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Programma di Sviluppo Rurale della Regione Molise 2007/2013
Pubblicazione bando attuativo Misura 1.2.4 2007/2013
( DDG n°595 del 8 Ottobre 2010)
CUP: D37E11000170007
Titolo ed acronimo del Progetto
UN MODELLO DI DIVERSIFICAZIONE
DEI PRODOTTI DEL MOLISE
Acronimo “ARIA DI MOLISE”
Latte Nobile Molisano
STUDIO DI MERCATO E DI FATTIBILITA’ DEL SETTORE LATTIERO-CASEARIO
FINALIZZATO ALL’INTRODUZIONE DI NUOVI PRODOTTI, PROCESSI, TECNOLOGIE
VELIA s.r.l per ANFOSC
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SOMMARIO
PREMESSA
PARTE I - ANALISI DI PRODOTTO
1. CORE PRODUCT ANALYSIS: IL LATTE
1.1 CARATTERISTICHE E PROPRIETÀ
1.2 I PROCESSI E LE TIPOLOGIE
1.3 IL GRASSO DEL LATTE
1.4 IL GRASSO DEL LATTE NEL LATTE
1.5 COMPOSIZIONE DEL GRASSO DEL LATTE IN BASE AL FORAGGIAMENTO:
FORAGGIAMENTO VERDE E FORAGGIAMENTO SECCO
1.6 AGGIUNTA DI SEMI OLEOSI NEL FORAGGIO
1.7 DETERIORAMENTO DEL GRASSO
1.8 DETERIORAMENTO MECCANICO DEL GRASSO
1.9 DETERIORAMENTO MICROBIOLOGICO DEL GRASSO
1.10 DETERIORAMENTO MECCANICO-TERMICO DEL GRASSO
2. DERIVED PRODUCTS: FORMAGGIO, BURRO, YOGURT
2.1 FORMAGGIO
2.1.1 DEFINIZIONE
2.1.2 CLASSIFICAZIONE
2.1.3 VALORE ALIMENTARE
2.1.4 UN ALIMENTO PER TUTTI
2.2 BURRO
2.2.1 ORIGINI
2.2.2 VALORE NUTRITIVO
2.3 YOGURT
2.3.1 ORIGINI
2.3.2 COS’È LO YOGURT
2.3.3 ASPETTI NUTRIZIONALI
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3 POTENTIAL PRODUCT ANALYSIS: PROCESSI E PRODOTTI SPECIALI
3.1 FRAZIONAMENTO DEL GRASSO DEL LATTE
3.2 PRODOTTI PRIVI DI COLESTEROLO O A BASSO TENORE DI COLESTEROLO
3.3 PRODOTTI A BASSO CONTENUTO CALORICO
3.4 ALTERAZIONI DEI CRISTALLI DEL GRASSO DEL LATTE
4. CONCLUSIONI
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PARTE II INQUADRAMENTO DEL LATTE NEL MERCATO DEI BENI ALIMENTARI E ANALISI DELLE SUE
CARATTERISTICHE, DIMESIONI E REDDITIVITA’
1. UNA VISIONE DEI MERCATI AGRO ALIMENTARI E DELLE PRODUZIONI TIPICHE
1.1 LE DINAMICHE DI MERCATO DEI BENI ALIMENTARI.
1.2 GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE
1.3 TRA SOCIETA’ DEI SAPERI E NUOVA ECONOMIA MATERIALE.
1.4 PRODOTTI TIPICI E PROSPETTIVE DI MERCATO
2. IL MERCATO DEL LATTE
2.1 LA DOMANDA DI LATTE E DERIVATI
2.2 L’OFFERTA DEL MERCATO LATTIERO CASEARIO
2.2.1 L’ANDAMENTO DELLA PRODUZIONE IN ITALIA
2.2.2 ULTERIORI CONSIDERAZIONI
3. LA DIMENSIONE EUROPEA E PROSPETTIVE DEL MERCATO DEL LATTE
3.1 ANDAMENTO DI MERCATO
3.2 LA RIFORMA DELLA PAC
PARTE III STRUTTURA ED ECONOMIA DELLE AZIENDE AGRICOLE MOLISANE
1.1. LE SUPERFICI AZIENDALI
1.2. IL PATRIMONIO ZOOTECNICO
1.3.LE COMPONENTI POSITIVE DELLA GESTIONE TIPICA
1.4. ALCUNE CONSIDERAZIONI.
CONCLUSIONI
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PREMESSA
Nell’ambito del Progetto “Aria del Molise” all’omonima ATS è stato finanziato, tra l’altro, un apposito
studio di mercato volto alla ricerca di nuovi prodotti, processi, tecnologie atti a consentire al settore
lattiero-caseario di uscire dalla profonda crisi nella quale si trova a seguito di diverse e complesse
circostanze.
Tale crisi non è circoscritta al solo ambito nazionale ma riguarda senz’altro l’ambito europeo se non
quello mondiale; ed essa non è di oggi. ma ce la portiamo dietro almeno dal 2008, prova ne sia che in
seguito alla situazione di crisi in cui si è venuto a trovare il mercato lattiero in quell’anno, nell'ottobre
2009 il commissario Mariann Fischer Boel ha istituito un gruppo di esperti di alto livello sul latte,
incaricato di analizzare i provvedimenti da adottare a medio e lungo termine per il settore lattierocaseario in previsione dell'estinzione delle quote latte il 1° aprile 2015. Nel rispetto delle conclusioni
della "Valutazione dello stato di salute della PAC", il Gruppo di Alto Livello -(GAL)-è stato invitato a
esaminare soluzioni normative che possano contribuire a stabilizzare il mercato e i redditi dei
produttori e a migliorare la trasparenza del mercato. Tra ottobre 2009 e giugno 2010 il gruppo si è
riunito dieci volte. In maggio ha presentato una bozza di relazione in cui si riassumevano i risultati dei
lavori e si formulavano alcune raccomandazioni.
Tale relazione, approvata all'unanimità, riflette quanto il GAL, -costituito da rappresentanti degli Stati
membri e presieduto dal direttore generale per l'Agricoltura e lo Sviluppo rurale Jean-Luc Demartyha saputo trarre dai contributi scritti e orali da parte dei maggiori gruppi europei del settore lattierocaseario, oltre a quelli di esperti invitati del mondo accademico, di rappresentanti di Paesi Terzi, della
DG Concorrenza, delle autorità nazionali preposte alla concorrenza e della DG AGRI rispetto a talune
questioni specifiche.
Le raccomandazioni rivolte alla Commissione si formulano su sette punti, rispetto ai quali si vuole
evidenziare l'esortazione a prendere provvedimenti concreti per promuovere un più ampio ricorso ai
contratti scritti nella filiera di approvvigionamento del latte e a esaminare proposte intese a rafforzare
il potere di contrattazione collettiva dei produttori lattieri.
L’attuale Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, Dacian Cioloş, ha dichiarato che:
"Mi complimento per il lavoro del gruppo di alto livello e per la sua relazione. Intendo studiarla in
maniera approfondita per poter presentare proposte legislative entro la fine dell'anno. Il mio
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principale obiettivo è quello di proporre misure a medio e lungo termine che tengano conto degli
insegnamenti tratti dalla crisi dell'anno scorso per strutturare meglio il settore nel suo insieme."
Le raccomandazioni rivolte alla Commissione dal gruppo di alto livello riguardano i seguenti aspetti:
1. i rapporti contrattuali tra produttori e trasformatori di latte: più ampio ricorso ai contratti scritti,
stipulati in anticipo, per disciplinare le consegne di latte crudo (prezzo, volume, scadenze e
durata), promosso attraverso linee guida o una proposta legislativa, eventualmente reso
obbligatorio dagli Stati membri;
2. il potere di contrattazione collettiva dei produttori lattieri: eventuale proposta volta a autorizzare
le organizzazioni di produttori primari di latte a negoziare collettivamente le condizioni
contrattuali, compreso il prezzo, con le centrali del latte. Sia essa permanente o temporanea (ma
di durata sufficientemente lunga), questa misura dovrebbe essere soggetta a riesame;
3. il possibile ruolo delle organizzazioni interprofessionali nel settore lattiero-caseario: esame della
possibilità di trasporre nel settore lattiero-caseario alcune delle disposizioni sulle organizzazioni
interprofessionali attualmente in vigore nel settore ortofrutticolo;
4. la trasparenza nella filiera di approvvigionamento del latte: ulteriore sviluppo dello strumento
europeo di sorveglianza dei prezzi dei prodotti alimentari e possibilità di ottenere maggiori
informazioni (ad esempio sui quantitativi di prodotti lattiero-caseari) tramite Eurostat e gli istituti
statistici nazionali;
5. le misure di mercato e le operazioni a termine: esame di possibili strumenti "compatibili con la
scatola verde" atti a ridurre la volatilità del reddito, eventualmente agevolando anche le
operazioni sui mercati a termine, in particolare mediante programmi di formazione mirati;
6.
le norme di commercializzazione e i marchi di origine: i lavori portati avanti dalla Commissione
in materia di etichettatura dovrebbero soffermarsi sulla fattibilità delle varie opzioni riguardanti
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l'indicazione del "luogo di produzione" per i prodotti lattiero-caseari, cercando menzioni distintive
per i prodotti d'imitazione del latte;
7.
l'innovazione e la ricerca: Il GAL sottolinea l'importanza dell'innovazione e della ricerca ai fini
della competitività del settore lattiero-caseario. Esso invita pertanto la Commissione a proporre un
rafforzamento dell'innovazione nell'ambito della politica agricola comune dopo il 2013, in
particolare nel quadro della politica di sviluppo rurale.
Il GAL invita inoltre la Commissione a migliorare la comunicazione sulle possibilità di innovazione e
ricerca esistenti nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale e dei programmi quadro di ricerca
attualmente in vigore. Il GAL invita gli Stati membri a sfruttare pienamente le possibilità esistenti.
Per quanto riguarda la ricerca, il GAL chiede alle parti interessate di definire priorità chiare in
materia di ricerca nel settore lattiero-caseario per consentire a quest'ultimo di trarre maggiori
vantaggi dai programmi di ricerca nazionali e dal programma quadro di ricerca dell'Unione.
Il settore lattiero-caseario è inoltre invitato a intensificare la propria partecipazione ai lavori in corso
nell'ambito del GAL sulla competitività della catena alimentare, che trattano altresì i temi
dell'innovazione e della ricerca.
A seguito di tali raccomandazioni, ed in particolare della settima, tutti i PSR –compreso quello
molisano- hanno previsto azioni specifiche per aiutare il settore ad uscire dalla crisi. Il Progetto
approvato ne è una dimostrazione.
Il presente studio, quindi, insieme alle altre azioni previste nel Progetto, cercherà d’individuare,
partendo da una esatta conoscenza del “mondo” latte, quelle azioni, processi, prodotti, che in qualche
modo abbiano la possibilità d’innovare e risvegliare l’attenzione del produttore e del consumatore,
oltreché dell’industria, per un prodotto che, nell’immaginario collettivo, ma non solo, è considerato
ormai come un prodotto standardizzato. A suffragare questa affermazione ci aiuta Wilkipedia la
quale, fino a non molti mesi fa, volendo esemplificare la parola “commodity” associava il latte al
Petrolio quale “….bene per cui c'è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul
mercato….”.
Lo Studio, pertanto, si divide in tre parti: nella prima verrà effettuata una puntuale conoscenza del
prodotto sotto vari profili –tecnico, tecnologico, economico-, nella seconda verrà studiato il mercato
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di riferimento sia fotografando lo stato dell’arte che opportunità e prospettive in una dimensione
europea. In fine, nella terza ed ultima parte, verrà preso in considerazione il comparto al livello
regionale. Tale studio di mercato è finalizzato da un lato ad individuare in quali ambiti sarà possibile
operare al fine di finalizzare meglio le azioni da compiersi e dall’altro ad individuare prodotti, processi,
tecnologie che, a nostro giudizio, possano contribuire a far uscire dalla crisi il settore.
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PARTE I - ANALISI DI PRODOTTO
1. CORE PRODUCT ANALYSIS: IL LATTE
1.1 CARATTERISTICHE E PROPRIETÀ
L'importanza del latte come alimento è sostanzialmente dimostrata dalla funzione svolta da questo
prodotto come prima ed esclusiva fonte di nutrimento per i piccoli mammiferi, ai quali il latte fornisce
tutte le sostanze necessarie alla fase di intenso accrescimento che segue la nascita: basti pensare che
nei primi cinque mesi di vita il latte consente al neonato della specie umana di raddoppiare addirittura
il proprio peso!
Ma il latte non esaurisce certo la sua funzione alimentare dopo lo svezzamento.
Infatti, anche in
questa fase, e poi per tutta la vita, ossia nel quadro di una alimentazione per la cui completezza si
rende via via necessario un più ampio e variato apporto di cibi, esso continua a costituire una
importante fonte di principi nutritivi, in particolare di proteine e di calcio.
In ogni angolo del mondo, per i neonati dei mammiferi, e quindi anche per l'uomo, il latte è il primo
ed unico alimento. I vari popoli della terra per assicurarsene costantemente la disponibilità hanno
addomesticato
ed
allevato
le
specie
della
fauna
locale
più
idonee
a
produrne:
Renna in Lapponia, Bufala in India, Malesia, Ceylon, Zebù in Madagascar, Asina in Palestina Cammella
in Medio Oriente, Mucca, capra, pecora e asina in quasi tutto il mondo.
Alcuni studiosi hanno osservato che "i popoli che consumano più latte sono caratterizzati da una
statura media più alta, da una maggiore resistenza alle malattie, da un'attività intellettuale e manuale
più intensa, da una longevità più prolungata e da un'inferiore mortalità infantile".
Il latte si caratterizza nutrizionalmente per gli apporti in proteine di elevata qualità biologica
(caseina e lattalbumina principalmente), in alcune vitamine (in special modo la B2, la B12 e la A) e in
calcio.
La presenza del latte e dei suoi derivati (formaggi e yogurt) nella dieta è pressoché indispensabile
per l’equilibrio e la adeguatezza della razione alimentare: non a caso il latte e i prodotti lattierocaseari costituiscono da soli uno dei 7 gruppi di alimenti che devono possibilmente essere sempre
rappresentati nella alimentazione quotidiana, come condizione essenziale per la sua completezza.
L'apporto in energia del latte è moderato: si va dalle circa 60 calorie per 100 grammi del latte intero
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alle 50 del latte parzialmente scremato, fino alle 35 del latte totalmente scremato.
IL
LATTE,
CALCIO,
E
FOSFORO:
IL
RUOLO
PRIVILEGIATO
DEI
PRODOTTI
LATTIERO-CASEARI
La principale fonte alimentare di calcio è rappresentata da latte e prodotti lattiero caseari.
Il calcio è un elemento necessario all'organismo durante tutte le diverse fasi della vita, ossia un
nutriente
essenziale
che
deve
essere
assunto
giornalmente
con
gli
alimenti.
I suoi compiti nell'organismo umano non si limitano alla formazione e al mantenimento delle ossa
e dei denti. Il calcio, infatti, è coinvolto in numerosi processi, quali la conduzione degli impulsi
nervosi, la contrazione dei muscoli, la coagulazione del sangue, la permeabilità delle cellule, ecc.
L’assunzione di calcio è importante a tutte le età, ma lo è in modo particolare durante la crescita.
In questa fase, infatti, l’alimentazione deve fornire una quantità di calcio adeguata al
raggiungimento di un picco di massa ossea che sia il più vicino possibile a quello “geneticamente
programmato”. Solo così si può affrontare nel modo migliore la riduzione della massa ossea, che
inizia a partire dai 30 anni di età e che può sfociare, con l’invecchiamento, nell’osteoporosi.
Negli anziani, infatti, i fenomeni di “riassorbimento” dell’osso prevalgono su quelli di
“costruzione”. Anche in questa età, comunque, è necessario continuare ad assumere calcio per
evitare di sbilanciare ulteriormente il rapporto entrate/uscite e quindi di aggravare l’osteoporosi.
Il fabbisogno di calcio del nostro organismo varia, a seconda dell'età e delle condizioni
fisiologiche, dagli 800 ai 1500 mg al giorno: è più elevato nell'età evolutiva e in alcune situazioni
quali
gravidanza,
allattamento
e
menopausa.
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Ed è proprio il latte, unitamente a yogurt e formaggi, a fornire alla popolazione italiana quasi i
due
terzi
del
fabbisogno
raccomandato
di
calcio.
Questo accade perché il latte e i suoi derivati contengono calcio in forma altamente
“biodisponibile”.
Al di là della quantità, infatti, quello che conta realmente è la percentuale di calcio che viene
realmente assorbita e utilizzata dall’organismo.
In ogni caso è lecito affermare che la copertura dei nostri bisogni in calcio risulta praticamente
impossibile se nella dieta quotidiana non vengono incluse sufficienti quantità di latte e di derivati
del latte.
Anche il fosforo è un minerale importante, che svolge molte funzioni essenziali, comprese quelle
a favore della costruzione e del mantenimento delle ossa e dei denti. Il fosforo è largamente
diffuso nei cibi ed anche il latte ne contiene buone quantità.
Quello che bisogna sottolineare, però, è che l’importante è che il calcio e il fosforo siano fra di
loro, nel complesso della dieta, in un rapporto eguale o superiore alla unità: infatti, una
introduzione eccessiva di fosforo (quale quella associata a diete troppo ricche di proteine) può
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portare a consistenti perdite di calcio, con il rischio di danni che possono arrivare alla
demineralizzazione delle ossa.
Ed è proprio sotto questo profilo che emerge il ruolo prezioso del latte e dei suoi derivati: mentre
il fosforo prevale sul calcio in quasi tutti gli alimenti di più largo consumo (cereali, patate, legumi,
carne, uova, ecc.), il latte e gli altri prodotti lattiero-caseari sono fra i pochissimi cibi che
contengono più calcio che fosforo e svolgono quindi una indispensabile opera nel riequilibrare,
sotto questo aspetto, alcuni tipi di diete.
Anche se le virtù del latte non si limitano al suo provvidenziale contenuto di calcio, è utile
ricordare che la sua “biodisponibilità” resta praticamente invariata sia nel latte intero che nel
latte scremato o in qualsiasi altra formulazione a breve, media o lunga scadenza.
Due bicchieri di latte (ovvero 250 ml) forniscono circa 310 mg di calcio altamente utilizzabile,
mentre l’ormai consueto cappuccino consumato al bar ne fornisce circa 150.
LA PRIMA COLAZIONE: IL PASTO PRINCIPALE DELLA GIORNATA
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Il nostro corpo ha bisogno di energia fin dal mattino perché, dopo una notte di sonno, è
necessario ripristinare le forze per iniziare al meglio la giornata. La prima colazione è quindi un
pasto fondamentale da non sottovalutare.
Fino a pochi decenni fa, la prima colazione degli italiani veniva consumata in casa e consisteva in
una tazza di latte (addizionata di caffè per gli adulti e di orzo o cacao per i ragazzi) pane, burro e
marmellata. Oggi il principio generale resta lo stesso, ovvero quello di utilizzare latte e
carboidrati in qualsiasi forma aggiungendo anche un frutto o una spremuta per evitare, in tarda
mattinata, il ricorso a spuntini ipercalorici. Comunque una vera prima colazione dovrebbe fornire
circa il 20% delle calorie dell’intera giornata.
È ormai ampiamente dimostrato che l’aver fatto una buona prima colazione facilita l’attenzione e
migliora il rendimento scolastico dei ragazzi. La tipica crisi ipoglicemica di mezza mattina è meno
disturbante fra chi ha mangiato regolarmente a casa e permette anche di non esagerare con altri
alimenti dieteticamente meno consigliabili della colazione casalinga.
E nella prima colazione dei ragazzi il latte non deve mai mancare, salvo nei pochi casi di allergia
alle proteine del latte o di una documentata (e non “presunta”) intolleranza al lattosio. Questo
perché il latte, infatti, può fungere da “integratore” naturale di possibili carenze, dovute ai
capricci o alle cattive abitudini alimentari di molti giovani. Sarebbe bene aggiungere anche della
frutta, per stimolarne il consumo ancora troppo basso.
LE PROTEINE DEL LATTE
Senza proteine non ci sarebbe la vita: esse assicurano infatti la crescita e il rinnovamento delle
cellule.
Ogni cellula e tessuto del nostro corpo le contiene. Si trovano nei muscoli, nelle ossa, nei capelli,
nelle unghie e nella pelle, ed ammontano al 20% del peso corporeo complessivo. Inoltre, diverse
proteine svolgono una funzione di enzimi, ormoni, neurotrasmettitori, anticorpi e proteine
specializzate come l’emoglobina. Altre riparano costantemente i tessuti del corpo per
mantenerlo in buona salute.
Tutte le proteine sono costituite da aminoacidi, alcuni dei quali sono definiti “essenziali” perché
non possono essere sintetizzati dall’uomo ma devono necessariamente essere assunti con
l’alimentazione.
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Le proteine del latte e dei suoi derivati (rappresentate per circa l'80% da caseina e per circa il
20% da sieroproteine quali la lattalbumina) assicurano da sole circa un quinto dell'apporto
proteico totale della razione italiana media e circa un terzo del reale fabbisogno giornaliero
medio.
La qualità di queste proteine è molto elevata, il che significa che queste proteine contengono
nelle giuste quantità e nelle giuste proporzioni tutti gli aminoacidi di cui l'organismo ha bisogno,
ed in particolare quegli aminoacidi “essenziali” che l'organismo non è capace di fabbricarsi da sé.
Di conseguenza le proteine del latte sono fra le più adatte a coprire le nostre necessità in
relazione a quella sintesi proteica che deve avvenire regolarmente e che ci assicura non soltanto
la crescita e la riparazione dei tessuti, ma anche la formazione di enzimi, anticorpi, ormoni, ecc.
E' da sottolineare, nelle proteine del latte, l'elevato contenuto in lisina, triptofano, metionina e
treonina: tale caratteristica rende queste proteine particolarmente adatte a complementare la
ridotta qualità delle proteine dei cereali.
Al triptofano è riconosciuta anche la capacità di rilassare e favorire una tranquilla notte di sonno.
Non per nulla è il precursore della serotonina, l’ormone del piacere e dell’appagamento. Se poi il
latte è zuccherato il sonno è sicuro perché lo zucchero facilita l’assorbimento del triptofano.
La quantità di proteine presente nel latte intero è di 3,1 grammi ogni 100 grammi, e sale a 3,5 nel
latte parzialmente scremato e a 3,6 in quello interamente scremato.
ALTRI COMPONENTI
lo zucchero presente nel latte si chiama lattosio ed è contenuto esclusivamente nel latte. È uno
zucchero speciale perché non si trova in nessun altro alimento.
Nel corso della digestione il lattosio si scompone in glucosio e galattosio. Mentre il glucosio è
presente in molti alimenti, compreso il comune zucchero, il galattosio è più raro e svolge ruoli
importanti per il perfetto funzionamento del sistema nervoso.
Anche sotto l’aspetto vitaminico il latte è da considerarsi una buona fonte poiché contiene
discrete quantità di vitamina B2 e di vitamina B12 e, in parte, anche di vitamina A, necessaria per
la protezione delle mucose e della vista.
Nel latte di mucca i grassi sono presenti in media in quantità pari al 3.6% del peso (1,5% nel latte
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parzialmente scremato e solo 0,2% in quello totalmente scremato). Si tratta di grassi per 2/3
saturi, in gran parte caratterizzati da buona digeribilità e facile utilizzazione.
La digeribilità dei grassi del latte dipende dal fatto che essi si presentato in stato di emulsione,
suddivisi cioè in piccolissime goccioline che ne rendono ottimale l’assorbimento.
IL LATTE… NUTRE!
Non è possibile indicare con precisione quale sia la quantità giornaliera di latte che è consigliabile
consumare, data la varietà delle situazioni che si possono presentare.
Si può comunque indicare una quantità auspicabile che va dai 200 ai 300 millilitri e che dovrebbe
essere superiore (almeno 500 millilitri) per le donne in gravidanza e durante l’allattamento,
nonché per i bambini e gli adolescenti.
Deve essere in ogni caso chiaro il concetto che il consumo di quantità superiori non solo non crea
problemi alla maggior parte delle persone, ma è anzi da considerare come un fatto positivo e da
incoraggiare.
LATTE PER TUTTI
Le caratteristiche del latte che abbiamo ricordato, d'altra parte, rendono questo alimento anche un
ottimo integratore dell'alimentazione di tutte le persone.
Vi sono poi alcuni individui che vanno incontro a problemi se ingeriscono del latte, dato che il loro
apparato digerente non è in grado di tollerare alcuni componenti di questo alimento. I responsabili
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di questa intolleranza sono in genere il lattosio o le proteine.
Chi soffre di una intolleranza al lattosio (per mancanza o insufficiente presenza nel suo intestino
dell'enzima "lattasi", indispensabile per scindere e digerire il lattosio) in genere non ha fastidi se
consuma quantità di latte ridotte o cibi che ne contengano piccole dosi.
Queste persone, che per non rinunciare all'apporto nutritivo di questo prodotto possono
comunque utilizzare il latte "delattosato" (enzimaticamente predigerito) o lo yogurt (nel quale il
lattosio è gia in gran parte scisso), spesso riescono a risolvere il problema consumando quantità
gradualmente crescenti di latte: in questo modo, infatti, esse riescono spesso a provocare nel
proprio organismo la ricomparsa di sufficienti livelli di lattasi.
L’intolleranza alle proteine del latte è invece una forma di allergia alimentare abbastanza comune
nei bambini. La tolleranza si stabilisce in genere verso il secondo o terzo anno di vita. Prima di allora
l'alimento non tollerato va escluso dalla dieta.
LATTE E CRESCITA
Il latte è prezioso per favorire un accrescimento ottimale e lo sviluppo migliore, grazie soprattutto al
suo apporto in proteine di elevato valore e in calcio, che può essere facilmente utilizzato per il
completamento dello scheletro di questi organismi in rapido accrescimento.
il latte, infatti, oltre ad una quantità prevalente di acqua (di poco inferiore al 90 per cento), contiene:

nutrienti capaci di fornire rapidamente energie in giusta quantità (zuccheri semplici
agevolmente assimilabili e grassi facilmente digeribili);

proteine di prima qualità, preposte soprattutto alla funzione plastica, necessaria per la crescita
e il mantenimento dell'organismo;

buona presenza di diverse vitamine, sostanze queste indispensabili per un corretto sviluppo
grazie alla funzione regolatrice sui processi metabolici dell'organismo;

sali minerali che collaborano alla costruzione di organi e tessuti e, in particolare, una
concentrazione di calcio e di fosforo unica e irraggiungibile dagli altri alimenti.
L'età dell'adolescenza è caratterizzata da un notevole e visibile accrescimento del peso e dell'altezza
corporea. In questo periodo si può facilmente incorrere, pertanto, in forme di malnutrizione
determinata dalla cosiddetta fame nascosta. In pratica, pur ingrassando, a volte fin troppo, si rischia di
accumulare al tempo stesso forti carenze di alcuni principi nutritivi.
Tutto ciò avviene perché si trascura di soddisfare con la propria alimentazione le reali necessità
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dell'organismo il quale è massimamente impegnato ad accrescersi attraverso la formazione di nuovi
tessuti. La gran parte del futuro benessere fisico dipende, dunque, dall'equilibrata assunzione in
questi anni di tutti i necessari principi nutritivi.
E di principi nutritivi il latte ne contiene in abbondanza. Per questo è particolarmente importante per i
ragazzi, specialmente quando praticano attività sportiva.
Bisogna ricordare, infatti, che nel praticare sport, la “macchina” corporea consuma maggiori quantità
di energie e tende ad aumentare la temperatura corporea; tale aumento è efficacemente contrastato
dalla sudorazione che agisce in senso termoregolatore. In tal modo si impoverisce il patrimonio idrico
e si avverte la sensazione di sete.
Consideriamo ora i pregi nutritivi del latte per i giovani sportivi. Innanzi tutto è una buona fonte di
energia sia per il significativo contenuto di lattosio, un disaccaride di pronto impiego nella pratica
sportiva, sia per l'apporto energetico dei grassi, buoni dispensatori di Kcalorie per i muscoli, quando
l'attività sportiva si prolunga nel tempo.
Il valore nutritivo è esaltato, poi, dal ricco contenuto di proteine, protagoniste della funzione plastica
particolarmente importante nei giovanissimi in età evolutiva.
Nel latte sono infine presenti, in buona percentuale, minerali e vitamine di grande valore biologico
per l'elevatissimo numero di trasformazioni che si verificano durante una pratica sportiva.
Fra i minerali ricordiamo soprattutto il calcio, indispensabile all'apparato scheletrico nell'età giovanile
quando, cioè, si raggiunge la massima compattezza dell'osso, definita "picco osseo".
In questi anni, l'attività fisica contribuisce a favorire una più elevata deposizione di sali di calcio nello
scheletro, favorendone il modellamento e la robustezza.
Infine le vitamine, in particolare le vitamine del complesso B che sono utili nella pratica sportiva
perché entrano nei processi di trasformazione degli zuccheri quando questi devono produrre energia.
Insomma, per i ragazzi sportivi, il ruolo del latte è insostituibile; soprattutto nella prima colazione del
mattino, risulta il più ricco e digeribile alimento viatico per affrontare al meglio una giornata di studio
e di sport.
Educhiamo dunque i bambini e gli adolescenti a consumare sistematicamente generose quantità di
latte, ogni giorno ricordando che, anche quando sottoposto ai vari trattamenti tecnologici di
conservazione, mantiene sempre alto il suo valore nutritivo.
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1.2 I PROCESSI E LE TIPOLOGIE
Il latte è presente sul mercato in tantissime varietà, ognuna con caratteristiche diverse, finalizzate a
venire incontro alle diverse esigenze dei consumatori che possono così effettuare le scelte di acquisto
in base alle abitudini, al gusto, alla frequenza di acquisto o alla necessità di una alimentazione
particolare. Si va dal classico latte fresco, al latte a lunga conservazione, dal latte intero a quello
scremato, dal latte delattosato a quello addizionato con fermenti lattici, vitamine o altre sostanze. Di
seguito una presentazione sulle possibili “variazioni sul tema”.
a) LATTE FRESCO PASTORIZZATO
Con questa denominazione si definisce il latte che entro 48 ore dalla mungitura è stato sottoposto
ad un unico processo di "pastorizzazione", cioè che è stato portato alla temperatura di 71,7°C per
15 secondi o qualsiasi altra combinazione equivalente.
Dopo il trattamento il latte viene omogeneizzato (per ridurre a piccolissime dimensioni i globuli di
grasso presenti, assicurandone così una più omogenea distribuzione nel prodotto) e quindi
refrigerato. L’omogeneizzazione viene comunque effettuata per tutti i tipi di latte alimentare.
La pastorizzazione determina la distruzione di tutti i microrganismi patogeni eventualmente presenti
nel latte crudo e di una parte dei microrganismi saprofiti (quelli che sono responsabili delle alterazioni
del latte), senza però eliminare i preziosi lattobacilli; si consiglia di consumarlo senza ulteriore
trattamento termico (bollitura) per non alterare le sue caratteristiche nutrizionali ed organolettiche,
che rimangono molto vicine a quelle del latte crudo.
Viene inoltre denominato "latte fresco pastorizzato di alta qualità" un latte caratterizzato da elevate
qualità igieniche in sede di produzione, prodotto in aziende specificatamente autorizzate, dotato di un
contenuto nutritivo più elevato (non meno di 3,2 grammi di proteine e di 3,5 grammi di grassi ogni
100 grammi). Anche questo tipo di latte subisce un solo trattamento di pastorizzazione (generalmente
più blando) entro 48 ore dalla mungitura.
Il latte fresco pastorizzato ha una breve durabilità (7 giorni dalla data di produzione), e deve essere
trasportato e mantenuto in ambienti refrigerati tra 0 e 4°C. Una volta aperto il contenitore, va
consumato entro un paio di giorni (regola valida per tutti i tipi di latte alimentare).
b) LATTE PASTORIZZATO A TEMPERATURA ELEVATA
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Viene così definito il latte che, anche dopo le 48 ore dalla mungitura, può essere pastorizzato più
volte o subire un solo trattamento termico più intenso. Il diverso trattamento termico rende
possibile una durabilità superiore (mediamente 2 settimane). Anche per questo tipo di latte va
mantenuta la catena del freddo e una volta aperto il contenitore va comunque consumato entro
un paio di giorni.
c) LATTE MICROFILTRATO
E’ un latte che, prima del trattamento termico, viene sottoposto ad un processo di pulizia
filtrandolo tramite membrane dai fori piccolissimi (1,4 – 2 micron) per trattenere la maggior parte
dei batteri e delle impurità. Lo speciale trattamento tecnologico applicato è finalizzato a
consentire una durabilità maggiore rispetto a quella assicurata dal solo trattamento termico.
d) LATTE A LUNGA CONSERVAZIONE
Se il latte viene trattato con applicazioni di calore più energiche della pastorizzazione, si riesce a
distruggere non solo i microrganismi patogeni ma anche ad inattivare le spore e tutti i
microrganismi responsabili delle alterazioni del latte. Il latte a lunga conservazione non richiede
l'osservanza della catena del freddo, può pertanto raggiungere località anche molto distanti dai
centri di produzione ed essere commercializzato da qualunque tipo di negozio alimentare.
A questa categoria appartengono:
d1 IL LATTE UHT- E' un latte che ha subito un trattamento termico intenso, ma molto rapido (almeno
135°C per non meno di 1 secondo) seguito dal confezionamento asettico. Anche con questo
trattamento il valore nutritivo del latte rimane sostanzialmente invariato e non vengono
apprezzabilmente alterate le sue caratteristiche organolettiche. Il trattamento UHT assicura un lungo
periodo di conservazione (almeno 3 mesi) a temperatura ambiente.
d2 IL LATTE STERILIZZATO - E' un latte che viene sterilizzato direttamente nel contenitore, portandolo
ad una temperatura mediamente pari a 140°C per 3 / 4 secondi, che assicura la distruzione di tutta la
flora batterica. E' conservabile a temperatura ambiente per periodi anche superiori ai 6 mesi, ma le
sue caratteristiche organolettiche vengono modificate in misura apprezzabile e parte delle vitamine
termolabili del complesso B - specialmente la B1 - va perduta. Una volta che sia stato aperto il
contenitore, sia il latte UHT che quello sterilizzato debbono, al pari di quello pastorizzato, essere
conservati in frigorifero ed essere consumati entro un paio di giorni. Il latte inoltre, a prescindere dal
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trattamento termico applicato, può essere modificato in alcune sue componenti per soddisfare
particolari esigenze dietetiche:
d3 LATTE SCREMATO O MAGRO - È quello cui è stato sottratto quasi completamente il grasso. Si
presenta più fluido del latte intero e il suo contenuto in grasso non supera lo 0,30%;
d4
LATTE PARZIALMENTE SCREMATO
- È quello in cui il contenuto in grassi deve essere compreso tra
1,50-1,80 grammi per ogni 100 grammi di prodotto.
d5 LATTE DELATTOSATO - In questo prodotto il lattosio si presenta già scisso per almeno il 75% nei
suoi costituenti (glucosio e galattosio). Di conseguenza, tale latte risulta tollerabile anche da parte di
coloro che hanno difficoltà a digerire il latte normale, per la mancanza (o la scarsa presenza) di lattasi
nel loro intestino.
e) LATTI SPECIALI
Questa categoria raggruppa tipi di latte che, a prescindere dal trattamento termico applicato o dal
contenuto in grassi, si distinguono per alcuni possibili arricchimenti. Possono infatti venire aggiunte
colture di particolari fermenti lattici, che fanno parte della normale flora intestinale dell'uomo e
aiutano a mantenere uno stato di benessere, assicurando la conservazione degli equilibri nell'intestino
stesso. L'aggiunta è effettuata in maniera tale che il prodotto finito mantenga le caratteristiche
organolettiche del latte utilizzato (latte fresco pastorizzato). Possono altresì venir aggiunte proteine,
vitamine o sali minerali, per potenziare le già elevate proprietà nutrizionali del latte, così come omega
3 per alimentazioni particolari (ipercolesterolemia). Sono disponibili anche tipi di latte ai gusti (cacao,
fragola, ecc.) per favorire il consumo degli adolescenti.
1.3 IL GRASSO DEL LATTE
Dal punto di vista chimico, i grassi sono essenzialmente triacilgliceridi, ovvero sostanze composte da
tre acidi grassi e da glicerolo.
Il grasso del latte è caratterizzato da un'ampia varietà di acidi grassi, dall'acido butirrico fino all'acido
arachidonico. Oltre agli acidi saturi (a catena media e lunga), anche gli acidi grassi insaturi e a catena
corta, importanti dal punto di vista fisiologico, sono presenti in percentuali fino al 40 per cento. Il
grasso del latte contiene inoltre mono- e digliceridi, fosfolipidi, acidi grassi liberi, colesterolo, le
vitamine liposolubili A, D, E e K, enzimi e sostanze aromatiche e metaboliti.
La composizione del grasso del latte viene influenzata da vari fattori, tra cui:
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
foraggiamento: impatto sulla quantità di acidi grassi saturi e insaturi e di vitamina E e A

stadio della lattazione: impatto sulla percentuale di acidi grassi a catena corta e lunga

ereditarietà, stato di salute, età degli animali: impatto sulla predisposizione alla lipolisi e
all'ossidazione degli acidi grassi insaturi
1.4 IL GRASSO DEL LATTE NEL LATTE
Il grasso del latte è presente nel latte sotto forma di globuli del diametro di circa 1-10 µm. Questi
globuli di grasso sono avvolti e protetti da una membrana, denominata membrana primaria. Essa è
composta prevalentemente di sostanze a carattere emulsionante, principalmente fosfolipidi,
lipoproteine e colesterolo, che contribuiscono a ripartire in modo omogeneo i globuli di grasso nella
fase acquosa. La membrana sembra formarsi solo nell’ultimo stadio della formazione del latte,
tuttavia nel momento in cui il latte fuoriesce dalle mammelle, il grasso del latte è già completamente
protetto. Già durante la mungitura, la membrana dei globuli di grasso può lacerarsi, provocando la
fuoriuscita di grasso.
Le azioni meccaniche o termiche provocano un rimpicciolimento dei globuli di grasso con
conseguente scarsità di materiale della membrana primaria, dal momento che la superficie dei globuli
di grasso nell’insieme aumenta. Per la formazione della cosiddetta membrana di globuli di grasso
secondaria vengono impiegate in questo caso le proteine del latte. Ciò consente di legare alla
membrana di globuli di grasso anche più enzimi, ad esempio le lipasi, oltre alla caseina e alle proteine
del siero.
1.5 COMPOSIZIONE DEL GRASSO DEL LATTE IN BASE AL FORAGGIAMENTO : FORAGGIAMENTO VERDE
E FORAGGIAMENTO SECCO.
Desideriamo soffermarci particolarmente su questo aspetto in quanto, se vogliamo e come diremo più
avanti, il segreto del Latte Nobile….sta tutto qui: nella “qualità” e composizione ovviamente, del
grasso
Il foraggiamento verde genera di norma un grasso del latte con un'elevata percentuale di acidi grassi
insaturi. Il foraggiamento secco favorisce una riduzione degli acidi grassi insaturi. In questo modo
aumenta il punto di fusione del grasso del latte e la relativa durezza, poiché gli acidi grassi a catena
lunga del grasso del latte vengono assimilati attraverso il foraggio.
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Generalmente, gli acidi grassi polinsaturi (acidi linoleici e linolenici) del foraggio vengono idrogenati
nell'apparato digerente. Viene generalmente mantenuto un doppio legame, pertanto l'acido oleico
presente nel grasso del latte rappresenta l'acido grasso insaturo più importante. Le vacche
dispongono inoltre del cosiddetto enzima di Desaturase che è in grado di ricreare l'acido oleico
dall'acido stearico. Tale meccanismo consente di mantenere il "punto di fusione" degli acidi grassi
sempre al di sotto della temperatura corporea.
Gli acidi grassi insaturi sono presenti in modo massiccio nel foraggio verde fresco e di alta qualità,
mentre nel foraggio secco, la barbabietola e l'insilato di mais scarseggiano.
Durante l'alpeggio si raggiungono percentuali elevatissime di acido oleico (fino al 30%).
I dati illustrati nella seguente tabella si basano su uno studio esaustivo condotto da FAM nel 1997.
Non sono riportati i valori estremi rilevabili nel latte prodotto durante l'alpeggio, in quanto la quantità
prodotta è esigua se rapportata alla produzione lattiera svizzera complessiva.
Tabella 1: Composizione media degli acidi grassi del grasso del latte in estate e in inverno - percentuali
relative di metilestere di acidi grassi
Metilestere di acidi grassi
Burro invernale
Burro estivo
Metilestere di acido butirrico
4.35
4.35
Metilestere di acido caproico
2.63
2.63
Metilestere di acido caprilico
1.4
1.4
Metilestere di acido caprico
3.0
2.83
Metilestere di acido caproleico
0.3
0.3
Metilestere di acido laurinico
3.78
3.5
Metilestere di acido miristico
11.53
10.65
Metilestere di acido miristoleico
1.28
1.25
Metilestere di acido pentadecanoico
1.18
1.1
Metilestere di acido pentadecinoico
0.3
0.3
Metilestere di acido palmitico
32.03
27.0
Metilestere di acido palmitoleico
1.75
1.63
Metilestere di eptadecanoico
0.65
0.6
Metilestere di acido eptadecilico
0.38
0.38
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Metilestere di acido stearico
8.8
9.68
Metilestere di acido oleico
21.1
25.8
Metilestere di acido linoleico
1.95
2.3
Metilestere di acido linolenico
1.08
1.28
Metilestere di acido arachidico
0.65
1.25
Metilestere di EPA
0.15
0.2
Metilestere di DHA
<0.1
<0.1
1.6 AGGIUNTA DI SEMI OLEOSI NEL FORAGGIO
L'integrazione di semi oleosi (colza, girasole, lino) nel foraggio, in dosi da 0,4 a 1,0 kg al giorno, può
aumentare la quantità di acidi grassi insaturi anche in inverno. Le differenze stagionali nella
composizione del grasso del latte possono in tal modo essere completamente compensate.
Aggiungendo al foraggio grassi speciali è possibile aumentare le percentuali di acido linoleico e
linolenico da un valore normale del 2,5 all'8 per cento e quelle dell'acido oleico fino al 35 per cento.
1.7 DETERIORAMENTO DEL GRASSO
Il deterioramento del grasso interessa un'ampia serie di processi:

la formazione di grassi liberi (di norma irreversibile)

la lipolisi del grasso del latte (formazione di acidi grassi liberi e mono- digliceridi)

l'ossidazione degli acidi grassi insaturi (formazione di prodotti di decomposizione volatili, ad
es. aldeidi, chetoni, esteri, lattoni e alcool, nonché acidi monossidici e dicarbossidici a catena
corta)
In senso più ampio, nel deterioramento del grasso rientrano anche quei processi che causano
l'ossidazione del colesterolo o le scissioni enzimatiche dei fosfolipidi, nonché le alterazioni
proteolitiche della membrana dei globuli di grasso.
Oltre alle negative alterazioni sensoriali che ne possono conseguire, quali difetti aromatici (sapore
rancido, metallico, di ossido, di sego, di pesce) e formazione di tappi o grumi o separazione del burro,
il deterioramento del grasso comporta anche svantaggi tecnologici.
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Gli acidi grassi e i mono- o digliceridi costituiti, in qualità di emulsionanti riducono l'effetto di
separazione durante la centrifugazione. Nei casi critici, è possibile in questo modo aumentare persino
il tenore di grasso del latticello o del siero di latte.
1.8 DETERIORAMENTO MECCANICO DEL GRASSO
Ogni processo meccanico causa la formazione di grassi liberi e il conseguente deterioramento del
grasso. I grassi liberi sono esposti agli attacchi delle lipasi microbiche o del latte nei latticini crudi e ciò
consente la formazione di acidi grassi liberi. Se è vero che i processi termici o altri processi di
inattivazione (ad es. Ultra High Pressure) bloccano la lipolisi, solo in casi eccezionali possono dotare
nuovamente di una membrana i grassi liberati. Ogni trattamento meccanico deve quindi essere
eseguito nel modo più delicato possibile.
1.9 DETERIORAMENTO MICROBIOLOGICO DEL GRASSO
I microrganismi, in particolare i germi psicotropi, sono in grado di creare lipasi e proteasi che possono
rivelarsi molto resistenti al calore. Se durante lo stoccaggio a freddo dei prodotti grezzi per più giorni
si producono enzimi in grandi quantità, occorre eseguire trattamenti termici a temperature oltre i
90°C.
L'inattivazione completa degli enzimi microbici non è tuttavia completamente garantita anche a
queste condizioni. Evitare quindi tempi lunghi di stoccaggio (a freddo) del latte crudo o della panna
cruda.
1.10 DETERIORAMENTO MECCANICO-TERMICO DEL GRASSO
Ogni trattamento termico è obbligatoriamente legato a un'azione meccanica. La conseguenza dei
processi di riscaldamento è un rimpicciolimento dei globuli di grasso, variabile a seconda del grado di
riscaldamento. Sussiste anche il rischio di formazione di grassi liberi. Un processo delicato di
termizzazione o pastorizzazione può ridurre il tenore di grassi liberi, almeno in modo "analitico". Un
riscaldamento elevato aumenta tuttavia il tenore di grassi liberi modificando la membrana dei globuli
di grasso. Le membrane secondarie venutesi a creare possono costruire strutture reticolate tramite la
formazione di ponti nelle micelle di caseina presenti. Salvo non venga espressamente richiesto,
occorre evitare che ciò si verifichi utilizzando accorgimenti tecnologici appropriati (ad es.
omogeneizzazione su due livelli).
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2. DERIVED PRODUCTS: FORMAGGIO, BURRO, YOGURT
2.1 FORMAGGIO
2.1.1 DEFINIZIONE
La legge dice che il formaggio (o cacio) è il prodotto ottenuto dal latte intero o scremato in seguito a
coagulazione acida o presamica, con aggiunta di sale da cucina e di fermenti lattici.
Ma in parole più semplici cosa vuol dire? Quando si aggiunge al latte il caglio - una sostanza
generalmente preparata a partire dallo stomaco di vitello, capretto o agnello - alcune proteine del
latte, le caseine, passano allo stato solido, coagulando. Questo porta alla separazione della parte
solida del latte (la cagliata) dalla parte liquida (il siero). In questo processo parte importante del
grasso, delle vitamine e dei sali minerali restano “intrappolati” nella parte solida.
La cagliata viene lavorata secondo tecniche diverse a seconda del tipo di formaggio che si vuol
produrre:
possono cambiare la temperatura di lavorazione o l'acidità del latte, il tipo di caglio, il tempo o la
temperatura di cottura della cagliata, il tipo di trattamento cui viene sottoposta la pasta (pressatura,
filatura ecc.).
Anche la maturazione e la stagionatura del formaggio, quando ha luogo, è diversa nei modi e nella
durata, pur consistendo sempre in una serie di processi fermentativi. Il risultato di queste differenti
tecniche di lavorazione sono le differenze tra i diversi formaggi: duri o molli, dolci o piccanti, ecc.
In dettaglio la fabbricazione del formaggio avviene attraverso il succedersi delle seguenti fasi:
1) Riscaldamento del latte intero o scremato;
2) Eventuale aggiunta di fermenti;
3) Coagulazione del latte con il caglio o presame;
4) Rottura del coagulo o spinatura;
5) Eventuale cottura della cagliata (formaggi a pasta dura);
6) Estrazione della cagliata e messa in forma;
7) Eventuale compressione delle forme;
8) Salatura;
9) Maturazione o stagionatura.
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Allorché viene tolta la cagliata, nella caldaia rimane il siero. Questo viene utilizzato per la
preparazione della ricotta.
Per produrre questo prezioso latticino (non è un formaggio perché, come abbiamo, detto i formaggi
sono quelli ottenuti dal latte), il siero del latte viene acidificato con acido lattico o citrico e cotto ad
una temperatura di 80-90 °C. Con questa “ricottura” (da qui il nome della ri-cotta) le proteine del
siero "flocculano", si trasformano cioè in fiocchi, che vengono raccolti e separati dalla parte liquida
(scotta). Esistono moltissimi tipi di ricotta, la più comune è quella fresca di siero di latte di vacca.
Molto saporite le ricotte di pecora o di bufala, più delicate quelle di vacca e di capra.
2.1.2 CLASSIFICAZIONE
Non esiste un'unica classificazione dei formaggi, dato che se ne possono proporre molte e diverse,
differenziate fra loro a seconda delle caratteristiche che di volta in volta si prendono come base di
partenza.
Accenniamo alle più significative.
1) I formaggi possono essere distinti in vaccini, pecorini, bufalini e caprini, a seconda del tipo di latte
che si adopera per produrli. Esistono poi i formaggi misti, preparati con miscele di latte di diverse
specie.
2) In funzione del contenuto in acqua del formaggio si parla di formaggi molli (hanno più del 67% di
acqua sul residuo magro), di formaggi semiduri, con un contenuto di acqua sul residuo magro
compreso tra il 54 e il 69% e di formaggi duri, che hanno un contenuto in acqua inferiore sul residuo
magro compreso tra il 49 e il 56%.
3) A seconda della temperatura alla quale viene portata la cagliata, i formaggi possono essere
suddivisi in formaggi a pasta cruda, semicotta, cotta. A parte sono considerati i formaggi a pasta filata
(che vengono manipolati con acqua calda a 85-90°C) e quelli erborinati, come il gorgonzola, ottenuti
con l’aiuto di muffe “buone”.
4) I formaggi possono poi essere classificati in funzione della loro stagionatura: i formaggi freschi sono
quelli che non richiedono alcuna stagionatura e vengono consumati immediatamente dopo la loro
produzione. I formaggi stagionati, invece, per raggiungere le loro caratteristiche devono essere
conservati per un certo periodo in particolari condizioni di temperatura ed umidità. Questo periodo
dura qualche settimana o qualche mese per i formaggi a media stagionatura, uno o due anni per
quelli a lunga stagionatura.
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5) Ci si può riferire anche al contenuto in grassi. In base ad una legge del 1992 possono essere
chiamati "formaggi magri" i formaggi che hanno un contenuto in grasso sul secco inferiore al 20%, e
"formaggi leggeri" (in commercio si chiamano anche "light") i formaggi con un contenuto in grasso sul
secco compreso tra il 20 e 35%. Questa regola non vale per i formaggi DOP, il cui tenore in grasso
dipende da cosa prevede il disciplinare di produzione.
6) Esistono poi i formaggi con nome tutelato: i formaggi DOP, IGP e STG.
La sigla DOP - denominazione di origine protetta - è riservata ai formaggi che hanno ottenuto un
particolare marchio di riconoscimento. Si tratta di prodotti il cui nome è legato all'area di produzione
e che hanno qualità e caratteristiche che dipendono in modo essenziale o esclusivo dalla zona di
origine. Anche la sigla IGP - Indicazione geografica protetta, è riservata ai formaggi il cui nome è
legato all'area di produzione. In questo caso però il legame con il territorio di origine può essere meno
marcato. Non tutte le caratteristiche del prodotto finito dipendono cioè dal territorio - per esempio la
produzione di latte o la stagionatura - e alcune fasi produttive possono essere effettuate anche al di
fuori dell'area delimitata.
Nel caso delle STG - Specialità tradizionali garantite - infine, non esiste un legame con il territorio, ma
con la ricetta. È questa quella che viene di fatto registrata e solo i prodotti ottenuti nel rispetto della
ricetta tradizionale possono utilizzare la sigla STG.
In tutti questi casi, la legge tutela i nomi di questi formaggi evitando abusi e sfruttamenti.
Le denominazioni tutelate, siano esse DOP, IGP o STG, non possono essere utilizzate per prodotti non
conformi ai requisiti previsti dal disciplinare.
È vietato inoltre far ricorso a denominazioni simili o assonanti.
7) Non vanno infine dimenticati i formaggi fusi. Chi di noi non ha mai mangiato da bambino la pastina
arricchita con i formaggini. Oggi esistono numerosi tipi di formaggi fusi, tutti ottenuti seguendo lo
stesso principio: si fondono a caldo normali formaggi aggiungendo panna, caseina, siero o altri
ingredienti. Esistono formaggi fusi cremosi e spalmabili, formaggi fusi a fette e formaggi fusi che
ricordano per consistenza i formaggi molli.
2.1.3 VALORE ALIMENTARE
I formaggi vantano un valore nutritivo elevatissimo, tanto che possono essere definiti come un vero e
proprio concentrato (a densità maggiore o minore a seconda del contenuto in acqua) delle qualità
nutritive del latte (con la sola eccezione del lattosio e di una parte di proteine rimaste nel siero).
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Se a questo si aggiungono le loro caratteristiche favorevoli di conservabilità, di ridotto volume e di
facile trasportabilità, si completa il quadro di un alimento eccellente sia sotto il profilo del gusto che
sotto quello dei pregi nutrizionali.
Un alimento che si presta straordinariamente a fungere da correttivo delle carenze di certe diete
povere o sbilanciate e incomplete (come sono, ad esempio, le diete vegetariane estreme) e da
integratore, particolarmente nella alimentazione dei bambini e delle persone anziane.
Energia
I formaggi sono ricchi di energia (sono un vero alimento, non un condimento o un complemento al
pasto!) e sono un concentrato proteico di alta qualità (fino a dieci volte i valori del latte di partenza):
150 grammi di formaggio bastano a coprire il fabbisogno proteico di un adulto.
Inoltre, la qualità di queste proteine è adattissima, per la sua particolare ricchezza in alcuni aminoacidi
essenziali, a compensare le carenze delle proteine vegetali presenti nella dieta.
Il maggior contributo al valore energetico dei formaggi è dato dai grassi, presenti in quantità diverse a
seconda della varietà, mentre il colesterolo è presente nei formaggi in misura variabile dai 60 ai 100
milligrammi ogni 100 grammi (per una assunzione massima giornaliera suggerita di 300 milligrammi).
I grassi, o lipidi, non sono solo fonte d’energia. Sono presenti nell’organismo umano per assolvere ad
altre funzioni fondamentali: sono componenti fondamentali delle membrane cellulari, trasportano le
vitamine liposolubili, sono precursori di composti indispensabili come gli ormoni.
I grassi presenti nei formaggi, come in tutti gli alimenti di origine animale, sono principalmente saturi;
comunque la qualità degli acidi grassi di piccole dimensioni presenti nei formaggi li rende facilmente
digeribili e utilizzabili da parte dell'organismo.
La ricchezza nutritiva dei formaggi ne condiziona talvolta il consumo. Tuttavia, il grande assortimento
che offre il mercato italiano dei formaggi consente delle scelte mirate e per chiunque, quindi, esiste la
possibilità di scegliere la qualità e la quantità di un formaggio in modo da rispettare nella propria dieta
il tetto giornaliero consigliato di grassi, di acidi grassi saturi e di colesterolo.
Minerali
Di grande rilievo anche l'apporto in minerali. I formaggi contengono fosforo, sodio, ma soprattutto
molto calcio, un minerale essenziale per la formazione e il mantenimento delle ossa e dei denti e per
una serie di processi, quali la conduzione degli impulsi nervosi, la contrazione muscolare, la
coagulazione del sangue.
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Lo stesso vale anche per i formaggi “light”, poiché l’eliminazione di una quota di grasso non comporta
una riduzione del contenuto di calcio.
Il formaggio rappresenta, con il latte e lo yogurt, la fonte alimentare di calcio per l'uomo più
importante: questi prodotti assicurano oltre i 2/3 dell'introito giornaliero di calcio nel nostro Paese, e
bastano 70-120 grammi di un qualsiasi formaggio per coprire il fabbisogno quotidiano medio di un
adulto.
Va poi sottolineato che in questi prodotti il calcio stesso è contenuto in una forma chimica che lo
rende molto più facilmente assorbibile e utilizzabile da parte del nostro organismo.
Ed è anche importante ricordare che il formaggio contiene calcio e fosforo in un rapporto superiore
ad 1, ossia in un rapporto ideale sia per una utilizzazione ottimale del calcio che per correggere nel
complesso della dieta la esagerata prevalenza del fosforo che si riscontra in tutti gli alimenti di più
largo consumo (quali cereali, patate, legumi, carne, uova, ecc.) e che può provocare perdite
considerevoli di calcio.
L’alimentazione ha quindi un ruolo di fondamentale importanza nella comparsa e nel decorso
dell’osteoporosi e su questa, a differenza di altri fattori non modificabili, si può intervenire.
È utile ricordare che uno stile di vita “sano” ed un’alimentazione corretta, ricca di calcio, sin dalle
prime fasi della vita (bambini ed adolescenti) possono costruire e mantenere un osso robusto,
riducendo il rischio di osteoporosi e, di conseguenza, il numero di fratture e l’invalidità e la mortalità
che ad esse si accompagnano.
Altre Componenti
Per quanto riguarda le vitamine, i formaggi, unitamente agli altri prodotti lattiero-caseari, coprono
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circa il 30% della assunzione totale di vitamina B2 e di vitamina B12; inoltre contengono quantità
significative di vitamina A.
Questa vitamina è indispensabile per il meccanismo della visione e per la differenziazione cellulare e,
di conseguenza, è necessaria per la crescita, la riproduzione e l’integrità del sistema immunitario.
Sono indiscutibili i pregi nutrizionali dei formaggi: dall’apporto in energia e proteine di elevatissima
qualità a quello abbondante e quasi unico di calcio, dall’ottimo rapporto calcio/fosforo al significativo
contributo in vitamine.
Tuttavia, il contenuto in calorie e grassi, così come in sodio, è particolarmente elevato in alcune
varietà di formaggio; questi fattori assumono rilievo in relazione ad un consumo eccessivo. È
necessario, quindi, controllare la quantità consumata mangiando porzioni più piccole o preferendo
formaggi meno grassi e latticini
È importante utilizzare correttamente i formaggi, in relazione non soltanto al loro apporto nutritivo
ma anche alla molteplicità di tipi disponibili (comprese le varietà a ridotto tenore in grassi, i formaggi
“light”), alla loro elettiva indicazione per l'età evolutiva e per le intolleranze al latte, alla loro
attitudine a completare le diete vegetariane ecc.
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2.1.4 UN ALIMENTO PER TUTTI
L'uso del formaggio ai pasti è molto esteso: come antipasto, come condimento (formaggio
grattugiato), come base per piatti elaborati e squisiti. Niente completa e arricchisce meglio un pranzo,
quanto l'apparire di un vassoio di formaggi diversi l'uno dall'altro ma ugualmente squisiti nelle tante
varietà che hanno reso famosa la produzione italiana.
Il formaggio è adatto a persone di tutte le età ed è in grado di soddisfare tutti i gusti. Inoltre è
particolarmente indicato per i bambini ed i ragazzi in crescita, per il suo alto contenuto di proteine, di
calcio, di grassi.
Per coloro che hanno preoccupazioni dietetiche o esigenze particolari è utile ricordare che nella vasta
famiglia dei formaggi oggi in commercio è possibile scegliere quelli che meglio si adattano, per
apporto di calcio, per quantità di grassi e per patrimonio energetico, alle proprie necessità individuali.
Come abbiamo visto, il formaggio nasce dalla coagulazione del latte, processo antichissimo inventato
dall'uomo migliaia di anni fa per conservare il latte, preservandone tutte le caratteristiche nel tempo.
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Abbiamo visto che esistono centinaia di tipi diversi di formaggi, risultato di una lunga serie di
operazioni.
Non esiste al mondo Paese che non abbia propri formaggi tipici. Ad ogni modo la tradizione italiana
resta impareggiabile: in Italia esistono infatti oltre 400 varietà, tutte eccellenti, di formaggi sani,
naturali e nutrienti.
La Mozzarella e la Crescenza per esempio - che rientrano in quelli che abbiamo definito formaggi molli
- sono l'espressione di due realtà profondamente diverse: la Mozzarella, formaggio fresco a pasta
filata, è il formaggio del sud per eccellenza che deve il suo nome al fatto che la pasta veniva tagliata
(mozzata) a mano durante la lavorazione. La Crescenza, invece, è uno dei formaggi molli più diffusi nel
nord del Paese. Il suo nome? Deriva probabilmente da "carsenza", una specie di focaccia alla quale
assomiglia molto.
Ma sono solo due esempi tra cento che potremmo fare.
Potremmo parlare del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, formaggi nati quasi mille anni fa
nella Pianura Padana per opera dei frati cistercensi e benedettini. Potremmo parlare del Gorgonzola,
il formaggio nato da un casaro innamorato che una sera, per amore, dimenticò di lavorare il latte. Per
non essere scoperto dal padrone mischiò il latte che nel frattempo si era cagliato con il latte del
giorno dopo. Dopo pochi giorni scoprì di aver "inventato" un formaggio veramente ottimo. Potremmo
parlare del Taleggio, che ancora oggi viene stagionato nelle omonime valli lombarde. O del Provolone,
il formaggio "emigrante". Nato in Campania moltissimi anni fa, all'inizio del secolo scorso è emigrato
in Lombardia e in Veneto per raggiungere le aree in cui c'era più disponibilità di latte. Potremmo
parlare del Pecorino, un formaggio già noto al tempo degli antichi Romani dal momento che veniva
utilizzato come provvigione alimentare per gli eserciti.
Insomma gli esempi sarebbero davvero tantissimi. È certo però che la tradizione italiana non ha pari
nel mondo e che i formaggi italiani sono apprezzati e riconosciuti da tutti coloro che amano il buon
mangiare.
2.2 BURRO
2.2.1 ORIGINI
La storia del burro non può essere fatta risalire ad un epoca ben precisa, a causa delle remote
leggende che tramandano origini diverse. C’è chi parla degli Sciiti, abitanti tra il VII e II secolo avanti
Cristo delle zone tra il Danubio e il Don, chi ne fa risalire la scoperta agli abitanti dell’India Asiatica,
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come è riportato in alcuni inni sacri risalenti a circa il 1500-2000 avanti Cristo. Ad ogni modo si
tramanda che l’invenzione del burro sia avvenuta in regioni settentrionali soprattutto perché per
ottenere la burrificazione è necessaria una temperatura di circa 15°C che è facilmente raggiungibile in
regioni meno calde. Ne parlano Ippocrate - che attribuisce l’origine della parola “boutiron” proprio
agli Sciiti - e Plinio che descrive i processi di produzione come appartenenti alle regioni settentrionali e
sconosciuta in quelle mediterranee.
Tuttavia, altre fonti attestano che furono gli antichi ebrei a citare il burro nell’Antico Testamento e
che sarebbero stati proprio loro i primi a svilupparne l’arte della produzione e a considerarlo per le
sue caratteristiche puramente alimentari e nutritive. Qualunque fosse la sua origine, il burro veniva
utilizzato per diversi usi anche differenti da quello alimentare, dalla cosmesi alla medicina, come
ottimo unguento medicale.
2.2.2 VALORE NUTRITIVO
Il burro è anch’esso un derivato del latte e, come tale, conserva molte delle inimitabili
caratteristiche della materia da cui discende.
Il burro è un alimento ottenuto dalla lavorazione della crema di latte ovvero dalla panna.
Caratteristici del latte vaccino, e quindi anche del burro, sono gli acidi grassi a catena corta che vi si
trovano in quantità relativamente elevata. Gli acidi grassi propri del burro hanno la caratteristica di
avere un punto di fusione inferiore alla temperatura del corpo: si sciolgono infatti a 30 °C. Questo è
un ottimo requisito per la digeribilità e colloca il burro in una posizione di favore rispetto a tutti gli
altri grassi di provenienza animale.
Rapidamente assimilati e trasformati dal fegato, questi grassi risultano preziosi anche per chi fa
sport e necessita di alimenti “a pronta disponibilità energetica”.
I grassi alimentari sono dei preziosi nutrienti, ma devono essere assunti nelle giuste quantità. In una
dieta prudente c’è spazio per qualsiasi alimento purché non si sovrappongano - nel corso della
giornata - altri cibi ricchi degli stessi componenti o capaci di farci superare, anche con delle porzioni
relativamente modeste, il limite raccomandato per ciascun tipo di grasso o per il totale del
fabbisogno calorico giornaliero.
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Oggi come oggi la motivazione più convincente per contenere i consumi di alimenti ricchi di grassi
è la drastica riduzione dei consumi energetici dell’uomo civilizzato. L’automobile, l’ufficio, la
televisione, il computer hanno inciso negativamente sulla qualità della vita facendo di noi degli
animali sedentari.
Ma nessun problema sussiste per chi ha mantenuto l’ottima abitudine di mangiare a colazione
pane burro e marmellata (prevenendo così anche quell’ipoglicemia che a metà mattina impone
degli spuntini al bar con prodotti a volte censurabili) oppure chi predilige a pranzo il risotto o la
pasta al burro.
I grassi inoltre, sono indispensabili per l’equilibrio metabolico non meno delle proteine o dei
carboidrati e non servono solo a far ingrassare. Nella giusta quantità, infatti, sono preziosissimi
per il nostro organismo. Le cellule del nostro corpo sono circondate da membrane fatte
soprattutto di grassi e il buon funzionamento di tutti gli organi dipende proprio dalla loro salute.
E chi ne ha più bisogno sono proprio il cervello e il sistema nervoso.
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E senza i grassi, alcune vitamine che regolano importanti fenomeni come la vista e la crescita non
sarebbero presenti nella nostra alimentazione, in quanto solo i grassi favoriscono l'assorbimento
delle vitamine liposolubili A, D, E, K e dei carotenoidi.
Di ogni vitamina basta una dose molto piccola, ma quella è indispensabile. Il nostro organismo
non è capace di fabbricarne e deve quindi assumerle con il cibo. Ai nostri giorni è difficile restare
a corto di vitamine, salvo che in particolari situazioni come la gravidanza, l’allattamento, la
crescita o in seguito ad alcune malattie. In genere, un’alimentazione variata è più che sufficiente
per dare al nostro corpo tutte le vitamine di cui ha bisogno.
Il burro è una delle poche fonti di vitamina D, importante per il metabolismo del calcio, cioè per
un buon sviluppo e la salute delle ossa. Contiene anche significative quantità di vitamine
liposolubili come la A, che favorisce la crescita, protegge le mucose e difende dalle infezioni.
Il burro, per il suo alto contenuto di grassi, è un alimento molto energetico. Va comunque
precisato che il burro contiene circa il 15 per cento di acqua, quindi non è un prodotto grasso al
100 per cento. Un etto di burro, contiene 250 mg di colesterolo, ma per mangiare un etto di
burro ce ne vuole!
Il burro, ben utilizzato, è quindi importante per un’alimentazione corretta ed equilibrata, ma non
se ne deve abusare. E per sfruttare al meglio le sue doti deve essere utilizzato crudo o fatto
sciogliere su cibo caldo.
Per venire incontro alle esigenze dei consumatori, l’industria produce anche nuovi tipi di burro.
Sono oggi in commercio prodotti con un contenuto di grasso inferiore all’82%: i burri “leggeri a
ridotto tenore di grasso” che contengono il 60-62 per cento di grassi, e i “leggeri a basso tenore
di grasso” con solo il 39-41 per cento di grassi.
Ad essi si aggiunge il burro “a ridotto contenuto di colesterolo”. In questo prodotto il contenuto
in colesterolo risulta ridotto mediamente del 75-80 per cento.
2.2.3 PRODUZIONE
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Per ottenere un chilogrammo di burro occorrono mediamente 23-25 kg di latte, a seconda
delle caratteristiche della materia prima. Il burro viene prodotto attraverso due differenti
tecniche di lavorazione: affioramento e centrifuga.
La tecnica di affioramento prevede il riposo del latte in bacinelle di acciaio inox per 8/12 ore
ad una temperatura compresa tra i 10 e i 15°C. Col trascorrere delle ore e in virtù del suo
minore peso specifico, la parte grassa del latte si separa dalla parte liquida ed affiora in
superficie. Questa parte grassa è chiamata crema di latte o panna.
La tecnica della centrifuga, invece, è un’operazione meccanica e consiste nella separazione
dei globuli di grasso attraverso la centrifugazione del latte ad una temperatura di 50-60°C.
La panna ottenuta con la centrifugazione risulta più dolce perché non si sono ancora
sviluppati i fermenti lattici.
A questo punto la crema, comunque sia stata ottenuta, viene sottoposta ad un processo di
pastorizzazione alla temperatura di 90/100°C. Nel corso di questo processo avviene la
completa liquefazione dei grassi e vengono “liberate” le sostanze antiossidanti che
proteggeranno la crema nelle fasi successive di produzione.
La panna viene quindi raffreddata ad una temperatura di 9-11 °C per 2-4 ore per conferire al
burro una consistenza adeguata.
Se invece alla panna sono stati aggiunti dei fermenti (Lactococcus lactis e leuconostoc
citrovorum) la temperatura viene successivamente portata a 15-21 °C per favorire l’attività
dei batteri lattici.
La panna cosi “maturata” viene quindi burrificata, cioè sottoposta ad un processo di
agitazione meccanica a freddo durante il quale i globuli di grasso si amalgamano tra loro
facendo uscire la parte residua di acqua. Questo processo viene chiamato zangolatura. Le
zangole, un tempo in legno, sono costituite da recipienti in acciaio inox che ruotano sul
proprio asse.
Il burro così ottenuto viene lavato accuratamente con acqua fredda e successivamente
amalgamato per eliminare i liquidi residui e i microrganismi in esso presenti, così da
aumentarne la conservabilità.
Al termine di questa fase il burro può essere eventualmente salato, pratica assai diffusa nel
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nord Europa, negli USA e in Canada.
A questo punto il processo di produzione è terminato e il burro viene confezionato in pani di
diverse dimensioni o in barattoli.
Le tecniche di produzione utilizzate e le diverse qualità organolettiche del latte impiegato
possono conferire al burro caratteristiche diverse sia per colore che per aroma, ma non ne
pregiudicano certo la qualità.
E la qualità è facile da riconoscere: il burro deve avere un aspetto lucido, compatto ed
omogeneo, un aroma gradevole, un sapore lieve e delicato.
2.3 YOGURT
2.3.1 ORIGINI
Citato nella Bibbia, descritto da Aristotele, Senofonte, Erodoto e Plinio, conosciuto da sempre presso
le popolazioni orientali, lo yogurt ha origini antichissime.
Come il formaggio, infatti, altro non è che il risultato del processo di fermentazione del latte ad opera
di alcuni microrganismi. Proprio per questo motivo e per la probabile casualità della sua scoperta è
quasi impossibile definire con certezza il suo primo apparire sulle tavole dei nostri progenitori, anche
se è ormai opinione comune che l’origine dello yogurt sia di almeno 4000 anni fa.
Gli antichi popoli orientali, pastori nomadi, conservavano il latte di vacca, pecora, capra, cavalla e
cammella in otri ricavati dalla pelle o dagli stomachi degli stessi animali. La leggenda tramanda che lo
yogurt sia stato scoperto perché un pastore, dimenticando per qualche tempo del latte in uno di
questi otri, lo ritrovò trasformato: più denso e più saporito.
La culla dello yogurt è comunemente localizzata geograficamente nell’Europa orientale, da dove le
popolazioni nomadi e i commercianti l’hanno poi introdotto in quella occidentale. L’origine caucasica
dello yogurt si ritrova anche nella sua etimologia: in turco, infatti, il termine joggurt significa "latte
denso".
Grazie agli intensi scambi commerciali e militari del bacino del Mediterraneo, il "latte denso" si diffuse
ben presto anche tra Fenici, Egizi, Sumeri, Greci e Romani. Il medico greco Galeno parla diffusamente
dello yogurt in una sua opera, attribuendogli sicure capacità benefiche per il fegato e lo stomaco.
Anche il suo impiego in cucina non è nuovo. Nelle novelle de “Le Mille e una Notte” è presente come
base per banchetti regali, mentre i primi libri arabi di ricette vedono la descrizione di diversi piatti
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prelibati a base di yogurt. Anche l’Antico Testamento cita lo yogurt quando il profeta Abramo "lieto
nell'apprendere che la moglie Sara era finalmente in attesa di un figlio, prese una bevanda di latte
acido e latte fresco e lo mise di fronte agli angeli venuti a dargli la notizia”.
La storia moderna e scientifica dello yogurt inizia con la fine dell’ottocento, quando il biologo Ilyich
Metchnikov, ricercatore dell’Istituto Pasteur di Parigi, riesce ad isolare il Lactobacillus Bulgaricus,
responsabile del processo di fermentazione che permette la trasformazione del latte in yogurt.
L’aggettivo Bulgaricus si deve al fatto che il campione di yogurt dal quale è stato isolato il bacillo
proveniva da una popolazione bulgara famosa per l’alto consumo di yogurt e per la longevità.
Metchnikov aveva intuito che un consumo costante di questo alimento poteva fungere da
disintossicante contro i batteri nocivi che si concentrano nell’intestino.
Secondo lo scienziato allievo del grande Pasteur, il consumo di yogurt avrebbe consentito di vivere
fino a 150 anni. Al di là di questa ingenuità, che risente probabilmente del clima positivistico
dell’epoca, il Professor Metchnikov fu insignito nel 1908 del Premio Nobel per la medicina per il suo
lavoro sull'immunologia e le sue scoperte sono ancora alla base della conoscenza di un alimento
antico e modernissimo al tempo stesso.
2.3.2 COS’È LO YOGURT
Lo yogurt è prodotto dalla fermentazione del latte operata da due fermenti lattici: lo Streptococcus
thermophilus e il Lactobacillus delbrueckii, varietà bulgaricus. Questi fermenti sono minuscoli
organismi monocellulari. Nello yogurt sono presenti almeno dieci milioni di fermenti vivi per ogni
grammo. In un classico vasetto, quindi, ne troviamo circa 1,5 miliardi.
Per produrre lo yogurt si utilizza generalmente il latte vaccino, ma può essere utilizzato anche latte di
pecora, bufala o capra. In questo caso è d’obbligo menzionarne l’origine sulla confezione.
Il latte - sia esso intero, parzialmente o totalmente scremato - deve comunque possedere
caratteristiche qualitative elevate. Prima di subire il processo di trasformazione in yogurt, il latte può
essere sottoposto, laddove necessario, ad una correzione del quantità di grasso. Il latte, infatti, è una
sostanza naturale e come tale ha una composizione che può variare in virtù delle stagioni,
dell’alimentazione delle bovine e di altri fattori.
Il latte viene quindi “concentrato”, operazione che elimina il 10% circa dell’acqua presente, e poi
omogeneizzato. L’omogeneizzazione è necessaria per ridurre la dimensione dei globuli di grasso e
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garantire così una maggiore digeribilità dello yogurt. Segue poi la pastorizzazione, processo che rende
il latte igienicamente sicuro e crea l’ambiente adatto alla crescita dei batteri lattici.
Dopo la pastorizzazione il latte viene raffreddato e inoculato con i fermenti lattici Streptococcus
thermophilus e Lactobacillus delbrueckii, variante bulgaricus.
Il tempo di fermentazione dura, normalmente, dalle 4 alle 9 ore. In questa fase i batteri crescono e si
moltiplicano, utilizzando come fonte energetica il lattosio che viene così scisso nelle due molecole che
lo costituiscono: il glucosio e il galattosio. Per questo motivo lo yogurt risulta particolarmente
digeribile ed utilizzato anche dalle persone intolleranti al lattosio.
La fermentazione del latte inoculato può avvenire sia direttamente nelle confezioni di vendita (yogurt
a coagulo compatto) o in appositi serbatoi fermentatori da cui viene poi prelevato per il
confezionamento (yogurt omogeneo).
In entrambi i casi l’eventuale aggiunta di frutta, in pezzi o marmellata, avviene subito prima del
confezionamento. Una volta completata la fermentazione, lo yogurt viene raffreddato a 4 °C e
conservato a questa temperatura fino al consumo. Solo così i batteri lattici si mantengono vivi e vitali.
Al momento del consumo lo yogurt deve contenere almeno 10 milioni di microrganismi per grammo.
Questi sono i valori minimi necessari perché i batteri lattici possano superare la barriera gastrica,
prendere il sopravvento sulla microflora intestinale presente, e svolgere il loro effetto “probiotico”.
Gli alimenti probiotici come lo yogurt contengono particolari fermenti che “favoriscono” la vita (dal
greco pro-bios: a favore della vita). Oltre allo yogurt, il più diffuso e conosciuto, sono disponibili molti
altri tipi di latti fermentati probiotici, solitamente prodotti aggiungendo al latte dei fermenti diversi
dai due caratteristici dello yogurt e che hanno funzioni positive sull’organismo umano.
In altri casi vengono aggiunti allo yogurt anche il Lactobacillus acidophilus e il Bifidobacterium di varia
specie che aumentano l’effetto barriera nell’intestino potenziando il sistema immunitario.
Per l’importante ruolo svolto dai batteri lattici nell’intestino, vengono oggi prodotti dei “latti speciali”
costituiti da latte addizionato di fermenti probiotici. in questo caso però, dopo l’aggiunta dei fermenti
il latte non viene incubato ma tenuto costantemente ad una temperatura di 4 gradi. in queste
condizioni i fermenti non possono svilupparsi e il latte di partenza conserva immutate le proprie
caratteristiche organolettiche.
2.3.3 ASPETTI NUTRIZIONALI
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Come abbiamo visto, lo yogurt si ottiene da latte freschissimo di ottima qualità, fatto fermentare con
l’inoculazione di speciali microrganismi acidificanti.
Anche se la composizione del latte viene modificata dai fermenti lattici, che elaborano essi stessi dei
nutrienti, lo yogurt conserva le caratteristiche nutrizionali del latte originario.
Con addirittura qualche vantaggio: proteine, calcio e fosforo si propongono in una forma ancor meglio
utilizzabile dall'organismo. Lo yogurt infatti, agendo sulla flora fermentativa che si trova nella parte
superiore dell'intestino, migliora l'assorbimento di proteine e sostanze minerali.
Svolge inoltre un'azione di regolatore dell'acidità dello stomaco, aumentandola se troppo bassa o
diminuendola se troppo alta.
L'elevata acidità dello yogurt favorisce anche lo sviluppo di una flora batterica intestinale in grado di
ristabilire l’equilibrio dell'intestino. Lo yogurt si rivela quindi particolarmente utile dopo terapie a base
di antibiotici, ad esempio, o a seguito di un’alimentazione errata, allo stress ed altro.
Lo yogurt è particolarmente indicato nei casi di intolleranza al latte che si riscontra in alcune persone.
L’intolleranza è dovuta alla scarsità o assenza nell’intestino della lattasi, l’enzima che determina
l’assorbimento del lattosio, lo speciale zucchero del latte. La lattasi è un enzima piuttosto delicato:
un’energica terapia antibiotica, ad esempio, ne riduce notevolmente la quantità così come fenomeni
di infiammazione intestinale ne limitano notevolmente la disponibilità.
Nello yogurt, invece, il lattosio è già stato “predigerito” dai fermenti lattici presenti, ben vivi e vegeti e
che si sono moltiplicati anche grazie alla disponibilità di questo zucchero. Pertanto nei casi di
intolleranza lo yogurt si presenta come valida alternativa al latte, del quale mantiene anche gli apporti
energetici e nutritivi. E questo è particolarmente importante per il calcio. La mancata assunzione del
latte e dei suoi derivati può determinare infatti gravi rischi per la struttura ossea dell’organismo,
facendo in particolare aumentare l’incidenza dell’osteoporosi.
Spesso, comunque, l’intolleranza al latte è d’origine transitoria. Se dopo un fenomeno infiammatorio
si riprende di colpo il consumo di latte in quantità usuali, si può verificare uno squilibrio tra quantità di
lattasi disponibile nell’intestino e lattosio assunto e si può quindi essere indotti a pensare di non
tollerare più il latte. Se invece si avrà l’accortezza di riprenderne con gradualità il consumo, partendo
da piccole quantità e aumentando progressivamente le porzioni, il problema sarà superato.
Le qualità nutrizionali dei latti fermentati, categoria cui appartiene lo yogurt, è data anche dalla loro
particolare caratterista di alimenti “probiotici”. Per probiotici si intendono i microrganismi viventi che
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svolgono un ruolo positivo sullo stato di salute che va oltre gli aspetti nutrizionali di base.
Grazie alla selezione di particolari ceppi batterici utilizzati per la fermentazione del latte, è possibile ad
esempio stimolare i meccanismi di difesa immunitaria o migliorare la funzionalità intestinale.
A colazione, a merenda o come dessert, lo yogurt resta all'altezza della definizione che ne diede Ilya
Merchnikoff, lo scienziato che nel 1908 riuscì ad isolarne i microrganismi meritandosi il premio Nobel:
"Un alimento sano, fattore di salute e longevità”.
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3 POTENTIAL PRODUCT ANALYSIS: PROCESSI E PRODOTTI SPECIALI
3.1 FRAZIONAMENTO DEL GRASSO DEL LATTE
ll grasso del latte (burro), composto di un gran numero di trigliceridi diversi, viene separato a livello
industriale con processi puramente fisici e quindi frazionato. Oggi è possibile produrre frazioni
steariche con un punto di fusione chiaro di oltre 40°C (fino a 48°C) e frazioni oleine con un punto di
fusione inferiore a 10°C. Per questo motivo si ricorre sempre meno a processi quali la
transesterificazione o l'idrogenazione.
Con il frazionamento secco (metodo Tirtiaux) parte dal grasso del latte disidratato, che viene
riscaldato a una temperatura di 60-80°C., viene successivamente raffreddato fino alla temperatura di
cristallizzazione, che ha così inizio. La separazione dei cristalli può avvenire in centrifughe speciali o in
impianti di filtrazione sottovuoto (filtrazione a nastro, a tamburo). Ultimamente si utilizzano anche
impianti di filtrazione a pressione.
Finora, le tecniche di frazionamento, quali la distillazione istantanea o l'estrazione con gas supercritici,
impiegate generalmente in altri settori di lavorazione dei grassi, non si sono affermate nel campo dei
prodotti a base di grassi del latte. Lo stesso vale per il frazionamento umido (cristallizzazione in
solventi) o la sospensione in soluzioni detergenti acquose, poiché entrambi i metodi causano
problemi di residui.
3.2 PRODOTTI PRIVI DI COLESTEROLO O A BASSO TENORE DI COLESTEROLO
Per motivi di salute molti consumatori sono costretti a scegliere prodotti alimentari a basso tenore di
colesterolo o privi di colesterolo. Il colesterolo, o perlomeno il colesterolo libero, può essere eliminato
dai grassi del latte totalmente o in parte. A livello industriale, processi quali l’estrazione con vapore
acqueo e con soluzioni di ciclodextrina sono stati adattati a tale scopo. L’estrazione con gas
supercritici risulta ancora troppo onerosa.
I grassi del latte liberati dal colesterolo possono essere impiegati in numerosi prodotti ricostituiti. La
quota di mercato in Europa è però ancora esigua.
Nel frazionamento secco, del resto, risulta una lieve riduzione del colesterolo nelle frazioni steariche,
mentre nelle frazioni oleine il tenore aumenta leggermente.
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3.3 PRODOTTI A BASSO CONTENUTO CALORICO
I prodotti a base di grassi del latte a basso contenuto calorico, si distinguono per un basso tenore di
grassi rapportato a un tenore di proteine (3-7%) e acqua elevato.
Come materie prime possono essere utilizzati indistintamente la panna o il burro, le proteine del latte
sotto forma di polvere o concentrati UF, nonché il latte scremato, il latticello o il siero di latte. Si
addizionano inoltre concentrati di acido lattico e di sostanze aromatiche.
3.4 ALTERAZIONI DEI CRISTALLI DEL GRASSO DEL LATTE
Nella produzione dei prodotti a base di grassi si sfrutta largamente il fatto che i grassi possono essere
presenti in svariate modifiche cristalline. È di grande utilità sapere che tali modifiche non solo
possiedono contenuti energetici differenti, ma si ricristallizzano sotto varie forme e si reticolano più o
meno intensamente.
Per via dell’elevato numero di trigliceridi, questa opportunità può tuttavia essere sfruttata in minor
misura nel grasso del latte che non, ad esempio, nei grassi vegetali. Si tenta continuamente però di
utilizzare le differenze della modifica beta rispetto alla modifica beta‘ anche nei prodotti a base di
grasso del latte. A questo proposito, sono molte le aspettative riposte nella tecnologia a pressione
ultra-alta, anche se finora non vi sono risultati decisivi.
4. CONCLUSIONI
Visto da altre angolazioni, dai critici del consumo di latte e latticini, si possono trarre delle valutazioni
molto interessanti e allo stesso tempo allarmanti in merito al loro consumo, come ci viene proposto
dal mondo scientifico ufficiale (industriale), dai media e da tutti quei settori collegati che comunque
all'unisono, reclamizzano, incitano, sostengono a gran forza che il latte è un alimento indispensabile,
previene tante malattie, è ricco di proteine, sviluppa una buona struttura scheletrica, previene
l'osteoporosi, rende forti i muscoli e le arterie, aiuta nel controllo del diabete insulino dipendente
(IDDM=insulin dipendent dibete mellitus).
Indagando l'altra faccia della medaglia, tali critici hanno riscontrato parecchie inesattezze sulle verità
scientifiche che parevano dei pilastri inattaccabili, per esempio, dalla logica medica e naturale. Essa,
infatti, non è affatto rispettata; come per la Nuova Medicina di Hamer che sostiene come ogni
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processo degenerativo neoplastico segue un preciso, logico, naturale programma biologico sensato. Il
latte è un alimento naturale, ogni neonato dovrebbe essere allattato al seno come da sempre la
donna ha fatto, "ci hanno programmato";pertanto, il latte bovino o d'altri animali, pur con tutti i
tentativi di umanizzarlo, non è adatto all'intestino (vedi intolleranze in aumento) di un bebè.
La vacca deve allattare il suo vitello, la scrofa i suinetti, la gatta i gattini, la leonessa, i suoi cuccioli e
così via…., è il loro ragionamento.
Ogni variazione sul tema, si scontra con la legge naturale del not self, dell'estraneo, quindi del non
idoneo al nostro patrimonio genetico naturale.
Altre argomentazioni a supporto delle loro tesi spiegano che il latte contiene caseina, proteina nobile,
utilizzata come colla universale; serve come adesivo per le etichette delle bottiglie di birra, oppure
come componente di colle per mobili, la stessa caseina fa lo stesso nel nostro organismo, diventa una
colla e quindi pensiamo a come reagirà il nostro sistema digestivo (provate a togliere un'etichetta
dalla bottiglia di birra o a staccare dei pezzi di legno uniti con la colla).Questa sostanza esterna fa
reagire il nostro software biologico, producendo per l'ospite estraneo anticorpi, poi istamina, poi
muco e così via….
Alla fine saremo in continuo conflitto con quest'antigene che viene ingerito, in cui troviamo anche
attualmente una serie infinità di residui: antibiotici (più di 59 in certi campioni analizzati), elevate
quantità di leucociti (non è altro che pus in forma diluita), pesticidi, antiparassitari derivati
dall'alimento contaminato, ormoni (estrogeni, progestinici, prolattina derivati da terapie ormonali o
da alimenti contaminati per gli animali), vari germi patogeni che nel latte e nei formaggi trovano il
loro ambiente ideale per crescere essendo dei potenti terreni di coltura, residui OGM (come il caso
recente del mais americano inquinato dalla varietà StarLink, in cui era presente una proteina CryC9,
responsabile di gravi casi di allergie nella popolazione ignara della pericolosità del cereale), ancora
metalli pesanti derivati dall'inquinamento stradale, ambientale terreno e aereo e altre sostanze
purtroppo a noi estranee, derivate da lavorazioni industriali, come residui potenziali di altre
manifestazione di intossicazioni croniche cui non si guarda con la giusta attenzione, visto che i sintomi
si presentano a distanza di giorni, mesi ed anni, quindi difficilmente impugnabili se non per prove e
coincidenze (vedi Mucca Pazza) fortuite, in grado di fare quadrato e chiarezza sull'eziopatogenesi del
problema.
Oltre alla caseina vi sono altre proteine lattoalbumine con varianti chimiche ben definite, vi sono
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zuccheri semplici come il lattosio, ottimo conservante industriale, vi sono oligoelementi come il calcio,
il magnesio, il fosforo ecc….Troviamo grassi saturi animali che non fanno molto bene alle nostre
arterie, seppur si tenti di scremare il latte a più non posso.
Sarebbe molto interessante affrontare per singolo componente del latte e latticino la fisiologia
metabolica e le varie conseguenze nefaste cui andremmo incontro se questi alimenti non naturali
diventassero sempre più frequenti sulla nostra tavola, ma rimando gli interessati ai vari siti del
settore, dove si potrà verificare la logica incongruenza della loro azione sul nostro organismo.
Per rimanere sul generale, si possono certamente ripetere in breve alcune raccomandazioni che
emergono, in tema di intolleranze, presso il CESMEN –Centro studi di medicine naturali-.
Per esempio: Latte= meno fratture, più robustezza ossea !?
I bambini e gli animali attualmente nascono con varie alterazioni anche lievi ma evidenti nella
struttura scheletrica, deviazioni, displasie, osteofibrosi, decalcificazioni, maggiore fragilità ossea, molti
infortuni spontanei, traumi al bacino nelle donne, osteolisi al collo del femore.
Uno studio recente del gennaio 2010, negli USA, ha rilevato come un campione di 1035 donne
sottoposte a regime alimentare con proteine animali rispetto ad un regime con proteine vegetali ha
evidenziato una maggior fragilità al bacino, perdita di solidità della struttura ossea, nonostante
ingerissero latte tutti i giorni ed assumessero calcio integrato nella dieta; il campione di donne a
regime proteico vegetale, non ha manifestato tali sintomi.
Il fatto curioso riguarda l'assunzione di calcio esterno a base di integratori che porterebbe ad avere
una struttura ossea simile a quella dei nostri antenati dinosauri, che non assumevano latte e ci hanno
lasciato anche i loro scheletri a dispetto del tempo trascorso dalla loro morte.
Questo modello di alimentazione, serve a prevenire l'osteoporosi?
25 milioni di donne americane soffrono di tale disturbo e sono in aumento; per correre ai ripari si
consiglia di mangiare molti latticini e formaggi, come fonte di calcio, oppure si ricorre alla terapia
ormonale estrogenica, coi cerottini, per aumentare il livello ormonale e favorire una maggior stabilità
ossea.
Uno studio del 2004, dell'ente sulla nutrizione americano, ha concluso che la taglia scheletrica di ogni
persona viene definita geneticamente; dall'infanzia abbiamo l'accumulo e la stabilizzazione fino all'età
di circa 35, oltre la quale esiste un impoverimento fisiologico naturale legato al controllo ormonale.
Con l'immissione di calcio esterno, questo valore viene aumentato in eccesso, costringendo
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l'espulsione con l'urina, entro certi limiti, altrimenti abbiamo un accumulo sui reni, arterie, fegato,
cuore, valvole cardiache e intestino.
L'osteoporosi avanza ugualmente, nonostante il forte impiego di calcio e proteine animali.
Il calcio per essere assorbito dalle ossa, deve disporre di un'adeguata quantità di magnesio, che nel
latte è scarso, molto alto nella verdura, legumi e frutta, oltre al controllo del suo tenore metabolico il
magnesio serve anche a contrastare con la vit. B6, l'acidosi metabolica indotta dai soli sali di calcio e
proteine animali.
Se abbiamo un ambiente acido (proteine animali) i nostri meccanismi di tamponamento naturale, col
calcio in eccesso, non possono lavorare al pieno, infatti, per neutralizzare l'acidosi si deve ricorrere
alla nostre riserve minerali che abbiamo principalmente nelle ossa e muscoli, questo meccanismo a
circuito chiuso spiega che l'osteoporosi non è una mancanza di calcio per le nostre ossa, ma una
perdita di calcio a seguito delle nostre abitudini alimentari scorrette.
La popolazione indiana ed asiatica in generale non soffre di tali problemi sino a quando non assume
un modello alimentare occidentale, infatti, l'osteoporosi non è così diffusa come da noi, anche le
popolazioni ispano indiane asiatiche trapiantate in Europa e America hanno aumentato la percentuale
di rischio all'osteoporosi grazie alle errate abitudini alimentari sconosciute nei loro paesi d'origine.
Nei latticini oltre alle proteine animali vi sono vari residui ormonali, che influenzano il meccanismo di
controllo della stabilità ossea. Pensiamo che in una donna la quantità totale di ormoni prodotti
nell'arco della vita media, estrogeni, progestinici non supera il cucchiaino, ora pensiamo agli ormoni
presenti nel latte come residui e facciamo due conti: se sono ormoni not self e in quantità elevata, il
nostro organismo oltre a non riconoscerli smette di produrli, modificando tutta le catena fisiologica di
controlli degli steroidei naturali, con influenze negative sul ciclo ovario, sulla fertilità e sulle
manifestazioni cicliche più o meno alterate.
Se ciò accade si ricorre di nuovo agli stessi ormoni di sintesi, per sopperire ad una mancanza, per far
riprendere forzatamente le funzioni riproduttive normali, con esiti e controindicazioni sotto gli occhi
di tutti: riduzione della fertilità, degenerazione neoplastica a vari livelli dal seno, all'utero, alla
prostata ai testicoli.
Ed ancora: il latte serve a controllare il diabete!?
Questa disfunzione subdola, preoccupa il mondo scientifico e i pazienti annessi; solo negli USA sono
16 milioni, nel 2000 sono stati spesi 118 milioni di dollari dall'Agenzia americana per il controllo del
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diabete, ogni anno sempre da quelle parti si spendono come budget generale sul diabete 100 miliardi
di dollari.
Quale potrebbe essere la soluzione?
L'impiego di proteine vegetali da frutta e verdura sono compatibili anche per i neonati, certo troviamo
più facilmente il latte in polvere, rispetto a certi prodotti vegetali, ma gli igienisti sostengono da anni
che solo negli ultimi 500 anni siamo andati quasi esclusivamente verso l'impiego di latte bovino o
caprino, dimenticando altre fonti nobili naturali.
Secondo un'indagine del sito Internet, notmilk, studi epidemiologici e le esperienze hanno indicato
una relazione diretta tra la prima esposizione a proteine bovine e il diabete.
Uno studio condotto in paesi forti consumatori di formaggi ha rilevato un'altrettanta elevata
percentuale di casi di diabete.
NAZIONE CASI DI IDDM* MEDIA CONSUMO PROTEICO PER 100M AB. LATTE IN GR.
Nazioni
Casi di IDDM
Media Cons. Prot.100M ab. latte in gr.
FINLANDIA
28
30
U.S.A.
15
19
1
5
GIAPPONE
* Insulin Dependent Diabetes Mellitus) o di tipo 1.
È evidente il rapporto statistico prima ancora di indagare sugli aspetti medici più dettagliati, in
Finlandia il forte consumo di latticini, formaggi soprattutto, indica questa tendenza di maggior
incidenza di IDDM.
Un altro studio del 1990, dell'Istituto di nutrizione clinica americano, dimostrò come vi fu un
raddoppio in percentuale di casi di diabete dopo che gruppi di Polinesiani si trasferirono dalla loro
terra di origine in Australia, cambiando radicalmente le loro abitudini alimentari, utilizzando proteine
animali bovine, suine al posto di quelle di pesce, come erano abituati nella loro zona di origine.
Nello stesso anno studiosi americani Mark Atkinson e Noel Maclaren riconobbero l'origine in una
risposta autoimmune delle cellule del pancreas nei riguardi di proteine not self introdotte
nell'organismo, come "l'agguato" responsabile delle manifestazioni di IDDM.
Nel luglio dell'anno successivi altri studi conclusero che l'albumina di siero bovino è responsabile
dell'origine del diabete.
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47
Ancora per completezza nel mese di ottobre del 1996, s'identificarono nei pazienti diabetici in oltre
un terzo del totale la presenza di un anticorpo anti betacaseina, che non è presente negli individui
non affetti da diabete.
Vale al pena di ricordare un'esperienza diretta di alcune madri che hanno dimostrato come nei loro
figli appena diagnosticata l'IDDM, hanno interrotto per sei mesi i latticini, permettendo al pancreas
dei neonati di riprendere autonomamente la produzione di insulina.
Questo dimostra come nella dieta americana e media occidentale la presenza di forti dosi di proteine
animali generi una risposta autoimmune alla base del processo di manifestazione del diabete mellito.
I dati sopra riportati non hanno bisogno di particolari commenti, la cura quindi consisterebbe nel non
assumere per almeno alcuni mesi nessun latticino, al fine di detossicare l'organismo e favorire un
equilibrio endocrino generale, la prevenzione sarebbe il notmilk!!!
Ci siamo volutamente soffermati e dilungati su questi “oscuri” –specie su quest’ultimi- legati al latte
ed ai latticini in quanto pensiamo che la ricerca ne debba tenere conto nel proporre nuovi prodotti,
processi, tecnologie, che è il tema del nostro studio.
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PARTE II. ANALISI DIMESIONI E REDDITIVITA’ DI MERCATO
1. UNA VISIONE DEI MERCATI AGRO ALIMENTARI E DELLE PRODUZIONI TIPICHE
1.1 LE DINAMICHE DI MERCATO DEI BENI ALIMENTARI.
In questo lavoro le dinamiche di mercato del latte e dei suoi derivati, quale premessa alle possibilità di
sviluppo di nuovi processi e nuovi prodotti con adeguate tecnologie sostenibili, non possono
prescindere dalla "Legge di Engel". Per la quale ad un aumento del reddito pro-capite corrisponde un
incremento della spesa per i beni di primaria necessità (appunto gli alimenti) meno che proporzionale.
In parole più semplici, ed a mo' d'esempio, se il reddito aumenta del 10% la spesa per gli alimenti
aumenterà del 10% nei paesi poveri e non autosufficienti e del 2% nei paesi al massimo della crescita
economica come nel caso delle società occidentali.
In queste ultime da lunghissimo tempo si è superato il limite della saturazione alimentare dal punto di
vista quantitativo (eccesso di K.cal prodotte rispetto ai fabbisogni necessari) ed i vari competitori del
settore, non esclusi quelli del latte e dei suoi derivati, puntano sull’omologazione del prodotto (ad es.
il Grana Padano di Reggio Emilia o dell’Argentina oramai sono la stessa cosa) e su standard di qualità e
di sicurezza sempre più disancorati dall’internalizzazione delle locali peculiarità geo-ambientali e dalle
diversità storico-antropologiche degli individui dei luoghi percepiti come clienti espropriati di
soggettività alimentare e culturale. Si tratta di un’omologazione facilmente assoggettabile a quelle
differenziazioni formali del prodotto, attraverso il binomio marketing packaging, che permette di
sfruttare la maggiore elasticità dei prezzi rispetto al reddito per la conquista delle quote di mercato.
Omologazione di prodotto (le cosiddette commodity) ed elasticità distributiva, sono i fenomeni di una
stessa medaglia che stanno determinando la doppia tragedia di diffusione dell’obesità, con le
connesse patologie, e di rifiuti sempre meno biodegradabili e fortemente dissipativi delle risorse
naturali ed energetiche. Uno spreco che si riversa sulle popolazioni delle aree del mondo povero
economicamente, ma ricco di risorse ambientali e naturali e che tuttavia non riesce a soddisfare i
fabbisogni di sussistenza alimentare con seri problemi di sopravvivenza per lo sfruttamento intensivo
da parte dei potentati economici e finanziari internazionali.
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50
1.2 GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE
La globalizzazione in questo quadro è stata intesa come un meccanismo di ristrutturazione delle
produzioni che a prescindere dal trovarsi in una fase di crescita o di ristagno economico, ha puntato
su un tipo di produttività che ha generato paradossalmente quelle eccedenze alimentari non
risolutive né della fame nel terzo mondo, ne della salute generale dei cittadini del cosiddetto mondo
sviluppato. Un meccanismo che, inoltre, decreta la completa, ma non ancora definitiva (il recupero
delle produzioni ecologiche locali è l'unico fattore di contrasto), rottura dell’equilibrio territorioproduzione grazie al concretizzarsi dell’allargamento del commercio internazionale e dell’espansione
della grande distribuzione organizzata (GDO). Due fenomeni, quest’ultimi, oggetto di ampi
approfondimenti, ma che in questa sede vogliamo richiamare semplicemente per gli effetti che essi
hanno determinato sulla sicurezza e la qualità del cibo.
Indubbiamente, con la globalizzazione, il dominio sul commercio internazionale delle derrate
alimentari da parte della prima potenza industriale e militare del mondo, come sono gli USA, la dice
lunga. Una potenza che, non potendo più decidere militarmente dei destini del mondo (come oggi
avviene) perché equilibrata da fattori di salvaguardia dell'umanità (evitare una guerra atomica di
distruzione totale) altrettanto forti, fa della produzione e della distribuzione delle derrate alimentari
uno strumento di dominio ancora più poderoso: si domina attraverso l’apparente mantenimento della
vita e non disseminando militarmente morte. Una produzione di quelle derrate (grano, mais, soia,
latte e carni essenzialmente bovine) che stanno alla base dell’alimentazione del primo e secondo
mondo e che vengono ottenute attraverso la predisposizione di tecnologie adeguate essenzialmente
ai contesti territoriali nord americani e frutto di innovazioni fatte ritenere neutrali, oggettive ed
adattabili ad ogni contesto. Un meccanismo low cost generato dall’alta produttività dei fattori
tecnologici e dal basso costo del lavoro realizzato attraverso la combinazione tra immigrazione
temporanea e dalla presenza di un Welfare State non certo di pari civiltà di quello europeo. Un
meccanismo molto concorrenziale nei confronti dell’Europa e particolarmente penalizzante per le
agricolture mediterranee. Infatti l’Europa risponde a tale concorrenza con una Politica Agraria
Comunitaria tesa - attraverso il sostegno di prezzi più alti ed il finanziamento alle strutture - a
difendere le produzioni continentali, non dissimili dalle derrate americane, ottenute a costi più alti sia
per l’uso di tecnologie esogene non perfettamente compatibili e sia per un costo del lavoro più alto.
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51
L’Italia e gli altri paesi mediterranei, invece, in questo contesto di ristrutturazione viene difesa dalla
PAC in modo limitato perché l’incidenza delle produzioni continentali sulla PLV nazionale è di gran
lunga inferiore alla media europea. Incidono relativamente di più le produzioni ortofrutticole a
caratterizzazione mediterranea, ma per queste vige un livello di protezione quasi nullo. Il
Mezzogiorno paga più delle altre aree del paese le conseguenze di questa politica vedendo crescere la
desertificazione, marginalizzazione e contemporaneamente le difficoltà per la commercializzazione
sul mercato internazionale delle produzioni ortofrutticole di quelle ristrette pianure interstiziali alle
estese zone di collina e di montagna .
La crescita del commercio internazionale agevola gli approvvigionamenti di derrate fornite dai gruppi
internazionali dell’agro-industria prescindendo dalla parte del mondo, avanzato o arretrato, in cui essi
siano andati ad allocarsi. Gruppi che poi realizzano con processi produttivi standard, ad alta entropia e
quindi impostati su schemi di spreco energetico, le trasformazioni in prodotti omogenei di largo
consumo. I quali necessitano della GDO per raggiungere il consumo finale con annesse politiche di
marketing. Si tratta di politiche che, in effetti, omologandosi a precise modalità di concepire la
relazione prodotto-consumo, accentuano ancora di più quelle contraddizioni connesse alla
parzialissima applicabilità dei modelli tayloristici ai beni alimentari.
Infatti a tal uopo, va stigmatizzato che un bene alimentare, per le ricadute fisiche e psicologiche che
ha sulla salute del consumatore non dovrebbe essere trattato alla stregua di altri prodotti industriali,
come ad esempio la benzina. Si tratta sempre di due reintegratori energetici, ma nel caso dei
carburanti, in pratica, dati determinati quantitativi, date due determinate automobili e dati due piloti
automatici che replicano all’unisono sempre gli stessi movimenti, gli effetti in termini di chilometri
percorribili dalle due automobili sono perfettamente determinabili. Viceversa gli effetti di un quartino
di Aglianico del Vulture – grande vino rosso meridionale di origine greca –sul metabolismo personale
di chi vive per esempio a Napoli saranno differenti da chi vive in altre parti d’Italia. Ciò per un’infinità
di motivi e non ultimo quello che si vive in città differenti. Il quartino d’Aglianico, per un napoletano,
sarà metabolizzato nel consumo di energie per godere delle uniche bellezze naturali e culturali al
mondo di Napoli e contemporaneamente difendersi dal caos e dallo stress ambientale di ogni giorno.
Però, tale quartino sarà assorbito in modo differente dal bolognese nella bella, dotta ed
indaffaratissima Bologna, dal fiorentino nella coltissima, caotica, ma unica al mondo Firenze e dal
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52
perugino nella bella, vivibile e tranquilla Perugia. Allora se il quartino di Aglianico non è benzina, come
il Sangiovese, il Chianti ed il Sagrantino tipici vini delle città prima citate, qual’è il significato di tutte le
attività, come ad esempio quella dei sommeliers, volte a rendere oggettive cose estremamente
soggettive come il gusto delle persone? Non rientrerebbe tutto ciò in operazioni di persuasione
(occulta) a garanzia di vini ottenuti ed omologati ad unici standard qualitativi che trascurano tutte le
diversità? Purtroppo da come stanno andando le cose, per cui vino o latte o formaggi e benzina sul
mercato sono informi beni economici, va sottolineato che il cibo, attraverso le politiche di marketing
per esso adottate, concorre a quel processo di reificazione del cittadino a consumatore. Il quale è
inconsapevolmente accompagnato ad adottare quel modello di consumo di benessere senza felicità
per cui <<una persona sicuramente in forma ma non felice consuma antidepressivi, … consulta
psichiatri …. e compra dalla mattina alla sera oggetti altrettanto cari quanto inutili>> (Hervè Renè
1999).
Si tratta, come si intuisce, di un modello di consumo per il quale gli alimenti se anche garantissero la
salubrità fisica degli individui -ma non è sempre vero- certamente non sarebbero più nella condizione
di garantire quella psicologica e mentale: addio mens sana in corpore sano.
E’ un modello di consumo che tende ad allontanare non soltanto il cibo dalla naturalità delle cose, ma
tutto ciò che sostiene la vita del consumatore deteriorandola a pura artificialità. Anche in quei
momenti di svago e di turismo in amene località di mare dove ad esempio: la balneazione è sempre
più praticata in piscina; l’appropriazione del paesaggio avviene in sentieri e giardini costruiti
all’interno dei villaggi e non rispecchianti le caratteristiche del luogo; infine la ristorazione si fonda,
analogamente per quanto avviene per il pasto veloce (fast food), sempre di più su pietanze, di alta
qualità certificata dagli omologatori dei gusti, replicabili altrove e rifuggenti dalle produzioni locali.
Inizia a prendere, così, nuove sembianze il concetto di qualità alimentare che perde quella
connotazione di relatività con il territorio e con la società per assumerne una di valore assoluto.
Inoltre questo concetto di qualità si sostanzia del raggiungimento della saturazione alimentare. Cioè
quella soglia delle funzioni engeliane di spesa, per la quale, dato un livello avanzato di crescita
economica, gli incrementi di reddito pro-capite sono destinati in modo meno che proporzionali
all’aumento della spesa per i beni di primaria necessità e più che proporzionali per quelli di lusso.
Una saturazione alimentare che, determinata da quel modo di produrre ad alta entropia ed ad alto
spreco di risorse fisico-ambientali, viene perseguita anche attraverso l’acquisto dell’acqua (stiamo
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53
arrivando anche all’aria attraversi certificati di CO2). Un fattore naturale ed illimitato, ma che la
rottura dell’equilibrio territorio-produzione ed il conseguente inquinamento hanno ridotto ad un
bene economico disponibile nella sua valenza di naturalità, di genuinità e di salubrità solo per quelle
classi di reddito che se lo possono permettere.
Tale ragionamento cerca di mettere in evidenza che la globalizzazione è un fatto flessibile assumente
diverse connotazioni nelle transizioni caratterizzanti le varie fasi economiche come ad esempio quella
che va verso il post-fordismo facendo giungere a maturazione il ciclo tayloristico dell’economia. Dopo
il quale inizia ad affermarsi sempre di più quella che è definita l’economia della conoscenza. La quale,
pur modificando profondamente un modo di produrre e pur introducendo il cambiamento
organizzativo come fattore stabile della produzione, non incide minimamente sulla materialità della
relazione territorio-produzione. Anzi quest’ultima manifesterà delle lacerazioni ancora più profonde e
che si incardineranno nei migliori dei modi sui meccanismi finora trattati. La sicurezza alimentare con
l’implicita qualità, così si complessifica socialmente, diviene sempre più plurale e pone inediti
problemi di salubrità nel rapporto uomo-natura ed uomo-società.
Anche il Mezzogiorno (con la Regione Molise) nella globalizzazione è stato ed è pienamente coinvolto
in questo trend accentuando tutti i suoi paradossi compreso quello paesaggistico che sottende i reali
cambiamenti avvenuti nel suo territorio. Così, quello interno – come esemplifica nel migliore dei modi
la regione Molise - appare <<meno “nudo” e più “spellato” (modificando la metafora di Rossi-Doria),
perché la disattivazione aziendale (o esternalizzazione delle operazioni produttive), grazie al sostegno
finanziario accordato alla cerealicoltura, ha permesso e permette ancora la ricoltivazione di terre
abbandonate sfruttando le residue potenzialità dei suoli prima del collasso definitivo in deserti di
roccia.. Le aree costiere, ridefinite di <<polpa>> da Rossi-Doria nel 1967, sono investite, grazie alla
disattivazione aziendale e alle crisi industriali, da fenomeni di urbanizzazione. Ad esempio la
terziarizzazione dei servizi reali alla agricoltura comporta una localizzazione delle strutture in centri
urbani e si ridefiniscono così i rapporti tra città e campagna>>. Le campagne del Mezzogiorno in
effetti, stanno portando a compimento quel nuovo ruolo che le vede sempre meno fornitrici di
alimenti per i bacini urbani a loro prossimi e sempre più per i mercati extra regionali ed internazionali.
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54
1.3 TRA SOCIETA’ DEI SAPERI E NUOVA ECONOMIA MATERIALE.
Quest’ultimo ventennio, per il quale si ipotizza il passaggio dalla società postfordista, con le connesse
economia della conoscenza e società dei saperi, alla rinnovata e nuova Economia Materiale, è
suddivisibile in due sottoperiodi. I quali, pur distinguibili nell’epoca della maturazione del
postfordismo, conclusasi nella metà degli anni ’90, e in quella successiva di emersione del
dopopostfordismo, portano a maturazione ed accentuano i fenomeni già prima richiamati. Limitando,
però, alcune considerazione a quei fattori che hanno le maggiori ricadute sui problemi della sicurezza
alimentare, va sottolineato che in tale periodo sono stati raggiunti alcuni punti che, coinvolgenti
oramai la sicurezza dell’intero globo, qualora fossero superati ci si incamminerebbe su di una strada di
difficile ritorno.
Si tratta di quella forma di globalizzazione dominante che tende ad omologare gli stili di vita
dell’intero pianeta ancorandoli a quei modelli di comportamento sempre più determinati e dipendenti
da centralizzate strutture cosmopolite. Le quali nel perseguire i loro obiettivi di esclusiva crescita
economica, secondo l’accezione bioeconomica, tendono, con le buone o le cattive, a ricondurre il
tutto ad un modello ricco, sprecone di risorse non rinnovabili e di parzialissimo benessere.
In questo quadro, e per i motivi già addotti,vengono fuori delle spinte che fanno divenire la rottura
dell’equilibrio territorio- produzione un fatto globale facendo crescere da un lato la desertificazione e
la marginalizzazione e dall’altro quelle concentrazioni urbane che, fatte le dovute distinzioni tra aree
ricche e povere, accrescono contraddizioni e malessere delle popolazioni.
Desertificazione e concentrazioni urbane, due poli del vivere nel mondo d’oggi alimentati dai flussi
migratori da quelle aree considerate e pensate come povere a quelle ricche. Flussi che: da un lato
accelerano gravi processi di deantropizzazione, con conseguenti gravi problemi di conservazione della
biodiversità e di mantenimento degli equilibri ambientali, dei luoghi abbandonati; dall’altro lato
rendono più conflittuali le dinamiche sociali di quelli di accoglienza. Volendo, però, ricondurre la
conflittualità sociale alle dimensione della sicurezza e la qualità alimentare va stigmatizzato che molto
spesso, nei paesi del primo mondo coesistono molteplici modelli alimentari che esprimono
differenziate domande di cibo. Ma che di fronte alle quali c’è un’offerta di ampia gamma, molto
differenziata in termini di prodotti, ma che riesce a soddisfare l’esigenze di quell’alimentazione
standard uniformata al modello di saturazione alimentare dominante e prima menzionato. Offerta
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55
non altrettanto soddisfacente per le altre etnie che, accanto ai disagi sociali derivanti dalla loro
estraneità al contesto, devono sopportare un’alimentazione, fatta anche da safety food, a cui
difficilmente riescono ad adeguarsi. Ciò genera l’insorgenza di nuove malattie che insieme a quelle
derivanti dal modello d’ingiustificata iperalimentazione aggravano ulteriormente i costi sociali della
crescita.
Un meccanismo quest’ultimo descritto che coinvolge pienamente anche il Mezzogiorno d’Italia ed al
quale devono essere apportate delle correzioni proprio in direzione di quell’idea di eco-sviluppo che
attraverso la programmazione territoriale della UE e nei vari PSR potrebbe portare a considerare la
sicurezza e la qualità alimentare un fatto plurale coinvolgente pienamente territori e cittadini e non
semplicemente come patrimonio di tecnostrutture autoreferenziali ma distanti dai problemi della
gente, della natura e dall’economia dei luoghi.
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56
1.4
Le prospettive di mercato per le eco-produzioni mediterranee.1
Le produzioni agroalimentari a forte tipicità mediterranea del Mezzogiorno che avevano fatto
registrare delle consolanti prospettive di mercato nel corso del primo lustro degli anni duemila sono
ora sottoposte anche loro ai micidiali effetti dell’attuale crisi. Una crisi finanziaria inedita e di
particolare gravita per i destini vitali dell’intero mondo, perché non è limitabile, come nel passato, alle
relazioni organizzative e al rapporto capitale lavoro nei processi produttivi, ma sta profondamente
intaccando il rapporto uomo/natura accentuando in modo irreversibile i cambiamenti climatici e i
conseguenti dissesti tra biosfera, litosfera e idrosfera. Una crisi che inoltre riorganizzando i rapporti
strutturali della natura crea sempre più accentuate difficoltà al recupero della sostenibile tradizione
dei luoghi da decodificare e ricodificare attraverso i nuovi e compatibili (in realtà pochissimi)
strumenti di progresso tecnico nella governance locale per l’eco-sviluppo. I risultati di questa attuale
condizione fanno leggere in modo differente rispetto al più immediato passato i dati relativi
all’elasticità spesa reddito che mettevono in risalto dei valori superiori all’unità (vedi tabella) per la
maggior parte dei prodotti definiti tipici e ciò era indicativo di un forte interesse da parte dei
consumatori per una tipologia alimentare che considerava il cibo non solo come semplice consumo di
sussistenza e di primaria importanza ma anche un bene che può assumere la connotazione di bene di
lusso o secondario .
L’emergere, allora, dei fenomeni di forte contrasto con la legge di Engel - richiamata in precedenza ispiratrice delle teorie della domanda nell’Economia agroalimentare registra nella situazione attuale
un forte regresso. Riprendono vigoria abbassandone il livello (MD in sostituzione della GD) i modelli di
consumo dei paesi sviluppati, imperniati sulla Macdonaldizzazione delle produzioni alimentari e sulla
Carrefourizzazione della loro distribuzione e contemporaneamente sempre più caratterizzati da una
inelasticità della spesa alimentare che agirebbe in modo non indifferente sul declino dell’agricoltura.
Inoltre la scomposizione della spesa nelle componenti prezzi e quantità fa risaltare un’elasticità di
questa ultima rispetto al reddito molto più bassa dell’altra. In parole semplici questo fenomeno indica
che la saturazione alimentare nella nostra società è un dato di fatto e che quindi il lancio di nuovi
1
Il presente paragrafo, su concessione dell’autore, si riferisce ad un aggiornamento del saggio di Sergio Vellante Prodotti
tipici del Mezzogiorno e prospettive di mercato pubblicato su IL DENARO n.25, 1998;
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prodotti che travalicano il mercato regionale, come il “Latte Nobile”, di riconosciuta qualità sostitutiva
della quantità, deve superare una forte inelasicità dei prezzi dettata dalla peculiarità dell’attuale crisi
di sopraproduzione e sottoconsumo.
Sarebbe quindi importante riconquistare i valori dell’elasticità superiori alla unità dei prodotti tipici
del Mezzogiorno e riconfermare delle potenziali prospettive di mercato dettate in realtà più dalla
componente legata alla qualità, che a quella dei prezzi. Ciò è stato, ma per certi aspetti continua ad
essere, particolarmente evidente per alcuni cereali e legumi (come il farro e la cicerchia) che alcuni
decenni fa potevano essere catalogati fra beni inferiori - la cui domanda tende a declinare anche con
la diminuzione dei prezzi – e oggi stanno vivendo una fase di rilancio in cui, crisi permettendo,
l’aumento della quantità domandata si correla ad una percentuale di aumento dei prezzi più che
proporzionale.
Su questa performance dell’elasticità dei prodotti tipici incidono anche le dimensioni del mercato e le
tecniche di acquisto. Infatti gran parte di tali prodotti sono prevalentemente rintracciabili su mercati
locali connessi ad un processo di autoconsumo che travalica le soglie aziendali e familiari per servire
dei consumatori del luogo e di aree esterne ma perfettamente a conoscenza dell’alto valore di
genuinità, di tradizionalità e di bontà del prodotto acquistato. Sembra di trovarsi di fronte allo
emergere di un ambiente transazionale di tipo particolare che contraddittoriamente riguarda beni di
consumo finale difficilmente acquisibili sul mercato concorrenziale, ma solo attraverso delle
specifiche transazioni tra produttore e consumatore.
Concorre a questo stato di fatto anche l'evoluzione dei modelli di consumo alimentare affermantisi
nei paesi occidentali e tendenti a soddisfare non solo esigenze salutistiche ed edonistiche ma anche
quelle della tutela delle risorse materiali, umane, storiche e conoscitive connesse alla produzione di
un determinato alimento che ingloba alcune peculiarità del contesto ambientale e territoriale nel
quale viene realizzato. E’ questo un modello di consumo che tenta di catturare quei segmenti di
mercato – tra i quali è includibile l’alimentazione Mediterranea in grande rilancio nelle diete delle
popolazioni mondiali - tutt’altro che saturi e ininfluente sulla domanda dei prodotti agroalimentari
destinati ai consumi di massa su scala mondiale, soddisfatta prevalentemente dalla produzione e dal
commercio internazionale gestito dalle grandi conglomerate distributive dei paesi occidentali.
La valorizzazione ambientale, culturale e territoriale dei sistemi agroalimentari ed ecologici nelle aree
del Mezzogiorno dovrebbe, quindi, rappresentare la risposta alla crisi perseguendo obiettivi di politica
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economica e territoriale (il PSR come fattore trainante) su cui far convergere lo sforzo dei produttori
singoli, delle imprese e degli attori sociali ed istituzionali per dare una necessaria risposta ad un futuro
sostenibile dell’intero Pianeta.
L’emersione ed il recupero di una cultura tecnologica tipicamente mediterranea (come è quella
insita nel Latte Nobile), non quasi più espressa (tacit Knowledge) ma maturata nelle conoscenze e
nelle abilità dei produttori locali (local Knowledge), rappresentano uno dei più importanti obiettivi
da perseguire attraverso una forte interazione con i più moderni processi innovativi. Ciò anche in
relazione al fatto che negli ultimi tempi sul versante della tipicità si sta constatando un rinnovato
impegno ed un dinamismo imprenditoriale tesi ad attivare delle forti trasformazioni sul terreno
produttivo e delle strategie quality-oriented delle imprese. Attualmente, però, tali processi di
ridefinizione strategica trovano grandi difficoltà sia per gli approvvigionamenti di materie prime
adeguate - non sono prevalentemente più quelle di origine locale per la regressione dei patrimoni
genetici autoctoni vegetali ed animali - sia nella messa in opera delle produzioni. Produzioni che però
non possono prescindere dai processi annidati all'interno di piccole e medie unità (artigianali e non)
ed imperniati su locali conoscenze e modalità produttive specifiche le quali tendono a regredire
insieme all’invecchiamento dei detentori della corrispondente cultura tecnologica. A queste difficoltà
delle imprese vanno anche sommate quelle degli apparati infrastrutturali di natura istituzionali, e non,
che rispetto all’erogazione di servizi reali adeguati, alla costituzione di meccanismi di certificazione di
qualità per i prodotti a tipicità mediterranea ed alla predisposizione di disciplinari di produzione
compatibili con le risorse locali, manifestano una quasi inermità. Ciò nel senso che si appiattiscono su
vani tentativi di trasferimenti di competenze, maturate in contesti di successo esterni al Mezzogiorno,
e scarsamente compatibili con lo sviluppo delle risorse locali.
Il recupero ed il rinnovamento della cultura tecnologica locale – che si vuole attivare con il presente
progetto - sembra quindi essere l’unica via su cui rilanciare il sistema agroalimentare del
Mezzogiorno, e del Molise in particolare, in una prospettiva non solo di consumo finale sul mercato
internazionale dei prodotti di nicchia ma anche di predisposizione di tecnologie adeguate e
compatibili con gli ambienti analoghi ai nostri gravitanti nel bacino del Mediterraneo e collocabili sul
mercato internazionale dei fattori innovativi. Ciò in piena armonia con i processi di globalizzazione
tesi, al di fuori della standardizzazione ed omologazione produttiva, a sviluppare dei forti legami tra
globale e locale attraverso la codificazione dell’innovazione nelle tecnologie autoctone.
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Prodotti
Elast.Spesa/Reddito Elast.Prezzo /Reddito Elast.Quantità/Reddito
Vini
Vini da tavola
0,84
0,58
0,26
Vini IGT
0,76
0,57
0,19
Aglianico Vulture
2,06
1,04
1,02
Aglianico Taburno
1,9
1
0,9
Falanghina
1,96
0,87
1,09
Tipici artigianali
1,6
0,78
0,82
Industriali
0,82
0,6
0,22
Caciocavallo Podolico
2,5
1,3
1,2
Caciocavallo Silano
2
1,3
0,7
Caciocavallo Sorrento
1,7
0,8
0,9
Scamorza artigianale
1,75
0,8
0,95
Caciotta artigianale
1,8
0,9
0,9
Pecorino Matese
1,9
1,4
0,5
Pecorino Filiano
2,1
1,4
0,7
Caprino Cilentano
1,9
0,9
1
Prosciutto Pietraroia
1,96
0,87
1,09
Prosciutto Molisano
0,9
0,65
0,25
Soppressate artigianali
2,7
1,7
1
Salsiccia artigianale
2
1,3
0,7
Capocollo artigianale
1,82
1,03
0,79
Farro
1,77
0,88
0,89
Fagioli IGP
1,2
0,73
0,47
Vini doc:
Olio d'olive:
Formaggi Tipici
Salumi
Colture Erbacee
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60
Cicerchia
1,49
0,7
0,79
L’attuale contesto di profonda rivoluzione tecnologica, economica, sociale e culturale sta fortemente
coinvolgendo – così come emerge dagli studi su citati - anche l’attività agricola che tende a rinnovare
profondamente le sue connotazioni di fondo. Essa, pur restando ancorata all’elemento naturale della
terra ed a quello economico del capitale, risente dell’effetto propulsivo esercitato dal permanente
cambiamento tecnologico sui processi produttivi e sulle relazioni esistenti tra produzione e società. E’
questo cambiamento l’elemento di base per la creazione di un rilancio dell’agroalimentare del
Mezzogiorno lungo i sentieri prima richiamati. Sentieri imperniati su meccanismi in grado di
esplicitare le conoscenze tacite e codificarle in saperi innovativi locali attraverso il supporto di nuove
figure socio-professionali come potrebbero essere gli agenti innovativi per il recupero delle tipicità
locali o i così detti knowledge workers (gli integratori versatili). Sono nei fatti delle nuove figure socio
professionali messe a punto dalle più recenti acquisizioni dell’Economia dell’Innovazione e che date le
specificità dei sistemi locali dovrebbero attivare dei processi organizzativi per i quali le conoscenze
tacite o implicite della cultura tecnologica dei produttori locali dovrebbero coniugarsi con quelle
esplicite a forte contenuto innovativo.
Si tratta, come si spera di fare con il presente progetto, di costituire un management strategico per lo
sviluppo dei sistemi locali che assumerebbe un ruolo di priorità e di indispensabilità rispetto
all’attivazione di qualsiasi intelaiatura istituzionale per far decollare le aree a deficit di crescita.
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2. IL MERCATO DEL LATTE
Secondo l'analisi di Ismea "Mercato lattiero caseario: scenario mondiale e nazionale", nel 2010 la
produzione mondiale di latte è aumentata (+2%), ma la domanda è cresciuta a ritmi ancora più
sostenuti, in particolare per le polveri, e soprattutto nei paesi del Sud-est asiatico. Il
mercato internazionale dei prodotti lattiero caseario è caratterizzato da un andamento crescente
dei prezzi alla produzione, come conseguenza di un’offerta insufficiente a soddisfare una
domanda molto dinamica, proveniente soprattutto dai paesi asiatici.
Nel 2011 si confermano le stesse dinamiche, ma la domanda di polveri sta aumentando
in misura esponenziale.
Fonte: Ismea
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2.1 LA DOMANDA DI LATTE E DERIVATI
Dopo un periodo particolarmente turbolento il comparto del latte si trova da qualche anno in una fase
apparentemente tranquilla, con prezzi all’origine crescenti e una discreta tenuta della redditività; ma
lungi dall’indurre ad accantonare gli aspetti problematici che comunque persistono, con il rischio che
essi si aggravino e conducano a situazioni irreversibili, proprio un tale momento di mercato costituisce
l’occasione propizia per evidenziare, affrontare e, nella misura del possibile, risolvere quanto frena la
competitività del settore.
Come emerge dall’edizione 2012 del Rapporto Latte, il principale elemento propulsore delle
quotazioni è stato una domanda internazionale vivace; ad essa si è sommato, nello specifico dei nostri
principali formaggi DOP, un andamento positivo delle esportazioni che ha consentito di far crescere
ancora le quotazioni rispetto ai già buoni livelli del 2010. Si osserva però che i consumi nazionali sono
fermi benché su livelli accettabili a dicotomia tra i trend della domanda estera e nazionale crea
qualche preoccupazione.
Nonostante un quadro generale non completamente roseo, latte e derivati del latte sono alimenti che
nonostante il prezzo mediamente più alto sono apprezzati per la loro semplicità d’uso, la comodità di
approntare rapidamente un pasto e la capacità ridurre gli sprechi in quanto più flessibili e in alcuni
casi (latte UHT, formaggi stagionati) temporalmente meno deperibili.
Ciò nonostante un’analisi di lungo periodo evidenzia come in 36 anni il consumo di latte sia diminuito
nella composizione della spesa alimentare delle famiglie:
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63
Ad ogni modo i dati di seguito dimostrano come Latte ed i suoi derivati siano caratterizzata da una
bassa elasticità rispetto al reddito e ciò è fattore di sicurezza in termini di consumi.
Elasticità della domanda rispetto al reddito per componenti della spesa agroalimentare 2011
Componenti di spesa
Elasticità al reddito
pane
0,415
pasta e riso
0,317
biscotti e altri cereali
0,818
frutta
1,126
pesce
0,649
olio di oliva e semi
0,967
zucchero e altri generi alimentari
0,375
carne bovina
0,756
pollame
0,849
salumi
0,629
latte
0,333
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formaggi
0,619
uova
0,389
burro
0,166
caffè tè e cacao
0,626
acqua minerale
0,968
vino
1,061
ristorazione
1,240
Secondo una indagine biennale condotta da AstraRicerche per l'associazione Assolatte, latte e latticini
vengono associati a benessere e felicità e risultano i prodotti alimentari più apprezzati dagli italiani.
Infatti, il 92% di essi consuma abitualmente formaggi, l'85% latte, il 77% burro, yogurt e latti
fermentati. E, ancora, un buon 70% la panna. L'ulteriore curiosità emersa dallo studio è che i prodotti
lattiero-caseari riscuotono più successo della pasta, ovvero la più tradizionale icona della
cucina italiana.
A dimostrazione di ciò si può tenere in considerazione che, per effetto dell’incremento dei prezzi, il
valore corrente della produzione agricola è stato spinto verso l’alto con un conseguente aumento dei
prezzi al consumo, ma nonostante ciò il latte nel complesso tengono nonostante la crisi: i formaggi
scontano un po’ il loro alto prezzo unitario, il latte alimentare consolida la posizione, lo yogurt vola
per i suoi contenuti estremamente in linea con i parametri di riferimento di molti consumatori;
Infine, l’incidenza dei consumi complessivi di latte, formaggi, latticini e uova è generalmente cresciuta
e le famiglie con livelli di spesa più elevati hanno addiritturaaumentato più sensibilmente la quota dei
formaggi, che all’interno di questa classe di beni sono i prodotti mediamente più costosi.
Tali trend sono riscontrabili anche in periodi precedenti. Facendo nuovamente riferimento allo studio
ISMEA citato in precedenza, si può notare come che tali consumi di latte continuino ad incrementare,
benché con variazioni decrescenti, e come sia “ripida” il consumo di alcuni derivati come lo Yogurt.
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65
Fonte: CLAL
Le persone maggiormente propense a consumare formaggi e panna hanno tra i 25 e i 34 anni; quelle
che apprezzano yogurt e latti fermentati 44-45 e gli estimatori del burro tra i 35 e i 44.
Da un punto di vista geografico, latte e burro riscuotono più successo al sud; yogurt e latti fermentati
al centro e panna nell'area del Triveneto. In termini più generali il consumo di latte e derivati è
maggiormente diffuso al Sud e nel Nord-Est, mentre ha un peso minore rispetto alla media nazionale
nelle Isole.
L’entusiasmo per tale trend estremamente positivo rischia però di essere smorzato dai dati
contrastanti del primo trimestre 2013.
Benché gli acquisti di latte e derivati presso il canale retail risultano in leggera ripresa rispetto allo
stesso periodo dello scorso anno, mentre si riduce la spesa, dinamica che riflette sia un rallentamento
dei prezzi medi al consumo, sia un maggiore orientamento verso i prodotti di fascia inferiore o in
promozione.
Frenano i consumi di latte fresco (-3,6% in quantità), mentre aumentano le vendite del prodotto a
lunga conservazione (+3,6%). Lo yogurt continua a presentare ritmi di crescita sostenuti (+5,7%),
mostrando però una flessione in termini di spesa (-4,6%), per effetto anche di una più agguerrita
competizione sul prezzo tra marchi aziendali, nazionali ed esteri, e private Label.
Consumi mediamente in crescita, infine, per i formaggi (+2,1%), seppure con andamenti molto
differenziati tra i diversi segmenti merceologici.
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In tema di sensazioni associate ai vari prodotti lattiero caseari, il latte viene percepito dall'83% dagli
italiani come il simbolo della sana alimentazione e dal 39% come una bevanda legata alla calma e alla
serenità. Yogurt e latti fermentati vengono associati dal 53% degli intervistati al benessere e alla
salute e dal 49% al concetto di dimagrire. I formaggi, infine, per un buon 48% del campione preso in
esame, evocano l'idea del piacere alimentare.
Si può dire, quindi, che i prodotti lattiero-caseari con le loro caratteristiche organolettiche e
nutrizionali, sono un vero e proprio antidepressivo naturale e rappresentano un genere di conforto a
cui gli italiani associano valori estremamente positivi.
Tale approccio favorevole al consumo di latte e latticini è anche frutto di una maggiore
consapevolezza dei consumatori rispetto alla necessità di un nutrimento sano e diversificato. A
favorire la diffusione di tale consapevolezza contribuiscono i numerosi studi che ormai sono
facilmente fruibili. Basti pensare alla recente Piramide Alimentare Italiana realizzata dall’Istituto di
Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Roma "La Sapienza" per incarico ufficiale dello Stato
(2003) consiglia ogni giorno, nella variante grafica quotidiana, 2-3 porzioni tra latte-yogurt-latticini
freschi-ricotta-formaggi stagionati. Le porzioni sono standardizzate: 125 g di latte o yogurt, 100 per i
formaggi freschi o molli (stracchino, taleggio, ricotta), 50 g per quelli stagionati (parmigiano, pecorino
secco, provolone stagionato ecc.). In particolare, nella grafica settimanale, la Piramide Alimentare
Italiana consiglia 2 porzioni al giorno tra latte e yogurt (quindi 14 pz/settimana), più 4 pz/settimana di
formaggi, evidentemente tra molli e duri. In totale, quindi 18 porzioni a settimana, "al massimo". Il
che, sembra di capire, vuol dire che è possibile risparmiare qualche porzione.
Ma, quello che conta è la somma totale dei grassi saturi, la qualità dei singoli grassi saturi, e
soprattutto una dieta generale sana, naturale e moderata, povera di grassi saturi, tanto più se cotti,
ricca ogni giorno di verdure e frutta (6 porzioni almeno), legumi, cereali integrali, olio d’oliva e semi
oleosi, molto ricchi di acidi grassi polinsaturi. E per chi non è vegetariano, anche 3-4 pz di pesce a
settimana, soprattutto pesce azzurro (sgombro, alici, sarde ecc.). Un regime alimentare del genere è
ricco di antiossidanti naturali e svolge nel suo complesso un’azione preventiva, o è comunque a basso
rischio. Anche con la presenza costante ma moderata (oppure più consistente, ma a giorni alterni) di
latte, latticini freschi, ricotta e formaggi. Nello stile di vita anti-cancro ci sono anche le scelte del nonfumo e dell'esercizio fisico regolare (min. 45-60 min. 3 volte a settimana).
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2.2 IL LATO DELL’OFFERTA UNO SGUARDO GENERALE
Il latte è da sempre un alimento consumato dalle popolazioni occidentali sia tal quale che trasformato
in formaggio .Il sistema produttivo in Italia si è evoluta negli ultimi 20 anni, passando da oltre 180 mila
aziende a circa 37 mila (-80%). Il numero di capi in produzione nello stesso periodo è diminuito di
poco oltre il milione ma mantenendo o addirittura aumentando leggermente la produzione di latte.
Tutto questo fa facendo presumere un aumento delle dimensioni aziendali che permette economie di
scala ma anche e soprattutto il miglioramento genetico degli animali e una equilibrata alimentazione
delle vacche che permette una più alta efficienza di trasformazione e delle rese medie di stalla più
elevate (negl’ultimi venti anni sono aumentate di oltre il 70%).
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Fonte: Confagricoltura
L’Europa a 27 Stati risulta essere complessivamente il maggiore produttore di latte vaccino seguito da
Stati Uniti India e Cina. E’ da evidenziare la differenza fra le varie produzione medie capo nei diversi
Paesi produttori con gli Stati Uniti che arrivano a sfiorare i 10 mila kg per anno/capo mentre L’India,
VELIA s.r.l per ANFOSC
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nonostante sia un Paese con il maggiore numero di capi, ha una produzione media capo molto bassa
(1.169 kg/capo).
Fonte: Confagricoltura
L’Italia ha una resa capo di 6.373 kg ponendosi in Europa subito dopo i big del latte come Germania,
Regno Unito, Paesi Bassi e Francia. Purtroppo, nonostante i miglioramenti avvenuti negli ultimi venti
anni l’Italia è ancora deficitaria dall’estero per oltre 2 milione di tonnellate ed importa latte per il 95%
da Germania, Francia, Austria, Slovenia, Ungheria e Slovacchia.
2.2.1 L’ANDAMENTO DELLA PRODUZIONE IN ITALIA
Andando a guardare l’andamento dei prezzi alla produzione dell’intero comparto, si nota
immediatamente che la fine del 2012 si stava caratterizzando per una decrescita degli stessi, dopo
una significativa impennata avuta nell’ultimo semestre dello stesso anno; tale trend si è interrotto e
rapidamente invertito ritornando, nel Maggio del 2013, nuovamente al raggiungimento dei livelli
massimi.
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Fonte: Ismea
Quest’andamento è strettamente legato all’andamento dei prezzi medi mensili del Latte Spot e del
Latte crudo alla stalla che, come si può ben immaginare, hanno influenzato l’andamento anche dei
prodotti derivati.
Fonte: CLAL
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Fonte:CLAL
Mettendo in evidenza i dati di due derivati, burro e formaggi duri, con il latte, si nota infatti che
l’andamento degli incrementi e dei decrementi dei Prezzi dei 3 prodotti è direttamente proporzionale.
Fonte: Ismea
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Analogo andamento si può riscontrare nell’evoluzione dei costi di produzione nel periodo 2012-2013.
Anche in questo caso gli indici indicano variazioni armoniose.
Fonte: Ismea
Tale andamento dei principali indici di Produzione ha smorzato in parte l’entusiasmo dell’ultimo
semestre del 2012, ma segnali positivi rimangono nelle esportazioni benché con alti e bassi.
Gli ultimi dati ISTAT sull'import export lattiero caseario italiano del I bimestre 2013 ci presentano
alcune novità che riepiloghiamo qui di seguito. Questi i numeri relativi alle importazioni: il latte
confezionato cresce ancora (+13%) mentre gli acquisti di latte sfuso tornano a calare (-2% circa sul
2012). Gli yogurt, sia nella versione naturale (+0,8%) che in quella ai gusti (+10%); il burro, sia
confezionato (+16%) che sfuso (+41%) e i formaggi (+5%), si confermano in crescita sullo scorso anno.
In parallelo sul fronte dell'export il 1° bimestre del 2013 presenta un saldo positivo (anche se parliamo
di quantità modeste) per le vendite all'estero di latte sfuso (+154%) mentre quello confezionato perde
circa il 21% rispetto al 2012. Invertono la tendenza, rispetto allo scorso anno, gli yogurt naturali
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(-31%) mentre quello ai gusti cresce del 27%; registrano una flessione le esportazioni di burro, sia
confezionato (-68%) che sfuso (-30%). Il 2013 si conferma positivo anche a febbraio per i nostri
formaggi (+7% sul 2012) che arrivano a 44.000 tons. I dati Istat sull'andamento dell'import export
lattiero caseario nel primo trimestre del corrente anno ci offrono un quadro sostanzialmente invariato
rispetto alla precedente rilevazione.
Proprio l’Export determina comunque un incremento dell’Indice del Clima di Fiducia determinato
dall’ISMEA
Fonte: Ismea
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2.2.2 ULTERIORI CONSIDERAZIONI
Al termine della Premessa al presente Studio, abbiamo fatto cenno al fatto che, sotto il profilo
economico, il latte sia valutato come una “commodity”, senza alcun riferimento alle sue qualità, tanto
che, argutamente, in un articolo comparso sulla rivista Caseus ci si domandava se non era il caso di
valutare le mucche sulla base dei “barili” del latte che produceva, alla stessa stregua del petrolio al
quale è accumunato in campo finanziario.
Per rimanere in tema, verrebbe da chiedersi: altro che oro! Anzi: sarebbe meglio dire che il mattino ha
il latte in bocca. Il riferimento non è alla pur sana abitudine degli italiani di fare colazione con un
cappuccino, ma al prezzo dei Milk future sul Chicago Mercantile Exchange (Cme, una delle più grandi
borse di commodity al mondo). Nel corso del 2011, il loro valore è cresciuto del 35%, di gran lunga
superiore al +11% messo a segno dall’oro o al +10% del petrolio. Il latte in questione appartiene alla
categoria Class 3, vale a dire quello destinato alla produzione di formaggi e altri derivati.
Nei primi mesi del 2012, il trend positivo sembra essersi ribaltato e i future hanno perso il 5,35% sul
Cme rispetto al febbraio 2011. Proprio questo crollo potrebbe attrarre gli speculatori, perché la
maggior parte degli analisti si aspetta comunque un 2012 di crescita per il latte. Due fattori di segno
opposto influiranno sul livello dei prezzi: da un lato, la maggiore produzione di latte, che contribuirà a
tenere a freno la crescita iniziata nel 2011. Dall’altro, il costante aumento delle esportazioni verso i
Paesi emergenti, che trainerà al rialzo il mercato Usa soprattutto nella seconda metà dell’anno. Il latte
Classe 3, in polvere o condensato, può agevolmente essere imballato, conservato e trasportato,
diversamente dal latte liquido per il consumo diretto. Gli Usa ne producono circa 100 milioni di
tonnellate l’anno; nel 2011, le esportazioni hanno raggiunto un controvalore pari a quasi 5 miliardi di
dollari, in crescita del 30% dal 2010. Il boom dell’export si spiega facilmente: nei Paesi asiatici e del
Sudamerica si sta sviluppando una classe media che può permettersi una dieta più bilanciata con un
maggiore consumo di formaggi e altri beni alimentari non di mera sussistenza.
Il mercato dei Milk future è ancora di nicchia e poco accessibile agli investitori privati, ma sta
evolvendo rapidamente. Uno dei problemi tipici delle commodity poco note sta nella scarsa liquidità
degli strumenti finanziari ad esse legati. Dal 2007 a oggi, tuttavia, il volume di scambi dei Milk future è
più che raddoppiato, con un aumento del 32% nel corso del 2011 e una media di 110 mila
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contrattazioni quotidiane nel mese di gennaio 2012. Certo, il gap con le grandi materie prime è
praticamente incolmabile, se si considera che i future sul greggio scambiano mediamente 1,5 milioni
di contratti al giorno e quelli sul grano sono a quota 1,3 milioni. I principali investitori sui Milk future,
oggi, sono gli stessi allevatori e produttori che ricorrono a questi strumenti per mettersi al riparo da
un eventuale crollo dei prezzi del latte Class 3 come già se ne sono verificati in passato.
Completamente diverse le dinamiche del latte destinato al consumo diretto, che comunque in Italia
ha conosciuto una crescita dei prezzi di tutto rispetto. Stando a dati della Camera di commercio
industria e artigianato Lodi, infatti, il prezzo del latte crudo alla stalla è aumentato del 19% in due
anni, dai 32 euro circa del febbraio 2010 sino ai 38 euro per 100 litri di latte del febbraio 2012, pur
mostrando un netto trend al ribasso nel corso degli ultimi mesi.
Aumento dei prezzi e della produzione sotto la spinta della vorticosa domanda dei Paesi emergenti.
Sono queste le dinamiche che hanno connotato nel 2010 il mercato mondiale di latte e derivati, con
prospettive di ulteriori tensioni nel 2011, anche per effetto delle basse scorte globali.
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3 LA DIMENSIONE EUROPEA E PROSPETTIVE DEL MERCATO DEL LATTE
3.3 ANDAMENTO DI MERCATO
Nell'Europa a 27, dopo il buon esito produttivo del 2010 si registra una crescita del 2,5% nel
2011. Anche sul fronte dei prezzi il 2010 ha chiuso con un aumento medio del 15% per il latte
alla stalla, di riflesso alle dinamiche in atto sui mercati internazionali. Nel 2010 la maggiore
disponibilità di materia prima è stata impiegata nella produzione di formaggi (+2,5%),
mercato in cui l’UE ha confermato la propria leadership (export +17%), fornendo circa la
metà dei volumi scambiati a livello internazionale.
Nel 2011, la forte crescita della domanda mondiale di latte scremato in polvere ha fatto
incrementare la produzione interna e favorito le esportazioni (+64%); prezzi in ascesa soprattutto per il
burro, a causa della produzione in calo e degli stock ridotti; qualche segnale di cedimento, dopo
l’estate, per il latte scremato in polvere.
Fonte: Ismea
Andando a periodi più recenti, la produzione di latte nell'UE (pari a circa 152,1 milioni di tonnellate)
dovrebbe continuare a crescere nei prossimi due anni, ma a un ritmo più rallentato. È quanto ha
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recentemente affermato la Direzione Generale Agricoltura della Commissione Europea in base alle
previsioni di breve periodo sul mercato agricolo comunitario.
La lieve crescita del 2012 è stata determinata soprattutto dall'aumento delle consegne
in Polonia, Danimarca, Repubblica Ceca e, seppure in misura minore, Germania. Per il prossimo
biennio è prevista una tendenza simile: +0,4% nel 2013 e +0,5% nel 2014. La resa media per vacca da
latte, attestandosi a circa 6.584 kg/capo, ha continuato ad aumentare nel 2012 (+1,7%), andando a
compensare la contrazione del patrimonio da latte stimata a -1,1% nel 2012 e che si prevede debba
proseguire nel 2013 e 2014.
Le stime sulla produzione di latte dell'UE per il 2012 e le proiezioni per il 2013 tengono conto
dell'impatto della grave siccità che ha pesantemente inciso sulla produzione di cereali nel 2012 e ha
portato ad un forte aumento dei costi dei mangimi. Nelle regioni maggiormente colpite dalla siccità, il
calo previsto della produzione di latte è da attribuire proprio alla minore disponibilità di foraggi e alla
maggiore incidenza dei mangimi acquistati nei costi di gestione delle aziende agricole.
Sul fronte della trasformazione industriale, nel 2012 nonostante la crisi economica, la domanda
sostenuta ha portato ad una crescita della produzione di formaggio stimata nel +1,3% rispetto al 2011.
Questo trend positivo è destinato a continuare nei prossimi due anni, ma a un ritmo più lento. La
maggior parte del surplus produttivo del 2012 è stato assorbito dal mercato domestico, anche se sono
significativamente aumentate anche le esportazioni verso i Paesi Terzi. Nel 2013 e 2014, dovrebbe
continuare a crescere anche la produzione di prodotti lattiero-caseari freschi, seppure a un ritmo più
lento, soprattutto con riferimento al latte alimentare.
Nel 2012, la produzione di latte intero in polvere si stima sia stata del 2,6% inferiore a quella del 2011
e questa tendenza dovrebbe continuare nei prossimi due anni. Per il 2013, nonostante la previsioni di
un tasso di cambio più favorevole, il mercato del latte intero in polvere dovrebbe essere influenzato
da limitate disponibilità interne (il latte viene trasformato in altri prodotti, ad esempio formaggi,
panna) e minore competitività nei confronti dei prodotti dell'Oceania. Per quanto riguarda il latte
scremato in polvere, dopo il significativo aumento della produzione stimato per il 2012 (+7,2%), la
limitata disponibilità di materia prima - maggiormente impiegata per formaggio e latte fresco - , e gli
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stock ridotti, potrebbero influenzare l'offerta nel 2013 (-0,1% rispetto al 2012). Tuttavia, un parziale
recupero è previsto nel 2014.
Infine, per il burro dopo un aumento produttivo stimato per il 2012 nel +4,2%, si prevede un vero e
proprio ripiegamento nei prossimi due anni (-0,1% nel 2013 e -0,5% nel 2014), in particolare a causa
della differenza esistente tra i prezzi UE e i prezzi mondiali che renderà le esportazioni comunitarie
meno competitive nel prossimo biennio.
Esemplificative le Tabelle pubblicate dalla Direzione Generale Agricoltura della Commissione Europea.
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FONTE:http://ec.europa.eu/agriculture/markets-and-prices/short-term-outlook/pdf/201303_en.pdf
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3.4 LA RIFORMA DELLA PAC
L’ultima riforma della Pac (Health check) ha confermato l’abolizione del regime delle quote latte dal
1° aprile 2015. Contemporaneamente, il Reg. Ce 1234/2007 ha previsto una relazione della
Commissione, prima del 31 dicembre 2010, sulla situazione dei mercati e sulle proposte per
accompagnare l’estinzione delle quote latte.
Puntualmente, l’8 e 9 dicembre 2010, la Commissione ha presentato due relazioni in cui emergono
interessanti indicazioni sul futuro del settore lattiero-caseario che qui di seguito sintetizziamo.
Il mercato del latte in Europa è stato caratterizzato negli ultimi tre anni da una forte volatilità, che non
si era mai verificata precedentemente.
Nel 2007, si era registrata una forte impennata del prezzo del latte franco azienda nell’Ue, che nel giro
di sei mesi era passato da 26 centesimi/kg a 39 c/kg (media ponderata dei 27 Stati membri dell’Ue).
All’opposto, nel corso di 16 mesi, da gennaio 2008 a maggio 2009, il prezzo del latte era crollato,
passando da 39 c/kg a 24 c/kg, ad un livello in media leggermente superiore a quello in cui scatta la
rete di sicurezza.
Dal secondo semestre 2009, il mercato dei prodotti lattiero-caseari si è ripreso e ha continuato a
migliorare per tutto il 2010.
Quali sono le ragioni di queste forti oscillazioni del prezzo del latte? Si può imputare ad una variazione
della produzione? Sicuramente no.
Negli ultimi tre anni le consegne di latte vaccino nei 27 Stati membri dell’Ue sono restate
relativamente stabili, con solo piccole variazioni da un anno all’altro (+ 1% nel 2008, - 0,6% nel 2009, +
0,03% nei primi 7 mesi del 2010).
Le oscillazioni dipendono prevalentemente da due fattori: il mercato mondiale e la riduzione del
prezzo di sostegno.
Il fattore più rilevante è il mercato mondiale, i cui prezzi hanno registrato oscillazioni ben più ampie
del mercato europeo. Le dinamiche mondiali hanno sicuramente influenzato il mercato interno,
accanto alla riduzione del prezzo di sostegno, decisa con la riforma Fischler e realizzata gradualmente
dal 2005 al 2009.
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Le quote latte saranno abolite dal 1° aprile 2015, ma nel frattempo l’Ue ha deciso un aumento
graduale delle quote.
Il 1° aprile 2008 il Consiglio ha deciso di aumentare del 2% le quote latte. Nel novembre 2008, in sede
di approvazione dell’Health check, è stato deciso un aumento annuo delle quote latte dell’1%, per 5
anni successivi, a partire dal 1° aprile 2009, a cui si è aggiunta una modifica del fattore di correzione in
base al tenore di grassi, che ha comportato di fatto un ulteriore aumento dell’ 1% delle quote. Di qui
alla fine del sistema delle quote, il 1° aprile 2015, ci saranno ancora tre aumenti dell’1%. Fa eccezione
l’Italia, che ha ottenuto un aumento del 5% in un’unica soluzione, dal 1° aprile 2009.
Di anno in anno le quote latte diventano sempre meno rilevanti; la produzione lattiera resta al di
sotto delle quote in un numero crescente di Stati membri.
Mentre nella campagna 2008-2009, ben sei Stati membri hanno dovuto pagare un prelievo sulle
eccedenze, nella campagna 2009/2010 gli Stati membri che devono pagarlo sono solo tre (Danimarca,
Olanda e Cipro).
Secondo le notifiche ufficiali degli Stati membri, alla fine della campagna 2009/2010 le consegne di
latte nell’Ue dovrebbero risultare inferiori di circa il 7% alla quota.
I superamenti delle quote che continuano a verificarsi in alcuni Stati membri sono probabilmente
dovuti al fatto che alcuni produttori hanno un margine sufficiente rispetto ai costi per rischiare un
superamento e utilizzano pienamente le loro capacità, sperando che gli altri non facciano lo stesso.
In conclusione, le quote diventano sempre meno un vincolo: questo elemento emerge con chiarezza
negli ultimi due anni. Pertanto i produttori possono rispondere meglio alle opportunità di mercato. In
altre parole, senza il vincolo delle quote, il produttore è in grado di aumentare l’efficienza,
effettuando ristrutturazioni, assecondando più rapidamente i segnali del prezzo.
Un altro elemento del nuovo scenario è la graduale erosione della “rendita da quota”.
La rendita da quota è definita come la differenza tra il prezzo ottenuto in regime di quote (più alto del
prezzo del mercato quando le quote sono vincolanti) e i costi marginali di produzione.
Un buon indicatore della rendita da quota è il prezzo della quota.
Anche il prezzo della quota latte diminuisce man mano che si avvicina la fine del regime delle quote;
nella grande maggioranza degli Stati membri è già basso o vicino a zero.
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Sia l’evoluzione della produzione del latte rispetto alle quote latte sia la tendenza al ribasso dei prezzi
delle quote mostrano che ci si sta avviando verso un “atterraggio morbido”. Nella grande
maggioranza degli Stati membri le quote non sono più rilevanti nelle strategie imprenditoriali.
Per preparare meglio il terreno all’abolizione delle quote nel 2015, la Commissione suggerisce un’altra
misura destinata a facilitare l’atterraggio morbido: sensibilizzare e responsabilizzare maggiormente gli
operatori della filiera lattiero-casearia in modo che tengano meglio conto dei segnali del mercato e
adeguino l’offerta alla domanda.
A tal fine, la Commissione propone di rafforzare la trasparenza, come è stato sottolineato dal gruppo
di alto livello sul latte. A tale scopo, verrebbero organizzate riunioni per gli esperti del comitato di
gestione del gruppo consultivo “latte” per seguire gli sviluppi del mercato al fine di valutarne la
situazione e le prospettive.
In caso di grave squilibrio, come ulteriore strumento per stabilizzare il mercato e come misura
eccezionale – se altre misure possibili nell’ambito della Ocm unica apparissero insufficienti – la
Commissione potrebbe prendere in considerazione la possibilità di istituire un sistema basato
sull’articolo 186 del Reg. CE 1234/2007 (“perturbazioni”) che consentirebbe ai produttori di latte di
ridurre, su base volontaria, le loro consegne, dietro compensazione. L’esperienza acquisita durante la
crisi del latte mostra che per correggere gli squilibri e ripristinare la stabilità può essere sufficiente
ritirare dal mercato l’1 o il 2% della produzione totale di latte.
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PARTE III ANALISI DI SETTORE MOLISANO
1. STRUTTURA ED ECONOMIA DELLE AZIENDE AGRICOLE MOLISANE
Fatta questa approfondita analisi tecnica, tecnologica, economica e prospettica dello specifico
settore, essa va messa a confronto con la situazione strutturale agricola e zootecnica esistente nel
Molise.
1.1
LE SUPERFICI AZIENDALI
Esse costituiscono una puntale documentazione sugli aspetti organizzativi e strutturali delle aziende
agricole, oltre a offrire ulteriori informazioni che contribuiscono a delineare gli elementi che
concorrono a definire l'azienda agricola presente sul territorio regionale.
A livello strutturale si presentano delle differenziazioni in termini di consistenza delle superfici. La
Superficie Totale (ST) regionale è in media pari a 25,6 ha con un valore simile nella provincia di
Campobasso per poi scendere a circa 23 ha nelle aziende attive in provincia di Isernia. Le maggiori
dimensioni aziendali si riscontrano per le aziende localizzate nelle colline litoranee e interne della
provincia di Campobasso, mediamente dotate di una superficie totale superiore ai 30 ha, quindi
doppia rispetto alla dimensione media caratterizzante le aziende di montagna localizzate nella stessa
provincia (16,5 ha).
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La Superficie Agricola Utilizzata (SAU) il cui valore regionale medio è pari a 23,5 ha, incide sulla
superficie totale per oltre il 90%, con una percentuale più elevata nell'area delle colline interne della
provincia di Isernia (96,1%), mentre è nell'area di montagna della provincia di Campobasso che si
osserva l'incidenza più bassa (88,7%).
DIMENSIONE MEDIA AZIENDALE PER ZONA TERRITORIALE (Fonte: BDR RICA-INEA)
Dati medi aziendali
CAMPOBASSO
ISERNIA
Colline Colline Montagna Totale CB
Litoranee interne
Superfice totale Ha 33,55
30,78
16,52
26,18
SAU
Colline Montagna Totale IS
interne
21,44
23,73
22,99
Totale
Molise
25,69
Ha
30,95
28,47
14,66
23,96
20,61
21,98
21,54
23,59
SAU %
93,3
92,5
88,7
91,5
96,1
92,6
93,7
91,5
Con riferimento all'ordinamento produttivo è solo per il raggruppamento produttivo a orientamento
granivori che l'indicatore fa osservare una significativa differenza rispetto al valore medio regionale
(84,2%).
L'analisi della SAU fatta per classe di dimensione economica pone in luce la diretta correlazione con
l'ampiezza aziendale passando dai 10,6 ha delle aziende di piccola dimensione ai 57,1 ha delle grandi
aziende.
Il parametro, se analizzato per ordinamento produttivo, rileva la maggiore dimensione media
assunta dalle aziende orientate alla produzione di cereali e altri seminativi.
Quanto all'utilizzo di SAU in affitto il 50% circa delle aziende contabilizzate vi ricorrono; in media tale
superficie è pari a circa 1/3 della SAU aziendale, mentre il maggior ricorso si ha da parte delle
aziende ricadenti nella classi di ampiezza 20-50 ha, oltre che dalle aziende di piccola dimensione
economica. La lettura del dato per ambito territoriale, tuttavia, pone in luce il maggior ricorso alla
SAU in affitto nell'area delle colline interne della provincia di Isernia (58,8%). Ciò trova una
spiegazione nell'abbandono dell'attività agricola da parte dei conduttori delle aziende di piccole
dimensioni, che risultano delle entità economiche “marginali” caratterizzate da terreni poco
accessibili. Pertanto, i proprietari di tali aziende sono per lo più interessati alla messa in locazione dei
terreni, garantendo al tempo stesso sul mercato un'offerta di terreni ampia e a costi competitivi.
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Scenario diverso si riscontra nell'area litoranea, vale a dire lì dove i terreni agricoli presentano rese
elevate che agevolano il conseguimento di risultati economici atti a soddisfare le aspettative degli
imprenditori agricoli, valorizzando il fattore terra ed allo stesso tempo scoraggiando la locazione e
quindi il maggior ricorso all'affitto da parte degli imprenditori agricoli.
L'analisi fatta in funzione dell'ordinamento produttivo mostra che le aziende a orientamento
zootecnico presentano una percentuale significativa di SAU in affitto, fino a raggiungere una quota
pari all'80% nelle aziende a orientamento ovi-caprino localizzate nelle colline interne del capoluogo.
Sempre in tale area si segnala l'importanza assunta dal ricorso all'affitto operato da parte delle
aziende specializzate in orti in pieno campo.
1.2 IL PATRIMONIO ZOOTECNICO
I dati relativi al patrimonio zootecnico attestano la naturale vocazione della regione per la pratica
dell'allevamento, connessa alla particolare struttura orografica del territorio come pure alla secolare
tradizione zootecnica e casearia esistente in Molise.
L'analisi dei dati a livello territoriale tuttavia rileva la concentrazione degli allevamenti nelle aree
interne della regione, in special modo in tutta la provincia di Isernia e nella montagna di
Campobasso, dove gli allevamenti sono presenti in una percentuale di aziende sempre superiore
all'86% del campione, sino ad interessare la quasi totalità delle aziende agricole attive nell'area delle
colline interne in provincia di Isernia.
La caratterizzazione zootecnica di quest'ultima provincia è resa salda dalla dimensione media degli
allevamenti espressa in termini di UBA, mediamente pari a 73,2; tale dato, oltre a segnalare la
diffusa tendenza a praticare l'allevamento nelle zone più difficili della regione per ovviare a una
produzione agricola scarsa, sottolinea il ruolo della zootecnia nel favorire la permanenza della
popolazione nelle aree marginali interne, tanto da configurasi come il punto di equilibrio dell'assetto
socio-economico e territoriale di tali realtà.
In riferimento alle specie allevate si mette in evidenza che a seguito dell'elevata diffusione di
allevamenti avicoli - in prevalenza da carne - localizzati principalmente nell'area interna matesina e
condotti con metodi intensivi, i granivori costituiscono i due terzi del patrimonio zootecnico delle
aziende del campione, seguiti dai bovini, dagli ovi-caprini e dai suini. In dettaglio, i dati relativi alle
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UBA aziendali confermano la spiccata specializzazione zootecnica dell'area collinare interna di
Isernia: le aziende zootecniche localizzate in tale zona presentano la più elevata consistenza media in
termini di UBA per i granivori (99,3), per gli ovi-caprini (23,1) e per i suini (22,4).
Nel valutare la diffusione della zootecnia per classe di dimensione economica si evince che
l'allevamento qualifica ciascuna tipologia aziendale, in quanto presente nel 60% circa delle picco- le
aziende, nel 53,8% delle medie aziende e nel 45,5% delle grandi. È dato tuttavia osservare che la
consistenza media di bestiame è maggiore nelle grandi aziende (81,9 UBA), mentre è pari a 5,8 UBA
nelle piccole aziende.
La diffusione e la consistenza degli allevamenti varia considerevolmente in relazione all'ordinaento
produttivo praticato. Negli ordinamenti zootecnici granivori e bovini la dimensione è superiore al
dato medio del campione, con punte estreme per gli allevamenti avicoli che superano le 183 UBA
aziendali. Significativa è la presenza degli allevamenti in corrispondenza dell'ordinamento misto e
dell'ordinamento specializzato nella coltivazione di arboree combinate, mentre essa è quasi nulla
negli ordinamenti orticolo e viticolo.
L'incrocio degli ordinamenti produttivi con le differenti aree territoriali conferma quanto sopra
indicato circa la maggiore rilevanza dell'allevamento granivoro e bovino nella provincia di Isernia.
Un indicatore espressivo della tecnologia di allevamento praticata, e in particolare dell'intensità
produttiva, è rappresentato dal carico di bestiame per ettaro di superficie investita a colture
foraggere. L'esame del carico medio di bestiame - in media pari a 1,5 UBA per ettaro - se fatto in
funzione delle differenti aree territoriali rivela alcuni elementi caratterizzanti la zootecnia regionale.
Nella provincia di Isernia si registra il minor carico medio di bestiame (1,2 UBA/Ha), proprio di una
zootecnia realizzata in strutture e con un'organizzazione dell'allevamento di tipo tradizionale,
mentre tale carico sale mediamente a 1,7 UBA/Ha in provincia di Campobasso, con una
diversificazione rilevante tra la montagna, in cui il peso del bestiame allevato per ettaro di superficie
foraggiera è pari a 1,2 UBA/Ha, e le aree collinari interne e litoranee (con oltre 2 UBA/Ha) dove
peraltro prevale un allevamento bovino specializzato nella produzione di latte, che meno si adatta a
un allevamento di tipo estensivo. In dettaglio, i dati osservati per questi ultimi ambiti territoriali, se
confrontati con quello medio regionale, manifestano la tendenza delle aziende zootecniche qui
operanti a svolgere un'attività di allevamento di tipo intensivo che si contrappone a un sistema più
estensivo, proprio dell'alto Molise, ancora largamente basato sull'allevamento brado e semibrado.
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1.3
LE COMPONENTI POSITIVE DELLA GESTIONE TIPICA
Espressa in termini di Produzione Lorda Vendibile (PLV), la produttività delle aziende molisane è in
media di 61.332 euro, pari al 95% circa del valore dei complessivi beni e servizi prodotti all'interno
dell'azienda agraria.
In quanto primo aggregato del Conto Economico, le principali voci di bilancio che compongono la PLV
aziendale si indicano nei ricavi derivanti dalla vendita di prodotti aziendali (56,4%), nell'utile lordo di
stalla (27,5%) e nei contributi pubblici alle colture e allevamenti (13,2%). Alla formazione del restante
3% circa contribuiscono gli autoconsumi, regalie e salari in natura, la variazione delle scorte di
prodotti aziendali e le immobilizzazioni (figura 1).
Tali dati medi, se da un lato denotano come i prodotti aziendali tendono a costituire la parte preponderante della produzione delle aziende molisane, dall'altro rilevano l'importanza assunta dalla
zootecnia nel settore agricolo regionale e il ruolo dell'operatore pubblico nella formazione del valore
della produzione aziendale.
Tuttavia, quando l'analisi della composizione della PLV aziendale si sposta dal campione regionale
alle circoscrizioni provinciali e alle zone altimetriche, si evince una situazione articolata connessa al
ruolo dell'agricoltura nelle differenti realtà territoriali e alle scelte aziendali inerenti all'indirizzo
produttivo.
Sia pure con intensità differenti, le tendenze generali emerse a livello medio regionale si rinvengono
principalmente nelle aziende operanti in provincia di Campobasso. In particolare, l'incidenza dei
ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti aziendali sulla PLV aziendale decresce all'aumentare
dell'altimetria, mentre l'andamento opposto si nota per l'utile lordo di stalla, il cui contributo alla
formazione della PLV nelle aziende di montagna è pari a una percentuale doppia rispetto a quella
mediamente rilevata a livello regionale.
La spiccata vocazione zootecnica delle aree montane trova ancora conferma nella lettura dei dati
circoscritti alla provincia di Isernia, dove è appunto la voce di Bilancio dell'utile lordo di stalla a
contribuire maggiormente alla formazione dei ricavi aziendali.
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Quanto alla voce contributi, si nota che la relativa incidenza sulla PLV, pur presentando valori simili a
livello delle due province, tende a variare a seconda degli ambiti territoriali senza tuttavia delineare
una correlazione diretta con l'altimetria. La più elevata incidenza dei contributi (20,6%) si osserva
nelle aziende attive nell'area collinare della provincia di Campobasso essendo queste
prevalentemente di medie-grandi dimensioni e in prevalenza orientate verso la coltivazione di
seminativi; sempre in tale provincia si rileva anche la più bassa incidenza dei contributi su colture e
allevamenti (7,3%) specificamente propria delle aziende di montagna, per la maggior parte di piccola
dimensione e dedite alla zootecnia.
Gli autoconsumi, regalie e salari in natura, tendono invece a incidere sulla PLV aziendale con valori
crescenti passando dalle aziende attive nell'area delle colline litoranee a quelle ubicate nelle aree
monta- ne della provincia di Isernia, quasi a voler sottolineare come tra le finalità dei comportamenti
imprenditoriali nelle aziende montane tuttora persiste l'obiettivo di destinare parte delle produzioni
ottenute all'auto-consumo.
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1.4 ALCUNE CONSIDERAZIONI.
L'analisi sommaria, anche se non puntuale, delle caratteristiche strutturali e di alcuni risultati
economici evidenziano la differenza esistente nei diversi contesti territoriali in cui si svolge
l'agricoltura molisana. Ad una realtà produttiva montana, fatta per lo più di aziende di piccole
dimensioni economiche si confronta un contesto produttivo più dinamico, che si identifica
specialmente nelle aziende agricole dell'area litoranea.
Le ridotte dimensioni economiche delle aziende agricole montane rappresentano il maggior
elemento limitante lo sviluppo di queste realtà produttive, per le quali risulta precluso l'avvio di un
qualsiasi processo di adattamento strutturale in assenza di un adeguato sostegno pubblico.
Viceversa, per l'area litoranea le difficoltà per il settore primario derivano soprattutto dalla forte
spinta concorrenziale prodotta da altri settori produttivi, in particolare sui fattori terra e lavoro, alla
quale si affianca la debolezza strutturale e commerciale che caratterizza ancora le aziende agricole
molisane.
Il lavoro è apportato in massima parte dalla famiglia coltivatrice a seguito della predominante forma
di conduzione diretta dal coltivatore. Solo con il passaggio dalle aziende economicamente più piccole
a quelle di maggiore dimensione si assiste a un progressivo maggior ricorso al lavoro salariato,
accompagnato anche da forme di conduzione delle aziende agricole più professionali, giustificato
dalle dimensioni delle attività produttive e dagli ordinamenti praticati, spesso specializzati, che
richiedono un maggiore ricorso al lavoro esterno.
Se per un verso l'accumulazione dei capitali, in quanto legata alla dimensione economica aziendale,
si manifesta massima nelle grandi aziende e progressivamente decrescente nelle classi inferiori è pur
vero che essa appare maggiore nella provincia di Campobasso, soprattutto per effetto del capitale
fondiaio. Nelle zone litoranee, inoltre, aumenta l'impiego della meccanizzazione connesso alle
migliori condizioni ambientali (clima, fertilità dei terreni, dotazioni infrastrutturali), che permettono
l'adozione di coltivazioni più intensive, come pure alla necessità di risparmiare lavoro, configurandosi
questo tra i più costosi fattori produttivi. Per contro, nelle aree interne, meno indirizzate a
un'agricoltura intensiva, prevale la componente bestiame nel capitale agrario aziendale. I dati relativi
al patrimonio zootecnico, infatti, attestano la naturale vocazione della regione per la pratica
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dell'allevamento, connessa alla particolare struttura orografica del territorio come pure alla secolare
tradizione zootecnica e casearia esistente in Molise. Si rileva la concentrazione degli allevamenti
nelle aree interne della regione e la diffusione in particolare di quelli granivori condotti con metodi
intensivi.
La consistenza delle superfici irrigate, seppure di entità modesta, sottolinea il legame diretto tra
dotazioni irrigue, localizzazione, dimensione aziendale e ordinamenti produttivi. In particolare, il
massi- mo ricorso all'irrigazione si ha per l'ordinamento orticolo nell'area delle colline litoranee,
nonché nelle aziende di grandi dimensioni. In dati raccolti evidenziano inoltre che la pressione sul
fattore terra, determinata dalla competizione per l'uso delle superfici tra finalità produttive diverse e
usi insediativi, ha condotto a un innalzamento dei valori fondiari, a cui le aziende rispondono con
l'adozione di ordinamenti colturali più produttivi e intensivi e con l'introduzione di innovazioni
tecnologiche risparmiatrici di terra, come appunto l'irrigazione.
In conclusione, dunque, in un contesto territoriale così differenziato, con una ripartizione evidente
tra un'agricoltura professionale e intensiva da un lato e un'agricoltura più estensiva e con caratteri di
ruralità dall'altro, sono auspicabili interventi differenziati di politica agricola, che spazino da politiche
di sostegno della produzione e dell'integrazione, a quelle di adeguamento strutturale nelle aree forti
e di sviluppo di un sistema rurale orientato al controllo dell'ambiente e alla preservazione delle
peculiarità locali nelle aree più marginali.
Nel contesto strutturale molisano delineato, tenuto anche conto dei dati esposti nella prima parte di
questo studio, la ricerca va orientata verso l’individuazione di processi e prodotti volti a qualificare il
latte molisano come qualche cosa che lo differenzi nettamente dal comune latte che attualmente si
trova in commercio.
Gli aspetti che dovranno essere presi in considerazione dovranno riguardare:
la salute del consumatore (dietetica, infanzia, ecc.)
la possibilità di poter ricavare, dalla sua lavorazione, prodotti con notevole valore aggiunto (latticini,
gelati, pasticceria, ecc.)
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CONCLUSIONI
lL latte è tutto uguale? Quante persone saprebbero rispondere a questa domanda? O meglio, quali
categorie sarebbero capaci di dare risposte convincenti? C’è da scommettere che gli addetti al
settore, i beni informati risponderebbero subito che sì, il latte è tutto uguale, tanto è vero che il
prezzo, fatte salvo le differenze geografiche, è praticamente uguale in tutto il mondo. Il latte è, come
si usa dire con malcelata enfasi, una commodity, un prodotto interscambiabile sul mercato mondiale,
il cui prezzo prescinde dalla sua qualità – ovviamente uguale in tutto il mondo – mentre dipende dalle
bizzarrie di alcune situazioni locali. Un’alluvione in Argentina, la siccità in Nuova Zelanda o una
variazione dei consumi della Cina bastano a far scendere in piazza o a far gioire i produttori dei grandi
bacini lattiferi del mondo.
I meno informati, i consumatori, alla domanda iniziale vi guarderebbero con curiosità, in attesa di
carpirvi qualche parola chiave per leggere la diversità dell’offerta. C’è da capirli: come si fa a farsi
un’idea sulla qualità del latte alimentare se in etichetta viene indicato solo il contenuto di grasso e di
proteine, rigorosamente uguale o simile tra tutte le marche, a fronte di prezzi molto variabili?
Come fa un semplice consumatore a capire se il latte è diverso qualitativamente, quando l’unico
prodotto che trova sul mercato, la cui diversità dipende dalla materia prima e non dall’industria, è il
latte di «alta qualità»?
Nei banchi dei supermercati le marche e le tipologie di latte sono tante e diverse tra loro. Ma una
sola cosa le accomuna tutte: le diff erenze sono dovute alle modalità di trattamento del latte prima
di essere imbottigliato.
Di qui un latte più o meno sgrassato, più o meno trattato termicamente o microfiltrato, con aggiunta
di Omega 3, vitamine, calcio -e chi più ne ha più ne metta-, da una materia prima rigorosamente
anonima a prescindere dalla provenienza. Negli ultimi anni da più parti si sta insistendo
nell’enfatizzare l’origine, come se tutto il latte italiano fosse uguale e tutto quello straniero uguale e
peggiore di quello italiano.Come abbiamo detto, fa eccezione il latte di «alta qualità», una «onorifi cenza » di cui si può fregiare
il latte con un modesto contenuto di cellule somatiche e di carica batterica, oltre che un contenuto
prestabilito di grasso e proteine.
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E così, mentre il consumatore compra un latte o un formaggio per il suo sapore e per un (auspicabile)
alto contenuto nutrizionale (antiossidanti, un basso rapporto Omega 6/Omega 3, un alto contenuto di
acidi grassi insaturi) e i medici dicono di andare cauti per l’alto contenuto di grassi, la legge 169/89 ha
individuato, in parametri che non hanno nessuna relazione con il contenuto nutrizionale e
aromatico, gli elementi determinanti la «alta qualità» del latte.
E poiché non c’è nessuna relazione fra grasso e proteine da un lato e valore nutrizionale e aromatico
dall’altro, ne deriva che l’unico latte, l’«alta qualità», che poteva essere un punto di riferimento per i
consumatori, è diventato un elemento ulteriore di confusione.
Altra considerazione: Il prezzo non fa la qualità
Il paradosso è che oggi il latte, elemento cardine della dieta, non offre elementi visibili di qualità e,
quindi, non lascia intravedere alcuna relazione fra il prezzo al banco e la sua qualità intrinseca.
Può capitare, caso unico in tutto il settore dell’agroalimentare e non solo, che il latte che costa meno
abbia una qualità superiore a uno che costa di più.
Ma ritorniamo alla domanda: tutto il latte è uguale? Gli unici che farebbero un sorrisino di scherno a
una domanda del genere sono i pastori. Perché i pastori? Perché, come anche la scenza insegna, la
qualità del latte dipende essenzialmente dall’erba e dal numero di erbe che l’animale mangia. Ogni
erba, nel momento in cui l’animale la pascola, avendo uno stadio fisiologico sempre diverso e una
composizione in metaboliti secondari diversa rispetto a tutte le altre erbe del pascolo, conferisce
una complessità aromatica e nutrizionale specifica e contribuisce ad arricchire la qualità del latte.
I pastori quotidianamente portano al pascolo gli animali, conoscono la flora dei pascoli e, mungendo
gli animali, subito si accorgono come cambia il latte e le erbe che intervengono. Tale assunto ed alcuni
risultati scentifici che vengono forniti, dimostrano come le intuizioni dei pastori abbiamo fondamenti
concreti.
Altra domanda: cosa si intende per qualità del latte?
Fatti salvi gli obblighi di legge (igiene, indennità da malattie trasmissibili all’uomo, ecc.), possiamo
ritenere che un latte sia di qualità quando gli elementi che noi riteniamo positivi per la salute o il
piacere dell’uomo siano al massimo livello. Se parliamo di piacere ci riferiamo alla qualità edonistica
che, in questo caso, dipende da un numero elevato di molecole: polifenoli, terpeni, flavonoidi,
molecole che, dall’erba (dopo adeguato rimescolamento nel rumine), passano al latte e al formaggio.
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Non possiamo, però, sottovalutare la qualità nutrizionale, sia perché troppo spesso le prescrizioni
mediche cercano di disincentivare il consumo di formaggi e sia perché, banalmente, è meglio
mangiare un prodotto che certamente ha effetti positivi sulla salute, anche se leggeri, che qualcosa la
cui qualità ci è sconosciuta. Ebbene le molecole che più studiano i ricercatori per le loro ripercussioni
sulla salute sono gli acidi grassi, soprattutto quelli insaturi, come l’acido linoleico coniugato (CLA), il
rapporto Omega 6/ Omega 3 e poi gli antiossidanti, per la capacità che hanno di bloccare l’ossidazione
del colesterolo del latte. A tutto questo si potrebbe aggiungere l’assenza di inquinanti, ma per adesso
questo argomento non è all’ordine
del giorno.
Da cosa dipende, dunque, la qualità del latte? Quali sono i fattori che ne influenzano la complessità
aromatica e nutrizionale?
Nel passato e per molti anche adesso, la qualità dipende dal contenuto di grasso e proteina e, quindi, i
fattori che influenzano questi parametri sono la genetica, la razza e, solo in minima
parte, l’alimentazione.
In una prova appena conclusa effettuata dal CRA Zoe di Bella, in cui si è preso in esame un centinaio
di allevamenti di vacche da latte appartenenti a 4 diversi sistemi di alimentazione (intensivo con
mais, intensivo con fi eno, intensivo con fieno e poco concentrato ed estensivo al pascolo), la
relazione fra acidi grassi e antiossidanti con il grasso e le proteine del latte è nulla. Questo fa capire
che, a prescindere dal contenuto in grasso e, in parte, in proteina, ciò che fa la differenza sono la
quantità di erba che l’animale mangia e il numero di erbe presenti nella razione.
Sempre in questa prova si è visto come la differenza fra un sistema intensivo e uno estensivo, al
pascolo, sia enorme. E che al livello più basso nel contenuto di sostanze aromatiche e salutistiche si
posizionano le aziende intensive con insilati e molto concentrato. Le stesse che in genere producono
latte di alta qualità, garantendo più facilmente i parametri richiesti per questa categoria
merceologica.
In una relazione presentata recentemente al convegno internazione sui «Formaggi di montagna» a
Dronero (Cuneo), un gruppo di studiosi, prendendo in rassegna oltre mille risultati ottenuti in varie
parti d’Europa, hanno mostrato come sia alto il range di questi elementi qualitativi fra animali
alimentati alla stalla e quelli al pascolo. In effetti, il CLA varia da 0,1 a 3 passando dalla stalla al pascolo
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mentre il rapporto Omega 6/Omega 3 da 10,91 a 0,69. Ma ancora più importante è la diversità delle
erbe presenti nella razione o nel fieno.
Per capire quale potesse essere il ruolo della singola erba, presso il Cra-Zoe di Bella (Potenza) sono
state svolte una serie di ricerche somministrando alle capre, in condizioni sperimentali diverse, erbe
fresche o fieni di una sola erba. E’ stato poi rilevato sull’erba e sul fieno il contenuto di componenti
aromatici. Quando è stato somministrato alle capre erbe cosiddette infestanti come l’asperula e il
geranio, il contenuto di un terpene aumentava in proporzione all’aumento dell’erba nella razione.
Quando, invece, si somministrava un’erba coltivata come la dactilys, occorreva un aumento
significativo di erba per avere un modesto aumento della molecola aromatica.
Questa e altre esperienze ci portano a concludere che ogni erba contribuisce in maniera diversa alla
complessità aromatica e nutrizionale del latte. In una razione in cui il rapporto con i concentrati è a
favore dell’erba (70/30), il miglioramento della qualità è l’effetto combinato dell’erba e di una
diminuzione della produzione di latte degli animali.
Se questo è vero, appare chiaro che la razza assume minore importanza e che il grasso e le proteine
sono elementi utili al casaro per fare più formaggio (lo stesso si può dire per la carne: la resa è utile
essenzialmente al macellaio) non per fare un formaggio migliore. E pensare che oggi si dà importanza
alla razza e alla selezione e affatto alla razione alimentare! L’animale mangia la stessa razione per
tutta la vita e questa razione è composta da concentrati in abbondanza e da una sola erba, affienata o
insilata. Completamente trascurati sono i fieni di prati polifiti, non a caso in Italia la gran parte dei
fieni è di modesta qualità, mentre in Francia esiste persino un fieno a denominazione di origine
(Foin de Crau).
Un aneddoto narra che un giorno un tassista spagnolo, conversando con un cliente, studioso della
materia, disse che il padre aveva 8 vacche e che non faceva bere a loro figli il latte di miscela, ma solo
quello della vacca più grassa e che ne faceva meno.
Oggi andiamo esattamente nella direzione opposta, per questo abbiamo bisogno di nascondere la
qualità del latte miscelando tutta la produzione in modo che tutto il latte sia uguale!
Il settore lattiero-caseario, come peraltro tutti i settori produttivi, è in grande crisi essenzialmente per
lo stesso motivo di tutti gli altri: la produzione è sempre più alta della domanda. L’eccesso di offerta è
più grave rispetto agli altri settori perché la produzione è giornaliera e di difficile conservabilità. In
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questa situazione le soluzioni per le aziende sono due: ridurre i costi e differenziare la produzione in
funzione della tecnica (latte diverso o formaggio diverso), oppure aumentare i costi e differenziare
l’offerta in funzione della materia prima.
Nel caso del latte e di formaggi, per così dire industriali, la soluzione scelta è stata quella di ridurre i
costi e di produrre nuove tipologie di formaggi o di latticini. Quasi mai, se non mai, si è scelto di
separare il latte all’origine e di offrire prodotti diversi per la qualità del latte. Le implicazioni non
sono solo di sostanza, ma anche di forma.
A prescindere dal fatto che una semplice diversificazione dell’offerta a lungo termine diventa poco
efficace in un mercato alla ricerca sempre di qualcosa di originale, l’effetto più deleterio è quello
culturale, nel senso che in questo modo non si fornisce ai consumatori la chiave di lettura della
qualità. Se la qualità non esiste o è la stessa per tutti i prodotti, allora il consumatore compra quello
che costa meno, innescando una spirale al ribasso da cui non si esce. Invece, bisogna invertire
l’approccio e incominciare a proporre prodotti diversi in base alla materia prima, che è sempre o
spesso diversa. In questo modo il consumatore incomincerà a capire che può scegliere non solo in
base al prezzo ma anche in base alla qualità, contento di pagare di più un prodotto il cui valore è
riconoscibile.
Lo studio condotto ha messo in evidenza come, attualmente, il latte viene immesso sul mercato
senza alcuna differenziazione o riconoscibilità. Quindi il consumatore non ha strumenti per
riconoscere la qualità diversa.
Lo studio ha anche mostrato come l’offerta di latti fortemente caratterizzati per intrinseci e ben
definiti parametri nutrizionali (acidi grassi insarturi, beta carotene, antiossidanti, CLA, ecc.,) sia
presochè nulla mentre viceversa il consumatore sia sempre più attento e consapevole del valore
nutritivo degli alimenti.
Poiché obiettivo della ricerca è quello di analizzare, attraverso gli interventi che il progetto prevede,
le differenze nutrizionali del Latte Nobile e di poter utilizzare questi risultati per una sua maggiore
valorizzazione commerciale, qualora l’obiettivo verrà raggiunto e si sarà riusciti a richiamare l’
attenzione del consumatore sulle caratteristiche nutraceutiche e salutistiche del LNM
vi è
verosimilmente da aspettarsi un buon successo commerciale ed una buona richiesta della materia
prima a prezzi crescenti.
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