Osservatorio Malattie Rare Osservatorio Malattie Rare O.Ma.R. O.Ma.R. a cura di: GRAVIDANZA NEONATO ADULTO ANZIANO Malattie ereditarie e rischio CMV: prevenzione e terapia Screening neonatale e difetti del metabolismo SLA e Neuropatia Motoria Multifocale Ipercolesterolemia e diagnosi precoce Ageism e discriminazione Committed to patients with IPF Depositato presso AIFA in data 14/2/2014 - Cod. ITMN015.IT Questo supplemento è stato realizzato da Fonema Comunicazione srl Le Scienze non ha partecipato alla sua realizzazione e non ha responsabilità per il suo contenuto EDITORIALE 2 EDITORIALE L’ Europa stabilisce dei criteri, l’Italia li trasforma in leggi nazionali, le regioni li applicano secondo la propria autonomia. Così, da un punto di partenza uguale per tutti, nascono 20 diritti differenti: ciascun malato ha non secondo il bisogno ma, secondo le possibilità della regione di appartenenza. E le possibilità in tempo di crisi sono sempre di meno. Nel campo delle malattie rare il problema è particolarmente evidente. I malati rari sono portati a muoversi sul territorio e concentrarsi in alcuni centri ospedalieri particolarmente competenti per la loro patologia. Questi centri di eccellenza sono i luoghi dove i pazienti si ritrovano: nascono amicizie, si rimane in contatto, si scambiano informazioni. Conoscere qualcuno ‘simile’ aiuta a sentirsi meno rari, meno soli. Ma quando ognuno torna alla propria regione ad emergere sono le differenze. C’è chi ottiene una terapia e chi no, chi la ottiene a domicilio e chi è costretto ad andare in ospedale, chi si vede dare gratuitamente i farmaci posti in fascia c’è chi sborsa cifre enormi. È così che cresce la schiera dei “pentiti del federalismo sanitario”, più fitta tra coloro che si occupano di malattie rare. Da anni si chiede una “cabina di regia nazionale”, inutilmente. Sempre maggior consenso trova anche l’idea di cambiare la gestione dei “farmaci orfani”, medicinali studiati per i malati rari e spesso costosi, che possono mettere in difficoltà ospedali e regioni alle prese con budget sempre più ristretti. Si vorrebbe riportarne, in tutto o almeno in parte, la gestione a livello nazionale attraverso un fondo ad hoc, ma derogare al federalismo non è facile. Della disomogeneità dei diritti ha parlato da poco anche il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin (che al momento in cui starete leggendo questo articolo potrebbe essere una “ex” , viste le incertezze del Governo). “Diventa un problema se le malattie vengono trattate in alcune regioni e in altre no: si creano discriminazioni e, per evitarle, vorrei una legge ad hoc sulle malattie rare”, ha detto. Il riferimento era alle diverse politiche regionali in merito all’inserimento di determinate patologie nella lista di quelle esenti da ticket. Alcune, infatti, si limitano a riservare questo regime di trattamento a chi è affetto dalle malattie elencate nell’allegato A della legge 279/2001, altre hanno ampliato la lista. La soluzione del problema, peraltro parziale e temporanea, sarebbe nell’aggiornamento di quell’allegato attraverso l’approvazione dei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), un ritardo che il Ministro Lorenzin ha promesso di sanare entro il giugno 2014. Ma il dubbio è d’obbligo. L’aggiorna- Osservatorio Malattie Rare O.Ma.R. ( O.Ma.R. è la prima agenzia giornalistica nazionale, dedicata al mondo delle malattie e dei tumori rari, accreditata tra le maggiori fonti di informazione su ricerca scientifica, assistenza, sperimentazioni ed iniziative delle associazioni. Questo risultato è dovuto ad una attenta verifica delle fonti d’informazione e alla chiarezza di linguaggio che rende i contenuti scientifici comprensibili a un ampio target. Il portale ilaria ciancaleoni bartoli Direttore O.Ma.R. Osservatorio Malattie Rare www.osservatoriomalattierare.it ha la certificazione Hon Code per l’affidabilità dell’informazione medica. mento dei LEA viene promesso regolarmente da tutti i ministri dal 2008, mentre da almeno un anno si attende che l’Italia approvi il piano nazionale delle malattie rare che, presentato in una prima bozza un anno fa, è poi rimasto nei cassetti del ministero. D’altro canto, in un paese dove dopo 20 anni da una legge che impone lo screening neonatale per la Fibrosi Cistica ancora non viene applicata in tutte le regioni, non ci si stupisce più di tanto se si aspettano i nuovi LEA da 6 anni o se un piano nazionale per le malattie rare, annunciato come imminente da due ministri, non è ancora stato approvato. E’ anche alla luce di tutto questo che bisognerebbe leggere lo slogan “uniti per una assistenza migliore” scelto per questa giornata delle malattie rare. L’unità deve essere tra tutti i malati rari, tra le loro associazioni, tra tutti gli enti di ricerca, e su questo sono stati fatti grandi passi avanti. Fin qui lo slogan rivendica un risultato raggiunto. Ma sui diritti, tra cui appunto quello ad essere assistiti secondo i propri bisogni, allo stesso modo ovunque si viva, questo slogan indica una direzione verso la quale andare, un punto di arrivo che richiede ancora molta strada. ILARIA CIANCALEONI BARTOLI Laureata in scienze politiche e specializzata in relazioni pubbliche dal 2010 decide di concentrarsi sulle malattie rare. Da qui la nascita del quotidiano on line Osservatorio Malattie Rare ILARIA VACCA Laureata in Filosofia e specializzata in bioetica si dedica al giornalismo sociale e scienfico. Dal 2010 collabora con O.Ma.R. della cui redazione é in procinto di diventare caporedattore Una pubblicazione realizzata da Fonema Comunicazione srl • Editorial manager: Giuseppe Burzo • Project director: Ginevra De Fassi Negrelli • Redazione: [email protected] • Contatti: www.fonemacomunicazione.com - [email protected] - Tel. +39 0692948749 - Fax +39 0692932720 Impaginazione e grafica: Valledesign • Stampa: RDS webprinting Srl • Distribuzione: Le Scienze • Carta Giornale Migliorato ISO 72° da 55 gr/mq FOCUS 23 r 5 su 10.000 diagnostica te r EUROPA 300 MILIONI ITALIA 2.000.000 r PERSONE AFFETTE fonte: ISS - Istituto Superiore di Sanità INDICE GRAVIDANZA NEONATO ADULTO ANZIANO pag. 4 pag. 5 pag. 6 pag. 11 Malattie ereditarie: il rischio si può valutare prima del concepimento Difetti del metabolismo sotto scacco grazie allo screening neonatale Sla, grande fermento di ricerca contro la malattia che paralizza Anziani, rinunciare a priori a trattarli è una discriminazione: si chiama ageism Citomegalovirus e Gravidanza: Prevenzione e Terapia pag. 7 Neuropatia Motoria Multifocale, somiglia alla Sla ma si può curare pag.8 Colesterolo fuori controllo fin da bambini, può essere una rara malattia familiare Emofilia, con le nuove terapie una vita normale per i pazienti pag. 9 Comunicazione e informazione sulle malattie rare: ecco i vincitori del Premio O.Ma.R. Spegnere il dolore nell'algodistrofia: oggi si può Fibrosi Polmonare Idiopatica: la diagnosi certa e veloce è la chiave per accedere alla terapia pag. 10 Malattie rare della Retina: in Italia una rete per salvare la vista Tumori rari, tempi troppo lunghi per accedere alle terapie innovative GRAVIDANZA 4 Malattie ereditarie: il rischio si può valutare prima del concepimento P rima del concepimento è oggi possibile sapere se si è portatori sani di alcune malattie ereditarie, come la talassemia, molto diffusa in area mediterranea. Per altre malattie genetiche, come l’emofilia, è possibile la diagnosi prenatale, effettuata tramite villocentesi, amniocentesi durante la gravidanza. Infine molte patologie metaboliche possono essere diagnosticate nelle prime 72 ore di vita del neonato grazie ai test di screening. Sono tutte possibilità che la scienza moderna offre ai genitori e ai medici di prepararsi ad affrontare tempestivamente un’eventuale malattia, decidere se portare a termine una gravidanza o addirittura pianificare il concepimento, ricordando che in molti casi la diagnosi precoce permette una vita perfettamente normale anche in presenza di una malattia rara. La diagnosi o la comunicazione di un rischio genetico deve essere sempre preceduta dal counseling genetico. Si tratta di un vero e proprio processo informativo attraverso il quale si ricevono informazioni relative alla malattia indagata, le modalità di trasmissione, al rischio di ricorrenza e alle possibili terapie, incluse le opzioni riproduttive. L’indagine comprende sia esami di laboratorio che un’accurata anamnesi personale e familiare. Una volta ottenuti i dati clinici e ricostruito l’albero genealogico si passa alla valutazione del rischio genetico: la possibilità che una condizione patologica a base genetica presente nell’interessato si verifichi nuovamente in altri membri appartenenti alla stessa famiglia. Quello che è fondamentale è la comunicazione del rischio genetico, che deve informare in maniera corretta, chiara ed esaustiva ma, mai condizionare le possibili decisioni della famiglia. “Il counseling genetico - spiega la Dott. ssa Federica Deodato, neuropsichiatra infantile dell’ U.O. Patologia Metabolica dell’ Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma - è un delicato processo comunicativo che accanto ad aspetti squisitamente medico-biologici ha anche una serie di implicazioni emotive e psicologiche per una famiglia spesso già provata da un comunicazione di diagnosi di malattia rara. Il counseling genetico rivolto alle coppie a rischio è usualmente affidato al genetista clinico che è in grado di fornire le informazioni necessarie per rendere la coppia consapevole del rischio di ricorrenza a seconda del tipo di trasmissione della singola malattia . Nel caso delle malattie metaboliche ereditarie è auspicabile che il counseling venga svolto dal genetista affiancato dal medico esperto in malattie metaboliche ereditarie, che conosce in dettaglio le diverse espressioni e della malattia e, ove possibile, da uno psicologo. Il counseling genetico è, o quantomeno dovrebbe es- CITOMEGALOVIRUS E GRAVIDANZA: PREVENZIONE E TERAPIA I l citomegalovirus (CMV) è un agente infettivo molto comune che, se contratto in gravidanza, può diventare estremamente pericoloso: potrebbe essere trasmesso al feto, che non ha le difese immunitarie per combatterlo. In questo caso si parla di citomegalovirus congenito, infezione che può comportare danni al sistema nervoso centrale del nascituro: ritardo cognitivo, sordità, cecità. “La prima arma contro il CMV è sicuramente la prevenzione. – spiega il Prof. Giovanni Nigro, Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università dell’Aquila – Il virus si trasmette attraverso i fluidi corporei: una corretta igiene può prevenire l’infezione. Si tratta però di un virus estremamente comune e sarebbe bene eseguire sempre il test di screening in gravidanza.” Attraverso un esame del sangue è possibile misurare gli anticorpi specifici, detti immunoglobuline. “Quando si scopre l’infezione primaria – spiega Nigro - nella maggior parte dei casi viene consigliata l’interruzione di gravidanza, senza nemmeno fare il principale test di approfondimento, anche se il citomegalovirus congenito si può prevenire con una terapia adeguata, o quantomeno si possono limitare drasticamente i danni nel nascituro.” La terapia consiste nella somministrazione di immunoglobuline specifiche, che abbattono notevolmente il pericolo di trasmissione del virus al feto e lo aiutano a combattere la malattia nel caso sia stata trasmessa. “Cominciando già in periodo fetale e continuando il trattamento dopo la nascita – conclude - unitamente al trattamento antivirale standard, si possono ridurre al minimo i danni causati da virus, e bloccarlo. Se la terapia non viene somministrata il virus rimane attivo, continuando a danneggiare il sistema nervoso del bambino.” In Italia questa è però considerata ancora una terapia sperimentale e malgrado le pubblicazioni internazionali di rado viene proposta alla gestante. In Italia esiste un’associazione dedicata ai genitori che affrontano il CMV: Anticito Onlus (www.anticito.org). sere, parte integrante alla comunicazione della diagnosi in tutti i centri che si occupano di malattie metaboliche ereditarie.” Purtroppo in Italia sono ancora poche le coppie che, prima di una gravidanza, valutano con gli esperti questi aspetti, e su questa possibilità andrebbe fatta maggiore sensibilizzazione. Ilaria Vacca ( federica deodato Neuropsichiatra infantile U.O. Patologia Metabolica Ospedale Pediatrico Bambin Gesù (Roma) ( giovanni NIGRO Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università dell’Aquila Ilaria Vacca Biotest Creare valore. Vivere i valori. Biotest Italia Srl | Via Leonardo da Vinci 43 | 20090 Trezzano Sul Naviglio | Tel.: +39 02 4844 291 www.biotest.it NEONATO 25 Difetti del metabolismo sotto scacco grazie allo screening neonatale L a legge italiana prevede l’obbligo di offrire a tutti i neonati lo screening su tre patologie: la fibrosi cistica, l’ipotiroidismo congenito e la fenilchetonuria. Ciò significa fare dei test, assai poco invasivi, per scoprire se un neonato può essere affetto da una di queste gravi malattie. Diagnosticarle in tempo è fondamentale per garantire una vita sana o comunque migliore: nonostante ciò alcune regioni non sono ancora in regola. Eppure dovremmo saper guardare avanti: le nuove tecnologie consentono di diagnosticare più di 40 patologie metaboliche rare potenzialmente fatali entro le prime 72 ore di vita del neonato semplicemente analizzando una sola goccia di sangue. Ciò dà la possibilità di ricercare i primi segni di patologie che, se non immediatamente curate, possono causare disabilità gravi o morte prematura. Fino ad oggi questi ulteriori test non sono stati obbligatori e la scelta di effettuare uno screening allargato è stata a discrezione delle Regioni. Ne consegue che il controllo su un numero più ampio di malattie viene offerto a meno di 1 neonato su 4. Nel 2012 sono nati in Italia 534.000 bambini, solo a 159.000 di questi è stato fatto lo screening allargato. Secondo le statistiche oltre 290 bimbi non hanno avuto la diagnosi e dovranno subirne le conseguenze. “Entrambe le mie figlie sono nate con una patologia metabolica ereditaria – spiega Manuela Pedron, vicepresidente dell’Associazione Aismme - Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche - La più piccola non è sopravvissuta ed è morta dopo solo 11 mesi. La malattia delle mie figlie non è ancora oggi diagnosticabile alla nascita, ma molte patologie metaboliche lo sono. Eppure continuiamo a ricevere telefonate di genitori che hanno perso il loro bambino o lo hanno visto diventare disabile, bambini che con un test di screening neonatale potevano essere vivi e sani, come è successo ad altri, più fortunati. E’ ora di offrire a tutti i neonati e ai genitori italiani la possibilità di una diagnosi precoce e politiche uniformi: essere in salute o in malattia, non dovrebbe dipendere dalla fortuna di essere nati in una regione o in un’altra.” “Riconoscere tempestivamente queste patologie - spiega il Dottor Giancarlo la Marca, Direttore del Laboratorio Screening Neonatale della Clinica di Neurologia Pediatrica dell’Ospedale Meyer – permette di ‘neutralizzarene’ le conseguenze. Una dieta specifica o l’uso di terapie disponibili (come la terapia enzimatica sostitutiva) possono garantire al bambino una vita pressoché normale. Intervenire presto, cosa possibile solo con lo screening neonatale, fa la differenza tra la possibilità di avere una vita normale e non averla.” “La Toscana – continua la Marca - oggi garantisce lo screening su oltre 40 patologie. Attingendo alla nostra esperienza posso affermare che lo screening metabolico allargato non pesa negativamente sui costi sanitari, anzi. Se non diagnosticato un neonato con questi difetto può morire nei primi giorni di vita o rimanere in vita con danni neurologici permanenti. In quest’ultimo caso i costi sanitari per il trattamento terapeutico e per il sostentamento alle famiglie può raggiungere anche centinaia di migliaia di euro l’anno per un solo paziente. Con lo stesso contributo economico si può effettuare lo screening per una intera regione per tutti i difetti. Qualche Regione si è adeguata al protocollo esteso, alcune si sono fermate ad un numero minore, la maggior parte non ha ancora iniziato. E’ questo che si intende con ‘postcod lottery’: la differenze tra la salute e la disabilità per due neonati affetti dalla medesima malattia metabolica, può essere determinata dal nascere a pochi chilometri di distanza e dunque sotto due ‘Cap’ diversi.” Solo recentemente la politica è riuscita a capire la gravità del problema e ad agire concretamente per porvi un rimedio. Proprio alla fine del 2013, infatti, la Senatrice Paola Taverna (Movimento 5 Stelle) ha presentata un intero DDL firmato da rappresentati di tutti gli schieramenti politici, e poi anche un emendamento alla legge di stabilità, volto ad introdurre lo screening allargato, creare una ‘cabina di regia nazionale’ e finanziare il programma di uniformazione. E’ così che sono stati anche stanziati 5 milioni di euro l’anno per l’allargamento dello screening, in linea con le 25 Raccomandazioni della Commissione Europea del maggio 2004, relativa alle malattie rare, che raccomandano che gli Stati membri istituiscano in via prioritaria uno screening neonatale generalizzato per le malattie rare ma gravi, per le quali esiste una cura. Il primo importante passo verso uno screening allargato offerto a tutti i neonati è stato fatto, nei prossimi mesi bisognerà vedere come gli impegni previsti dalla legge verranno attuati. Ilaria Vacca ( giancarlo la marca Direttore del Laboratorio Screening Neonatale Clinica di Neurologia Pediatrica dell’Ospedale Meyer DNA sequence / source / www.istockphoto.com adulto 6 Brain Gears Composition / source / www.istockphoto.com lo sapevi che? } Molte sono in Italia le associazioni che sostengono le famiglie che affrontano la SLA e promuovono attivamente la ricerca scientifica. Tra queste annoveriamo AISLA, Viva la Vita Onlus e ASLA. www.aisla.it www.wlavita.org www.asla.it Sla, grande fermento di ricerca contro la malattia che paralizza L a SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, è una malattia neurodegenerativa che in Italia registra circa 1.000 nuovi casi all’anno. Si tratta di una patologia grave, dalle cause ancora in buona parte sconosciute, che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose dell’encefalo e del midollo spinale che consentono il controllo dei movimenti del corpo. Conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, dal nome del famoso giocatore americano di baseball che ne fu colpito, è una patologia ad esordio e decorso estremamente variabile. In genere i sintomi iniziali sono caratterizzati da inspiegabile debolezza e atrofia dei muscoli degli arti associate a brevi contrazioni muscolari, dette anche fascicolazioni, crampi e rigidità muscolare. In altri casi (in cui la malattia presenta il cosiddetto ‘esordio bulbare’, circa il 25% del totale) la patologia si manifesta con difficoltà nella parola fino alla perdita della capacità di comunicare verbalmente e difficoltà di deglutizio- ne. Ai due tipi di esordio, legati all’iniziale coinvolgimento di differenti popolazioni motoneuronali, fa seguito solitamente un comune decorso clinico caratterizzato da un’ingravescente sofferenza di tutta la muscolatura volontaria, inclusa quella respiratoria. Attualmente l’unica molecola approvata e di cui sia stata dimostrata una certa efficacia nel ridurre la progressione della malattia è il Riluzolo che ha la funzione di ridurre il rilascio di glutammato che gli studi dimostrano accumularsi e nel liquido cerebrospinale dei malati facendo morire progressivamente i neuroni. La ricerca scientifica è però fortemente impegnata nel campo della Sla, quindi non possiamo escludere che presto si possa trovare una cura efficace per questa grave malattia. “ Come testimoniato da database pubblici raggiungibili attraverso la rete (ad es. www.clinicaltrials.gov) – spiega il Dottor Gianni Sorarù, del Dipartimento di Neurologia dell’Università degli Studi di Padova - sono numerose le sperimentazioni in fase di reclutamento attivo nel mondo. Gli importanti avanzamenti della ricerca sulla SLA, in particolare quelli rispetto alla genetica, stanno indicando la necessità di una personalizzazione delle cure. E così, nella convinzione che il fallimento delle ricerche nel passato sia dipeso dall’aver considerato i pazienti tutti uguali, alcuni nuovi protocolli sono indirizzati a specifiche categorie di pazienti. Da segnalare, ad esempio, il trial clinico con oligonucleotidi (piccoli acidi nucleici in grado di modificare l’espressione di un gene) in pazienti con SLA legata a mutazione a carico del gene SOD1.” “Accanto a ricerche riguardanti molecole – conclude - un attento interesse è rivolto anche alla possibilità di cura attraverso l’uso di cellule staminali. Va però sottolineato che gli studi con cellule staminali attualmente in corso sono mirati alla sola valutazione di fattibilità e sicurezza delle procedure. La buona riuscita di questi insieme ad un ulteriore sviluppo delle conoscenze scientifiche getteranno le basi per trial clinici di valutazione dell’efficacia di una tale strategia di cura.” Molte sono in Italia le associazioni che sostengono le famiglie che affrontano la Sla e promuovono attivamente la ricerca scientifica. Tra queste annoveriamo AISLA (www.aisla.it), Viva la Vita Onlus (www.wlavita.org) e ASLA (www.asla.it). Ilaria Vacca ( gianni sorarù Dipartimento di Neurologia dell’Università degli Studi di Padova adulto 7 Neuropatia Motoria Multifocale, somiglia alla Sla ma si può curare U na strana debolezza alle mani, la difficoltà di compiere banali azioni quotidiane come pettinarsi, girare le chiavi nella serratura o digitare un sms, possono essere sintomi di una malattia poco conosciuta, la Neuropatia Motoria Multifocale (MMN). Si tratta di una rara patologia altamente disabilitante, che affligge per lo più uomini tra i 20 e i 50 anni e interessa circa 1 persona ogni 100.000. La malattia colpisce solitamente prima gli arti superiori, poi gradualmente si estende ad altre zone del corpo fino a causare una grave invalidità. Spesso viene confusa con la drammatica SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica (patologia degenerativa a prognosi infausta), ma la grande differenza è che per la MMN una terapia c’è, e può garantire ai pazienti una vita lunga e autonoma. Fondamentale è una corretta diagnosi, che può fare la differenza. “Il primo livello diagnostico – spiega Gabriele Siciliano, Professore Associato di Neurologia dell’ Università di Pisa, grande esperto di malattie neurodegenerative - consiste nell’esecuzione di un’elettromiografia delle zone interessate. Attraverso questo esame non invasivo è possibile rilevare i segni di danno neurogeno (comune a tutte le neuropatie) e il blocco di conduzione motoria, chiaro segno della MMN. In presenza del blocco della propagazione dello stimolo nervoso il neurologo deve necessariamente sospettare la MMN. Il sospetto terapeutico viene confermato dal dosaggio anticorpale, che indica la presenza della patologia autoimmune. Tramite un’analisi del sangue, eseguibile in un centro esperto (solitamente la neurologia di un policlinico universitario n.d.r.) viene monitorata la presenza di anticorpi IgM anti GM1, gli anticorpi che bloccano la conduzione motoria. Si tratta di un test che lascia una certa percentuale di casi negativi, ma che può confermare la diagnosi in circa 80% dei casi. Una volta ottenuta la diagnosi è necessario iniziare tempestivamente il trattamento terapeutico, in grado di modulare o inibire la risposta immunitaria e la conseguente progressione della malattia.” Il trattamento per la Neuropatia Motoria Multifocale consiste nella somministrazione di immunoglobuline specificata- mente indicate per questa patologia. Le immunoglobuline sono sostanzialmente anticorpi: proteine globulari coinvolte nella risposta immunitaria. “Il gold standard –spiega Siciliano – è rappresentato dalla terapia con immunoglobuline endovena con approvazione specifica che vanno somministrate per lunghi periodi, così come raccomanda l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco. In alcuni casi la malattia può andare completamente in remissione, in altri casi la patologia viene stabilizzata e tenuta sotto controllo grazie al farmaco. Per questo possiamo dire che la MMN può essere efficacemente curata, garantendo ai pazienti la possibilità di una vita socialmente e lavorativamente attiva. La terapia con immunoglobuline rappresenta un presidio farmacologico che ha un costo, ma è l’unico farmaco attualmente specifico per il trattamento di questa neuropatia. Le alternative più economiche, rappresentate ad esempio dagli steroidi, per la MMN non solo non funzionano, ma rischiano di peggiorare la situazione. Per questo la terapia con immunoglobuline deve essere considerata la prima opzione tera- peutica, perché è in grado di evitare al paziente una disabilità che comporterebbe un aggravio di costi sociali diretti e indiretti sul SSN. Certamente il regime di somministrazione deve essere razionalizzato, sulla base di un attento follow up del paziente, ma non è proprio il caso di risparmiare sulla terapia che può garantire ai pazienti l’autonomia. Ricordiamo, infatti, che si tratta in genere di pazienti giovani adulti, nel pieno della loro vita lavorativa e relazionale, ai quali deve essere garantita la miglior prospettiva possibile”. Ilaria Vacca ( gabriele siciliano Professore Associato di Neurologia, Università di Pisa lo sapevi che? } Il trattamento per la Neuropatia Motoria Multifocale consiste nella somministrazione di immunoglobuline specificatamente indicate per questa patologia. Le immunoglobuline sono sostanzialmente anticorpi: proteine globulari coinvolte nella risposta immunitaria. GLOSSARIO [ mmn ] Concept of neurons and nervous system / source / www.istockphoto.com Si tratta di una rara patologia altamente disabilitante, che affligge per lo più uomini tra i 20 e i 50 anni e interessa circa 1 persona ogni 100.000. La malattia colpisce solitamente prima gli arti superiori, poi gradualmente si estende ad altre zone del corpo fino a causare una grave invalidità. adulto 8 Colesterolo fuori controllo fin da bambini, può essere una rara malattia familiare Contro l'ipercolesterolemia omozigote la diagnosi precoce è fondamentale, oggi la farmacologia offre soluzioni A vere un infarto a vent’anni è quanto meno insolito. Quando capita è come avere un campanello d’allarme che suona solo quando i ladri sono già fuori di casa. Per molte persone affette da ipercolesterolemia familiare, soprattutto nelle forme più gravi, può succedere proprio questo. Il ladro che da tanto tempo, di fatto fin dalla nascita, si aggira nel loro corpo si chiama colesterolo, nome in codice LDL. La loro è infatti una malattia genetica: si chiama ipercolesterolemia familiare. Chi ne è affetto ha ereditato un gene difettoso e tende ad avere il colesterolo (LDL) alto, a volte altissimo. Chi eredita i geni difettosi da entrambi i genitori sviluppa la malattia più grave, in forma omozigote. “I pazienti con ipercolesterolemia omozigote sono in Italia circa un centinaio – spiega il Prof. Maurizio Averna dell’Università di Palermo – E’ una malattia che se non trattata è letale: a cau- sa del danni cardiovascolari i pazienti non arrivano a trent’anni. Per questo il trattamento deve essere iniziato il prima possibile. Secondo nuovi studi la frequenza potrebbe essere raddoppiata, ma quello che conta oggi è offrire al paziente una tempestiva e corretta terapia. Cambiare alimentazione e assumere farmaci è sufficiente per controllare il colesterolo nei pazienti eterozigoti. Per i pazienti omozigoti questo non è però sufficiente. Per loro i farmaci tradizionali da soli non funzionano e devono sottoporsi alla LDL aferesi, rimozione meccanica del colesterolo LDL dal sangue. La procedura deve essere svolta una volta alla settimana, per 4 ore circa. I pazienti assumono anche i farmaci tradizionali ma tutto ciò ancora non è sufficiente per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo”. La ricerca finalmente è venuta in aiuto e ora, anche in Italia, esiste una molecola: si chiama lomitapide, e da settembre è stata inserita nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale e destinato per ora solo ai pazienti adulti affetti dalla forma omozigote.“Il lomitapide si è dimostrato in grado di ridurre ulteriormente il colesterolo di questi pazienti. Agisce inibendo le proteine del fegato deputate all’assemblaggio delle lipoproteine: senza queste proteine non ci sono lipoproteine circolanti. Unitamente all’aferesi e alla terapia tradizionale questa molecola permette ai pazienti di avere un tasso di colesterolo nel sangue pari a quello di una persona sana. Alcuni pazienti che hanno sperimentato il farmaco hanno potuto addirittura abbandonare l’aferesi, sempre sotto stretto monitoraggio medico.” Peccato che in quasi tutte le regioni italiane si registra, a più di 5 mesi dall’approvazione, una seria difficoltà e talvolta l’impossibilità per i pazienti ad avere il farmaco dalle farmacie ospedaliere: questo anche in EMOFILIA, CON LE NUOVe TERAPIE UNA VITA NORMALE PER I PAZIENTI M alattia ereditaria che comporta una grave insufficienza nella coagulazione del sangue dovuta alla mancanza di un fattore di coagulazione, interessa oggi circa 7.000 italiani, quasi tutti affetti dalla patologia di tipo A. “Fino a 20 anni fa – spiega la Dott.ssa Piercarla Schinco, Direttore del Centro regionale piemontese per le malattie trombotiche ed emorragiche dell’adulto - esisteva unicamente la terapia ‘al bisogno’, che veniva somministrata in seguito a sanguinamenti, spesso emorragie ripetute all’interno delle articolazioni principali. Ora ha preso piede concetto il rivoluzionario di ‘profilassi’: al paziente viene infuso ogni 2-3 giorni il fattore mancante. In questo modo il sanguinamento si previene e si previene la conseguente artropatia, innalzan- do moltissimo lo standard di qualità di vita del paziente, che oggi può vivere una vita normale.”Fino a qualche anno fa parlando di terapie era necessario parlare di emoderivati, prodotti derivati direttamente dal sangue dei donatori. Oggi la scienza permette anche l’uso dei prodotti ‘ricombinanti’, cioè derivati dalla tecnologia del DNA ricombinante. Come si sceglie il prodotto giusto per ogni paziente? “La valutazione va fatta in base ad efficacia e sicurezza – spiega la Dott.ssa Maria Messina dell’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino - ed è quello che avviene per quanto riguarda la scelta tra un plasmaderivato e un ricombinante. L’assenza di segnalazioni di trasmissione di alcun agente infettivo da parte dei ricombinanti fin dalla loro messa in commercio determina una maggiore percezione di sicurezza sia da parte del medico che del paziente. Lo specialista deve fornire ai pazienti (e ai genitori) tutte le informazioni necessarie e valutare con lui tutte le possibilità. In questo modo la scelta del prodotto viene ragionata insieme e condivisa. Esistono delle linee guida, condivise da tutti i responsabili dei centri emofilia italiani, la cui ultima revisione risale all’ottobre del 2013, che supportano lo specialista nella scelta terapeutica più opportuna. “ Ilaria Vacca presenza di regolare prescrizione dello specialista. Il prof. Averna è presidente della Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi. La SISA (www.sisa.it.) ha avviato il progetto Lipigen per la diagnosi delle dislipidemie familiari. Ilaria Ciancaleoni Bartoli ( Maurizio Averna Dipartimento di Medicina interna e specialistica dell’Università di Palermo Responsabile del Centro Regionale Malattie Rare del Metabolismo ( Piercarla Schinco Direttore SSCVD Malattie Trombotiche ed Emorragiche AOU Città della Salute e della Scienza di Torino ( maria messina Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Ospedale Infantile Regina Margherita (TO) In Bayer abbiamo maturato oltre 20 anni di esperienza clinica nel trattamento dell’Emofilia. Questo impegno lo abbiamo chiamato Hemophilia Solutions e comprende il continuo sviluppo di prodotti innovativi e di soluzioni per la gestione della patologia e la prevenzione delle sue complicanze. Hemophilia Solutions: il fattore umano prima di tutto. Bayer, la croce Bayer sono marchi registrati da Bayer. © 2012 Bayer HealthCare. Tutti i diritti sono riservati. adulto 9 Comunicazione e informazione sulle malattie rare: ecco i vincitori del Premio O.Ma.R. C omunicare e informare sono due verbi facili da confondere, credendo che possano coincidere. Sono invece due verbi distinti, che danno il meglio di se stessi lavorando in coppia. Comunicare significa trasmettere a qualcuno dei messaggi. Informare significa trasmettere conoscenza: un’informazione ha valore in quanto potenzialmente utile a chi la riceve. Si può comunicare senza informare, facendo passare messaggi incompleti o dannosi, come dimostra il caso Stamina. Al contrario, si può fare informazione in ambienti ristretti, ma non riuscire a comunicarla al di fuori. Trovare informazioni valide e utili sulle malattie rare e portarle a un ampio numero di persone è un lavoro difficile ma utilissimo, da premiare. Per questo è nato il premio O.Ma.R., organizzato insieme a referenti scientifici (Orphanet e Telethon), istituzionali (l’ISS) e ai pazienti rappresentati da Uniamo. I vincitori sono stati premiati il 27 febbraio a Roma. Antonella Patete ha vinto il premio ‘stampa’ spiegando che quelli che chiamiamo nani sono persone affette da una malattia, l’acondroplasia, che le rende più basse, ma per il resto identiche alle altre. L’articolo, su Superabile Magazine, è esplicito fin dal titolo: “Siamo bassi, e allora?”. Lidia Scognamiglio ha vinto il premio ‘video’ con un servizio, in onda sul Tg 2 Medicina 33, dedicato alle ‘Nuove cure per la protoporfiria eritropoietica’: una malattia rara che impedisce di esporsi al sole e oggi curabile. Il Premio “Politiche sanitarie” offerto da Shire Italia è andato ad Andrea Gentile per un fumetto, pubblicato su Wired, che affronta il caso Stamina dal punto di vista del paziente, mostrando cosa succede quando le politiche latitano e le regole sono disattese. Il Premio “Malattie rare del Polmone” offerto da InterMune è andata a Ilaria Vacca, che su Disabili.com ha spiegato l’importanza di rivolgersi a centri specializzati. Il Premio ‘Tumori Rari’ offerto da Celgene è andato a Vera Martinella, che con l’articolo “Il mio tumore? Il bilancio è positivo”, su ‘Sportello Cancro’ del Corriere della Sera, ha saputo dare un messaggio importante: un tumore raro non è una sentenza di morte. Quest’anno sono state premiate anche due iniziative non giornalistiche: la menzione per le arti visive offerta da Genzyme è andata a FotografRare, mostra interattiva organizzata dall’Associazione Italiana Glicogenosi, mentre il Premio Cavazza, offerto dalla Fondazione Sigma Tau, è andato a Lorella Salce di IFO per la mostra di dipinti intitolata a Luna Maggi, bimba morta di osteosarcoma. Ilaria Ciancaleoni Bartoli ( bruno dallapiccola Coordinatore di Orphanet Italia e Presidente della giuria del premio O.Ma.R. 2013/2014 Spegnere il dolore nell'algodistrofia: oggi si può I l dolore è sproporzionato, persiste giorno e notte, si acutizza solo con uno sfioramento o carezza: per chi ne soffre, l’algodistrofia è una compagna di vita ingombrante che limita i movimenti ed espone a un maggiore rischio di fratture ossee. Riconoscerla non è facile, ancora meno curarla perchè insensibile ai comuni antidolorifici e antinfiammatori. Oggi il percorso terapeutico, costellato negli anni da studi parziali e molecole sperimentali scarsamente efficaci, sembra aver raggiunto il punto di svolta con i bisfosfonati, farmaci prescritti per l’osteoporosi. A caratterizzare la malattia rara - oltre al dolore cronico localizzato, talvolta accompagnato da edema, rossore e cambiamenti visibili della pelle nell’area interessata – è proprio una degenerazione dell’osso che ‘svanisce’ progressivamente. “Questo segno conferma la diagnosi, difficile da raggiungere perchè la patologia è poco conosciuta – spiega Silvano Adami, Professore ordinario di Reumatologia all’Università di Verona – In realtà, in caso di sospetto, è sufficiente una radiografia per vederla”. In due pazienti su tre la malattia, nota anche come sindrome regionale dolorosa complessa di tipo I (CRPS-I), è innescata da un trauma: bastano una frattura o una distorsione, anche lievi e successivamente risolte, ad attivare una trasmissione continua dello stimolo che causa dolore e uno stato infiammatorio locale che può estendersi anche al microcircolo, ai nervi e agli altri tessuti molli. Per questo molti pazienti manifestano la malattia a livello delle mani o dei piedi, le estremità più esposte a infortuni, e molti casi sono associati alla frattura del polso o del radio. Concentrandosi nell’osso, i bisfosfonati hanno dimostrato di interferire con il rimodellamento osseo e agire come potenti antinfiammatori, quando somministrati ad alte dosi. A dimostrarlo è stato uno studio italiano, pubblicato sulla rivista Rheumatology, che ha spinto l’AIFA ad approvare il neridronato, uno di questi farmaci, come trattamento per l’algodistrofia. “Merito dei risultati incoraggianti raccolti – spiega il dottor Massimo Varenna, Responsabile U.O. Centro Diagnosi e Terapia Patologie Osteometaboliche dell’Istituto Ortopedico Pini di Milano - con la terapia endovenosa, testata su 82 pazienti, il dolore si attenua già nei primi 20 giorni e crolla quasi a zero dopo poco più di un mese. Dopo un anno dal trattamento nessun paziente ha più riferito una ripresa della sintomatologia legata alla malattia ”. “Nell’80 per cento dei casi è stato risolutivo – prosegue il prof. Adami – altri paesi hanno avviato l’iter di approvazione per la terapia. Con il prossimo studio valuteremo la possibilità di somministrare il farmaco via intramuscolo per facilitare la terapia ai pazienti.” Cinzia Pozzi ( Silvano Adami Professore ordinario di Reumatologia all’Università di Verona ( Massimo Varenna Responsabile U.O. Centro Diagnosi e Terapia Patologie Osteometaboliche dell’Istituto Ortopedico Pini di Milano Fibrosi Polmonare Idiopatica: la diagnosi certa e veloce è la chiave per accedere alla terapia T ra le malattie rare che possono colpire l’apparato respiratorio c’è la Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF): per una eccessiva produzione di tessuto cicatriziale i polmoni diventano rigidi e il paziente si trova ‘col fiato corto’, e costretto nel tempo ad usare l’ossigeno. Fino a pochi anni fa l’unica speranza era il trapianto di polmoni mentre oggi è possibile agire per via farmacologica, rallentandone la progressione. E’ ormai disponibile il pirfenidone, somministrato per via orale, che i pazienti possono trovare nelle farmacie ospedaliere autorizzate. Per poter cogliere questa opportunità è però indispensabile la diagnosi esatta e tempestiva. “Finalmente si cominciano ad applicare le linee guida del 2011 – spiega il prof. Cesare Saltini, direttore del centro Malattie respiratorie Policlinico Universitario di Tor Vergata – Sono stati definiti 5 caratteri che distinguono all’osservazione radiologica, la IPF da altre malattie. Usando questi criteri si riesce a dare una diagnosi ripetibile e certa al 60 – 70% dei casi. Questo è importante perché nei casi incerti va considerata la biopsia, che però è un procedimento con dei rischi. Per valutarne l’opportunità serve un lavoro congiunto tra pneumologo, patologo e radiologo”. Oggi non sono tanti i centri che possono vantare questo approccio multidisciplinare, da qui l’importanza di rivolgersi a centri di eccellenza. “E’ una patologia dall’andamento imprevedibile il tempo è un fattore fondamentale. Inoltre è stato dimostrato che nella IPF il cortisone è dannoso e si associa ad una maggiore mortalità, mentre può essere utile in altre malattie interstiziali: per questo è importante stabilire subito con certezza quale malattia abbiamo di fronte. Fatta la diagnosi – spiega Saltini – sono due le cose da fare: valutare se ci siano le condizioni per inserire il paziente in lista trapianti e cominciare la terapia con pirfenidone se il paziente è idoneo. Quando si comincia, però, è importante seguire il paziente e aiutarlo, almeno per il primo periodo, a gestire i possibili effetti collaterali. Può essere necessario agire sulla dose, riducendola per poi piano piano riportarla al livello ottimale: deve saperlo fare il medico altrimenti si va incontro al rischio che i pazienti, usando il fai da te, finiscano per abbandonare la terapia, e questo a loro danno”. Ilaria Ciancaleoni Bartoli ( cesare saltini Direttore del centro Malattie respiratorie Policlinico Universitario di Tor Vergata adulto 10 Malattie rare della Retina: in Italia una rete per salvare la vista L e malattie rare della retina sono una delle principali cause di ipovisione e cecità nel nostro Paese e rappresentano un gruppo molto ampio di patologie con sintomatologia e decorso anche assai differente. Se ne stimano migliaia di casi all’anno solo in Italia anche se un registro esaustivo delle malattie genetiche rare che interessano la retina ad oggi non esiste. Parliamo di patologie come la retinite pigmentosa, la malattia di Stargart o le distrofie retiniche ereditarie come la malattia di Best (distrofia maculare vitelliforme o a “tuorlo d’uovo”): sia per la diagnosi che per la terapia di queste malattie è nata la Rete per le Malattie Rare della Retina, un network di medici e ricercatori italiani che consente a pazienti pediatrici e adulti di ottenere diagnosi rapide grazie a effi- caci test genetici e di essere inseriti in protocolli sperimentali italiani e internazionali. Il network è promosso da MAGI, Istituto di Genetica no-profit che opera a livello nazionale, ma, ha sede in Trentino. I primi presidi ospedalieri a prendere parte al progetto sono stati il Policlinico Gemelli di Roma, gli Ospedali Luigi Sacco e San Paolo di Milano ma oggi la rete è estesa su quasi tutto il territorio nazionale. Grazie a una diagnosi corretta e veloce per i pazienti è ora più facile anche partecipare alle sperimentazioni cliniche in corso. Sono molti i farmaci e le procedure attualmente in sperimentazione per queste patologie: dal Nerve Grow Factor (NGF), la proteina scoperta negli anni 50 da Rita Levi-Montalcini all’impianto di microprotesi direttamente sulla retina, fino alla terapia genica, sulla quale sta lavorando Telethon. Sono tutte prospettive promettenti che cambieranno (o hanno già cambiato) la vita di molti dei pazienti affetti da queste malattie. “Le malattie rare sono un argomento su cui occorre agire con uno sguardo ampio e collaborativo – spiega il Dottor Bertelli, genetista e fondatore di MAGI, nonché promotore della Rete per le Malattie Rare della Retina - Ci sono malattie così rare o poco conosciute che non è pensabile che ogni paese possa avere laboratori in grado di fare ed interpretare analisi genetiche così complesse. Bisogna saper fare rete anche in un’ottica europea e dove possibile fare in modo che a viaggiare siano i campioni necessari ad effettuare i test genetici, opportunamente raccolti e trattati, e non i pazienti che già vivono numerosi disagi. Per questo abbiamo deciso, seguendo l’esempio di quanto già da noi realizzato in Italia per le malattie rare della Retina, di creare anche un network europeo per la diagnosi e la ricerca sulle malattie rare in Europa”. Il network è stato presentato lo scorso giugno a Bruxelles. Ilaria Vacca ( matteo bertelli Genetista e fondatore di MAGI Tumori rari, tempi troppo lunghi per accedere alle terapie innovative S ingolarmente colpiscono pochi pazienti ma sommati tra loro rappresentano il 20% dei tumori maligni: sono i tumori rari, che in Italia vedono oltre 10 mila nuove diagnosi all’anno. Tra i più diagnosticati nella popolazione anziana troviamo le sindromi mielodisplastiche (SMD), un gruppo di malattie del sangue caratterizzate da una progressiva riduzione nella capacità del midollo osseo di produrre cellule ematiche, che può evolvere in leucemia acuta, con circa 12-15 mila nuove diagnosi. “L’Italia è il secondo paese per aspettativa di vita dopo il Giappone – spiega il Prof. Fabrizio Pane, Presidente della Società Italiana di Ematologia (SIE) – pertanto la frequenza delle neoplasie del sangue dei soggetti anziani, è piuttosto elevata. Le SMD sono il risultato della trasformazione neoplastica di un midollo osseo invecchiato: patologie che devono essere correttamente inquadrate e curate. Deve essere evitato l’atteggiamento nichilistico solo perché colpiscono gli anziani.” “Un altro grosso problema comune a queste ed altre patologie neoplastiche – continua – è rappresentato dalla necessità di avere una pronta disponibilità dei farmaci più innovativi. Il processo per mettere a disposizione dei pazienti un nuovo farmaco in Italia è troppo lungo. Dopo la registrazione all’EMA (Agenzia Europea Del Farmaco), in attesa che l’AIFA attui la procedura per stabilire il prezzo della molecola, i nuovi farmaci vengono inseriti in classe ‘Cnn’, fascia c non negoziata. Sono quindi a carico delle strutture ospedaliere, quelle che possono permetterselo: praticamente nessuna.” “Insieme a FAVO e AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) chiediamo che il percorso diagnostico e terapeutico venga razionalizzato ed approfondito. Tutti i malati vanno correttamente inquadrati in modo da scegliere il farmaco più appropriato per le loro esigenze e quindi curati in modo più efficace. Il paziente curato bene determina costi sociali inferiori a quelli del paziente non curato o curato in maniera non appropriata.” Ilaria Vacca ( FABRIZIO PANE Presidente SIE anziano 11 2 lo sapevi che? } Per i farmaci pediatrici si fanno sperimentazioni apposite. Ma se per donne e bambini ormai l’attenzione è buona lo stesso non si può dire per gli anziani.La barriera non è tanto farmacologica quanto culturale. Solo la metà dei pazienti di età compresa tra i 71 e gli 80 anni riceve tratLe sindromi mielodisplastiche tamenti all' avanguardia quando si aggravano possono svilupparsi i n leucemia acuta e si m anifestano p revalentemente dopo i 70 anni a 71 / 80 anni a 60% casi a dopo i 70 anni fonte: O.Ma.R. - Osservatorio Malattie Rare Anziani, rinunciare a priori a trattarli è una discriminazione: si chiama ageism N egli ultimi anni si è molto discusso di medicina di genere, allo scopo di dare alle donne terapie adeguate, facendole anche partecipare in numero adeguato alle sperimentazioni. Per i farmaci pediatrici si fanno sperimentazioni apposite. Ma se per donne e bambini ormai l’attenzione è buona lo stesso non si può dire per gli anziani. La barriera non è tanto farmacologica quanto culturale. Di terapie efficaci e tollerabili nella terza età, infatti, ce ne sono: l’ostacolo è in una serie di convinzioni che spingono a limitare l’accesso alle terapie da parte di chi ha superato i 70 anni. Questo fenomeno è noto come ‘ageism’ e indica, appunto, una discriminazione legata all’età. Un paradosso di fronte all’invecchiamento generale della popolazione mondiale previsto nei prossimi decenni: entro il 2030 un terzo delle persone avrà più di 65 anni. Una revisione condotta da eCancer Medical Science ha evidenziato che solo la metà dei pazienti tra 71 e 80 anni riceve trattamenti all’avanguardia rispetto agli under 40. L’oncologia è uno dei settori dove l’ageism trova terreno più fertile, quando invece proprio qui servirebbe più attenzione. Il 60% di tutte le forme tumorali, infatti, si manifesta proprio nella terza età. Oggi in molti casi ci sono farmaci efficaci: escluderli da queste opportunità terapeutiche è ingiusto ed è anche una violazione dell’Art 3 della Costituzione che vieta qualsiasi forma di “discriminazione basata sulle condizioni personali”, inclusa l’età. “Spesso accade che il paziente ultraottantenne sia scoraggiato dal fare ulteriori terapie proprio in questa prima visita e non viene nemmeno mandato dallo specialista.– spiega la professoressa Valeria Santini, professore associato di ematologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze e grande conoscitrice del tema – A torto, perchè molti di questi pazienti possono essere trattati con le terapie oggi a disposizione anche per i più giovani. Purtroppo esistono ancora realtà ospedaliere che attuano una sorta di selezione all’ingresso, talvolta anche invocando questioni di budget sanitario per giustificare il non trattamento di pazienti molto anziani con un ipotetico risparmio di costi”. Uno dei campi in cui l’ageism è più evidente sono le sindromi mielodisplastiche, un gruppo di malattie del sangue, rare nel complesso della popolazione, che si manifestano prevalentemente dopo i 70 anni, con un’incidenza 12 volte superiore rispetto alla popolazione più giovane. “L’ageism agisce già quando si tratta di fare la diagnosi – spiega la professoressa Santini - Nelle mielodisplasie ad esempio l’aspirato midollare è necessario per formulare una diagnosi, ma a volte non viene nemmeno suggerito anche se è tollerabile e necessario per capire di fronte a che malattia di troviamo. L’80% di questi pazienti, infatti, è anemico ma solo con questo esame si può capire se si tratta di un’ anemia refrattaria semplice oppure di una malattia progressiva in fase già avanzata. Un paziente molto anziano e molto anemico può trarre grande beneficio dalla terapia con fattori di crescita eritroidi, ma senza la diagnosi non si può procedere”. Oggi consapevo- lezza su questo fenomeno sta crescendo, anche grazie a campagne di sensibilizzazione come il progetto internazionale Life Beyond Limits, nato dalla collaborazione tra associazioni di pazienti e supportata da Celgene Corporation, a cui collabora anche la professoressa Santini. Ilaria Ciancaleoni Bartoli ( VALERIA SANTINI Professore associato di ematologia I.P.
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