UNITÀ SINDACALE Falcri Silcea Viale Liegi 48/B 00198 – ROMA Tel. 068416336 - Fax 068416343 www.unisin.it RASSEGNA STAMPA UNISIN 27 OTTOBRE 2014 A cura di Manlio Lo Presti RAS Banca Monte dei Paschi di Siena Esergo Per la maggior parte il divario tra ricchi e poveri è “fabbricato” da politiche fiscali e di spesa pubblica. E’ qui che interviene “il governo dei “ricchi”… è composto per il 60% di top manager, in larga parte banchieri. FEDERICO RAMPINI, Non ci possiamo permettere uno Stato sociale. FALSO!, Laterza, 2012, pag. 23 1. ilsimplicissimus2.wordpress.com °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.wallstreetitalia.com/ Stress test: Bce boccia 9 banche italiane. Mps e Carige a rischio Per Italia record negativo, seguono Grecia e Germania. In tutto 25 istituti Ue non passano. Siena: mancano 2,1 miliardi. di Luigi Grassia Pubblicato il 26 ottobre 2014| Ora 13:23 ROMA (WSI) - La Bce boccia 25 banche europee, tra queste anche Mps e Carige. Sono i risultati degli stress test sulla verifica di solidità degli istituti finanziari in Europa condotti su 131 istituti europei. Dodici delle 25 banche europee che non hanno passato gli stress test della Bce hanno già varato misure di rafforzamento del capitale. Montepaschi ha bisogno di un ulteriore rafforzamento del capitale da 2.111 milioni, mentre a Carige servono altri 814 milioni per superare lo scenario avverso degli stress test Bce. Lo comunica Bankitalia [LEGGI COMUNICATO INTEGRALE di BANCA D'ITALIA]. Le banche italiane che non hanno passato lo stress test Bce sono: Monte dei Paschi di Siena, Carige, Banca Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Bper, Banco Popolare, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese, Veneto Banca La lista completa in ordine alfabetico delle maggiori 15 banche italiane sottoposte a stress test era la seguente: 1) Banco Popolare 2) Banca Popolare Dell'Emilia Romagna 3) Banca Popolare Di Milano 4) Banca Popolare di Sondrio 5) Banca Popolare di Vicenza 6) Banca Carige 7) Credito Emiliano 8) Banca Piccolo Credito Valtellinese 9) Iccrea 10) Intesa Sanpaolo 11) Mediobanca 12) Banca Monte dei Paschi di Siena 13) Unione Di Banche Italiane 14) UniCredit 15) Veneto Banca Carige, cda decide aumento capitale per 500 mln - Il cda di Carige ha approvato all'unanimità il Capital Plan che verrà sottoposto all'approvazione Bce che prevede la copertura dello shortfall tramite un aumento di capitale per un importo non inferiore a 500 milioni garantito da Mediobanca ed altre operazioni di asset disposal. Tra le altre operazioni Carige elenca la dismissione delle attività del Gruppo operanti nel comparto assicurativo, nei settori del private banking e credito al consumo, oltre a economie di scala da realizzarsi con l'aggregazione delle controllate. Panetta (Bankitalia), risultati nel complesso rassicuranti - Il risultato dei test Bce è per l'Italia "nel complesso rassicurante, per noi non inatteso. Dà l'immagine di un sistema bancario nel complesso solido", anche se "occorre proseguire nelle azioni intraprese in alcuni casi". Lo ha detto Fabio Panetta, vicedirettore generale di Bankitalia e membro del comitato di sorveglianza Bce. Tesoro: carenze banche italiane coperte da mercato - Il Ministro del Tesoro "confida che le residue carenze patrimoniali" delle banche italiane nello stress test della Bce "saranno coperte con ulteriori operazioni di mercato, e che la trasparenza assicurata dal Comprehensive Assessment permetterà di portarle a compimento agevolmente." Per Italia record negativo in Europa - Le banche italiane hanno subito la svalutazione dei propri attivi più forte fra gli istituti europei dalla asset quality review della Bce. Lo si legge in una nota, che indica in 12 miliardi di euro (3,5% degli asset) la correzione. Seconda la Grecia con 7,6 miliardi. La Germania è a 6,7 miliardi di riduzione. Le bocciate hanno due settimane per presentare piani - Entro due settimane le banche che non hanno superato lo stress test della Bce dovranno presentare i piani per la ricapitalizzazione. E' quanto informa la Bce secondo cui 12 delle 25 banche hanno già coperto 15 miliardi di carenza capitale nel 2014. Per le altre scatta la necessità di approntare misure. Banca Popolare di Vicenza e la Popolare di Milano per le quali la Bce aveva individuato carenze di capitale si sono salvate grazie alle misure di rafforzamento patrimoniale aggiuntive varate. Lo informa la Banca d'Italia secondo la quale i 233 milioni e i 166 rispettivamente mancanti sono stati coperti da misure aggiuntive. Bankitalia: 'Confermata solidità sistema' - "I risultati confermano la solidità complessiva del sistema bancario italiano, nonostante i ripetuti shock subiti dall'economia italiana negli ultimi sei anni: la crisi finanziaria mondiale, la crisi dei debiti sovrani, la doppia recessione". E' quanto afferma la Banca d'Italia. (ANSA) *** Sono arrivate le pagelle della Bce. Le banche italiane che hanno fallito i temuti «stress test» sono nove, fra esse a sole 4 viene chiesto di ricapitalizzare, ma anche su questo bisogna fare la tara. Per Montepaschi la carenza è di 2,1 miliardi (che peraltro Bankitalia riduce a 1,35 miliardi, come spiegato più avanti) e per Banca Carige di 814 milioni. La Cassa genovese ha reagito immediatamente annunciando un aumento di capitale fino a 650 milioni. In teoria anche Banca Popolare di Vicenza è carente (per 233 milioni) e così Banca Popolare di Milano (166 milioni) ma di fatto si sono già messe al sicuro con operazioni dell’ultimo minuto. Ancora più tranquilla, nonostante la bocciatura formale, la situazione delle altre cinque banche italiane nel mirino. La Banca d’Italia precisa che la bocciatura di Mps e Carige è avvenuta «solo per lo stress test nello scenario avverso», cioè nell’ipotesi dello scenario peggiore (il test ne contemplava diversi, fino a quello di una crisi acuta del genere del 2011). La stessa Bankitalia sottolinea che i risultati dei test «confermano la solidità complessiva del nostro sistema». Promozione piena per i due pesi massimi italiani Unicredit e Intesa Sanpaolo: l’esame della Bce evidenzia un’eccedenza di capitale rispettivamente di 8,7 e 10,8 miliardi. C’è anche un motivo per cui il risultato italiano degli stress test è peggiore della media europea: spiega Fabio Panetta, vicedirettore generale di Bankitalia, che «per l’Italia si ipotizza uno scenario sfavorevole in termini di crescita. E le condizioni iniziali contano molto». Per citare tutti i numeri: le banche italiane che presentano carenze di capitale sono nove e avrebbero bisogno di 9,7 miliardi. Ma questo dato ufficiale era valido al 31 dicembre scorso. Tenuto conto degli aumenti di capitale avvenuti fra gennaio e settembre il fabbisogno scende a soli 3,3 miliardi. Le ulteriori operazioni decise dalle Popolari di Vicenza e Milano tagliano ulteriormente la necessità di ricapitalizzazione. Anzi adesso le due banche hanno addirittura un’eccedenza di capitale, rispettivamente di 30 e di 713 milioni. Una precisazione anche su Mps: la Banca d’Italia spiega che il fabbisogno complessivo indicato dalla Bce è di 2,111 miliardi ma non tiene conto del residuo dei Monti Bond; tenendone invece conto la carenza di capitale scende a 1,35 miliardi. Ancora Bankitalia su Mps: «Sono stati conseguiti importanti risultati, in particolare sul piano della razionalizzazione organizzati e dell’abbattimento dei costi». Il Monte dei Paschi annuncerà a breve le misure da presentare entro 15 giorni e da realizzare entro i prossimi nove mesi per rispondere ai rilievi della Bce. Un cda straordinario presieduto da Alessandro Profumo si è già riunito sabato per deliberare sulle misure, restano da verificare le ulteriori mosse. Il Ministro del Tesoro «confida che le residue carenze patrimoniali delle banche italiane saranno coperte con ulteriori operazioni di mercato», e la Carige ha risposto annunciando un aumento di capitale fra i 500 e i 650 milioni. In tutta Europa sono 25 le banche bocciate in base alla valutazione complessiva di Francoforte, i cosiddetti «stress test». La carenza di capitale è di 24,6 miliardi. Ma 12 di queste 25 banche hanno già coperto queste carenze con aumenti di capitale per un totale di 15 miliardi nel 2014. Ne restano 13 con una carenza di capitale totale di 9,5 miliardi. Tutte le banche che presentano «shortfall» di capitale «devono preparare piani di ricapitalizzazione entro due settimane dall’annuncio dei risultati», e cioè da oggi, e avranno fino a un massimo di nove mesi per coprire queste carenze patrimoniali. Le banche italiane hanno subito la svalutazione dei propri attivi più forte fra gli istituti europei dalla Asset quality review della Bce. Una nota indica in 12 miliardi di euro (3,5% degli asset) la correzione. Seconda è la Grecia con 7,6 miliardi e terza la Germania con 6,7 miliardi di riduzione. Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © La Stampa. All rights reserved *** La valutazione approfondita della Bce ha rilevato una carenza patrimoniale di 25 miliardi di euro per 25 istituti: in 12 (Cooperative Central Bank, Bank of Cyprus, Veneto Banca, Banco Popolare, Piraeus Bank, Credito Valtellinese, Banca Popolare di Sondrio, Munchener Hypothekenbank, Axa Bank Europe, Crh, Bper e Liberbank) delle 25 banche la carenza patrimoniale è già stata coperta con aumenti di capitale pari a 15 mld di euro nel 2014. Ne restano 13 che dovranno ancora ricapitalizzare: Mps (short fall di 2,11 mld), Eurobank (1,76 mld), Banco Comercial Portugues (1,15 mld), National Bank of Greece (0,93 mld), Banca Carige (0,81 mld), Oesterreichischer Volksbanken-Verbund (0,86), Permanent tsb (0,85), Dexia (0,34), Hellenic Bank (0,18), Nova Ljubljanska banka (0,03), Nova Kreditna Banka Maribor (0,03). Nelle tredici figurano anche Bpm (0,17 mld) e Banca Popolare di Vicenza (0,22) che comunque hanno già provveduto con misure aggiuntive. Gli istituti che presentano carenze sono tenuti a predisporre piani patrimoniali entro due settimane dall’annuncio dei risultati. Per colmare le carenze di capitale le banche avranno fino a nove mesi di tempo. Questo esercizio, articolato in un esame della qualità degli attivi (asset quality review, AQR) e in una prova di stress prospettica delle banche, "unico e rigoroso - ha commentato il vicepresidente della Bce, Vítor Constânciocostituisce un importante traguardo nel quadro dei preparativi per il Meccanismo di vigilanza unico, che diverrà pienamente operativo a novembre". Questo accurato esame, "senza precedenti", effettuato sulle posizioni delle maggiori banche, aggiunge Constancio, "rafforzerà la fiducia del pubblico nel settore bancario. Individuando i problemi e i rischi, contribuirà a correggere i bilanci e ad accrescere la tenuta e la solidità delle banche. Ciò dovrebbe agevolare una maggiore erogazione di prestiti in Europa, promuovendo la crescita economica". L’AQR, rileva la Bce, ha evidenziato che a fine 2013 il valore contabile degli attivi bancari deve essere corretto per un ammontare di 48 miliardi di euro, che confluirà nei bilanci o nei requisiti prudenziali delle banche. Inoltre, sulla base di una definizione standard di esposizioni deteriorate, ossia non performing (scadute da 90 giorni oppure oggetto di una riduzione durevole di valore o in stato di default), l’esame ha messo in luce che tali esposizioni bancarie sono aumentate di 136 miliardi di euro, portandosi in totale a 879 miliardi. La valutazione approfondita ha inoltre rilevato che lo scenario avverso ridurrebbe di circa 263 miliardi di euro il capitale primario di classe 1 (Common Equity Tier 1, CET1) delle banche, ossia il capitale di massima qualità destinato all’assorbimento delle perdite che misura la solidità finanziaria delle stesse. Ciò darebbe luogo a una diminuzione della mediana del coefficiente di CET1 di 4 punti percentuali, dal 12,4% all’8,3%. Tale diminuzione è più elevata rispetto agli esercizi analoghi precedenti, indice del rigore dell’esercizio attuale. Questo esercizio, ha sottolineato Daniéle Nouy, Presidente del Consiglio di vigilanza, "è un ottimo primo passo nella giusta direzione. Ha richiesto un impegno straordinario e notevoli risorse da parte di tutti i soggetti coinvolti, fra cui le autorità nazionali dei paesi dell’area dell’euro e la Bce. Ha accresciuto la trasparenza nel settore bancario, individuando negli enti creditizi e nel sistema gli ambiti che necessitano di miglioramenti". La valutazione approfondita, ha rilevato, "ci ha consentito di operare un confronto tra banche indipendentemente dai confini nazionali e dai modelli imprenditoriali; gli esiti della valutazione ci permetteranno di acquisire conoscenze e pervenire a conclusioni per la vigilanza in futuro". In seguito all’annuncio dell’esercizio nel luglio 2013, le maggiori 30 banche partecipanti hanno intrapreso varie misure, fra cui aumenti di capitale per 60 miliardi di euro, al fine di rafforzare i loro bilanci per un totale di oltre 200 miliardi. Tali misure, effettuate in preparazione alla valutazione approfondita, rientrano nei più ampi esiti dell’esercizio, conclusosi con successo. Alcuni interventi intrapresi nel 2013 hanno limitato le insufficienze rilevate dalla valutazione approfondita, altri adottati nel 2014 potranno essere considerati ai fini della copertura delle carenze patrimoniali. (AdnKronos) STRESS TEST, COMUNICATO STAMPA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA 26 ottobre 2014 L’analisi approfondita della BCE evidenzia che le banche devono assumere ulteriori misure Risultati essenziali della valutazione approfondita sulle 130 maggiori banche dell’area dell’euro: Sono state individuate carenze patrimoniali pari a 25 miliardi di euro per 25 banche partecipanti. Il valore degli attivi bancari deve essere corretto per 48 miliardi di euro, di cui 37 miliardi non hanno generato carenze patrimoniali. La carenza di 25 miliardi di euro e l’aggiustamento del valore degli attivi pari a 37 miliardi implicano un impatto complessivo sulle banche di 62 miliardi. Sono stati rilevati ulteriori 136 miliardi di euro di esposizioni deteriorate. Lo scenario avverso della prova di stress diminuirebbe il capitale delle banche di 263 miliardi di euro, riducendo la mediana del coefficiente di CET1 di 4 punti percentuali, dal 12,4% all’8,3%. L’esercizio assicura un elevato livello di trasparenza, coerenza e parità di trattamento. Questo rigoroso esercizio rappresenta una pietra miliare per il Meccanismo di vigilanza unico, che avrà inizio a novembre. La Banca centrale europea (BCE) ha pubblicato oggi i risultati di un esame approfondito, durato un anno, sulla tenuta e sulle posizioni delle 130 maggiori banche dell’area dell’euro al 31 dicembre 2013. Vítor Constâncio, Vicepresidente della BCE, ha dichiarato: "Questo esercizio, unico e rigoroso, costituisce un importante traguardo nel quadro dei preparativi per il Meccanismo di vigilanza unico, che diverrà pienamente operativo a novembre. Questo accurato esame, senza precedenti, effettuato sulle posizioni delle maggiori banche rafforzerà la fiducia del pubblico nel settore bancario. Individuando i problemi e i rischi, contribuirà a correggere i bilanci e ad accrescere la tenuta e la solidità delle banche. Ciò dovrebbe agevolare una maggiore erogazione di prestiti in Europa, promuovendo la crescita economica." La valutazione approfondita – articolata in un esame della qualità degli attivi (asset quality review, AQR) e in una prova di stress prospettica delle banche – ha rilevato una carenza patrimoniale di 25 miliardi di euro per 25 istituti. In 12 delle 25 banche la carenza patrimoniale è già stata coperta con aumenti di capitale pari a 15 miliardi di euro nel 2014. Gli istituti che presentano carenze sono tenuti a predisporre piani patrimoniali entro due settimane dall’annuncio dei risultati. Per colmare le carenze di capitale le banche avranno fino a nove mesi di tempo. L’AQR ha evidenziato che a fine 2013 il valore contabile degli attivi bancari deve essere corretto per un ammontare di 48 miliardi di euro, che confluirà nei bilanci o nei requisiti prudenziali delle banche. Inoltre, sulla base di una definizione standard di esposizioni deteriorate, ossia non performing (scadute da 90 giorni oppure oggetto di una riduzione durevole di valore o in stato di default), l’esame ha messo in luce che tali esposizioni bancarie sono aumentate di 136 miliardi di euro, portandosi in totale a 879 miliardi. La valutazione approfondita ha inoltre rilevato che lo scenario avverso ridurrebbe di circa 263 miliardi di euro il capitale primario di classe 1 (Common Equity Tier 1, CET1) delle banche, ossia il capitale di massima qualità destinato all’assorbimento delle perdite che misura la solidità finanziaria delle stesse. Ciò darebbe luogo a una diminuzione della mediana del coefficiente di CET1 di 4 punti percentuali, dal 12,4% all’8,3%. Tale diminuzione è più elevata rispetto agli esercizi analoghi precedenti, indice del rigore dell’esercizio attuale. "Questo esercizio è un ottimo primo passo nella giusta direzione. Ha richiesto un impegno straordinario e notevoli risorse da parte di tutti i soggetti coinvolti, fra cui le autorità nazionali dei paesi dell’area dell’euro e la BCE. Ha accresciuto la trasparenza nel settore bancario, individuando negli enti creditizi e nel sistema gli ambiti che necessitano di miglioramenti" ha affermato Danièle Nouy, Presidente del Consiglio di vigilanza. "La valutazione approfondita ci ha consentito di operare un confronto tra banche indipendentemente dai confini nazionali e dai modelli imprenditoriali; gli esiti della valutazione ci permetteranno di acquisire conoscenze e pervenire a conclusioni per la vigilanza in futuro." In seguito all’annuncio dell’esercizio nel luglio 2013, le maggiori 30 banche partecipanti hanno intrapreso varie misure, fra cui aumenti di capitale per 60 miliardi di euro, al fine di rafforzare i loro bilanci per un totale di oltre 200 miliardi. Tali misure, effettuate in preparazione alla valutazione approfondita, rientrano nei più ampi esiti dell’esercizio, conclusosi con successo. Alcuni interventi intrapresi nel 2013 hanno limitato le insufficienze rilevate dalla valutazione approfondita, altri adottati nel 2014 potranno essere considerati ai fini della copertura delle carenze patrimoniali. Valutazione approfondita La valutazione approfondita, che ha integrato le componenti dell’AQR e della prova di stress, era intesa a rafforzare i bilanci delle banche, accrescere la trasparenza e promuovere la fiducia. Le 130 banche esaminate rappresentavano 22.000 miliardi di euro di attività, pari all’82% degli attivi bancari totali nell’area dell’euro. La valutazione è stata condotta conformemente al regolamento e alla direttiva dell’UE sui requisiti patrimoniali in vigore (CRR/CRD IV), che prevedono alcune discrezionalità nazionali. Tali discrezionalità possono determinare differenze – come nel caso della definizione di capitale – che si ridurranno gradualmente nel corso dei prossimi anni con il progressivo venir meno delle disposizioni transitorie nella normativa pertinente. La BCE riconosce l’esigenza di migliorare la coerenza della definizione di capitale e della sua qualità. La vigilanza bancaria della BCE affronterà il tema in via prioritaria. AQR L’AQR, condotta dalla BCE e dalle autorità nazionali competenti (ANC), ha esaminato l’adeguatezza della valutazione degli attivi iscritti nei bilanci delle banche al 31 dicembre 2013. La comparabilità delle banche oltre i confini nazionali è stata assicurata dall’applicazione di definizioni comuni per concetti inizialmente disomogenei e da una metodologia uniforme per l’analisi dei bilanci. Oltre 6.000 esperti in tutto il Meccanismo di vigilanza unico (MVU) hanno esaminato nel dettaglio più di 800 singoli portafogli, svolgendo fra l’altro un’analisi accurata della qualità dei crediti di 119.000 debitori verso le banche. L’esame fornisce alla BCE informazioni significative sulle banche che saranno sottoposte al regime di vigilanza diretta e si affianca agli sforzi profusi per creare in futuro un contesto di parità di condizioni in seno alla vigilanza. Prova di stress La prova di stress è stata condotta dalle banche partecipanti, dalla BCE e dalle ANC in collaborazione con l’Autorità bancaria europea (ABE), che ne ha anche definito la metodologia. Lo scenario avverso, invece, è stato sviluppato dal Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS) in collaborazione con le ANC, l’ABE e la BCE. Nello scenario di base alle banche è stato richiesto di detenere un coefficiente minimo di CET1 dell’8% (come per l’AQR), mentre nello scenario avverso il coefficiente era pari al 5,5%. La prova di stress non si configura come previsione di eventi futuri, ma come esercizio prudenziale inteso a verificare la capacità delle banche di superare situazioni di maggiore debolezza economica; le banche sono state incoraggiate a elaborare proiezioni prudenti da sottoporre ad analisi critica sulla base di requisiti rigorosi di assicurazione della qualità. Un elemento di novità è rappresentato dal fatto che le informazioni acquisite nell’AQR sono state integrate nei bilanci bancari di partenza e nelle relative proiezioni della prova di stress. Comunicazione per singola banca Nei 130 schemi relativi alle singole banche la BCE distingue tra le carenze patrimoniali individuate in sede di AQR e quelle determinate dallo scenario di base e dallo scenario avverso della prova di stress. La valutazione approfondita integra le due voci. Gli schemi, inoltre, forniscono ulteriori informazioni importanti sulle singole banche, riguardanti ad esempio le emissioni di strumenti di capitale già effettuate nel 2014. I risultati integrali della prova di stress vengono pubblicati anche dall’ABE. Il rapporto aggregato contenente gli esiti completi dell’esercizio per tutte le banche è reperibile all’indirizzo: http://www.ecb.europa.eu/ssm/assessment/html/index.en.html. Le nuove lobby italiane: "trinità" vicina a Renzi Tramontata l’era Bisignani. Cambia rete di chi agisce nell'ombra per promuovere nomine, finanziamenti e aziende. Ecco i nomi. di Emiliano Fittipaldi Pubblicato il 24 ottobre 2014| Ora 11:11 Commentato: 10 volte ROMA (WSI) - Luca Lotti è "lampadina", il sottosegretario dal carattere fumantino, considerato del terzetto quello più difficile da avvicinare. Marco Carrai è l’imprenditore immerso nei suoi affari, ma più disponibile ad ascoltare lamentele e richieste. L’avvocato Alberto Bianchi è lo "zio saggio", il mediatore per eccellenza, colui che sa ammorbidire i dissidi e trovare la quadra. Insieme Luca, Marco e Alberto formano quella che deputati e brasseur d’affari chiamano "la trinità", il gruppo scelto a cui Matteo Renzi ha affidato la creazione di un nuovo sistema di potere che, all’ombra di Palazzo Chigi, deve gestire nomine pubbliche, dossier delicatissimi e interessi economici del Paese. Negli ultimi mesi la rete di relazioni della trimurti si sta espandendo come una supernova, tanto che la supremazia della vecchia "ditta" (così veniva chiamato il sodalizio tra Gianni Letta e Luigi Bisignani, che ha patteggiato un anno e sette mesi per associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta sulla P4) è ormai un lontano ricordo: la rottamazione della coppia che ha amministrato la cosa pubblica durante il regno di Silvio Berlusconi è (quasi) terminata. Così da febbraio lobbisti, consulenti d’azienda e battitori liberi si affannano per salire sul carro giusto. Telefonate, appuntamenti nei bar del centro storico di Roma, pressioni sui parlamentari di riferimento: entrare fin d’ora nelle grazie dei decisori è fondamentale, visto che chi resta fuori dai giochi mette a rischio non solo gli interessi della sua azienda, ma anche potere personale e lo stipendio. GLI UOMINI NERI Nella vulgata comune il lobbista è ancora sinonimo di intrallazzo. L’iconografia lo dipinge come un maneggione in blazer, come l’uomo nero che smista mazzette per velocizzare una pratica o spingere un emendamento. La cronaca giudiziaria non ha migliorato la loro "reputation": la seconda Tangentopoli, la P4, gli scandali che stanno martoriando l’Eni e la Finmeccanica, i traffichini alla Valter Lavitola, le tangenti del Mose, tutto ha contribuito a rilanciare l’assioma "lobbista uguale faccendiere". Un luogo comune che danneggia i professionisti degli affari istituzionali, che spesso e volentieri non solo difendono interessi legittimi (come fanno associazioni di categoria e sindacati), ma servirebbero al legislatore per avere dati e informazioni corrette su business cruciali. Non è un caso che la categoria, a Washington come a Bruxelles, sia da lustri rispettata e regolamentata. L’Italia, anche in questo campo, è molto indietro. Sia per colpa del Parlamento, che da trent’anni annuncia una legge sulla trasparenza delle lobby che non ha mai visto la luce, sia perché i protagonisti della persuasione si comportano spesso come trent’anni fa, quando il costruttore Gaetano Caltagirone rivolgeva all’andreottiano Franco Evangelisti l’immortale «A Frà, che te serve?». Non è un caso che il dossieraggio per fregare i colleghi resta pratica assai diffusa, così come l’opacità nei rapporti con la politica e la "black propaganda" attraverso cui si tenta di distruggere l’immagine di un concorrente grazie a giornalisti ingenui o compiacenti. LA TRINITA' I protagonisti della nuova leva renziana non sono stati coinvolti in indagini giudiziarie. Almeno nel penale. Partiamo da Carrai. Che insieme a Lotti, Bianchi e al ministro Maria Elena Boschi è nel ristretto board della Fondazione Open, cuore e cassa del meeting della Leopolda (vedi articolo a pagina 36). Nonostante le voci lo diano in uscita dal "giglio magico", per il premier resta un punto di riferimento imprescindibile. Più riflessivo di Lotti, timido e mingherlino, rampollo di una famiglia di costruttori molto cattolica, nel 2009 ha deciso di lasciare la politica attiva diventando imprenditore. L’apparenza inganna, perché Carrai nel tempo libero continua a raccoglie fondi per le campagne elettorali del premier e tesse relazioni a tutto campo. Non solo con ambasciatori e politici americani e israeliani, come è noto, ma con tutti i banchieri del Paese: da Fabrizio Palenzona a Lorenzo Bini Smaghi, è a lui che i finanzieri devono fare riferimento. Se Bisignani girava per Roma in un taxi che aveva affittato in regime di monopolio, Carrai va agli appuntamenti fiorentini a bordo di una vecchia Fiat Punto verde. Ufficialmete non ha incarichi di governo ma ogni volta che scende a Roma ha l’agenda piena zeppa nemmeno fosse titolare di un dicastero. Si appoggia a un ufficio di Franco Bernabè (ex ad di Telecom) di cui è socio in una società di consulenza, ma preferisce incontrare lobbisti e politici in luoghi pubblici. «Prima andava spesso da "Tullio", ma dopo la vicenda delle microspie scoperte sotto i tavoli di "Assunta Madre" preferisce le hall degli alberghi del centro, come l’Exedra a piazza della Repubblica», racconta chi lo conosce bene. «Carrai è l’anello di congiunzione tra Renzi e i poteri forti: persino i manager di Monte dei Paschi di Siena e Unipol, da sempre legati alla vecchia guardia dalemiana, ora vanno a baciare la pantofola di Marco». PICCOLI LETTA CRESCONO Molti lobbisti della rete che sta mettendo in piedi il giovane Marco li ha invitati al suo matrimonio: a festeggiare lui e la consorte Francesca Campana Comparini c’erano anche alcuni emergenti, come Filippo Maria Grasso, Pasquale Salzano e la "lobbista del papa" Francesca Chaouqui. Tutti in carriera, e determinati a farne ancora di più: se Grasso, 35 anni, è da tempo nel cerchio magico di Tronchetti Provera in Pirelli, legatissimo a Pippo Corigliano dell’Opus Dei e pizzicato nelle intercettazioni della P4 per aver messo in contatto l’ex ministro Stefania Prestigiacomo e Luigi Bisignani (Grasso vanta relazioni internazionali di alto livello in paesi cruciali come Russia, Brasile e Turchia, nonché stretti rapporti con le forze di polizia), Pasquale Salzano, classe 1973, è il napoletano che ha preso da poco la guida delle relazioni istituzionali all’Eni, al posto di Leonardo Bellodi. Scelto direttamente dal nuovo numero uno del colosso petrolifero Claudio Descalzi, Salzano è un diplomatico, ha lavorato con Romano Prodi e ha già capito che il suo sarà un compito difficile: a poche settimane dalla promozione il suo capo è stato subito indagato per corruzione internazionale dalla procura di Milano. Con il governo, però, per ora Salzano parla poco: Renzi e Descalzi si scrivono sms ogni due giorni, scavalcando ogni possibile intermediazione. Al matrimonio di Carrai anche una delle facilitatrici più ambiziose del momento, la Chaouqui. Figlia di un egiziano che se n’è andato di casa quando era ancora bambina e di una insegnante calabrese di San Sosti, s’è trasferita qualche anno fa nella Capitale in una topaia di 15 metri quadri sopra un garage. Ha fatto la babysitter per pagarsi l’affitto e le tasse della Sapienza, poi ha scalato tutte le gerarchie della città in pochi anni. Grazie alle entrature della contessa Marisa Pinto Olori del Poggio (ambasciatrice di San Marino che l’ha praticamente adottata e presentata a decine di vescovi e cardinali), e a un rapporto personale con il cardinale George Pell, il segretario di Stato Pietro Parolin e Bergoglio in persona. Tra un pranzo per vip organizzato su una terrazza in San Pietro (tra gli invitati anche Carrai) e un appuntamento a Santa Marta, Chaouqui sta pure curando gli investimenti italiani di due multinazionali asiatiche. L’EPURAZIONE Scaltri e rapidi ad apprendere l’arte di Richelieu, Carrai Bianchi e Lotti non conoscono ancora le logiche e i riti dei vecchi potentati. Cresciuti tra le colline toscane, diffidano dei salotti alla Jep Gambardella dove «prima si magna e poi si intrallazza». Qualcuno, inoltre, ha loro segnalato che sarebbero state proprio quelle élite ad aver pompato a dismisura sui media il caso della casa fiorentina di Carrai in cui ha vissuto Renzi per qualche mese. Arrivati sotto il Colosseo i tre decidono dunque di guardarsi le spalle, di non frequentare i bar di via Veneto dove i lobbisti chiacchierano tra crodini e gin-tonic, e di annientare prima possibile la ragnatela costruita dai venerabili maestri della Seconda Repubblica. L’epurazione parte a maggio. Cadono come birilli Stefano Lucchini, ras all’Eni da sempre fedele a Bisignani, e Leonardo Bellodi, l’uomo ombra di Paolo Scaroni, esperto di missioni a cavallo tra business e intelligence. Oggi Lucchini ha già trovato un nuovo ufficio a Banca Intesa, mentre sembra che Bellodi voglia aprire - insieme a Scaroni e l’ex ad di Siram Giuseppe Gotti - una sede italiana di un importante fondo di investimento Usa. Anche Gianluca Comin, ex capo delle relazioni istituzionali dell’Enel e ganglio cruciale del vecchio sistema, dopo aver perso la poltrona si è buttato nel privato: oggi ha una scrivania nella sede dello studio legale Orrick, e collabora per la multinazionale dei farmaci Novartis, finita nella bufera per una multa da 92 milioni comminata dall’Antitrust e bisognosa di lobbisti in grado di ridare smalto alla reputazione dell’azienda. Dei vecchi leoni solo Fabio Corsico e Giuliano Frosini possono vantare eccellenti rapporti con il nuovo establishment: il primo, da 10 anni factotum di Francesco Gaetano Caltagirone e manager di punta della Fondazione Crt, è stato messo nel board di Terna dalla Cassa depositi e prestiti; Frosini, un passato da bassoliniano, amico di Enrico Letta e Maurizio Lupi nonché foundraiser per Comunione e Liberazione, ha lasciato Terna per tornare a seguire gli interessi di Lottomatica, ma è stato piazzato dal governo Renzi nel nuovo cda di Trenitalia. I lobbisti in cerca d’autore, invece, non si contano: se Franco Brescia della Telecom per ora è saldo al suo posto, Marco Forlani (figlio del democristiano Arnaldo) è uscito da Finmeccanica a luglio, mentre Paolo Messa (ex consigliere del ministro Corrado Clini, indagato per una vicenda di corruzione) sta tentando la fortuna bisbigliando suggerimenti al potente Gianni De Gennaro, presidente Finmeccanica ed ex capo della polizia. Costanza Esclapon, contrattualizzata dalla Rai e amica di Lucchini, sta invece difendendo con le unghie il suo capo Luigi Gubitosi dagli attacchi della stampa. Renzi sembra però aver già deciso le sorti del direttore generale di Viale Mazzini, che dovrà cambiare azienda alla scadenza della nomina, prevista per marzo. In pole per il suo posto il "giglio magico" si sta dividendo tra l’ex Mtv Antonio Campo Dall’Orto e il numero uno della compagnia telefonica H3G Vincenzo Novari, per cui tifano Luca Lotti ed Ernesto Carbone. CHI SALE E CHI SCENDE «Lobby» è una parola d’origine medioevale. Viene da "laubia", cioè "loggia", "portico". Ma nell’immaginario significa clan, camarilla, combriccola che persegue i suoi interessi a scapito di quelli della collettività. L’azione dei gruppi di pressione in Parlamento, l’assenza di qualsiasi regola di condotta, i rapporti amicali e di scambio con i politici e i partiti, però, non sono un luogo comune. Perché definiscono il tipo di lobbismo che in Italia va da sempre per la maggiore. Se Bisignani (che ha cambiato ufficio, ora è in via Po, e tenta di dire la sua attraverso il buon rapporto con Denis Verdini e la famiglia Angelucci) è metafora negativa, i nuovi ciambellani di Renzi non hanno ancora del tutto cambiato verso, soprattutto nel modo di agire. «Nei ministeri non si fidano di nessuno, e gestiscono da soli tutti i dossier. Così la trasparenza è un optional, e il rischio di caos e approssimazione è elevatissimo», racconta il numero due degli affari istituzionali di un’importante impresa di Stato. «Ai tempi di Enrico Letta potevamo coordinarci con l’ambasciatore Armando Varricchio e con il suo consigliere Fabrizio Pagani. Ora, invece c’è un vuoto assoluto»Per la cronaca, Varricchio è stato depotenziato a semplice burocrate, mentre Pagani è stato spedito a via XX Settembre, come capo della segreteria del ministro Pier Carlo Padoan. Era proprio Pagani uno dei commis di Stato più influenti: se ai consiglieri di Stato è stata messa la museruola, nei palazzi contano ancora molto Salvatore Nastasi, ex enfant prodige di Gianni Letta e potentissimo direttore del ministero della Cultura, e Antonio Agostini, un passato nei servizi segreti, ex direttore dei ministri Gelmini e Clini, diventato qualche settimana fa numero uno dell’Isin, l’authority per la sicurezza nucleare. Il VECCHIO E IL GIOVANE Quando Carrai ha qualche dubbio sul da farsi, telefona ad Alberto Bianchi. Sessant’anni, pistoiese, Bianchi è un riservato avvocato, esperto in diritto commerciale e fallimentare, con un grande studio a Firenze. Ma, soprattutto, è l’uomo che da 15 anni sussurra buoni consigli ai tre ragazzini di belle speranze, Renzi, Lotti e Carrai, che ha allevato intuendone ambizioni e capacità. Liberale convinto e anticomunista, un fratello (Francesco) stimato da Giovanni Bazoli e da poco piazzato alla Fondazione Maggio Fiorentino, lo "zio saggio" siede nel cda dell’Enel e ha un peso specifico notevole. Non solo nella fondazione Open di cui è presidente e di cui ha scritto lo statuto, ma su ogni nomina che conta: pare sia lui ad aver imposto Francesco Starace all’Enel. Dei tre tenori è l’unico che ha beccato una condanna (seppure in primo grado): secondo la Corte dei Conti Bianchi - quando era commissario straordinario dell’Efim spa (una delle holding delle vecchie Partecipazioni statali finita in bancarotta) - avrebbe causato un danno erariale di 4,7 milioni di euro. Ma dei tre campioni di Renzi quello che i lobbisti sognano di agganciare per primi è Luca Lotti. Nato nel 1982, sottosegretario all’editoria a Palazzo Chigi, è delegato a tutti i rapporti informali del premier. Maestro nell’anticipare i desiderata del "principale" di cui esegue gli ordini senza discutere, ha messo il suo zampino in tutte le partite più delicate. Prima le nomine delle società pubbliche (il nuovo capo delle relazioni istituzionali di Poste, Giuseppe Coccon, a Lotti deve moltissimo), poi ha sfilato le deleghe del Cipe al ministero dell’Economia. Se prima i vescovi e i cardinali parlavano con Gianni Letta, ora devono incontrare lui. Dagli uomini d’affari che vogliono avere buone entrature con il governo, invece, Lotti manda due imprenditori di fede renziana come Andrea Conticini e Andrea Bacci. Tra una partita di calcetto alla Cecchignola e un appuntamento sotto la galleria "Alberto Sordi", c’è solo un obiettivo che "lampadina" non è riuscito ancora a raggiungere: le deleghe ai servizi segreti. Per le barbe finte l’ex consigliere di Montelupo ha un chiod o fisso, e per strappare l’incarico al sottosegretario Marco Minniti farebbe follie. Per ora Renzi gli ha detto di no. Così, con gli 007 dell’Aisi e dell’Aise, Lotti si incontra nei bar dietro Piazza di Pietra. In incognito, ma neanche troppo. Il contenuto di questo articolo, pubblicato da L'Espresso - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © L'Espresso. All rights reserved Draghi ha ancora un grosso problema: la Germania Rapporti con la Bundesbank sono irreparabilmente compromessi. "Dovremo combattere" per tenere tedeschi nel board, ha detto un membro del consiglio. di WSI Pubblicato il 24 ottobre 2014| Ora 12:13 BERLINO/FRANCOFORTE/PARIGI (WSI) - Ai primi di ottobre, Benoit Coeure, membro francese del board Bce, si è recato a Berlino per una visita alla Cancelleria tedesca, durante la quale ha sommessamente espresso le preoccupazioni dell'Eurotower circa le crescenti critiche espresse da politici teutonici nei riguardi dell'operato della banca centrale europa. Coeure, uno degli uomini più vicini al presidente della Bce Mario Draghi a Francoforte, sperava di ricevere rassicurazioni sul fatto che la campagna di stroncature da parte tedesca, guidata dal ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, sarebbe finita presto. Ma la risposta ottenuta dai consiglieri di Angela Merkel non è stata affatto confortante, a quanto si apprende da una fonte informata dei colloqui. La cancelliera continuerà ad evitare di mettere in discussione le politiche della Bce in pubblico. Ma sarà difficile contenere l'ondata di malcontento che serpeggia fra i politici tedeschi riguardo l'operato della banca centrale europea, in particolare se Draghi continuerà a puntare su misure non convenzionali per rafforzare l'economia dell'area euro, come ad esempio l'acquisto massiccio di bond governativi. "Se sarà così, ne verrà fuori un dibattito pubblico", ha detto un alto funzionario tedesco parlando a Reuters in condizioni di anonimato. "Le critiche tedesche alla Bce verranno a galla apertamente". In un'ormai famosa dichiarazione del 2012, Draghi promise che avrebbe fatto "qualunque cosa fosse necessaria" per difendere la moneta unica, una posizione che la Merkel sostenne, dicendo che la Bce stava agendo all'interno del suo mandato. A due anni di distanza, le relazioni del banchiere italiano con il suo principale azionista - i tedeschi - si stanno incrinando con preoccupanti implicazioni per l'Europa e per la sua già fragile economia. Questa tensione si avverte in modo inequivocabile nei rapporti fra Draghi e il presidente di Bundesbank Jens Weidmann, che secondo numerose fonti contattate da Reuters in condizioni di anonimato, sarebbero ormai giunti ad un punto di rottura. E peggio. La Merkel si sarebbe sentita tradita da quanto detto da Draghi alla conferenza dei banchieri centrali a Jackson Hole, in Wyoming ad agosto, durante la quale il numero uno della Bce ha invitato apertamente Berlino ad allentare le sue politiche fiscali per stimolare la crescita. L'entourage della cancelliera sarebbe anche molto scettico circa il piano di Draghi sull'acquisto di ABS (asset-backed securities) e covered bond nella speranza di spingere le banche a prestare denaro. Ma più di tutto, ciò che preoccupa i politici a Berlino è che se questo schema non funzionerà, Draghi potrebbe essere tentato di approdare ad una politica di quantitative easing. Un tabù in Germania e un passo che secondo gli alleati di Merkel non farebbe altro che rafforzare il partito tedesco anti-euro Alternativa per la Germania (AfD). Perdere il sostegno dello stato membro più importante ed influente dell'area euro sarebbe fatale per la credibilità della Bce, erodendo la fiducia dell'opinione pubblica nella sua capacità di lavorare con i governi europei per riportare il Vecchio continente sulla strada della crescita. "Fino ad ora, la Bce era fiduciosa, nonostante tutte le critiche apparse sui media tedeschi, che avrebbe potuto contare su Schaeuble e Merkel," spiega Marcel Fratzscher, ex capo del dipartimento di analisi delle politiche internazionali alla Bce e ora presidente dell'istituto economico DIW a Berlino. "Ma le recenti forti critiche sono state una vera e propria sveglia. E ora ci si domanda se Draghi abbia o meno il pieno supporto di Berlino. Il criticismo tedesco rappresenta una grossa preoccupazione per la Bce". La Banca centrale europea, citando la sua indipendenza, non ha voluto commentare lo stato delle sue relazioni con Berlino. Un portavoce del governo tedesco ha detto di essere convinto che la Bce stia agendo all'interno del suo mandato per garantire la stabilità dei prezzi, e non ha dunque voluto commentare oltre. "IRREPARABILMENTE COMPROMESSI" I rapporti tra Draghi e Weidmann, ex consigliere della Merkel divenuto governatore della Bundesbank tre anni fa, sono al momento particolarmente incrinati, secondo una mezza dozzina di banchieri centrali e funzionari governativi sentiti da Reuters. Le relazioni tra i due non sono mai state facili. Weidmann si è pubblicamente opposto al programma di acquisto di bond propugnato da Draghi mesi dopo la famosa promessa del 2012. Ma negli ultimi mesi, la reciproca diffidenza è aumentata, secondo fonti vicine ad entrambe le parti. Una settimana dopo la visita di Coeure a Berlino, Draghi e il portavoce di Weidmann hanno reso conferenze stampa separate, nello stesso giorno, ad un piccolo gruppo di cronisti tedeschi ad un meeting dell'Fmi a Washington. Draghi ha elencato per filo e per segno tutte le misure cui Weidmann si era opposto da quando alla guida di Buba. Mentre il collaboratore di Weidman, dalla sua, si è lamentato del fatto che Draghi stesse volutamente tenendo nell'ombra i governatori centrali delle banche nazionali senza creare consenso tra i 24 membri del board, secondo fonti presenti ai due briefing. Pochi giorni dopo, a Francoforte, i due banchieri centrali si sono accusati di reciproco sabotaggio tramite i media, secondo una fonte a conoscenza della questione. "La relazione tra i due è irreparabilmente compromessa", ha detto una seconda fonte che conosce entrambi. "E' diventato un fatto personale", ha aggiunto una terza fonte Bce. Un portavoce di Francoforte ha sminuito la questione, affermando che è salutare che vi siano posizioni differenti all'interno del board. Buba non ha voluto commentare. Tensioni tra il presidente Bce e i membri tedeschi del board si sono verificate anche in passato. Durante la presidenza del francese Jean Claude Trichet, predecessore di Draghi, nel 2011, il numero uno di Bundesbank Axel Weber e il membro tedesco della Bce Juergen Stark diedero le dimissioni in aperto contrasto con le scelte di politica monetaria adottate da Trichet. Non ci sono segnali al momento che Weidmann possa seguire il loro esempio. "DOVREMO COMBATTERE" Persino alti funzionari di Bundesbank hanno iniziato ad esprimere preoccupazione per il deteriorarsi delle relazioni tra le due istituzioni. Membri del board Bce hanno ammesso di essere preoccupati circa le crescenti critiche verso la Banca centrale europea in Germania, dove voci positive come quella di Fratzscher sono state soppiantate da scettici come l'economista Hans-Werner Sinn e il commentatore della Frankfurter Allgemeine Holger Steltzner che ha definito la Bce una "bad bank". "Dovremo combattere" per tenere i tedeschi nel board, ha detto un membro del consiglio Bce. Il governo di Angela Merkel aveva sostenuto la Bce quando Weber e Stark avevano lasciato i loro incarichi tre anni fa, aiutando Trichet a superare le pesanti defezioni. Ma questa volta sembra più scontento di quanto sta facendo Draghi, in parte a causa della minaccia elettorale costituita dall'AfD per la Cdu. Uno dei problemi principali, spiegano alcuni funzionari, è che da quando lo scorso anno hanno lasciato Joerg Asmussen, membro del board Bce, e l'alto consigliere Christian Thimann, Draghi non ha più avuto a Francoforte alleati tedeschi in grado di diffondere il suo messaggio a Berlino. Asmussen è stato rimpiazzato da Sabine Lautenschlaeger, esperta di finanza senza esperienza politica, mentre il posto di Thimann è stato preso da Frank Smets, un belga. Le frustrazioni tedesche intorno all'operato di Draghi sono state esacerbate inoltre dallo stile della sua leadership, riferiscono altri funzionari. L'italiano, dicono, ama circondarsi di un piccolo gruppo di confidenti, guidato da Coeure e Peter Praet, il belga capo- economista della Bce, piuttosto che allargare la schiera dei suoi fedelissimi all'interno dell'intero consiglio, come invece aveva fatto Trichet. Fonti della Bce, hanno però smontato l'idea che ci siano forti tensioni tra la banca e Berlino, notando che Draghi e Schaeuble hanno parlato a margine del recente meeting Fmi e che Merkel non ha mai voluto apertamente criticare le decisioni dell'Eurotower. Schaeuble, però, ha ammesso apertamente, il mese scorso, di "non essere contento" riguardo alle decisioni di Francoforte sugli ABS e ha detto al parlamento tedesco che la Bce "ha esaurito" gli strumenti a sua disposizione per sostenere l'economia. Al di là dei motivi specifici, cresce in Germania il numero dei politici conservatori scontenti dell'operato di Draghi. All'inizio del mese, Hans Michelbach della CSU bavarese, membro conservatore della commissione finanze del Bundestag, ha definito "un errore" la nomina di Draghi alla presidenza della Bce. 330 milioni di famiglie lottano per pagare le spese della casa. Rinunciando a cibo e sanità E' il risultato di una ricerca McKinsey, secondo cui mancano 650 miliardi di dollari l'anno. In Italia 2,3 milioni di famiglie in difficoltà. di WSI Pubblicato il 24 ottobre 2014| Ora 16:04 NEW YORK (WSI) - Sono circa 330 milioni le famiglie sparse sul pianeta che per far fronte ai costi per la casa devono rinunciare ad altri bisogni essenziali, come il cibo e l’assistenza sanitaria. Un numero destinato ad aumentare con l’intensificarsi dei flussi migratori verso le metropoli nei Paesi emergenti, diventeranno 440 milioni nel 2025, almeno un miliardo e trecento milioni di persone coinvolte. E’ quanto mette in evidenza l’ultimo studio condotto da McKinsey da cui emerge su scala mondiale il gap di accessibilità alla casa: in sostanza, quanto salario in più servirebbe a una famiglia media per comprare l’abitazione senza dovere impegnare più del classico 30% del reddito stesso; il gap si aggira intorno ai 650 miliardi di dollari all’anno, all’incirca l’1% del prodotto interno lordo mondiale. Ma quello del gap di accessibilità alla casa non è un problema che riguarda solo le grandi metropoli dei paesi emergenti. Anche in Italia la situazione non è rosea. Sono 2,3 milioni le famiglie in difficoltà. E che pertanto avrebbero bisogno di 7,1 miliardi in euro in più ogni anno. Il gap maggiore si registra nell’area metropolitana di Milano: quattro miliardi di dollari. Seguono Roma, tre miliardi; Firenze, un miliardo; Torino, 500 milioni; Napoli, 300 milioni e Venezia, 200 milioni. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.trend-online.com/ MPS: considerazioni sugli stress test News alert: Banca Mps Pur non conoscendo il risultato degli stress test (che saranno pubblicati domenica) per MPS, è comunque possibile fare qualche ragionamento in merito. La vistosa debolezza delle ultime settimane, che ha provocato addirittura la temporanea e violenta fuoriuscita dalla parte inferiore del range laterale di lungo termine, suggeriva la convinzione del mercato di un esito particolarmente severo degli stress test. timore degli investitori era ed è tuttora legato all'eventuale necessità di MPS di ricorrere ad un nuovo corposo aumento di capitale. A distanza di soli 4 mesi dal precedente (di ben 5 MLD), un ulteriore aumento di capitale risulterebbe complicato da attuare e negativo per le quotazioni del titolo in misura proporzionale alla sua entità (a meno che lo stesso non fosse dedicato all'ingresso di un nuovo importante socio). In buona sostanza, l'ondata di vendite che ha travolto MPS nelle ultime settimane sconta uno scenario che prevede un consistente aumento di capitale e, parzialmente, anche l'incapacità di attuarlo. Tuttavia, secondo le ultime voci si prospetta una bocciatura 'leggera' per MPS ripianabile attraverso operazioni di alienazione e di emissioni di nuove obbligazioni. Un simile risultato eviterebbe il ricorso ad una nuova ricapitalizzazione della banca. Se così fosse, emergerebbe uno scenario decisamente meno preoccupante di quello scontato attualmente dal mercato e, si sa, la diffusione di una notizia migliore rispetto a quella prezzata dalle quotazioni solitamente (se non sempre) porta a decise ricoperture di cui abbiamo avuto un assaggio nella settimana appena conclusa (+17%) ed in particolar modo nell'ultima seduta (+10%). Inps fallita. A prescindere dalle pensioni pagate al 10 del mese L’Italia è un popolo di pensionati, un popolo tendenzialmente anziano e che, diciamo la verità, ha spesso fatto dell’assistenzialismo una sorta di alibi morale, per riuscire ad avere facili extra senza lavorare o quasi. Il vizietto all'italiana Un vizietto che la politica ha immediatamente mutuato e che ha facilmente estremizzato con le famose pensioni d’oro, i bonus dei parlamentari, extra di tutti i tipi possibili. Insomma un’allegra gestione da parte un po’ di tutti che, colpevoli, hanno reso l’INPS uno scalcinato baraccone, ormai sul perenne orlo del fallimento con debiti le cui cifre, sempre a sette zeri, oscillano ormai nel territorio della pura dissertazione. Si perchè è difficile sapere cosa c’è in cassa, soprattutto considerando che i maggiori “morosi” per le casse della previdenza sociale, sono appunto gli enti statali. Oltre che i politici stessi i quali possono permettersi pensioni e vitalizi anche sulla base di pochi anni di lavoro (e qui, poi il termine lavoro potrebbe anche essere opinabile…). I tanti problemi Ad ogni modo, mentre si cerca di capire come risolvere i più nodi derivanti (tagli alle pensioni d’oro, riorganizzazione di quelle già maturate, esclusione dei milioni di giovani che la Fornero ha relegato nel limbo dei 6-7-800 euro al mese) arriva la notizia secondo la quale il pagamento delle pensioni avverrà prossimamente dal 10 di ogni mese anzichè dal primo. Il motivo? Semplice: non ci sono soldi. E questo a discapito di chi i contributi li ha versati, onestamente, e se li è letteralmente sudati. Partiamo dal principio. Nel 2009 il patrimonio dell’Inps era di oltre 41 miliardi e mezzo, stando all’ultimo documento firmato dall’oramai celebre Mastrapasqua (l’uomo dai 1000 incarichi e dalle 100 poltrone), nel 2014, quindi già da quest’anno, si potrebbe trovare in passivo di oltre 5 miliardi di euro che a fine anno arriveranno a 12 miliardi. A creare lo scompiglio, oltre quanto già detto sopra, anche la zavorra Inpdap con i suoi debiti (quasi 24 miliardi) che a suo tempo cadde sull’istituto di previdenza sociale, oltre alla mancanza di versamenti dovuti alla crisi: più disoccupazione, meno lavoratori, quindi meno contributi versati. Ed è con quei contributi che finora si è provveduto a mantenere in piedi il sistema pensionistico già maturato, tappando l’ennesima falla che si apriva sul fronte dei conti, senza porre mano a riforme del sistema che fossero credibili nel breve periodo ma soprattutto sostenibili sul lungo. Perchè? In molti si chiedono il perchè di quella scelta nefasta che ha praticamente distrutto il precario equilibrio di una realtà già di per sè estremamente sensibile al risvolto sociale. E anche in questo caso la risposta è semplice: scaricare sulla popolazione (Inps) i debiti contratti dall’amministrazione pubblica (Inpdap) verso i propri dipendenti. Una scelta che, stando alle dichiarazioni di Mastrapasqua, avrebbe senza dubbio portato conseguenze pesanti, ma i cui effetti sarebbero stati attutiti dalle riforme che il governo Monti avrebbe poi varato. Inutile dire che quelle riforme non sono state mai scritte e tanto meno pensate, sia per una questione di tempo (la vita dei governi in Italia ha la stessa durata di quella di una falena notturna), sia per ovvi motivi di impossibilità: con na situazione economica come quella che stiamo vivendo adesso e che anche allora non era poi diversa (anzi, stando ai dati macro era per assurdo anche migliore) non c’erano margini per nessuna manovra. Non solo, ma considerando il modus operandi delle riforme (quelle poche) del governo Monti, forse, averle fatte sarebbe stato anche peggio. Le conseguenze Tutto questo ha creato una situazione di allarme che alla stessa Fornero era nota già dall’anno scorso, tanto da farle lanciare l’allarme sulle casse vuote già dal 2015. E quella del pagamento delle pensioni al 10 di ogni mese, provvedimento presente nella Legge di Stabilità, non ne è che la conferma. E a poco serve la precisazione di queste ore, in arrivo dal governo, secondo cui lo slittamento riguarderebbe solo quegli 800mila che godono di doppio assegno. Non sarà certo questa "sottigliezza" a poter reggere un sistema che non può andare avanti. Uno spostamento che, in linea di logica, sarebbe anche accettabile, se non fosse che sulla pensione, causa mancanza di lavoro, non solo vivono molte persone (oltre il diretto interessato ed intestatario) ma gravano anche impegni inderogabili (pagamento di rate, mutui, bollette, affitti). E ancora (il che non è un dato negativo) aumentare i controlli nel caso di pensioni di reversibilità per controllare che i beneficiari ne abbiano effettivo diritto. Diritto che però non si estende nè alla rivalutazione degli assegni, nè ai famosi 80 euro promessi ormai a tutti nella più squisita tradizione della propaganda elettorale, pur sapendo, ormai tutti, che difficilmente si troveranno le coperture. Peccato che, con la soppressione dell’Inpdap e dell’Enpals (anch’essa aggregata al carrozzone Inps) gli organismi dirigenziali dei sue enti sino stati “integrati” con quello dell’ente di previdenza, in qualità di rappresentanti, appunto, degli enti soppressi. Ci sarebbe da chiedersi perchè rappresentare un ente che, di fatto non esiste. Anche qui una risposta fin troppo semplice (ed è la terza): per rispettare il poltronificio che gli enti vari e i loro governi hanno sempre rappresentato. Strano come a problemi complessi spesso si contrappongano risposte particolarmente facili… °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.sienafree.it/ Mps, Valentini: ''Preoccupazione per l'esito degli stress test: paghiamo ancora gli anni di gestione scellerata'' Domenica 26 Ottobre 2014 16:24 foto di Alessia Bruchi “Ai disastri del passato si sono aggiunte strategie che non hanno dato i risultati attesi” “Stiamo pagando ancora gli anni di una gestione scellerata, che ha dilapidato un patrimonio plurisecolare”. Non usa mezze parole il Sindaco Valentini per commentare l’esito negativo del comprehensive assessment, un’altra tegola abbattutasi su Banca M.P.S. e, indirettamente, sulla Toscana. “Una gestione - continua Valentini - fatta di affarismo senza scrupoli e scommesse imprudenti, confermata in tutta la sua brutalità dalla pubblicazione degli stralci di interrogatori del processo M.P.S. Oggi, con enormi difficoltà, le istituzioni senesi stanno cercando di superare i danni prodotti in quel periodo buio della nostra storia. Adesso è iniziato un nuovo corso: la politica non condiziona più la gestione della Banca mentre la Fondazione, che dove confermare il patto di sindacato, sta delineando uno spazio per il futuro coerente con le proprie finalità istituzionali. E’ finito, comunque, il tempo della politica pervasiva. In questo momento l’attuale adeguatezza patrimoniale della Banca per la normale operatività potrebbe scontare le eventuali criticità legate ad un peggioramento del contesto economico nazionale ed internazionale. In questi due anni la Banca ha lavorato per recuperare una situazione fortemente compromessa, insistendo molto sul taglio dei costi e sul rafforzamento patrimoniale. Ma, evidentemente, tutto questo non è stato sufficiente e della situazione ancora negativa l’attuale management deve dare spiegazione. Ai disastri del passato si sono aggiunte strategie che non hanno dato i risultati attesi. La pulizia dei conti e i sacrifici, la maggior parte dei quali sopportati dai dipendenti, in mancanza di un adeguato recupero di redditività, non bastano. Viene da domandarsi, poi, come sia possibile che questa ulteriore difficoltà si presenti proprio dopo il consistente aumento di capitale di pochi mesi or sono e dopo che la Banca ha restituito gran parte dell’oneroso debito allo Stato, circa tre miliardi di euro. A tutto questo si aggiunge l’eccessiva rigidità dell’Europa: in una fase delicata come quella attuale, costringere le banche ad adeguamenti patrimoniali forzati e troppo rapidi significa compromettere il finanziamento della ripresa e danneggiare il tessuto economico del Paese. Oggi - continua Valentini - l’aspetto che sento di sottolineare con forza è che Mps è la terza Banca italiana e la prima azienda toscana. E’ questo il cuore della questione: la vicenda riguarda l’intero Paese e il Governo non può stare a guardare”. Sul futuro di Mps il Sindaco sottolinea che “la rete delle filiali e i dipendenti devono essere i protagonisti del rilancio della Banca. Occorre che l’azienda e i lavoratori vengano tutelati. Ci sono, infatti, ancora le condizioni per tentare di mantenere l’unitarietà organizzativa delle banca, evitando qualsiasi processo di disgregazione. Forte preoccupazione - conclude Valentini - è questo il mio attuale stato d’animo in attesa delle misure che il vertice della Banca deve assolutamente comunicare quanto prima”. Banca Mps commenta i risultati di Comprehensive Assessment Domenica 26 Ottobre 2014 16:04 foto di Alessia Bruchi "I risultati dell’esercizio di Comprehensive Assessment hanno confermato la solidità della struttura patrimoniale di Banca Monte dei Paschi di Siena" "E’ stato superato anche lo stress test “Scenario di Base”, con un CET1 che, nell’ambito dell’esercizio, risulta pari all’ 8,8% a fronte di una soglia dell’8,0%. Non è invece stato superato lo “Scenario Avverso” dello stress test al 2016, che evidenzia un deficit di €2,1 miliardi, al netto delle azioni già implementate" "Il Cda di BMPS riunito nella giornata di ieri ha preso atto dei risultati dell’esercizio di CA condotto dalla Banca Centrale Europea (“BCE”) e dall’European Banking Authority (“EBA”). Per ben comprendere la portata dei risultati - informa una nota ufficiale di Banca Monte dei Paschi di Siena -, si ritiene utile evidenziare preliminarmente la differenza concettuale tra la procedura dell’AQR e quella dello Stress Test. L’AQR è stato svolto applicando un approccio “point in time” sulla base dei dati contabili confluiti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2013. Diversamente, gli Stress Test (nella duplice componente Scenario base e avverso) sono stati effettuati con una logica “forward looking” finalizzata alla valutazione della solidità del patrimonio della banca in teorici scenari prospettici peggiorativi, senza alcun riferimento ai dati e ai parametri valutativi assunti a base per la formazione del bilancio. Ulteriore componente del CA, da distinguere rispetto alle precedenti, è il c.d. “Join-up”, che ha integrato l’AQR con gli Stress Test assumendo, ai fini di questi ultimi, non il CET 1 effettivo al 31 dicembre 2013 determinato sulla base dei dati di bilancio, bensì un valore teorico di CET1 determinato dalla BCE rettificando il dato che risulta dall’AQR. Rispetto al CET1 iniziale di €8.504 milioni e la soglia del 5,5% pari a €4.177 milioni, il risultato finale del CA riguardante MPS evidenzia un deficit di capitale regolamentare pari a €2.111 milioni, al quale concorrono: - la componente relativa all'AQR di -€2.851 milioni; - la componente relativa allo Scenario avverso 2016 dello Stress Test pari cumulativamente a €5.243 milioni; - il Join-up pari a -€483 milioni; - le azioni di mitigazione pari a €2.139 milioni (includendo l’aumento di capitale di €5 miliardi, al netto del rimborso di €3 miliardi degli aiuti di Stato sotto forma di NSF, e la rivalutazione della quota di partecipazione in Banca d’Italia). La componente relativa all’AQR deriva dall’applicazione di standard di classificazione e di valutazione stabiliti dalla BCE per finalità di vigilanza prudenziale, basati sull’applicazione conservativa di criteri valutativi e di metodologie anche statistiche non sostitutive di quelli derivanti dai principi contabili. Secondo quanto precisato dalla BCE, la componente di €2.851 milioni relativa all’AQR è da ricondurre sostanzialmente a: "I principali fattori che hanno avuto un impatto sui risultati dell'AQR sono state le rettifiche su crediti aggiuntive riferite alla Credit File Review ("CFR”) e dovute ai significativi livelli di riclassifiche da bonis a deteriorati, e all'impatto della proiezione statistica sul resto del portafoglio crediti determinato in base a tali rettifiche analitiche. Il livello di accantonamenti collettivi ha anch'esso avuto un impatto rilevante. La qualità degli attivi della Banca è ancora influenzata dalla politica creditizia espansiva adottata in anni recenti (2008-2010), dalla scarsa qualità (sotto la media) del portafoglio crediti della ex-Antonveneta e il basso livello degli standard di erogazione del credito verso parti correlate e il territorio di riferimento." In particolare, in sede di AQR è stato esaminato un portafoglio complessivo di oltre €100 miliardi di posizioni creditizie, di cui €73 miliardi Corporate e €27 miliardi Retail e Small Business. L’esercizio è stato condotto in modo analitico attraverso la CFR su circa 950 posizioni Corporate, per una esposizione complessiva pari a circa €16 miliardi, di cui circa €9 miliardi in bonis e circa €7 miliardi deteriorati. Tale analisi ha determinato un impatto patrimoniale negativo di €759 milioni. La proiezione statistica del risultato della CFR sul restante portafoglio Corporate selezionato, pari a circa €57 miliardi, ha comportato un ulteriore impatto di €1.474 milioni, nonché un effetto negativo aggiuntivo di €574 milioni relativo al potenziale incremento del livello di copertura dei crediti in bonis inclusi nel portafoglio stesso. Un ulteriore impatto negativo di €44 milioni si riferisce all’analisi di strumenti finanziari complessi e altre attività valutati al Fair Value, del valore complessivo di circa €650 milioni. Infine, nessun impatto è derivato dall’analisi dei portafogli Retail e Small Business. L'effetto combinato del solo AQR e delle azioni di mitigazione già implementate portano il CET1 phased-in dell’esercizio al 9,5%, ben al di sopra della soglia richiesta del 8,0%. Risulta, quindi, coerente il dimensionamento del recente aumento di capitale di €5 miliardi che ha consentito di rafforzare il bilancio della banca in vista di questo severo scrutinio della qualità dei suoi attivi. Anche il Join-up e l’applicazione dello Scenario base non generano deficit, con il CET1 dell’esercizio che si attesta a 8,8%. Il deficit di €2.111 milioni è quindi da mettere in relazione alle modalità di svolgimento e le assunzioni dello Scenario avverso dello Stress Test, che peraltro si discostano in misura significativa da quelle applicate dalla Commissione Europea nel valutare il Piano di Ristrutturazione approvato dalla medesima. Il deficit non riflette fatti reali che incidono sulla solvibilità della Banca - prosegue la nota Mps -, ma è volto a rappresentare l’impatto sui ratios patrimoniali prospettici di determinati scenari ipotetici estremamente negativi, aggiungendolo al già severo scrutinio della qualità degli attivi creditizi al 31 dicembre 2013 oggetto di AQR. Va ricordato che BMPS ha definito un Piano di Ristrutturazione approvato dalla Commissione Europea con decisione del 27 novembre 2013, in ragione degli aiuti di Stato ricevuti nel corso del 2013. Nel periodo intercorso tra la seconda metà del 2011 e il primo semestre del 2013 BMPS ha infatti attraversato una profonda crisi finanziaria e reputazionale dovuta ad alcune condizioni specifiche della Banca, le cui conseguenze sono state aggravate dalle avverse condizioni di mercato, e che ha comportato seri problemi di struttura patrimoniale, forti tensioni di liquidità e pesanti implicazioni reddituali, legate in particolare al peggioramento della qualità del suo attivo creditizio. L’operato dell’attuale gestione ha permesso a BMPS di effettuare: - un sostanziale deleverage di oltre €45 miliardi, rispetto a un attivo di oltre €240 miliardi a fine 2011; - accantonamenti per perdite su crediti per circa €6,6 miliardi dal 2012 al 30 giugno 2014; - una riduzione dei costi operativi della Banca per oltre €760 milioni (da fine 2011 – 1S14 annualizzati); - un aumento delle commissioni di wealth management di circa €200 milioni. Queste azioni hanno consentito alla Banca di recuperare la fiducia della clientela e di affrontare nuovamente il mercato, effettuando con successo un aumento di capitale di €5 miliardi. Tale ricapitalizzazione ha permesso di rimborsare €3 dei €4 miliardi di NSF ricevuti, di aumentare la dotazione patrimoniale, di migliorare la qualità complessiva del patrimonio e di determinare anche uno strutturale cambiamento dell’azionariato della Banca. La dimensione e la tempistica dell’aumento di capitale sono chiaramente stati concordati con le Autorità di Vigilanza e sono stati definiti in ragione del Commitment preso nel Piano di Ristrutturazione di rimborsare quell’ammontare di NSF entro il 31 dicembre 2014, nonché della necessità di dotare la Banca di un buffer patrimoniale che potesse far fronte anche alle esigenze eventualmente scaturenti dal CA. Al fine di valutare meglio i risultati del CA Scenario avverso, è opportuno tenere in considerazione lo scopo del Piano di Ristrutturazione, cioè ristabilire la redditività e solidità patrimoniale della Banca in un ragionevole orizzonte temporale, partendo da una situazione di notevole difficoltà che ci rende esposti agli impatti di uno scenario macroeconomico particolarmente avverso. Va inoltre specificato che per la prima volta il risultato di uno Stress Test è stato integrato con un esame della qualità degli attivi creditizi e quindi ha ulteriormente aggravato il risultato finale per BMPS. Venendo più specificamente allo svolgimento dello Stress Test, sebbene nello Scenario avverso la BCE abbia modificato le proiezioni di conto economico prospettiche contenute nel Piano di Ristrutturazione della Banca anche per riflettere talune mitigazioni quali (i) i benefici potenzialmente derivanti dall'accesso alle aste settimanali di rifinanziamento della BCE nel periodo 2014-2016 e (ii) l'inclusione nel margine di interesse del c.d. effetto di discount unwinding sulle sofferenze nello stesso periodo, di seguito si riassumono gli elementi che risultano maggiormente sintomatici dell’approccio adottato e con le maggiori conseguenze, tali da determinare quasi interamente il deficit: 1. Rimborso dei NSF. Nello Scenario avverso la BCE non ha considerato gli effetti dell’eventuale mancato rimborso di €750 milioni di aiuti di Stato residui (sul totale di circa €1,1 miliardi), che costituisce una delle possibili misure implicite di contingency incluse nel Piano di Ristrutturazione. L’effetto è estremamente penalizzante perché a fronte di una grave situazione di crisi è ipotizzato che BMPS sia costretta ad effettuare un rimborso che ne indebolirebbe ulteriormente la dotazione patrimoniale. 2. Commissioni. Nel contesto dello Scenario avverso non è stato tenuto conto della trasformazione in corso del modello di business della Banca, maggiormente focalizzato sui ricavi da servizi, appunto le commissioni, che sul margine d’interesse. E’ stato invece applicato un criterio di stress completamente basato sull’utilizzo di dati reddituali basati su medie storiche, che non ha consentito di incorporare le azioni di business previste dal Piano di Ristrutturazione in corso di realizzazione, quali, ad esempio: il passaggio nel settore del credito al consumo dall’intermediazione diretta alla distribuzione di prodotti di terzi (peraltro sulla base di un accordo già in essere), o il contributo ai conti economici futuri riveniente dalla cosiddetta Commissione di Istruttoria Veloce, non presente fino alla fine del 2013 e quindi non inclusa nella metodologia BCE. 3) Cura dei crediti deteriorati. Nell’andamento del credito problematico non è stato consentito di tenere alcun conto degli effetti migliorativi sulla qualità e sul costo del credito derivanti dalle azioni di cura dei crediti deteriorati previste dal Piano di Ristrutturazione, laddove, come detto, il miglioramento della qualità del credito costituisce uno dei punti fondanti del medesimo. Il Consiglio di Amministrazione di BMPS ha avviato l’esame delle potenziali azioni da includere nel Capital Plan che verrà sottoposto all’approvazione delle Autorità di Vigilanza entro i termini previsti dalla normativa. Le conseguenti modifiche del Piano di Ristrutturazione della Banca, già approvato dalla Commissione Europea, saranno subordinate all’approvazione da parte della stessa. In aggiunta a quanto sopra, il Consiglio di Amministrazione della Banca ha altresì nominato UBS e Citigroup quali advisors finanziari della Banca per la strutturazione e l’implementazione delle azioni di mitigazione sopra indicate afferenti al Capital Plan, nonché per valutare tutte le opzioni strategiche a disposizione della Banca". °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://scenarieconomici.it/ ottobre 26, 2014 posted by Jean Sebastien Lucidi Durante il discorso dei famosi mille giorni Renzi affermò in merito agli imminenti stress test (http://scenarieconomici.it/dal-discorso-dei-mille-giorni-emersa-verita-sui-fondi-salva/) ”Sono convinto che negli stress test le banche italiane saranno più forti di altre europee” Bene ad oggi due banche italiane necessitano una ricapitalizzazione di 2.9MLD rispettivamente per la banca toscana di sinistra (2.1mld oltre le attese) e l’altra di (800 mln circa). Ed in misura minore altre sette banche italiane, secondo l’EBA l’autorità bancaria europea, la situazione patrimoniale delle nove banche italiane che non hanno superato gli stress test potrebbe peggiorare in concomitanza con il deterioramento dell’economia nazionale (cosa ovviamente scontata) per un ammontare di 35 mld in termini di capitale, come affermato da Vitor Constancio vice della BCE. In questo scenario non rassicurante per le finanze italiane l’orizzonte che si andrebbe a delineare sarebbe una acquisizione da parte di banche magari tedesche su quelle italiane bocciate dagli stress test, oppure si potrebbe delineare a mio avviso un’ altra operazione “Bella Ciao” ovvero un’ulteriore ricapitalizzazione con soldi pubblici di quelle banche bocciate, analogamente a quanto avvenuto con le rivalutazioni delle quote di Bankitalia da 156 mila euro a 7.5 mld nel gennaio di quest’anno approvate in parlamento dove i parlamentari del PD per festeggiare magari la cosa, hanno cantato appunto Bella Ciao… Il paradosso che la frettolosa rivalutazione delle quote di Bankitalia è stata pianificata proprio al fine di affrontare gli stress test previsti per l’anno corrente, per il fatto che l’istituto di credito nazionale è ormai privatizzato e partecipato da banche private italiane. In sostanza, la situazione patrimoniale delle banche bocciate dai suddetti stress test potrebbe peggiorare come già descritto, con l’andamento negativo dell’economia nazionale. Ed a contribuire a questo trend negativo, potrebbero essere eventuali ”salvataggi” stessi di queste banche con soldi pubblici… Apro una parentesi ricordando che fino al 2008 tutti i debiti pubblici di Spagna, Grecia ed Italia erano in calo, poi hanno iniziato a decollare per i famosi salvataggi al sistema finanziario, additando la colpa del debito pubblico ai mal costumi della popolazione… Forse, il fatto di far parte dell’ eurozona che NON permette le famose nazionalizzazioni degli istituti bancari in crisi non avrà un suo peso non indifferente? Per adesso la cronaca ha mostrato invece che le uniche banche a godere un ottimo stato di salute sono proprio quelle NON appartenenti all’eurozona http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-emercati/2014-10-26/eba-tutte-promosse-banche-extra-eurozona-bene-inglesi-e-svedesi– 132105_PRV.shtml?uuid=ABHiFx6B (mentre quelle dalla zona euro sono 25 le bocciate) magari per il fatto che sussiste il rischio cambio per gli Stati che detengono moneta sovrana, queste non hanno accumulato grosse esposizioni e che comunque hanno a le spalle le loro rispettive banche centrali, oltre a godere di una sana economia non depressa dalle logiche assurde dell’eurozona. Ma la morale dell’euro purtroppo si riassume nella famosa citazione di Ettore Petrolini in Nerone e il Popolo: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. hanno poco, ma sono in tanti. E anche in questo caso, sentiremo le note di Bella Ciao… Ps. Ma la famosa banca tedesca piena di titoli tossici per un ammontare di circa 53 trilioni di euro (20 volte il pil tedesco) non dovrebbe essere bocciata dagli stress test come Pierino agli esami? O quella banca tedesca gode immunità tipo ” Lodo bancario” ? Jean Sebastien S. Lucidi ottobre 26, 2014 posted by Antonio Rinaldi La consulta ribadisce la via che potrebbe far saltare i Trattati. La recente sentenza della corte costituzionale italiana in merito alle azioni di risarcimento a carico del governo tedesco per le stragi compiute nel periodo bellico aprono nuovi scenari sui controlimiti costituzionali ai trattati internazionali. Lucida analisi tecnica interpretativa di Luciano Barra Caracciolo, presidente di sezione del Consiglio di Stato. In molti si sono accorti della sentenza n.238 del 23 ottobre 2014 della Corte costituzionale. Tale sentenza, nella sua parte di accoglimento: 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno); 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. In sostanza, viene rimossa la norma nazionale che rendeva inammissibile, con difetto assoluto di giurisdizione interna, l’esame delle domande di risarcimento, per le stragi delle truppe tedesche in territorio italiano, proposte contro la Repubblica federale tedesca. Tale norma era stata introdotta, dal governo Monti, come recepimento di una norma di diritto internazionale generale (cioè, consuetudinario, ma “emergente” nell’art.94 della Carta ONU), nel senso di ribadire l’immunità degli Stati, per atti jure imperii – quelli imputabili alla sfera pubblicapolitica in cui rientra l’azione militare degli Stati occupanti-, quand’anche risultassero lesivi di diritti fondamentali della persona e costituissero crimini di guerra. La Corte nazionale ha sostanzialmente riaffermato che, nonostante tale immunità sia conforme alla interpretazione fornita dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), ciò non possa essere ritenuto legittimo alla luce dei principi fondamentali inviolabili della nostra Costituzione, che, pertanto, prevalgono e rendono illegittima la norma così introdotta e, in tale parte, la legge di esecuzione. Questo uno dei passaggi più significativi della sentenza: “Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988).” Se quanto così affermato vale rispetto al diritto internazionale generale di cui all’art.10 Cost., a maggior ragione opera come limite al diritto internazionale “da trattato”, ancorché “europeo”, che è fonte di rango inferiore, in Costituzione e nel diritto internazionale, rispetto al d.i. “generale”. L’affermazione è compiuta con una “nettezza” che non lascia equivoci. L’argomento sollevato da questa “forte” presa di posizione della Corte costituzionale, diviene allora ancor più di scottante attualità nella sua proiezione verso le norme europee, secondo l’approccio esaminato su questo post e nel libro “Euro e/o democrazia costituzionale”. Come prima verifica delle sue implicazioni sulla (il)legittimità costituzionale del “vincolo esterno”, il tema verrà affrontato, a Roma, nel convegno del prossimo 8 novembre 2014, promosso da Riscossa Italiana e accreditato presso l’Ordine degli avvocati di Roma (nonché in corso di accreditamento presso l’Ordine dei commercialisti). Il convegno si svolgerà presso l’Aula Magna della Chiesa Valdese, via Marianna Dionigi n.59, dalle 10,00 alle 17,00. Sarà un momento di verifica e di riflessione di grande importanza nel cercare una via costituzionale di salvezza italiana dalla crisi apparentemente irreversibile in cui, obiettivamente, l’ha piombata l’adesione al “disegno europeo”, che si sta rivelando tutt’altro da quello che è stato raccontato agli italiani per decenni. Ecco la locandina del convegno, che si avvarrà del contributo di importanti relatori, tra cui il prof. Antonio M. Rinaldi, i presidenti di Sezione del Consiglio di Stato Salvatore Giacchetti e Luciano Barra Caracciolo, il professor Cesare Pozzi ed il consigliere di Stato Vito Poli (NB: per i non appartenenti agli ordini non occorre prenotazione per attestazione, ma gli stessi possono mandare una mail alla info di Riscossa Italiana indicata nella stessa locandina): °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.rischiocalcolato.it/ Dopo Equitalia, le nostre tasse in Gran Bretagna? Di L'indipendenza 25 ottobre 2014 Grandi cambiamenti attraversano già da qualche tempo il settore della riscossione dei tributi locali. Dopo l’annunciata riforma dello scorso luglio, e avvicinandosi l’ennesima scadenza dell’ultima proroga concessa a Equitalia per l’esclusiva del servizio di riscossione tributi in oltre 4mila comuni, sembra proprio che il destino del colosso che ha turbato i sonni di milioni di italiani sia ormai inevitabilmente segnato. A quanto pare infatti è sempre più vicino l’accordo della Serti spa, “rivale” di Equitalia, con Conset, agenzia inglese che pare sempre più decisa ad acquistare il 40% delle quote della romana Serti. Un business, quello della riscossione tributi in Italia, che sta attirando molti investitori stranieri, perché considerato sicuro e ad ampio margine di rientro, addirittura destinato a subire un’impennata. Già, perché allo scadere della proroga concessa a Equitalia (scadenza prevista per il 31 dicembre 2014), i Comuni e gli altri enti locali si troveranno a dover “scegliere” a quale società affidare l’ingrato compito della riscossione tributi, ovvero, saranno tenuti a bandire una gara d’appalto, alla quale potranno partecipare le principali aziende private che lavorano nel settore e che sono iscritte all’albo dei gestori dell’accertamento e della riscossione dei tributi locali. E tra queste si farà avanti senza dubbio la Serti, che, se tutto va come deve, sarà per dicembre di quest’anno già “gemellata” alla inglese Conset. Con ottime probabilità di aggiudicarsi buona parte delle gare d’appalto. (da www.roadtvitalia.it) Stress Test Europei, Nell’Ennesima Farsa Europea gli Azionisti di Carige e Banco Monte Paschi Saranno Azzerati (di nuovo) 26 ottobre 2014 Partiamo dalla notizia, dal Fatto Quotidiano: Venticinque istituti “rimandati”. Tra cui gli italiani Monte dei Paschi di Siena e Carige. Le “pagelle” della Banca centrale europea sulle 130 maggiori banche dell’area euro sono arrivate, insieme ai risultati degli stress test della European banking authority. E il verdetto non si discosta dalle indiscrezioni degli ultimi giorni. A sorprendere, semmai, è l’ammontare dello sforzo aggiuntivo richiesto alle banche italiane: Montepaschi, ha comunicato la Banca d’Italia, ha bisogno di un ulteriore rafforzamento del capitale da 2,1 miliardi, mentre a Carige servono altri 814 milioni per superare lo scenario avverso degli stress test Bce…… Allora cari azionisti del Monte dei Pacchi e di Carige ci sono due scenari per voi: 1. Quello buono: ovvero una aggregazione/spezzatino forzato che “forse” se avete culo potrebbe pure fare emergere valore e fare salire i prezzi delle vostre azioni, ma non ci scommetterei troppo. 2. Quello devastante (e probabile): ovvero un altro aumento di capitale, oppure una acquisizione a prezzi giustamente stracciati ovvero che tengano conto dell’ulteriore BUCO da coprire. Diciamo che non mi dispiace NON essere fra voi… ecco per usare un eufemismo. Ah a propositi indovinate quale nazione ha più banche scassate…. dal Sole 24 ore Tutti e 25 questi istituti (oltre alle 9!!!! banche italiane, ce ne sono 3 greche, 3 cipriote, 2 slovene, 2 belghe, una ciascuno di Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Austria) dovranno comunque presentare un piano di rientro entro il 10 novembre, nel quale illustreranno gli aumenti di capitale già fatti e altre misure, come dismissioni di attivi e utili non distribuiti, che dovranno essere convalidate dalla Bce. I 13 tuttora inadempienti dovranno inoltre specificare come intendono riportarsi sopra i valori richiesti con operazioni da realizzarsi nei prossimi nove mesi. 814 milioni di euro per Carige significa un aumento di capitale pari a circa il 90% della attuale capitalizzazione di borsa (900mil)….. no cosi’ per dire…. p.s. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.opinione.it/ Un “avvertimento” fin troppo scontato di Claudio Romiti A fronte della surreale legge di stabilità predisposta dal governo Renzi, era più che scontata una decisa presa di posizione dell’Europa, espressa a chiare lettere dal commissario uscente, Barroso. Così come scontata doveva essere, e così è stata, la reazione piccata del nostro spregiudicato Presidente del Consiglio. Una reazione dagli insopportabili toni demagogici, con cui egli vorrebbe spacciare i suoi sempre più evidenti contrasti con la linea rigorista dell’Europa – che non intende finanziare la crescita con altri debiti – per una lotta senza quartiere contro le cattive burocrazie di Bruxelles. Ed è essenzialmente questo l’elemento dirimente, già peraltro emerso alcuni mesi addietro all’atto di insediamento della presidenza italiana dell’Ue, per comprendere la ragione di fondo di tali contrasti, al netto dell’insopportabile propaganda renziana. In estrema sintesi, l’Europa valuta con crescente preoccupazione la linea economica di un Esecutivo il quale, per evidenti scopi elettoralistici, sta mettendo in campo tutta una serie di misure espansive, regalando bonus a destra e a manca, senza aver posto a regime uno straccio di riforma strutturale in grado di riequilibrare nel tempo i nostri disastrati conti pubblici, unico prerequisito, quest’ultimo, per poter transitoriamente sforare i limiti del deficit. Per dirla fuor di metafora, Barroso e soci si sono accorti che l’essenza della politica impostata dall’ex sindaco di Firenze si basa sul raschiare il barile della fiscalità occulta e dei prestiti, onde allargare i confini di quell’insostenibile redistribuzione delle risorse che sta mandando in bancarotta l’Italia. Un Paese, occorre ricordare, in cui la mano pubblica spende circa 11 punti di Pil più della Germania, all’interno di uno scenario dominato dall’assenza di crescita e di galoppante disoccupazione. Dunque, come poteva tacere L’Europa di fronte ad un signorino il quale, con faccia strafottente, si presenta con una manovra dalle coperture ballerine, che in soldoni presuppone di rilanciare lo sviluppo aumentando i costi complessivi del sistema Italia? Una manovra dai contorni molto oscuri, soprattutto dal lato dei tagli alla spesa pubblica, il cui impianto è a mio avviso destinato a portare il bilancio dello Stato ben oltre il già contestato tetto del 2,9 per cento di deficit, determinando i presupposti per un’ennesima fuga dai titoli del nostro colossale debito sovrano. Dopodiché Renzi e il successore di Barroso dovranno per forza di cose rivedersi a Filippi. Il Comitato Helsinki per i diritti umani di Domenico Letizia Tra la diffusione e la creazione di varie Organizzazioni Non Governative, la creazione dei “Comitati Helsinki” in tutta Europa, Usa, Russia e Asia Centrale ha ribadito storicamente la necessità e la prioritaria tutela dei diritti umani in tutto il globo. Il Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani fu fondato a Roma nel 1987, su suggerimento del Presidente dell’allora IHF International Helsinki Federation -, Karl von Schwarzenberg. Tra i fondatori e i primi aderenti vi furono: Ennio de Giorgi, Sergio Mercanzin, Antonio Stango, Francesco Rutelli, Paolo Ungari, Carlo Ripa di Meana e Jiri Pelikan. Il Comitato Italiano da allora svolge analisi, dibattiti, campagne d’informazione, ricognizioni in zone dove la democrazia risulta precaria e poco sviluppata, promuove iniziative parlamentari, contribuisce all’osservazione di processi sociali, al monitoraggio di elezioni, redige rapporti e li diffonde. Come altri Comitati Helsinki, esercita un’attenta azione di lobbying per i diritti umani presso istanze statali e internazionali, sostiene l’istituzione e il funzionamento della Corte Penale Internazionale nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite e l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. I suoi membri partecipano frequentemente all’annuale “Human Dimension Impleamentation Meeting” dell’Osce a Varsavia, al Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra, ad incontri al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa. Nelle sue attività, il Comitato collabora con numerose istituzioni e con altre organizzazioni non governative, fra le quali la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, Nessuno Tocchi Caino, e Amnesty International. L’attuale Segretario del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani è il politologo, attivista ed editorie, nonché membro di segreteria del Partito Radicale Nonviolento transnazionale e transpartito, Antonio Stango. Molte le campagne portate avanti nel corso di questi ultimi anni come il Primo Simposio Nazionale sull’etica dei trapianti, durante il quale si è denunciata la pratica di abuso e vendita di organi umani da parte delle istituzioni cinesi nei confronti sia dei detenuti che delle minoranze etniche e religiose, la Conferenza Internazionale sul tema “Protezione della popolazione civile nei conflitti armati”, durante la quale si è ricordato il massacro della città di Khojaly, nella regione del Nagorno Karabakh, ove nel 1992 si perpetuò un massacro della popolazione civile azerbaigiana ad opera delle forze armate dell’Armenia, il convegno “Dalla guerra fredda alla ridefinizione dell’Europa” tenutosi a Sacile il 14 ottobre durante il quale si è analizzato l’attuale situazione Ucraina come conseguenza di quel processo storico che risponde all’aspirazione di tanti Ucraini a guardare al modello Europeo come riferimento del proprio futuro economico, politico e sociale. Il Comitato intende, inoltre, contribuire allo studio delle violazioni dei diritti umani commesse, sistematicamente, con statistiche allarmanti, dalla criminalità organizzata e pianificata a livello internazionale, come nel caso del traffico di persone e della riduzione in schiavitù. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.loccidentale.it/ Primavera demografica Perché all'Italia serve un "Family Act" di Bernardino Ferrero 26 Ottobre 2014 Se, come sembra, nei prossimi decenni l'Europa dovesse rassegnarsi al binomio bassa crescita/bassa natalità, per le classi dirigenti continentali diventa allora strategico favorire in tutti i modi politiche che esaltino il ruolo e la funzione della famiglia tradizionale nella nostra società. Non perché si voglia impedire altri tipi di convivenze, a cui pure vanno riconosciute delle tutele, ma perché il trend a cui bisogna opporsi con tutte le forze è il declino della fertilità, della generazione, in una parola della vita. Lo scenario globale indica purtroppo che molte nazioni, interi continenti, rischiano di suicidarsi proprio perché le famiglie non fanno più figli. Oggi 1/4 dei giapponesi ha più di 65 anni, mentre gli under 14 sono il 13 per cento della popolazione. In Russia, nel 2013 il numero dei bambini abortiti ha superato la cifra dei nati; secondo L'Onu la Federazione entro la fine del secolo potrebbe piombare da 90 a 20 milioni di persone. Negli Stati Uniti degli anni '50 c'erano 16 lavoratori per ogni pensionato, oggi ce ne sono 3. La denatalità è un fenomeno grave che va affrontato con buonsenso perché sta avendo e avrà effetti sempre più dirompenti sul welfare (dai bambini alle madri ai nonni). Sgravi fiscali e bonus per i figli sono un primo e importante passo in avanti, che il Nuovo Centrodestra può rivendicare con orgoglio. Ma occorre fare uno sforzo in più: un "family act" che mobiliti le coscienze e riconosca alle tante mamme e papà del nostro Paese il ruolo insostituibile che hanno nel progresso della nazione. Con gli occhi chiusi Il divorzio tra sinistra e lavoro (in sette emendamenti) di Joe Galt 24 Settembre 2014 Storicamente la sinistra si e' sempre fatta vanto di comprendere i cambiamenti del mondo del lavoro, la mutazione dei modi di produzione, del tempo di lavoro, delle sue mansioni, eccetera eccetera. Ma leggendo le anticipazioni sugli emendamenti presentati ieri dalla minoranza del Pd l'impressione e' che si tratti, appunto, di vanterie e che non si riesca a comprendere la potente rivoluzione sistemica generata dalla globalizzazione. Lasciamo stare la vicenda dell'articolo 18, che a quanto pare può essere superato ma solo per i primi tre anni e già questo basterebbe a dare la cifra dello stato confusionale in cui versano gli oppositori di Renzi. Ma come si fa a giudicare il contratto a tempo indeterminato "la forma privilegiata del contratto di lavoro" nel triennio quando si sono già liberalizzati i contratti a termine? Va bene disboscare la contrattualistica ma si può davvero ritenere che in futuro le persone nella loro vita faranno un solo lavoro, sempre lo stesso ed immutabile? Vi sembra che così va il mondo? Perché mettere dei paletti ai cambi di mansione nelle imprese visto che il lavoro anche sotto la spinta della innovazione tecnologica si modifica continuamente? Perché non puntare con più coraggio sul telelavoro, si pensi ai nuovi lavori del web? Perché "contenere" quello stagionale? E infine perché tutto questo andrebbe subordinato al discorso sugli ammortizzatori, 4 miliardi di euro secondo Stefano Fassina? Il guaio di certa sinistra non e' solo e tanto il fatto di ricadere in vecchie logiche ideologiche. L'impressione, ben più grave, e' che ormai alla sinistra manchi del tutto la capacità politica di comprendere la dialettica tra capitale, lavoro, reddito, patrimoni, e così via. E a questo punto viene da chiedersi se dopo gli anni Settanta quella capacità ci sia mai stata o invece, come dire, si sia preferito vivere di rendita. Ultimi giapponesi in un mondo che si trasformava e che non ha più smesso di farlo. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.linkiesta.it/ 26/10/2014 Tutti pazzi per le sofferenze bancarie Il mercato delle sofferenze continua ad aumentare e per i fondi è il momento migliore per comprare Fabio Bolognini Tratto da "Linkerblog.biz" Sono tra le poche cose che in Italia stanno crescendo a ritmi superiori al 20%, sono le sofferenze delle banche italiane cresciute in pochi anni da 40 miliardi a 200. fonte: Pwc Una montagna di crediti con scarsa probabilità di recupero integrale diventata l’oggetto del desiderio di investitori esteri specializzati nei cosiddetti Npl (Non Performing Loans). Li osservano, li vedono crescere mese dopo mese (anche in agosto al tasso del 20,5%), li valutano e sanno che le banche italiane prima o poi dovranno disfarsene per ripulire i bilanci. I fondi esteri stanno solo aspettando che le valutazioni tra chi compra e chi vende si avvicinino, perché sino ad oggi la distanza eccessiva tra i valori netti scritti dalle banche (dedotto quel 40-55% di rettifiche) e i prezzi offerti dal mercato era troppo ampia. Un movimento in atto come scriveva anche Prometeia in questo ottimo articolo del luglio scorso. fonte: Pwc Se fossero stati applicati i prezzi di mercato le banche avrebbero subito eccessive minusvalenze nei bilanci. Questa è quasi certamente la vera ragione che ha impedito la volontà comune di creare una bad bank italiana, sulle orme della Sareb spagnola: le banche non potevano sopportare altre perdite, alcune banche avrebbero perso troppo capitale. E proprio l’ipotesi di una bad bank, tornata di moda recentemente per le aspettative sull’esito degli stress test, è lo spauracchio degli acquirenti di Npl, che si vedrebbero sottrarre di colpo un ghiotto pasto a cui si stanno preparando da tempo. Perché il mercato delle sofferenze è così attraente per gli investitori? Prima di tutto perché è gigantesco, poi perché questo potrebbe essere il momento migliore per comprare, prima che la ripresa cominci e che risalgano le percentuali di recupero dai debitori, oggi alquanto modeste. Perciò non stupitevi di leggere che Fortress abbia dichiarato recentemente di volere fare grandi investimenti in Italia, che lo specialista dell’immobiliare Reag abbia annunciato l’entrata nel mercato Npl, o che il fondo Tages con Fonspa stia facendo di tutto e di più pur di mettere le mani sui 3-4 miliardi di sofferenze esplose nel bilancio di Banca Marche. Poi c’è anche Saviotti attende di rimettere sul mercato Release, la società che contiene tutti i disastri di Italease e Unicredit che ha messo in vendita la sua bad bank, Uccmb disputata tra cordate di fondi esteri a prezzi che per ora non sono stati sufficienti a prendere una decisione. Ma la lista è molto più lunga e i valori in gioco importanti. La corsa alle sofferenze italiane era già stata segnalata nel 2013 dagli specialisti, e a luglio da un articolo di Bloomberg Businessweek. Le operazioni stanno cominciando, probabilmente a partire da portafogli selezionati con maggiori garanzie e più elevata probabilità di recupero. fonte: Pwc La fabbrica delle sofferenze continua a sfornarne ogni mese, che sia colpa degli imprenditori poco abili o delle banche che li hanno fatti indebitare e poi non hanno saputo frenare il tracollo poco importa. La situazione del sistema bancario italiano è spaventosa, anche a confronto con il resto d’Europa e alcune banche si segnalano per una posizione estremamente vulnerabile, come mostrano questi grafici contenuti del rapporto di pwc sul mercato Npl italiano: fonte: Pwc Tutte le banche italiane, ad eccezione del virtuoso Credem hanno capitalizzazioni di borsa inferiori al valore contabile di libro, e la pattuglia tricolore si segnala per valore molto elevati di crediti deteriorati sul patrimonio tangibile a fine 2013, con la gravissima posizione di Mps in evidenza. fonte: Pwc Ma di sofferenze sono imbottite anche le banche di seconda fila e questo grafico mostra la grande differenza di banche pluri-regionali tra l’eccellente Credem, Banca Marche, Carige e Banca Etruria notoriamente in difficoltà e le due principali venete. Perciò i fondi aspettano soddisfazioni anche in provincia, visitando e rivisitando i Cfo delle banche e facendo offerte che non avranno mai pubblicità né sui prezzi preventivati né su quelli concordati. Forse la combinazione di un’altra tornata di alte rettifiche e la fine della recessione potranno aiutare a fare esplodere sul serio questo anomalo e triste mercato. 24/10/2014 I Madoff italiani, è record di frodi finanziarie Con la crisi crescono le frodi contabili e fiscali. E il truffatore tipo è un top manager Francesco Cancellato INDICE ARTICOLO 1. 2. 3. 4. 5. 6. Con la crisi le frodi aumentano, soprattutto in Italia In Italia, però, sono segnalate meno frodi che altrove Controlli e segnalazioni sono in aumento La corruzione rimane sottostimata La frode regina? L’appropriazione indebita Crescono, e tanto, le frodi contabili e fiscali 7. Ma più di tutti cresce il cybercrime 8. Vuoi prevenire una frode? Controlla i dipedenti… 9. …ma soprattutto, stai attento ai piani alti 10. Forse hai subito una frode, ma ancora non lo sai A volte diventano casi da prima pagina, come quello di Gianfranco Lande, ribattezzato dai giornali il “Madoff dei Parioli”, condannato in primo grado per aver truffato trecento protagonisti della Roma bene, tra chirurghi, parlamentari, armatori, registi e attori. Spesso, tuttavia, i casi di frode economico-finanziaria non guadagnano nemmeno l’onore di una riga. Eppure, sono un problema molto serio. Sia per chi ne è la vittima. Sia, non va dimenticato, perché la disonestà e l’impunità sono il miglior deterrente per chi vuole investire nel nostro paese. La questione delle frodi economico-finanziarie perpetrate ai danni delle imprese – frodi aziendali, se preferite – è cruciale, in quest’ottica ed è sempre più al centro dell’attenzione di realtà istituzionali come la Banca d’Italia o l’Olaf (l’ufficio anti frodi dell’Unione Europea), così come di realtà di consulenza private come Kroll o come Pwc, che ha recentemente dato alle stampe l’edizione 2014 di un report sul tema, frutto di cinquemila interviste a imprese di tutto il mondo, Italia compresa. Dei tanti spunti che questa indagine offre, ne abbiamo estratto i dieci più significativi. Con la crisi le frodi aumentano, soprattutto in Italia Per quanto può apparire ovvio, è interessante notare come esista una correlazione piuttosto evidente tra frodi e congiuntura. L’indagine di Pwc riporta infatti una crescita globale del fenomeno pari al 3% in più rispetto all’anno precedente. Nell’Europa occidentale in stagnazione, questa percentuale aumenta sino ad arrivare al 5%. Nell’Italia in recessione, infine, aumenta del 6%. Senza voler fare sociologia spicciola, è facile che nelle difficoltà e nell’insicurezza, a qualcuno possa venir voglia di approfittarne. In Italia, però, sono segnalate meno frodi che altrove Nel 2014, in Italia, quasi un’impresa su quattro tra quelle intervistate da Pwc ha dichiarato di essere stata vittima di almeno una frode economico-finanziaria nel corso dell’anno. Il 23%, per la precisione. Un numero altissimo, peraltro in forte crescita. Un numero che, tuttavia, è ancora molto basso rispetto alla media dell’Europa occidentale, che arriva a toccare il 30% e di quella mondiale (34%). Questo non vuol dire che in Italia siamo più onesti che altrove, visto che da noi l’economia illegale vale più dell’11% del Pil, percentuale che in Europa non ha eguali, o quasi. Cosa allora? Forse, i nostri truffatori preferiscono rivolgere altrove la loro attenzione. O forse le nostre imprese non hanno sistemi di sicurezza interni alle imprese adeguati per scoprirli. Controlli e segnalazioni sono in aumento Non disperiamo, tuttavia: insieme alle truffe e alle frodi, sta aumentando anche la consapevolezza del fenomeno. Un’azienda italiana su due, vittima di frodi economico-finanziarie, ha dichiarato infatti che la frode è stata intercettata grazie al sistema di controllo interno. Nel 15% dei casi, in particolare, grazie ad un’attività preventiva di fraud risk management. Anche l’ultimo rapporto dell’unità d’informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia rileva come le segnalazioni di frodi, corruzione e riciclaggio siano aumentate dalle 21.066 del 2009 alle 64.601 del 2013. La corruzione rimane sottostimata Tra tutte le tipologie di frodi segnalate in Italia, stupisce che la corruzione sia in fondo alla classifica. Solo il 13% delle imprese intervistate che hanno subito frodi, infatti, ha dichiarato di essere stata parte lesa, nell’ultimo anno, di un episodio di corruzione. Strano, per il paese che secondo il Corruption Perception Index di Transparency International è la maglia nera dell’Europa occidentale, 69esimo su 177 paesi di tutto il mondo, sopravanzato da realtà come Namibia e Botswana. È possibile, ad esempio, che negli Stati Uniti d’America vi siano più casi di corruzione che da noi? Un simile risultato potrebbe figlio della scarsa disponibilità delle aziende rispondenti a denunciare episodi di corruzione. Oppure, ancora, per la difficoltà di individuare tale tipologia di frode, poiché in diversi casi la corruzione si nasconde dietro l’erogazione di doni e di omaggi. O, infine, perché è nascosta da un’altra, precedente, frode, come ad esempio, le fatturazioni fittizie finalizzate alla creazione di fondi neri destinati alla corruzione. La frode regina? L’appropriazione indebita Nel 65% dei casi, la frode economico-finanziaria che subisce un’impresa è quella di appropriazione indebita. Esempio classico: un dipendente che riscuote somme di denaro per conto dell’impresa e se le tiene per sé. Una classica frode da impresa manifatturiera o commerciale, per di più tipica delle piccole realtà che non hanno processi standardizzati e certificati, né meccanismi di controllo interno. In quest’ambito, peraltro, tutto il mondo è paese. Crescono, e tanto, le frodi contabili e fiscali Ciò che preoccupa, semmai, è la crescita tutta italiana delle frodi contabili e fiscali, cresciute in Italia rispettivamente del 22% e del 13% rispetto al 2011. Anche in questo caso, c’entra molto la crisi. Non solo perché aumenta la tentazione di spedire i capitali nei paradisi fiscali, per sfuggire alle maglie del fisco. Spesso, infatti, accade l’opposto: più precisamente, che le aziende decidano di alterare i bilanci per ottenere finanziamenti dalle banche, rating migliori da parte di agenzie internazionali che possono condizionare l’andamento del titolo azionario. O anche, molto banalmente, per permettere ai manager dell’azienda di incamerare premi e bonus. Ma più di tutti cresce il cybercrime Alla faccia del digital divide, del ritardo tecnologico, la tipologia di frodi più in crescita in Italia, così come nel mondo, è quella dei cybercrime. In Italia, con il 22% sul totale, le frodi informatiche rappresentano la seconda categoria di frode più frequentemente dichiarata, in forte aumento rispetto al 2011 (+19%). Peraltro, come racconta il report di Pwc «è pure probabile che il fenomeno sia sottostimato in quanto meno facilmente individuabile da parte delle aziende o talvolta non volutamente condiviso, ad esempio in caso di violazioni nell’accesso a dati riservati». Dai bancomat alle carte di credito, dall’eCommerce ai profili online violati, non è difficile immaginare che la questione diventerà sempre più cruciale, nel prossimo futuro. Vuoi prevenire una frode? Controlla i dipedenti… Chi è che truffa le aziende? Solitamente è qualcuno che lavora nell’impresa. Il 61% degli intervistati che hanno subito frodi, perlomeno, si sono resi conto che il truffatore era uno cui pagavano regolarmente lo stipendio. Questo non vuol dire che l’unico fuoco di cui preoccuparsi sia quello amico, però: in quattro casi su dieci il fraudster – così si chiama in inglese – è esterno all’impresa e due volte su tre è un cliente della stessa. In calo, invece, le truffe da ex dipendenti o concorrenti. …ma soprattutto, stai attento ai piani alti Maschio, tra i 41 e i 50 anni, laureato, senior manager, in servizio nell’azienda da più di 10 anni: è lui, secondo l’indagine di Pwc il frodatore tipo delle aziende italiane, quello cui ogni imprenditore dovrebbe con un po’ di diffidenza. Questo perché, banalmente, non è la fame a spingere alla frode, quanto la competenza. Ciò che spinge un manager a perpetrare i crimini economici è infatti riconducibile all’opportunità di portare avanti l’evento fraudolento senza essere scoperto. Chi meglio di un top manager conosce i meccanismi di controllo interno, del resto? Chi più di lui, sa come far sparire le prove della sua frode? Forse hai subito una frode, ma ancora non lo sai Il vero ritardo italiano, rispetto al resto del mondo occidentale, sta soprattutto nell’attività di smascheramento, controllo e prevenzione delle frodi. Solo un’impresa italiana su cinque attua azioni di monitoraggio periodico per scovare le transazioni sospette, laddove nell’Europa occidentale la media è di un’impresa ogni tre. Il problema è serio: in media, una frode su due è smascherata attraverso strumenti di controllo interno. Questo significa che, se un’impresa non ne ha, ha una possibilità su due che in questo preciso momento una frode gli stia passando sotto il naso senza che lo sappia. Il mondo degli schiavi invisibili Blog post del 2/10/2014 Parole chiave: La schiavitù moderna continua ad esistere e a contare un popolo di milioni di persone, escluse dai sistemi dell'economia formale, intrappolati in un'invisibilità sconcertante. Frutto di un modello commerciale che esternalizza i costi, a beneficio del prezzo finale, pagato dalle società ricche, la schiavitù è il pianto di una società iniqua. In versione inglese, riprodotto dal portale accademico, The Conversation, un'inchiesta sul mondo del "human trafficking", oggi. By Terence Tse & Mark Esposito When Indra Nooyi, chairman and CEO of PepsiCo, was speaking at the World Economic Forum in Davos in January this year, she called on business leaders and industry captains to change the dialogue from “what we do with the money we make” to “how we make the money”. The idea was that companies can run in an ethical way and be profitable at the same time. Even better, we think, if companies tightly focus their energies to concentrate on areas where genuine change can be made. This may sound like old wine packaged in a new bottle – after all, many organisations have been practising corporate social responsibility (CSR) for a long time, with very little real impact. This is not that surprising. Such efforts are often a response to external pressure and are designed to enhance a company’s reputation, rather than re-orient a firm to make social benefits a part of business decisions. The CSR departments get a budget, but it is not being put to good enough use. Businesses that truly care about wider society should be taking aim at particular examples of social injustice and using their corporate muscle to eradicate it. Sadly, there is a lot of social injustice to choose from. Here, we would like to pinpoint one of the biggest ones: human trafficking and forced labour. Most of us associate trafficking with human trafficking for sexual exploitation. Yet, according to the latest UN report, there is more forced labour than any other form of human exploitation in Africa, the Middle East, South and East Asia as well as the Pacific. Out of sight Human trafficking is an issue that we don’t see and therefore it is remote to many of us – so far removed from our daily lives that we are mostly unconcerned with it. Nevertheless, we are all implicated. We all have mobile phones that contain an ingredient called coltan. Coltan is only available from mines in Democratic Republic of the Congo rife with slavery and child labour. While we may be surprised to read this, there is a good chance that products that fill our shops in the developed world are the result of forced labou Human trafficking happens everywhere, even in supposedly well-developed countries. Take, for example, Singapore. The US State Department points out that many foreign workers in the country have assumed debt associated with their employment to the recruitment agencies, making them vulnerable to forced labour, including debt bondage. There were also reports of confiscation of passports, restrictions on their movement, illegal withholding of their pay, threats of forced repatriation without pay as well as physical abuse. Certainly, NGOs have called for tougher penalties against errant companies and governments. However, legislation against human trafficking still varies widely from country to country. In addition, many politicians may prefer to look away from the issue, fearing that they would upset businesses. Indeed, even when the political will exists, NGOs and governments are often unable to turn it into action. Therefore, we would urge companies and consumers alike to take the initiative themselves. Taking responsibility The financial crisis has shown us that our brand of shareholder capitalism can be detrimental to our societies. Of course, the argument runs that businesses pay a lot of taxes, keep people employed and make new investments; companies are already making significant contributions to society. However, this view effectively assumes that anything that is outside the scope of the firm is not the firm’s responsibility. Companies cannot, and should not, be responsible for taking care of society as a whole, but they should do their utmost to eliminate and prevent social harms and problems linked to their activities. Sadly, while many firms have been addressing human trafficking, many more have not. The Rana Plaza Tragedy in Savar, Bangladesh in May 2013 provided a tragic illustration of the problem. The products for many world-famous brands were manufactured under the roof of the collapsed factory. One would imagine that that these companies would have sufficient processes in place to preclude labour exploitation. Yet, in addition to being paid only €38 a month, labourers had to work in dire conditions. Poverty drove them into situations where they couldn’t say “no” for fear of losing their jobs. Young people and children effectively work in forced labour conditions – these young “helpers” earned 12 cents an hour, while “junior operators” took home 22 cents an hour or $10.56 a week and senior sewers received 24 cents an hour or $12.48 a week. Perhaps more incredibly, it was reported that at least one famous brand was unsure whether or not its products were made there. Companies may pride themselves on their ability to manage complex supply chains and outsourcing. However, very often, they lack the necessary processes and routines to check whether their contractors are exploiting labour. Consumer power Responsible companies would be asking what steps they are taking to ensure that their entire supply chain is free from unfair and unethical labour practises, especially those outsourced abroad. But it is an open question of how far brands go to monitor suppliers and whether they take full responsibility for the conditions in which those employed by third-party contractors are working? This needs to be discussed publicly. Otherwise, companies that believe they are working for the good of society may have inadvertently supported some forms of exploitation in distant parts of their value chains. And of course, we, as consumers, should start to question our ceaseless demand for dirt cheap products. We are feeding companies’ drive to source as cheaply as possible. The extra pound, dollar or euro in our pocket could easily come at the expense of someone’s suffering, or as the disaster in Savar shows, someone’s life. Human trafficking of any sort, and not just forced labour, is modern-day slavery. We should not allow it to perpetuate any further. A good first step is to not shut up about it. Speak up. Because in the end, we, companies and consumers alike, are responsible for everything we do – and everything we don’t. This article was co-authored with Eunice Olsen, founder and chief executive officer of WomenTalkTV.asia, a portal for video interviews about empowered women from all over Asia. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.liberoquotidiano.it/ Banche alla frutta Stress test: la Bce boccia Monte dei Paschi e Carige 26 ottobre 2014 Ricordate i 3,9 miliardi di Monti-bond con cui nel dicembre 2012 il governo Monti salvo la banca Monte dei Paschi dalla chiusura. Ecco, dimenticateli. Perchè a distanza di meno di due anni da quella operazione, oggi l'istituto di credito senese, nota cassaforte del Pd e "braccio bancario£ del maggior partito della sinistra italiana, è stato bocciato dalla banca centrale europea. Una delle 25 che non hanno superato gli stress test della Bce sulla base dei bilanci 2013. Di queste, nove sono italiane: oltre a Montepaschi, Carige, Creval, Banco Popolare, Popolare di Milano, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Veneto Banca. Cinque tuttavia hanno già realizzato operazioni di rafforzamento patrimoniale nel corso del 2014, e la Bce lo segnala. Restano carenti di patrimonio, per gli elenchi Bce, dunque Montepaschi, Carige Bpm e Pop. Vicenza: queste ultime due, a loro volta, hanno realizzato sempre nel 2014 altre operazioni computate dalla Banca d’Italia come rafforzamento patrimoniale. Di conseguenza, alla fine sono solo due le banche italiane con deficit patrimoniale: Montepaschi per 2,111 miliardi (che scende a 1,35 al netto dei Monti bond) e Carige per 814 milioni. Ci si può chiedere, dunque, che fine hanno fatto quei 3,9 miliardi di euro che appena due anni fa il governo travasò nella banca che fu di Mussari. Anche perchè, allora, le polemiche furono asprissime. Proprio nello stesso periodo del salvataggio di Mps il governo Monti rimise l'Imu, la tassa sulla casa, con cui portò via dalle tasche degli italiani circa 4 miliardi di euro. E furono in molti a vedere nelle due operazioni più che un legame, coi soldi degli italiani pagati per l'Imu finiti nella banda del Pd. Catasto, ecco le classificazioni dell'Agenzia delle Entrate 24 ottobre 2014 Le mani dell'Agenzia delle Entrate sulle case degli italiani. Con le statistiche catastali 2013, l’Agenzia delle Entrate ha cambiato la classificazione di buona parte delle abitazioni dei centri storici delle principali città italiane. Case con quotazioni stellari, che però per ragioni storiche erano state iscritte al catasto con la categoria A4 (popolari) o addirittura A5 (ultrapopolari), vale a dire, nel secondo caso, “unità immobiliari appartenenti a fabbricati con caratteristiche costruttive e di rifiniture di bassissimo livello, di norma non dotate di servizi igienico- sanitari esclusivi”. In realtà, come ha rilevato l'Agenzia in molte di queste abitazioni c'erano accessori di lusso ben lontani dall'idea di una casa popolare. Le nuove rendite - Al 31 dicembre 2013, comunica l’Agenzia delle Entrate, lo stock di case popolari è calato dello 0,8 per cento rispetto all’anno precedente ma soprattutto quello delle case ultrapopolari è calato del 5,8 per cento. In forte calo anche le case rurali, diminuite in un anno del 5 per cento, forse anche perché molte erano state classificate in questo modo diversi decenni fa, prima dell’allargamento dei centri abitati, che ha trasformato molte zone di campagna in quartieri periferici. Segno meno anche per due categorie di abitazioni pregiate, A8 (sono le ville, meno 0,2 per cento) e A9 (palazzi, meno 0,9 per cento), due categorie che raggruppano un numero molto limitato di immobili, la somma non arriva a 40.000: il calo riflette probabilmente un cambiamento di destinazione d’uso o magari un frazionamento dell’immobile. Cosa cambia - Le categorie che invece crescono sono A1, A2 e A3, rispettivamente abitazioni civili, signorili ed economiche, nelle cui fila sono entrate sicuramente centinaia di migliaia di ex case ultrapopolari. In aumento anche i villini (categoria A7, più 1,4 per cento) e le abitazioni tipiche (per esempio trulli o rifugi di montagna). Giorni di tensione Manovra, lettera dell'Ue all'Italia. Lo scontro tra Barroso e Merkel, Renzi ha rischiato grosso 23 ottobre 2014 Per qualche giorno l'Italia e Matteo Renzi hanno rischiato grosso, grossissimo. Tutta colpa di José Manuel Barroso, il presidente uscente della Commissione Ue che avrebbe premuto per mandare una lettera durissima a Palazzo Chigi, una stroncatura definitiva sulla manovra del governo italiano. Tutto questo a soli 8 giorni dalla fine del suo mandato e, come suggerivano già qualche settimana fa fonti vicine allo stesso Renzi, per lanciare la propria carriera politica in Portogallo. Barroso era stato il falco rigorista che aveva fatto pagare alla "sua" Lisbona i danni della crisi sotto forma di politiche di austerity rigidissime, logico che ripresentarsi ai propri connazionali come colui che "l'ha fatta passare liscia" agli italiani non sarebbe stato un gran biglietto da visita. Secondo Repubblica era già tutto pronto: una serie di richieste tremende al governo Renzi che andavano dal "chiarimento" sulle coperture della finanziaria da 36 miliardi al diktat di tagliare il deficit dello 0,5% nel 2015 (cioè 8 miliardi) fino al rifiuto di riconoscere all'Italia le "attenuanti" delle circostanze eccezionali (recessione, deflazione, riforme in via di attuazione) che avrebbero allargato le maglie del rigore, rifiuto che avrebbe portato all'obbligo di pareggio di bilancio nel 2015 (invece dello slittamento al 2017 già annunciato da Palazzo Chigi). Condizioni inattuabili per l'Italia (che il 29 ottobre si sarebbe di fatto vista bocciare la legge di stabilità da Bruxelles) e un disastro per la stessa Eurozona. E qui entra in scena Angela Merkel. L'acerrima nemica delle politiche "allegre" di Roma e non solo sarebbe intervenuta per stoppare Barroso, in tandem con il commissario Jyrki Katainen e il presidente in pectore Jean-Claude Juncker: troppo alto il rischio che una bocciatura dell'Italia facesse crollare le speranze di ripresa di tutta l'Unione, riavviando il circolo infernale dello spread e facendo crollare le economie non solo dell'area del Mediterraneo e dei cosiddetti Pigs. Anche per questo il prossimo presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy si è adoperato affinché al posto di una lettera di richiamo ufficiale fosse inviata a Renzi un "primo richiamo", un appunto meno "cogente" alle politiche italiane, una semplice richiesta di dettagli sulla manovra. Certo, da qui a immaginare che l'Europa da matrigna diventi madre benevola per l'Italia ce ne passa: lo stesso Juncker ha assicurato il giorno del suo insediamento che l'unica via per la salvezza è il rigore, altro che deficit e debito. Il risultato è che la "grazia" concessa da Bruxelles obbligherà il governo italiano a usare parte di quei 3,4 miliardi di tesoretto messo da parte per aumentare il taglio del deficit allo 0,35% al posto dell'attuale 0,1, ma comunque meno dello 0,6 che avrebbe voluto imporre Barroso. Se la Merkel avrà salvato noi o solo Berlino, però, lo scopriremo tra qualche mese. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°° http://www.lastampa.it/ “Stress test” per saggiare la resistenza delle banche europee alle crisi future Alle 12 il verdetto, mercati finanziari col fiato sospeso luigi grassia Gli «stress test» delle banche che in questi giorni tengono col fiato sospeso l’economia europea sono una verifica dell’adeguatezza del capitale degli istituti, non solo in relazione alla situazione attuale ma anche in vista di possibili crisi future: cioè servono a valutare la capacità delle banche di subire «stress» come ad esempio la crisi finanziaria del 2011. Ne sono già stati fatti in passato, adesso vengono replicati perché la Bce sta per assumere la supervisione di una buona parte delle banche dell’Eurozona. Nella tornata precedente gli stress test furono all’acqua di rose e questo sollevò polemiche (a che serve farli così?); stavolta dovrebbero essere più severi, anche se non c’è molto da aspettarsi perché è verosimile che le autorità di vigilanza abbiano timore di scatenare, con giudizi troppo severi, proprio quel terror panico sui mercati finanziari che invece gli stress test si prefiggono di prevenire e di evitare. È verosimile che nel dubbio non si calchi la mano neanche stavolta. Potrebbe essere significativo il fatto che le azioni delle due banche italiane che (secondo indiscrezioni) riceveranno una pagella negativa, cioè Mps e Carige, venerdì hanno goduto di un boom in Borsa. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilgiornale.it/ Bazoli: «Possibili fusioni tra banche» Per il presidente di Intesa è la sorte per «chi fallisce l'esame Bce». Comunicati agli istituti i verdetti pubblici da domenica Massimo Restelli - Ven, 24/10/2014 Otto anni dopo le grande fusioni da cui nacquero i tre campioni del credito nazionale (Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mps), le prove di incastro tra le banche italiane stanno per ripartire. A dare il fischio (politico) d'inizio al nuovo consolidamento del settore è stato il presidente di Intesa Giovanni Bazoli, rimandando al verdetto degli stress test atteso domenica: da ieri sera le pagelle di Eba e Bce sono nelle mani dei singoli gruppi. Ca de' Sass guarda al responso europeo in modo «positivo. È probabile», tuttavia, che altre banche siano in «situazioni meno favorevoli, in conseguenza delle quali le aggregaziono sono una delle cose possibili», ha sottolineato Bazoli. Il tono, complice la consegna del silenzio imposto da Mario Draghi, è circostanziato ma di certo non sarà facile per i gruppi a corto di patrimonio chiedere al mercato altro denaro se non come contorno a una fusione industriale. L'alternativa è procedere con le cessioni. Da qui l'atteso riassetto del settore. Da un lato si è legittimo considerare Intesa, Unicredit, Popolare Milano, Ubi Banca e Bper tra i soggetti aggreganti; dall'altro Carige, Mps come potenziali prede insieme ad altri istituti minori come Creval o Veneto Banca. L'assetto finale dipende però da quanto sarà salato lo scontrino presentato dall'Eurotower, ricorda un banchiere al Giornale, sottolineando che difficilmente ci sarà un take over su Mps visto che «la Toscana è la terra di Renzi». Quanto a Genova, se l'ad Piero Montani è riuscito a limitare i danni allora potrà restare da sola o unirsi a una popolare radicata nelle provincie attigue alla Liguria: come Bpm, Bper o Ubi, considerate dagli analisti in grado di sopportare uno sforzo fino a 4-500 milioni. In caso contrario, Carige sarebbe alla portata solo di un grande istituto estero come Cariparma-Credit Agricole o Bnl Bnp Paribas. Il Banco Popolare potrebbe invece guardare alla Lombardia o al trevigiano, dove ha sede Veneto Banca, ma molto difficilmente per Verona ci sarà spazio per andare oltre a operazioni mirate. Non dovrebbero invece muovere in Italia nè Intesa nè Unicredit, perché entrambe si esporrebbero a problemi Antitrust. Piuttosto, nel mondo del credito, si pensa che la banca di Federico Ghizzoni (che ieri si è detto «tranquillo» sugli esami europei) possa cogliere l'occasione per rafforzarsi in Germania, assecondando così la propria anima tedesca: alcuni analisti pensano che Deutsche Bank, complice il peso delle cause legali, supererà gli esami Bce sul filo del rasoio. L'ad di Intesa Carlo Messina ha invece già detto di guardare con interesse al private banking e al risparmio gestito. Dove Ca de Sass è alla ricerca di una soluzione per Eurizon dopo che Unicredit ha unito i fondi Pioneer con quelli degli spagnoli del Santander. Le visite degli advisor nelle stanze dei bottoni aumenteranno, con l'esito finale di distinguere, sia nel credito al consumo sia nei fondi, chi produce da chi vende. Bank of China al 2% di Mediobanca Nelle nostre aziende quotate il colosso asiatico ha investito 7 miliardi. Piazzetta Cuccia corre in Borsa (+4,33%) Rodolfo Parietti - Mer, 22/10/2014 Giusto un anno fa, parlando della Cina, così diceva Alberto Nagel, ad di Mediobanca: «Ci andremo, ma non è una priorità» Da allora, nulla è cambiato. Tranne il fatto che sono stati i cinesi a muoversi per primi verso Piazzetta Cuccia, attraverso quella People's Bank of China usata spesso da Pechino come longa manus per allargare la propria ragnatela di investimenti. Il 14 ottobre scorso, giorno dell'incontro tra il premier Matteo Renzi e quello cinese Li Keqiang, la Bank of China è entrata a far parte dei soci di Mediobanca con una quota del 2,001%. Notizia diffusa solo ieri e accolta col botto in Borsa, dove il titolo della merchant bank è salito del 4,3%%. Un classico, per l'ex Impero Celeste, superare appena di una frazione la soglia oltre la quale scatta la segnalazione Consob. Un segno di visibilità sempre ricercato, anche quando da Pechino è partito l'ordine di mettere una fiche superiore al 2% su Eni, Enel, Fca, Generali, Telecom e Prysmian. Si calcola che nelle società quotate a Piazza Affari i cinesi abbiano puntato oltre 7 miliardi di euro, mentre già a fine 2012, 200 piccole e medie imprese tricolori, con ricavi oltre i 6 miliardi, erano in parte o interamente controllate dal colosso asiatico. Cominciata 16 anni fa col primo ufficio aperto a Milano, la lunga marcia della Cina verso l'Italia prosegue. Che si muovano i cingoli della banca centrale o quelli del potente fondo sovrano Cic, la strategia resta la stessa: quando si fiuta il colpo, si compra. Per Pechino, Mediobanca ha i connotati del duplice affare: sia sotto l'aspetto finanziario, visto che il titolo ha lasciato sul campo il 17% in sei mesi; sia perchè l'istituto si va liberando delle incrostazioni tipiche di quel capitalismo di relazioni che tanto piaceva a Enrico Cuccia. D'altra parte, il meno salotto buono e più soci e ricavi dall'estero è proprio quanto Nagel persegue. Anche senza andare in Cina. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilsole24ore.com/ Il paradosso delle banche tedesche: hanno più derivati che crediti ma vengono promosse di Fabio Pavesi, con un articolo di Leonardo Maisano Tutte promosse, solo la piccola o meglio minuscola quanto a dimensioni, Munchener Hypothekenbank non ha passato gli esami della Bce. Le banche tedesche escono a pieni voti dal test della verità. Tutte anche quelle Landesbank, le banche regionali, su cui molti analisti nelle simulazioni condotte prima della prova da sforzo erano dubbiosi sulla reale solidità finanziaria. È questa la vera sorpresa uscita dalle urne della prova cui Francoforte ha sottoposto il sistema bancario europeo. Del resto era ovvio che la Germania, nonostante la recente frenata inaspettata della sua economia, era il Paese che aveva meno da temere dagli esami europei. Le banche sono pro-cicliche alla congiuntura economica: se l'economia gira, le banche continuano a prestare denaro con poco rischio, dato che le sofferenze sono ridotte al minimo. Al contrario economie in stagnazione, vedono le banche ridurre i prestiti e dover fronteggiare le perdite sui crediti che si deteriorano. Ma c'è un ma in tutto ciò. Le banche tedesche non solo godono di un'economia tra le più salde, ma sono di fatto le meno esposte. È infatti il credito l'attività considerata più a rischio per una banca. Le attività finanziarie, comprare e vendere azioni, bond e commodity sono considerate meno pericolose, tanto più se gli asset finanziari, come è accaduto in questi ultimi anni salgono a dismisura. Quel capitale, calcolato dalle autorità per stabilire la solidità patrimoniale, non è parametrato all'intero bilancio ma alle sole attività a rischio, i cosiddetti Rwa. E qui il sistema tedesco ha tutti i vantaggi dalla sua parte. Gli Rwa, le attività ponderate per il rischio, sono infatti relativamente più basse delle altre banche commerciali, in particolare quelle del Sud Europa. Le banche germaniche cioè fanno, in proporzione, meno credito e più trading finanziario. Basti vedere i bilanci della Deutsche Bank, la più grande banca dell'eurozona e il colosso tedesco per eccellenza. Il suo bilancio complessivo è di 1.580 miliardi di euro. Ma quello considerato a rischio (Rwa) e che determina il rapporto con il capitale necessario è di soli 353 miliardi. Poco più del 20% dell'intero bilancio vale per la determinazione del capitale necessario a rendere solida la banca. Tanto per fare un confronto, la Deutsche è grande oltre due volte banche come Intesa e UniCredit, ma ha attività a rischio che sono meno delle italiane. Basta quindi avere come nel caso di Deutsche solo 47 miliardi di capitale per superare i requisiti di forza patrimoniale. Con un rapporto tra capitale e attivo totale di solo il 3% Deutsche appare una banca più che solida. Ma solo perché oltre 1.200 miliardi di attività di bilancio sono di fatto escluse dal computo per determinare quanto capitale occorre per superare i test della Bce. Il quadro di Deutsche Bank è esemplificativo dell'intero sistema bancario tedesco. L'altro big la Commerzbank, ha attivo a rischio per poco più di 200 miliardi, ma ha un bilancio doppio pari a 561 miliardi. E anche qui con solo 20 miliardi di capitale, la seconda banca tedesca appare più solida di banche del Sud Europa. Come se azioni, bond, derivati siano esenti dal rischio di perdite e quindi di erosione di capitale. Una delle Landesbank considerate più in bilico dagli analisti prima degli stress test, la Hsh Nordbank ha capitale per soli 3,8 miliardi che bastano a farle superare il test, perché parametrati su un attivo a rischio (Rwa) di 38 miliardi. Peccato che l'intero bilancio della banca sia di ben 110 miliardi. Di fatto ciò che rende più solide le banche germaniche è la loro bassa esposizione al credito, non certo l'abbondanza di capitale che anzi è tenuto ai livelli minimi indispensabili. Quel che lascia perplessi è che le attività di trading finanziario siano di fatto considerate meno pericolose. Finché i mercati salgono nessun problema per i bilanci di banche come le tedesche imbottite di Bund, azioni, titoli strutturati. Ma i mercati non possono salire sempre. Siamo poi così sicuri che banche più propense alla speculazione finanziaria che al credito all'economia reale non siano anch'esse una minaccia sistemica? Mps polemico: penalizzanti le modalità dello stress test Bce Il Monte dei Paschi «e' stato penalizzato dalle modalita' di svolgimento» degli esami della Bce. Cosi' la banca di Rocca Salimbeni in una lunga e circostanziata nota nella quale afferma che il deficit di capitale da 2,11 miliardi emerso «non riflette fatti reali che incidono sulla solvibilita' della banca» ma solo l'impatto sui ratios «di scenari ipotetici estremamente negativi». Le modalita' dello stress test, inoltre, sono molto diverse da quelle applicate dalla Commissione Ue per il piano di ristrutturazione che ha dato l'ok ai Monti Bond. Nota positiva per Mps e' invece il fatto che dall'Aqr emerga che l'aumento da 5 miliardi dell'estate scorsa era della giusta dimensione. Mps evidenzia come i risultati della valutazione Bce “hanno confermato la solidità della struttura patrimoniale”, “capace di assorbire l'impatto dell'asset quality review” a valle dell'aumento di capitale di giugno. L'istituto sottolinea poi in una nota di aver superato anche lo stress test della Bce nello scenario di base, mentre non è stato superato lo scenario avverso “penalizzato dalle modalità di svolgimento del comprehensive assessment”. “L'effetto combinato del solo Aqr e delle azioni di mitigazione gia' implementate portano il Cet1 phased-in dell'esercizio al 9,5%, ben al di sopra della soglia richiesta del 8%”. Da qui la considerazione che l'aumento da 5 miliardi e' stato capiente perche' “ha consentito di rafforzare il bilancio della banca in vista di questo severo scrutinio della qualita' dei suoi attivi”. Tornando allo stress test, invece, altri sono i motivi di recriminazione di Rocca Salimbeni per la metodologia utilizzata. “Nello scenario avverso - si legge - la Bce non ha considerato gli effetti dell'eventuale mancato rimborso di750 milioni di aiuti di Stato residui (sul totale di circa euro1,1 miliardi), che costituisce una delle possibili misure implicite di contingency incluse nel piano”. L'effetto della scelta della Bce “e' estremamente penalizzante perche' a fronte di una grave situazione di crisi e' ipotizzato che Mps sia costretta ad effettuare un rimborso che ne indebolirebbe ulteriormente la dotazione patrimoniale”. Ulteriore elemento negativo dello scenario avverso: “E' stato applicato un criterio di stress completamente basato sull'utilizzo di dati reddituali basati su medie storiche, che non ha consentito di incorporare le azioni di business previste dal piano di ristrutturazione” che la banca sta realizzando. Infine sui crediti a rischio di Mps “non e' stato consentito di tenere alcun conto degli effetti migliorativi sulla qualita' e sul costo del credito derivanti dalle azioni di cura dei crediti deteriorati previste dal Piano, laddove, come detto, il miglioramento della qualita' del credito ne costituisce uno dei punti fondanti”. La precedente gestione e l’eredità AntonVeneta La valutazione del bilancio del Monte dei Paschi a fine 2013 da parte della Bce ha portato a significative rettifiche sui crediti aggiuntive sul portafoglio corporate che e' stato calcolato in oltre 2,85 miliardi. Lo rivela la Banca nel comunicato sull'esito degli esami Bce. «La qualita' degli attivi della banca, si legge, e' ancora influenzata dalla politica creditizia espansiva adottata in anni recenti (2008-2010), prima dell'attuale gestione (ndr), dalla scarsa qualita' del portafoglio crediti ex Antonveneta (sotto la media) e il basso livello degli standard di erogazione del credito verso parti correlate e del territorio di riferimento». Nessun impatto dall'analisi della Bce del portafoglio Retail e small Business. Dopo i risultati delle valutazioni Bce Mps annuncia in una nota di aver avviato l'esame delle potenziali azioni da includere nel capital plan da sottoporre alla Bce: Ubs e Citigroup saranno advisor per valutare tutte le “opzioni strategiche”. Il piano verra' sottoposto all'approvazione delle autorita' di vigilanza entro i termini previsti dalla normativa. Le conseguenti modifiche del piano di ristrutturazione della banca, gia' approvato dalla commissione europea, saranno subordinate all'approvazione da parte della stessa». La preoccupazione del sindaco di Siena «Stiamo pagando ancora gli anni di una gestione scellerata, che ha dilapidato un patrimonio plurisecolare'. Cosi' il sindato di Siena Bruno Valentini commenta l'esito negativo del comprehensive assessment sul Monte dei Paschi. `Una gestione - continua Valentini - fatta di affarismo senza scrupoli e scommesse imprudenti, confermata in tutta la sua brutalita´ dalla pubblicazione degli stralci di interrogatori del processo Mps». Oggi - aggiunge Valentini - «con enormi difficolta', le istituzioni senesi stanno cercando di superare i danni prodotti in quel periodo buio della nostra storia. Adesso e' iniziato un nuovo corso: la politica non condiziona piu' la gestione della Banca mentre la Fondazione, che deve confermare il patto di sindacato, sta delineando uno spazio per il futuro coerente con le proprie finalita' istituzionali. E' finito, comunque, il tempo della politica pervasiva». «Ai disastri del passato si sono aggiunte strategie che non hanno dato i risultati attesi. La pulizia dei conti e i sacrifici, la maggior parte dei quali sopportati dai dipendenti, in mancanza di un adeguato recupero di redditivita', non bastano», conclude il sindaco che manifesta `forte preoccupazione” in attesa delle misure che il vertice della Banca deve assolutamente comunicare quanto prima´. 26 ottobre 2014 Perché si è dimessa Paola Testori Coggi, direttore della Dg Sanco a Bruxelles di Giuseppe Chiellino Un errore procedurale in una gara d’appalto per un valore “largamente inferiore a 100mila euro” è all’origine delle dimissioni annunciate ieri da Paola Testori Coggi dalla direzione generale Salute e tutela del consumatore (Dg Sanco) della Commissione europea, dopo 32 anni di carriera senza macchia nelle istituzioni comunitarie. Una somma ridicola se rapportata agli importi che gestiscono normalmente i direttori delle dg. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, l’appalto in questione avrebbe avuto un esito diverso da quello desiderato, dunque sarebbe stato annullato e ripetuto. In seguito ad una denuncia è partita l’inchiesta interna che ha preso via via una brutta piega per una delle poche donne italiane che occupava la posizione di direttore in Commissione. Testori Coggi rischiava una pesante sanzione disciplinare, anche se con motivazioni quanto meno discutibili. Per evitare il declassamento o provvedimenti ancora più pesanti ha preferito dimettersi. Va sottolineato, in ogni caso, che le fonti interpellate confermano quanto già affermato ieri ufficialmente dalla Commissione, e cioè che non c’è alcuna evidenza che dalla vicenda Paola Testori Coggi possa aver tratto il sia pur minimo vantaggio personale. Così come non c’è stato alcun danno per il bilancio della Commissione. La vicenda è un colpo durissimo non solo per Testori Coggi che era in Commissione dal 1983, ma per tutti gli italiani che lavorano ad alti livelli nelle istituzioni comunitarie. In un ambiente in cui la competizione, anche tra gruppi nazionali, è spesso spietata, fa comodo a molti associare la nazionalità italiana all’idea di corruzione, tanto più mentre è in corso la transizione tra Barroso e Juncker che inevitabilmente porta avvicendamenti e giochi di palazzo. A questo punto, però il dubbio su come realmente siano andate le cose è legittimo: è stato un banale errore di procedura senza conseguenze (ma la lunga esperienza della Testori porterebbe ad escludere questa ipotesi) o la funzionaria italiana che negli anni ha scalato le gerarchie europee ha pagato per decisioni e colpe di altri? Paola Testori Coggi è entrata in Commissione nel 1983 e ha lavorato, tra l’altro, nel gabinetto di Vittorio Maria Pandolfi (commissario italiano 1988-1993), e con Emma Bonino che dal ’95 al 99 è stata commissario alle Politiche dei consumatori. 16 ottobre 2014 - 12:49 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilmessaggero.it/ Regioni, 200 ex consiglieri godono di doppio vitalizio. Nel Lazio sono 28 di Jacopo Orsini ADVERTISEMENT «Hanno cose da farsi perdonare». Sferzante e sarcastico come al solito, il premier Matteo Renzi ha scelto un bersaglio facile da attaccare negli ultimi giorni: le Regioni sprecone. Tutti ricordano gli scandali di Franco Batman Fiorito, Vincenzo Maruccio e i soldi buttati per comprare suv e mutande verde leghista. Ma ci sono anche tanti privilegi, più nascosti, che resistono nonostante tutti gli annunci di tagli e le continue promesse di risparmi. Fra i più incredibili, per quanto perfettamente legali, c’è sicuramente quello del doppio vitalizio. Sono un esercito gli ex consiglieri regionali campioni della doppia (e a volte anche tripla e quadrupla) pensione. Il conto preciso è complesso, perché bisognerebbe incrociare gli elenchi, ancora non tutti pubblici nonostante le battaglie dei radicali e del Movimento 5Stelle, di migliaia di ”pensionati” di 20 consigli regionali con le altre centinaia del Parlamento. Una stima però si può tentare partendo dal Lazio: incrociando l’elenco di chi è stato deputato (leggi tutti i nomi) o senatore (leggi tutti i nomi) con quelli degli ex consiglieri regionali (leggi tutti i nomi), si trovano almeno 28 privilegiati che incassano ogni mese due assegni che valgono da un minimo di 5.200 euro netti a un massimo di 11.500 euro sempre netti. I SUPERASSEGNI Il più fortunato è Oreste Tofani, classe ’46, di Alatri, provincia di Frosinone, ex sindacalista della Cisnal: è stato in Regione fra gli anni’80 e ’90 e poi deputato di An e Pdl. Una carriera che gli è valsa una pensione dorata da 11.554 euro netti al mese. Subito dopo si piazza un altro ex An (e poi Pdl), Domenico Gramazio, 67 anni. Il più ”povero” fra i privilegiati del doppio vitalizio è l’ex socialdemocratico Robinio Costi, classe ’43, che ogni mese si deve accontentare di 5.291 euro netti. In Veneto la doppietta sono riusciti a farla almeno in 19: nella lista ci sono l’ex deputato del Pci e Pd ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, il verde Michele Boato e il leghista Franco Rocchetta. Dunque 47 in sole due regioni, che portano a stimare il totale delle doppie pensioni a una cifra oltre quota 200. Nel Lazio, fra i 28 magnifici pensionati ce ne sono poi almeno tre - l’ex Margherita poi Pd Fabio Ciani, l’ex repubblicano Mario Di Bartolomei e l’ex missino e poi An Giulio Maceratini - che sono stati anche eurodeputati. E quindi, se hanno versato i contributi, di assegni ne dovrebbero portare a casa addirittura tre. La lista degli eurovitalizi, a differenza di quella di quella di Camera e Senato, che in questo sono molto trasparenti, non è però pubblica. La scusa per tenerla segreta sono presunte ragioni privacy di chi incassa l’assegno, nonostante si stia parlando di soldi pubblici. Da tagliare insomma nelle Regioni c’è ancora parecchio. Grazie anche alla spinta portata prima dai radicali e poi dall’arrivo dei grillini, qualcosa tuttavia negli ultimi anni si è mosso. I vitalizi per esempio sono stati aboliti, anche se solo per il futuro (nel Lazio incredibilmente si può ancora incassare l’assegno a 50 anni). E ora si sta studiando qualche altro taglio: si punta a intervenire in maniera coordinata in tutte le regioni per tassare le pensioni in modo progressivo. E fra le ipotesi c’è quella di ridurre gli assegni di un ulteriore 40% proprio a chi porta a casa due vitalizi. Ma la battaglia sarà ancora lunga e l’esito parecchio incerto. twitter @jacorsini °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilfoglio.it/ Scandalo Cia I servizi mandano agenti travestiti al Senato per fermare il rapporto sulle torture. Il duro McDonough di Redazione | 26 Ottobre 2014 ore 06:27 Roma. “Il presidente vuole sapere chi cazzo ha autorizzato il rilascio [dei documenti] alla commissione. Ho un presidente infuriato e voglio sapere per quale cazzo di ragione hai fottuto tutto!”. E’ il 2009, la scena è alla Casa Bianca. A sbraitare è Rahm Emanuel, allora capo dello staff dell’Amministrazione Obama. La vittima della sfuriata è Leon Panetta, al tempo capo della Cia. I documenti a cui si riferisce Emanuel sono quelli, “tra i più importanti in possesso dell’agenzia”, che Panetta concesse in visione alla commissione Intelligence del Senato americano per una gigantesca indagine, durata cinque anni e costata 40 milioni di dollari, sui metodi di interrogatorio e di detenzione usati dalla Cia dell’èra Bush dopo l’inizio della guerra al terrore. Allora l’indagine della commissione, presieduta dalla senatrice democratica Dianne Feinstein, era agli inizi, la Feinstein aveva tutte le autorizzazioni in regola per vedere i documenti. Ma Obama, il presidente della “Amministrazione più trasparente della storia”, non voleva che la commissione deputata a sorvegliare l’operato della Cia sorvegliasse davvero l’operato della Cia. Il testo della sfuriata di Emanuel è tratto dal memoir appena uscito di Panetta, “Worthy Fights: A Memoir of Leadership in War and Peace”. Da settimane il memoir è discusso per la descrizione negativa degli anni di Panetta dentro l’Amministrazione Obama (prima come capo della Cia e poi come segretario della Difesa), e mostra tra le altre cose che il report della commissione Intelligence è da sempre un problema enorme per il presidente. Il report di 6.300 pagine si concentra, secondo fonti dell’agenzia McClatchy, sui presunti abusi e sulle accuse di tortura rivolte alla Cia durante la guerra al terrore – sulle sue “azioni e inazioni”. L’agenzia d’intelligence da anni cerca di limitare il lavoro della commissione. Lo scorso marzo la senatrice Feinstein accusò John Brennan, a capo della Cia dal 2013, di aver tentato di violare i computer del Senato per ottenere le bozze del report. Brennan prima negò, poi ammise la violazione e chiese scusa, infine si rifiutò di nominare gli agenti che avevano partecipato all’operazione. Ma secondo fonti sentite questa settimana da Ali Watkins e Ryan Grim dell’Huffington Post America “se la gente sapesse in dettaglio quello che hanno fatto davvero per entrare nei computer del Senato e cercare i documenti sulla tortura resterebbe a bocca aperta”. Un ispettore della Cia che ha chiesto di rimanere anonimo ha detto ai giornalisti che alcuni agenti dell’agenzia hanno “fatto finta di essere dipendenti del Senato per ottenere accesso alle comunicazioni e alle bozze dell’indagine della commissione”. Persone vicine alla Cia smentiscono, e la Casa Bianca continua a dare all’agenzia e a Brennan “piena fiducia”. Il fatto è che la pubblicazione del report potrebbe essere imbarazzante anche per il presidente Obama, soprattutto se le strategie di sicurezza nazionale sono messe in discussione in un periodo delicato a livello politico (le elezioni di midterm) e a livello internazionale (l’intervento in Iraq e Siria contro lo Stato islamico). Un documento di 480 pagine con le conclusioni della commissione è pronto da sei mesi, ma l’Amministrazione sta cercando in tutti i modi di ritardare la sua pubblicazione o di farne uscire una versione pesantemente modificata. Obama ha attivato il suo capo di gabinetto, il tostissimo Denis McDonough, per negoziare direttamente con la commissione le modifiche al documento. Soprattutto, dice una fonte all’Huffington Post, McDonough avrebbe chiesto ad alcuni membri del Senato la protezione di Brennan, che rischia di essere travolto “dal prevedibile furore che seguirà la pubblicazione del documento”. I complottisti del sito The Intercept dicono che niente sarà pubblicato prima delle elezioni di midterm, e che a quel punto un nuovo Congresso a maggioranza repubblicana bloccherà l’indagine. Anche i democratici non sarebbero contrari. Molti pensano, dice l’ex capo antiterrorismo Robert Grenier, che mentre lo Stato islamico avanza e decapita giornalisti americani “non è il momento di chiedere di andarci piano contro il terrorismo”. MANUALE DI CONVERSAZIONE Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice Il chilometro zero Una delle definizioni più abusate. Se la detestate, ecco dei luoghi comuni di pronto impiego - Ha rotto le balle - Apprezzare l'idea di marketing, ma non sopportare l'aria di superiorità intellettuale con cui vendono gli asparagi. (Vedi seguente) - Chiedere con piglio sociologico se i seguaci del chilometro zero siano gli autentici eredi della spocchiosità di certe frange ad alto reddito della sinistra intellettuale d'antan. Concluderne che in tempi postideologici concetti come destra e sinistra sono superati; pasta e fagioli, invece, godono ancora di ottima salute. - Di tanto in tanto ricordare che, al netto di tutte le considerazioni ideologiche, la mozzarella di Paestum è infinitamente migliore di quella del caseificio politicamente corretto che sta a soli venti chilometri da casa, e quindi, che il chilometro zero si impicchi pure. (Vedi seguente) - Citare provocatoriamente uno studio del 2007 che ha calcolato che se si fanno dieci chilometri in auto per andare a comperare un chilo di verdura, si genera più CO2 che non facendola arrivare direttamente dal Kenya. - Nelle botteghe a chilometri zero (ma anche in quelle biologiche) parlare a un tono di voce normale è considerato un'inqualificabile cafonata: bisogna sempre sussurrare come certe attrici impegnate del cinema italiano. Deplorare. - Alcuni ristoranti politicamente corretti ci tengono a scrivere sul menù che tutti i prodotti con cui sono preparati i loro piatti provengono dal loro orto. Se se la tirassero un po' meno sarebbero più simpatici. Convenirne. - Épater le bourgeois spiegando che l'acqua minerale è il prodotto più inquinante del mondo. Non addentrarsi in spiegazioni tecniche, parlare in generale della quantità di energia che serve per trasportarla da dove sgorga a dove viene consumata. - Di questi tempi si porta molto l'acquisto con i colleghi d'ufficio presso il contadino di fiducia della cassetta di verdure settimanale. Finire per mangiare grandi quantità di ratatouille e minestroni anche ad agosto per non doverle buttare. - Al solo udire la parola "filiera", specialmente se usata in modo espressionistico (la filiera del libro, la filiera culturale ecc.), coprirsi di un eritema devastante. - Deprecare che il chilometro zero sia un lavoro a tempo pieno che non ammette distrazioni: se hai comprato la lattuga e per qualche ragione non si riesce a mangiarla la sera stessa, l'indomani nel frigo se ne trova la sindone. Convenirne. - Perché mai si è cominciato a dire "chilometro zero", al singolare, invece di, come sarebbe giusto, "a chilometri zero"? Far partire un estenuante pippone sulla volgarizzazione del pensiero in tempi di massificazione pseudoculturale. - Citare con apparente competenza uno studio del Defra, il ministero dell'Ambiente e dell'Agricoltura britannico, secondo il quale il 48 per cento del chilometraggio percorso da un prodotto alimentare deriva dal consumatore finale, quindi un indicatore basato solo sullo spazio percorso non può essere una misura attendibile dell’impatto ambientale totale. Posizione provocatoria che lascia intendere come non vi accontentiate della vulgata. Valutare se concludere con un più pop: "E quindi, de che stamo a parla'?" - Parlare di "food miles" fa capire che in materia non siete venuti giù con la piena. - Le mele della grande distribuzione, saranno anche velenose come quella della matrigna di Biancaneve, ma dal punto di vista estetico non c'è gara. Auspicare l'avvento di uno Steve Jobs del chilometro zero che rifondi l'estetica delle mele genuine. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilfattoquotidiano.it/ Bankitalia: “Banche italiane penalizzate in stress test Bce. E non hanno avuto aiuti” Fabio Panetta, vice direttore generale di via Nazionale, ha spiegato che sui risultati degli esami europei hanno pesato le ipotesi molto pessimistiche dello "scenario avverso" e il fatto che gli istituti del nostro Paese abbiano ricevuto dallo Stato solo 4 miliardi contro i 250 di quelli tedeschi di F. Q. | 26 ottobre 2014 Venticinque istituti europei “bocciati”, di cui tredici ancora alle prese con carenze di capitale per un totale di 9,5 miliardi nonostante gli aumenti varati in corso d’anno. Sono i risultati degli “esami” (comprehensive assessment) sulle maggiori banche dell’area euro, costituiti dalla revisione della qualità degli attivi (asset quality review) della Banca centrale europea e dagli esiti degli stress test della European banking authority. Le valutazioni, basate sui bilanci del 2013, promuovono di fatto a pieni voti solo Credito Emiliano, Iccrea, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Ubi e Unicredit. E nel drappello delle 25 bocciate ben nove sono banche italiane: Monte dei Paschi di Siena, Carige, Banca Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Bper, Banco Popolare, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese e Veneto Banca. Un risultato che, pur molto ridimensionato dalle misure messe in campo nel frattempo e da cui emerge che solo Mps e Carige dovranno chiedere altri soldi ai soci, ci vale l’ultimo posto in Europa. Ma gli analisti della Banca d’Italia, che aveva il compito di valutare l’impatto sul capitale degli interventi adottati nel 2014, in conferenza stampa hanno spiegato senza mezzi termini che questa brutta pagella è stata influenzata non poco dalle ipotesi sottostanti. Che hanno penalizzato il nostro Paese molto più di altri. Non è un caso, dunque, se per esempio tutte le banche tedesche si sono “salvate”, compresa Deutsche Bank che alla vigilia sembrava sul filo della bocciatura nonostante un aumento di capitale monstre da oltre 8 miliardi. Quello della Bce “è un esercizio che ipotizza uno scenario sfavorevole soprattutto in termini di crescita e ovviamente le condizioni iniziali contano molto”, ha detto Fabio Panetta, membro del direttorio e vice direttore generale di via Nazionale. Di conseguenza “un esercizio che riduce la crescita attesa in modo significativo è molto più doloroso” per l’Italia piuttosto “che per un Paese con una crescita significativa”. Non solo perché partivamo da una “situazione macroeconomica fortemente deteriorata” e con banche indebolite da forti perdite su crediti, ma anche a causa dell'”handicap” costituito dal fatto che “altri Paesi partivano con aiuti di Stato e interventi pubblici”. Riferimento non casuale alla Germania, le cui banche dall’inizio della crisi hanno ricevuto aiuti governativi per quasi 250 miliardi, ma anche alla Spagna, dove gli interventi pubblici sono ammontati a 60 miliardi, a Irlanda e Paesi Bassi (50 miliardi a testa), alla Grecia (40 miliardi). Ma anche a Belgio e Austria (19 miliardi) e Portogallo (18 miliardi). Al contrario, il sostegno pubblico in Italia è stato limitato ai circa 4 miliardi di euro andati a Mps sotto forma di Monti bond. Questo, ha sottolineato Panetta, “è un motivo di vanto per il Paese. Se avessimo avuto un terzo degli aiuti della Germania, quindi per circa 77 miliardi di euro, avremmo avuto un surplus”. Il sistema bancario italiano, invece, “è rimasto in piedi senza aver avuto bisogno di cospicui interventi pubblici”. Fin qui, comunque, tutto regolare. Il fatto è, però, che nel caso peggiore Francoforte si è spinta a immaginare che l’Italia possa rimanere in una grave recessione (pil in calo dell’1,6% nel 2015 e dello 0,7% nel 2016) “per l’intero periodo 2014-16, dopo quella già sofferta dall’economia italiana nel 2012-13, che faceva seguito a quella del 2008-09. E ipotizza inoltre un riacutizzarsi della crisi del debito sovrano. Questo ipotetico scenario utilizzato nella simulazione configurerebbe quindi un collasso dell’economia italiana, con gravi conseguenze ben oltre la sfera bancaria”. Un quadro, insomma, di gran lunga troppo pessimistico anche se inserito nello “scenario sfavorevole” che era parte integrante degli stress test e doveva costituire una prova di resistenza agli shock. E, in questo panorama, Francoforte ipotizza anche uno scenario avverso sul mercato dei titoli di Stato, mentre “da alcuni mesi le banche hanno registrato plusvalenze” grazie al calo del tasso di interesse sui titoli di Stato. Lo scenario avverso, quindi, sottolinea, “è uno scenario apocalittico. E noi non siamo ancora all’apocalisse”. Anche Mps, la grande bocciata con 2,1 miliardi di esigenza di capitale, nel comunicato diffuso domenica pomeriggio ha sottolineato di essere stata “penalizzata”, ricordando di aver “da poco (novembre 2013, ndr) intrapreso il percorso di ristrutturazione approvato dalla Commissione europea”, che nel valutare il piano ha usato modalità che “si discostano in misura significativa” da quelle utilizzate da Francoforte per determinate lo scenario avverso. Tra le altre cose, si legge nel comunicato, “nello scenario avverso la Bce non ha considerato gli effetti dell’eventuale mancato rimborso di 750 milioni di euro di aiuti di Stato residui (sul totale di circa 1,1 miliardi) che costituisce una delle possibili misure implicite incluse nel Piano di ristrutturazione”. Insomma, Rocca Salimbeni ricorda che non è ancora tramontata l’ipotesi che, nel peggiore dei casi, lo Stato possa diventare azionista dell’istituto attraverso la conversione in azioni dei Monti bond residui tra quelli sottoscritti nel 2013. Stress test, Mps bocciata. La fine della ‘banca rossa’ per come la conosciamo? di Mauro Meggiolaro | 26 ottobre 2014 La bocciatura di Monte Paschi agli stress test della Bce era ampiamente prevista. Ancora venerdì si parlava però di un deficit di capitale intorno a 1 miliardo di euro, superabile agevolmente con l’emissione di un bond ibrido, un prestito convertibile in capitale. Le voci sulla possibile emissione del bond e su eventuali cessioni di asset che avrebbero scongiurato un nuovo aumento di capitale hanno lanciato la speculazione al rialzo sul titolo in borsa, che venerdì sera ha chiuso a +10,68%. Oggi i numeri diffusi dalla Bce sono molto peggiori. A Monte Paschi mancano 2,11 miliardi di euro: più del doppio del previsto. A pesare, per 600 milioni di euro, la brutta storia del derivato “Alexandria” negoziato con la banca giapponese Nomura, che sarebbe servito ad Mps ad abbellire il bilancio del 2009. La Bce ha considerato “Alexandria” a tutti gli effetti come un derivato, mentre la banca continua a contabilizzare l’operazione come “titoli di stato”. Quello che succederà d’ora in poi è incerto. La banca ha reso noto in un comunicato stampa di aver incaricato le banche Ubs e Citigroup di esplorare opzione strategiche, tra cui una possibile fusione. Un ulteriore aumento di capitale da oltre 2 miliardi di euro appare poco probabile, come anche l’emissione di bond ibridi per la stessa cifra. Chi, infatti, sarebbe disposto a investire in una banca che in quattro mesi ha bruciato l’intero aumento di capitale monstre da 5 miliardi di euro, sottoscritto con successo a giugno? Tra i possibili acquirenti continua a circolare il nome della banca francese Bnp Paribas, che in Italia ha già acquisito nel 2006 la Banca Nazionale del Lavoro (Bnl). Un’ipotesi che piacerebbe anche ai sindacati. Ma Bnp – fa notare il Financial Times – è ancora sotto shock dopo la multa record da 9 miliardi di dollari inflitta dalle autorità americane per aver gestito (dal 2002 al 2012) transazioni con Sudan, Iran e Cuba, paesi sotto embargo negli Stati Uniti. Perché dovrebbe ora sobbarcarsi l’onere di rilevare e ristrutturare una banca in seria difficoltà che per i prossimi anni non produrrà profitti? Un altro possibile acquirente, la banca spagnola Santander, si trova in una delicata fase di transizione dopo la morte del suo fondatore e presidente Emilio Botín in settembre. Da più parti si parla poi di non meglio definiti “fondi americani”. Ma al massimo i fondi potrebbero essere un’ennesima soluzione provvisoria: nel lungo periodo servirebbe un partner bancario, interessato a rilanciare l’operatività della banca. Un’altra ipotesi che si sta facendo strada è quella di uno spezzatino, una divisione della banca in vista della cessione di asset per fare cassa. Secondo quanto rivelato da fonti vicine all’istituto senese al mensile Valori (www.valori.it), si potrebbe presto concretizzare una “tripartizione”. L’idea dell’ipotetico piano di smembramento prevede di mantenere sotto il marchio “Mps 1472″ le filiali dell’Italia centrale, che diventerebbe a tutti gli effetti la “banca delle regioni rosse”. Le filiali del Nord Italia (la ex Antonveneta) potrebbero essere vendute a un gruppo bancario mentre il Sud – che è carico di sofferenze creditizie – potrebbe essere acquisito dallo Stato (che recupererebbe in questo modo il miliardo di euro di Monti bond che Mps deve ancora restituire) o trasformarsi nel nucleo iniziale di una “bad bank” pubblica, nella quale si farebbero eventualmente confluire anche parte dei crediti non performanti di altri gruppi bancari. Un progetto che richiederebbe naturalmente la benedizione del governo Renzi, che dovrebbe esporsi a un’operazione dai risvolti tutt’altro che popolari. Mps ha ora due settimane di tempo per rispondere alla Bce. Indipendentemente dalla soluzione che sarà scelta, una cosa sembra chiara: la “banca rossa” come la conosciamo, serbatoio di voti e scambi di favori per il Pd locale e nazionale, sembra avviata verso la fine. Un epilogo triste per la terza banca italiana: la più antica in attività a livello globale e la più longeva al mondo. Forse ancora per poco. Legge di stabilità, sul lavoro l’effetto sostituzione prevarrà sui nuovi posti di Lavoce.info | 24 ottobre 2014 Dal testo e dai numeri della legge di Stabilità saltano fuori varie sorprese. Un disavanzo aggiuntivo per poco più di 7 miliardi, nuovi assunti con decontribuzione solo per l’anno 2015, aumento delle entrate grazie alla tassazione dei Tfr che entrano in busta paga. Infine, meno tagli ai ministeri. di Tito Boeri (Fonte: lavoce.info) Finalmente abbiamo un testo per la legge di Stabilità e una relazione tecnica. Non poche le sorprese rispetto alle variopinte slide renziane. Cominciamo dal potenziale espansivo della manovra che si può desumere dai saldi. Il disavanzo aggiuntivo dovrebbe essere appena al di sopra dei 7 miliardi rispetto agli 11 delle diapositive mostrate a Palazzo Chigi una settimana fa. Questo si deve non solo alle riserve accantonate in previsione di richieste della Commissione europea (che, a quanto pare, ci saranno), ma anche ad aggiustamenti successivi richiesti per la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato. I costi della decontribuzione La seconda importante sorpresa riguarda la decontribuzione dei nuovi assunti con contratti a tempo indeterminato. La misura sarà in vigore per il solo 2015. Non sono previste clausole di addizionalità, vale a dire anche imprese che abbiano ridotto gli organici negli ultimi anni o mesi potranno accedervi. Data l’entità dello sgravio (riduce di un terzo il costo del lavoro) e la sua temporaneità (solo 2015) probabile che ci sia un forte effetto di sostituzione sia con posti di lavoro già esistenti che nel corso del tempo. Ad esempio, presumibile che si avrà un forte effetto sulla distribuzione nel tempo delle assunzioni: forte calo nei restanti mesi del 2014, impennata a inizio 2015 e poi ancora a fine anno, prima che l’agevolazione scada. Il Governo prevede che a beneficiarne siano 1 milione di posti di lavoro. Potrebbe essere una sottostima alla luce degli effetti di sostituzione di cui sopra. Assume inoltre che le assunzioni siano distribuite uniformemente nel corso dei mesi del 2015. Questo spiega perché i costi dell’agevolazione siano previsti molto più bassi nel 2015 che nel 2016 (vedi ultima riga della tabella): si presume infatti che i nuovi contratti attivati nel 2015 abbiano una durata media di sei mesi. Anche se prendiamo per buona la stima governativa di 1 milione di contratti a zero contributi previdenziali e ci limitiamo a cambiarne il profilo temporale, prevedendo che il 20 per cento di queste abbia luogo a gennaio 2015 e un altro 20 per cento a dicembre 2015 con – in mezzo a queste due picchi – 60mila assunzioni al mese, otteniamo una stima dei costi nettamente superiore a quella del Governo, attorno ai 3 miliardi per il 2015. Da notare che noi abbiamo utilizzato i dati EUSilc per stimare i salari d’ingresso in questi contratti, mentre la relazione tecnica si è avvalsa dei dati dell’Inps (che a noi non sono stati concessi). Ma le differenze nelle stime nostre e della relazione tecnica si spiegano soprattutto col diverso profilo temporale delle assunzioni. Infatti, la spesa del 2016, quando questo fattore temporale non conterà più, sarebbe per noi di soli 400 milioni più alta di quella del governo. Effetto Tfr in busta paga Un’altra sorpresa riguarda il contributo delle entrate alla manovra. È di circa 10 miliardi. Questo si deve soprattutto al fatto che 2.5 miliardi vengono dalla tassazione del Tfr in busta paga. Vero che l’intera operazione è praticamente a saldo zero per la Pubblica amministrazione allargata (alle maggiori entrate associate al pagamento dell’Irpef sul Tfr in busta paga si devono dedurre i minori versamenti al fondo dell’Inps che replica il Tfr). La relazione tecnica ipotizza, infatti, che siano soprattutto i lavoratori delle grandi imprese a portare il Tfr in busta paga, quelli che alimentano il flusso verso l’Inps. Tuttavia se il Tfr venisse smobilizzato in misura superiore a quanto ipotizzato dal Governo dai lavoratori delle imprese con meno di 50 dipendenti (quelli per cui non opera il fondo Inps), che hanno i salari e tasse marginali Irpef più basse e un più alto rischio di fallimento della loro impresa, ai quali dunque l’operazione può sembrare più vantaggiosa, lo smobilizzo del Tfr in busta paga può portare ad aumentare e, non di poco, il prelievo netto operato dallo stato con questa operazione. La natura dei tagli Il tanto declamato bonus bebè vale circa 300 milioni. Ci si chiede se valga la pena di istituire nuovi programmi, creando nuovi entitlement, su programmi così limitati. Per sostenere le famiglie e incoraggiare la fertilità ci si può in gran parte avvalere su istituti esistenti, a partire dall’ampliamento dell’offerta di asili nido. L’unica cosa è che fare di più di ciò che c’è già non permette di fare annunci in Tv. I tagli alle spese dei ministeri hanno più dettagli che in precedenti leggi di Stabilità. Questo è un fatto positivo perché sembra testimoniare che non siano solo obiettivi generici, ma che siano stati già identificati provvedimenti concreti. Il problema è che la somma di questi provvedimenti porta risparmi per 1,7 miliardi al posto dei quasi 5 miliardi annunciati una settimana fa. Un esame più approfondito delle singole voci è comunque fondamentale. Bene che il nuovo Ufficio parlamentare di bilancio sia al lavoro. Infine, le Province ci rimettono dalla manovra, con un taglio secco di 1 miliardo di spesa. Per i Comuni il calcolo è più complesso. Anche loro devono ridurre le spese per 1,2 miliardi. Ma i Comuni si vedono anche sbloccare 3,3 miliardi dal Patto di stabilità interno, compensati però dai 2,3 miliardi di spese non più effettuabili sulla base di crediti difficilmente esigibili. L’effetto netto è dunque +1 miliardo che accoppiato alle riduzioni di 1,2 miliardi dà un saldo netto negativo di soli 200 milioni per il comparto. Ma naturalmente si tratta del pollo di Trilussa; le disposizioni influenzano i diversi Comuni in modo diverso e quindi gli effetti netti su ciascun singolo ente saranno molto diversi. Bio dell’autore Tito Boeri Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca, e Centennial Professor alla London School of Economics. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi ed articoli sono scaricabili a questa pagina: http://mypage.unibocconi.it/titomicheleboeri/ Redattore de lavoce.info. Segui @Tboeri su Twitter Legge di Stabilità: la ‘grande depressione’ europea è già iniziata. Grazie anche a Barroso di Roberto Marchesi | 24 ottobre 2014 Non si capisce bene se a Barroso abbia dato più fastidio che Renzi abbia messo in piazza il suo “promemoria di austerità” o se sia stato proprio il timore che l’Italia non rispetti i limiti del “patto di stabilità” irresponsabilmente siglati due anni fa (non si capisce con quale criterio) a farlo arrabbiare. In entrambi i casi però il primo a non capire sembra proprio essere lui, perchè o lui si mette le vesti del gendarme (che controlla semplicemente in modo notarile il puntuale rispetto di regole senza nemmeno chiedersi se sono utili e a chi) oppure continua a gingillarsi nei panni dello statista, e allora non può ignorare quello che ormai tutto il mondo dice (facendosi pure risate di scherno sulla insistenza di tenere in piedi una strategia che, ormai l’hanno capito anche i bambini, è perdente sotto tutti i fronti. Dalla recessione non solo non siamo usciti in tre anni di durissima austerità, servita solo a mettere in ginocchio l’economia di tutta l’Europa, ma stiamo entrando persino in un vortice depressivo pericolosissimo perché è come i buchi neri, se ci entri non ne esci più e non basteranno né l’austerità né le riforme sul lavoro a salvarci. Dice Peter Morici su Fox News in “Europe great Depression“: “Across much of Europe Gdp is shrinking faster than governments can cut spending, and sovereign debt burdens are becoming worse, not better” (in gran parte d’Europa il Prodotto Interno Lordo si assottiglia più rapidamente di ciò che i governi riescono a ridurre coi tagli, e il fardello dei debiti sovrani peggiora invece che migliorare). Fox News è uno dei maggiori media nazionali americani ed è il principale network mediatico unanimemente considerato “vicino” al partito repubblicano che è, politicamente, il principale sostenitore della linea di riduzione del debito pubblico. Perché allora proprio Fox News condanna con un articolo di fondo scritto da un noto economista la politica di austerity europea? Tra l’altro Morici non si limita a segnalare il pericolo di una entrata in depressione economica, come fanno già da tempo diversi noti economisti, ma prende proprio in giro i responsabili del governo europeo (di cui proprio José Manuel Durão Barroso è il presidente uscente) mettendo al suo articolo un titolo che, richiamando la “Grande Recessione” (2007-2009), “battezza” la crisi europea addirittura “Grande Depressione“, significando quindi che l’Europa sta entrando in una fase economicofinanziaria ben peggiore che una semplice, quantunque “grande”, recessione. E lui, che è stato al vertice della Commissione Europea per tutti questi anni (dal 2004), non lo vede? Lui ha attraversato stando sulla più alta poltrona del Commissione Europea tutte e tre le fasi della crisi: 1) la fase della “bolla”, che ha preceduto la crisi (perché non ha fatto a quel tempo il gendarme, richiamando all’ordine le grandi banche, anche europee, non solo americane, che prestavano soldi a “ufo” a chiunque?) 2) la fase della crisi acuta in America (2007-2010), durante la quale l’Europa ha dato una grossa mano alla ripresa americana facendo rivalutare l’euro per tutto il periodo e fino a quasi il 50% (2 anni fa). Devo dirglielo io a Barroso che un dollaro debole favorisce le esportazioni americane in Europa e penalizza le esportazioni europee in America? Cosa ha fatto la Commissione Europea per fermare Trichet (allora presidente Bce), quando in soli tre mesi nel 2011, ha alzato per ben due volte il tasso di sconto alle banche, sprofondando immediatamente l’Europa in crisi di liquidità proprio mentre la grande speculazione internazionale si preparava a lanciare fortissimi attacchi finanziari all’Europa (vedasi: “Le cause della crisi europea, in successione quasi cronologica“. Lui dov’era in quel dannato 2011? Che direttive ha dato? 3) la fase dell’inizio della crisi europea, legata al debito sovrano (iniziata a metà 2011). In questo periodo sono iniziati gli attacchi della speculazione internazionale al debito sovrano dei paesi europei. Ed è cominciato l’impennarsi del famigerato “spread” (differenziale tra il tasso del nostro debito e quello del debito tedesco). Motivo? Il timore di un default dell’Italia, che non sarebbe riuscita a rimborsare il suo debito. E chi ha messo in giro quelle voci? In quel periodo l’economia italiana andava a gonfie vele. Certo, la politica faceva schifo anche più di oggi, ma agli investitori la politica interessa molto poco quando c’è da far soldi. E l’Europa di Barroso e Trichet, invece di sbarrare ogni entrata ai vandali della speculazione ha spalancato loro la porta. Così invece di difendere l’economia europea da attacchi pretestuosi ha steso il tappeto rosso del benvenuto. Poi, per completare l’opera e legare in modo definitivo i grandi paesi indebitati (come Italia e Francia), riottosi a sostenere una politica che impedisce loro di difendersi nei modi tradizionali, hanno imposto le regole dell’austerità e il tetto al debito (sebbene ogni economista di buon senso sappia perfettamente che è l’autostrada più rapida per arrivare alla recessione certa). E adesso che anche i capitalisti conservatori d’America ci avvertono (forse perché non conviene nemmeno a loro) che l’Europa sta entrando in una bruttissima fase di depressione, Barroso che fa? Si arrabbia con Renzi che gli fa capire (senza dirlo ovviamente) di star tranquillo e di pensare alla pensione ormai prossima? E’ noto che sul programma di Renzi sono moltissime le cose sulle quali è impossibile (in una seria democrazia) concordare, ma se Renzi, in nome dell’Italia e dell’Europa, licenzia e respinge con disdegno tutti i moniti e le reprimende dei Trichet e dei Barroso d’Europa, come si fa a non dargli tutto il nostro incondizionato appoggio? °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°
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