare e soprattutto parlare.
Qui di seguito saranno analizzate due figure che apparentemente non
hanno niente in comune, ma che in realtà a livello cerebrale presentano affinità
affascinanti: l’interprete e il pilota di Formula 1. Vedremo come il nostro cervello
lavora sul piano linguistico e motorio, tutte le varianti che influiscono non solo
sull’attività cerebrale e sul risultato, ma anche sulla sua anatomia.
Una ricerca sperimentale che non può ancora portarci ad affermare quale
dei due cervelli sia più evoluto o sfruttato, o chi dei due individui eserciti il lavoro
più stressante, ma mette in evidenza la straordinaria potenza del cervello umano.
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CAPITOLO I
Nell'Ottocento Lewes1, nel suo The study of psychology si riferisce con
questi termini alla capacità umana di organizzare suoni per comunicare significati
ai propri simili: “Come gli uccelli hanno le ali, l'essere umano possiede il
linguaggio. Le ali forniscono agli uccelli quel loro atteggiamento caratteristico
che è la locomozione aerea. Il linguaggio fa sì che l'intelligenza e le passioni degli
esseri umani acquisiscano quel loro carattere peculiare di intelletto e sentimento”.
Ed è senz'altro facile rendersi conto dell'importanza del linguaggio per la
vita dell'uomo, senza di esso tante delle nostre attività quotidiane diventerebbero
se non impossibili, certamente molto difficoltose. Sarebbe più complicato
chiedere qualcosa, comunicare un bisogno, condividere ricordi, aspettative e
opinioni.
1. Neuroanatomia e neurofisiologia dei processi di produzione del
linguaggio
I centri nervosi responsabili delle vocalizzazioni acquisite, quali il
linguaggio dell’uomo, sono situati nelle porzioni più alte del cervello, mentre le
strutture più basse controllano le vocalizzazioni innate, cioè quelle non apprese
quali il pianto. Inoltre tutti i tipi di vocalizzazione sono resi possibili dall’integrità
dei nervi periferici che controllano la motilità laringea e sopralaringea.
Geroge Henry Lewes, Problems of life and mind v. 1 The study of psychology,
Boston 1880.
1
8
Studi di anatomia e fisiologia hanno messo in evidenza il ruolo di specifici
centri nervosi legati alla produzione delle vocalizzazioni sia nel sistema nervoso
centrale che nel sistema nervoso periferico.
Il grigio periacqueduttale mesencefalico è situato nella parte alta del tronco
encefalico ed è in stretto contatto con altre strutture nervose che intervengono nel
controllo della sensibilità dolorifica, questa relazione permette di vocalizzare dopo
aver subito un’aggressione. Il grigio periacqueduttale riceve informazioni
provenienti dall’ipotalamo, dall’amigdala, dalla corteccia anteriore del cingolo e
dalle aree somatosensoriali della corteccia. Invia informazioni al centro
ventrolaterale pontino e coordina l’attività dei nuclei dei nervi cranici coinvolti
nella produzione delle vocalizzazioni. Una lesione del grigio periacqueduttale è
causa di mutismo.
Il centro laterale pontino riceve informazioni dal grigio periacqueduttale,
dalla corteccia anteriore del cingolo, dall’area corticale laringea e dalle aree
somatosensoriali degli emisferi cerebrali. Da questo nucleo vengono inviate
informazioni al talamo, al cervelletto e ad alcuni nuclei dei nervi cranici, la
distruzione di questo nucleo altera notevolmente la capacità di vocalizzare.
Le aree della corteccia anteriore del cingolo sono essenziali per il controllo
dell’affettività poiché fungono da collegamento fra le motivazioni che inducono
alla vocalizzazione e la realizzazione di quest’ultima. La distruzione bilaterale di
queste strutture elimina completamente la parola, pur riuscendo ancora a
comprendere adeguatamente il linguaggio, questa situazione di mutismo però è
fortunatamente transitoria.
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John Lamendella, un linguista statunitense, riteneva che poiché queste
strutture intervengono sia nell’organizzazione delle emozioni, che nella
produzione delle vocalizzazioni e della parola, esse sono diversamente coinvolte
nella produzione della lingua madre rispetto ad altre lingue. In particolare,
Lamendella sosteneva che una lingua appresa da adulti per mezzo di regole
grammaticali non coinvolge probabilmente le strutture emozionali e richiede
pertanto un continuo processo di traduzione dalla lingua madre verso la seconda
lingua prima di essere prodotta.
L’area corticale laringea riceve informazioni dalla corteccia anteriore del
cingolo e partecipa al controllo dell’attività nervosa delle strutture del grigio
periacqueduttale e del centro ventrolaterale pontino. Anche la stimolazione
dell’area motoria supplementare determina la produzione di vocalizzazioni.
Chiaramente nella produzione del linguaggio sono coinvolte numerose
strutture cerebrali responsabili del controllo del movimento: durante la produzione
concatenata di fonemi, ad esempio, la laringe e il tratto vocale sopralaringeo
effettuano movimenti coordinati che generano le vibrazioni dell’aria percepite dal
cervello come suoni del linguaggio. Per realizzare correttamente questi
movimenti, il cervello deve essere costantemente informato sulla posizione degli
organi articolatori. Nell’uomo la memoria delle sequenze sensoriali e motorie che
formano il linguaggio è organizzata negli emisferi cerebrali, se le vie sensoriali e
motorie vengono interrotte gli impulsi prodotti dagli emisferi cerebrali non
raggiungono più i centri motori e sensoriali sotto il mesencefalo, che
rappresentano la parte esecutiva di tali impulsi.
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Il sistema nervoso periferico è importante nella vocalizzazione sia perché
invia al cervello informazioni sensoriali sulla posizione degli organi articolatori,
sia perché veicola i comandi proveniente dai centri corticali per il controllo
motorio fine delle strutture laringee e sopralaringee coinvolte nella produzione
linguistica. Le informazioni afferenti sono veicolate dai nervi trigemino,
glossofaringeo, vago e ipoglosso. Prima di giungere alla corteccia le informazioni
sensoriali vengono riorganizzate nel nucleo sensoriale del rispettivo nervo cranico
e nel talamo. Da qui raggiungono le aree corticali sensoriali, le aree premotorie ed
infine le aree motorie della bocca, della faringe e della laringe. Dalle aree
sensoriali, premotorie e motorie parte quindi una via nervosa, detta fascio
piramidale, che controlla i nuclei motori dei nervi cranici coinvolti nella
produzione del linguaggio. Il controllo corticale diretto sui motoneuroni dei nervi
cranici sembra essere una delle basi nervose che permettono all’essere umano di
apprendere con relativa facilità l’insieme dei movimenti che determinano la
produzione del linguaggio.
Nella maggior parte della popolazione l’emisfero cerebrale sinistro viene
definito dominante; è questo emisfero che diventa responsabile delle funzioni
linguistiche mentre l’emisfero destro, non connesso con il linguaggio, rimane
subordinato. Tale principio della lateralizzazione delle funzioni è diventato
naturalmente un nuovo e decisivo principio dell’organizzazione funzionale della
corteccia cerebrale.
11
L’emisfero
dominante
gioca
un
ruolo
importante
anche
nell’organizzazione cerebrale di tutte le più alte forme di attività cognitiva
connesse al linguaggio, come la percezione organizzata in schemi logici, la
memoria verbale attiva e il pensiero logico, mentre l’emisfero non dominante
inizia sia a svolgere un ruolo subordinato di questi processi, sia a non svolgerne
alcuno.
Esistono altre due aree definite cruciali per la produzione del linguaggio,
entrambe situate nell’emisfero sinistro: l’area di Broca e l’area di Wernicke.
L’area di Broca è spesso chiamata area motoria del linguaggio ed è situata
nella terza circonvoluzione frontale, subito davanti all’area motoria che controlla i
muscoli del volto, corrisponde alle aree citoarchitettoniche di Brodman 44 e 45.
Prende il nome dal suo scopritore il fisico anatomista francese Paul Broca che
successivamente a numerosi studi affermò che il linguaggio è controllato
dall'emisfero sinistro. È stato stimato, a seguito di numerosi esperimenti e studi,
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che i centri di controllo del linguaggio sono situati nell’emisfero sinistro nel 96%
delle persone destrimani e nel 70% dei soggetti mancini. Il rimanente 4% dei
soggetti destrimani mostra le aree del linguaggio a destra, mentre del 30% dei
soggetti mancini un 15% mostra le aree del linguaggio a destra e un 15%
bilaterali.
L’area di Broca consta di due zone principali, con diversi ruoli nella
produzione e comprensione del linguaggio. La pars triangularis (anteriore) è
associata all’interpretazione di varie modalità di stimoli e alla programmazione
dei condotti verbali. La pars opercularis (posteriore) è invece associata a un unico
tipo di stimolo e presiede al coordinamento degli organi coinvolti nella
riproduzione della parola.
Un danno funzionale in quest'area, provocato da ictus, ischemia o altro,
causa la cosiddetta afasia di Broca, classificata tra le afasie non fluenti. I pazienti
colpiti da afasia non fluente possono essere incapaci di comprendere o formulare
frasi con una struttura grammaticale complessa. Alcune forme di afasia legate a
danni nell'area di Broca possono colpire solo determinate aree del linguaggio,
come i verbi o i sostantivi.
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L’area di Broca è connessa per mezzo del fascio arcuato con l’area di
Wernicke, una regione della corteccia cerebrale in cui è localizzata una parte dei
centri per il linguaggio; fu scoperta dal neurologo tedesco Karl Wernicke e
corrisponde alla parte posteriore dell’area 22 di Brodmann, nel lobo temporale
superiore dell’emisfero sinistro. Le informazioni sensoriali relative alla
percezione del linguaggio arrivano nell’area di Wernicke, che è in stretta
associazione con l’area acustica primaria, dove avviene il processo di
decodificazione, ossia la trasformazione degli stimoli uditivi in unità linguistiche.
Una lesione di quest’area provoca un danno enorme alla comprensione e all’uso
mirato del linguaggio. Questi pazienti possono produrre suoni rapidi e ben
articolati e perfino sequenze di parole o di frasi appropriate, ma ciò che essi
dicono non appartiene alla sfera del linguaggio. Questi pazienti non comprendono
per nulla il linguaggio parlato e scritto, sebbene la loro capacità di udire e di
vedere sia fondamentalmente normale.
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L’area di Wernicke è la regione critica per la formazione concettuale e la
produzione del linguaggio. Le frasi da pronunciare si formano in quest’area per
poi essere trasmesse, tramite il fascio arcuato, all’area di Broca dove viene
elaborata la sequenza corretta delle parole che viene infine inviata alla corteccia
motoria che si occupa della pronuncia. La parola udita viene poi inviata dalla
corteccia uditiva primaria all’area di Wernicke in cui si attua il processo di
comprensione. Analogamente, la parola scritta va dalla corteccia visiva primaria
alle aree associative visive al giro angolare, che si ritiene integri l’informazione
visiva e acustica all’area di Wernicke.
1.1. Struttura psicologica del linguaggio
Considerando una parola come una matrice multidimensionale con diversi
indizi e connessioni acustiche, morfologiche, lessicali e semantiche, sappiamo che
in stadi diversi una di queste connessioni diventa predominante.
La psicologia considera il linguaggio come uno speciale mezzo di
comunicazione che usa la competenza linguistica per la trasmissione
dell’informazione stessa. Considera il linguaggio come una forma dell’attività
cosciente complessa e organizzata, che implica la partecipazione del soggetto che
formula l’espressione parlata e del soggetto che la riceve. Analogamente distingue
due forme e due meccanismi dell’attività linguistica.
In primo luogo vi è il linguaggio espressivo che inizia con la motivazione,
viene codificata in uno schema linguistico e attivata con l’aiuto del linguaggio
interiore, tali schemi vengono poi convertiti in un linguaggio narrativo basato
sulla grammatica. In secondo luogo vi è il linguaggio impressivo, che segue il
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corso opposto: parte dalla percezione di un flusso di linguaggio proveniente da
un’altra fonte per poi provare a decodificarlo, ciò avviene per mezzo dell’analisi
dell’espressione parlata che è percepita grazie all’identificazione dei suoi elementi
significativi e alla loro riduzione a schemi linguistici. Questo viene convertito per
mezzo dello stesso linguaggio interiore nell’idea dello schema generale che passa
attraverso l’espressione e infine la motivazione che vi è alla base viene
decodificata.
Tale attività linguistica è una struttura altamente complessa, vi sono
tuttavia altri aspetti del linguaggio: può essere visto come strumento per l’attività
intellettuale o come metodo per regolare e organizzare i processi mentali umani. Il
linguaggio basato sulla parola, l’unità base della competenza linguistica e sulla
frase come unità di base per l’espressione narrativa, usa automaticamente tali
facilitazione come un metodo di analisi e generalizzazione dell’informazione in
arrivo, e come metodo per formulare decisioni e trarre conclusioni. Ecco perché il
linguaggio è diventato allo stesso tempo un meccanismo dell’attività intellettuale,
un metodo per far uso delle operazioni di astrazione e generalizzazione oltre che
mezzo di comunicazione.
Tuttavia il linguaggio umano, usando la sua competenza linguistica come
uno strumento principale, ha anche il suo aspetto esecutivo o operativo. La prima
componente di questa organizzazione è il meccanismo dell’aspetto acustico, il
quale comprende l’analisi del flusso del linguaggio che trasforma un flusso
continuo di suoni in fonemi, ognuno dei quali si basa sul fatto che l’isolamento
dei suoni utili gioca un ruolo decisivo nella discriminazione del significato, e che
essi differiscono in ogni lingua.
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La componente successiva è l’organizzazione lessicale-semantica dell’atto
linguistico che utilizza la padronanza del codice lessicale morfologico del
linguaggio per far sì che le immagini o i concetti siano trasformati nei loro
equivalenti verbali. Il codice in se stesso è formato dalla simbolizzazione radicale
del linguaggio e dalla funzione della sua generalizzazione, la formazione di tale
reticolo di gruppi morfologici o semantici illustra solo esempi di categorie
semantiche altamente complesse in cui è inclusa ogni parola che costituisce
l’unità generalizzata del linguaggio. A seguire vi è la frase o espressione che può
variare in complessità e che può essere trasformata in linguaggio narrativo, tale
espressione è il processo di transizione dal pensiero al linguaggio.
La prima condizione per la decodifica del linguaggio in ingresso è
l’isolamento di precisi fonemi dal flusso del linguaggio che arriva al soggetto, le
zone postero-superiori della regione temporale sinistra sono particolarmente
adatte a isolare e identificare le caratteristiche fonemiche fondamentali. Questa
funzione fisiologica rappresenta il diretto contributo alla struttura dei processi
linguistici. Il passo successivo nel linguaggio impressivo è la comprensione del
significato di un’intera frase o espressione linguistica strutturata: l’organizzazione
cerebrale di questo processo è molto più complessa di quella della semplice
codificazione del significato delle parole. Durante l’apprendimento della scrittura
sembra vi siano tre principali meccanismi implicati nel processo, essi dipendono
dalla partecipazione di zone cerebrali diverse e assumono forme differenti.
La prima condizione necessaria per la decodificazione del linguaggio
narrativo è la ritenzione di tutti gli elementi dell’espressione nella memoria
linguistica, se questa condizione viene a mancare è impossibile la comprensione
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della frase. La seconda condizione essenziale è la sintesi simultanea degli
elementi e l’essere in grado di riassumere simultaneamente la frase e organizzarla
in uno schema logico percepito. Ciò è essenziale per la comprensione di molte
forme di linguaggio narrativo semplice; viceversa questo esame simultaneo e la
formazione di schemi logici simultanei sono assolutamente essenziali per la
comprensione delle costruzioni linguistiche che comprendono relazioni logicogrammaticali complesse, espresse con l’aiuto di proposizioni, desinenze dei casi e
dell’ordine delle parole.
La terza e più importante condizione per la comprensione del linguaggio
narrativo è l’analisi attiva dei suoi elementi più significativi. Tale analisi attiva
viene difficilmente richiesta per la codificazione delle frasi semplici, diventa
tuttavia una condizione assolutamente indispensabile per codificare il significato
di frasi complesse e, più specificatamente, per la comprensione del significato
generale e in particolare, delle sfumature di un’asserzione narrativa complessa.
Il tipo di linguaggio espressivo più elementare è quello ripetitivo. La
semplice ripetizione di un suono, una sillaba o una parola, richiede naturalmente
la sua accurata percezione uditiva, chiaramente perciò i sistemi della corteccia
temporale devono prendere parte all’atto di ripetizione degli elementi del
linguaggio. È necessaria la partecipazione di un sistema sufficientemente preciso
di articolazioni e questo dipende dalla partecipazione delle zone inferiori della
corteccia postcentrale dell’emisfero sinistro. Per il linguaggio ripetitivo è
essenziale l’abilità a cambiare da un articolema all’altro o da una parola all’altra.
La ripetizione di una qualsiasi struttura viene a trovarsi inevitabilmente in
conflitto con la riproduzione di parole foneticamente simili ma significative e
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note. Perché tale prova sia eseguita correttamente sono necessari alcuni gradi di
astrazione di questi stereotipi ben stabilizzati, la subordinazione dell’articolazione,
un programma assegnato e l’inibizione di alternative rilevanti.
Un altro tipo di linguaggio espressivo è la denominazione degli oggetti. In
questo caso non vi è alcun modello acustico della parola richiesta e il soggetto
deve trovarlo da sé, partendo dall’immagina visiva dell’oggetto percepito e
decodificando poi l’immagine per mezzo di una parola appropriata del linguaggio
parlato.
Per un’adeguata denominazione degli oggetti è necessario un livello
sufficientemente chiaro di percezione visiva: appena la percezione visiva perde la
sua precisione la denominazione degli oggetti viene compromessa, avendo perso
la sua concreta base ottica. Tale fenomeno viene descritto come afasia ottica e di
regola si verifica in seguito a lesioni delle zone tempo-occipitali dell’emisfero
sinistro. È fondamentale per una corretta denominazione degli oggetti la mobilità
dei processi nervosi. La sua funzione essenziale è di assicurare che, una volta
trovato il nome, esso non venga congelato, non diventi uno stereotipo inerte,
cosicché quando il soggetto denomina un oggetto non è più in grado di passare
facilmente a un altro nome. Suddetta condizione tuttavia viene alterata in lesioni
delle zone inferiori dell’area premotoria sinistra.
2. Memorizzazione del linguaggio
La memorizzazione è un processo complesso consistente di una serie di
stadi che differiscono nella loro struttura psicologica, nel volume di tracce che
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possono essere fissate, e nella durata del loro immagazzinamento che si estende su
un certo periodo di tempo.
I processi di memorizzazione iniziano con l’imprinting della traccia
verbale, le informazioni hanno carattere multiplo e l’imprinting permette la scelta
di alcune facendo un’appropriata selezione. Gli stimoli percepiti a questo punto
vengono convertiti in immagini visive, questo stadio viene considerato intermedio
in quanto seguito dalla fase finale, la codificazione delle tracce o la loro
inclusione in un sistema di categorie. I sistemi di connessione tramite cui sono
introdotte le tracce dell’informazione che raggiungono il soggetto sono codificati
in rapporto a indizi differenti, e di conseguenza formano delle matrici
multidimensionali da cui il soggetto deve ogni volta scegliere il sistema che
servirà per la codificazione. Questo approccio avvicina il processo di richiamo a
un’attività investigativa complessa e attiva, permette al soggetto di usare le attività
linguistiche e costituisce l’essenziale collegamento nel passaggio dalla memoria a
breve termine a quella a lungo termine.
La memoria a breve termine mantiene disponibili una quantità limitata di
unità informazionali per periodi di tempo che vanno da alcuni secondi a qualche
minuto, l’analisi delle diverse sottocomponenti di questa forma di memoria ha
portato allo sviluppo del concetto di memoria di lavoro, ovvero di quel sistema
che contiene ed elabora le informazioni solo temporaneamente e che partecipa
anche ad altri compiti cognitivi essenziali come il ragionamento, la comprensione,
l’apprendimento e la consapevolezza. La memoria di lavoro consta di un
esecutore centrale e un circuito fonologico: il primo è un sistema che integra e
controlla le informazioni contenute nella memoria a breve termine tramite la
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focalizzazione dell’attenzione, che controlla ed eventualmente modifica il
comportamento in corso e che sembra legato all’integrità dei lobi frontali; il
circuito fonologico invece è formato da due sottosistemi il magazzino fonologico
e il processo di ripetizione sub vocalica.
Mentre l’input entra nel magazzino fonologico automaticamente, le
informazioni da altre modalità entrano nel magazzino fonologico solo tramite la
ricodifica in forma fonologica, un processo eseguito dalla reiterazione
subvocalica. Poiché l’articolazione opera in tempo reale, la capacità del
magazzino fonologico è limitata dal numero di elementi che possono essere
articolati in tempo reale prima che le tracce mnestiche svaniscano. Il significato
non interferisce notevolmente con il ricordo a breve termine, mentre diventa una
variabile cruciale nel ricordo a lungo termine, il significato delle parole infatti
attiva strutture di memoria a lungo termine che facilitano il ricordo. Il
meccanismo di ripetizione è fondamentale per lo span vocale e permette di
conservare una serie di stimoli verbali per circa dieci secondi.
La memoria a lungo termine è un magazzino in cui la conoscenza si
organizza in modo permanente e duraturo, di cui tuttavia non è attualmente nota
né la capacità né il tempo di conservazione delle informazioni. Nei sistemi della
memoria a lungo termine è possibile operare una distinzione tra i cosiddetti
sistemi di memoria implicita e memoria esplicita.
La memoria esplicita fa riferimento a quel tipo di conoscenza cui si può
avere accesso consapevole, esempi di questo tipo di conoscenza sono le nozioni
scolastiche sulla storia, oppure sapere ciò che si può acquistare in un negozio o i
ricordi degli episodi della propria vita. È rilevante che i contenuti di questo tipo di
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memoria possono essere recuperati consapevolmente e verbalizzati. Nell’ambito
della memoria esplicita si distingue la memoria semantica da quella episodica: la
memoria semantica riguarda l’insieme delle conoscenze enciclopediche sul
mondo che ci permette di sapere che Roma è la capitale d’Italia, mentre la
memoria episodica riguarda le esperienze del passato che si è in grado di
recuperare volontariamente e di raccontare. La memorizzazione di informazioni
esplicite aumenta se il soggetto focalizza l’attenzione sul compito e se viene
emotivamente coinvolto, le esperienze emotivamente neutre vengono invece
dimenticate con più facilità. Il sistema affettivo gioca dunque un ruolo
fondamentale nella scelta di ciò che vale la pena essere memorizzato, tuttavia le
esperienze emotive estreme, come gli shock emotivi dovuti a violenze o traumi,
provocano un completo collasso dei sistemi della memoria esplicita. Un grave
evento traumatico può dunque causare una completa amnesia dell’episodio stesso,
mentre permangono le memorie implicite dell’evento stesso.
La memoria implicita è legata ad un tipo di apprendimento e di conoscenza
che dipendono dall’esecuzione ripetuta di un compito. Queste memorie si
instaurano anche quando il soggetto non è consapevole della natura della
conoscenza acquisita, o addirittura non ricorda gli episodi durante i quali ha
appreso il compito, esempi di memoria implicita sono la capacità di suonare
strumenti ad orecchio o l’acquisizione di abilità motorie.
Una caratteristica fondamentale di questo tipo di memoria risiede nel fatto
che essa è acquisita in assenza di consapevolezza, ne consegue che questo tipo di
memoria è usato automaticamente al di fuori del controllo consapevole e l’accesso
ad esso non può avere luogo tramite introspezione cosciente. Le conoscenze
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acquisite in forma implicita non sono accessibili all’introspezione verbale,
nessuno infatti è capace ad andare in bicicletta dopo aver seguito solo delle lezioni
teoriche. Sembra inoltre che l’acquisizione di conoscenze implicite avvenga senza
necessità di fare attenzione o di concentrarsi. Nell’ambito della memoria implicita
si distinguono: procedure cognitivo-motorie quali quelle alla base della capacità di
camminare, guidare, ecc.; il priming cioè il fenomeno per cui il rilevamento o il
completamento di stimoli sensoriali è facilitato dalla presentazione subliminale di
uno stimolo ad essi apparentato; il condizionamento classico o emozionale,
ovvero l’associazione fra stimoli sensoriali e complesse risposte fisiologiche.
La consapevolezza di quello che viene appreso viene tipicamente espresso
tramite il linguaggio, è per questo che sembra contro intuitivo che alcuni aspetti
del linguaggio siano legati a memorie implicite. Studi clinici attestano che
conoscenze necessarie alla comprensione e all’espressione in una lingua possono
essere in larga parte di tipo procedurale; vi sono dati a favore dell’idea che non si
è consapevoli dell’acquisizione e dell’uso della sintassi, specie quella della prima
lingua, né delle attività sensomotorie necessarie alla produzione dei fonemi,
questo perché la memoria implicita matura più precocemente di quella esplicita.
Sembra che alcuni aspetti del linguaggio possono essere appresi e utilizzati in
forma implicita, tuttavia per apprendere in maniera consapevole il significato di
nuove parole è necessario che siano integre le basi nervose che sostengono la
memoria semantica, una componente della memoria esplicita. Studi hanno
mostrato che la rappresentazione della morfosintassi, ma non quella del lessico,
presentava gli stessi profili maturativi della memoria procedurale, e che la sintassi
23
e il lessico erano rappresentati in zone diverse del cervello, rispettivamente nelle
aree frontale e tempo-parietale sinistra.
È noto che l’acquisizione della sintassi di una seconda lingua è più difficile
e raramente raggiunge livelli ottimali se la lingua viene acquisita dopo una certa
età critica, che grossolanamente corrisponde alla pubertà. Questo perché le
strutture del lobo frontale organizzano le componenti sintattiche di una lingua solo
se questa è acquisita entro una certa età, dopodiché altre strutture del cervello si
incaricano di organizzare gli aspetti grammaticali di una seconda lingua, ed è
probabile che queste strutture sostitutive permettano un apprendimento soprattutto
su base esplicita.
Michel Paradis2 ha suggerito che in un bilingue la lingua madre e la
seconda lingua possono essere memorizzate in sistemi differenti della memoria,
ad esempio se la lingua madre è una lingua acquisita solo nella forma orale essa
verrebbe prevalentemente memorizzata con modalità implicite; per contro
nell’apprendimento di una seconda lingua che si impara per regole grammaticali e
nella quale si usano spesso i meccanismi di traduzione mentale per esprimersi, la
memoria implicita è molto meno coinvolta.
Dunque l’acquisizione della lingua madre sembra maggiormente legata
alla memorizzazione implicita rispetto alla seconda lingua. Tuttavia, anche nella
prima lingua sono coinvolte costantemente sia componenti della memoria
implicita che della memoria esplicita, ad esempio durante la comprensione
vengono in genere attivate contemporaneamente componenti della memoria
Michel Paradis professore emerito di neurolinguistica alla McGill University di
Montreal.
2
24
semantica per il riconoscimento del lessico e componenti della memoria implicita
per la comprensione sintattica.
3. Il cervello dell’interprete
Quella dell’interprete è un’immagine così consueta che spesso non si nota
nemmeno: vediamo solo una figura discreta al fianco di un ospite straniero,
oppure ascoltiamo una voce nelle cuffie durante una conferenza. Tradurre da una
lingua all’altra è un’operazione apparentemente semplice, ma in pochi conoscono
la complessità dei processi biologici che stanno dietro a tutto questo.
Se il valore del linguaggio sta nella capacità di risolvere pacificamente un
contrasto, il lavoro dell’interprete è fondamentale, poiché serve ad aiutare la gente
a capirsi, un’impresa che richiede attenzione e rispetto.
Gli interpreti esistono fin dall’inizio dei tempi, quando le tribù iniziarono
ad incontrarsi durante il loro nomadismo e si resero conto di parlare lingue diverse
e quindi di non poter comunicare. Furono motivi prettamente commerciali a
spingere alcune persone ad imparare le lingue dei popoli vicini per poterne così
sfruttare acqua e cibo. A testimonianza della loro esistenza sono stati ritrovati
geroglifici rappresentanti gli interpreti sulle tombe dei faraoni risalenti al III
millennio a.C., mentre in epoca romana diventa un impiego a tutti gli effetti, dove
lo stato stipendiava gli interpreti per la pubblica amministrazione.
Oggigiorno in Italia sono numerose le scuole superiori a livello
universitario e i corsi di laurea per interpreti e traduttori, ciononostante c’è chi si
afferma nella professione senza aver seguito una formazione specifica; bisogna
però fare una distinzione fra traduzione e interpretariato, poiché al di là delle
25
conoscenze linguistiche, la preparazione, i fattori come tempo e prontezza di
risposta e il risultato sono decisamente differenti.
Il lavoro dell’interprete richiede preparazione e studio dell’argomento che
deve essere affrontato, questo permette di interiorizzare i concetti base e con un
attento ascolto è più semplice cogliere le parole chiave del discorso.
L’interpretazione simultanea in particolare è uno dei lavori più stressanti “È come
camminare su una corda senza vederla”3, si possono fare ipotesi ma non si sa
come si evolverà il discorso, è dunque necessaria una costante attenzione e
concentrazione. Nell’interpretazione consecutiva invece ci si aiuta con gli appunti,
fatti non di parole ma di simboli, una sorta di codice ideografico che viene
decodificato in modo più simmetrico dai due emisferi cerebrali.
Parlare di traduzione come di un mero processo linguistico è limitativo:
non solo lingue diverse attivano aree differenti del cervello, ma sembra che
esistano moduli specializzati per tradurre in una direzione o l’altra, ovvero l’area
impegnata a tradurre dall’italiano all’inglese non sarà la stessa usata per tradurre
dall’inglese all’italiano. Questo porta a stabilire che, per quanto ci si possa
avvicinare al perfetto bilinguismo, esiste sempre un idioma considerato come la
propria lingua madre che ha delle connotazioni linguistiche che una lingua
straniera non ha. Il modo in cui le informazioni vengono immagazzinate porta a
consolidare la lingua con cui si cresce grazie ad un maggior livello di associazioni
emotive, anche quando si tratta di parole del linguaggio burocratico
apparentemente prive di connotazioni affettive, mentre in una lingua straniera, per
quanto conosciuta a fondo, le parole restano semplici associazioni linguistiche.
3
M. Astrologo, Cervello da interprete, Mente e Cervello, n. 49, gennaio 2009.
26
In passato si pensava che l’area deputata alla traduzione si trovasse
nell’emisfero sinistro, dove vi sono i centri dell’elaborazione linguistica, oggi è
noto che l’interpretazione (consecutiva o simultanea) è un compito complesso che
coinvolge attenzione e memoria attivando entrambi gli emisferi. Alcuni studi
hanno dimostrato come gli interpreti che traducono in simultanea preferiscano far
entrare l’input dalle cuffie attraverso l’orecchio sinistro e controllare quello che
dicono col destro, mentre nel parlato monolingue si tende ad usare in prevalenza il
destro.
I meccanismi responsabili della comunicazione, quelli che ci permettono
di scegliere la lingua da usare in modo coerente senza saltellare da un idioma
all’altro si trovano nel lobo frontale, un’area non specificamente linguistica ma
che ha a che fare con i processi decisionali. Il lavoro dell’interprete è una sorta di
procedimento automatico che consente di tradurre senza ascoltare davvero, è
ipotizzabile che esistano vie di traduzione che passano attraverso i centri del
significato e altre che sono una specie di ecolalia, in cui si ripete una frase
nell’altra lingua senza capirla.
La capacità di un interprete non sta solo nel tradurre ma nel come si
traduce, ossia come vengono utilizzati tutti gli elementi di una frase, come la
scelta dei termini, il registro linguistico, l’intonazione, che ne arricchiscono e a
volte modificano il significato.
L’elemento base dell’interpretazione è la parola, questa rappresenta una
matrice plurivalente che genera contemporaneamente un intero fascio di
connessioni possibili tra le quali il parlante deve scegliere le une ed inibire le
altre. Tale concezione si fonda sul fatto che la parola ha nello stesso tempo una
27
complessa struttura semantica di cui fa parte sia un determinato rapporto concreto
(parola-oggetto), sia un sistema di generalizzazioni noto in psicologia e in
psicolinguistica come significato della parola. Proprio questa complessa struttura
della parola presuppone necessariamente un processo di scelta nell’interprete che
deve essere in grado di selezionare in brevissimo tempo il significato o il
sinonimo più adatto ad un dato contesto. A ciò bisogna aggiungere che ogni
parola, essendo un complesso sonoro, può generare una serie di parole di suono
affine, si capisce dunque che la ricerca della parola non è affatto un processo di
semplice reperimento del segno voluto in uno schedario di segni possibili, ma
deve essere piuttosto rappresentato come un processo di scelta attiva della parola
necessaria tra molte alternative possibili. Naturalmente l’atto di scegliere la parola
necessaria presuppone un’elevata selettività nei processi nervosi e proprio questa
selettività resta la caratteristica del normale svolgimento dell’attività nervosa
superiore. In condizioni normali tale selettività è determinata dal fatto che la
parola necessaria, consolidata nell’esperienza precedente, affiora con maggiore
probabilità delle parole collaterali, ed è questo che rende possibile il processo di
scelta della parola necessaria. Soltanto nella ricerca di parole rare questa
probabilità dell’affiorare della parola necessaria scompare, la probabilità di
affioramento delle varie connessioni che stanno dietro quella parola e delle parole
che includono caratteri eguali si riducono allo stesso livello e la persona che cerca
la parola necessaria inizia a trovarsi in difficoltà.
Se si confronta un soggetto naive con un interprete si nota come l’attività
cerebrale differisca: il cervello dell’interprete è dotato di una maggiore capacità
selettiva dei termini e una più celere connettività neuronale che gli permette di
28
svolgere questo processo di selezione in un tempo minore. Questo vale però solo
per la lingua madre, che come spiegato in precedenza presenta associazioni a
livello emotivo, e non per la seconda o terza lingua appresa. La ricerca di un
sinonimo nella seconda lingua richiede maggiore attenzione poiché le associazioni
linguistiche non sono emotivamente radicate, ciò causa un brevissimo aumento
nei tempi di risposta.
Tutti questi dati mettono in luce una complessa rete di comunicazioni
cerebrali tra i due emisferi, ciascuna delle condizioni che partecipano al
complesso processo di formazione dell’enunciato, decodificazione del pensiero e
decodificazione della comunicazione, si realizza grazie alla stretta partecipazione
di una serie di apparati del cervello che funzionano di concerto e che assicurano
questo complicato processo. Il cervello dell’uomo lavora con la costante
partecipazione di almeno tre dei blocchi fondamentali, il primo assicura la veglia
della corteccia e rende possibile l’attuazione prolungata delle forme selettive di
attività, il secondo riceve, rielabora e conserva le informazioni, mentre il terzo è
l’apparato che assicura la programmazione, la regolazione e il controllo
dell’attività in corso. Ogni atto del comportamento si fonda dunque sul lavoro
comune dei fondamentali blocchi funzionali del cervello e ciascuno di questi
assicura un aspetto diverso a tale processo.
Attualmente il 75% degli iscritti all’associazione interpreti di conferenza
sono donne, questo dato non è un caso ma può essere scientificamente spiegato: il
cervello femminile ha una maggior capacità di far interagire i due emisferi
cerebrali, ma anche una maggiore velocità di elaborazione linguistica e sensibilità
nel percepire l’intonazione prosodica del linguaggio.
29
Il cervello dell’interprete può dunque definirsi per alcuni aspetti più
sviluppato rispetto ai soggetti naive, poiché vi sono delle capacità da loro
maggiormente sviluppate, come l’attenzione, permettendo così di sfruttare al
meglio le energie nervose e concentrarle in processi di maggior interesse.
30
CAPITOLO II
In un mondo in costante movimento il cervello umano ha dovuto
sviluppare un sofisticato senso del movimento, il quale costituisce la principale
forma di comunicazione e di espressione nonché la base della sopravvivenza.
Come le sensazioni riflettono la capacità dei sistemi sensoriali di
prelevare, analizzare e valutare il significato degli eventi fisici, l’agilità e la
destrezza riflettono la capacità dei sistemi motori di pianificare e di eseguire
movimenti complessi in modo coordinato.
1. Il cervello umano e le funzioni motorie
Esistono diversi tipi di movimento che possono essere sviluppati:
movimenti riflessi cioè risposte brevi e involontarie a stimoli sensoriali;
movimenti semi-automatici ovvero movimenti ciclici o ripetitivi; movimenti
volontari cioè innescati da un’autonoma iniziativa del soggetto, non sono
movimenti innati ma esistono movimenti volontari che possono diventare
automatizzati con l’esercizio.
Il sistema nervoso centrale si prefigura in modo astratto il risultato del
movimento indipendentemente dai meccanismi che verranno effettuati per
ottenerlo; a questo scopo viene messo in atto un piano motorio, un insieme di
comandi già strutturati da indirizzare ai muscoli e che deve essere avviato secondo
una temporizzazione ben precisa affinché tutta la sequenza motoria possa avvenire
anche senza un feedback periferico. Il piano dunque specifica come, quando e
dove muoversi.
31
Il tempo di reazione, la precisione e la durata del movimento sono tutti
fattori variabili, ovvero il tempo di reazione sarà maggiore in funzione alla
quantità di informazioni elaborate e la velocità di esecuzione dei movimenti
volontari è inversamente proporzionale alla precisione.
Il cervello umano è diviso in due ampi emisferi cerebrali separati da una
scissura longitudinale, qui si originano complesse attività motorie regolate
automaticamente dal cervelletto sulla base di informazioni sensoriali e ricordi di
esempi di apprendimento del movimento. Ogni emisfero cerebrale riceve
informazioni sensoriali e genera comandi motori che concernono il lato opposto
del corpo; sebbene anatomicamente appaiano identici, i due emisferi presentano
alcune differenze funzionali e l’assegnazione di una specifica funzione ad una
specifica
regione
del
cervello
è
sempre
imprecisa.
I due emisferi sono a loro volta suddivisi in lobi, ognuno contenente delle regioni
32
funzionali i cui confini non sono facilmente delineabili: il lobo frontale contiene
l’area corticale motoria primaria che controlla i movimenti volontari; il lobo
parietale contiene la corteccia sensoriale primaria a cui afferiscono gli stimoli
tattili, dolorifici, pressori e termici; il lobo occipitale contiene la corteccia visiva,
percezione conscia degli stimoli visivi che influenzano la postura e l’equilibrio; il
lobo temporale contiene la corteccia uditiva e olfattiva, per una percezione
conscia degli stimoli uditivi e olfattivi.
Le aree sensitive e motorie della corteccia sono connesse tra loro grazie
alle aree associative, tali regioni sono deputate all’interpretazione delle sensazioni
in ingresso o al coordinamento di impulsi motori in uscita.
Anche nel talamo sono presenti centri di controllo di informazioni
sensitive e motorie, questo è un’importante stazione per le informazioni sensoriali
ascendenti che devono essere proiettate alla corteccia sensoriale primaria e
coordina le attività motorie a livello conscio e subconscio.
La comunicazione tra sistema nervoso centrale ed organi periferici avviene
tramite vie in grado di correlare le informazioni sensitive e motorie tra la periferia
e i centri superiori del cervello. Ogni via consiste in una serie di fasci e di nuclei
associati, la processazione di solito si verifica in diversi punti lungo la via laddove
le
sinapsi
trasmettono
i
segnali
33
da
un
neurone
all’altro.
Tutti i fasci coinvolgono encefalo e midollo spinale e spesso dal nome si possono
desumere origine e destinazione del fascio. I recettori di senso sono cellule
specializzate, in grado di percepire quello che sta accadendo sia all’interno del
corpo che nell’ambiente che lo circonda. Quando uno di questi recettori viene
stimolato, esso passa l’informazione al SNC mediante potenziali d’azione che si
muovono lungo l’assone del neurone sensitivo. L’insieme delle strutture che
convoglia informazioni di senso al SNC è dunque composto dai recettori, dai
neuroni sensitivi e dalle vie sensitive cioè dall’insieme degli assoni e dei nuclei
che tali assoni raggiungono, aventi il compito di far giungere le informazioni di
senso al SNC. Le informazioni sensitive somatiche (provenienti dal mondo
esterno, dai muscoli e dalle articolazioni) giungono alla corteccia sensitiva
primaria del telencefalo, mentre le informazioni sensitive viscerali fanno capo per
lo più al diencefalo e al tronco encefalico. Il compartimento efferente del sistema
nervoso è composto dai nuclei e dall’insieme degli assoni dei neuroni di moto,
somatomotori o visceroeffettori; le vie motrici somatiche controllano i muscoli
scheletrici, le vie viscero-effettrici controllano il comportamento degli organi
(secrezione delle ghiandole, battito cardiaco, respirazione).
34
I comandi
visceroeffettori decorrono mediante il SNA. Le vie motrici somatiche si articolano
su almeno due neuroni: un motoneurone superiore e uno inferiore. L’attività del
motoneurone superiore può stimolare o inibire il motoneurone inferiore, ma
soltanto l’assone del motoneurone inferiore si porta al di fuori del SNC per
innervare la muscolatura scheletrica. Gli impulsi motori somatici raggiungono i
bersagli attraverso tre sistemi integrati di vie motorie: la via corticospinale,
deputata al controllo volontario della muscolatura scheletrica che muove occhi,
mascella e viso; la via del cordone mediale, per il controllo del tono muscolare e
movimenti grossolani di collo, tronco e muscoli degli arti prossimali; la via del
cordone laterale, implicata nel controllo del tono muscolare e dei movimenti più
precisi delle parti distali degli arti. L’attività di queste vie motrici è continuamente
controllata e regolata dai nuclei della base e dal cervelletto, i loro impulsi in uscita
possono stimolare o inibire sia i nuclei motori che la corteccia motrice primaria.
A livello anatomico e fisiologico dunque, il movimento può essere
descritto come un continuo passaggio di informazioni tra i numerosi neuroni
presenti nel nostro corpo, il tutto sotto la supervisione del cervello che coordina
tutte le parti del nostro corpo.
2. I riflessi e i movimenti automatizzati
L’uomo riceve dall’ambiente innumerevoli stimoli sensoriali ai quali deve
adattarsi rispondendo attraverso il proprio corpo con l’assunzione di posture o
atteggiamenti o con l’esecuzione di movimenti. Ogni risposta di adattamento che
avviene senza il controllo della coscienza o senza l’intervento della volontà viene
detta reazione riflessa. Le attività motorie riflesse avvengono automaticamente,
35
senza comandi precisi dai centri superiori encefalici, i centri superiori possono
però avere un’importante effetto sulla funzionalità dei riflessi.
Il percorso di un riflesso inizia con l’arrivo dello stimolo e l’attivazione di
un recettore che mediante le radici posteriori dei nervi spinali invia la
informazione al SNC, qui avviene la sinapsi tra l’assone del neurone sensitivo e
un neurone associativo il cui assone raggiunge un neurone motorio posto nel
midollo spinale. L’assone del neurone di moto trasporta il potenziale d’azione
verso la periferia e raggiunge il muscolo, la zona di contatto tra l’assone del
neurone di moto e la superficie della fibra muscolare è una zona altamente
specializzata detta placca motrice a livello della quale avviene il rilascio del
neurotrasmettitore.
I riflessi possono essere così classificati:

Dal loro sviluppo, acquisiti o innati;

Dal luogo di elaborazione dell’informazione, midollo spinale o nervi
cranici;

Dalla natura della risposta motoria che ne deriva, somatica, viscerale o
autonoma;

Dalla complessità dei circuiti neuronali coinvolti, monosinaptici o
polisinaptici.
36
Nel più semplice arco riflesso un neurone sensitivo fa sinapsi su un
neurone motorio, questo viene detto riflesso monosinaptico, ne è un esempio il
riflesso rotuleo; la trasmissione attraverso una sinapsi chimica coinvolge sempre
un ritardo sinaptico, ma in questo caso il ritardo tra stimolo e risposta è minimo.
Quando tra il neurone sensitivo e quello motorio si interpongono uno o più
neuroni associativi invece, il riflesso viene detto polisinaptico. Questi riflessi
hanno un ritardo più lungo tra stimolo e risposta, poiché la lunghezza del ritardo è
proporzionale al numero di sinapsi coinvolte.
Alcuni riflessi però possono essere definiti come i predecessori della
motricità
automatica:
esistono
infatti
dei
movimenti
detti
riflessi
di
raddrizzamento, ovvero movimenti innati che il corpo compie sin dai primi mesi
di vita per contrastare la gravità ed acquisire progressivamente una posizione
eretta. La motricità riflessa viene dunque via via integrata dalle reazione di
equilibrio, in quanto le esperienze di movimento portano il corpo ad acquisire
nuove posizioni e nuove modalità di traslocazione attraverso un processo di
apprendimento; durante tale processo la motricità riflessa innata si adatta e viene
condizionata. I riflessi condizionati creano nuovi legami tra gli stimoli esterni e i
37
processi
fisiologici
facilitando
in
tal
modo
un
migliore
adattamento
dell’organismo alle diverse situazioni.
Perciò i meccanismi automatici e riflessi assumono un’importanza
determinante nella conduzione e nella regolazione del movimento, ma sono una
componente parziale del movimento umano, rapportabile ad un controllo nervoso
che coinvolge le vie periferiche e i centri sottocorticali.
In contrapposizione alla motricità riflessa vi è la motricità volontaria e
controllata, cioè tutti quegli atti motori intenzionalmente voluti e che richiedono
all’uomo un certo grado di attenzione, cura e controllo. Tali movimenti si
manifestano prevalentemente nelle situazioni di apprendimento motorio e
vengono eseguiti con l’intenzione di raggiungere un fine programmato, quando
vengono eseguiti per le prime volte appaiono poco fluidi, poco coordinati e
comportano un maggior dispendio energetico. La padronanza del movimento è
frutto di una elaborazione mentale controllata, che lascia progressivamente il
posto alla motricità automatizzata. Il processo di consolidamento avviene fintanto
che quella gestualità viene praticata ed utilizzata, in caso contrario le abilità
acquisite possono essere poco per volta dimenticate rendendo il processo
reversibile.
Le caratteristiche dell’attività automatizzata sono molteplici: velocità,
bassi livelli di attenzione, consente il controllo agevole di più compiti o
movimenti anche in competizione tra loro e comporta un basso dispendio
energetico.
I movimenti automatizzati vengono immagazzinati nella memoria
chinestesica, in seguito a determinati input abituali il sistema di controllo
38
automatizzato reagisce attuando un programma motorio o pattern prelevato da
questo sistema di memoria. Durante un atto automatizzato la nostra attenzione può
essere rivolta ad altro, consentendo il concentrarsi su variabili ambientali e
situazionali che possono modificare il programma motorio o, se è il caso,
cambiarlo attivandone uno più appropriato.
La
prestazione
abile
e
automatizzata
ha
dunque
un
supporto
neurofunzionale nel programma motorio che risiede nel sistema di memoria
procedurale, ovvero la memoria a lungo termine. Questa risiede nella neocorteccia
che si modifica strutturalmente ad ogni apprendimento motorio per adattarsi e
ricordare le esperienze di vita; son ben tre i sistemi di memoria coinvolti
nell’elaborazione dell’informazione che dà come risultato la produzione del
movimento:
1. Il deposito sensoriale raccoglie tutti gli input cinestesici e ambientali, ha
un tempo di ritenzione dell’informazione pari a 250 μs, attraverso un
processo di selezione e filtraggio di queste informazioni le afferenze
ritenute utili vengono immesse nella MBT;
2. La MBT (memoria a breve termine o memoria lavoro) ha un tempo di
ritenzione di 30 secondi, è uno spazio di lavoro temporaneo che presenta
limiti quantitativi nell’elaborazione delle informazioni sensoriali, elabora
un programma di movimento che viene trasferito alla MLT;
3. La MLT (memoria a lungo termine) ha una capacità di ritenzione delle
informazioni e del programma di movimento illimitato, attività motorie
usuali e praticate per un periodo continuativo non vengono dimenticate
anche se non eseguite per lunghi periodi.
39
Un esempio di memoria automatizzata è la capacità di guidare. Un
individuo per imparare a guidare necessita sì di lezioni teoriche, ma soprattutto
pratiche; la costante ripetizione dei gesti adoperati durante la guida di un veicolo
fa sì che rimangano impressi nella memoria. Come è stato spiegato
precedentemente i movimenti automatizzati richiedono una minore attenzione,
infatti un individuo mentre sta guidando non pensa alle procedure da eseguire per
condurre il veicolo, guarda invece la strada, eventualmente parla con il compagno
di viaggio, e fa attenzione a non fare incidenti e a raggiungere la sua destinazione.
In questa situazione è di rilevante importanza l’informazione visiva, la vista è
infatti la fonte di informazione esterocettiva che tende a dominare sulle altre ed
occupa una parte di rilievo nel controllo motorio, una menomazione visiva è
ritenuta la più grave per il movimento e per l’interazione ambientale.
Ogni movimento si attua in un sistema tridimensionale di coordinate,
l’analisi delle fondamentali coordinate spaziali e il loro mantenimento come
struttura entro cui si eseguono i movimenti volontari e le azioni è associata con
l’attiva funzione delle zone parieto-occipitali del cervello, che includono le
strutture centrali dei sistemi visivi, vestibolari, cinestesici e motori che formano i
livelli più elevati di organizzazione spaziale dei movimenti. L’analizzatore visivo
è oltremodo determinante per inviare informazioni relative allo spazio e al tempo,
ossia per la percezione delle distanze, delle traiettorie e delle velocità degli esseri
animati e inanimati.
L’informazione visiva giunta alla corteccia visiva segue due vie separate
per un diverso trattamento dell’informazione e con effetti diversi sulla persona:
una consente la visione focale per l’identificazione degli oggetti presenti nella
40
zona centrale del nostro campo visivo, consentendo di metterli a fuoco; la seconda
via consente la visione periferica utile al controllo dei movimenti, percezione non
solo centrale ma anche periferica del nostro campo visivo.
La visione periferica durante la guida è determinante per la percezione del
movimento permette all’individuo di evitare eventuali ostacoli improvvisi, come
ad esempio un pedone distratto.
3. Il pilota di Formula 1
L’essere umano si muove a suo agio nelle tre dimensioni che definiscono il
suo reale, ma questo non vuol dire che non ne esistano altre, del tutto fuori dalla
sua capacità di comprensione, eppure egualmente rilevanti.
Come ha detto Stephen Hawking “Confinati in un mondo tridimensionale
che fa parte di un mondo multidimensionale”4.
È quello che avviene in Formula 1 oggigiorno, la cui evoluzione tecnica
l’ha definitivamente sottratta alla capacità di comprensione di uno spettatore
abituato a valutare la prestazione in funzione delle sue esperienze sensoriali. Del
tutto inadeguate quando vengono applicate ad uno scenario caratterizzato da
accelerazioni continuamente variabili ed i cui valori assoluti sono multipli
stupefacenti di quella gravità che rimane pur sempre l’unico strumento di
valutazione a disposizione dello spettatore. Così capita che dell’impegno, questa
volta terribilmente multidimensionale del pilota, solo la monodimensionalità del
risultato in pista sia quello che effettivamente traspare.
Stephen Hawking, La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo, BUR
Biblioteca Univ. Rizzoli, 2004.
4
41
Basta osservare in qualunque camera car dove il pilota appare come un
osservatore esterno della realtà che scorre intorno a lui, solo marginali interventi
sullo sterzo, qualche regolazione dei comandi sul volante e traiettorie prive di
qualunque drammaticità. Tutto semplice? Affatto, perché come l’impegno di una
passeggiata nel parco non può essere paragonata ad un’attività extraveicolare
nello spazio, allo stesso modo la guida di una monoposto ha tutte le difficoltà di
un viaggio in un altro mondo che nulla ha che fare con l’esperienza dello
spettatore. Un mondo dove l’istinto non aiuta ma inganna, e dove l’occhio deve
rinunciare alla visione immediata ed analitica del tracciato per sintetizzare e
condensare le informazioni in un ritmo che va ben al di là della semplice
successione di curve e rettilinei, il ritmo di gara infatti è condizionato dalla
perfomance mentale piuttosto che fisica.
Anche i migliori piloti di Formula 1 non sono in grado di reggere tutta una
gara al limite estremo come quando sono in qualifica, e normalmente il loro ritmo
è circa tre decimi inferiore al massimo potenziale. Lo testimonia il fatto che nei
momenti in cui la strategia di gara gli richiede di cercare il limite, il loro tempo
sul giro migliora immediatamente di qualche decimo. I dati raccolti da Formula
Medicine5 durante numerose ricerche scientifiche sui circuiti, dimostrano che la
frequenza cardiaca del pilota in questi frangenti sale in media di circa 15 battiti,
indice di un netto incremento dello sforzo psico-fisico. Ulteriori e approfondite
analisi hanno permesso di dimostrare che l’aumentato sforzo è quasi del tutto
imputabile ad un maggior consumo del sistema nervoso e quindi del cervello.
Formula Medicine, centro medico di Formula 1 fondato nel 1994 a Viareggio
dal Dottor Riccardo Ceccarelli.
5
42
Utilizzando una risonanza magnetica funzionale (fMRI) sono stati valutati
i flussi sanguigni cerebrali e le performance di alcuni piloti professionisti
sottoposti a specifici test mentali, il gruppo dei piloti è stato poi confrontato con
un gruppo di non atleti della stessa età. Gli esiti hanno dimostrato che non vi sono
differenze in termini di risultati tra i naive e i piloti, ma questi ultimi attivano
meno aree cerebrali e quindi risultano essere molto più economici in termini di
dispendio di energie nervose. I piloti di Formula 1 infatti presentano una diversa
connettività funzionale tra le distinte regioni cerebrali implicate nei processi
visuo-motori rispetto ai soggetti naive, i dati ricavati dagli studi hanno suggerito
una riorganizzazione funzionale dei network cerebrali visuo-motori in individui
con particolari abilità, quali appunto i piloti.
3.1. Studio sulla guida passiva
Durante tutta la serie di studi condotti da Formula Medicine in
collaborazione con l’Università di Pisa, quello che si può definire determinante è
lo studio condotto su piloti professionisti e soggetti naive durante sessioni di guida
passiva.
È stata utilizzata una fMRI per esaminare l’attività neuronale durante la
visione di un gran premio di Formula 1 ripreso da una camera car su quattro
diversi circuiti, chiedendo ai soggetti di immaginare che fossero loro stessi a
guidare. In entrambi i gruppi la guida passiva ha notevolmente modificato
l’attività cerebrale di una regione in una rete di connessioni corticali tra diverse
aree cerebrali coinvolte nel comportamento di guida, tra cui la corteccia bilaterale
visiva, la corteccia parietale superiore, la corteccia cingolata anteriore, la corteccia
43
prefrontale dorsolaterale destra e la zona precentrale sinistra. Ciononostante i
piloti professionisti attivano anche altre aree corticali come l’area premotoria
dorsale e ventrale e la regione parietale inferiore; durante ogni video i piloti
mostrano un notevole aumento delle connessioni tra la corteccia motoria primaria
sia di destra che di sinistra, mentre i soggetti naive al contrario mostrano un
aumento nella corteccia visiva primaria (Fig.1).
È interessante notare che nei piloti i picchi di connessione delle aree
motorie si registrano o immediatamente prima e/o in corrispondenza dei tratti del
circuito che richiedono una maggiore attenzione.
Figura 1. Confronto tra le mappe delle correlazioni medie dei due gruppi: il blu indica un
valore di correlazione più elevato nei soggetti naive, mentre il giallo indica un valore di
correlazione più elevato nei piloti professionisti.
Questi risultati evidenziano dunque che l’organizzazione cerebrale
sviluppata dai piloti di Formula 1 differisce da quella dei soggetti naive. Le
diverse risposte riscontrate nelle aree visive e motorie indicano che i naive sono
soggetti a maggiori modificazioni dell’attività cerebrale nella corteccia occipitale,
mentre i piloti presentano un prevalente coinvolgimento delle aree dedicate al
controllo motorio. Infatti, mentre i soggetti naive hanno solo una conoscenza
basilare di guida, i piloti professionisti vengono addestrati per le corse
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automobilistiche e hanno competenze motorie per far fronte a situazioni
specifiche che possono insorgere durante un gran premio di Formula 1. Inoltre,
nonostante la richiesta fatta all’inizio dell’esperimento, i naive hanno
semplicemente guardato la gara, mentre i piloti immaginavano di guidare.
3.2. Mental Economy Project
Da queste premesse è nato un ulteriore studio scientifico indirizzato a
studiare il cervello dei piloti durante intenso impegno mentale: il Mental
Economy Project.
Si tratta di un progetto che comprende una serie di strumenti per valutare
le performance cerebrali e quantificare il dispendio energetico neurologico;
secondo i primi risultati è possibile allenare gli atleti ad ottenere prestazioni
mentali sempre più elevate con un consumo di energie nervose sempre più basso.
Una delle parti integranti del progetto è il MentalBio, una consolle dotata
di 4 schermi che permette di acquisire diversi parametri biomedici e trasmetterli
via wireless mentre il pilota è impegnato ad eseguire delle perfomance mentali. La
finalità del MentalBio è di valutare contemporaneamente prestazioni mentali e
dispendio energetico, tutto ciò utilizzando strumenti quali: i Formula Test,
specifici test per valutare tempi di reazione, concentrazione, capacità visuospaziale, memoria e capacità visuo-coordinativa; il Mind Band, un software di
valutazione dell’attenzione, concentrazione, rilassamento e meditazione collegato
ad una fascia elettroencefalografica che rileva le onde cerebrali e si connette
direttamente al computer.
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Per la misurazione del dispendio energetico nervoso viene invece
utilizzato un simulatore di guida, fedele riproduzione di una monoposto; un
cardiofrequenzimetro; un BioStress, strumento che tramite vari sensori applicati al
corpo è in grado di misurare temperatura corporea, frequenza cardiaca,
sudorazione, cinetica respiratoria, livello di contrazione del muscolo frontale ed
elettroencefalogramma; in fine una MultisensorBelt, una fascia toracica in grado
di trasmettere via bluetooth tutti i dati raccolti, e che non necessitando di fili può
essere utilizzata anche in gara.
Figura 2. Pilota durante una simulazione di guida al MentalBio con la monitorizzazione dei
parametri psico-fisici.
4. La plasticità del cervello
Come spiegato in precedenza, il cervello dei piloti di Formula 1 presenta
una diversa organizzazione dei network cerebrali, questo è possibile grazie
all’affascinante capacità del cervello di modificarsi, di essere cioè plastico.
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Secondo i neuroscienziati il cervello è un sistema in grado di autoorganizzarsi e la sua plasticità si mantiene a vita, la parte del cervello che presenta
maggiore plasticità è l’area anteriore ovvero i lobi frontali, dove risiede la
coscienza.
Il termine plasticità in neurologia viene usato per descrivere i cambiamenti
cerebrali dovuti alla forza di connessione tra neuroni espressa dall’influenza
dell’esperienza, vale a dire che i neuroni e le loro connessioni sinaptiche mutano
se costantemente stimolate. Le emozioni ad esempio svolgono un ruolo cruciale
nell’attività del cervello, poiché gli stimoli emotivi sono tra i più potenti attivatori
dei sistemi cerebrali e dell’apprendimento.
La plasticità è dunque data dal continuo allenamento del cervello, l’attività
fisica e mentale stimolano la secrezione di neurotrofine, sostanze che favoriscono
lo sviluppo dei neuroni, migliorano l’agilità della psiche e la salute del corpo
durante l’invecchiamento. Un altro effetto della plasticità cerebrale è la possibilità
di modificare i circuiti neuronali con la semplice attività mentale, senza cioè
compiere alcuna azione; come hanno rivelato alcuni esperimenti di brain imaging,
immaginare un movimento (training mentale) è come compiere fisicamente quel
movimento, poiché stimola i circuiti neuronali dove hanno sede le capacità
atletiche o fisiche.
È proprio questo che fanno i piloti quando non sono in pista: visualizzare il
circuito e immaginare di star guidando la propria monoposto, a volte anche
mimando ogni minimo gesto, questo li aiuta non solo a memorizzare il tracciato
curva dopo curva, ma li prepara ad affrontarlo mentalmente veicolando le loro
energie sulla concentrazione e sul risultato da raggiungere. Dunque non sono solo
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straordinarie capacità innate, ma un constante e particolare allenamento che
permette loro di raggiungere livelli ottimali durante le performance. La possibilità
di modificare i circuiti neuronali ha portato i piloti di Formula 1 a sviluppare
nuove connessioni tra i due emisferi così da attivare differenti ma piccole aeree
cerebrali e sfruttarle al meglio, questo perché non conta la quantità ma la qualità
di utilizzo delle energie neuronali.
Un fattore nocivo per la plasticità cerebrale e per i piloti è lo stress, cambia
il cervello provocando un abbassamento delle difese immunitarie e una
diminuzione della concentrazione. Un’ottima concentrazione è fondamentale per i
piloti in quanto mantenersi lucidi permette loro di sapere quali sono i proprio
limiti, anche in quei momenti in cui l’adrenalina è alle stelle, e contrastare gli
imprevisti che in Formula 1 non mancano mai. La lucidità mentale è
fondamentale per i processi decisionali che nel caso abbiano esito negativo si
riflettono sul pilota stesso, se il pilota sbaglia una decisione rischia la propria vita.
In conclusione si può affermare che nonostante a livello fisico si abbia un
grosso dispendio energetico, i piloti arrivano a perdere 3/4 chili a gran premio, e
sia quindi necessaria un’ottima preparazione fisica, la Formula 1 è uno sport
mentale. È la prestazione di un unico organo a determinare tutti i fattori che
condizionano la gara di ogni pilota, un eccellente impiego dell’energia neuronale
permette loro di auto sfruttarsi al 110%, quasi fossero dei superuomini.
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CAPITOLO III
Due figure che tutti conoscono, due ambiti lavorativi completamente
differenti, due mondi così diversi che nessuno mai penserebbe ci possa essere
qualcosa in comune, a meno che non ci si spinga oltre le apparenze e si vada ad
analizzare e confrontare il cervello degli interpreti e dei piloti di Formula 1.
1. Uno sguardo d’insieme da una cabina a un abitacolo
Due grandi cervelli in due piccoli spazi. Si tratta della cabina per interpreti
e l’abitacolo delle monoposto dei piloti, è qui che danno sfoggio delle loro
straordinarie capacità.
Per gli interpreti di simultanea la cabina può quasi definirsi una seconda
casa, dove si esercitano e lavorano, uno spazio di 5 mq insonorizzato dove si
trovano a tu per tu con un paio di cuffie ed un microfono. Teoricamente uno
spazio dove sembra impossibile si presenti una distrazione e dove ci si può
concentrare al massimo, ma tutto questo non basta poiché le distrazioni non sono
solo uditive ma anche visive: il cervello umano infatti è attratto dagli oggetti che
si muovono, dunque se qualcosa si muove nel proprio campo visivo si è
automaticamente spinti a guardarlo e, per evitare che ciò accada, è necessaria
un’adeguata concentrazione. La medesima cosa accade per le distrazioni mentali,
quando si entra in cabina bisogna necessariamente lasciare la propria vita fuori
affinché pensieri o preoccupazioni non possano influire sul proprio rendimento.
Le condizioni di lavoro dell’interprete sono determinate dall’ambiente
fisico, inclusi parametri temporali e spaziali, da fattori legati al proprio compito,
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come la preparazione e lo sforzo cognitivo, da variabili legate alla qualità del
suono o alla possibilità di vedere l’oratore, dalla velocità e la prosodia del
discorso e non meno importante il fattore interpersonale quale la capacità
collaborativa. Gli interpreti che lavorano in cabina si ritrovano a tutti gli effetti
sotto una campana di vetro dove non può accadere nulla, l’ambiente circostante
non muta in maniera tale da influire sul loro lavoro, certo è che anche durante una
conferenza possano presentarsi degli imprevisti ma generalmente niente che li
porti a rischiare la vita.
In cabina si è “soli” con le proprie conoscenze e capacità linguistiche,
nessuno può suggerire o consigliare, e pur volendo non ce ne sarebbe il tempo, è
un lavoro al millesimo di secondo, ascolti, elabori/traduci e parli, tutto in
pochissimo tempo, chi si ferma è perduto.
A livello fisico non si ha un elevato dispendio di energie, in realtà si sta
seduti e si muovono solo i muscoli facciali, lo stimolo principale che l’interprete
riceve e al quale deve rispondere è quello uditivo, ma l’impegno mentale è così
cospicuo da portare dopo un certo lasso di tempo anche stanchezza fisica. Quello
dell’interprete viene definito uno dei lavori più stressanti al mondo, secondo
l’Associazione Internazionale Interpreti di Conferenza (AIIC) i principali fattori
di stress sono: l’elevata difficoltà del testo di partenza e la relativa organizzazione
del discorso, una struttura delle cabine che non sempre soddisfa i parametri
previsti e la mancanza di documentazione. Sono stati effettuati inoltre misurazioni
scientifiche sugli interpreti come i livelli cardiovascolari o l’attività delle
ghiandole sudoripare attraverso delle variazioni nella resistenza galvanica
dell’epidermide; sono state tracciate le frequenze respiratorie, le alterazioni della
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conduttanza epidermica e l’elettromiografia dell’estremità superiore, trovando
degli alti livelli nella prontezza di risposta a stimoli sensoriali che porterebbero ad
alti livelli di sofferenza psicofisica.
La cabina per interpreti può quasi definirsi una reggia se paragonata
all’abitacolo di una monoposto, un spazio angusto creato su misura, è lì che il
pilota dà il meglio di sé. Un gran premio di Formula 1 dura in media due ore e
quasi tutti si svolgono nelle ore più calde della giornata, dove non solo la
temperatura dell’aria supera i 30 gradi, ma anche quella dell’asfalto e degli
pneumatici, questo per evidenziare il fatto che chi sta seduto in una monoposto,
ricoperto da strati di tute e il casco, deve sopportare temperature molto elevate.
Per di più la posizione di guida e le sollecitazioni a cui sono soggetti collo e
schiena non rendono il tutto più semplice.
I piloti di Formula 1, nonostante svolgano un preciso e costante
allenamento fisico, a fine gara appaiono affaticati e non è solo un impressione ma
un dato di fatto, i piloti perdono tra i tre e i quattro chili durante un gran premio.
Tutto ciò dimostra che è necessaria una base, una preparazione fisica, ma
soprattutto forza di volontà nel non lasciarsi andare ad un eventuale momento di
affaticamento.
Fuori dal piccolo abitacolo della monoposto però vi è un ambiente in
continuo cambiamento: per quanto possa sembrare banale, le condizioni
meteorologiche sono uno dei fattori influenti sulla gara e sulle strategie da attuare,
un cambiamento climatico improvviso come un temporale comporta per il pilota
una maggiore attenzione nel suo modo di guidare. Non è solo il clima a variare,
ciò che richiede particolare attenzione in gara sono i propri avversari, coloro
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contro i quali si gareggia ma anche coloro i quali potrebbero incorrere in un
incidente e creare un imprevisto o un pericolo per tutti gli altri; è evidente quindi
che il pilota, nonostante la sua attitudine al pericolo, non deve pensare solo al
tracciato e alla gara in se ma anche alla sua sicurezza.
L’elaborazione di strategie di sorpasso contro gli avversari o la prontezza
di riflessi e la gestione del pericolo improvviso viene elaborata dal cervello con
una velocità strabiliante, andando ad attivare numerose aree cerebrali. Anche lo
stato fisico però dipende dal lavoro mentale dell’uomo, è sempre compito del
cervello mantenere il tono muscolare, la frequenza cardiaca, la pressione
sanguigna, ecc. Il cervello in questo caso è come se fosse un agile burattinaio che
tiene le fila di più marionette contemporaneamente. In generale un pilota sfrutta
tutte le parti del suo corpo e del suo cervello: utilizza entrambi gli arti superiori
per muovere il volante, regolare l’assetto della monoposto tramite tasti e rotelline
di controllo, aumentare e scalare di marcia e premere la frizione; il piede destro
preme sull’acceleratore, mentre il sinistro ha il controllo sul freno e sul kers.
Tramite uno dei tasti posti sul volante il pilota può comunicare con i box,
la cosa che bisogna notare e che molto spesso si dà per scontata è che la
comunicazione tra gli ingegneri e il pilota avviene in inglese, il più delle volte
questa non è la lingua madre del pilota bensì la lingua internazionale utilizzata;
prendendo ad esempio un pilota come Alonso le cose si complicano. Lo spagnolo
Fernando Alonso è uno dei due piloti Ferrari, parla molto bene inglese e italiano e,
durante le comunicazioni radio non parla mai in spagnolo ma in una delle altre
due lingue, sceglie l’italiano quando non vuole farsi capire dalle altre scuderie ma
solo dai suoi ingegneri italiani. Questo saltellare da una lingua all’altra comporta
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dunque un ulteriore dispendio di energie nervose che è alla base del lavoro di un
interprete e non di un pilota.
Riassumendo questo quadro generale esterno è possibile affermare che i
fattori influenzanti la prestazione del pilota sono maggiori e non vanno
sottovalutati, anche se ciò su cui ci si vuole soffermare maggiormente ora è la
prestazione cerebrale.
2. Il pensiero
Gli psicologi che hanno studiato il processo concreto di pensiero sono
unanimi nell’affermare che il pensiero nasce solo quando il soggetto ha un motivo
adeguato che renda urgente il compito ed essenziale la sua risoluzione, e quando il
soggetto si confronta con una situazione per la quale non ha una soluzione
preformata. In altre parole all’origine del pensiero vi è sempre la presenza di un
compito, con ciò lo psicologo capisce che il problema che il soggetto deve
risolvere viene dato in determinate condizioni che egli deve per prima cosa
studiare per scoprire la via che conduce a una soluzione adeguata.
Il pensiero di fatto non è unico, ma si basa su diversi tipi di intelligenza:
logica, analogica, sistemica, visiva, motoria ed emotiva. Quando si affronta un
problema si utilizzano tutti i tipi di intelligenza, tuttavia nella fase di
riorganizzazione del problema si usano soprattutto il pensiero logico, analogico e
sistematico. Il pensiero logico si distingue in deduttivo, analisi del problema
dall’idea generale ai casi particolari, e induttivo, dai casi particolari all’idea
generale utilizzando una struttura gerarchica concatenata. Il pensiero analogico
mette in relazione due o più elementi, cercando analogie o diversità, molto utile
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per aprire nuove prospettive ma col rischio di allontanarsi dalla linea logica; il
pensiero sistemico crea invece visioni sintetiche del problema, aiutando ad
orientarsi in situazioni complesse e ricche di dati.
La riorganizzazione del problema è una combinazione fra slancio creativo
e metodo, tenendo sempre in considerazione il pensiero analogico e quello
sistemico.
Dopo la scoperta del compito non si avrà dunque un tentativo diretto di
risposta, ma un freno delle risposte impulsive, l’analisi delle sue componenti, il
riconoscimento degli aspetti più essenziali e la loro correlazione. Tale lavoro di
indagine preliminare sulle condizioni del problema è un passo vitale ed essenziale
in qualsiasi processo concreto di pensiero senza il quale non può verificarsi
nessun atto intellettuale.
Il terzo stadio nel processo di pensiero è la scelta di un’alternativa tra
quelle possibili e la creazione di un piano per l’esecuzione del compito, decidendo
quale tra le alternative è più probabile che si verifichi ed escludendo quelle
inadeguate. La formazione di uno schema per la soluzione del problema e la scelta
di adeguati sistemi di alternative, portano il soggetto alla fase che comporta la
scelta dei metodi appropriati e l’esame di quali operazioni saranno adeguate per
approntare lo schema della soluzione in atto. Tali operazioni corrispondono
all’uso di algoritmi preformati (linguistici, logici, numerali) che si sono ben
adattati a rappresentare lo schema; con ciò il soggetto è in grado di ottenere aiuto
da sistemi di codici preformati precedentemente appresi. L’esistenza di questi
codici ben assimilati che costituiscono la base operativa dell’atto mentale, viene
ad essere anche la base per l’esecuzione delle operazioni intellettuali richieste.
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L’utilizzo di questi algoritmi porta dunque alla soluzione del problema,
alla quale deve essere seguita la comparazione dei risultati ottenuti con le
condizioni originali del compito: se i risultati sono in accordo con le condizioni
originali del problema, l’atto intellettuale è completo; se invece non
corrispondono, la ricerca della strategia necessaria deve iniziare da capo e il
processo di pensiero deve continuare finché non viene trovata una soluzione
adeguata al problema.
Questo è il processo che il cervello umano esegue per ogni singolo
problema che incontra, la domanda che sorge spontanea è quanto dura questo
processo in realtà? Un interprete non potrebbe mai permettersi di soffermarsi su
un dilemma morfologico per più di qualche secondo, come un pilota di fronte ad
un incidente non può stare a riflettere su come fare per non danneggiare la
monoposto anziché pensare alla sua incolumità. Bene, il cervello umano grazie
alle sue milioni di sinapsi e di connessioni neuronali è in grado di svolgere questa
riorganizzazione del problema in tempi brevissimi, così da permettere sia
all’interprete che al pilota di avere una buona prestazione mentale. Può però
capitare di trovarsi davanti ad un problema e non riuscire a risolverlo con la prima
strategia elaborata, qui le soluzioni adottate dai due soggetti variano, è raro ma
può capitare ad entrambi di risolvere il problema con una risposta istintiva, la
scelta di un termine piuttosto che un altro nel caso dell’interprete e una sterzata
brusca per evitare un ostacolo imprevisto nel caso del pilota. Quest’ultimo però si
ritrova ad essere avvantaggiato, poiché mentre l’interprete non ha seconde
possibilità quando traduce in cabina, il pilota ne ha svariate: mettiamo il caso che
il pilota A si trovi davanti un avversario B, A mette in atto lo schema risultato
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dall’elaborazione del problema, cioè prova a sorpassare B ma fallisce, il suo
obiettivo è acquistare posizioni e allo stesso tempo non perderne, quindi deve
prestare attenzione sia alla strategia di attacco che di difesa, in questo caso A ha la
possibilità di valutare e capire cosa c’era di sbagliato nello schema da lui
elaborato, correggerlo o cambiarlo e attuarlo nuovamente fino a raggiungere il suo
scopo, sorpassare B.
Il processo cognitivo, che permette dunque la risoluzione del problema,
inizia nel lobo frontale, dove ha sede la coscienza, per poi collegarsi ad una serie
di zone cerebrali che lavorano in sincronia; tutto ciò sempre realizzato in simbiosi
con ottimi livelli di attenzione.
3. L’attenzione
Dei molti stimoli che arrivano al cervello, lui risponde solo a quei pochi
che sono particolarmente forti o che appaiono particolarmente importanti e
corrispondono a degli interessi, intenzioni o compiti immediati. Da un largo
numero di possibili movimenti si scelgono solo quelli che permettono di arrivare
ad uno scopo immediato o necessario , e del gran numero di tracce immagazzinate
nella memoria vengono scelte, anche questa volta, solo quelle che corrispondono
ai compiti immediati e che permettono di compiere necessarie azioni intellettuali.
In psicologia la direttività e la selettività dei processi mentali, le basi su cui
essi sono organizzati, è abitualmente chiamata attenzione, con questo termine
vengono indicati i fattori responsabili nella scelta degli elementi essenziali per
l’attività mentale.
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È risaputo che le caratteristiche dell’attenzione più elementare e
involontaria possono essere già osservate nei primi mesi di sviluppo del bambino,
gli occhi e la testa girano verso lo stimolo, tutte le altre irrilevanti forme di attività
cessano, e un gruppo di risposte respiratorie, cardiovascolari e psicogalvaniche,
dette riflesso di orientamento, compaiono. Le manifestazioni della risposta
d’orientamento precedono la risposta specifica e sono tra le condizioni essenziali
per la formazione di un riflesso condizionato, che sarà di conseguenza lento a
svilupparsi se il condizionamento avviene in assenza di un riflesso
d’orientamento. Una caratteristica fondamentale della reazione d’orientamento
che la distingue dalla generale reazione di risveglio, è l’essere altamente direttiva
e selettiva, crea cioè le basi per un comportamento organizzato.
L’organizzazione
sociale
dell’attenzione,
ottenuta
attraverso
una
comunicazione di parole e gesti, determina la nascita di una forma più complessa
che è l’attenzione volontaria, questa è di fondamentale importanza poiché colma il
divario tra forme elementari di attenzione involontaria e le più alte forme di
attenzione volontaria.
Ogni forma complessa di attenzione volontaria o involontaria richiede la
realizzazione di altre condizioni, cioè la possibilità di un riconoscimento selettivo
di un particolare stimolo e l’inibizione delle risposte a stimoli irrilevanti o di
nessuna
importanza
per
la
situazione
contingente.
Tale
contributo
all’organizzazione dell’attenzione è dato da altre strutture cerebrali localizzate ad
un livello più alto: nella corteccia limbica e nella regione frontale.
Studi hanno dimostrato che i neuroni che non rispondono a stimoli di
modalità specifica, ma che confrontano stimoli vecchi e nuovi permettendo di
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dare una risposta agli stimoli nuovi o alle loro proprietà, e di estinguere le risposte
a stimoli vecchi e abituali, occupano un posto importante nelle strutture della
regione limbica. Questo perché le strutture ippocampali sono una componente
essenziale del sistema inibitorio o filtrante, partecipano necessariamente nelle
risposte selettive a stimoli specifici e costituiscono una parte del sistema dei
riflessi di orientamento e del comportamento istintivo.
I lobi frontali hanno nell’organizzazione dell’attenzione un ruolo
essenziale, poiché si attivano nell’inibizione delle risposte a stimoli irrilevanti e
nel mantenimento di un comportamento finalizzato e programmato, e da questi
dipende l’attenzione volontaria. Il neuropsicologo americano Grey Walter (19101977) stabilì che l’attesa di uno stimolo evoca nei lobi frontali potenziali lenti
specifici che egli descrisse come «onde d’aspettativa», queste onde si diffondono
man mano nelle altre aree del cervello; contemporaneamente altri studi provarono
che lo stress intellettuale determina un rapido aumento del numero di punti della
corteccia frontale funzionanti in sincronia.
Questi fenomeni indicano chiaramente che i lobi frontali partecipano
all’attivazione indotta da un’istruzione verbale, e che sono una parte del sistema
cerebrale direttamente implicato nei processi associati con le forme superiori di
attenzione attiva. Il fatto che i lobi frontali abbiano connessioni così numerose con
la formazione reticolare, fornisce una base morfologica e fisiologica per la loro
partecipazione in queste forme superiori di attivazione. I lobi frontali giocano un
ruolo importante nell’elevare il livello di vigilanza di un soggetto che sta
eseguendo un compito, e possono partecipare decisamente alle forme superiori di
attenzione.
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La ripetuta presentazione di uno stimolo determina un’estinzione del
riflesso di orientamento vascolare, non appena però al soggetto viene detto di
stare attento alle modificazioni nella qualità o nell’intensità dello stimolo, le
componenti vascolari del riflesso di orientamento sono immediatamente
ripristinate e permangono per un lungo periodo di tempo. La prima presentazione
di uno stimolo evoca distinte modificazioni nelle risposte elettrofisiologiche del
cervello, sotto forma di depressione del ritmo alfa e di aumento delle componenti
più rapide dell’elettroencefalogramma, e la ripetuta presentazione dello stimolo
porta allo sviluppo dell’assuefazione e alla scomparsa di queste risposte non
appena il soggetto riceve un’istruzione che eleva la sua attenzione verso quegli
stimoli, le componenti elettrofisiologiche del riflesso di orientamento sono
ripristinate e rimangono stabili per un lungo periodo di tempo.
Questo
processo
di
variazione
e
ripristino
delle
componenti
cardiovascolari e del ritmo alfa avviene ogni qualvolta il pilota viene spinto a
cercare un miglioramento, sul tempo del giro, un sorpasso difficile o prima del pit
stop: le pulsazioni cardiache che sono già oltre i 170 battiti al minuto arrivano a
picchi di 190, in queste condizioni il sangue ha poca ossigenazione perché il cuore
pompa all’impazzata, eppure il pilota si mantiene freddo e lucido ottimizzando la
gestione di energie nervose e concentrandola solo dove e quando serve.
4. Cervelli a confronto
Anatomicamente i cervelli umani sono tutti uguali, un chilo e mezzo di
materia grigia dalla consistenza gelatinosa e dall’aspetto non molto gradevole, ma
che permette all’essere umano di distinguersi dalle altre forme di vita sulla terra.
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Quello che varia in maniera sorprendente è la sua fisiologia: un diverso
funzionamento di quest’organo può essere dovuto ad afasie, traumi o, se si tratta
di un cervello sano, da una diversa stimolazione e utilizzo di tutte le aree cerebrali
che lo compongono.
Molti pensano di riuscire a sfruttare il proprio cervello al 100% ma in
pochi ci riescono veramente; avere una prestazione cerebrale massima non vuol
dire sovraccaricare il cervello di informazioni poiché questo non avrebbe il tempo
di assimilare e rielabora tutti i dati, bensì bisogna saper scegliere le informazioni
necessarie e sfruttare al meglio le energie nervose.
È evidente che ogni essere umano sfrutta le aree cerebrali di maggiore
interesse per le proprie necessità, e si concentra e si allena per svilupparle al
meglio. Nel caso dell’interprete è possibile riscontrare un maggiore sviluppo
dell’area di Broca, poiché l’apprendimento di più lingue straniere in età adulta,
induce una maggiore attivazione di quest’area. Mentre l’interprete parla nella
lingua madre (L1) si attiva una zona dell’area di Broca che non è sovrapponibile a
quella che si attiva quando parla nella seconda lingua (L2), questo suggerisce che
il secondo apprendimento ha creato nuovi circuiti per la pronuncia delle parole,
diversi da quelli utilizzati per la lingua madre. Tale processo di nascita di nuovi
circuiti neuronali è necessario per qualsiasi nuova lingua appresa poiché il
cervello non deve solo memorizzare nuove parole, ma anche il loro significato, il
tipo di utilizzo e il modo di pronunciarle, come conseguenza sono necessari anche
nuovi circuiti a livello motorio, per permettere cioè una corretta articolazione e
pronuncia delle parole nuove.
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La neurofisiologia e neuroanatomia nei bilingui varia però in base all’età e
alle tecniche di apprendimento della seconda lingua: gli elementi grammaticali,
definiti come classe chiusa, di L1 sono rappresentati nel lobo frontale
dell’emisfero sinistro, mentre gli elementi semantici, classe aperta, sono
rappresentati nella porzione posteriore di entrambi gli emisferi, maggiormente
quello di sinistra. Quando L2 viene appresa dopo gli otto anni, la rappresentazione
della classe aperta rimane uguale ad L1, mentre le parole di classe chiusa vengono
rappresentate in una regione posteriore del cervello, si ha dunque una minore
rappresentazione nei sistemi di memoria procedurale; quando invece L2 viene
acquisita prima degli otto anni anche la classe chiusa coincide con le strutture di
L1.
La maturazione differenziata di alcune strutture della memoria impedisce
che una seconda lingua appresa dopo il periodo critico venga depositata nelle
strutture della memoria procedurale. L’organizzazione della seconda lingua in
sistemi della memoria differenti rispetto alla prima lingua influenzerà le modalità
di utilizzazione delle due lingue per tutta la vita. La competenza fonologica e la
competenza grammaticale di L2 risulteranno limitate e l’uso di questa lingua sarà
meno automatico e richiederà un lavoro mentale maggiore rispetto all’espressione
nella lingua materna.
Si possono distinguere tre livelli di apprendimento di L2 : Early
Acquisition High Proficiency, acquisizione di L2 prima dei tre anni, l’attivazione
cerebrale
rilevata durante l’esecuzione di compiti grammaticali è identica nelle due
lingue e coinvolge in maniera focalizzata le classiche aree del linguaggio; Late
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Acquisition High Proficiency, acquisizione di L2 prima degli otto anni,
nonostante le competenze linguistiche siano uguali a quelle del primo gruppo, la
seconda lingua ha una rappresentazione cerebrale più estesa rispetto alla prima;
Late Learning Low Proficiency, acquisizione di L2 dopo gli otto anni, L2 tende ad
occupare in maniera ancora più estesa numerose aree corticali e sottocorticali. La
maggiore rappresentazione cerebrale di L2 nei bilingui che la hanno appresa dopo
i tre anni corrisponde ad un maggiore fabbisogno energetico durante
l’utilizzazione di questa lingua, per questo tipo di bilingui esprimersi nella
seconda lingua risulta dunque più “faticoso” che nella lingua materna e comporta
un maggior dispendio di energie nervose.
Certo è che i bilingui hanno un vantaggio cognitivo, ovvero migliori
capacità esecutive, migliore capacità di concentrazione su ciò che è importante
oppure la capacità di passare da un compito all’altro senza confondersi.
È dunque possibile affermare che il cervello dell’interprete è più
funzionale poiché sviluppa numerose nuove connessioni neuronali e attiva nuove
aree cerebrali, inesistenti nei monolingui.
Come già descritto nel capitolo precedente, anche il cervello del pilota di
Formula 1 viene sfruttato al massimo: anatomicamente e fisiologicamente è stato
studiato che i piloti sviluppano numerose nuove connessioni neuronali, non solo
tra aree diverse bensì tra i due emisferi cerebrali. La loro incredibile capacità sta
però nell’attivare contemporaneamente più aree cerebrali col minimo dispendio di
energie nervose, ovvero anziché attivare l’intera area di Broca per il linguaggio,
che a loro è poco necessaria in gara, ne attiveranno solo una parte sfruttando però
al massimo le aree implicate nei processi visuo-motori e alla concentrazione.
62
L’interazione e collaborazione tra i due emisferi, che i piloti sono in grado di
sviluppare, fa sì che il divario tra emisfero dominante e subordinato diminuisca,
inoltre è possibile con un costante e lungo allenamento sviluppare delle capacità
dormienti di un emisfero che sono quindi assenti nei soggetti naive.
La capacità sviluppata dagli interpreti di passare da un compito all’altro
senza commettere errori o lasciarsi distrarre non può dirsi altrettanto sviluppata
nei piloti: quello del pilota è un insieme di movimenti di guida coordinati ormai
automatizzati e quindi svolti inconsciamente, la maggior parte della sua attenzione
si focalizza sugli stimoli visivi e sulla prontezza di riflessi, non può dunque dirsi
che la capacità di svolgere più compiti contemporaneamente sia una sua capacità
extra.
Anche i livelli di imprevedibilità variano nei due ambiti, sia l’interprete
che il pilota svolgono una se pur diversa preparazione prima di ogni
“performance”: il primo deve arricchire le sue conoscenze sull’argomento che
verrà trattato in conferenza, sugli oratori che interverranno, la terminologia
settoriale utilizzata; il secondo invece oltre alla preparazione fisica, che può
includere sessioni si allenamento in palestra o altro, deve memorizzare alla
perfezione l’intero tracciato, curva dopo curva, anche senza guidare (cfr. cap.II
par.4), e studiare la strategia di gara che va dall’analisi della pista, alle gomme e i
pit stop oltre che la guida in se. L’imprevedibilità durante un gran premio sta nella
strategia degli avversari, nelle condizioni ambientali circostanti che possono
variare, in un guasto al motore o un incidente, spesso però questi fattori
imprevedibili possono essere affrontati al meglio o risolti. Bisogna sempre tenere
presente che durante una corsa di Formula 1 si effettuano minimo 50 giri il che
63
significa che si ha la possibilità e il tempo materiale di risolvere il problema che si
è presentato, si provi a pensare se invece ci si giocasse tutto in un solo giro, che
possibilità di risoluzione si avrebbero? Molto probabilmente nessuna, sarebbe una
gara segnata. Bene, per gli interpreti è così, un unico giro, uno sprint dall’inizio
alla fine, perfezione e concentrazione costanti e nessun margine d’errore, poiché
questo non sarebbe recuperabile. L’imprevisto per l’interprete, che può portare o
no all’errore o alla distrazione, è inconsciamente distruttivo, aumentano i livelli di
stress e diminuiscono lucidità e concentrazione, tutti fattori influenti sul risultato
finale.
64
Conclusioni
Al termine di questa ricerca è dunque possibile delineare i profili
psicofisiologici di queste due interessanti figure. Numerosi sono i fattori che
influiscono sul loro operare ma minori sono le possibilità di risoluzione dei
problemi.
Ciò che per certo accomuna l’interprete e il pilota è il cervello, o meglio la
capacità di quest’ultimo di adattarsi alla perfezione in qualsiasi situazione; non
solo il loro cervello elabora dati con una velocità superiore alla norma, bensì
produce con la stessa celerità risposte agli input ricevuti. Le funzionalità cerebrali
però, come è stato spiegato, non sono solo innate ma possono essere frutto di un
costante allenamento che permette il miglioramento e lo sviluppo cerebrale. Ciò
che desta maggiore attenzione è il mutamento anatomico del cervello, la capacità
di formare nuove aree funzionali necessarie per l’esecuzione di compiti specifici.
Non si tratta di cervelli mutanti, ma di capacità e funzionalità dormienti che non
tutti sanno sfruttare. La formazione di nuovi network cerebrali nel cervello del
pilota e la nascita di nuove aree del linguaggio nell’interprete gli consentono di
svolgere le loro attività meglio di un individuo inesperto in materia, ma la cosa
sorprendente è il controllo del dispendio di energie nervose. I piloti sono in grado
di eseguire il doppio dell’attività cerebrale con la stessa energia nervosa di un
soggetto naive, un dato quasi sconvolgente.
Le conseguenze di questa sfrenata attività cerebrale si manifestano sia per
l’interprete che per il pilota anche a livello fisico, alterando frequenza del battito
cardiaco, flusso sanguigno, sudorazione, alterazione del ritmo alfa e ovviamente
65
provocando un forte stanchezza fisica ed emicrania. A livello fisico lo sforzo più
ingente è quello del pilota ma non si può dire lo stesso di quello mentale.
L’applicazione mentale dell’interprete comporta maggiore affaticamento
cerebrale, per questo motivo non si può lavorare in cabina per più di qualche ora,
ed è causa di forte stress psichico.
In conclusione se si tengono presenti tutti questi fattori, comuni e non, ne
risulterà che entrambi vantano uno sviluppo cerebrale sorprendente ma le
conseguenze psico-fisiche variano notevolmente. Oggigiorno la professione
dell’interprete è definita una delle più stressanti al mondo insieme ai piloti di
Formula 1 e i piloti aerei.
Con questa ricerca sperimentale si è cercato di analizzare, confrontare e
scoprire cosa il cervello umano nasconde, basandosi su dati e ricerche scientifiche
che però non hanno ancora trovato il loro punto di arrivo.
66
English section
The human brain’s
abilities to develop and to
adapt
67
CHAPTER I
“Just as birds have wings, man has language. The wings give the bird its
peculiar aptitude for aerial locomotion. Language enables man’s intelligence and
passion to acquire their peculiar characters of intellect and sentiment”.
This is how Lewis in his The study of psychology describes the human
ability of create sounds to communicate to others human being. It’s easy to
understand how important is the language for human life, without it many of our
daily activities wouldn’t be possible. It would become harder to ask something, to
communicate a need, to share memories, opinions or expectations.
1. Neuroanatomy and neurophysiology of language production’s
process
The nerve centres responsible for acquired vocalizations, as human
language, are located in the brain’s higher parts, while the lower structures
command the innate vocalizations, as weeping. Moreover all vocalization’s types
are possible thanks to the entirety of peripheral nerves which control laryngeal
and sublaryngeal motility.
Anatomy and physiology’s studies underlined the importance of specific
nerve centres linked to the production of vocalizations both in central nervous
system and peripheral nervous system. The periaqueductal gray is located in the
higher part of the encephalic trunk and is linked to other nervous structures which
intervene in the control of pain perception, this connection permit to vocalize after
an aggression. The periaqueductal gray receives information from hypothalamus,
68
amygdale, anterior cingulated cortex and from the somatosensory cortex areas; it
sends information to ventrolateral pontine centre and it coordinates cranial nerves
nucleus’ activity involved in vocalization’s production. A periaqueductal gray
injury causes mutism.
The lateral pontine receives information from the periacqueductal gray, the
anterior cingulated cortex, the cortical larynx area and from the somatosensory
areas of cerebral hemispheres; from this nucleus information are sent to thalamus,
cerebellum and to some cranial nerves, the destruction of this nucleus modifies
the vocalize capability. Anterior cingulated cortex’s areas act as link in
motivations which induce to vocalization. Bilateral demolition of these areas
totally eliminate the speech, but fortunately it is only a temporary situation.
According to the American linguist John Lamendella, since these
structures intervene both in emotions’ organization and vocalizations and speech
production, are differently involved in the production of the mother language
compared to other languages. In particular Lamendella affirmed that a language
learned as an adult by means of grammatical rules probably doesn’t involve
emotional structures and also requires a continuous process of translation from the
mother tongue to the second language before being produced.
The larynx cortical area receives information from the anterior cingulated
cortex and it takes part to control the nervous activity of periaqueductal gray and
ventrolateral pontine centre structures. In language production are involved many
cerebral structures responsible for movement’s control: during the phonemes’
concatenate production larynx and sublaryngeal vocal tract realize coordinate
movements which generate the air vibration that the brain perceives as language
69
sounds, the brain must be constantly up to date about the position of articulatory
organs for the correct fulfillment of these movements. In humans, the memory of
sensorial and motor sequences which form the language is organized in the
cerebral hemispheres, if sensorial and motor pathways are interrupted the pulses
produced by the cerebral hemispheres don’t reach the sensorial and motor centers
under the midbrain, which are the executive parts of these pulses.
The peripheral nervous system is important for vocalization whether
because sends sensorial information about the position of articulatory organs to
the brain and because it transmits commands coming from cortical centers for the
motor control of laryngeal and sublaryngeal structures involved in the speech
production. Afferent information are transmitted by the trigeminal nerve,
glossopharingeal nerve, vagus nerve and hypoglossal nerve; before reach the
cortex sensorial information are reorganized in the sensorial nucleus of the
respective cranial nerve and in the thalamus. Then reach the cortical sensory
areas, premotor areas and in the end the motor areas of mouth, larynx and
pharynx. Therefore from the sensorial, motor and premotor areas depart a nerve
pathway called pyramidal tract, which controls the cranial nerves’ motor nucleus
involved in the language production.
In the majority of the population the left cerebral hemisphere is defined the
dominant hemisphere, it is responsible of the language functions while the right
hemisphere, which is not connected to language, becomes subordinate. The
lateralization theory of brain function has become a new and determining basis of
the cerebral cortex functional organization.
70
The dominant hemisphere plays an important role in the cerebral
organization of all the highest cognitive activity forms linked to language, such as
the organized perception of logical schemes, the active verbal memory and the
logical thought.
There are two other crucial areas for language production, both located in
the left hemisphere: the Broca’s area and the Wernicke’s area.
Broca’s area is often called the motor area of language, is located in the
third frontal convolution and is represented in Brodmann’s cytoarchitectonic map
as areas 44 and 45. It takes the name from the French anatomist Paul Broca who
after many surveys affirmed that language is controlled by the left hemisphere.
After many tests and surveys, it has been estimated that language control centers
are located in the left hemisphere in 96% of right handed people and in 70% of
left handed people. The remaining 4% of right handed people reveal to have
language areas on the right, 15% of left handed people reveal to have language
areas on the right hemisphere too while the remaining 15% in both.
71
Broca’s area is divided in two principal areas which have different roles in
language production and comprehension. The pars triangularis (anterior) is
associated with the interpretation of different stirrings ways and with the
programming of verbal channels. The pars opercularis (posterior) is associated
just with one stirring type and it presides over the coordination of the organs
involved in words reproduction.
A functional damage of this area, due to a stroke or ischemia, causes the
so called Broca aphasia, which is one of the non-fluent aphasias. Patients stricken
by non-fluent aphasia lost the ability to produce language or can’t understand it.
Broca’s area and Wernicke’s area are connected by the arcuate fasciculus,
the Wernicke’s area is a cerebral cortex region where there is a section of
language centers; it was discovered by the German neurologist Karl Wernicke and
it corresponds to Brodmann’s map area 22 in the superior temporal gyrus of the
dominant cerebral hemisphere. Sensitive information concerning language
72
perception reach Wernicke’s area, which is strictly connected to the primary
acoustic area where takes place the decoding process, that is the transformation
from acoustic stimulus to linguistic units. A lesion of this area causes receptive
aphasia, people affected by receptive aphasia are unable to understand language in
its written or spoken form, and even though they can speak with normal grammar,
syntax, rate, and intonation, they cannot express themselves meaningfully using
language. Wernicke’s area is the critic region for the conceptual formation and
language production. In this area are developed the sentences that have to be
pronounced, are sent to Broca’s area trough the arcuate fasciculus and here is
developed the words correct sequence which is sent to the motor cortex,
responsible of pronunciation. Then the word heard is sent from the primary
auditory cortex to Wernicke’s area where the comprehension process is
implemented. Similarly the written word goes from the primary visual cortex to
visual association areas to the angular gyrus, which integrates acoustic and visual
information to Wernicke’s area.
1.1 Psychological structure of language
Considering a word as a multidimensional matrix with several clues and
acoustic, morphological, lexical and semantic connections, we know that in
different stages one of these connections becomes predominant.
Psychology considers the language as a special means of communication
that uses the linguistic competence for the transmission of the information itself. It
considers the language as a conscious, complex and organized activity that
implies the participation of the subject who makes the oral expression and the
73
subject who receives it. Similarly it distinguishes two forms and two mechanisms
of the linguistic activity.
First there is an expressive language which starts with the motivation,
codified in a linguistic scheme and activated with the help of the interior
language, then converted in a narrative language based on grammar. Consequently
there is the receptive language that follows the opposite way: it starts from the
perception of a language’s flow originates from another source which tries to
decode it; this happens thanks to the analysis of the spoken expression perceived
by the identification of its significant elements and by their reduction to linguistic
schemes. This is converted by the inner language in the idea of the general
scheme which going through the expression allows the basal motivation decoding.
This linguistic activity is a highly complex structure but by the way there
are others language’s aspects: it can be seen as an instrument for the intellectual
activity or as a method to regulate and organize the human’s mental processes.
The language based on the word, the basal unit of linguistic competence, and on
the sentence as a basal unit for narrative expression, automatically uses these
facilities as a method of analysis and generalization of the income information and
as a method to make decisions and draw conclusions. That’s why the language has
become at the same time, not only a communication’s means, but a mechanism of
the intellectual activity and a method which uses the operations of generalization
and abstractions.
By the way the human language, using its competences as principal
instrument, has also its executive and operative aspect. The first component of this
organization is the mechanism of the acoustic aspect which includes the analysis
74
of the language’s flow that transforms a complex stream of sounds in phonemes,
each of which is based on the fact that useful sounds isolation plays a decisive
role in the meaning selection, which are different in every language.
Next component is the lexical-semantic organization of the linguistic code
that uses the competence of lexical morphology of the language to ensure that
images or concepts will be turned into their verbal equivalents. The code itself is
formed by a radical symbolization of language and the function of its
generalization, the formation of this morphological or semantic lattice groups
shows examples of highly complex semantic categories in which each word is
included in the generalized language unit. Up next there is the sentence or
expression that can change in complexity and can be transformed into narrative
language, this expression is the process of transition from thought to language.
The first condition for input language decoding is the isolation of specific
phonemes of the language flow that comes to the subject, left posterior-superior
temporal gyrus areas are particularly suited to isolate and identify the main
phonemic characteristics. This physiological function represents the direct
contribute to the linguistic processes structure. Next step of the receptive language
is the understanding of an entire sentence meaning or a structured linguistic
expression: the cerebral organization of this process is much more complex than
the mere codification of the meaning of words. During the learning of writing
there seems to be three main mechanisms involved in the process, depending on
the participation of different brain areas and taking on different forms.
75
First condition required for narrative language decoding is the retention of
all the elements of the expression in linguistic memory, the lack of this condition
makes the comprehension impossible.
The second essential condition is the elements simultaneous synthesis and
the ability to summarize simultaneously
the sentence and organize it in a
perceived logical scheme. This is essential to understand many forms of simple
narrative language; on the contrary this simultaneous examination and the
formation of concurrent logical schemes are absolutely essential to understand the
linguistic constructions which include complex grammatical-logical relations,
expressed with the help of propositions, case endings and words order.
The third and most important condition for the comprehension of narrative
language is the active analysis of its most significant elements. This active
analysis is hardly required for simple sentences coding, however becomes
necessary to encode the meaning of complex sentences and, more specifically, to
understand the general and particular meanings of the nuances of a complex
narrative statement.
The most elementary language is the repetitive one. The simply repetition
of a sound, syllable or word requires its accurate auditory perception, so the
temporal cortex systems must take part in the act of repetition of language
elements. It requires the participation of a sufficiently precise pronunciation
system and this depends on the participation of the lower areas of the left
postcentral cortex. For repetitive language is essential the ability to change from
an articuleme to another or from one word to another. The repetition of any
structure is inevitably to be in conflict with the reproduction of words phonetically
76
similar but meaningful and known. To make this test successful, some levels of
abstraction of these stereotypes well stabilized, subordination of pronunciation, an
assigned program and the inhibition of relevant alternatives are need.
Another type of expressive language is the objects denomination. In this
case there is no acoustic model of the required word but the subject must find it,
starting from the visual image of the object perceived and then decoding the
image by means of an appropriate word of spoken language.
For a proper
denomination of the objects it is necessary to have a sufficiently clear visual
perception: as soon as visual perception loses its precision, naming objects
process is compromised. This phenomenon is described as optic aphasia and
usually occurs as a result of injury in left temporo-occipital region. It is essential
for the correct objects denomination the mobility of nervous processes. Its
essential function is to ensure that, once the name has been found will not be
frozen, therefore when the subject calls an object is no longer able to easily switch
to another name. However this condition is altered due to lesions of the lower
parts of the left premotor area.
2. Language memorization
Memorization is a complex process consisting in a series of stages which
differs one to another for their psychological structure, the volume of track which
can be fixed, and for the duration of their storing.
Memorization processes start with the verbal track imprinting, information
have a multiple nature and the imprinting permits to choose only several. Stimulus
perceive are now converted into visual images and the final level is tracks coding
77
or their inclusion in a category system. The connection systems are codified in
relation with different clues and as a consequence they form multidimensional
molds from which the subject has to choose the necessary coding system. This
method approach the recall process to a complex and active investigative activity,
allow the subject to use the linguistic activities and it forms the essential link for
the transit from the short-term memory to the long-term memory.
Short-term memory keeps available a limited quantity of information for
some seconds or few minutes, the analysis of the different subcomponents lead to
the idea of working memory, the system that actively holds multiple pieces of
transitory information in the mind, where they can be manipulated. Working
memory includes the central executive and the phonological loop: the first is
responsible for the selection, initiation, and termination of processing routines, it
allocates data to the phonological loop and also it deals with cognitive tasks such
as mental arithmetic and problem solving; the second one is the part of working
memory that deals with spoken and written material, it consists of two parts the
phonological store and the articulatory control process. The phonological store
acts as an inner ear and holds information in speech-based form for 1-2 seconds,
spoken words enter the store directly while written words must first be converted
into an articulatory code before they can enter the phonological store. The word’s
meaning doesn’t interfere considerably with the short term memory, but it can be
a crucial variable for long term memory as it activates structures which simplify
the recollection. In long term memory data can be stored for long periods of time,
but it isn’t known how long exactly. Long term memory is commonly broken
78
down into explicit memory (declarative) and implicit memory (procedural
memory).
Explicit memory refers to all memories that are consciously available, for
example school knowledge or to know what products are available in a shop, it
has three major subdivision: semantic memory, which refers to knowledge about
factual information such as the meaning of words; episodic memory, which refers
to memory for specific events in time; autobiographical memory, which refers to
knowledge about personal experiences from an individual's own life. The storage
of explicit information increases when the subject focuses attention on the task
and if he is emotionally involved, the emotionally neutral experiences instead are
forgotten more easily. The emotional system plays a crucial role in the choice of
what is worth to be stored, however the extreme emotional experiences, such as
emotional shock due to violence or trauma cause a complete collapse of the
explicit memory systems. A severe traumatic event can cause a complete amnesia
of the episode, while the implicit memories of the event remain.
Implicit memory is linked to a type of learning and knowledge that
depends on the repeated execution of a task. These memories are established even
when the subject is not aware of the nature of the acquired knowledge, or even
cannot remember the episodes during which he learned the task, examples of
implicit memory are the ability to play instruments by ear, or the acquisition of
motor skills. A fundamental characteristic of this type of memory is to be acquired
without awareness, as a consequence this memory is used automatically without
conscious control and access to it cannot take place through conscious
introspection. Knowledge acquired in implicit form is not accessible to verbal
79
introspection, indeed no one is able to ride a bike only after following theoretical
lessons. It also seems that the acquisition of implicit knowledge takes place
without the need to pay attention or focus. In the range of implicit memory is
possible to discern: cognitive motor skills such as those permitting to walk, drive,
etc.; priming that is the phenomenon by which detection or completion of sensory
stimuli is facilitated by subliminal presentation of a stimulus allied to them;
classical or emotional conditioning, that is the association between sensory stimuli
and complex physiological responses.
The awareness of what is learned is typically expressed through the
language, that’s why it seems counterintuitive that some aspects of language are
related to implicit memory. Clinical studies show that necessary knowledge for
comprehension and expression in a language can be procedural, other data support
the idea of not being aware neither of syntax use and acquisition, especially for
the first language, nor of sensory motor activities necessary for the production of
phonemes, because implicit memory evolves earlier than the explicit one. It seems
that some language aspects can be learned and used in an implicit form, however
to learn the meaning of new words in a conscious way it is necessary that the
neural bases which support the semantic memory are intact.
It is known that the acquisition of a second language syntax is more
difficult and rarely reaches optimum levels if the language is acquired after a
certain critical age, which roughly corresponds to puberty. This because structures
of the frontal lobe organize the syntactic component of a language only if it is
acquired by a certain age, after which other brain structures are responsible for the
80
second language grammar organization, and it’s likely that these structures allow
an explicit learning.
Michel Paradis suggested that in a bilingual native language and second
language can be stored in different memory systems: when the mother tongue is
acquired only in oral form it would be mainly stored in implicit modality; on the
contrary learning a second language through grammar rules and often using
mechanism of mental translation to express, involves less the implicit memory.
Therefore the acquisition of the native language seems more related to the
implicit memorization compared to the second language. However, even in the
first language are constantly involved both components of the implicit and explicit
memory, for example during comprehension are usually activated at the same
time components of the semantic memory for lexical identification and
components of the implicit memory for syntactic comprehension.
3. The interpreter’s brain
The interpreter’s figure is so familiar that often is not even notice: we only
see a discrete personality alongside a foreign guest, or listen to a voice in the
headphones during a conference. Translating from one language to another is
apparently simple, only few people know the complexity of the biological
processes behind all this.
If language value is to peacefully resolve a conflict, the work of the
interpreter is crucial, as it is necessary to help people to understand each other, an
endeavor that needs attention and respect.
81
Interpreters have existed since the beginning of time, when tribes began
running one into another during their nomadism realized they speak different
languages so they were not able to communicate. Were purely commercial
reasons to push some people to learn neighbor communities languages to exploit
water and food. As evidence of their existence have been found hieroglyphics
representing the interpreters on Pharaohs’ tombs dating back to the III millennium
B.C., while in the Roman period it becomes a real job, interpreters started to earn
salaries working for public administration.
It must be make a distinction between translation and interpreting, because
beyond linguistic knowledge, preparation, factors such as time and speed of
response, the results are considerably different.
The interpreter's job requires preparation and study of the subject that will
be debate, this allows to internalize the basic concepts and with a careful listening
will be easier get the speech’s key words. Simultaneous interpreting in particular
is one of the most stressful jobs, it's like walking on a rope without seeing it, you
can make assumptions but no one knows how the speech will evolve, is therefore
required constant attention and concentration. Consecutive interpreting instead
uses notes, not made of words but of symbols, a kind of ideographic code which is
decoded in a more symmetrical way by cerebral hemispheres.
Speaking of translation as a mere linguistic process is restrictive: not only
different languages activate different brain areas, but it seems that there are
qualified sections to translate in one direction or the other, that is the area
committed to translate from Italian to English wont be the same used to translate
from English into Italian. This leads to establish that, as far as we can come closer
82
to the perfect bilingualism, there is always an idiom considered as the mother
tongue which has language connotations that a foreign language doesn’t have. The
way information are stored leads to consolidate the language with which people
grow thanks to a higher level of emotional associations, while in a foreign
language, even if thoroughly known, the words remain simple linguistic
associations.
In the past it was thought that the area appointed to translation was in the
left hemisphere, where there are language processing centers, today it’s known
that the interpretation (consecutive or simultaneous) is a complex task involving
attention and memory activating both hemispheres. Some studies have shown how
simultaneous interpreters prefer get the input from the left ear trough the
headphones and control what they say with the right one, while in the
monolingual speech they tend to use mostly the right.
The mechanisms responsible for communication, which allow us to choose
the language to be used in a coherent manner without hopping from one language
to another can be found in the frontal lobe, not a specifically linguistic area but the
decision-making processes area. The interpreter’s work is a kind of automatic
process that permit to translate without really listen, it is possible that there are
translation pathways passing through the centers of meaning and others that are a
kind of echolalia, in which the sentence is repeated in the other language without
being understood.
An interpreter’s ability is not only to translate but how he translates, that is
how all the elements of a sentence, such as the choice of the words, the linguistic
83
register and the intonation are used, but which can enrich and sometimes change
the meaning.
The basic element of interpretation is the word, a multivalent matrix that
simultaneously generates a whole sheaf of possible connections among which the
speaker must choose some and inhibit the others. This concept is based on the fact
that the word has at the same time a complex semantic structure formed by a
specific concrete link (word-object), and a generalization system known in
psychology and psycholinguistics as meaning of the word. This complex structure
of the word necessarily presupposes for the interpreter a process of choice, he/she
must be able to select in a very short time the most suitable meaning or synonym
for the context. Furthermore every word, being a voiced complex, can generate a
series of words of similar sound, so the research of the word is not a simple
process but should be represented as a process of active choice of the word
required among many alternatives. Of course the act of choosing the needed word
implies a high selectivity in nerve processes and this selectivity is the
characteristic of the normal course of higher nervous activity. Usually the
selectivity is determined by the fact that the necessary word, consolidated in
previous experiences, emerges with greater probability compared to collateral
words, this makes possible the process of choosing the necessary word. Only
during the research of rare words this probability of emergence disappears, the
rise probability of the various connections that are behind that word and words
which contain equal characters is reduced to the same level and the person who
seeks the necessary word starts be in trouble.
84
If we compare a naïve and an interpreter would be evident how brain
activity differs: the interpreter's brain has a greater terms selective ability and a
more rapid neuronal connectivity that allows him to perform this selection process
in less time. But this can be applied only for the mother tongue, which has
emotional associations, and not for a second or third language learned. The
research of a synonym in the second language requires more attention because the
linguistic associations are not emotionally rooted, this causes an increase of the
response time. All these data reveal a complex network of communication
between the two brain hemispheres, each of the conditions involved in the
complex
process
of
the
statement
formation,
thought
decoding
and
communication decoding are achieved through the close involvement of a brain
mechanisms range which work together ensuring this complicated process. The
human brain works with the continued participation of at least three of the main
building blocks, the first ensures the wakefulness of the cortex and makes possible
the implementation of prolonged selective forms of activity, the second receives,
revises and maintains information, while the third is the system that ensures the
planning, regulation and supervision of the activity in progress. Therefore every
behavior’s act is based on the joint work of the basic functional blocks of the
brain and each of them guarantees a different aspect to this process.
Currently 75% of conference interpreters association’s members are
women, this can be scientifically explained: the female brain has a greater ability
to interact the two brain hemispheres, but also a faster processing language and
sensitivity in perceiving the prosodic intonation of the language.
85
The interpreter’s brain can be defined in some ways more developed
compared to naïve subjects, because there are more developed capabilities, such
as attention, thus allowing to exploit as best it’s possible the nervous energies and
to address it to processes of interest.
86
CHAPTER II
In a world in continuous transformation the human brain has to develop a
sophisticated sense of movement, which is the main form of communication and
expression as well as the basis of survival.
As the sensations reflect the ability of the sensory systems to collect,
analyze and evaluate the significance of physical events, agility and dexterity
reflect the motor system’s ability to plan and execute complex movements in a
coordinated manner.
1. The human brain and motor functions
There are different types of movements that can be developed: reflex
movements that are short and involuntary responses to sensory stimuli; semiautomatic movements or cyclical movements; voluntary movements that are
triggered by an independent initiative of the subject, are not innate but there are
voluntary movements which can become automate with exercise.
The central nervous system prefigures in an abstract way the movement
result regardless of the mechanisms that will be carried out to obtain it; for this
aim is put to use a motor plan, a set of already structured commands which have
to be sent to the muscles and must be initiated in accordance with a precise timing
so that the whole motor sequence can occur even without a peripheral feedback.
The plan also specifies how, when and where to move.
The reaction time, the accuracy and the duration of movement are all
variable factors, namely the reaction time will be greater according to the amount
87
of information processed and the execution speed of voluntary movements will be
inversely proportional to the precision.
The human brain is divided in two large cerebral hemispheres separated by
a longitudinal fissure, here complex motor tasks are originated and are
automatically adjusted by the cerebellum on the basis of sensory information and
of learned examples memory of the movement. Each cerebral hemisphere receives
sensory information and generate motor commands affecting the opposite side of
the body, although anatomically they appear the same, the two hemispheres have
some functional differences and assigning a specific function to a specific region
of the brain is always inaccurate.
The two hemispheres are divided into lobes, each containing functional
regions whose boundaries are not easily distinguishable: the frontal lobe contains
the primary motor cortex area that controls voluntary movements; the parietal
lobe contains the primary sensory cortex to which arrive tactile, pain, pressure and
88
temperature stimuli; the occipital lobe contains the visual cortex, conscious
perception of visual stimuli that affect posture and balance; the temporal lobe
contains the auditory and olfactory cortex, for a conscious perception of auditory
and olfactory stimuli.
The sensory and motor areas of the cortex are connected to each other by
the associative areas, these regions are delegated to the interpretation of sensations
input or the coordination of motor impulses outbound.
Even in the thalamus there are the control centers of sensory and motor
information, this is an important station for sensory ascending information to be
projected to the primary sensory cortex and it coordinates motor activity in
conscious and subconscious level.
The communication between the central nervous system and peripheral
organs occurs through channels that can correlate the sensory and motor
information between the periphery and the brain higher centers. Each pathway
consists of a series of wrecks and associated nuclei, the processing usually occurs
in different points along the path where the synapses transmit signals from one
neuron to another. All wrecks involve brain and spinal cord, often is possible from
the name of the wreck to understand what its origin and destination are. The
sensory receptors are specialized cells able to perceive what is happening within
the body and in the surrounding environment. When one of these receptors is
stimulated, it passes the information to the CNS by action potentials that move
along the axon of the sensory neuron. The somatic sensory information reach the
cerebrum primary sensory cortex, while the visceral sensory information refer to
the diencephalon and brainstem. Somatic motor impulses reach the targets
89
through an integrated system of motor pathways, the pyramidal tracts refer to both
the corticospinal and corticobulbar tracts of the nervous system, it conducts
impulses from the brain to the spinal cord, is made up of two separate tracts in the
spinal cord the lateral corticospinal tract and the anterior corticospinal tract; the
pyramidal pathways may directly innervate motor neurons of the spinal cord or
brainstem, whereas the extrapyramidal system centers around the modulation and
regulation of anterior horn cells. The extrapyramidal tracts include pontine
reticulospinal tract, medullary reticulospinal tract, lateral vestibulospinal tract and
tectospinal tract. The activity of these motor pathways is constantly controlled and
regulated by the basal ganglia and cerebellum, their output pulses can stimulate or
inhibit both the motor nuclei and the primary motor cortex .
So at physiological and anatomical level, the movement can be described
as a continuous flow of information between many neurons present in our body,
all this under the brain’s supervision which coordinates all the parts of our body.
2. The reflexes and reactive movements
Man receives from the environment a countless number of sensory stimuli
to which he must adapt responding through his body with postures or with
movements execution. Each adaptive response that occurs without conscious
control or without the intervention of the will is called reflex reaction. The motor
reflex activity occurs automatically without specific commands from the brain
higher centers, but this may have an important effect on the reflexes functionality.
The reflex path begins with the arrival of the stimulus and the activation of
a receptor by which the posterior roots of the spinal nerves sends information to
90
the CNS, here occurs the synapse between the axon of a sensory neuron and an
associative neuron whose axon reaches a motor neuron in the spinal cord. The
axon of the motor neuron carries the action potential to the suburbs and reaches
the muscle, the area of contact between the motor neuron axon and the muscle
fiber surface is a highly specialized area where neurotransmitters are released.
Reflexes can be classified according to: their development, established or
innate; the processing point, spinal cord or cranial nerves; the nature of the motor
response that results, somatic, visceral or autonomous; the complexity of neuronal
circuits involved, monosynaptic or polysynaptic.
In the simplest reflex arc sensory neuron makes a synapse on a motor
neuron, this is called monosynaptic reflex such as the patellar reflex, the
transmission through a chemical synapse always involves a synaptic delay, but in
this case the delay between stimulus and response is minimal. However when
between the sensory neuron and the motor neuron interpose one or more
associative neurons, the reflex is called polysynaptic. These reflexes have a longer
delay between stimulus and response, as the length of the delay is proportional to
the number of synapses involved.
There are also the so-called primitive reflexes, innate movement that the
body performs since the first months of life to contrast the gravity and gradually
acquire a standing position. The reactive movements are gradually integrated by
the equilibrium responses, as the experiences of movement lead the body to gain
new positions and new ways of translocation through a learning process, during
this process primitive reflexes are conditioned. The conditioned reflexes create
91
new links between external stimuli and the physiological processes and thereby
facilitate a better adaptation of the organism to various situations.
Opposite to the motor reflex there is the voluntary and controlled motor,
that is all those motor acts intentionally took and that require a certain degree of
attention, care and control. These movements occur primarily in situations of
motor learning and are executed with the intention of achieving a target, when are
carried out for the first few times they appear less fluid, poorly coordinated and
involve a greater misuse of energy. The mastery of movement is the result of
regulated mental processing, which gradually gives way to the automated
movement. The consolidation process takes place as long as the gesture is
practiced and used, otherwise the acquired skills can be gradually forgotten
making the process reversible.
The automated movement characteristics are many: speed, low levels of
attention, it allows easy control of multiple tasks or movements in competition
with one another and leads to a low energy consumption.
The automated movements are stored in the kinesthetic memory, due to
certain input the automated control system reacts implementing a motor program
or pattern taken from this memory system. During an automated act our attention
can be addressed to other, allowing the focus on environmental and situational
variables that can modify the motor program or if necessary, can change it by
activating a more suitable one.
The skillful and automated performance has a neurofunctional support in
motor program that resides in the procedural memory system, that is the long term
memory. This is located in the necortex which structurally changes every time due
92
to motor learning, there are three memory systems involved in information
processing which result is the movement production:
1. The sensory store collects all the kinesthetic and environmental input,
information’s retention time is 250 μs, through a process of selection and
filtering of these information useful afferents are entered in the STM;
2. The STM (short-term memory or working memory) has a retention time of
30 seconds, is a temporary workspace that presents quantitative limits in
processing sensory information, it draws up a movement program that is
transferred to the LTM;
3. The LTM (long term memory) has an unlimited capacity of information
and movement program retention, habitual motor activities exercised for a
continuous period are not forgotten even if are not carried out for long
periods.
An example of automated memory is the ability to drive. A person needs
theoretical lessons but especially practical to learn to drive, the constant repetition
of gestures used while driving a vehicle makes possible their memorization. As
already explained automated movements require less attention, that’s why a
person while is driving doesn’t think to the necessary procedures to drive the
vehicle, but looks at the road, if there is a friend the driver talks to him, and is
careful not to have accidents and to reach its destination. In this situation visual
information are significantly important, the sight is the source of exteroceptive
information that tends to dominate over the other, it fulfills a prominent part in
motor control, a visual impairment is considered the most serious threat to the
movement and to the environmental interaction.
93
Each movement takes place in a three-dimensional coordinate system, the
analysis of the fundamental spatial coordinates and keeping them as a framework
within which voluntary movements and actions are performed, is associated with
the active function of the parietal-occipital brain areas, which includes the central
structures of the visual, vestibular, kinesthetic and motors systems which are the
highest levels of the movement spatial organization. The visual analyzer is
extremely crucial to send information concerning space and time, i.e. the distance,
trajectory and speed perception.
The visual information reached the visual cortex then follow two separate
ways for a different information processing and with different effects on the
person: one allows a focal vision for the objects identification in the center of our
visual field; the second way allows the peripheral vision used in the control of
movement, the perception of our visual field is not only central but also
peripheral.
The peripheral vision while driving is crucial for the perception of motion
permitting the person to avoid unexpected obstacles, such as a jaywalker.
3. The Formula 1 driver
The human being moves at ease in the three dimensions that define his
real, but it doesn’t mean that there are not other, completely out of his
understanding, but equally important. As Stephen Hawking said “Confined in a
three-dimensional world that is part of a multi-dimensional world”6.
Stephen Hawking, The theory of everything: the origin and fate of the universe, New
Millennium Press, 2002.
6
94
This is what happens today in Formula 1, whose technical development
has permanently removed it from the spectator’s understanding used to judge the
performance depending on his sensory experiences. These are totally inadequate
when applied to a set characterized by continuous variable acceleration and whose
absolute values are incredible multiples of that gravity still remains the only
assessment tool available to the spectator. So it happens that the spectator doesn’t
detect the pilot’s multidimensional commitment but only the one-dimensional
result on the track.
It’s sufficient look at any camera car and the driver appears as an outside
observer of reality that goes on around him, only marginal interventions on the
steering wheel, some adjustment of controls and trajectories without any drama.
Everything simple? Not at all, because as the commitment of a walk in the park
can’t be compared to extravehicular activity in the space, in the same way driving
a car has all the difficulties of a journey into another world that has nothing to do
with the spectator experience. A world where instinct can’t help but can be
deceive, and where the sight has to give up the immediate and analytical vision of
the track to synthesize and condense the information into a rhythm that goes far
beyond the mere succession of curves and straights, the pace race in fact is
affected by the mental rather than the physical performance.
Even the best Formula 1 drivers are not able to hold an entire race at the
extreme limit as when they are in qualifying, and their pace is normally about
3/10 lower than the maximum potential. This is proved when in those moments
the race strategy requires to find the limit, their time on the lap immediately
improves of a few tenths. The data collected by Formula Medicine in numerous
95
scientific studies on the circuits, show that the driver’s heart rate in these
situations rises on average of about 15 beats, sign of a net increase of
psycophysical effort. Other deep analysis have shown that the increased effort is
almost entirely attributable to a higher consumption of the nervous system.
Using a Functional Magnetic Resonance (fMRI) have been evaluated the
cerebral blood flows and the performances of a few professional drivers while
submitted to specific mental tests, the group of riders was then compared to a
group of non-athletes of the same age. The results have shown that there are
differences in the results between the naïve and the drivers, pilots activated
smaller brain areas so are much more economic in terms of nervous energy
consumption. Formula 1 drivers have a different functional connectivity between
different brain regions involved in visual-motor processes compared to naïve
subjects, data obtained from the studies have suggested a functional
reorganization of the brain visual-motor network in individuals with special skills,
such as the drivers.
3.1 Passive driving study
Throughout the series of studies conducted by Formula Medicine in
collaboration with the University of Pisa, what can be defined determinant is the
study of professional pilots and naïve subjects during passive driving sessions.
Has been used fMRI to examine neural activity while professional and
naïve drivers watched a continuous camera car video of a Formula 1 car racing on
four different circuits, subjects were also introduced to imagine themselves
driving the car. In both groups passive driving significantly modulated regional
96
brain activity in a network of cortical areas involved in driving behavior,
including bilateral visual cortex, precuneus, cingulated, parahippocampal,
superior parietal, medial frontal and right dorsolateral prefrontal cortex and left
precentral area. However, professional drivers recruited additional cortical areas
including ventral and dorsal premotor and inferior parietal regions; during each
video professional drivers showed stronger and more numerous correlation
increases in both left and right primary motor cortex as compared to naïve drivers
who conversely showed more correlation increases in the primary visual cortex
(Fig.1).
Fig1. Group Inter-Subject Correlation maps: naïve drivers results are shown in dark/light
blue while professional drivers results are shown in red/yellow.
These results, indicate that the brain functional organization developed by
skilled race car drivers differs from that observed in naïve individuals.
Interestingly, the different responses observed in visual and motor areas indicate
that naïve drivers were characterized by a consistent modulation of brain activity
in occipital cortex, while professional drivers presented a higher involvement of
motor control devoted areas. In fact, while naïve drivers possess only a basic
driving knowledge, professional drivers have been trained specifically in car
racing and have the motor competence to effectively cope with the specific
97
situations arising during the Formula 1 passive driving task. Differently put, naïve
individuals simply watched the race, while professional drivers imagined to act.
3.2 Mental Economy Project
From these premises was born a further scientific study aimed at study the
pilots brain during intense mental effort: the Mental Economy Project.
This is a complex set of instruments to assess the mental performance and
simultaneously measure the energy expenditure of the nervous system; according
to the first results recorded it is possible to train the athlete to reach higher mental
performance with less nervous energy consumption.
A fundamental part of the project is the MentalBio, a special console with
four screens and which allows to detect several biomedical parameters and
transmits them via wireless while the driver is engaged performing mental
performances. The MentalBio purpose is to evaluate simultaneously the mental
performances and the nervous energy consumption using: Formula Test, specific
tests to evaluate the reaction time, concentration, visual-spatial capacity, memory
and visual-coordinative capacity; Mind Band, a software that evaluate the
attention, concentration, relaxation and meditation managed by a sensorized band
that detect electroencephalographic waves and displays them in real time on a PC.
For the measurement of the nervous system expenditure are used instead
the following instruments: BioStress, an instrument able to measure different
body parameters through some sensors applied directly on the body such as the
heart rare, sweating, the body temperature device, the kinetic breathing, the level
of concentration of the frontal muscles and the electroencephalogram; Multisensor
98
Belt, a chest strap able to transmit via Bluetooth all the biomedical parameters and
because it consists exclusively of electrodes can be used during the race.
4. Brain plasticity
Formula 1 drivers has a different organization of the cerebral networks,
this is possible thanks to the fascinating ability of the brain to change, that is to be
plastic.
According to neuroscientists, the brain is a system able of selforganization and its plasticity is maintained for life, the part of the brain that has
greater plasticity are the frontal lobes, where consciousness resides.
The term plasticity in neurology is used to describe changes in the brain
due to the strength of connection between neurons expressed by the influence of
the experience, that is to say the neurons and their synaptic connections change if
constantly stimulated. Emotions play a crucial role in brain activity, because
emotional stimuli are among the most potent activators of brain systems and
learning ability.
Plasticity is due to the continuous brain training, physical and mental
activity stimulates the secretion of neurotrophins, substances that promote the
development of neurons, improve the agility of the psyche and the body's health
during aging. Another effect of brain plasticity is the ability to modify neural
circuits with simple mental activity, in other words without take any action; as
some brain imaging experiments revealed, imagine a movement (mental training)
is just like physically perform that movement, because stimulates neuronal
circuits where are located the athletic and physical ability.
99
This is what drivers do when they are not on the track: visualize the track
and imagine driving their car, sometimes even mimicking every little gesture, this
helps them not only to memorize the circuit curve after curve, but prepares them
for deal with it mentally conveying their energies on concentration and on the
result. Therefore these are not only extraordinary innate abilities, but a constant
and special training allows them to reach optimal levels during the performance.
The ability to modify neural circuits has led Formula 1 drivers to develop new
connections between the two hemispheres in order to activate different but small
cerebral areas and exploit them as best as they can, because doesn’t matter the
quantity but the quality of neuronal energy use.
An harmful factor for brain plasticity and for drivers is stress, it changes
the brain, causing a decrease of the immune system and in concentration. A great
concentration is crucial for drivers, staying lucid allows them to know what their
limits are, even in those moments when adrenaline is at high level, and to overtake
the hitches which in Formula 1 never miss. The mental clarity is essential in
decision-making process, which in case of negative result reflects on the driver
himself, if the driver misses a decision risks his own life.
In conclusion it can be said that despite at physical level there is a great
expenditure of energy, Formula 1 is a mental sport. It’s the performance of a
single organ to determine all the factors influencing the race of each driver, an
excellent use of neuronal energy allows them to exploit themselves to 110%, as if
they were supermen.
100
CHAPTER III
Two figures that everyone knows, two completely different working
environment, two distinct worlds that no one would ever think there might be
something in common, but behind the appearances are hidden two extraordinary
brains: one of the interpreter and one of the Formula 1 driver.
1. From a booth to a cockpit
Two great brains into two small spaces. These are the interpreter’s booth
and the driver’s car cockpit, here they show off their extraordinary abilities.
For simultaneous interpreters the booth can be defined as their second
house, a soundproof area of 5 square meters where they are face to face with a
pair of headphones and a microphone. Theoretically a space where it seems
impossible to be a distraction, but this is not enough, movement for example can
be a sensory distraction, the human brain is attracted by objects on the move, so if
something moves in their visual field they are automatically prompted to look at.
The same thing happens to mental distractions, when an interpreter enter in the
booth must leave his thoughts outside and concentrates. The interpreter’s working
conditions are determined by the environment, including time and space
parameters, factors related to his task such as the preparation and the cognitive
efforts, variables related to the sound quality or the possibility to see the orator,
the speed and the prosody of the speech and not less important the interpersonal
factor such as collaborative capability. Working in the booth is like stay under a
bell jar where nothing bad can happen, the surrounding environment does not
101
change in the way to affect their work, even during a conference can happen a
hindrance but generally nothing that leads them to risk their lives.
At physical level the interpreter doesn’t have a high expenditure of energy,
the main stimulus he receives and to which he has to answer is auditory, but the
mental commitment is so conspicuous that after a certain time lapse causes
physical tiredness. The interpreter’s job is one of the most stressful in the world,
according to the International Association of Conference Interpreters (AIIC) the
main stress factors are: the high difficulty of the source text and its verbal
exposition, a booth’s structure that always doesn’t meet the required parameters
and the lack of documentation. Have been made scientific measurements on
interpreters as cardiovascular levels and the sweat glands activity through the
changes in the skin galvanic resistance; have been plotted respiratory rate,
changes in the epidermal conductance and the upper extremity electromyography,
the results have shown a high levels of mental alertness to sensory stimuli that
lead to high levels of psychophysical suffering.
The booth can almost be defined as a palace compared to the car cockpit, a
restricted custom-made space, that's where the pilot gives the best. A Formula 1
Grand Prix lasts two hours and almost all take place during the hottest hours of
the day, where not only the air temperature exceeds 30 degrees, but also that of
the asphalt and tires. This to underline that those who are sitting in the car,
covered by layers of overalls and helmet, have to tolerate very high temperatures.
Moreover, the driving position and the strains to which their neck and back are
undergo don’t make it easier.
102
The Formula 1 drivers despite their precise and constant physical training,
lose after every race between three or four kilos, so it’s evident that a basic
physical preparation is necessary, but mostly willpower not to hesitate in any
moment of weariness.
However, outside the small cockpit, there is an ever-changing
environment: it may seem trivial but the weather conditions are one of the
influential factors for the race and for the strategies to be implemented, a sudden
climate change as a storm means for the driver higher attention levels. Not only
the climate changes, what requires special attention are the rivals, whose could
cause an accident or a risk for everyone else; so despite the driver’s attitude to
danger, he mustn’t think only about the track and the race itself but also to his
security.
The overtaking strategies development against rivals or the mental
alertness and management of a sudden danger are processed by the brain very fast
starting several brain areas; even the physical condition depends on the man’s
mental work, it’s a brain task maintaining muscle tone, heart rate, blood pressure,
etc.. The brain is like an agile puppeteer who moves the strings of more puppets
simultaneously. In general, a driver uses all the parts of his body and brain: uses
both upper limbs to move the steering wheel, to set the balance of the car using
bottoms and control wheels, to gear up and down and to press the clutch, the right
foot presses on the accelerator, while the left has control on the brake and the
kers.
Using one of the buttons on the steering wheel, the driver can
communicate with the box, what should be noticed and that is very often taken for
103
granted is that the communication between engineers and drivers is in English,
most of the time this is not the driver native language but the international
language used.
Fernando Alonso is the Spanish driver racing for Scuderia Ferrari, he
speaks English and Italian very well and during radio communications never
speaks in Spanish but one of the other two languages, choosing Italian when he
doesn’t want to be understood by the other teams. Hopping from one language to
another must entail an additional expenditure of nervous energies, which is at the
basis of the interpreter’s job but not of a driver.
2. The thought
Psychologists are unanimous affirming that the thought arises only when
the subject has a proper reason which makes the task resolution urgent and
essential, and when the subject is confronted with a situation of which doesn’t
have a preformed solution.
The thought is not unique, but is based on different intelligence types:
logical, analogical, systematic, visual, motor and emotional; in the reorganization
process of the problem are mainly use logical, analogical and systematic thinking.
The logical thinking is divided into deductive, analysis of the problem from the
general to the particular cases, and inductive, from particular cases to the general
idea using a hierarchical structure. The analogical thinking connects two or more
elements, looking for similarities or differences, very useful for new perspectives
but with the risk of diverting from the logical line; systematic thinking instead
104
creates synthetic visions of the problem, helping to orientate in complex situation
with many data.
After the task discovery we’ll not have a direct attempt to answer but a
brake of impulsive responses, the analysis of its components, the identification of
the most essential aspects and their correlation. Next stage of the thinking process
is the choice of an alternative among the possible ones and the creation of a plan
for the task execution, deciding which of the alternatives is more likely to occur
and excluding those inadequate. The formation of a plan for the problem solution
and the choice of appropriate alternatives systems, bring the subject to choose the
appropriate methods and examination of which operations will be adequate to
prepare the outline of the solution ongoing. These operations correspond to the
use of preformed algorithms that are well adapted to represent the outline; the
existence of these codes that are well assimilated and which are the operational
base of the mental act, becomes to be the basis for the enforcement of the
intellectual operations required. If the results are in agreement with the conditions
of the original problem, the intellectual act is completed, but if it doesn’t match
the search for the necessary strategy it should start from the beginning and the
thought process must continue until a solution is found.
This is the process that the human brain performs for every single problem
it runs into, the question is: how long lasts this process? An interpreter could
never afford to dwell on a morphological dilemma for more than a few seconds,
like a driver in front of an accident can’t think about how to prevent car’s
damages instead of thinking about his safety. Well, the human brain due to its
millions of synapses and neuronal connections is able to carry out this
105
reorganization of the problem in a short time, so it permits both the interpreter and
the pilot to have a good mental performance. However, it may happen to run into
a problem and don’t be able to solve it with the first strategy developed, the
solutions adopted by the two subjects differ, it is rare but it can happen both to
solve the problem with an instinctive response, the choice of a term rather than
another for the interpreter, and an abrupt steering to avoid an unexpected obstacle
for the driver. But drivers are favored because while the interpreter hasn’t second
chances when translates, they have many: for example adversary B gets ahead of
driver A, A implements the strategy resulted from the problem processing, that is
tries to overtake B but fails, his goal is to gain positions and not to lose, so he
must pay attention to both the strategy of attack and defense, in this case A has the
opportunity to evaluate what was wrong in the strategy, corrects or changes it and
carries it back up to his purpose, overtake B.
The cognitive process, which permits the problem resolution, starts in the
frontal lobe and then connects to a number of brain areas that work in sync,
everything ever made in symbiosis with excellent attention levels.
3. The attention
Of the many stimuli reaching the brain, it answers only to those which are
particularly strong or that are particularly important and correspond to interests,
intentions or immediate tasks.
In psychology directivity and selectivity of mental processes, the basis on
which they are organized, are usually called attention. It is well known that the
characteristics of the most basic and involuntary attention can be observed already
106
in the first months of a child's development, eyes and head turn toward the
stimulus, all other forms of irrelevant activities cease, and a group of respiratory,
cardiovascular and psychogalvanic responses, called orientation reflex, appear.
An essential feature of the orientation reaction, that differs from the general
reaction of awakening, is to be highly selective and directive, producing the basis
for an organized behavior.
The social organization of attention, obtained through a communication of
words and gestures defines the creation of a more complex form that is voluntary
attention, this is crucial because bridges the gap between elementary forms of
involuntary attention and more highest forms of voluntary attention.
Each complex form of voluntary or involuntary attention requires the
realization of other conditions, that is the possibility of a selective recognition of a
particular stimulus and the inhibition of responses to irrelevant stimuli or of no
importance to the temporary situation.
Studies have shown that neurons that don’t respond to stimuli of specific
mode, but compare old and new stimuli permitting to respond to new stimuli or
their property, covered an important role in the structures of the limbic region.
The frontal lobes are essential in the attention organization, they get
ongoing in the inhibition of responses to irrelevant stimuli and maintaining a
behavior designed and programmed, and by this depends voluntary attention. The
American neuropsychologist Grey Walter (1910-1977) stated that the expectation
of a stimulus evokes in the frontal lobes slow specific potential which he
described as “expectancy waves” which spread in other areas of the brain; other
107
studies proved that intellectual stress causes a rapid increase of the frontal cortex
points number functioning in sync.
The frontal lobes play an important role in raising the level of alertness of
a person who is performing a task, and may participate significantly to the higher
forms of attention.
The repeated presentation of a stimulus causes the extinction of the
vascular orientation reflex, but as soon as the person is told to pay attention to
changes in the quality or intensity of the stimulus, the vascular components of the
orientation reflex are restored immediately. The first stimulus appearance evokes
distinct changes in the electrophysiological brain responses, such as the
depression of the alpha rhythm and the raising of the electroencephalogram faster
components; the repeated stimulus appearance leads to the passing of these
feedback but as soon as the subject receives an instruction that maximizes his
attention to those stimuli, the electrophysiological components of the orientation
reflex are restored.
This process of cardiovascular and alpha rhythm components changes and
reactivation occurs whenever the Formula 1 driver tries to improve the lap time, to
do a difficult overtaking or before the pit stop: the heart rates that are already
higher than 170 beats per minute reach peaks of 190, in these conditions blood has
a low oxygenation because of the heart accelerate pulse. Nevertheless the driver is
clear headed, optimizing the management of nervous energy and concentrating
only where and when is necessary.
108
4. Brains in comparison
Anatomically human brains are all the same, a kilo and a half of grey
matter with gelatinous texture and not very pleasant to see, but that permits to
human beings to stand out from other forms of life on Earth.
What varies is its physiology, a different functioning of this organ may be
due to aphasia, trauma, or to a different stimulation and use of all the brain areas.
Many people think of being able to use its brain at 100%, but only a few
really succeed. Have a cerebral maximum performance doesn’t mean overcharge
the brain with information because this would not have time to assimilate and
reprocess all the data, but is important to know how to choose the necessary
information and to capitalize on nervous energy.
Every human being uses to train the interest brain areas, in the interpreter’s
brain is possible to observe a major development of Broca's area, because learning
foreign languages in adulthood, induces a greater activation of this area. While the
interpreter speaks in the native language (L1) Broca's area starts working but is
not the same as when speaking in the second language (L2), this suggests that the
second learning has created new word pronunciation circuits, different from those
used for the native language. This creation process of new neuronal circuits is
necessary for any new language learned due to the fact that the brain not only has
to memorize new words, but also their meaning, how to use them and their
pronunciation; as a consequence also new motor circuits are needed.
Neurophysiology and neuroanatomy in bilinguals change according to the
age and the techniques of learning a second language: L1 grammatical elements
defined as closed class, are represented in the frontal lobe of the left hemisphere,
109
while semantic elements, the open class, are located in the rear portion of both
hemispheres, more in the left one. When L2 is learned after eight years, the
representation of the open class remains the same as L1, while the closed class is
represented in a posterior region of the brain, then there is a less representation in
the procedural memory systems; when L2 is learned before the eight years the
closed class coincides with the structures of L1.
The second language organization in different memory systems compared
to the first language will affect the procedures of use of the two languages forever.
The phonological and grammatical competence of L2 will be limited and the use
of this language will be less automatic and will require a high mental work
compared to the communication in the native language.
There are three levels of L2 learning: Early Acquisition High Proficiency,
the acquisition of L2 before the age of three, the brain activation detected during
the execution of grammar tasks is the same in the two languages and involves the
classical language areas; Late High Proficiency Acquisition, the acquisition of L2
before the age of eight, despite the language skills are equal to those of the first
group, the second language has a cerebral representation more extended than the
first; Late Learning Low Proficiency, the acquisition of L2 after the age of eight,
L2 tends to occupy an even larger number of cortical and subcortical areas. The
greater cerebral representation of L2 in bilinguals who have learned it after three
years corresponds to a higher energy demand during the use of this language, for
them speak in a second language is “harder” then in the native language and
involves a greater consumption of nervous energies.
110
It’s certain that bilinguals have a cognitive advantage, such as best
execution capabilities, best ability to concentrate on what is important, and the
ability to shift from one task to another without confusing.
It is also possible to affirm that the brain is more functional because
interpreters develop a number of new neuronal connections and new active brain
areas, that don’t exist in the monolingual.
As already described in the previous chapter, the brain of the Formula 1
driver is exploited at the height: it has been studied that drivers develop a number
of new neuronal connections, not only between different areas but between the
two cerebral hemispheres. However their incredible abilities are to activate areas
of the brain simultaneously with the least consumption of nervous energy, for
example they don’t turn on the entire Broca’s area which is not necessary during
the race, but they will use only a part of it exploiting at the most areas involved in
visual-motor processes. The interaction and collaboration between the two
hemispheres bring about the gap between dominant and subordinate hemisphere
decrease.
The capability developed by the interpreters to shift from one task to
another without making mistakes or being distracted is not equally developed in
drivers: that of the drivers is a set of driving coordinated movements now
automated and then carried out unconsciously, most of their attention is focused
on visual stimuli and alertness, therefore can be affirmed that the ability to
perform multiple tasks simultaneously is not their extra capacity.
Also the unpredictability levels change in both sectors, both the interpreter
and the driver carry out a different preparation before each “performance”: the
111
first has to enrich his knowledge about the subject that will be discussed during
the conference, orators who will step-in, the sector terminology used; the second
has not only to carry out a physical preparation, but he has to memorize perfectly
the entire circuit, curve after curve, even without driving (see chap.II par.4), and
study the race strategy. The unpredictability factors of a Grand Prix are: the rivals’
strategy, the surrounding environmental conditions that may change, a motor
malfunction or an accident, but often these unpredictable factors can be faced and
solved.
We must remember that during a Formula 1 race, are made at least 50 laps
that means a driver has the opportunity and the time to solve the problem, try to
think if wont be fifty but only one lap, how many possibilities to solve the
problem there would be? Probably no one. So it is for the interpreter, a single ride,
perfection and constant concentration and no chance of mistake. The unexpected
factor for the interpreter, which can or cannot cause an error or a distraction, is
unconsciously destructive, it would increase stress levels and decrease
concentration and clarity, all factors that influence the final result.
112
Conclusions
At the end of this research is possible to delineate the psychophysiological
profiles of these two interesting figures. There are many factors that affect their
work but less chance of resolution of the problems.
What combines for sure the interpreter and the driver is the brain, or rather
its ability to adapt perfectly in any situation; not only their brains process data at
an higher speed than normal, but produce with the same speed responses to the
inputs received. Brain functions, as already has been explained, are not only
innate but can be the result of a workout that allows a constant improvement and
brain development. What mainly arouses attention is the changing anatomy of the
brain, the ability to create new functional areas required for the execution of
specific tasks. These are not mutant brains, but dormant capacity and functionality
that not everyone is able to exploit.
The formation of new brain networks in the driver’s brain and of new
language areas in the interpreter’s brain allows them to carry out their job better
than an inexperienced individual, but the special thing is the control of nervous
energies expenditure. Drivers are able to perform a double-brain activity with the
same nervous energy of a naïve subject.
The consequences of this unrestrained brain activity occur both for the
interpreter and for the driver also at physical level, altering heart rate, blood flow,
sweating, changes in the alpha rhythm and obviously causing a strong physical
weariness and headache. The physical effort is more significant for the driver but
is not the same for the mental effort.
113
The mental commitment of the interpreter entails high cerebral fatigue,
causing a strong psychic stress.
In conclusion, if all these common and uncommon factors are borne in
mind, it will turn out to be that both develop extraordinarily their brains but the
psycho-physical consequences considerably change. Today the interpreter’s job is
considered one of the most stressful job in the world along with the Formula 1
drivers and airline pilots.
With this experimental research I’ve tried to analyze, compare, and find
out what the human brain hides, based on scientific data and researches which
have not found their arrival point yet.
114
Sección española
Las capacidades de
desarrollo y adaptación
del cerebro humano
115
CAPÍTULO I
Es fácil darse cuenta de la importancia del lenguaje para la vida humana;
sin el lenguaje muchas de las actividades cotidianas serían si no imposibles, muy
difíciles.
1. Neuroanatomía y neurofisiología de los procesos de producción del
lenguaje
Los centros nerviosos encargados de las vocalizaciones adquiridas, como
el lenguaje del hombre, están situados en las partes más altas del cerebro, mientras
las estructuras más bajas dominan las vocalizaciones innatas, es decir las que no
se aprenden como el lloro. Todos los tipos de vocalizaciones son posibles por la
integridad de los nervios periféricos que controlan la motilidad laríngea y
supralaríngea. Estudios de anatomía y fisiología han puesto en evidencia la
función de centros nerviosos específicos, conectados con la producción de las
vocalizaciones tanto en el sistema nervioso central como en el sistema nervioso
periférico.
John Lamendella, un lingüista estadounidense, suponía que la sustancia
gris periacueductal, el centro pontino, el tálamo, el cerebelo y la corteza del
cíngulo anterior, puesto que participan tanto en la organización de las emociones
como en la producción de las vocalizaciones y de las palabras, son implicados
diferentemente en la produccíon de la lengua materna respecto a otros idiomas. En
particular Lamendella pensaba que el idioma aprendido por los adultos a través de
reglas gramaticales no incluye las estructuras emocionales, pero necesita un
116
continuo proceso de traducción de la lengua materna a la segunda lengua antes de
ser producida.
Claramente para la producción del lenguaje son numerosas las estructuras
cerebrales, encargadas del control del movimiento, implicadas: durante la
producción concatenada de fonemas, la laringe y la epiglotis efectúan
movimientos coordinados que producen las vibraciones del aire captadas por
nuestro cerebro como sonidos del lenguaje. Para una correcta realización de estos
movimientos, el cerebro necesita ser continuamente actualizado acerca de la
posición de los órganos articulatorios. En el hombre la memoria de las secuencias
sensoriales y motoras que forman el lenguaje se organiza en los hemisferios
cerebrales; si se interrumpen las vías sensoriales y motoras los impulsos
producidos por los hemisferios cerebrales no llegan a los centros motores y
sensoriales debajo del mesencéfalo, que son la parte ejecutiva de estos impulsos.
En la mayoría de la población el hemisferio cerebral izquierdo se define
dominante: este hemisferio vuelve a ser el responsable de las funciones
lingüísticas mientras el hemisferio derecho, que no está conectado al lenguaje, se
queda subordinado. El hemisferio dominante desempeña un papel importante para
la organización cerebral de todas las formas superiores de actividades cognitivas
rrelacionadas con el lenguaje, como la percepción organizada en esquemas
lógicos, la memoria verbal activa y el pensamiento lógico, mientras el hemisferio
derecho o empieza a ejercer una tarea subordinada de estos procesos, o nada.
En el hemisferio izquierdo hay dos áreas más que son cruciales para la
producción del lenguaje: el área de Broca y el área de Wernicke.
117
El área de Broca está ubicada en la tercera circunvolución frontal,
adyacente a la corteza motora que controla los músculos de la cara, y corresponde
a las áreas de Brodmann 44 y 45. Se llama así en honor al médico francés Paul
Broca que después de varios estudios afirmó que el hemisferio izquierdo controla
el lenguaje. Se ha estimado que los centros de control del lenguaje están ubicados,
por el 96% de los diestros y por el 70% de los zurdos, en el hemisferio izquierdo.
El área de Broca se conecta con el área de Wernicke mediante un haz de fibras
nerviosas llamado fascículo arqueado; esta es una región de la corteza cerebral
donde hay una parte de los centros del lenguaje; descubierta por el neurólogo
alemán Karl Wernicke y corresponde al área 22 de Brodmann, en la mitad
posterior de la circunvolución temporal superior. La información sensorial relativ
a la percepción del lenguaje lleg en el área de Wernicke, que comunica con la
corteza auditiva primaria.
La psicología considera el lenguaje como un medio especial de
comunicación que utiliza la competencia lingüística para la trasmisión de la
información; considera el lenguaje como una forma de la actividad consciente,
compleja y organizada, que implica la participación del sujeto que formula la
expresión hablada y del sujeto que la recibe. Análogamente distingue dos formas
y dos mecanismos de la actividad lingüística: el primero es el lenguaje expresivo
que empieza con la motivación, se codifica en un esquema lingüístico y se activa
por medio del lenguaje interior, estos esquemas se convierten en un lenguaje
narrativo basado en la gramática; y además el lenguaje impresivo, que sigue el
curso contrario.
118
Sin embargo el lenguaje humano, utilizando su competencia lingüística
como instrumento principal, tiene también su aspecto ejecutivo y operativo. El
primer componente de esta organización es el mecanismo acústico, que incluye el
análisis del flujo del lenguaje que transforma un flujo continuo de sonidos en
fonemas, ya que el aislamiento de los sonidos útiles juega un papel decisivo para
la selección del significado, y que difieren en cada idioma.
El componente siguiente es la organización léxico-semántica del acto
lingüístico que utiliza el conocimiento del código morfológico del lenguaje para
asegurarse de que las imágenes o los conceptos se transformen en sus equivalentes
verbales.
Sucesivamente está la frase o expresión que puede variar por complejidad
y puede ser transformada en lenguaje narrativo, esta expresión es el proceso de
transición desde el pensamiento hasta el lenguaje. La primera condición necesaria
para la decodificación del lenguaje narrativo es la retención de todos los
elementos de la expresión en la memoria lingüística. Si esta condición falta es
imposible la comprensión de la frase. La condición necesaria siguiente es la
síntesis simultánea de los elementos y ser capaz de reasumir simultáneamente la
frase y organizarla en un esquema lógico. La tercera y más importante condición
para la comprensión del lenguaje narrativo es el análisis activo de sus elementos
más significativos.
2. Memorización del lenguaje
La memorización es un proceso complejo que consiste en una serie de
fases que difieren por su estructura psicológica, la cantidad de huellas que se
119
pueden asimilar, y la duración del almacenamiento que se extiende durante un
cierto período de tiempo.
Los procesos de memorización empiezan con la impronta de la huella
verbal, los estímulos captados se trasforman en imágenes visuales y en la fase
final se realiza la codificación de las huellas o sus inclusión en un sistema de
categorías. Este acercamiento favorece el proceso de llamada de la actividad de
investigación compleja y activa, permite al sujeto utilizar las actividades
lingüísticas y constituye la esencial conexión para el cambio desde la memoria a
corto plazo (MCP) hacia la memoria a largo plazo (MLP).
La memoria a corto plazo mantiene disponibles una cantidad limitada de
unidades informativas por lapsos de tiempo que varían de unos pocos segundos a
algunos minutos. La memoria a largo plazo es un depósito donde el conocimiento
se organiza de manera permanente y duradera, pero de que actualmente no se
conoce ni su capacidad ni el tiempo de conservación de la información. La MLP
suele dividirse en dos grandes subtipos: la memoria declarativa o explícita y la
memoria procedimental o implícita.
La memoria explícita es la recolección consciente e intencional de la
información y experiencias previas, como por ejemplo el conocimiento de
nociones escolares de historia; en cambio la memoria implícita supone una forma
de memoria inintecionada e inconsciente, cuyo aprendizaje depende de la
ejecución repetida de una tarea. Estas memorias se instauran también cuando el
sujeto no es consciente de la esencia del conocimiento adquirido o por lo menos
no se acuerda de los episodios durante los cuales aprendió dicha tarea; ejemplos
120
de memoria implícita son la capacidad de tocar un instrumento de oído y la
adquisición de capacidades motoras.
La conciencia de lo que se aprende se expresa generalmente a través del
lenguaje, por eso parece contra-intuitivo que algunos aspectos están relacionados
a la memoria implícita. Estudios clínicos demuestran que los conocimientos
necesarios para la comprensión y la expresión en una lengua pueden ser en gran
parte de tipo procedimental; hay la posibilidad de no ser conscientes
de la
adquisición y del uso de la sintaxis, especialmente la del primer idioma, ni de las
capacidades sensomotoras necesarias para la producción de los fonemas, eso
porque la memoria implícita madura más temprano que la explícita.
Parece que algunos aspectos del lenguaje
pueden ser aprendidos y
utilizados de forma implícita, pero para aprender de manera consciente el
significado de nuevas palabras es necesario que las bases nerviosas que sustentan
la memoria semántica estén intactas. Estudios han demostrado que la
representación de la morfosintaxis, pero no la del léxico, tenía los mismos perfiles
madurativos que la memoria procedimental, y que la sintaxis y el léxico estaban
figurados en zonas diferentes del cerebro, respectivamente en las áreas frontales y
temporoparietal izquierda.
Se sabe que la adquisición de la sintaxis de un segundo idioma es más
difícil y raramente alcanza niveles óptimos si el idioma se aprende después de una
cierta edad crítica, que corresponde más o menos a la pubertad. Eso porque las
estructuras del lóbulo frontal organizan las componentes sintácticas de una lengua
solo si esta se aprende dentro de una cietra edad, después otras estructuras del
cerebro se encargan de organizar los aspectos gramaticales de un segundo idioma,
121
y es probable que estas estructuras sustitutivas permitan un aprendizaje
básicamente explícito.
Michel Paradis sugerió que por un bilingüe la lengua materna y la segunda
lengua pueden ser memorizadas en aparados diferentes de la memoria; por
ejemplo si la lengua materna es un idioma adquirido solo en forma oral será
memorizada en su mayoría con el utilizo de modalidades implícitas; al contrario
durante el aprendizaje de un segundo idioma, que se asimila por reglas
gramaticales y en el que se utilizan los mecanismos de traducción mental para
expresarse, la memoria implícita es menos implicada. Entonces la adquisición de
la lengua materna parece mayormente relacionada a la memorización implícita
respecto al segundo idioma.
Sin embargo, también en el primer idioma están interesadas tanto las
componentes de la memoria implícita como las de la memoria explícita, por
ejemplo durante la comprensión se activan al mismo tiempo partes de la memoria
semántica para el reconocimiento del léxico y partes de la memoria implícita para
la comprensión sintáctica.
3. El cerebro del intérprete
La imagen del intérprete es tan familiar que a menudo se nota su presencia.
Traducir de un idioma a otro es una operación que parece simple, pero solo
pocas personas conocen la complejidad de los procesos biológicos que se ocultan
tras de todo eso.
Los intérpretes existen desde el principio de los tiempos, cuando las tribus
empezaron a encontrarse durante su nomadismo y entendieron que hablaban
122
diferentes idiomas, y por lo tanto no podían comunicar.
Fueron razones
puramente comerciales que los llevaron a aprender los idiomas de las poblaciones
cercanas para explotar agua y alimentos. Como testimonio de su existencia se han
encontrado jeroglíficos que datan del III milenio a.C. y figuran a los intérpretes
en las tumbas de los faraones.
Para trabajar como intérprete es necesaria preparación y estudio del tema
que va a ser examinado, eso permite asimilar los conceptos básicos y prestando
oídos es más fácil captar las palabras clave de la oración. En particular la
interpretación simultánea es uno de los trabajos más estresantes, parece de
caminar sobre una cuerda sin verla, se pueden formular hipótesis pero no se sabe
como evolucionará la oración, entonces es necesaria una constante atención y
concentración. En cambio para la interpretación consecutiva se utilizan los
apuntes, compuestos por símbolos y no por palabras, una especie de código
ideográfico descifrado de manera simétrica por los hemisferios cerebrales.
No se puede hablar de traducción como un mero proceso lingüístico: no
solo diferentes idiomas activan
diferentes áreas cerebrales, sino parece que
existen módulos especializados para traducir en una dirección o otra, es decir el
área que se ocupa de la traducción del italiano al español no será la misma que se
utiliza para traducir del español al italiano. Pues se puede afirmar que, aunque
podemos acercarnos a un perfecto bilingüismo, hay siempre un idioma
considerado como la propia lengua materna que tiene connotaciones lingüísticas,
que una lengua extranjera no tiene.
Antes se pensaba que el área diputada a la traducción estaba situada en el
hemisferio izquierdo, donde están los centros de elaboración lingüística, hoy es
123
notorio que la interpretación (consecutiva o simultánea) es una tarea compleja que
necesita atención y memoria activando ambos los hemisferios. Algunos estudios
han demostrado como los intérpretes simultáneos prefieren escuchar con el
auricular con oreja izquierda y verificar lo que dicen con la oreja derecha, pero si
se habla solo en una lengua se propende utilizar más la oreja derecha.
El trabajo del intérprete es una especie de procedimiento automático que
permite traducir sin escuchar realmente, es concebible que hay vías de traducción
que pasan por los centros del significado y otras que son una especie de ecolalia,
donde se repite una frase en el otro idioma sin comprenderla. El talento del
intérprete no es solo traducir, sino como traduce, es decir la forma en que se
utilizan todos los elementos de una frase como la selección de los términos, el
registro lingüístico, la entonación, que enriquecen y a veces modifican el
significado.
El elemento básico de la interpretación es la palabra, esta representa una
matriz plurivalente que produce al mismo tiempo un entero haz de conexiones
posibles entre las que el hablante debe elegir algunas e inhibir otras. Esta
concepción se basa en el hecho de que la palabra tiene al mismo tiempo una
compleja estructura semántica cuya forma parte tanto una determinada relación
práctica (palabra-objeto), como un sistema de generalizaciones conocido en
psicología y psicolingüística como significado de la palabra. Esta complicada
estructura supone necesariamente un proceso de selección en el intérprete, que
debe ser capaz de elegir en un tiempo muy corto el sinónimo más adecuado en ese
contexto.
124
Además cada palabra, siendo un conjunto sonoro, puede producir una serie
de palabras con sonido semejante, entonces está claro que la búsqueda de la
palabra no es en absoluto un proceso de hallazgo del símbolo rebuscado en un
archivo de símbolos posibles, sino un proceso de elección activa de la palabra
necesaria entre muchas alternativas probables. Por supuesto la acción de elegir la
palabra necesaria supone una elevada selectividad en los procesos nerviosos y esta
selectividad es la característica del normal desarrollo de la actividad nerviosa
superior.
Si se compara un individuo inexperto con un intérprete es evidente como
la actividad cerebral difiere: el cerebro del intérprete tiene una capacidad selectiva
mayor y una conectividad neuronal más rápida que le permite desempeñar ese
proceso en menor tiempo. Pero todo esto vale solo por la lengua materna y no por
otros idiomas aprendidos; la búsqueda de un sinónimo en la segunda lengua exige
más atención ya que las asociaciones lingüísticas no se establecen a nivel
emocional, y eso provoca un breve aumento en el tiempo de respuesta.
Hoy el 75% de los miembros de la asociación intérpretes de conferencias
son mujeres, este dato no es una casualidad mas puede ser científicamente
explicado: el cerebro femenino tiene una mayor capacidad para interaccionar los
dos hemisferios cerebrales, también un procesamiento del lenguaje más rápido y
sensibilidad para la percepción de la entonación prosódica.
Entonces el cerebro de los intérpretes se puede describir más desarrollado
por algunos aspectos en comparación con los individuos inexpertos, ya que ellos
desarrollan más algunas capacidades como la atención, y esto les permite
125
aprovechar de mejor manera las energías nerviosas y reunirlas para los procesos
principales.
126
CAPÍTULO II
En un mundo en continuo movimiento el cerebro humano ha tenido que
desarrollar un sofisticado sentido de movimiento, que constituye la principal
forma de comunicación y de expresión y además el fundamento para la
supervivencia.
1. El cerebro humano y las funciones motoras
Hay diferentes tipos de movimientos que se pueden desarrollar:
movimientos reflejos, reacciones breves e involuntarias a estímulos sensoriales;
movimientos semiautomáticos, es decir movimientos cíclicos o repetitivos;
movimientos voluntarios, es decir producidos por una iniciativa autónoma del
sujeto.
Antes de ejecutar un movimiento, el sistema nervioso central se prefigura,
de manera abstracta, el resultado sin pensar en los mecanismos que se efectuarán
para conseguirlo; por eso se efectúa un plan motor, un conjunto de ordenes ya
existentes que se en seguida se evían a los músculos y que deberán actuar de
manera coordenada para que toda la secuencia motora pueda ocurrir sin un feedback periférico. Entonces el plan precisa como, cuando y donde moverse.
El tiempo de respuesta, la precisión y la duración del movimiento son
todos factores variables, el tiempo de respuesta será mayor en función de la
cantidad de información elaborada y la velocidad de ejecución de los
movimientos voluntarios es inversamente proporcional a la precisión.
127
El cerebro humano se divide en dos hemisferios cerebrales separados por
una cisura longitudinal, aquí se originan complejas estructuras motoras reguladas
por el cerebelo según información sensorial y recuerdos de ejemplos de
conocimiento del movimiento. Cada hemisferio cerebral recibe información
sensorial y produce ordenes motores que interesan el lado opuesto del cuerpo;
aunque anatómicamente parecen idénticos, los dos hemisferios tienen algunas
diferencias funcionales y la asignación de una específica función en una precisa
región del cerebro no siempre se sabe. Los hemisferios se dividen en lóbulos, cada
uno continente regiones funcionales cuyos confines no son simplemente
distinguibles: el lóbulo frontal, dirige la capacidad motora, de razonar y de
resolución de problemas, parte del lenguaje y emociones; lóbulo parietal,
encargado
de
las
percepciones
sensoriales
externas
como
sensibilidad, tacto, percepción, presión,temperatura y dolor; el lóbulo occipital,
encargado de la producción de imágenes; y el lóbulo temporal, está encargado de
la audición, equilibrio y coordinación.
La comunicación entre el sistema nervioso central (SNC) y los órganos
periféricos se produce por vías capaces de relacionar las información sensorial y
motoras de la periferia a los centros superiores del cerebro. Cada vía se compone
de una sucesión de fascículos y núcleos asociados, el procesamiento suele
realizarse en diferentes puntos a lo largo de la vía donde las sinapsis transmiten
señales de una neurona a otra. Todos los fascículos envuelven el encéfalo y la
médula espinal y casi siempre del nombre es probable deducir el origen y el
destino del fascículo. Los propioceptores somáticos son células especializadas,
capaces de captar lo que pasa dentro del cuerpo y en el ambiente circundante.
128
Cuando uno de estos propioceptores se estimula, transmite la información al SNC
por medio del potencial de acción que se mueven a lo largo del axón de la neurona
sensitiva.
Los impulsos motores somáticos llegan a los objetivos por medio de
sistemas integrados de vías motoras: la vía corticoespinal, encargada del control
voluntario de la musculatura esquelética; la vía corticonuclear, la vía
corticobulbar y la vía corticocerebelosa se encargan de la modulación y
regulación de las células del asta anterior. La actividad de estas vías motoras es
constantemente controlada y regulada por los núcleos de la base y por el cerebelo,
sus impulsos pueden estimular o inhibir tanto los núcleos motores como la corteza
motora primaria.
Entonces a nivel anatómico y fisiológico el movimiento puede ser descrito
como un continuo tráfico de información entre las numerosas neuronas del
cuerpo, todo eso bajo la supervisión del cerebro.
2. Los reflejos y los movimientos automáticos
El cuerpo humano recibe del ambiente numerosos estímulos sensoriales a
los que debe adaptarse por medio de posturas o la ejecución de movimientos.
Cada respuesta de adaptación que se manifiesta sin el control de la conciencia o
involuntariamente, y esto se define reacción refleja. El trayecto de un reflejo
empieza con la llegada del estímulo y la activación de un receptor que mediante
las raíces posteriores de los nervios espinales envia la información al SNC, aquí
hacen sinapsis el axón de la neurona sensitiva y una neurona asociativa cuyo axón
alcanza una neurona motora en la médula espinal.
129
Los reflejos pueden clasificarse en base a:

Su desarrollo, reflejos adquiridos o innatos;

El sitio de elaboración de la información, médula espinal o nervios
craneales;

El origen de la respuesta motora, somática, visceral o autónoma;

La complejidad de los circuitos neuronales implicados, monosinápticos o
polisináptico.
En el arco reflejo más simple intervienen una neurona sensitiva y una
motora, esto es un reflejo monosináptico, por ejemplo el reflejo rotuliano; si en
cambio hay otras neuronas en este proceso, el reflejo es polisináptico.
Algunos reflejos pueden definirse como los predecesores de la motricidad
automática: existen movimientos llamados reflejos de enderezamiento, es decir
movimientos innatos que el cuerpo realiza de los primeros meses de vida para
contrastar la gravedad y adquirir progresivamente una posición erecta. La
motricidad refleja se integra poco a poco en las reacciones de equilibrio, durante
este proceso la motricidad refleja innata se adapta y está condicionada. Los
reflejos condicionados producen nuevas conexiones entre los estímulos externos y
los procesos fisiológicos favoreciendo así una mejor adaptación del organismo en
las diferentes situaciones. El opuesto de la motricidad refleja es la motricidad
voluntaria y controlada, o mejor todos los movimientos intencionales que
necesitan atención, cuidado y control. Estos movimientos se efectúan
principalmente durante el conocimiento motor y se efectúan para alcanzar un
objetivo programado; las primeras veces que se efectúan estos movimientos
parecen poco fluidos, poco coordenado e implican un mayor derroche de energías.
130
El control del movimiento es el resultado de una elaboración mental controlada,
que poco a poco da paso a la motricidad automática. El proceso de consolidación
ocurre hasta que esa gestualidad se practica y se utiliza, en caso contrario las
habilidades adquiridas se pueden poco a poco olvidar haciendo el proceso
reversible.
Las características de la actividad automática son numerosas: velocidad,
bajo nivel de atención, además permite un fácil control de muchas tareas o
movimientos y comporta un bajo derroche de energías. Este tipo de prestación
tiene un soporte neurofuncional en el programa motor del sistema de memoria
procedimental, componente de la memoria a largo plazo, un ejemplo de memoria
automática es conducir. Un individuo para aprender a conducir necesita tanto
lecciones de teoría como de práctica: la continua repetición de los movimientos
utilizados para la conducción del coche favorece su memorización. Como ya se ha
explicado los movimientos automáticos necesitan menos atención, por eso un
individuo mientras que conduce el coche no piensa a los procedimientos que se
deben efectuar, sino mira la carretera, habla con su compañero de viaje, y presta
atención a no hacer accidentes y a llegar a su destino.
Cada movimiento se efectúa en un sistema de coordenadas tridimensional,
el análisis de las principales coordenadas espaciales está asociado con la activa
función de las zonas parieto-occipitales del cerebro que incluyen las estructuras
centrales de los sistemas visual, vestibular, cinestésico y motor que forman los
niveles más altos de organización espacial de los movimientos. Entonces el
analizador visual es determinante para transmitir la información concerniente
131
espacio y tiempo, para la percepción de las distancias, las trayectorias y la
velocidad de los seres animados e inanimados.
3. El piloto de Fórmula 1
El ser humano se mueve a sus anchas en las tres dimensiones que definen
su realidad concreta, pero eso no significa que no existan otras, completamente
fuera de su capacidad de comprensión, pero igualmente importantes.
Como ha dicho Stephen Hawking, confinados en un mundo tridimensional
que forma parte de un mundo multidimensional7.
Es lo que ocurre hoy en Fórmula 1, cuya evolución técnica la ha apartado
de las capacidades de comprensión de un espectador acostumbrado a evaluar el
desempeño según sus experiencias sensoriales, a esta altura insuficientes. Así
ocurre que del trabajo multidimensional del piloto se demuestra solo la
unidimensionalidad del resultado en pista.
Basta observar en cualquier cámara a bordo donde el piloto parece un
observador externo de la realidad a su alrededor; solo pequeñas intervenciones en
la dirección, cualquier ajuste de los mandos del volante y trayectorias sin
peligrosidad. ¿Todo fácil? No, porque como el compromiso de un paseo al parque
no se puede comparar con una actividad extravehicular en el espacio, de la misma
manera la conducción de una monoplaza tiene todas las dificultades de un viaje a
otro mundo que no tiene nada en común con la experiencia del espectador.
Stephen Hawking, La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo, BUR
Biblioteca Univ. Rizzoli, 2004. (N.d.T. representa una de las posibles
traducciones)
7
132
Un mundo donde el instinto no ayuda mas engaña, y donde el ojo tiene que
renunciar a la visión inmediata y analítica del circuito para sintetizar y concentrar
la información en un ritmo que va mucho más allá de una simple sucesión de
curvas y rectas, el ritmo de la competición depende del rendimiento mental más
que físico.
También los mejores pilotos de Fórmula 1 no están en condiciones de
resistir toda la competición al límite extremo como cuando están en calificación, y
normalmente su ritmo es aproximadamente tres décimos inferior del máximo
potencial. Está demostrado que cuando la táctica de competición los pide de
perseguir el límite, su tiempo en la vuelta mejora de algunos décimos
inmediatamente.
Los datos reunidos
por Fórmula Medicine8 durante numerosas
investigaciones científicas en los circuitos, muestran que la frecuencia cardíaca
del piloto en estas cirunstancias sube en media de 15 latidos, señal de un neto
aumento del esfuerzo psicofísico. Sucesivos y exhaustivos analisis han
demostrado que el aumentado esfuerzo es imputable a un mayor consumo del
sistema nervioso.
Utilizando una resonancia magnética funcional (fMRI) se han medido los
flujos sanguíneos cerebrales y los rendimientos de algunos pilotos profesionales
sometidos a específicos test mentales, después el grupo de los pilotos se ha
confrontado con un grupo de no atletas de la misma edad. Los resultados han
demostrado que no hay diferencias en términos de resultados entre los inexpertos
Fórmula Medicine, centro médico de Fórmula 1 fundado en el 1994 en
Viareggio por el Doctor Riccardo Ceccarelli.
8
133
y los pilotos, pero los pilotos activan menos áreas cerebrales y por eso resultan ser
más económicos a nivel de derroche de energías nerviosas.
Los pilotos de Fórmula 1, respecto a los sujetos inexpertos, tienen una
diferente connectividad funcional entre las distintas regiones cerebrales
implicadas en los procesos visuo-motor, los datos sugieren una reorganización
funcional de las redes cerebrales visuo-motoras en individuos con particulares
capacidades, como de hecho los pilotos.
3.1. Estudio de conducción pasiva
Durante toda la serie de estudios desarrollados por Fórmula Medicine en
colaboración con la Universidad de Pisa, lo que se puede definir determinante es
el estudio entre los pilotos profesionales y los individuos inexpertos durante
sesiones de conducción pasiva. Se ha utilizado una fMRI para examinar la
actividad neuronal durante la proyección de una gran premio de Fórmula 1
filmado por una cámara a bordo de cuatro diferentes circuitos, pidiendo a los
individuos de imaginar ser ellos mismos a pilotar. En ambos los grupos ese
experimento ha transformado la actividad cerebral de una región en una red de
conexiones corticales entre las diferentes áreas cerebrales implicadas en el
comportamiento de conducción, como la corteza bilateral visual, la corteza
parietal superior, la corteza cingulada anterior, la corteza prefrontal dorsolateral
derecha y la zona precentral izquierda. Sin embargo los pilotos profesionales
activan también otras áreas corticales como el area premotora dorsal y ventral y la
región parietal inferior; durante cada vídeo los pilotos manifiestan un considerable
aumento de las conexiones entre la corteza motora primaria de derecha e
134
izquierda, al contrario en los individuos inexpertos hay un aumento en la corteza
visual primaria (Fig.1).
Cabe subrayar que el tope de conexión entre las áreas motoras por los
pilotos se observan inmediatamente antes o en correspondencia de trechos del
circuito que necesitan mayor atención. A pesar de la pregunta hecha al inicio del
experimento, los individuos inexpertos han simplemente visto la carrera mientras
que los pilotos imaginaban pilotar.
Figura 3. Comparación entre los mapas de correspondencias de los dos grupos: azul indica
un valor de correspondencia más elevado en los individuos inexpertos, amarillo indica un
valor de correspondencia más elevado en los pilotos profesionales.
4. Plasticidad neuronal
Como ya se ha explicado el cerebro de los pilotos de Fórmula 1 tiene una
diferente organización de las redes cerebrales, eso porque el cerebro es capaz de
modificarse, es decir ser plástico.
Según los neurocientíficos el cerebro es un sistema capaz de
autoorganizarse y su plasticidad se conserva de por vida, el area más plástica del
135
cerebro humano son los lobulos frontales, donde está la conciencia. Entonces la
plasticidad es el resultado de un continuo entrenamiento del cerebro, las
actividades motora y mental estimulan la secreción de neurotrofinas, proteínas
que favorecen la supervivencia de las neuronas, mejoran la vivacidad psíquica y la
salud del cuerpo durante el envejecimiento. Uno de los efectos de la plasticidad
neuronal es la posibilidad de modificar los circuitos neuronales por medio de la
actividad mental, es decir sin ejecutar alguna acción: imaginar un movimiento
(entrenamiento mental) es como ejecutarlo físicamente, ya que estimula los
circuitos neuronales en que hay las capacidades atléticas y físicas.
Esto es lo que hacen los pilotos cuando no están en pista: visualizar el
circuito e imaginar pilotar su monoplaza favorece no solo la memorización del
trazado curva tras curva, sino los prepara a enfrentarlo mentalmente reuniendo las
energías para la concentración y la meta final.
Un factor nocivo por la plasticidad neuronal y por los pilotos es el estrés;
eso transforma el cerebro causando un debilitamiento de las defensas inmunitarias
y una reducción de la concentración. La lucidez mental es necesaria por los
procesos decisionales que si tienen resultado negativo afecta al piloto, si él toma
la decisión errónea arriesga su vida.
En conclusión aunque a nivel físico los pilotos tienen un elevado
desarrocho de energías, pierden 3/4 kilos en un gran premio, la Fórmula 1 es un
deporte mental. El rendimiento de un solo órgano, que determina todos los
factores que influyen en la carrera de cada piloto, y un excelente uso de la energía
neuronal permite a los pilotos explotarse al 110%, casi como si fueran
superhéroes.
136
CAPÍTULO III
Los intérpretes y los pilotos de Fórmula 1, dos figuras que todos conocen,
dos sectores laborales diferentes, dos mundos tan diversos que nadie pensaría
tengan algo en común, excepto el cerebro.
1. Una visión general entre una cabina y un habitáculo
Dos grandes cerebros en dos pequeños espacios: la cabina del intérprete y
el habitáculo de la monoplaza del piloto, aquí hacen alarde de sus extraordinarias
capacidades.
Para los intérpretes simultáneos la cabina es como su segunda casa, un
espacio insonorizado de 5 metros cuadrados donde están frente a frente con un
micrófono y los auriculares. Las condiciones de trabajo están influenciadas por el
ambiente físico, parámetros espaciales y temporales incluidos, los factores
conexos a su propria tarea como la preparación y el esfuerzo cognitivo, las
variabilidades conexas a la calidad del sonido o la posibilidad de ver al orador, la
velocidad y la prosodia de la oración y el factor interpersonal como la capacidad
de colaboración. A nivel físico no hay un elevado derroche de energías pero el
compromiso mental es tan conspicuo que implica cansancio físico. Lo del
intérprete es uno de los trabajos más estresante, según la Asociación Internacional
Intérpretes de Conferencia (AIIC) los principales factores de estrés son: una
elevada dificultad del texto inicial y la relativa organización de la oración, una
estructura de las cabinas que no siempre corresponde a los parámetros previstos y
la falta de documentación. Se han realizados mediciones científicas de los niveles
137
cardiovasculares, de la actividad de las glándulas sudoríparas, la frecuencia
respiratoria y de las alteraciones de la conductancia epidérmica, que han
demostrado la presencia de elevados niveles de rapidez de respuesta a los
estímulos sensitivos que provocan elevados niveles de sufrimiento psicofísico.
Pero la cabina de los intérpretes no se puede comparar con el habitáculo
de una monoplaza. Un gran premio de Fórmula 1 dura en media dos horas y casi
todos se celebran en las horas más cálidas del día, eso implica que quien está
sentado en la monoplaza tiene que soportar temperaturas muy elevadas, además
la posición de conducción y los esfuerzos de cuello y espalda no facilitan la
situación. Fuera del habitáculo hay un ambiente en continua transformación: las
condiciones meteorológicas son uno de los factores que influyen en la carrera y en
las estrategias que se efectúan, un cambio climático repentino como una tormenta
comporta la necesidad de mayor atención en el modo de pilotar. No solo el clima
varia, lo que necesita más atención son los adversarios que podrían incurrir en un
accidente y causar un inconveniente o un peligro para todos los demás; entonces
está claro que el piloto, no obstante su actitud al peligro, no tiene que pensar solo
al trazado y a la victoria sino también a su seguridad. El cerebro procesa la
elaboración de estrategias de adelantamiento o la la rapidez de reflejos y la
gestión del improviso peligro con velocidad asombrosa, activando numerosas
áreas cerebrales. También la condición física depende del trabajo mental humano,
es una tarea del cerebro mantener el tono muscular, la frecuencia cardiaca, la
presión sanguínea, etc. Por lo general un piloto utiliza todas las partes de su
cuerpo y de su cerebro: ambas las extremidades superiores para mover el volante,
ajustar el equilibrio de la monoplaza a través de teclas y rodillos de control,
138
aumentar y disminuir de marcha y comprimir la fricción; el pie derecho pisa el
acelerador, mientras el pie izquierdo controla el kers y el freno. Pulsando una de
las teclas del volante el piloto puede comunicar con el box, lo que a menudo no se
nota es que la comunicación entre los ingenieros y pilotos se realiza en inglés y
casi siempre esa no es la lengua materna del piloto; en el caso de un piloto como
Alonso las cosas se hacen más difíciles. El piloto Ferrari Fernando Alonso habla
muy bien inglés e italiano, pero durante la comunicación radio nunca habla en
español sino una de las otra lenguas. Este pasar de una lengua a otra implica más
derroche de energías nerviosas, esta es una tarea propia de los intérpretes pero no
de los pilotos.
2. El pensamiento
La causa del pensamiento es siempre una tarea, el individuo tiene que
examinar y resolver el problema elaborando la solución más apropiada.
De hecho el pensamiento no es único, mas se basa en diferentes tipos de
inteligencia: lógica, analógica, visual, motora y emocional. Para resolver un
problema se utilizan todos estos tipos de inteligencia, pero en la fase de
reorganización se utilizan en particular el pensamiento lógico, analógico y
sistemático. Después del reconocimiento no será posible una tentativa directa de
respuesta, mas un freno de las respuestas impulsivas, el análisis de su
componentes, la identificación de los aspectos más esenciales y su correlación.
La formación de un esquema para resolver un problema y la selección de
adecuados sistemas de alternativas, llevan el individuo a la fase de selección de
los metodos apropiados y de las operaciones necesarias para disponer el esquema
139
resolutorio; si el resultado coincide con las condiciones iniciales del problema, el
acto intelectual es completo, si en cambio no corresponden, la búsqueda de la
estrategia necesaria empieza desde el principio hasta cuando no se halla la
solución apropiada.
Este es el proceso que el cerebro humano ejecuta cada vez, pero ¿cuánto
dura ese proceso? Un intérprete no puede explayarse en un dilema morfológico
por más de algunos segundos, como un piloto enfrente de un accidente no puede
preocuparse de no estropear el automóvil en lugar de pensar a su incolumidad. El
cerebro humano con sus millones de sinapsis y conexiones nerviosas es capaz de
realizar esta reorganización del problema en tiempos muy cortos así que tanto el
intérprete como el piloto pueden disfrutar de una óptima prestación mental.
Mientras el intérprete no tiene una segunda posibilidad cuando traduce en cabina,
el piloto está aventajado ya que tiene muchas, por ejemplo si no logra adelantar un
adversario puede intentar de nuevo. El proceso cognitivo, que permite la solución
del problema, empieza en el lóbulo frontal donde está la conciencia y se conecta
con varias zonas cerebrales que trabajan en sincronía; todo eso se realiza en
simbiosis con elevados niveles de atención.
3. La atención
En psicología la selectividad de los procesos mentales se llama atención,
con ese término se indican los factores encargados de la elección de los elementos
esenciales para la actividad mental. Los lóbulos frontales ejercen un papel
fundamental en la organización de la atención ya que se activan durante la
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inhibición de las respuestas a estímulos irrelevantes y en el mantenimiento de una
conducta programada.
El neuropsicólogo estadounidense Grey Walter (1910-1977) afirmó que la
espera de un estímulo evoca en los lóbulos frontales potenciales específicos lentos
que él llamó “ondas de expectación”; estas ondas se difunden poco a poco en las
otras áreas del cerebro; al mismo tiempo otros estudios demostraron que el éstres
intelectual causa un rápido aumento del numero de áreas en función de la corteza
frontal. Los lóbulos frontales tienen un papel importante para el aumento de los
niveles de vigilancia de un individuo que cumple una tarea.
La reaparición de uno estímulo causa la desaparición del reflejo de
orientación vascular, pero si al individuo le pregunta de prestar atención a las
modificaciones de la calidad o de la intensidad del estímulo, las componentes
vasculares del reflejo se restablecen. Ese proceso de variación y restablecimiento
de las componentes cardiovasculares y del ritmo alfa ocurre cada vez que se
pregunta al piloto de mejorar su tiempo, durante un adelantamiento difícil o antes
del pit stop: las pulsaciones que ya están a más de 170 latidos por minuto llegan a
un máximo de 190; en estas condiciones la sangre tiene poca oxigenación ya que
el corazón bombea a tontas y a locas, pero el piloto se queda lúcido optimizando
la gestión de las energías nerviosas. En el caso del intérprete no se puede
confirmar que no hay modificaciones a nivel fiosiológico como en el piloto, pero
aquí también es necesario todo el proceso de atención e inhibición de estímulos
insignificantes para reconcentrarse en su propia tarea.
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4. Cerebros en comparación
Son pocas las personas realmente capaces de explotar su propio cerebro al
100%, un rendimiento cerebral máximo no implica una carga intelectual de
información, mas es necesario comprender cuales información son más útiles y
emplear las energías nerviosas de mejor manera. Es evidente que cada ser humano
utiliza las áreas cerebrales que más le son útiles y se ejercita para desarrollarlas.
En el caso del intérprete es posible hallar un mayor desarrollo del área de Broca,
el aprendizaje de muchas lenguas extranjeras en edad madura induce una mayor
activación de esa área. Cuando el intérprete habla en su lengua materna (L1) se
activa una zona del área de Broca que no coincide con la que se activa cuando
habla en la segunda lengua (L2), esto sugiere que el segundo aprendizaje ha
creado nuevos circuitos para la pronunciación de las palabras diferentes da las que
se utilizan para la lengua materna. Ese proceso de creación de nuevos circuitos
neuronales es necesario cada vez que se aprende un nuevo idioma, ya que el
cerebro tiene que memorizar nuevas palabras, sus significado, como se utiliza y
como se pronuncia. La neurofisiología y la neuroanatomía en los biligües varia en
base a la edad y a las técnicas de aprendizaje del segundo idioma: los elementos
gramaticales, llamados clase cerrada, de L1 están representados en el lóbulo
frontal del hemisferio izquierdo, mientras que los elementos semánticos, clase
abierta, están representado en la parte posterior de ambos los hemisferios, más en
el izquierdo.
Si L2 se aprende después de los ocho años, la representación de la clase
abierta es la misma de L1, mientras que las palabras de clase cerrada están
representadas en una región posterior del cerebro. Eso equivale a una menor
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representación en los sistemas de memoria procedimental; cuando L2 se aprende
antes de los ocho años la clase cerrada también coincide con las estructuras de L1.
El diferente desarrollo de algunas estructuras de la memoria impide que un
segundo idioma aprendido después del periodo crítico se deposite en las
estructuras de la memoria procedimental. La organización de L2 en sistemas de
memoria diferentes influye en las modalidad de uso de los dos idiomas por la
vida; la competencia fonológica y la competencia gramatical de L2 resultan ser
limitadas y el uso de ese idioma es menos automático e implica un trabajo mental
mayor respecto a la lengua materna.
Sin duda los bilingües tienen una ventaja cognitiva, es decir mejores
capacidades ejecutivas, mejor capacidad de concentración y la capacidad de pasar
de una tarea a otra sin equivocarse. Es posible afirmar que el cerebro del
intérprete es más funcional ya que desarrolla muchas nuevas conexiones
neuronales y activa nuevas áreas cerebrales, inexistentes en los monolingüe.
Como ya se ha dicho en el capítulo anterior, también los pilotos de
Fórmula 1 explotan su cerebro al grado máximo: a nivel anatómico y fisiológico
se ha descubierto que los pilotos desarrollan muchas más conexiones neuronales,
no solo entre diferentes áreas cerebrales sino entre los dos hemisferios. La
interacción y la cooperación de los hemisferios provoca una disminución de
diferencia entre el hemisferio dominante y el subordinado. La capacidad
desarrollada por los intérpretes de pasar de una tarea a otra sin equivocarse o
distraerse, no la tienen los pilotos: lo del piloto es un conjunto de movimientos
coordinados ejercido de modo inconsciente; la mayoria de su atención se
concentra en los estímulos visuales y la rapidez de reflejos.
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También los niveles de lo imprevisible varían en los dos sectores: lo
imprevisible durante un gran premio puede ser la estrategia de los adversarios, las
condiciones medioambientales que pueden cambiar, una avería en el motor, pero
muchas veces estos problemas se pueden resolver. Es necesario recordar que en
una carrera de Fórmula 1 hay mínimo 50 rondas, eso significa que hay suficiente
tempo para resolver un inconveniente. Si la rondas fueran tres es probable que no
habría ninguna solución, eso es lo que ocurre a los intérpretes, una sola ronda,
perfección y concentración continuas y ningún margen de error. El inconveniente
para el intérprete es un estrés inconsciente destructivo, el estrés crece y
concentración y la lucidez se reducen, todos factores que influyen en el resultado
final.
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Conclusiones
Al término de este estudio es posible delinear la descripción
psicofisiologica de estos dos interesantes individuos. Muchos son los factores que
influyen en su trabajo, mas menos son las posibilidades de solucionar los
problemas.
Lo que por cierto une el intérprete y el piloto es el cerebro, es decir la
capacidad del cerebro de adaptarse perfectamente a cualquiera situación; pero lo
que merece particular atención es su mutación anatómica , la capacidad de crear
nuevas áreas funcionales necesarias para la realización de especificas tareas. La
formación de nuevas redes cerebrales en el piloto y el origen de nuevas áreas del
lenguaje en el intérprete le permiten desempeñar sus actividades mejor que un
individuo inexperto, lo sorprendente es el control del derroche de energías
nerviosas.
Las consecuencias de esa desenfrenada actividad cerebral se manifiestan
tanto en el piloto como en el intérprete, el esfuerzo físico más ingente es el del
piloto pero no aquello mental. El empeño mental del intérprete causa mayor
cansancio cerebral, por eso no se puede trabajar más de un par de horas en cabina,
y en consecuencia estrés psíquico. Hoy en día la profesión del intérprete es una de
las más estresante al mundo junta a los pilotos de Fórmula 1 y a los pilotos de
aviones.
Con ese estudio experimental se ha intentado de analizar, comparar y
descubrir que encierra el cerebro humano, fundamentándose en datos e
investigaciones científica que pero no han todavía llegado al fin.
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