conferenza economia sociale - roma 17/18

L’esperienza delle Imprese sociali Italiane
Giuseppe Guerini
Alleanza delle Cooperative Sociali Italiane
Siamo lieti che il Governo Italiano abbia deciso di organizzare questa Conferenza, nel contesto
delle iniziative del semestre di Presidenza. Voglio quindi ringraziare il Ministro Giuliano Poletti e il
Sottosegretario Luigi Bobba per aver promosso questo evento e ringrazio sentitamente anche la
Commissione Europea e il GECES e, naturalmente, il Comitato Economico Sociale Europeo di cui
pure mi onoro di essere membro.
E’ la seconda iniziativa internazionale quest’anno, dopo quella di Strasburgo, organizzata dalla
Commissione Europea a gennaio, e cade in un momento importante: all’avvio del mandato dei
nuovi organismi dell’Unione. La “Dichiarazione di Strasburgo”, invita l’Unione Europea a
proseguire le azioni dell'Iniziativa per l'imprenditoria sociale lanciata nel 2011 potenziandole e
promuovendo una seconda fase che ci auguriamo prenda nuovo impulso proprio da queste due
giornate.
Ho trovato molto interessante la presentazione della ricerca appena svolta da Wilkinson, e mi pare
di poter dire, con una certa soddisfazione, che tra le ricerche promosse dalla Commissione
Europea negli ultimi anni è la prima che nel fare una mappa delle imprese sociali in Europa,
focalizza bene il ruolo delle cooperative italiane che, mi permetto di dire, hanno svolto un vero e
proprio ruolo di pioniere dell’imprenditoria sociale.
Mi piace ricordare che la prima Cooperativa di Solidarietà sociale è stata costituita nel 1963, poi
nel corso degli anni ‘70 e ‘80 il fenomeno è cresciuto. Nel 1985 quando da Confcooperative venne
costituita Federsolidarietà (la prima organizzazione di rappresentanza) erano censite 600
cooperative sociali.
Nel 1987 viene fondato il Consorzio CGM, ancora oggi la più grande rete di imprese Sociali
europea. Solo nel novembre1991 è arrivato lo “statuto giuridico” quando ormai il fenomeno era
non solo cresciuto ma decisamente consolidato.
Per descrivere l’esperienza dell’Impresa Sociale in Italia occorre, quindi, partire dall’esperienza
delle cooperative sociali. È utile ricordare anche che proprio il movimento cooperativo per primo
iniziò ad usare il termine Impresa Sociale, fondando nell’ottobre 1990 la rivista che ancora oggi,
con questa testata, contribuisce al dibattito scientifico in materia di imprenditoria sociale.
Conferenza Europea “Liberare il potenziale dell’Economia Sociale – Intervento di Giuseppe Guerini –Roma 18 novembre 2014
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In Italia il cammino dell’Impresa sociale, seppure con un quadro giuridico consolidato, è stato
caratterizzato da un vivace dinamismo sia sul piano della crescita di importanza, sia su quello
dell’evoluzione normativa, con un dibattito molto intenso che ha portato nel 2005 all’adozione
della legge sull’impresa sociale (L.118/2005) che proponeva un importante passo avanti sul piano
culturale ed istituzionale.
Un passo che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale, ma che comunque colloca il quadro
legislativo che si è consolidato in Italia ad un livello molto avanzato nel panorama europeo.
Abbiamo, infatti, una legge sull’impresa sociale da 9 anni, nella quale trovano già spazio concetti
attuali, come quello della misurazione dell’impatto sociale, previsto con lo strumento del Bilancio
Sociale, che è un adempimento obbligatorio per le Imprese Sociali, che devono redigerlo secondo
linee guida, definite dalla stessa legge, che tracciano un vero e proprio percorso di misurazione
degli impatti sociali.
Si è lamentato che il numero di Imprese sociali costituite ai sensi della normativa specifica sia stato
modesto; in termini strettamente numerici è vero, ma del resto in un’economia che vede attive
12.000 imprese sociali in forma cooperativa non si poteva certo aspettare un’esplosione del
fenomeno. Ora si lavora ad un aggiornamento della norma e siamo certi che permetterà di fare
ulteriori passi in avanti.
Ci auguriamo serva a incoraggiare le migliaia di organizzazioni dell’economia sociale, che ancora
non l’hanno fatto, a scegliere la via dell’impresa sociale.
Possiamo quindi osservare che la legislazione italiana ha saputo cogliere il potenziale innovativo
che le cooperative sociali stavano interpretando, ora è tempo che si riesca ad interpretare la
nuova stagione dell’impresa sociale..
Ma il risultato più importante che le date (la storia) e i dati (la consistenza) del fenomeno
dimostrano chiaramente che si è trattato di un successo che non si è determinato a seguito del
riconoscimento giuridico, né tantomeno è arrivato per effetto di flussi di finanza esterni che hanno
sostenuto investimenti. Si è trattato invece di un fenomeno sociale, nel vero senso della parola, di
un movimento di promozione dal basso, di un processo di partecipazione e di appropriazione della
dimensione economica ed imprenditoriale realizzata prevalentemente, se non esclusivamente, da
cittadini che si univano per affrontare problemi sociali.
In questo senso è stata una formidabile esperienza di innovazione sociale che è diventata
innovazione istituzionale e che continua ad avere un potenziale da spendere. I dati ci confortano
da questo punto di vista.
Secondo il Censimento dell’Istituto Italiano di Statistica (ISTAT) del 2011, negli ultimi 10 anni il
numero delle cooperative sociali è raddoppiato, da meno di 6000 a quasi 12.000 imprese attive
censite, così come a livello occupazionale i lavoratori sono più che raddoppiati, dato che fa delle
imprese sociali il settore che ha tenuto l’occupazione nel nostro Paese: complessivamente dal
2001 al 2011 in Italia, la cooperazione sociale ha contribuito per il 38% al saldo occupazionale
complessivo in Italia. Inoltre le cooperative sociali hanno continuato a crescere significativamente
negli anni della crisi sia per numero di imprese, sia per occupati.
Le imprese sociali in forma cooperativa raggiungono oltre 7 milioni di utenti beneficiari dei servizi,
su tutto il territorio nazionale.
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Gli occupati, nelle cooperative sociali dell’Alleanza delle Cooperative Sociali Italiane, sono oltre
375mila e rappresentano oltre il 25% dell’occupazione complessiva del settore sociale in Italia. I
soci sono oltre 385mila. Mentre più di 40.000 i volontari, a testimonianza di un’origine che affonda
le radici nell’associazionismo e nel volontariato.
Nelle cooperative sociali di inserimento lavorativo sono occupate più di 35.000 persone
svantaggiate, circa la metà sono lavoratori con disabilità. Sono impiegati il 7,5% del totale di quelli
che lavorano in Italia, questo comporta che i lavoratori disabili sono occupati dalle cooperative
sociali in misura 25 volte superiore alle altre imprese.
Tuttavia non ci stanchiamo di ripetere che, oltre alle leggi specifiche, per “liberare” il potenziale
delle imprese sociali servono anche delle “politiche di sistema per i beni comuni” che, al di la del
riconoscimento giuridico, aprano spazi di mercato.
Per le cooperative sociali italiane questo processo è stato realizzato in conseguenza della
trasformazione dei sistemi di welfare pubblici che ha stimolato la capacità ideativa delle imprese e
degli amministratori che hanno determinato la crescita che i dati che ho ricordato testimoniano.
Ma è stato necessario anche ideare delle forme di regolazione dei mercati che aprissero spazi di
movimento. Un esempio può essere emblematico: nel 1991 l’Italia ha introdotto, nel sistema degli
appalti pubblici, il primo esempio europeo di clausole sociali per l’inserimento lavorativo di
persone svantaggiate e disabili con l’art. 5 della legge 381/1991.
Successivamente la Commissione europea avviò una procedura di infrazione e l’Italia fu costretta a
ridimensionare le previsioni delle clausole sociali. Oggi quelle previsioni sono presenti nelle nuove
direttive appalti e concessioni, approvate nel gennaio di quest’anno, riconosciute quindi anche
come modello, e pertanto L’Italia nel recepirle potrà di fatto reintrodurre le norme abrogate nel
1996. Si sono persi 20 anni!
E potremmo fare altrettanti esempi sull’obbligo di non usare il metodo del massimo ribasso negli
appalti, che ora nelle nuove direttive europee è finalmente previsto per i servizi sociali!
Ma oltre a questo è importante mettere in risalto altri fattori che hanno favorito questo successo
e che possono essere importanti per assicurare altrettanto successo alle nuove imprese sociali,
mettendo in campo nuova capacità di fare innovazione sociale. Ne possiamo indicare almeno
cinque:
1) Occorre avere un orizzonte di senso e un desiderio di un mondo migliore; può apparire
retorico o poetico, ma è un fattore vincente decisivo, perché ci consente di poter dire che
abbiamo un’idea di Paese, di Europa e di società che vede la solidarietà e la giustizia sociale
come orizzonti a cui tendere sempre. Ed è vincente perché non è un sogno fondato su valori
effimeri, ma un desiderio di solidarietà che si sviluppa con uno stretto legame con
l’economia reale per organizzare in forma di impresa la solidarietà.
2) Promuovere un modello economico e distributivo più equo e partecipato, finalizzato a
ridurre le diseguaglianze nell’accesso e nella ripartizione delle risorse, a cominciare dalla
ricchezza prodotta col lavoro, nonché della stessa risorsa lavoro. Molti studi dimostrano che
dove c’è diseguaglianza c’è anche meno innovazione, dove la mobilità sociale è bloccata c’è
meno crescita. La cooperazione è uno dei rari casi in cui invece è ancora possibile costruire
storie di riscatto sociale. Potremmo portare qui decine di storie di vita di lavoratoriimprenditori delle cooperative sociali di inserimento lavorativo, approdati come tirocinanti o
inserimenti lavorativi e oggi diventati dirigenti o responsabili di progetti.
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3) Lo strumento delle riserve indivisibili delle cooperative che non possono essere ridistribuite
né durante la vita, né allo scioglimento della cooperativa, incoraggia il reinvestimento delle
riserve e degli utili nell’attività d’impresa, serve a dare forza e sostegno alla cooperativa per
affrontare progetti di sviluppo o resistere a momenti di difficoltà. Per questo insistiamo
affinché meccanismi analoghi siano previsti anche per le imprese sociali. Questo strumento
ha contribuito in modo eccezionale alla crescita e al consolidamento delle cooperative sociali
italiane.
4) La capacità di coinvolgimento dei soci lavoratori e la loro partecipazione nelle scelte e negli
orientamenti aziendali. Sentire l’attività realizzata come la propria attività ed i mezzi con i
quali la si svolge i propri mezzi, è un fattore motivazionale importante ed uno stimolo al
miglioramento di se stessi, che fa della partecipazione un’occasione di crescita personale.
Certo non serve essere cooperativa per farlo, così come non basta essere cooperativa per
assicurare il coinvolgimento dei lavoratori. Però partecipazione e motivazione sono
indispensabili per un’impresa di successo.
5) Il radicamento territoriale e il coinvolgimento dei vari portatori d’interesse delle comunità:
utenti in primo luogo, associazioni di volontariato, enti pubblici e altre imprese cooperative,
ma non solo. Anche con le imprese ordinare e le istituzioni economiche. È nel territorio che
abitano le persone e dove si esprimono le esigenze e si coltivano le risorse e i fattori
produttivi essenziali per rispondere alla domanda sociale. Per essere imprenditori sociali
occorre abitare i territori, non colonizzarli, serve viverli e farsi appartenere.
Per questo occorre guardare con grande interesse anche alle nuove frontiere che alcuni
cooperatori sociali stanno aprendo costituendo nuove imprese partecipate da soggettività
imprenditoriali diverse, in una recente ricerca queste nuove imprese sono state denominate
ibridi organizzativi, altri le definiscono imprese sociali di seconda generazione, ma l’aspetto
più significativo è che sono esperienze nate dalla capacita di persone e imprese di leggere i
fenomeni sociali che accadono intorno a loro e di “combinare” ingredienti diversi per dare
vita a risposte concrete ai bisogni delle persone e delle comunità.
Questo alla fine significa fare Impresa sociale!
L’obiettivo di sostenere lo sviluppo, di fare ulteriormente “decollare” l’imprenditoria sociale, in
Italia e in Europa, è dunque per noi pienamente condivisibile.
Auspichiamo quindi che le Istituzione Europee diano continuità ai percorsi avviati, e raccolgano le
proposte che scaturiranno dalla Conferenza di Roma per darvi corso.
L’economia sociale potrà liberare il proprio potenziale a condizioni che ci sia uno scatto in avanti
sul potenziamento delle politiche di welfare e delle politiche attive per l’occupazione.
Oggi è necessario in primo luogo un cambio di paradigma per l’Unione Europea, occorre che i
finanziamenti destinati ai beni comuni e alle politiche sociali siano considerati investimenti, non
spesa! Spesso qualcuno ci ricorda che in Europa consumiamo il 50% del “welfare mondiale”. Le
imprese sociali sono qui a ricordare che nella nostra Europa le Imprese sociali contribuiscano alla
produzione del 50% del welfare mondiale occupando 14 milioni di lavoratori!
Le Istituzioni europee devono riconoscere che la crescita e il progresso dell’Europa e
dell’economia non si possono realizzare senza equità e giustizia; dobbiamo affermare con forza
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che la coesione sociale è un fattore di sviluppo e per tanto le organizzazioni dell'economia sociale,
che perseguono una migliore “diffusione pubblica dei benefici”, sono indispensabili per costruire
la dimensione sociale dell’Europa che vogliamo.
Serve realizzare una “politica industriale europea” per lo sviluppo dell’economia sociale con una
nuova politica europea sui beni pubblici e i beni comuni che sono l’ambito principale per la
crescita delle imprese sociali.
La questione non può essere affrontata solo in base alle regole comunitarie sul diritto della
concorrenza, come in passato spesso hanno fatto vari organismi dell’Unione Europea, a scapito di
altri principi comunitari che devono avere la medesima importanza: equità e giustizia per la
coesione sociale in primo piano.
L’agenda europea deve integrare le specificità delle organizzazioni dell’economia sociale
continuando a migliorare il regime sugli aiuti di stato; introducendo una specificità per le imprese
sociali nella revisione della normativa IVA; agendo sui regolamenti in materia di enti pubblici ed
esenzioni fiscali per attività di interesse pubblico e quello sui servizi di interesse generale.
Da qualche giorno mi vado chiedendo se siano più discorsive della concorrenza le esenzioni
sull’imposta degli immobili per il non profit, l’IVA al 4% sulle prestazioni sociali applicata in Italia,
oppure la normativa fiscale che ha incentivato molte grandi imprese ad insediarsi in Lussemburgo.
Per questo va livellato il campo di gioco, per permettere a tutti di giocare a parità condizioni e a
fronte di caratteristiche diverse, va prevista la possibilità di regimi articolati che valorizzino la
diversità delle forme di impresa anche fra le stesse forme di impresa sociale.
L'economia sociale potrà sviluppare tutto il proprio potenziale se potrà beneficiare di condizioni
politiche, legislative e operative adeguate, tenendo in considerazione la ricchezza rappresentata
dalla diversità delle organizzazioni dell'economia sociale e dalle loro specificità.
Roma, 18 Novembre 2014.
Conferenza Europea “Liberare il potenziale dell’Economia Sociale – Intervento di Giuseppe Guerini –Roma 18 novembre 2014
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