Cassazione civ. 18676-2014

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«Diritto alla salute e tempestività delle cure non ottenibili dal Servizio sanitario
nazionale»
(Cassazione civile sez. lav. 04 settembre 2014, n.18676)
- Servizio Sanitario Nazionale – diritto alla salute -
La discrezionalità della pubblica amministrazione nel valutare sia le esigenze sanitarie
di chi chieda una prestazione del Servizio Sanitario Nazionale, sia le proprie
disponibilità finanziarie, viene meno quando l'assistito chieda il riconoscimento del
diritto all'erogazione di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, facendo
valere una pretesa correlata al diritto alla salute, per sua natura non suscettibile di
affievolimento. In particolare, allorquando siano prospettati motivi di urgenza
suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi ed irreversibili, il diritto deve essere
accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria
dal d.lg. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1; in virtù del principio di efficacia enunciato
dalla normativa, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere posti
a confronto con l'incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del
paziente, dovendosi considerare in particolare - in relazione ai limiti temporali del
recupero delle capacità funzionali - la compromissione degli interessi di socializzazione
della persona derivante dalla durata e gravosità dell'impegno terapeutico.
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio
- Presidente -
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Dott. DE RENZIS Alessandro
- Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio
Dott. MANNA
Dott. TRIA
- Consigliere -
Antonio
- rel. Consigliere -
Lucia
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27361/2008 proposto da:
C.M. C.F. (OMISSIS), già elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DI PRISCIANO 43, presso lo studio
dell'avvocato TUFANI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall'avvocato
MONNINI MICHELE, e da ultimo domiciliato presso LA CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- ricorrente contro
AZIENDA USL (OMISSIS) DI FIRENZE;
- intimata Nonchè da:
AZIENDA U.S.L. (OMISSIS) DI FIRENZE, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
COSSERIA
5,
presso
lo
studio
dell'avvocato
ROMA, VIA
TRICERRI
LAURA,
rappresentata e difesa dall'avvocato POGGIANTI RAFFAELLA, giusta delega
in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
C.M. C.F. (OMISSIS), già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI
PRISCIANO 43, presso
rappresentato e difeso
lo
studio dell'avvocato TUFANI GIUSEPPE,
dall'avvocato MICHELE
domiciliato presso LA CANCELLERIA
MONNINI e da ultimo
DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE;
- controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 449/2008 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE,
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depositata il 01/04/2008 R.G.N. 952/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l'Avvocato MONNINI MICHELE;
udito l'Avvocato POGGIANTI RAFFAELLA;
udito
il
P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott.
SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi
con compensazione delle spese.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 1.4.08 la Corte d'appello di Firenze rigettava il
gravame interposto da C.M. contro la pronuncia del Tribunale della stessa
sede che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la condanna
dell'ASL n. (OMISSIS) di Firenze ad erogargli gratuitamente la terapia nota
come metodo Dikul, ossia un metodo di rieducazione motoria intensa,
continuativa e personalizzata - conosciuta anche con l'acronimo R.I.C. - per
soggetti colpiti da lesioni midollari.
Con la stessa sentenza di primo grado il Tribunale aveva revocato (rectius:
dichiarato inefficace) il provvedimento cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c.,
emesso l'11.6.02 dalla stessa A.G. in favore di C.M., provvedimento con cui era
stata ordinata all'ASL la prestazione gratuita della terapia R.I.C. mediante sua
esecuzione in via domiciliare e presso un centro specializzato (il Centro Giusti
di Firenze), con onere economico a carico del S.S.N. per tutto il tempo
necessario alla cura.
Con la propria sentenza la Corte toscana, oltre a rigettare l'appello
dell'assistito, accoglieva la domanda dell'ASL, formulata nel giudizio
d'appello, di restituzione della somma di Euro 82.033,92 (oltre rivalutazione
ed interessi) erogata in conseguenza del suddetto provvedimento cautelare
per fare fronte alle spese della terapia eseguita presso il suddetto Centro
Giusti.
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Per la cassazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale ricorre C.M.
affidandosi a sette motivi.
L'ASL n. (OMISSIS) di Firenze resiste con controricorso e a sua volta spiega
ricorso incidentale basato su tre motivi, cui il ricorrente principale resiste
con,controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente ex art. 335 c.p.c., si riuniscono i ricorsi perché concernenti la
stessa sentenza.
Il ricorso principale.
Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui
l'impugnata sentenza ha, in contraddizione con le premesse operate circa la
lettura costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 7,
confermato il rigetto della domanda in base al fatto, accertato dal CTU, della
temporaneità degli effetti migliorativi della terapia R.I.C., fatto che - invece avrebbe dovuto giustificare la decisione opposta.
La stessa doglianza viene fatta valere, in sostanza, anche con il secondo
motivo, sempre sotto forma di vizio di motivazione nella parte in cui
l'impugnata sentenza ha negato il diritto del ricorrente malgrado la maggior
utilità in astratto della terapia Dikul rispetto alle altre terapie convenzionali,
come accertato dal CTU unitamente ad un, ancorché modesto, miglioramento
funzionale in concreto dello stato di salute del ricorrente.
Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 416
e 418 c.p.c., e art. 669 novies c.p.c., comma 3, per avere la Corte territoriale
accolto la domanda di restituzione delle somme erogate dall'ASL n. (OMISSIS)
di Firenze per l'esecuzione della terapia in oggetto presso il Centro Giusti,
nonostante che, trattandosi in realtà di domanda riconvenzionale, dovesse
essere avanzata a pena di decadenza in primo grado e nelle forme degli artt.
416 e 418 c.p.c., e non già con la memoria difensiva in appello.
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La stessa censura viene sostanzialmente fatta valere anche con il quarto
motivo (sotto forma di nullità del procedimento di primo grado) e con il
quinto (sotto forma di violazione e falsa applicazione dell'art. 669 novies c.p.c.,
comma 3).
Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 437
c.p.c., per avere la Corte territoriale ammesso in sede d'appello l'allegazione e
la prova documentale dell'importo che, a dire dell'ASL, essa avrebbe erogato
in adempimento dell'ordinanza emessa in sede cautelare, poi revocata dalla
statuizione di prime cure.
Con il settimo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 669
novies c.p.c., commi 2 e 3, degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., nonchè del D.Lgs. n.
502 del 1992, art. 1, commi 1, 2 e 7, come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999,
art. 1, nella parte in cui l'impugnata sentenza non ha considerato irripetibili le
somme erogate dall'ASL per l'esecuzione di terapie in favore di un invalido
civile al 100% come il ricorrente e in esecuzione d'un provvedimento cautelare
emesso dall'A.G..
I primi due motivi del ricorso principale - da esaminarsi congiuntamente
perchè sostanzialmente coincidenti - sono infondati.
Con sentenza n. 10692/08 questa Corte ha già avuto modo di enunciare il
principio secondo cui, in tema di erogazione da parte del SSN di cure
tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, il relativo diritto, allorquando
siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a
pregiudizi gravi ed irreversibili, deve essere accertato in base ai presupposti
richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal D.Lgs. 30 dicembre
1992, n. 502, art. 1 (nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art.
1, applicabile ratione temporis).
In altre parole, la discrezionalità della pubblica amministrazione nel valutare
sia le esigenze sanitarie di chi chieda una prestazione del Servizio Sanitario
Nazionale, sia le proprie disponibilità finanziarie, viene meno quando
l'assistito chieda - come nel caso di specie - il riconoscimento del diritto
all'erogazione di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, facendo
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valere una pretesa correlata al diritto alla salute, per sua natura non
suscettibile di affievolimento.
L'erogazione di tali cure a carico del SSN non dipende dalla mera scelta
dell'assistito, atteso che, in virtù del principio di efficacia enunciato dalla
normativa, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere
posti a confronto con l'incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di
vita del paziente, dovendosi considerare in particolare - in relazione ai limiti
temporali del recupero delle capacità funzionali - la compromissione degli
interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità
dell'impegno terapeutico.
La summenzionata sentenza n. 10692/08 ha altresì statuito che la valutazione
espressa dal giudice di merito deve tenere presente il principio di
appropriatezza fissato dalla norma di legge, in relazione al quale deve essere
operato anche il giudizio di efficacia. Il principio suddetto richiede
necessariamente un confronto tra i risultati positivi della cura e gli eventuali
riflessi negativi della terapia stessa sulle condizioni di vita del paziente.
Ciò premesso, l'impugnata sentenza ha esaminato il caso dell'odierno
ricorrente nel rispetto di tali principi di appropriatezza e di efficacia, con
motivazione immune da vizi logico-giuridici. Ha evidenziato - alla luce degli
accertamenti svolti dal CTU - che non vi sono evidenze scientifiche atte a
comprovare la validità della terapia Dikul (o R.I.C.) e che non è emerso che
essa abbia in concreto apportato, sempre nel caso dell'odierno ricorrente,
risultati apprezzabilmente migliori di quelli che si sarebbero ottenuti
praticando gli ordinali cicli di terapia dispensati dal SSN, rispetto ai quali il
metodo R.I.C. si differenzia solo perchè la rieducazione motoria è più intensa,
continuativa e personalizzata.
Le contrarie argomentazioni svolte in ricorso scivolano sul piano della
delibazione in punto di fatto, estranea a questa sede.
I motivi terzo, quarto, quinto e sesto - da esaminarsi congiuntamente perchè
connessi - sono infondati.
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Per costante insegnamento di questa S.C., i provvedimenti restitutori ex art.
669 novies c.p.c., vanno pronunciati d'ufficio dal Tribunale che all'esito del
giudizio di merito abbia accertato l'insussistenza del diritto oggetto di cautela
(cfr. Cass. n. 8906/13; Cass. n. 17866/05; Cass. n. 9626/04) e, ove non vi abbia
provveduto il primo giudice, deve farlo - sempre d'ufficio - la Corte d'appello,
non
trattandosi
di
domanda
riconvenzionale
né
essendo
neppure
teoricamente configurabile a riguardo un giudicato di irripetibilità per il solo
fatto dell'omissione del primo giudice: prova ne sia che lo stesso art. 669
novies c.p.c., nell'ultimo periodo del co. 3, prevede che i provvedimenti
restitutori o ripristinatori, se non sono stati emessi nella stessa sentenza che ha
accertato l'inesistenza del diritto oggetto di cautela, possono essere disposti
con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento.
Anche il settimo motivo è infondato, vuoi perché nessuna delle norme
invocate a tale proposito dal ricorrente prevede irripetibilità di sorta delle
somme erogate dal SSN, vuoi perché, versandosi in tema di indebito oggettivo
ex art. 2033 c.c., è irrilevante che il pagamento sia avvenuto in forza d'un
ordine giudiziale poi perento per accertata insussistenza - all'esito del giudizio
di merito - del diritto oggetto di provvedimento cautelare.
Diversamente, si aggirerebbe il chiaro disposto dell'art. 669 c.p.c., nella parte
in cui impone il ripristino della situazione quo ante in caso di accertata
insussistenza del diritto.
Il ricorso incidentale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell'art. 152 disp. att. c.p.c., per avere la
sentenza impugnata rigettato l'appello incidentale sulle spese ed escluso anche
quelle del secondo grado sul presupposto dell'applicabilità dell'art. 152 disp.
att. c.p.c., nel testo anteriore alla novella di cui al D.L. 30 settembre 2003, n.
269, art. 42, comma 11, convertito, con modificazioni, in L. 24 novembre 2003,
n. 326 (novella inapplicabile ratione temporis nel caso di specie, atteso che il
ricorso introduttivo di lite è stato depositato il 21.6.02): sostiene la ricorrente
incidentale che la doppia pronuncia conforme di rigetto, in primo e secondo
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grado, della domanda di C.M. ne dimostra implicitamente la manifesta
infondatezza.
Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui la
Corte territoriale ha posto le spese di CTU a carico dell'appellata.
La stessa censura viene sostanzialmente fatta valere con il terzo motivo, sotto
forma di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e dell'art. 152
disp. att. c.p.c..
Il ricorso incidentale è infondato.
Premesso che la valutazione della temerarietà dell'azione (o della resistenza)
in giudizio è compito precipuo del giudice di merito ed è incensurabile in sede
di legittimità se immune da vizi logici o giuridici (v. Cass. n. 126/92), si tenga
presente che una doppia pronuncia conforme di rigetto in sede di merito di
per sè non dimostra la temerarietà dell'azione, a fortiori in un caso come
quello in oggetto, che ha richiesto apposito accertamento peritale in ordine a
terapie non ancora munite di adeguate sperimentazioni.
Per il resto, il ricorso incidentale si colloca all'esterno dell'area dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante
ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacchè quella in
diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in
cassazione (v. art. 384 c.p.c., u.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba
in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione
adottata sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se
invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente
suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui
risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di
inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.
In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi.
La reciproca soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del
giudizio di legittimità.
PQM
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La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio
di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2014
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