Ibm alla prova del rebranding - Corriere delle comunicazioni

DELLE
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n°12. 7 luglio 2014
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31
à
Aziende
&
Mercati
NEWBUSINESS STRATEGIE FINANZA
Ibm alla prova del rebranding
Curry: «Profonda trasformazione in nome della semplicità. Ci vuole più appeal»
Michael Curry è ha capo del product
management di WebSphere, l’insieme dei
software middleware applicativi e integrativi utilizzati dai clienti Ibm per costruire i
software o per collegare software diversi.
È il “vecchio mondo”, ma dalla sua finestra
Curry vede molto bene il nuovo mondo del
cloud, che anche WebSphere sta contribuendo a costruire.
Curry c’è il rischio che WebSphere
possa scomparire dal suo biglietto da
visita?
Quali sono i temi chiave in questo momento?
Cloud è un tema molto importante, un
altro è il mobile. L’intersezione tra mobile
e cloud è fondamentale, perché è dove vediamo molti investimenti dei nostri clienti,
che cercano di raggiungere i consumatori in
maniera coerente su tutti i canali, incluso il
mobile. Serve a creare una esperienza coerente per i loro clienti: vogliono cominciare
un acquisto online e poi entrare nel negozio
e trovare un commesso che li segua da quel
punto, che sappia già tutto quel che hanno
fatto.
Il cloud è un’estensione
di ciò che facciamo
Per le aziende-clienti
niente scossoni
Determinante
l’ecosistema dei partner
per diffondere
le soluzioni più adatte
ANTONIODINI
Non è un rischio e comunque, chi può
dirlo? Oggi Ibm è in una fase di profonda
trasformazione. C’è stata una scelta deliberata di rebranding: tutto quello che prima
era software WebSphere, Tivoli e via dicendo adesso è diventato Ibm Software, più
semplice, diretto e con appeal maggiore.
Rimane tutto uguale, solo con un nome diverso?
No, molte linee di prodotti che avevano senso adesso non lo hanno più. Stiamo
cambiando nomi e ci stiamo focalizzando
su una serie di attività specifiche.
Il business model della sua divisione,
WebSphere, ha ancora senso?
Assolutamente sì. Il cloud è una estensione di quello che facciamo. Molte delle
michael curry
L’intersezione
mobile-cloud cruciale
Gli investimenti
in questa direzione
cose le stiamo muovendo subito nel cloud,
altre le muoveremo più avanti e forse altre
mai. L’obiettivo è dare alle aziende clienti
una fondazione consistente attraverso un
passaggio continuo, da “on premises” a
“cloud based”, senza scossoni, a prescindere dal modo di deployment scelto. Una
transizione senza soluzioni di continuità.
a capo del
product management di
WebSphere
Questo tipo di scenario richiede che il
cloud faccia tutto?
Certo. Il cloud è il centro: i dati diventano fruibili attraverso una serie di canali
molto ampi, si possono fare i Big Data e
analizzarli. Tenendo tutto assieme in un
contesto mobile. Infatti adesso il nostro
lavoro è abilitare le aziende a portare sul
mobile le sue app velocemente, e a usarle
grazie al cloud.
Ma le aziende come possono arrivare
tutto d’un tratto a un livello così elevato
di integrazione?
È un’ottima domanda. Nel mondo reale molte aziende sono indietro, hanno silos con dati diversi e separati, mancano i
soldi, le persone, le risorse, le competenze
per progetti che mettano tutto assieme, anche perché molti software sono complessi
e “fatti in casa”, difficili da modificare. Il
nostro approccio si basa sull’idea di assemblare tutto nel cloud, nella sua centralità,
nell’esposizione delle interfacce di programmazione, le Api, tramite la rete. E per
questo immagino ci sia la possibilità di fare
un salto in avanti e gestire il nuovo mondo
più velocemente. Come se le aziende potessero andare un anno avanti a scuola.
Il cloud fa risparmiare soldi o è un
modo per abilitare new business model?
I primi hanno trattato il cloud come
una cosa differente dai sistemi, che permetteva di risparmiare soldi perché faceva
risparmiare sul costo dell’hardware e del
software. Adesso la visione è differente: il
cloud è una estensione delle cose esistenti
in azienda, permette di tenere assieme soluzioni diverse: da quelle che gestiscono le
anagrafiche clienti e i prodotti a quelle che
fanno girare le iniziative di marketing o i
sistemi di gestione della clientela. Adesso
i clienti possono mettere assieme soluzioni
che guardano al tempo stesso tutte le cose,
integrando in maniera più facile, veloce e
sicura grazie a BlueMix.
Quale il ruolo dei partner?
È centrale, è il posto dove c’è l’innovazione. Quando sei parte di una Api Economy, non devi avere tutta l’innovazione
nella tua azienda. Una parte viene da fuori, ma la cosa importante è che tu ne puoi
trarre vantaggio. Serve intelligenza e saper
scegliere partner e soluzioni adatte, ma le
potenzialità sono enormi. Il ruolo di Ibm
adesso è abilitare tutto questo e fornire un
aiuto alle aziende a capire come navigare
questo mercato. È un Far west, noi non abbiamo l’obiettivo di dare la governance ma
di fornire un feedback qualificato. E Ibm
ha un certo peso per quello che dice sulla
tecnologia.
[ Scenari ]
I dati il nuovo petrolio da sfruttare
Investire in innovazione e nuove tecnologie permette di rafforzare il proprio business
Ha appena compiuto cento anni
ma la voglia di cambiare ancora non
gli è passata. Ad esempio il cloud, che
nella sua declinazione di “pubblico”,
cioè esterno al datacenter aziendale,
per la “vecchia” Ibm sarebbe stata
una eresia per la vecchia, mentre oggi
è l’Eldorado da sedurre e conquistare
per la nuova Big Blue. Dopotutto “la
crescita di Ibm negli ultimi tempi sottolinea Nancy Pearson Vp con responsabilità per il cloud - oggi al 50%
viene dal cloud e quindi dalla nostra
capacità di reinventarci, non solo di
ripresentare le cose del passato”.
Cosa c’è alla base della nuova
strategia? “Crediamo in un futuro
- dice Robert LeBlanc, senior Vp
software e cloud dell’azienda - in
cui è necessario reinventarsi in maniera incessante”. Gli fa eco Marie
Wieck general manager MobileFirst
Initiative: “Siamo entrati nell’era in
cui i dati sono il nuovo petrolio, una
risorsa naturale da sfruttare”. Ibm si
reinventa di nuovo con il cloud pubblico ma anche con il mobile e i social media. LeBlanc e Wieck, come
marescialli a capo di armate napoleoniche, guidano la parte “software”,
pivot della trasformazione complessiva. “Ibm - dice LeBlanc - sta investendo moltissimo in innovazione
e nuove tecnologie anche in questo
settore”. Diciassette acquisizioni in
quattro anni per un totale di 7 miliardi di dollari solo nel settore cloud,
1.560 brevetti relativi al cloud per
poter afferrare una fetta della torta
del cloud da 250 miliardi di dollari.
Ibm ha lanciato il Cloud Marketplace, il nuovo punto unico dove
adesso sono tutte le app e i software
di Big Blue. A partire dalle 100 app
per il SaaS (Software as a service)
fino alla nuova offerta PaaS (Platoform as a service) basata su BlueMix
e al pacchetto IaaS (Infrastructure
as a service) che gira su SoftLayer.
Ciascun segmento ha un pubblico di
riferimento: Biz (area manageriale)
per il SaaS, Dev (area sviluppo) per
il PaaS e Ops (operazioni tecnologiche) per la IaaS.
È la mossa che Ibm ritiene chiave
per aprire il mondo del cloud pubblico dominato da fornitori come
Amazon, dopo che l’azienda ha già
un forte peso nel settore del cloud
privato “on premises”. Ad abilitarla è
stata l’acquisizione di SoftLayer. La
piccola azienda di Dallas è la pietra
angolare sulla quale poggia la tecnologia cloud pubblico di Ibm e quindi
la sua strategia verso la parte bassa e
più ampia del mercato.
“In meno di un anno - dice Sean
Poulley, Senior Vp del Datawarehouse e Information management
- grazie a SoftLayer e poi a Cloudant
possiamo aiutare i nostri clienti a
trarre vantaggio in tempi rapidissimi
dai Big Data, dal cloud e dal mobile”. Ibm ha così creato un “mercato
del cloud d’impresa”, un hub centrale in cui le aziende possono accedere
e cercare, sperimentare ed eventualmente utilizzare tutte le funzionalità
“as a service” di Ibm stessa e dei suoi
partner. Ibm a marzo ha anche pianificato anche investimenti per un miliardo di dollari in tecnologie cloud.
Tuttavia, la svolta verso il cloud
pubblico e quello ibrido di Ibm non
è certo un addio all’hardware tradizionale con i nuovi processori Power8, anche se l’azienda sta razionalizzando la sua offerta. Dai nuovi
sistemi Pure, che hanno funzionalità
aggregate per il cloud per consolidare i centri calcolo nell’ottica anche
del risparmio di spesa, a Worklight.
Quest’ultimo il software che consente agli sviluppatori delle aziende
clienti di realizzare app mobili una
volta sola per tutte le piattaforme in
commercio. Infatti Ibm ha ripensato
il modello di sviluppo dei software
da parte dei suoi clienti: “Non è più
la teoria del Big Bang - dice Wieckma quella dei building blocks: costruire le nuove app in modo sicuro,
flessibile e con tempi di sviluppo
molto veloci”. Un cambiamento per
rompere i silos in cui sono chiusi i
dati e semplificare il cloud, inteso
adesso come centro attorno al quale
far ruotare l’IT delle azienda. “Ed è
quello che abilita il Design thinking,
per far crescere una cultura che incoraggia innovazione e cambiamento”.
A.D.