Power Thoughts: 12 Strategies to Win the Battle of the Mind

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APPROFONDIMENTI E PROCEDURE
CONTRATTI A TEMPO
DETERMINATO JOBS ACT TRA
LIMITI E LIBERALIZZAZIONI LE
MODIFICHE DEL D.L. 34/2014
A cura di
Luca Furfaro
Consulente del lavoro in
Torino
Premessa
Ottobre 2014
Il Jobs Act vuole essere un piano articolato di riforma del mercato del lavoro, alla luce delle conversione con modificazioni del D.L. 20/03/2014, n. 34,
si procede ad analizzare le modifiche al contratto a termine focalizzando
l’attenzione sui punti della riforma riguardanti eliminazione della causale,
limiti quantitativi, proroghe e rinnovi di contratto.
In Gazzetta Ufficiale del 19/05/2014 n. 114 è stata pubblicata la L. 16/05/2014, n. 78, legge per la conversione
con modificazioni del D.L. 20/03/2014, n. 34, il cd. Jobs Act.
Occorre dire che la legge di conversione rimanda ad una
revisione più ampia ed articolata del contratto di lavoro
“Considerata la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle
more dell’adozione di un Testo Unico semplificato della disciplina dei rapporti
di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l’attuale articolazione delle tipologie
di contratti di lavoro […]”, questa “premessa” pare indicarci una via, ora
in discussione, per l'introduzione di una forma di tutela della stabilità
lavorativa crescente al crescere dell'anzianità aziendale. Percorso che
non può prescindere, quindi, da modifica o revisione dello stato dei lavoratori e dal famigerato art. 18.
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Contratti a tempo determinato - jobs act tra limiti
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Eliminazione della
causale dai contratti a
tempo determinato
Tra le molte novità introdotte dal D.L. 34/2014 così come convertito
con modifiche in L. 78/2014 vi è anche un ampia revisione del contratto a tempo determinato, cuore di questa revisione è l'eliminazione
della causale.
Prima dell’entrata in vigore del decreto era possibile l’apposizione di
un contratto a tempo determinato purchè sussistessero delle ragioni
di carattere:
- tecnico;
- produttivo;
- organizzativo;
- sostitutivo.
Partendo dall’assunto datoci dall’art. 1, D.Lgs. 06/09/2001, n. 368 “Il
contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” tali ragioni servivano al datore di lavoro per giustificare il ricorso
al tempo determinato, la mancanza, o la non concretezza delle stesse
comportava la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un “normale” rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato.
La Corte di Cassazione ha affermato, con Sentenza n. 5240 del 02/04/2012, che nei contratti di
lavoro a tempo determinato l’apposizione illegittima della clausola a termine determina una nullità
assoluta; ciò significa che essa può essere impugnata dal lavoratore in qualsiasi momento se il datore di lavoro non prova che la risoluzione sia stata consensuale
Il D.L. 78/2014 in questo caso semplifica procedendo all’eliminazione
dei riferimenti circa le ragioni di carattere tecnico produttivo previste all’articolo 1 e dichiarando molto semplicemente che “E consentita
l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato”,
di conseguenza viene completamente soppresso l’art. 1-bis introdotto
con la riforma Fornero che prevedeva la possibilità della stipula di un
contratto di “prova” acausale.
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Art 1 - Apposizione del termine Pre-Jobs Act Art. 1 - Apposizione del termine Post- Jobs Act
01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato costituisce la forma comune di
rapporto di lavoro.
1. è consentita l’apposizione di un termine alla
durata del contratto di lavoro subordinato a
fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla
ordinaria attività del datore di lavoro.
1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non è
richiesto:
a) nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore
a dodici mesi comprensiva di eventuale
proroga, concluso fra un datore di lavoro o
utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia
nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di
un lavoratore nell’ambito di un contratto
di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276;
b) in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati
dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
2. L’apposizione del termine è priva di effetto
se non risulta, direttamente o indirettamente, da
atto scritto nel quale sono specificate le ragioni
di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto
dal comma 1-bis relativamente alla non operatività del requisito della sussistenza di ragioni di
carattere tecnico, organizzativo, produttivo o
sostitutivo.
3. Copia dell’atto scritto deve essere consegnata
dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque
giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
4. La scrittura non è tuttavia necessaria quando
la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni.
01. Il contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato costituisce la forma comune di
rapporto di lavoro.
1. è consentita l’apposizione di un termine alla
durata del contratto di lavoro subordinato di
durata non superiore a trentasei mesi,
comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo
di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito
di un contratto di somministrazione a
tempo determinato ai sensi del comma 4
dell’articolo 20 del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, il
numero complessivo di contratti a tempo
determinato stipulati da ciascun datore di
lavoro ai sensi del presente articolo non
può eccedere il limite del 20 per cento del
numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell’anno di
assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre
possibile stipulare un contratto di lavoro
a tempo determinato.
1-bis. Comma abrogato dal D.L. 20 marzo
2014, n. 34, convertito con modificazioni
dalla L. 16 maggio 2014, n. 78.
2. L’apposizione del termine di cui al comma 1 è priva di
effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto
scritto.
3. Copia dell’atto scritto deve essere consegnata
dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque
giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
4. La scrittura non è tuttavia necessaria quando
la durata del
rapporto di lavoro, puramente occasionale, non
sia superiore a dodici
giorni.
Venendo meno la necessità di una causale, la conversione in contratto
a tempo indeterminato potrà avvenire solo in mancanza della necessaria forma scritta (v. Circolare Ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 42/2012) o nei casi di superamento dei limiti massimi temporali.
È in ogni caso opportuno in alcuni casi che si espliciti la causale motivante il ricorso a tale fattispecie, ad esempio per ragioni di carattere
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sostitutivo o stagionale, sia per una flessibilità necessaria del termine
(si pensi alla sostituzione di maternità con incertezza sulla data di rientro) sia per la possibilità di non applicazione dei limiti quantitativi
fissati dalla legge o dal CCNL.
I limiti del
contratto di lavoro a
tempo determinato
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Se da una parte il decreto semplifica e liberalizza eliminando la causale, dall’altro semplifica e vincola introducendo un limite massimo alla
durata del contratto a tempo determinato, tale limite è fissato ai 36
mesi complessivi, comprese le eventuali proroghe e prescindere dalle
mansioni esercitate dal lavoratore.
Il superamento dei suddetti limiti comporta l’instaurazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, per questo motivo occorre
prestare attenzione alla stipulazione di contratti con il termine collegato al verificarsi di un determinato evento, quali ad esempio contratti a tempo determinato per sostituzione di lavoratori assenti, difatti,
laddove l’evento di termine, in questo caso il ritorno del lavoratore
assente, non dovesse verificarsi nell’arco dei 36 mesi, il contratto sarebbe automaticamente trasformato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
I rapporti di lavoro instaurati con il personale dirigente possono essere stipulati anche per un periodo superiore ai 36 mesi, ma devono
comunque rientrare nei limiti indicati nell’art. 10, co. 4, D.Lgs. 368/2001
“È consentita la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, purchè di durata non superiore a cinque anni, con i dirigenti, i quali possono
comunque recedere da essi trascorso un triennio e osservata la disposizione
dell’articolo 2118 del codice civile”.
L’ulteriore limite è previsto all’art. 1, D.Lgs. 368/2001 così come modificato che prevede che “… il numero complessivo di contratti a tempo
determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a
tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione”.
Il limite risulta quindi stringente rispetto alla normativa precedente,
che se da un lato vincolava ad una causale di ricorso al tempo determinato, dall’altro non poneva limiti precisi al numero di lavoratori che
potevano essere assunti con tale formula.
Il limite percentuale del 20% va calcolato sul numero dei lavoratori
a tempo indeterminato in forza alla data del 1° gennaio dell’anno di
stipula del contratto ovvero, per le attività iniziate durante l’anno, alla
data di assunzione del primo lavoratore a termine.
Ai fini di tale conteggio, quale base di calcolo del limite percentuale,
dovremo quindi considerare nel personale in forza i rapporti di lavoro
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subordinato, escludendo quindi parasubordinati, autonomi ed associati
in partecipazione, computando solo i rapporti di lavoro “stabili”.
In questo caso tra i rapporti di lavoro “stabili” possono essere compresi gli apprendisti, i dirigenti a tempo indeterminato ed i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato con indennità di disponibilità,
questi ultimi da computarsi secondo quanto previsto dalla disciplina di
cui all’art. 39, D.Lgs. 276/2003 ossia in base all’orario di lavoro svolto
nell’arco di ciascun semestre.
In tale computo rientrano anche i lavoratori indeterminati part-time
che secondo le indicazioni date dal Ministero del Lavoro nella Circolare 30/07/2014, n. 18, devono essere conteggiati in proporzione all’orario svolto rispetto al tempo pieno come previsto dalla disciplina di
cui all’art. 6, D.Lgs. 61/2000.
La stessa Circolare afferma che “Qualora la percentuale del 20% dia
luogo ad un numero decimale, il datore di lavoro potrà effettuare un arrotondamento all’unità superiore qualora il decimale si uguale o superiore a
0,5...” tale indicazione fornita dal Ministero non si ritrova nella norma
di riferimento e rimane frutto di un semplice commento amministrativo, diversa interpretazione potrebbe essere quella di utilizzare, anche
in questo caso, i dettami dell’art. 6, D.Lgs. 61/2000 per conteggiare i
lavoratori part-time in base all’orario effettivamente svolto, coerentemente con quanto indicato per la base di calcolo del limite.
Nelle more di un chiarimento normativo il conteggio dei lavoratori
assumibili “per teste” risulta quello più cautelativo.
Tale limite percentuale vale per tutti i datori di lavoro che occupano
più di 5 dipendenti, mentre per quelli sino a 5 dipendenti è comunque
possibile assumere un lavoratore a tempo determinato.
Avendo come riferimento per la verifica del limite il 1° gennaio dell’anno di assunzione, non è rilevante la diminuzione nel corso dell’anno
del personale dipendente, che di fatto non altera le possibilità di assunzioni con apposizione del termine.
Facendo un esempio potremmo trovarci nella situazione di un datore di lavoro che al 1° gennaio del 2014 ha un organico “stabile” di 35
lavoratori che danno allo stesso la possibilità di assumere fino ad un
massimo di 7 lavoratori (35 * 20%= 7).
Lo stesso datore effettua 3 assunzioni di personale a tempo determinato nel mese di maggio, mentre nel mese di giugno 5 dipendenti a
tempo indeterminato cessano il proprio rapporto di lavoro portando l’organico stabile a 30 lavoratori seppure il nuovo organico non lo
permetta l’azienda ha ancora a disposizione 4 assunzioni a tempo determinato da effettuare prima del 31 dicembre.
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Al 1° gennaio del 2015 però, con situazione inalterata, e organico stabile a 30 lavoratori e 7 lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, ci si troverebbe con un esubero di un lavoratore a tempo
determinato rispetto ai limiti percentuali di legge (30* 20% = 6).
L’articolo 1 nell’indicare i limiti quantitativi rimanda alle possibili deroghe ai sensi dell’art. 10, co. 7, D.Lgs. 368/2001, demandando di fatto
alla contrattazione collettiva nazionale la possibilità di derogare alla
soglia del 20%.
Il limite legale è quindi applicabile solo in via subordinata all’intervento delle parti sociali in merito, che possono derogare rispetto sia allo
stesso limite che alla base per il computo cui riferire lo stesso.
Alla luce di quanto espresso nella legge di conversione all’art. 2-bis, co.
2 “In sede di prima applicazione del limite percentuale di cui all’articolo 1,
comma 1, secondo periodo del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368,
introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera a), del presente decreto, conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro”, si ritiene quindi che i limiti già fissati dai
contratti collettivi possano già essere utilizzati in deroga ai limiti legali,
questo in attesa che tutti i contratti collettivi stabiliscano la necessità
o meno di regolamentare questo istituto.
Il limite percentuale legale o anche derivante da contrattazione collettiva non si applica ai contratti di lavoro a termine stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori che
svolgono attività rientranti nel campo di ricerca o assistenza tecnica/
scientifica, continuano inoltre a valere le esenzioni dai limiti previste
dall’art. 10, co. 7, relativi alle seguenti casistiche:
- nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme
con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
- per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese
le attività già previste dell’elenco allegato al D. P.R. 07/10/1963,
n. 1525, e successive modificazioni;
- per specifici spettacoli o specifici programmi radiofonici o televisivi;
- con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Sono inoltre esenti da limitazioni quantitative anche i contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 28, D.L. 179/2012 da parte di start-up
innovative.
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Come già anticipato, per queste casistiche occorre che il contratto di
lavoro a tempo determinato, stipulato per iscritto, preveda la causale
di ricorso allo stesso.
Non rientrano in ogni caso le assunzioni di personale disabile a tempo
determinato effettuate ai sensi dell’art. 11, L. 68/1999 e le acquisizioni
di personale per trasferimenti d’azienda o cambi d’appalto.
Proroga del contratto
di lavoro a termine
Un ulteriore punto focale di questa riforma si può ritrovare anche
nell’istituto della proroga del contratto a termine, con le modifiche
apportate anche dalla legge di conversione all’art. 4, Decreto 368/2001.
Art 4 - Disciplina della proroga Pre-Jobs Act Art. 4 - Disciplina della proroga Post-Jobs Act
1. Il termine del contratto a tempo determinato
può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la
proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale
il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la
durata complessiva del rapporto a termine non
potrà essere superiore ai tre anni.
2. L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale
proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro.
1. Il termine del contratto a tempo determinato
può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le
proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di cinque volte, nell’arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi, a condizione
che si riferiscano alla stessa attività lavorativa
per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.
2. Comma abrogato dal D.L. 20/03/2014,
n. 34, convertito con modificazioni dalla
L. 16/05/2014, n. 78.
La proroga quindi non è più ammessa una sola volta ma può arrivare
sino ad un massimo di 5 volte, sempre rimanendo nel limite massimo
dei 36 mesi totali, potremo quindi avere per esempio un contratto di
6 mesi prorogato per 5 volte, ma non tragga in errore l’esempio, le
proroghe possono avere durata completamente scollegata dal contratto iniziale.
Il limite delle 5 proroghe non si riferisce ad ogni singolo contratto
stipulato ma all’intero periodo massimo dei 36 mesi quindi qualora si
stipuli un primo contratto a tempo determinato, che comprese le proroghe arrivi ad una durata di 18 mesi, vi sarà si la possibilità di stipulare
ulteriori contratti a tempo determinato sino a raggiungere i 36 mesi,
ma non sarà più possibile prorogare tali contratti.
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Rinnovi del contratto
di lavoro a tempo
determinato
A differenza della proroga il rinnovo del contratto non ha subìto rilevanti variazioni rispetto a quanto precedentemente previsto, il rinnovo consiste nella stipula con lo stesso datore di un nuovo contratto a
tempo determinato, tale secondo contratto dovrà quindi attendere il
cosiddetto “Stop and go”.
Per non incorrere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è
necessario che tra il primo ed il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali trascorra:
- un intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
- un intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Tali rinnovi sottostanno in ogni caso al limite massimo dei 36 mesi
previsto per la sommatoria di tutti i contratti a tempo determinato.
Il conteggio dei diversi periodi di lavoro a tempo determinato deve avvenire tenendo conto che gli stessi devono avere avuto ad oggetto la
medesima mansione comprendendo anche i periodi di missione svolte
presso lo stesso datore di lavoro/utilizzatore.
In sede di avvio di una somministrazione di lavoro invece non deve essere verificato se precedentemente sono stati avviati periodi di lavoro
a tempo determinato, come d’altronde indica anche lo stesso Ministero del Lavoro nell’interpello 32/2012.
Sanzioni per
superamento del
limiti quantitativi
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La violazione del nuovo limite quantitativo ha, dalla data di entrata in
vigore della Legge di conversione 20 maggio 2014 la specifica sanzione
amministrativa.
In caso di violazione del limite per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:
- pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di
mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite
percentuale non sia superiore a uno;
- pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di
mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite
percentuale sia superiore a uno.
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La retribuzione da prendere a base per il calcolo della sanzione, così
come evidenziato nella già citata Circolare 18 del Ministero del Lavoro, è quella lorda spettante all’ultimo lavoratore assunto in ordine di
tempo.
Va ricordato che la sanzione non si applica per i rapporti di lavoro
instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto
legge che comportano il superamento del limite percentuale.
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