ELIO CABIB Calcolo delle Variazioni per principianti Alla Memoria di Franco Conti ELIO CABIB [email protected] professore di Analisi Matematica Universit` a di Udine Calcolo delle Variazioni per principianti Indice Introduzione iii 1 Problemi variazionali in una variabile 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali . . . . . . . . . 1.2 L’equazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 18 19 2 Il Problema di Dirichlet 2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie . . . . . 2.2 Esempi con soluzioni esplicite . . . . . . . . . 2.3 Formulazione variazionale . . . . . . . . . . . 2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet . . . . 23 23 28 30 36 3 Problemi non lineari 3.1 L’equazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Il metodo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 43 46 4 Omogeneizzazione e G-convergenza 4.1 Il caso unidimensionale e un esempio . . . . . . . 4.2 Le stime elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi . . . . 4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera 4.5 La G-convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 55 58 60 63 64 A Elementi di Analisi Funzionale A.1 La misura di Lebesgue . . . . A.2 Integrazione di Lebesgue . . . A.3 Spazi Lp . . . . . . . . . . . . A.4 Dualit` a e convergenza debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 67 71 74 78 B Cenni sugli spazi di Sobolev B.1 Funzioni assolutamente continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.2 Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.3 Gli spazi di Sobolev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 81 82 85 C Teoria classica del problema di Dirichlet per C.1 Teorema della media e principio di massimo . C.2 Soluzione fondamentale e formula di Poisson . C.3 Risoluzione del problema di Dirichlet . . . . . 89 90 91 96 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l’operatore di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Laplace . . . . . . . . . . . . . . . ii Indice Introduzione La filosofia `e scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si pu` o intendere se prima non si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, n´e quali `e scritto. Egli `e scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi `e impossibile intenderne umanamente parola. Galileo, Il Saggiatore Molti fenomeni in tutti i campi delle Scienze si prestano ad essere modellati e descritti, dal punto di vista matematico, in termini di principi di massimo o di minimo. Le configurazioni di equilibrio stabile di un sistema meccanico soggetto a forze conservative sono quelle che rendono minima l’energia potenziale (principio di Dirichlet); in un mezzo trasparente, il raggio di luce viaggia tra due punti dati scegliendo, fra tutte le possibili, la traiettoria lungo la quale impiega il minimo tempo (principio di Fermat); una lamina saponata con il contorno aderente ad una curva chiusa, realizzata ad esempio in fil di ferro, si dispone secondo una configurazione di area minima (problema di Plateau). Affermazioni di questo tipo possono essere considerate principi naturali, leggi della natura che noi ci limitiamo a descrivere con il linguaggio razionale della matematica, la chiave giusta, secondo Pitagora, per comprendere l’armonia dell’Universo. In altri casi invece, per motivi pratici, ci possiamo porre il problema del controllo di un fenomeno, o di un evento, per costringerlo ad adeguarsi a certi requisiti di massimo o di minimo. Ad esempio, in sede di progetto, disponendo di certi materiali, vogliamo realizzare una struttura secondo criteri di minimo costo, di minimo peso, di massima resistenza o di minima dispersione di calore e cos`ı via. Tra i grandi problemi passati alla storia della Matematica, vale la pena citarne alcuni, oltrech´e per il loro interesse soprattutto geometrico e fisico, per il ruolo che hanno avuto nello sviluppo del Calcolo delle Variazioni (CdV). Nel problema isoperimetrico ci si chiede quale figura piana o spaziale renda massima l’area o il volume, a seconda della dimensione, a parit`a di perimetro o di area della superficie che lo racchiude. Noto come problema di Didone, legato a una famosa leggenda sulla fondazione di Cartagine, ha una storia millenaria, ma `e stato risolto da De Giorgi nella massima generalit` a soltanto negli anni ’50 del XX secolo (la soluzione `e il cerchio, o la sfera, nessuno ha mai dubitato di questo, mancava solo una dimostrazione soddisfacente). Non appena per` o si tiene conto di certi vincoli, ci si imbatte subito in questioni ancora aperte, come nel caso in cui lo si voglia risolvere nella classe dei poliedri: le soluzioni nel caso piano sono i poligoni regolari, come ognuno si aspetterebbe, ma nello spazio i poliedri regolari sono solo di 5 tipi! Un altro problema interessante `e quello della ricerca delle geodetiche di una superficie, che sono le curve di minima lunghezza, di estremi assegnati e giacenti su di essa. Per la sfera le soluzioni sono gli archi di cerchio massimo, ma si comprende facilmente che superfici anche poco pi` u complicate danno luogo a notevoli difficolt`a. Se la superficie rappresenta un vincolo rigido privo di attrito su cui si muove una iv Indice particella materiale, non soggetta a forze attive, la traiettoria che essa percorre `e una geodetica. Un filo inestensibile e perfettamente flessibile, soggetto solo a forze di trazione e vincolato a giacere sulla superficie, si dispone, in condizioni di equilibrio, secondo una geodetica. Il celebre problema della brachistocr` ona venne posto nel 1696 da Jean Bernoulli, gi` a in possesso della soluzione, in una delle sfide matematiche dell’epoca. Si tratta della traiettoria prestabilita liscia lungo la quale deve scivolare un punto materiale pesante, con posizioni iniziale e finale assegnate, affinch´e il tempo impiegato per la discesa sia minimo. Se le due posizioni sono allineate sulla verticale la soluzione `e chiaramente la retta, altrimenti `e un arco di cicloide, la stessa curva descritta da un punto della periferia di un disco che rotola senza strisciare. L’inizio del CdV viene convenzionalmente attribuito al periodo in cui venne posto questo problema, accanto al quale `e per` o doveroso ricordare anche il problema di Newton (1686) sulla forma ottimale che dovrebbe possedere un corpo in movimento immerso in un liquido affinch´e sia minima la resistenza offerta dal mezzo. Nella sua forma pi` u generale un problema di minimo viene posto nei seguenti termini: dato uno spazio X di “stati ammissibili” e data una funzione F : X → R, trovare x ∈ X tale che (1) F (x) = min F (y) . y∈X Nel CdV l’attenzione `e sempre rivolta al caso un po’ meno generale dei funzionali integrali Z (2) F (u) = f (x, u(x), Du(x)) dx , Ω dove Ω ⊂ Rn `e un aperto e f : Ω × D → R, essendo D ⊂ Rm × Rmn . Sotto il segno di integrale compare la composizione dell’integrando f (x, z, ξ), x ∈ Ω e (z, ξ) ∈ D, con le funzioni ∂ui . z = u(x) = (u1 (x), u2 (x), ..., un (x)) e ξ = Du(x) = ∂xj Limitandoci al caso (1.2), dove peraltro potrebbero comparire anche derivate di ordine pi` u alto, sembra ragionevole ambientare il problema di minimo (1.1) nello spazio C 1 (Ω, Rm ) con opportune condizioni al contorno che possono essere di vario tipo, tra cui le pi` u comuni sono quelle di Dirichlet, in cui si assegna sul bordo il valore di u, e di Neumann in cui si assegna il valore della derivata normale. In alcuni casi si assegnano condizioni miste: su una parte del bordo quelle di Dirichlet e sulla parte complementare quelle di Neumann. Ricordando come si procede nei problemi di minimo per le funzioni ordinarie, di una o pi` u variabili, verrebbe spontaneo tradurre il problema (1.1) in termini di una condizione del tipo (3) F 0 (x) = 0 tutta da precisare. In effetti, se X `e uno spazio vettoriale, con un’adeguata nozione di derivata `e possibile dare significato alla (1.3), che per un funzionale del tipo (1.2) pu`o trattarsi di un’equazione differenziale ordinaria o alle derivate parziali, oppure di un sistema di equazioni differenziali. La condizione (1.3) prende il nome di equazione di Eulero, o di Eulero-Lagrange, del funzionale F . Per`o, ammesso che F sia “derivabile”, bisogna tener presente che la (1.3) `e una condizione solo necessaria, come del resto avviene per le funzioni ordinarie, ed `e soddisfatta non soltanto dal punto di minimo assoluto, cui siamo interessati nel problema (1.1), ma da tutti gli eventuali punti Indice 1 stazionari per F , tra i quali quelli di massimo e di minimo relativo. L’equazione di Eulero `e in pratica solo una condizione necessaria di stazionariet`a. Saranno invece altre propriet` a del funzionale, come la convessit`a, o la positivit`a della derivata seconda (condizione di Legendre) insieme ad altre condizioni, a renderla sufficiente. Possiamo aggiungere che in presenza di vincoli unilaterali, come nel caso dell’equilibrio di una membrana tesa su un ostacolo, la condizione di stazionariet`a si esprime mediante una disuguaglianza, dovuta al fatto che la soluzione pu`o essere, in qualche senso, “di frontiera” rispetto alla classe ammissibile, esattamente come nei problemi di massimo e minimo vincolato per le funzioni ordinarie. In altri casi, ancora pi` u generali, si ottengono addirittura delle inclusioni differenziali. La (1.3) presenta dunque dei limiti di applicabilit`a e allo stesso tempo ci d`a poche informazioni per la caratterizzazione del minimo. Allora, a partire dall’epoca di Weierstraß, si `e cominciato a capovolgere il punto di vista. I metodi diretti del CdV formano una teoria che si basa sostanzialmente sull’idea ben nota del Teorema di Weierstraß di combinare la continuit`a con la compattezza per ottenere l’esistenza del minimo. Cos`ı, oltre ai problemi di minimo gi`a esistenti, si `e cercato di ricondurre anche altre equazioni differenziali gi`a note a principi di minimo. Si `e visto per esempio che la classica equazione di Poisson per il laplaciano non era altro che l’equazione di Eulero di un funzionale energia, quadratico nel gradiente. Questo approccio `e stato notevolmente sviluppato da Hilbert, ma soprattutto da Tonelli, il quale ha sostituito la continuit` a, troppo restrittiva, con la nozione di semicontinuit`a inferiore, sufficiente per l’esistenza del minimo su un compatto. 2 Indice Capitolo 1 Problemi variazionali in una variabile 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali Nella sua forma pi` u generale un problema di minimo viene posto nei seguenti termini: dato uno spazio X di “stati ammissibili” e data una funzione F : X → R, trovare x ∈ X tale che (1.1) F (x) = min F (y) . y∈X Nel CdV l’attenzione `e costantemente rivolta al caso un po’ meno generale dei funzionali integrali. Si considera dunque uno spazio X di funzioni u e un funzionale integrale Z (1.2) F (u) = f (x, u(x), Du(x)) dx , Ω dove Ω ⊂ Rn `e un aperto e f : Ω × D → R, essendo D ⊂ Rm × Rmn . Sotto il segno di integrale compare la composizione dell’integrando f (x, z, ξ), x ∈ Ω e (z, ξ) ∈ D, con le funzioni ∂ui z = u(x) = (u1 (x), u2 (x), . . . , un (x)) e ξ = Du(x) = . ∂xj Limitandoci al caso (1.2), dove peraltro potrebbero comparire anche derivate di ordine pi` u alto, sembra ragionevole ambientare il problema di minimo (1.1) nello spazio C 1 (Ω, Rm ) con opportune condizioni al contorno che possono essere di vario tipo, tra cui le pi` u comuni sono quelle di Dirichlet, in cui si assegna sul bordo il valore di u, di Neumann, in cui si assegna il valore della derivata normale, e le condizioni miste: su una parte del bordo quelle di Dirichlet e sulla parte complementare quelle di Neumann. Ricordando come ci si comporta di fronte ai problemi di minimo per le funzioni ordinarie, di una o pi` u variabili, verrebbe spontaneo tradurre il problema (1.1) in termini di una condizione del tipo (1.3) F 0 (x) = 0 tutta da precisare. E, in effetti, con un’adeguata nozione di derivata `e possibile dare significato alla (1.3), che, come vedremo, sar`a di volta in volta un’equazione differenziale ordinaria o alle derivate parziali, oppure un sistema di equazioni differenziali. 4 Problemi variazionali in una variabile La condizione (1.3) prende il nome di equazione di Eulero, o di Eulero-Lagrange, del funzionale F . Per` o, ammesso che F sia “derivabile”, bisogna tener presente che la (1.3) `e una condizione solo necessaria, come del resto avviene per le funzioni ordinarie, ed `e soddisfatta non soltanto dal punto di minimo assoluto, cui siamo interessati nel problema (1.1), ma da tutti gli eventuali punti stazionari per F , tra i quali quelli di massimo e di minimo relativo. L’equazione di Eulero `e in pratica solo una condizione necessaria di stazionariet` a. Saranno invece altre propriet`a del funzionale, come la convessit` a, o la positivit` a della derivata seconda (condizione di Legendre) insieme ad altre condizioni, a renderla sufficiente. Possiamo aggiungere che in presenza di vincoli unilaterali, come nel caso dell’equilibrio di una membrana tesa su un ostacolo, la condizione di stazionariet` a si esprime mediante una disuguaglianza, dovuta al fatto che la soluzione pu` o essere, in qualche senso, “di frontiera” rispetto alla classe ammissibile, esattamente come nei problemi di massimo e minimo vincolato per le funzioni ordinarie. In altri casi, ancora pi` u generali, si ottengono addirittura delle inclusioni differenziali. La (1.3) presenta dunque dei limiti di applicabilit`a e allo stesso tempo ci d`a poche informazioni. Allora, a partire dall’epoca di Weierstraß, si `e cominciato a capovolgere il punto di vista. I metodi diretti del CdV formano una teoria che si basa sostanzialmente sull’idea ben nota del Teorema di Weierstraß di combinare la continuit`a con la compattezza per ottenere l’esistenza del minimo. Cos`ı, oltre ai problemi di minimo gi` a esistenti, si `e cercato di ricondurre anche altre equazioni differenziali gi`a note a principi di minimo. Si `e visto per esempio che la classica equazione di Poisson per il laplaciano non era altro che l’equazione di Eulero di un funzionale energia, quadratico nel gradiente. Questo approccio `e stato notevolmente sviluppato da Hilbert, ma soprattutto da Tonelli, il quale ha sostituito la continuit`a, troppo restrittiva, con la nozione di semicontinuit` a inferiore, sufficiente per l’esistenza del minimo su un compatto. Prima di trattare l’equazione di Eulero e i metodi diretti, vediamo alcuni esempi notevoli. Un problema isoperimetrico. Nella sua versione pi` u generale pu`o essere formulato nei due modi equivalenti: - fra tutti i sottoinsiemi di Rn con volume assegnato, trovare quello di minimo perimetro; - fra tutti i sottoinsiemi di Rn con perimetro assegnato, trovare quello di massimo volume. L’equivalenza risulta evidente se si pensa al tipo di tecnica con cui vengono affrontati: prima di tutto si cerca di dare una ragionevole stima “universale” del volume in termini del perimetro α(n) V (Ω) 6 CP (Ω) dove la costante C non dipende da Ω, e poi si cerca di trovare la forma ottimale, cio`e la regione Ω che realizza l’uguaglianza. Il passo risolutivo `e naturalmente possibile se si `e indovinata la costante ottimale. Vediamo il caso seguente, noto come problema di Didone, di problema isoperimetrico opportunamente addomesticato. Quale curva piana e sufficientemente regolare (x (t) , y (t)) , t ∈ [0, 1] , di lunghezza l e soggetta alla condizione y (0) = y (1) = 0, rende massima l’area della regione che essa delimita insieme alla retta y = 0? Essendo assegnata la lunghezza, conviene scegliere come parametro l’ascissa curvilinea, inoltre non `e restrittivo supporre l = π e y > 0. Il problema si affronta facilmente usando un’idea ricorrente: si d`a una ragionevole stima dall’alto delle aree di tutte le regioni ammissibili (dal basso nei problemi di minimo) in termini della 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 5 lunghezza del bordo e poi si spera che la stima scelta sia ottimale in modo da poter esibire una regione particolare che realizza l’uguaglianza. Indichiamo con Ω un insieme ammissibile, cio`e una regione piana delimitata dalla curva regolare (x(s), y(s)) , s ∈ [0, π] , y(0) = y(π) = 0 , e dall’asse x. Usando la formula di Gauss-Green, la disuguaglianza elementare ab 6 1 2 (a + b2 ) 2 e la disuguaglianza di Poincar´e Z (1.4) π π Z 2 y 02 ds , y ds 6 0 0 che verr` a chiarita tra poco, si ottiene Z Z π Z Z ∂y dxdy = − y dx = − yx0 ds m(Ω) = 1 dxdy = ∂Ω+ 0 Ω Ω ∂y Z Z 1 π 02 π 1 π 02 (x + y 2 ) ds 6 (x + y 02 ) ds = , 6 2 0 2 0 2 essendo (x0 , y 0 ) un versore. Ogni semicirconferenza della forma ( x(s) = c + cos s y(s) = sen s , s ∈ [0, π] , realizza l’uguaglianza. Dimostriamo adesso la (1.4) per le funzioni regolari a tratti. Ricordiamo che se I `e un intervallo limitato, una funzione y(s) definita su I viene detta regolare a tratti se `e continua su I e se ammette derivata y 0 limitata e continua su I eccetto un numero finito di punti, dove esistono finiti il limite destro e il limite sinistro. Se I `e un intervallo non limitato si richiede che la sua restrizione ad ogni intervallo limitato contenuto in I sia regolare a tratti. Sia allora y(s) una funzione regolare a tratti su [0, π] tale che y(0) = y(π) = 0 e indichiamo ancora con y(s) il suo prolungamento dispari e 2π-periodico a tutto R. In questo modo si ottiene ancora una funzione regolare a tratti che, per le ipotesi fatte, pu` o essere rappresentata come somma della sua serie di Fourier y(s) = ∞ X yˆ(n) sen ns n=1 nel senso della convergenza uniforme. Applicando l’identit`a di Parseval alla y e alla y 0 , somma della serie delle derivate, si ottiene Z 0 π ∞ πX y ds = yˆ(n)2 2 n=1 2 e Z 0 π ∞ πX 2 y ds = n yˆ(n)2 , 2 n=1 02 da cui segue immediatamente la (1.4). Si lascia per esercizio di dimostrare la disuguaglianza di Poincar´e 2 Z Z l 2 y ds 6 y 02 ds π I I nel caso di un intervallo I di lunghezza l. Poich´e la funzione sen(πs/l) (e nel caso precedente la funzione sen s) realizza l’uguaglianza, la costante (l/π)2 `e ottimale. 6 Problemi variazionali in una variabile Geodetiche. Si tratta delle curve di una variet`a che rendono stazionario il funzionale che ne esprime la lunghezza. Si pu`o dimostrare che, nel caso di superfici regolari, le geodetiche sono quelle curve rettificabili la cui normale principale risulta parallela alla normale alla superficie. Ricordiamo dalla Meccanica che il moto per inerzia di un punto vincolato a una superficie liscia e fissa avviene lungo una geodetica e che questa `e anche la configurazione equilibrata di un filo inestensibile soggetto a trazione e vincolato alla superficie. Volendo limitarci, in questi esempi introduttivi, solo a dei casi molto semplici, consideriamo una curva qualunque γ(t), t ∈ [0, 1], regolare a tratti, il cui sostegno γ `e contenuto nella superficie regolare Γ e che abbia gli estremi in due punti dati A, B ∈ Γ. La lunghezza di γ `e espressa dal funzionale Z 1 |γ 0 (t)| dt . (1.5) L(γ) = 0 In assenza del vincolo, nella classe delle curve dello spazio con gli estremi fissi A e B in Rn , si vede subito che la curva rettilinea γ0 (t) = A + t(B − A) , t ∈ [0, 1] `e soluzione. Vale infatti la stima dal basso Z 1 Z 1 0 0 γ (t) dt = |γ(1) − γ(0)| = |B − A| (1.6) |γ (t)| dt > 0 0 per tutte le γ della classe e quella che la soddisfa come uguaglianza `e la γ0 . La convessit` a gioca un ruolo fondamentale nei problemi di minimo; per le funzioni ordinarie sappiamo che ogni punto stazionario di una funzione convessa `e necessariamente di minimo, relativo ma anche assoluto, e se la convessit`a `e stretta il minimo `e unico. Il funzionale (1.5) `e convesso, ma non strettamente, perch´e tale `e il modulo che definisce l’integrando. Ma l’unicit`a vale ugualmente perch´e se oltre alla γ0 vi fosse un’altra curva γ con gli stessi estremi e la stessa lunghezza si avrebbe L(γ0 + λ(γ − γ0 )) = L(γ0 ) ∀λ ∈ [0, 1] , ma l’uguaglianza `e possibile solo se γ 0 (t) = p(t)γ00 (t) = p(t)(B − A), da cui si ricava γ(t) = A + P (t)(B − A), con P (0) = 0 e P (1) = 1, che `e una parametrizzazione del segmento AB. La (1.6) `e in realt` a un caso particolare dell’importante disuguaglianza di Jensen che vale per i funzionali convessi Z Z 1 1 ξ(x) dx 6 f (ξ(x)) dx , (1.7) f m(Ω) Ω m(Ω) Ω dove Ω ⊂ Rn ha misura finita, ξ : Ω → Rm `e integrabile e f : Rm → R `e convessa. La dimostrazione `e immediata, basta ricordare che f `e convessa se e solo se il suo grafico sta tutto al di sopra di ogni piano d’appoggio, cio`e ∀η ∈ Rm ∃c ∈ Rm tale che f (ξ) > f (η) + c · (ξ − η) Scegliendo ξ = ξ(x) si ha e 1 η = hξi = m(Ω) Z ξ(x) dx , Ω f (ξ(x)) > f (hξi) + c · (ξ(x) − hξi) ∀x ∈ Ω , da cui segue la (1.7) per integrazione su Ω. ∀ξ ∈ Rm . 7 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali La disuguaglianza di Jensen vale anche con l’integrale inteso rispetto ad una misura positiva qualsiasi ed `e la generalizzazione naturale del caso discreto ! n n 1 X 1 X f mi ξi 6 mi f (ξi ) , m i=1 m i=1 P dove f `e convessa, mi > 0 e m = mi . Possiamo cos`ı cercare di estendere il ragionamento per le geodetiche dello spazio al problema delle geotediche in generale. Una variet`a differenziabile l-dimensionale pu`o essere descritta localmente nella forma parametrica x(q) = (x1 (q), x2 (q), . . . , xn (q)) dove q = (q1 , q2 , . . . , ql ) `e il complesso delle l coordinate lagrangiane. La lunghezza di una curva γ(t) = x(q(t)), t ∈ [0, 1], `e data dal funzionale v Z 1p Z 1 Z 1u l uX ∂x ∂x 0 t q˙h · q˙k dt = A(q)q˙ · q˙ dt (1.8) L(γ) = |γ (t)| dt = ∂qh ∂qk 0 0 0 hk=1 dove A(q) `e il tensore metrico, evidentemente definito positivo, di componenti ahk = ∂x ∂x · . ∂qh ∂qk Qui l’integrando `e certamente convesso rispetto a q, ˙ ma dipende anche da q, quindi non possiamo applicare la (1.7). Ma se per qualche relazione tra i parametri, che sia compatibile coi dati agli estremi, si ottiene una A(q) = A0 costante tale che A0 ξ · ξ = min A(q)ξ · ξ q ∀ξ ∈ Rl allora per la disuguaglianza di Jensen quelle relazioni definiscono le soluzioni. Tuttavia, in tutti i casi in cui la complicata geometria della variet`a pu`o diventare rilevante, si assiste all’esistenza di pi` u soluzioni che sono solo di minimo relativo. Per esempio, `e ben noto che per due punti di una sfera passano due geodetiche, un arco e il suo complementare della circonferenza massima contenente i due punti, ma uno solo dei due `e la curva di minima lunghezza, a meno che i due punti non siano gli estremi di un diametro. Vediamo concretamente l’esempio della sfera. Fissati due punti A e B, con A 6= B, sulla sfera unitaria di equazione x1 (ϑ, ϕ) = sen ϑ cos ϕ x2 (ϑ, ϕ) = sen ϑ sen ϕ x3 (ϑ, ϕ) = cos ϑ , ϑ ∈ [0, 2π] , ϕ ∈ [0, π[ , possiamo supporre A = x(0, ϕ) = (0, 0, 1) e B = x(ϑ0 , 0) = (a, 0, b). Ogni curva γ(t) = x(ϑ(t), ϕ(t)), t ∈ [0, 1], tale che x(ϑ(0), ϕ(0)) = A e x(ϑ(1), ϕ(1)) = B soddisfa la stima dal basso Z 1 Z 1 Z 1q Z 1 ∂x ∂x ˙ ˙ 2 2 2 ˙ ˙ ˙ L(γ) = ϑ + ϕ sen ϑ dt > |ϑ| dt > ϑ dt = ϑ0 ∂ϑ ϑ + ∂ϕ ϕ˙ dt = 0 0 0 0 che viene raggiunta da una ϕ costante, corrispondente ad un arco della circonferenza di massimo raggio passante per A e per B (e avente quindi il centro in O). Ora, se B = (0, 0, −1), cio`e se a = 0, vi sono infinite soluzioni di lunghezza π, essendo ϑ0 = π; se invece a > 0 la stima inferiore trovata viene raggiunta da quello dei due archi che ha lunghezza minima. L’arco complementare, di lunghezza 2π − ϑ0 , `e comunque di 8 Problemi variazionali in una variabile minimo relativo. Infatti le curve che vanno da A a B attraversando un piccolo intorno di (0, 0, −1) formano un intorno di quell’arco e soddisfano 1 Z L(γ) > ˙ dt = 2π − ϑ0 . |ϑ| 0 Esercizio 1.1 Trovare le geodetiche del cilindro e del cono. Vediamo invece un caso di non esistenza con un funzionale che non sembra troppo diverso. Il funzionale Z 1p F (u) = u2 + u02 dx 0 non ha minimo nella classe delle funzioni regolari a tratti su [0, 1] tali che u(0) = 0 e u(1) = 1. Infatti a causa dei dati agli estremi u non pu`o essere identicamente nulla, quindi la stima dal basso Z 1 Z 1 0 0 u dt = 1 |u | dt > F (u) > 0 0 non pu` o essere raggiunta. D’altra parte il minorante trovato `e proprio l’estremo inferiore, basta osservare che sulla successione ( 0 se 0 6 t 6 1 − 1/n un (t) = n(t − 1) + 1 se 1 − 1/n < t 6 1 si ha F (un ) → 1. Il principio di Hamilton. Un sistema meccanico olonomo a l gradi libert`a, con variabili lagrangiane q = (q1 , q2 , . . . , ql ) e soggetto ad una sollecitazione conservativa con potenziale generalizzato U (q) evolve nel tempo, tra due configurazioni assegnate q(t1 ) e q(t2 ), in modo da rendere stazionario il funzionale F (q) = Z t2 L (q, q, ˙ t) dt , t1 dove L = T + U , essendo T l’energia cinetica. Nel moto per inerzia con vincoli fissi U = 0 e T `e la stessa forma quadratica positiva in q˙ associata al tensore metrico. Pertanto il funzionale si riduce a Z t2 F (q) = A(q)q˙ · q˙ dt . t1 Nel moto per inerzia T si mantiene costante e siccome la disuguaglianza di Jensen sulle costanti vale come uguaglianza, per cui s Z t2 p F (q) 1 = A(q)q˙ · q˙ dt , t2 − t1 t2 − t1 t1 viene a coincidere in corrispondenza di questi moti col funzionale delle geodetiche, i due funzionali hanno gli stessi estremali. Ma a conferma che i moti per inerzia avvengono sulle geodetiche osserviamo che essendo la velocit`a di modulo costante l’accelerazione `e centripeta, parallela cio`a al versore normale principale alla curva, d’altra parte in presenza di sole sollecitazioni vincolari l’accelerazione deve essere anche normale alla variet` a, quindi le due normali sono parallele e questo avviene solo lungo le geodetiche. 9 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali Con la disuguaglianza di Jensen si pu`o generalizzare il ragionamento che abbiamo applicato alle geodetiche per trattare tutti i problemi variazionali del tipo (Z ) b min f (u0 (x)) dx | u(a) = u1 , u(b) = u2 a con f convessa. Si trova banalmente che le funzioni lineari sono soluzioni e non ve ne sono altre nel caso di stretta convessit`a. Ovviamente in dimensione maggiore bisogna che anche i dati al bordo siano lineari, `e immediato infatti verificare, usando la (1.7), che il problema Z min f (Du(x)) dx | u(x) = ξ · x ∀x ∈ ∂Ω Ω ammette come soluzione la funzione w(x) = ξ · x per ogni x ∈ Ω . Per esempio, la funzione w(x), che rappresenta la configurazione di equilibrio di una membrana vincolata sul bordo a una curva piana, soddisfa il problema di Dirichlet Z 1 |Du|2 dx | u(x) = ξ · x ∀x ∈ ∂Ω , min 2 Ω quindi w(x) = ξ · x in Ω e la membrana rimane piatta. Le stesse considerazioni si possono applicare al funzionale dell’area Z p 1 + |Du|2 dx F (u) = Ω per l’equilibrio delle lamine saponate. Un problema di area minima. Immaginiamo di immergere due curve circolari di fil di ferro, contenute in due piani paralleli ideali a distanza fissata, in una soluzione di acqua saponata. La lamina che si forma al momento dell’estrazione si dispone secondo una configurazione di area minima e non `e un cilindro come si potrebbe pensare, ma una superficie di rivoluzione connessa che presenta una strozzatura nella zona centrale e che ha per bordo le due circonferenze. Questo avviene se le due basi sono abbastanza vicine, ma se aumentiamo la loro distanza, la strozzatura si fa sempre pi` u accentuata e oltre una certa distanza critica la lamina saponata si rompe e se ne formano due piatte che occupano le basi. Vediamo come si pu`o spiegare questo fenomeno nell’ambito del CdV. Innanzitutto bisogna capire perch´e se le basi sono circolari la superficie di area minima `e proprio di rivoluzione. Se le due circonferenze, di raggi 1 e a, hanno il centro sull’asse x e sono contenute rispettivamente nei piani x = 0 e x = l possiamo supporre che la generica superficie abbia la forma parametrica (x, ρ(x, ϑ) cos ϑ, ρ(x, ϑ) sen ϑ) con ρ(0, ϑ) = 1 e ρ(l, ϑ) = a per ogni ϑ ∈ [0, 2π] e x ∈ [0, l]. La simmetria circolare delle basi ci permette di abbassare il valore dell’area Z 2π Z lq Z 2π Z l p A= dϑ ρ2ϑ + ρ2 (1 + ρ2x ) dx > dϑ ρ 1 + ρ2x dx 0 0 0 0 eliminando cos`ı la dipendenza da ϑ, quindi la superficie di area minima `e di rivoluzione. Pertanto possiamo ridurre il problema al piano x, y e sostituire la superficie col suo profilo curvilineo, grafico di una funzione y = y(x), regolare a tratti su [0, l] e i cui valori agli estremi dell’intervallo coincidono con i raggi assegnati delle basi. L’area `e il prodotto di 2π per il funzionale Z l p y(x) 1 + y 0 (x)2 dx (1.9) F (y) = 0 10 Problemi variazionali in una variabile che va reso minimo con le condizioni y(0) = 1 e y(l) = a. Non `e ovviamente restrittivo supporre y(x) > 0 per ogni x ∈ [0, l]. Dimostriamo che ogni funzione regolare a tratti y(x) che minimizza F `e necessariamente convessa e che se a2 + 1 F (y) < 2 allora y(x) > 0 per ogni x ∈ [0, l]. Il significato `e evidente: la superficie di area minima presenta la caratteristica strozzatura e se ha un’area inferiore a quella complessiva delle basi non pu` o toccare l’asse di simmetria. In altre parole, non appena y = 0 in qualche punto si ha subito a2 + 1 2 F (y) > e inf F (y) = a2 + 1 , 2 le due lamine piane che occupano le basi realizzano la minima area. Supponiamo che y sia una soluzione non convessa del problema di minimo per il funzionale (1.9). Allora esiste un intervallo J = [α, β] ⊂ [0, l] tale che la funzione y(β) − y(α) y(α) + (x − α) β−α ϕ(x) = y(x) se x ∈ [α, β] altrove `e C 1 a tratti e ϕ (x) < y (x) su J. Per la disuguaglianza di Jensen, dove si fa uso della misura µ con densit` ay Z µ(E) = y(x) dx , E si ha Z β y p 1 + y 02 dx = Z β p v u u 1 + y 02 dµ > tµ(J)2 + α α !2 β Z y 0 dµ α v u u = tµ(J)2 + Z !2 β yy 0 dx v u u = tµ(J)2 + α v u Z u >t ϕ dx !2 β ϕϕ0 dx α !2 β Z + α !2 β Z ϕϕ0 = dx α Z β p ϕ 1 + ϕ02 dx α essendo ϕ0 costante su [α, β]. Veniamo alla seconda affermazione. In primo luogo otteniamo una stima dal basso del funzionale, sulle sole funzioni convesse, che dipende dall’area delle due basi e dal minimo di y(x). Sia x0 ∈ [0, l] un punto di minimo per una funzione convessa y(x). Poich´e y 0 `e crescente, si ha y 0 (x) 6 0 se x 6 x0 e y 0 (x) > 0 se x > x0 , quindi F (y) = Z l y 0 p 1 + y 02 dx > Z 0 l y|y 0 | dx = − Z 0 x0 yy 0 dx+ Z l x0 yy 0 dx = a2 + 1 −y(x0 )2 . 2 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 11 Se la soluzione del problema variazionale, che `e una y(x) tra queste convesse di classe C 1 , avesse minimo nullo, y(x0 ) = 0, risulterebbe F (y) > (a2 +1)/2, l’area della lamina sarebbe superiore alla somma delle aree delle due basi. Ma questo non pu`o accadere perch´e a2 + 1 = inf F . 2 Si verifica infatti con facili calcoli che in corrispondenza della successione se 0 6 x 6 1/n 1 − nx yn (x) = 0 se 1/n < x < l − 1/n a + na(x − l) se l − 1/n 6 x 6 l , si ha F (yn ) → (a2 + 1)/2. La lamina si rompe in due componenti connesse piatte che vanno ad occupare le basi. Si tratta di una soluzione generalizzata ed `e nota come soluzione di Goldschmidt. Le soluzioni regolari di questo problema verranno determinate pi` u avanti. Un problema di minimo vincolato: la catenaria. Un filo omogeneo di massa m, inestensibile e perfettamente flessibile di lunghezza l viene sospeso per gli estremi nei punti O = (0, 0) e A = (a, 0) con a < l. Vogliamo determinare la configurazione di equilibrio del filo sotto l’azione della forza peso. ` facile immaginare, e non sar`a difficile provarlo, che il filo si deve disporre nel E piano verticale contenente i due estremi, secondo il grafico di una funzione y(x) definita sull’intervallo [0, a] che prende il nome di catenaria. L’energia potenziale del peso agente su un tratto infinitesimo ds che si trova a quota y vale ρgy ds, dove ρ = m/l `e la densit` a di massa. Per il principio di Dirichlet si perviene cos`ı al problema di minimo per il funzionale Z a p F (y) = y(x) 1 + y 0 (x)2 dx , 0 lo stesso dell’esempio precedente, con le condizioni agli estremi y(0) = y(a) = 0 e con in pi` u la condizione di vincolo Z ap 1 + y 0 (x)2 dx = l , 0 circostanza che lo rende molto diverso. Ovviamente se gli estremi del filo vengono disposti a distanza l lo spazio delle funzioni ammissibili si riduce alla sola funzione nulla e il problema perde interesse. Se per` o, rimosso il vincolo sulla lunghezza, si vuole studiare l’equilibrio di un filo deformabile posto in trazione e poi vincolato agli estremi, (0, 0) e (l, 0), bisogna tener conto dell’energia di deformazione che il filo accumula nel passaggio dalla configurazione a riposo {(x, 0) | 0 < x < l} alla configurazione attuale {(x, y(x)) | 0 < x < l} per la presenza di certi carichi trasversali assegnati. Nella teoria delle “piccole deformazioni”, dove ds ∼ dx, `e lecito scrivere la trazione τ > 0 del filo e il carico trasversale per unit` a di lunghezza p (ad esempio il peso proprio p = −ρg) nella configurazione indeformata, cio`e in funzione della sola x, e ignorarne la dipendenza dallo spostamento trasversale y(x). La funzione τ (x) `e assegnata, ma viene calcolata preventivamente come soluzione dell’equazione di equilibrio lungo il filo (τ `e costante in assenza forze tangenziali distribuite). L’energia di deformazione coincide con il lavoro totale che τ compie per la variazione relativa di lunghezza Z l Z l p Z 1 l 02 ds − dx 02 dx = τ ( 1 + y − 1) dx ∼ τ y dx E(y) = τ dx 2 0 0 0 12 Problemi variazionali in una variabile per l’ipotesi di piccole deformazioni. A questa bisogna aggiungere l’energia potenziale del carico che `e l’opposto del lavoro. Si perviene cos`ı al problema di minimo per il funzionale energia Z Z l 1 l 02 τ y dx − py dx F (y) = 2 0 0 con le condizioni al bordo y(0) = y(l) = 0. In dimensione n > 1, come nel caso della membrana in R2 che `e l’analogo del filo, il funzionale diventa Z Z 1 F (u) = ADu · Du dx − f u dx , 2 Ω Ω dove Ω `e un aperto di Rn , f : Ω → R e A(x), x ∈ Ω, una matrice uniformemente definita positiva. Il problema variazionale consiste nel rendere minimo F (u) su una classe di funzioni u che soddisfano dati al bordo di vario tipo, per esempio - condizione di Dirichlet u=g - condizione di Neumann su ∂Ω , ∂u = h su ∂Ω , ∂n - condizione mista u=g su ∂1 Ω , ∂u = h su ∂2 Ω , ∂n dove ∂1 Ω ∪ ∂2 Ω = ∂Ω . Questo modello `e comune ad una grande quantit`a di fenomeni in regime stazionario, dalla conduzione elettrica o termica nei continui all’equilibrio della membrana, al problema della torsione nelle travi, al moto con poenziale di un liquido incomprimibile. Vincoli unilaterali. Si vuole trovare la configurazione di equilibrio di una membrana tesa al di sopra di un ostacolo, soggetta ad un carico e vincolata sul bordo. La formulazione variazionale del problema `e Z Z 1 2 min |Du| dx − f u dx | u = u0 su ∂Ω , u > ψ in Ω , 2 Ω Ω dove ψ : Ω → R rappresenta l’ostacolo. Esercizio 1.2 Risolvere lo stesso problema per lo spostamento u(x) di un filo scarico sull’intervallo (−2, 2), con u(−2) = u(2) = 0, teso al di sopra dell’ostacolo ψ(x) = 1 − x2 , supponendo di sapere gi` a che in questo caso la soluzione deve stare necessariamente in C 1 (−2, 2). Il caso vettoriale dell’elasticit` a lineare. Le propriet`a materiali di un corpo lineare elastico tridimensionale sono caratterizzate da un tensore a quattro indici C = {Cijhk }, funzione del punto per i materiali compositi, che lega linearmente il tensore di deformazione e(u) = 12 (∇u + ∇uT ) a quello degli sforzi σ secondo la relazione σ = Ce o, in componenti, σij = Cijhk ehk (con la convenzione della somma rispetto agli indici ripetuti). Essendo e(u) e σ simmetrici, C `e invariante rispetto allo scambio tra i primi due indici e tra gli altri due (simmetrie minori). In pi` u Cijhk = Chkij (simmetria maggiore) se il materiale `e iperelastico e in questo caso `e possibile definire l’energia elastica di deformazione Z Z 1 1 Ce(u) · e(u) dx = C∇u · ∇u dx . E(u) = 2 Ω 2 Ω 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 13 Il problema dell’equilibrio elastico in forma variazionale, in presenza di una distribuzione di forze di volume f (x) assegnate, consiste nel minimizzare il funzionale 1 F (u) = 2 Z Z C∇u · ∇u dx − Ω f · u dx Ω con condizioni di Dirichlet sulle zone vincolate del bordo e condizioni di Neumann sulle zone soggette a forze di superficie. La brachistocr` ona. Si tratta della curva liscia a cui deve essere vincolato un punto materiale pesante, affinch´e il tempo impiegato durante la caduta, tra due posizioni assegnate, risulti minimo. Supponiamo che il punto materiale P di massa m debba partire con velocit` a nulla dalla posizione iniziale A = (0, 0) e debba raggiungere la posizione finale B = (l, a), con a > 0, essendo l’asse y del sistema di riferimento verticale discendente. Per la conservazione dell’energia, si ha 1 mv 2 = mgy , 2 essendo y = y(x) la curva γ su cui P deve muoversi. Il tempo complessivo impiegato per andare da A a B `e allora dato da T = Z γ Z ls ds = v 0 1 + y 02 dx . 2gy Ci troviamo dunque di fronte al problema di minimo per il funzionale Z ls F (y) = 0 1 + y 02 dx y con dati agli estremi y(0) = 0 e y(l) = a. Anche questo problema verr`a affrontato pi` u avanti. Il Principio di Fermat. Alcuni funzionali presentati sono casi particolari di (1.10) F (y) = Z l p h(y) 1 + y 02 dx 0 che interviene nel modello generale classico della propagazione della luce attraverso un mezzo trasparente. Ad ogni punto P del mezzo corrisponde il modulo v(P ) > 0 della velocit` a con cui il raggio di luce passa attraverso P . Secondo il principio di Fermat, che sta alla base dell’ottica geometrica, la luce viaggia lungo una traiettoria di minimo tempo Z ds min γ γ v tra due punti dello spazio. Chiaramente nel caso di un mezzo omogeneo, in cui v `e costante, si ricade nel problema delle geodetiche; in uno spazio omogeneo la minima lunghezza e il minimo tempo sono la stessa cosa e la luce viaggia in linea retta se lo spazio `e quello ordinario euclideo. Se la lastra `e piana si perviene al problema di minimo per il funzionale F (x, y) = Z 0 1 p x02 + y 02 dt v(x, y) 14 Problemi variazionali in una variabile sulla classe delle curve (x(t), y(t)) con estremi assegnati, ma se le propriet`a materiali variano soltanto lungo y le curve soluzioni sono grafici y = y(x), come dimostreremo pi` u avanti, e il funzionale diventa Z lp 1 + y 02 F (y) = dx , v(y) 0 cio`e il (1.10) con h(y) = 1/v(y). Volendo attribuire al funzionale (1.9) questo significato, il fatto che v sia decrescente con la quota y fa pensare al fenomeno del miraggio: in un caldo pomeriggio estivo gli strati dell’aria pi` u vicini all’asfalto sono pi` u rarefatti a causa della maggiore temperatura, il raggio di luce che parte dal sole e giunge ai nostri occhi li preferisce e quindi si incurva verso il basso dandoci l’impressione che si tratti di un fenomeno di riflessione. Per questo ci sembra di vedere, in lontananza sulla strada, una zona bagnata che fa da specchio. Il riferimento alle geodetiche del caso omogeneo suggerisce di ribaltare il punto di vista e, per estensione, di considerare le soluzioni dei problemi di minimo tempo come le geodetiche di uno spazio non euclideo, le cui “rette” continuano a identificarsi con le traiettorie della luce. Si pensi al caso del modello di Poincar´e per la geometria di Loba˘cevskij, relativo al funzionale Z lp 1 + y 02 dx , F (y) = y 0 che ha come rette le semicirconferenze con centro sull’asse x contenute nel semipiano y > 0. Per adesso non abbiamo avuto bisogno di affrontare seriamente la questione della scelta dello spazio pi` u naturale in cui ambientare i problemi variazionali, per ora ci siamo limitati a illustrare dei problemi particolari insieme alle loro soluzioni, non ab` stato comunque inevitabile accennare a C 1 , biamo dimostrato teoremi di esistenza. E 1 C a tratti per la natura stessa degli integrandi, ma `e bene sottolineare subito che questi spazi sono insufficienti per costruire teorie generali sull’esistenza di soluzioni. Gi` a per le funzioni ordinarie di una variabile, ricordiamo che senza la completezza di R cade il teorema di Weierstraß: la funzione sen x non ha minimo su Q∩[0, 2π]. Ma la completezza `e una nozione metrica; mentre la metrica giusta di R, per tutte le teorie ragionevoli dell’analisi, `e quella della distanza euclidea indotta dal valore assoluto, per i funzionali va cercata di volta in volta, a seconda del tipo di problema da risolvere. Comunque, anche senza affrontare adesso il problema della completezza e dell’esistenza, il passaggio da C 1 a C 1 a tratti `e gi`a di per s´e un miglioramento in quanto ci permette di recuperare soluzioni interessanti sulle quali il funzionale integrale `e ancora ben definito. Anche con integrandi molto regolari, possiamo assistere all’esistenza di “estremali spezzate”, cio`e di punti di minimo che sono funzioni continue ma con qualche discontinuit` a sulle derivate. Consideriamo ad esempio il problema di minimo per il funzionale Z 1 F (u) = (u02 − 1)2 dx −1 con le condizioni u(−1) = u(1) = 1. Sono soluzioni u(x) = |x|, u(x) = 2 − |x| e tante altre, ma tutte devono presentare dei salti sulle derivate, le quali possono valere solo 1 o −1. Tuttavia possiamo sempre trovare successioni di funzioni differenziabili un , uniformemente convergenti alle estremali spezzate, che siano minimizzanti per il funzionale, cio`e tali che F (un ) → min F . Valgono infatti i seguenti risultati che citiamo senza dimostrazione: 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 15 - se u ∈ C 1 a tratti `e di minimo allora esiste una successione (un ) ⊂ C 1 tale che un → u uniformemente e F (un ) → F (u), - se u ∈ C 1 `e di minimo allora lo `e anche in C 1 a tratti. Esercizio 1.3 Per il funzionale Z 1 F (u) = ((u02 − 1)2 + u2 ) dx , 0 con le condizioni u (0) = u (1) = 0, dobbiamo accontentarci delle sole successioni minimizzanti (quali sono? costruirne una), dato che non ha minimo nemmeno tra le C 1 a tratti. Esercizio 1.4 Neanche il funzionale F (u) = Z 1 xu02 dx 0 ha minimo sulle u regolari a tratti tali che u(0) = 0 e u(1) = 1. Verificare che la successione 1 0 se 0 6 x 6 n un (x) = 1 log x 1 + se 6x61 log n n `e minimizzante per F . Discutere rispetto ad α il caso del funzionale Z 1 F (u) = xα u02 dx . 0 Il fenomeno di Lavrentiev. Anche la scelta delle C 1 a tratti, che significa sostanzialmente lavorare nell’ambito delle funzione lipschiziane, pu`o essere troppo restrittiva. Per dare senso all’integrale non `e necessario richiedere che u o Du siano limitate, ma basta qualche condizione di integrabilit`a che assicuri che il funzionale sia ben definito. Per toccar con mano l’influenza della scelta dello spazio, e in particolare per comprendere come la condizione di derivata limitata sia troppo restrittiva, vediamo un funzionale che ha estremo inferiore sulle funzioni lipschitziane strettamente maggiore del minimo sullo spazio delle funzioni integrabili con derivata integrabile. Per mo1,∞ tivi che vedremo in seguito, indichiamo la prima classe con W e la seconda con √ 1,1 1,∞ 1,1 W . Chiaramente W ⊂W strettamente, per esempio x su [0, 1] appartiene alla seconda ma non alla prima. Ma la peculiarit`a dell’esempio, che si trova in Dacorogna [9], sta nel fatto che questo fenomeno avviene anche se W 1,∞ `e denso in W 1,1 . Sia F (u) = 1 Z (x − u(x)3 )2 u0 (x)6 dx . 0 √ Ovviamente la funzione w(x) = 3 x `e l’unica soluzione del problema min F (u) | u ∈ W 1,1 (0, 1) , u(0) = 0 , u(1) = 1 e F (w) = 0. Per` o possiamo dimostrare che (1.11) per ogni u ∈ W 1,∞ (0, 1). F (u) > 72 35 218 55 16 Problemi variazionali in una variabile Osserviamo che se u ha derivata limitata su [0, 1] e u(0) √ = 0, in un intorno di 0 deve assumere valori inferiori ad ogni funzione√del tipo k 3 x. Se in pi` u u(1) = 1 e k < 1, deve anche assumere valori superiori a k 3 x in un intorno di 1. Per continuit`a esistono 0 < α < β < 1 tali che 1√ 1√ 3 x 6 u(x) 6 3 x ∀x ∈ [α, β] , 4 2 u(α) = 1√ 3 α 4 e u(β) = 1p 3 β. 2 Su questo intervallo si ha Fαβ (u) = Z β (x − u(x)3 )2 u0 (x)6 dx = Z α 72 > 6 2 β α Z β 2 u(x)3 u0 (x)6 dx x2 1 − x x2 u0 (x)6 dx . α Effettuando il cambio di variabile y = x3/5 , per cui u(x) = u ˜(y) = u ˜(x3/5 ) e u0 (x) = 3 0 u ˜ (y)y −2/3 , 5 e usando la disuguaglianza di Jensen, si ottiene 6 u ˜(β 3/5 ) − u ˜(α3/5 ) 72 35 3/5 3/5 (β − α ) 26 55 β 3/5 − α3/5 α3/5 6 72 35 1 − (α/β)1/3 /2 72 35 (u(β) − u(α))6 72 35 72 35 = 6 5 3/5 = > 18 5 > 18 5 3/5 5 12 5 3/5 5 2 5 β 2 5 2 5 (β −α ) 2 5 β(1 − (α/β) ) F (u) > Fαβ (u) > 72 35 26 55 Z β 3/5 u ˜0 (y)6 dy > essendo α/β < 1 e β < 1. Esercizio 1.5 Mostrare che la successione di W 1,∞ (0, 1) ( n2/3 x se 0 6 x 6 1/n un (x) = √ 3 x se 1/n < x 6 1 converge in W 1,1 (0, 1) alla soluzione u(x) = `e minimizzante. √ 3 x, ma F (un ) → ∞, quindi la un non Minimi relativi. Come abbiamo appena visto, passando da uno spazio ad un altro pi` u grande, anche se il primo `e denso nel secondo, il minimo di un funzionale pu`o diminuire. Vediamo invece cosa succede se si modifica soltanto la metrica lasciando invariato lo spazio. Finora non abbiamo parlato di distanze o di possibili topologie semplicemente perch´e eravamo interessati alla determinazione dei minimi assoluti, la cui definizione fa uso di una disuguaglianza di tipo globale che pu`o essere vera o falsa indipendentemente dalla natura topologica di X. Ma quando si passa allo studio dei minimi relativi il problema variazionale acquista un carattere locale e la topologia diventa determinante, come `e evidente dalla definizione un punto x0 ∈ X `e di minimo relativo per F se esiste un intorno U di x0 tale che F (x0 ) 6 F (x) ∀x ∈ U dove si usa la nozione di intorno. Sull’insieme C 1 [0, π] delle funzioni derivabili con derivata continua su [0, π] si possono definire la norma forte kuk∞ = sup |u (x) | , x∈[0,π] 17 1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali che `e poi la norma rispetto alla quale l’insieme delle funzioni continue C 0 [0, π] `e uno spazio di Banach, e la norma debole kuk1,∞ = kuk∞ + ku0 k∞ che fa di C 1 [0, π] uno spazio di Banach. La prima topologia `e pi` u fine della seconda nel senso che ha pi` u aperti e quindi, per ogni elemento, pi` u intorni. Di conseguenza ogni punto di minimo debole `e anche di minimo forte, ma non viceversa. Il funzionale F : C 1 [0, π] → R definito da F (u) = Z π u02 (1 − u2 u02 ) dx , u(0) = u(π) = 0 , 0 ammette la funzione nulla come punto di minimo relativo debole. Infatti se δ < kuk1,∞ < δ allora |u(x)u0 (x)| 6 √ 2e δ2 1 u(x)2 + u0 (x)2 < <1 2 2 per ogni x ∈ [0, π], quindi F (u) > 0 e F (u) = 0 se e solo se u0 , e di conseguenza u per via delle condizioni agli estremi, `e identicamente nulla. La successione 2 un (x) = √ sen nx n soddisfa 1 lim kun k∞ = lim √ = 0 , n→∞ n→∞ n ma F (un ) → −∞, quindi la funzione nulla non `e di minimo relativo forte. La scelta della norma all’interno di uno spazio influisce anche sulla continuit`a di un funzionale. Per esempio la lunghezza F (y) = 1 Z p 1 + y 02 dx 0 `e continua rispetto alla norma debole perch´e |F (y) − F (z)| 6 Z 1 |y 0 − z 0 | dx 6 ky 0 − z 0 k∞ 6 ky − zk1,∞ , 0 ma `e solo semicontinua inferiormente rispetto a quella forte, basta osservare che, a partire dal prolungamento 1-periodico u : R → R della funzione u0 (x) = 1 − x − 2 1 , 2 la successione uh (x) = u(hx)/h converge uniformemente alla funzione nulla, che ha √ lunghezza F (0) = 1, ma F (uh ) = 2 per ogni h ∈ N, quindi F (0) < lim F (uh ) . h→∞ In realt` a il funzionale lunghezza e, in modo analogo, anche quello dell’area sono solo semicontinui inferiormente rispetto alla convergenza uniforme. 18 1.2 Problemi variazionali in una variabile L’equazione di Eulero Sotto determinate (ragionevoli) ipotesi di regolarit`a dell’integrando f (t, z, ξ), la condizione necessaria di stazionariet` a si traduce in un sistema di equazioni differenziali ordinarie per le funzioni estremali. Consideriamo il funzionale Z b F (u) = f (t, u(t), u0 (t)) dt a sulla classe delle funzioni vettoriali u ∈ C 1 ([a, b], Rm ), con f ∈ C 1 ([a, b] × D × Rm ), e il relativo problema di minimo min{F (u) | u(a) = u1 u(b) = u2 } . Se D = Rm i dati agli estremi definiscono la variet`a lineare V ⊂ C 1 ([a, b], Rm ) delle funzioni ammissibili, parallela al sottospazio vettoriale V0 delle funzioni ϕ che si annullano agli estremi. In altre parole ∀u ∈ V ∀ϕ ∈ V0 u+ϕ∈V e ∀u, v ∈ V u − v ∈ V0 . Se D `e un sottoinsieme aperto di Rm , per ogni u ammissibile, cio`e a valori in D e appartenente a V , e per ogni ϕ ∈ V0 anche la funzione u + εϕ `e ammissibile per |ε| sufficientemente piccolo, quindi ha senso F (u + εϕ) e se u `e di minimo, o di massimo, relativo allora la variazione prima di F in u deve annullarsi (1.12) lim ε→0 F (u + εϕ) − F (u) = 0. ε In questa condizione di stazionariet`a riconosciamo a sinistra la derivata di Gateaux come funzionale lineare su V0 ϕ→ d F (u + εϕ)|ε=0 = hF 0 (u), ϕi dε che ci ricorda la derivata direzionale per le funzioni ordinarie. Potendo derivare sotto il segno di integrale, la (1.12) diventa m Z b X ∂ ∂ 0 0 0 0 f (t, u, u )ϕh + f (t, u, u )ϕh dt = 0 . (1.13) hF (u), ϕi = ∂zh ∂ξh a h=1 La (1.13), detta equazione di Eulero in forma debole, deve essere soddisfatta per ogni ϕ di classe C 1 e nulla agli estremi, ma la condizione che si otterrebbe sostituendo V0 con D(]a, b[, Rm ) `e solo apparentemente meno restrittiva, in realt`a `e del tutto equivalente per densit` a, quindi possiamo scegliere senz’altro lo spazio delle funzioni test D(]a, b[, Rm ). L’uso di questa classe pi` u ristretta sar`a necessario se nella (1.13) compaiono generiche distribuzioni. Con l’ipotesi aggiuntiva f ∈ C 2 ([a, b] × D × Rm ) `e lecito integrare per parti il secondo termine della (1.13), quindi si ottiene l’equazione di Eulero classica m Z b X d ∂ ∂ f (t, u(t), u0 (t)) − f (t, u(t), u0 (t)) ϕh (t) dt = 0 (1.14) ∂zh dt ∂ξh a h=1 per ogni ϕ ∈ D(]a, b[, Rm ). Scegliendo volta per volta tutte le componenti di ϕ identicamente nulle eccetto una, la (1.14) si separa in un sistema di m condizioni integrali indipendenti che per il seguente lemma si traduce nel sistema di equazioni differenziali ordinarie del secondo ordine (1.15) d ∂ ∂ f (t, u(t), u0 (t)) − f (t, u(t), u0 (t)) = 0 dt ∂ξh ∂zh ∀h = 1, . . . , m . 19 1.3 Esempi Lemma 1.1 (fondamentale del CdV) Se f ∈ C 0 [a, b] e Z b f (t)ϕ(t) dt = 0 ∀ϕ ∈ D]a, b[ a allora f (t) = 0 per ogni t ∈ [a, b]. Dimostrazione. Se fosse f (t0 ) 6= 0, ad esempio f (t0 ) > 0, risulterebbe f (t) > 0 per |t − t0 | < δ per un certo δ > 0. Scegliendo una ϕ > 0 con supporto contenente l’intervallo ]t0 − δ, t0 + δ[ si contraddice l’ipotesi. 2 Immediata conseguenza della (1.15) `e l’integrale primo (1.16) f indipendente da zk ⇒ ∂ f (t, u(t), u0 (t)) = costante , ∂ξk inoltre, poich´e ogni soluzione del sistema (1.15) soddisfa identicamente ! n d X 0 ∂ ∂ 0 0 uh f (t, u(t), u (t)) − f (t, u(t), u (t)) = − f (t, u(t), u0 (t)) dt ∂ξh ∂t h=1 come si pu` o facilmente verificare, se f non dipende esplicitamente da t vale l’integrale primo n X ∂ u0h f (t, u(t), u0 (t)) − f (t, u(t), u0 (t)) = costante , ∂ξh h=1 detta Equazione di du Bois-Reymond. Abbiamo gi` a sottolineato che le equazioni di Eulero, nella forma debole (1.13) (integrale) o nella versione forte (puntuale), (1.15) sono condizioni necessarie per le estremali. Possono diventare sufficienti in determinate situazioni? Come `e ben noto per le funzioni ordinarie, la convessit`a `e una buona propriet`a per risolvere i problemi di minimo (la concavit` a per quelli di massimo) e se si suppone che l’integrando sia convesso come funzione (z, ξ) → f (t, z, ξ) allora anche il funzionale u → F (u) `e ovviamente convesso (il viceversa verr`a considerato pi` u avanti) e per ogni u ∈ C 1 ([a, b], Rm ) m e per ogni ϕ ∈ D(]a, b[, R ) si ha F (u + εϕ) > F (u) + εhF 0 (u), ϕi . Ne segue che se u soddisfa la (1.13) il secondo termine della precedente relazione si annulla e F (u) `e il minimo di F . Se poi f , e quindi F , `e strettamente convessa la soluzione, se esiste, `e unica. 1.3 Esempi Riprendiamo adesso lo studio di alcuni problemi variazionali che abbiamo gi`a considerato, ma che non abbiamo ancora risolto completamente. Alcuni funzionali, come quello della brachistocrona, li abbiamo scritti direttamente nella forma Z b p F (y) = h(y) 1 + y 02 dx a assumendo in modo del tutto arbitrario che la curva soluzione dovesse cercarsi tra le funzioni y = y(x). Ma partendo pure dal problema parametrico di minimo per il funzionale Z 1 p F (x, y) = h(y) x02 + y 02 dt , 0 20 Problemi variazionali in una variabile dalla (1.16) discende il principio di conservazione h(y)x0 p =c x02 + y 02 e se c 6= 0 x(t) `e strettamente monotona, x pu`o essere scelta come variabile al posto di t e il problema assume la forma cartesiana in y. La brachistocr` ona. Tenendo presente che l’integrando s 1 + y 02 0 f (y, y ) = y non dipende da x, l’equazione di Eulero si riduce, dopo qualche passaggio, a y(1 + y 02 ) = c , c > 0. Se c = 0 non c’`e che la soluzione banale y = 0, l’unica soluzione costante. Se c > 0 si ha ovviamente c <c 0<y= 1 + y 02 e l’equazione diventa r y y0 = 1 . c−y Posto y(x) = c sen2 si ottiene cψ 0 sen2 ψ(x) , 2 ψ c = ψ 0 (1 − cos ψ) = 1 , 2 2 da cui c x = 2 (ψ − sen ψ) y = c (1 − cos ψ) 2 che sono le equazioni parametriche di una cicloide di raggio generatore c/2. Il passaggio per il punto finale (l, a) determina il valore di c e l’intervallo [0, ψ0 ] per la ψ. Esercizio 1.6 Determinare le rette del modello di Poincar´e per il funzionale Z b p 1 F (y) = 1 + y 02 dx y a La superficie di rivoluzione di area minima. Come equazione di Eulero si ottiene facilmente p (1.17) y = c 1 + y 02 , c > 0. Si conferma ci` o che abbiamo gi` a osservato, che se in un punto x0 si ha y(x0 ) = 0 allora c = 0 e la soluzione `e quella identicamente nulla con il salto agli estremi dovuto alle condizioni al contorno, detta soluzione di Goldschmidt [26]. Se c > 0 allora y > c ovunque e y = c al pi` u in un solo punto dal momento che y deve essere strettamente convessa, come si vede derivando una volta la 1.17. Allora `e lecito porre y(x) = c cosh ψ(x) 21 1.3 Esempi che, inserita nell’equazione, fornisce ψ(x) = x +λ c e quindi y(x) = c cosh x +λ . c Imponendo la condizione y(0) = 1 = c cosh λ si ottiene il cosidetto “pennello di estremali” (1.18) y(x, λ) = cosh(x cosh λ + λ) . cosh λ Quando per` o si va a imporre l’altra condizione, y(l) = a, non sempre si trova un valore di λ, deve valere infatti come condizione necessaria la relazione tra a e l a= cosh(l cosh λ + λ) l cosh λ + λ |λ| > >l− > l − 1. cosh λ cosh λ cosh λ Per stabilire quali punti (l, a) sono raggiungibili da soluzioni y(x, λ) per qualche valore di λ, osserviamo che per ogni x ∈ (0, l) la funzione λ → y(x, λ) `e strettamente convessa e lim y(x, λ) = +∞, quindi ammette come inviluppo la funzione positiva |λ|→∞ m(x) = min y(x, λ) . λ∈R Questa funzione non `e un elemento della famiglia, quindi se a 6 m(l) il problema non ha soluzione, o meglio, si ha solo la soluzione di Goldschmidt, altrimenti, se a > m(l), vi sono due sono due valori di λ che verificano l’equazione y(l, λ) = a , quindi l’equazione di Eulero ammette due soluzioni, ma una soltanto `e quella che minimizza il funzionale. Il problema della catenaria lo proponiamo nel seguente esercizio. Esercizio 1.7 Determinare la configurazione di equilibrio per il filo inestensibile e perfettamente flessibile, sospeso e fissato agli estremi, tenendo conto che l’energia potenziale della forza peso va penalizzata con la condizione vincolare sulla lunghezza Z b p 1 + y 02 dx = l . a Applicando il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, il funzionale da minimizzare diventa Z b p F (y) = (y − λ) 1 + y 02 dx a dove il moltiplicatore λ ∈ R `e un’incognita aggiuntiva da determinarsi insieme alla y(x) usando le condizioni agli estremi e la lunghezza assegnata del filo. 22 Problemi variazionali in una variabile Capitolo 2 Il Problema di Dirichlet 2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie Alcuni problemi classici della Fisica Matematica dei mezzi continui sono governati da equazioni differenziali alle derivate parziali con condizioni al bordo e/o iniziali. Pensiamo ad esempio all’equazione per le piccole oscillazioni trasversali u(x, t) di una corda vibrante di densit` a di massa ρ e soggetta alla trazione τ ρutt − τ uxx = f (x, t) 0 < x < l, t > 0, (il pedice indica la derivata parziale) dove f `e la sollecitazione esterna. All’equazione vanno associate le condizioni iniziali u(x, 0) = g(x) e ut (x, 0) = h(x) , 0 < x < l, dette anche condizioni di Cauchy, e varie condizioni di vincolo quali u(0, t) = u(l, t) = 0 , t > 0, che sono le pi` u comuni, se gli estremi della corda sono bloccati. Pi` u in generale u(0, t) e/o u(l, t) possono essere funzioni assegnate di t. In un eventuale estremo non vincolato, poniamo x = l, sar`a necessario assegnare la forza applicata mediante la condizione τ ux (l, t) = p(t) t > 0 . Problemi simili possono essere posti in pi` u variabili, per la membrana ρutt − τ (uxx + uyy ) = f (x, y, t) (x, y) ∈ Ω , t > 0 , per le onde sonore o per quelle elettromagnetiche utt − c2 a(uxx + uyy + uzz ) = f (x, y, z, t) (x, y, z) ∈ Ω , t > 0 , a cui vanno associate condizioni iniziali in Ω simili alle precedenti e condizioni al contorno che comunemente possono essere - di Dirichlet: u = g su ∂Ω, - di Neumann: a ∂u = h su ∂Ω, ∂n - miste: u = g su ∂1 Ω e a ∂u = h su ∂2 Ω, dove ∂1 Ω ∪ ∂2 Ω = ∂Ω e ∂1 Ω ∩ ∂2 Ω = ∅ ∂n 24 Il Problema di Dirichlet dove n indica il versore normale esterno. Vi sono anche altre condizioni come la derivata in direzioni diverse dalla normale (derivata obliqua), combinazioni lineari di u e della sua derivata normale, condizioni non locali espresse in termini della u stessa come negli appoggi elastici per una struttura vincolata ecc. L’operatore di somma delle derivate seconde rispetto alle variabili spaziali in Rn `e detto laplaciano n X ∆u = uxi xi = div grad u . i=1 Problemi di diffusione e conduzione portano ad equazioni del tipo (2.1) ut − a∆u = f , a > 0, dove le condizioni iniziali si riducono alla u(x, 0) = g(x) e quelle al bordo sono le stesse che abbiamo visto prima. Nel caso stazionario, quando f e i dati al bordo non dipendono da t, si cercano soluzioni u della (2.1) indipendenti dal tempo e l’equazione si riduce a −∆u = f nota come equazione di Poisson, di Laplace se f = 0. Questa equazione interviene nei problemi di equilibrio - per il potenziale elettrostatico o gravitazionale, - per il flusso stazionario, termico o elettrico, attraverso mezzi conduttori, - per la configurazione di equilibrio di tensostrutture quali fili e membrane ed ha senso associare ad essa solo dati al bordo. Noi che siamo interessati al CdV ci occuperemo solo di quest’ultimo tipo di problemi che sono detti ellittici. I precedenti sono, nell’ordine, iperbolici e parabolici secondo la classificazione standard che si basa sulle propriet` a dei coefficienti (aij ) dell’operatore lineare del second’ordine u → L(u) = n X 2 aij Dij u, aij = aji . ij=1 Se p, q e r, p + q + r = n, sono rispettivamente il numero degli autovalori positivi, negativi e nulli della matrice A = (aij ) allora diciamo che L `e ellittico se p = n oppure q = n, parabolico se r > 0 e p + r = n oppure q + r = n e iperbolico se p, q > 0. Se A = I l’operatore si riduce al laplaciano. Naturalmente si possono considerare le varianti pi` u diverse. Limitandoci ai soli problemi ellittici, i coefficienti possono non essere costanti e possono essere presenti anche dei termini di ordine inferiore al secondo come nell’equazione (2.2) n X ij=1 2 aij (x)Dij u+ n X bi (x)Di u + c(x)u = f i=1 dove la parte del second’ordine `e detta parte principale. In certi casi, ma non sempre, la (2.2) pu` o essere scritta nella cosiddetta forma di divergenza o variazionale (2.3) X n n X ∂u ∂ aij (x) + bi (x)Di u + c(x)u = f ∂xj ∂xi i=1 ij=1 dove la parte principale non `e altro che div(A∇u) = D · (ADu). La matrice A(x) dei coefficienti nell’equazione −D · (ADu) = f in Ω 2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie 25 esprime la conduttivit` a elettrica o termica del conduttore Ω, essa pu`o dipendere da x se il mezzo non `e omogeneo e non essere diagonale se il mezzo non `e isotropo. Le (2.2) e (2.3) non sono equivalenti per vari motivi, per esempio nella seconda si potrebbe considerare il caso di A non simmetrica, mentre nella prima l’eventuale parte antisimmetrica sparisce, inoltre la prima va scritta con u ∈ C 2 e la seconda con ADu ∈ C 1 che prevede la possibilit`a che sia A, sia Du, possano essere discontinue, ma non il loro prodotto ovviamente. Vi sono poi problemi ellittici di ordine superiore, tipicamente quelli del quart’ordine per l’equilibrio della piastra, che richiedono 4 tipi di condizioni al bordo, due di natura cinematica e due di natura meccanica; problemi ellittici vettoriali dove l’incognita u `e un vettore invece di uno scalare, ad esempio lo spostamento nell’equilibrio di un corpo elastico tridimensionale; infine vi sono problemi ellittici non lineari, tra i tanti, per citarne uno familiare, quello dell’area minima che riguarda, come sappiamo, la configurazione di equilibrio di una lamina saponata, noto come problema di Plateau. Spendiamo adesso qualche parola sulla buona formulazione dei problemi cui abbiamo accennato e su che cosa significa risolverli. In generale l’equazione da sola ammette famiglie molto vaste di soluzioni, quindi le condizioni aggiuntive, al bordo o iniziali, hanno un ruolo fondamentale, certamente pi` u rilevante che nelle equazioni differenziali ordinarie. Tuttavia `e quasi sempre impossibile rappresentare le soluzioni in forma chiusa, attraverso cio`e espressioni esplicite scritte in termini di funzioni note, se risolvere significa questo, almeno nel senso letterale del termine. Nel XIX secolo la ricerca di soluzioni esplicite ha stimolato la costruzione delle funzioni speciali, ha fornito rappresentazioni per serie, ha permesso lo sviluppo della teoria delle funzioni analitiche di variabile complessa (non a caso strettamente collegata con l’equazione di Laplace). In questo tipo di approccio `e gi`a comunque implicita la scelta di uno spazio funzionale in cui cercare la soluzione: quello delle funzioni analitiche. Ogni funzione u ∈ C 2 (Ω) che soddisfa l’equazione di Laplace, che per questo viene detta armonica, `e necessariamente analitica in Ω. Gi`a questa affermazione, che `e di tipo qualitativo, ha una rilevanza maggiore e una maggiore utilit`a rispetto a improbabili e magari molto complicate rappresentazioni esplicite. Per provarla basta ricorrere alla formula integrale di Poisson sulla palla Br (0) ⊂ Rn di centro 0 e raggio r: ¯r (0)) assegnata la funzione g ∈ C 0 (Br (0)), l’unica soluzione u ∈ C 2 (Br (0)) ∩ C 0 (B del problema di Dirichlet ( ∆u = 0 in Br (0) u=g su ∂Br (0) `e la funzione (2.4) Z 2 g(y) r − |x|2 dσ(y) se x ∈ Br (0) ω r |x − y|n n ∂Br (0) u(x) = g(x) se x ∈ ∂Br (0) dove ωn `e la misura n − 1 dimensionale della sfera unitaria. Si tratta dell’unico caso di rappresentazione esplicita, a meno di piccole varianti come l’ellissoide o forse altri domini molto semplici. La funzione che moltiplica la g dentro l’integrale (2.4), detta nucleo di Poisson, `e analitica e quindi anche u lo `e in Br (0). Ne segue che una funzione di classe C 2 armonica in un aperto qualsiasi Ω `e analitica perch´e la (2.4) vale con u ¯ ⊂ Ω. al posto di g in ogni palla B tale che B Se si considera a secondo membro una data funzione f che `e ragionevole supporre continua in Ω, sempre con g continua su ∂Ω, si perviene al seguente problema classico di Dirichlet. 26 Il Problema di Dirichlet ¯ tale che Problema 2.1 Trovare u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω) ( −∆u = f in Ω u=g su ∂Ω . Una u che soddisfa questa problema viene detta soluzione classica. Anche in questo caso si pu` o ottenere, con opportune ipotesi di regolarit`a della frontiera di Ω, una rappresentazione integrale esplicita (non tanto), nota come formula di Green, dell’unica soluzione. Ma se vogliamo considerare situazioni anche di poco pi` u complicate, domini pi` u generali, sollecitazioni non continue, coefficienti variabili nell’operatore ecc., che pure sono perfettamente sensate dal punto di vista fisico, `e necessaria una teoria generale in cui il problema venga formulato in spazi di funzioni opportuni. Le ipotesi da assumere per i dati e la scelta dello spazio in cui cercare la soluzione devono rispettare dei ragionevoli criteri, introdotti da Hadamard, affinch´e il problema sia ben posto. La buona formulazione secondo Hadamard si pu`o riassumere nei seguenti requisiti: - esistenza, - unicit` a, - stabilit` a. Questa `e un’altra risposta, magari un po’ astratta, ma di carattere generale con ricadute concrete, alla domanda su che cosa significa risolvere i problemi di cui stiamo parlando. Per chiarirne il significato, pensiamo al fenomeno che il problema matematico pretende di modellizzare. Il fenomeno accade effettivamente, evolve in un solo modo e il fatto che il modello sia inevitabilmente imperfetto, e che vi siano inevitabili errori di misurazione dei dati, non deve incidere eccessivamente sulla soluzione, a “piccole variazioni” dei dati devono corrispondere conseguenti “piccole variazioni” della soluzione, in questo senso il termine “stabilit`a” significa dipendenza continua della soluzione dai dati. Ora, per fare degli esempi, il problema di Cauchy per il laplaciano, ma anche per le equazioni ellittiche in generale, non `e ben posto come si vede nel seguente controesempio di Hadamard ∀(x, y) ∈ R2 : y > 0 ∆u = 0 u(x, 0) = 0 uy (x, 0) = g(x) . Intanto osserviamo che u deve essere analitica nel semipiano y > 0 e siccome la prima condizione al bordo, da sola, ci permette di costruire un prolungamento analitico (principio di Schwartz) a tutto R2 ponendo ( u(x, y) se y > 0 u ˜(x, y) = −u(x, −y) se y < 0 , non esistono soluzioni se g non `e analitica in R. Comunque non vale la dipendenza continua, basta osservare che la successione di dati gn (x) = sen nx n tende uniformemente a 0, a cui corrisponde la soluzione ovunque nulla, ma la successione delle corrispondenti soluzioni un (x, y) = sen nx senh ny n2 27 2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie ammette sottosuccessioni divergenti in ogni punto che non sia del tipo (kπ, y). A prescindere dalla scelta dello spazio funzionale, i dati di Cauchy non sono opportuni per un’equazione ellittica. Ad un’equazione iperbolica non si addicono dati di Dirichlet. Consideriamo ad esempio l’equazione uxy = 0 che per integrazione diretta, con u ∈ C 2 (R2 ), porta alla rappresentazione u(x, y) = ϕ(x) + ψ(y) ϕ, ψ ∈ C 2 (R) . Se in un rettangolo con i lati paralleli agli assi si assegnano dati di Dirichlet che non siano costanti il problema non ha soluzione. Tornando al laplaciano, o ad un’equazione ellittica del tipo −D · (ADu) = f , una immediata relazione di compatibilit`a tra i dati va imposta per l’esistenza della soluzione nel problema di Neumann. Lo si vede con una semplice integrazione Z Z Z Z f dx = − D · (ADu) dx = − ADu · n dσ − ADu · n dσ , Ω da cui Ω ∂1 Ω Z f dx + Ω Z g dσ + ∂2 Ω ∂2 Ω Z ∂1 Ω ∂u dσ = 0 ∂n che esprime l’equilibrio delle forze esterne. Il terzo termine rappresenta la reazione vincolare che non `e mai nota a priori, ma dipende dalla soluzione u, ed `e assente nel problema di Neumann nel quale deve valere la condizione necessaria Z Z f dx + g dσ = 0 . Ω ∂Ω Una terza risposta, doverosa, sul significato di soluzione `e di natura applicativa e consiste nella discretizzazione dell’equazione e nell’approssimazione numerica della soluzione. Metodi di questo tipo non possono prescindere dalla formulazione generale perch´e operano negli stessi spazi funzionali, facendo uso delle stesse norme e delle conseguenti nozioni di convergenza. Grosso modo consistono nella scelta di una famiglia di “funzioni base” ϕh , dette funzioni spline, all’interno dello spazio funzionale scelto, in modo che sia completa. Ogni sottoinsieme finito ϕ1 , ϕ2 , . . . , ϕk genera un sottospazio vettoriale di dimensione finita e l’equazione opportunamente discretizzata, in cui l’operatore differenziale viene sostituito da un operatore algebrico, avr`a una soluzione del tipo k X uk = ci ϕi . i=1 Per k → ∞ la uk deve convergere, il pi` u rapidamente possibile, nella norma dello spazio alla soluzione u del problema dato. L’utilit`a pratica `e quella di disporre di soluzioni approssimate che nelle applicazioni possono dare informazioni sufficienti. Osserviamo infine, con riferimento al problema di Dirichlet, che per il suo carattere lineare pu` o essere decomposto nei due problemi ( ( −∆v = f in Ω −∆w = 0 in Ω e v=0 su ∂Ω w=g su ∂Ω , risolti i quali si ha u = v + w. Ci`o vale anche con gli altri dati al bordo e in presenza di ogni operatore lineare. 28 2.2 Il Problema di Dirichlet Esempi con soluzioni esplicite Una membrana circolare B di raggio unitario `e bloccata sul bordo e caricata con una pressione costante f = F/π(R2 − r2 ) sull’anello r < |x| < R essendo 0 < r < R < 1 e nulla al di fuori. Qual `e la sua configurazione di equilibrio u(x, y)? Siamo di fronte ad un dato f discontinuo quindi non ci possiamo aspettare u ∈ C 2 , ma essendo continuo in ognuna delle tre regioni Br = {|x| < r}, Ar,R = {r < |x| < R} e AR = {R < |x| < 1} u sar` a C 2 in ciascuna di esse e dovr`a soddisfare opportune condizioni di raccordo attraverso il bordo di Ar,R . Per vederlo, se f ha una superficie di discontinuit` a Γ all’interno di Ω e u soddisfa ( −∆u = f in Ω (2.5) u=g su ∂Ω moltiplicando per una funzione test ϕ ∈ D(Ω) e integrando si ottiene Z Z (2.6) Du · Dϕ dx = f ϕ dx . Ω Ω Si sceglie adesso un aperto Ω ⊂ Ω in cui f `e continua, e limitandoci alle ϕ ∈ D(Ω0 ) ⊂ D(Ω) si ottiene dalla (2.6) −∆u = f in Ω0 , quindi u ∈ C 2 (Ω0 ). La (2.6) ci d`a anche le condizioni di raccordo. Si considerino le ϕ con supporto in una palla col centro in Γ e si fissi una direzione per il versore normale n nei punti di Γ. All’interno della palla si possono distinguere le due regioni Ω− , da cui esce n, e Ω+ in cui n entra. Dalla (2.6) si ottiene − Z Z Z Z Z ∂u+ ∂u − dσ − ϕ∆u fϕ = Du · Dϕ + Du · Dϕ = ϕ ∂n ∂n Ω Ω Ω− Ω+ Γ 0 e siccome il primo membro e l’ultimo termine coincidono, per l’arbitrariet`a di ϕ la componente normale di Du ha salto nullo, quindi `e continua. Riguardo al problema posto all’inizio del paragrafo, dobbiamo cercare soluzioni radiali u(ρ) la cui derivata rispetto a ρ sia continua. Il laplaciano in coordinate polari assume la forma 1 ∂ ∂u 1 ∂2u ∆u = ρ + 2 2 ρ ∂ρ ∂ρ ρ ∂ϑ e se u non dipende da ϑ l’equazione di Laplace diventa (ρu0 )0 = 0 da cui u(ρ) = α log ρ + β . Essendo u(1) = 0 e imponendo la continuit`a di u0 (ρ), con soluzione del nostro problema 2(R2 log R − r2 log r) F 4π 1 − R2 − r 2 2 2 2 2 ur (ρ) = F R − ρ − 2(R log R − r log ρ) 4π R2 − r2 R2 − r 2 − F log ρ 2π facili calcoli si ottiene la se ρ 6 r se r < ρ 6 R se R < ρ 6 1 ¯ ma non a C 2 (B). Essa soddisfa la (2.6) ed `e detta che appartiene a C 1 (B) ∩ C 0 (B) per questo soluzione debole della (2.5). 29 2.2 Esempi con soluzioni esplicite Supponiamo adesso che il carico F 2 − r2 ) π(R fr (ρ) = 0 su Ar,R altrove tenda a concentrarsi sempre di pi` u sulla circonferenza γR di raggio R conservando la risultante F . Per r → R si ha Z Z R Z 2π Z F F ϕ(ρ, ϑ) dϑdρ ρ ϕ = fr ϕ = π(R2 − r2 ) Ar,R π(R2 − r2 ) r 0 B Z Z 2π Z F (R − r)¯ ρ 2π F F = ϕ(¯ ρ, ϑ) dϑ → ϕ(R, ϑ)R dϑ = ϕ ds π(R2 − r2 ) 0 2πR 0 2πR γR dove abbiamo usato il teorema della media. L’espressione ottenuta definisce la forza concentrata su γR come la distribuzione su D(B) fR = F δγ , 2πR R tale che ϕ → hfR , ϕi = F 2πR Z ϕ ds . γR D’altra parte ur converge uniformemente alla funzione C 1 a tratti F − 2π log R se ρ 6 R uR (ρ) = − F log ρ se R < ρ 6 1 2π e, poich´e Dur → DuR in L2 , si ha Z Z Dur · Dϕ → DuR · Dϕ , B B quindi la uR `e soluzione debole del problema di Dirichlet nel senso Z DuR · Dϕ = hfR , ϕi ∀ϕ ∈ D(B) . B Per R → 0, applicando il teorema della media il II membro tende a hf0 , ϕi = F ϕ(0) che `e proporzionale alla distribuzione δ di Dirac concentrata in 0, mentre la uR tende alla funzione F u0 (ρ) = − log ρ , 0 < ρ 6 1, 2π ma non vi `e convergenza del gradiente in L2 , la funzione u0 sta infatti in L2 ma non in H 1 (B) e siccome Z Z Z DuR · Dϕ = − uR ∆ϕ → u0 ∆ϕ , B B B la u0 soddisfa il problema di Dirichlet nella forma ancora pi` u debole Z − u0 ∆ϕ = hf0 , ϕi ∀ϕ ∈ D(B) . B 30 Il Problema di Dirichlet Se per` o vogliamo risolvere il problema in H 1 anche in questo caso dobbiamo accettare come soluzione la funzione identicamente nulla. In altre parole, il carico puntuale, che grava sulla membrana come uno spillo, l’attraversa e non ha nessuna influenza sulla sua configurazione di equilibrio. Esercizio 2.1 Determinare le soluzioni a simmetria sferica in Rn dell’equazione di Laplace. 2.3 Formulazione variazionale Nel paragrafo precedente abbiamo visto che, assegnata f ∈ C 0 (Ω), se u ∈ C 2 (Ω) soddisfa la (2.5) allora soddisfa la (2.6). Certamente vale anche il viceversa, basta ragionare come nel Lemma B.10, ma se inizialmente si pone il problema nella forma (2.6) con f ∈ C 0 (Ω) non possiamo sapere se esistono soluzioni in C 2 (Ω), in modo che ad esse si possa applicare il laplaciano, e se `e lecito riconoscerle come soluzioni della (2.5). Questo passaggio logico `e l’oggetto della teoria della regolarit` a di cui vedremo i primi passi pi` u avanti. La formulazione debole `e molto pi` u generale perch´e ha senso non solo con f ∈ L2 (Ω), come nel caso del carico discontinuo del § 2.2, ma anche quando f ∈ D 0 (Ω) in cui rientra il caso del carico concentrato su variet`a di dimensione inferiore a quella dello spazio. Vediamo uno alla volta vari livelli di generalit` a del problema di Dirichlet per il laplaciano nella forma debole, assumendo per ora g = 0 su ∂Ω. R 1. Se f ∈ L2 (Ω) la distribuzione ϕ → ΩRf ϕ pu`o essere estesa a tutto L2 (Ω) venendo a coincidere col prodotto scalare v → Ω f v, d’altra parte a primo membro compare il prodotto scalare tra i gradienti Du e Dv che ha senso in H 1 , quindi v ∈ H01 (Ω) che `e la chiusura di D(Ω) in H 1 (Ω). Ricordando che g = 0 su ∂Ω, cerchiamo la soluzione u in questo spazio pervenendo al seguente problema. Problema 2.2 Data f ∈ L2 (Ω), trovare u ∈ H01 (Ω) tale che Z Z (2.7) Du · Dv dx = f v dx ∀v ∈ H01 (Ω) . Ω Ω 2. Se v ∈ H01 (Ω) possiamo sostituire f con una distribuzione ϕ → hf, ϕi che sia estendibile a tutto H01 (Ω), quindi con f ∈ H01 (Ω)∗ . Il duale H01 (Ω)∗ di H01 (Ω) viene indicato con H −1 (Ω) e vale in proposito la seguente caratterizzazione: f ∈ H −1 (Ω) se e solo se esistono f0 , f1 , f2 , . . . fn ∈ L2 (Ω) tali che hf, vi = Z Ω f0 v + Z X n Ω i=1 fi Di v ∀v ∈ H01 (Ω) . In altre parole, in termini del campo vettoriale F = (f1 , f2 , . . . fn ) ∈ L2 (Ω)n , f `e la distribuzione f = f0 − div F . Problema 2.3 Data f ∈ H −1 (Ω), trovare u ∈ H01 (Ω) tale che Z (2.8) Du · Dv dx = hf, vi ∀v ∈ H01 (Ω) . Ω Visto che ogni spazio di Hilbert ammette se stesso come duale, H01 non dovrebbe fare eccezione e la cosa sarebbe del tutto accettabile. Ma se consideriamo H01 come sottospazio di L2 , che coincide col suo duale, si deve ammettere anche (H01 )∗ ⊃ L2 strettamente. Questo ci soddisfa, altrimenti ci dovremmo limitare ai soli dati f ∈ H01 . 31 2.3 Formulazione variazionale 3. Se f ∈ D 0 (Ω) `e una distribuzione qualsiasi, in assenza di ulteriori ipotesi non si pu` o uscire dallo spazio D(Ω) e anche u va cercata tra le distribuzioni, quindi il problema assume la seguente (debolissima) forma. Problema 2.4 Data f ∈ D 0 (Ω), trovare u ∈ D 0 (Ω) tale che Z (2.9) − u∆ϕ dx = hf, ϕi ∀ϕ ∈ D(Ω) . Ω Un caso particolare importante della (2.9) `e l’equazione (2.10) − ∆u = δ in Rn , dove la distribuzione δ di Dirac `e definita da hδ, ϕi = ϕ(0) per ogni ϕ ∈ D(Rn ). Per il carattere isotropo dell’operatore laplaciano `e naturale cercare soluzioni u = u(ρ) a simmetria sferica, per le quali l’equazione in Rn − {0} diventa ∆u = u00 (ρ) + n−1 0 u (ρ) = 0 , ρ ρ > 0, e che ha per soluzioni le funzioni u(ρ) = α log ρ + β se n = 2 α +β ρn−2 se n > 2 . Si giunge alla stessa conclusione integrando membro a membro l’equazione su una corona sferica di raggio interno r fissato e raggio esterno generico ρ > r e applicando il teorema della divergenza Z Z Z x x Du · dσ 0= ∆u dx = Du · dσ − ρ r |x|=r r<|x|<ρ |x|=ρ Z Z = u0 (ρ) dσ − u0 (r) dσ = ωn ρn−1 u0 (ρ) − ωn rn−1 u0 (r) , |x|=ρ |x|=r da cui u0 (ρ) = c1 n−1 ρ + c2 . Tra queste soluzioni radiali si pu`o scegliere c1 e c2 in modo che u soddisfi la (2.10). Lo lasciamo per esercizio suggerendo di considerare una generica ϕ a supporto compatto K e, definito Kε = K −Bε (0), integrare per parti u∆ϕ su Kε . Rimarranno da trattare solo degli integrali su ∂Bε (0) di cui si pu`o calcolare facilmente il limite per ε → 0 usando il teorema della media. La soluzione di (2.10) `e detta soluzione fondamentale del laplaciano e vale log ρ 2π Γ(ρ) = 1 (n − 2)ωn ρn−2 se n = 2 se n > 2 . Da ora in poi ci interesseremo del Problema 2.3 relativo al punto 2. Questa formulazione viene anche detta variazionale in quanto equivalente al seguente problema. 32 Il Problema di Dirichlet Problema 2.5 Assegnata f ∈ H −1 (Ω), sia F : H01 (Ω) → R il funzionale Z 1 F (v) = |Dv|2 dx − hf, vi ∀v ∈ H01 (Ω) . 2 Ω Trovare u ∈ H01 (Ω) tale che F (u) 6 F (v) ∀v ∈ H01 (Ω) . Sebbene la formulazione variazionale abbia carattere ben pi` u generale della formulazione classica, in presenza di dati al bordo non omogenei vi sono dei casi in cui la prima non pu` o essere considerata perch´e d`a luogo ad un’energia non finita. Consideriamo ad esempio nel disco unitario B = {x ∈ R2 | |x| < 1} il problema ( −∆u = 0 in B u=g su ∂B dove g, in coordinate polari con ρ = 1 e ϑ = 2π, `e la funzione ∞ X sen(n!ϑ) . g(ϑ) = n2 n=1 Per separazione di variabili si dimostra facilmente che la soluzione u `e data da u(ρ, ϑ) = ∞ X n=1 ρn sen(n!ϑ) n2 ma Z |Du|2 dx = π B ρ < 1, ∞ X n! = +∞ . n4 n=1 Questo inconveniente non accade se si assume che g sia la “restrizione al bordo” di una funzione g ∈ H 1 (Ω). Detta cos`ı la cosa non ha senso perch´e il bordo ha misura nulla e le nostre funzioni sono definite quasi ovunque, per questo esiste un’opportuna nozione di traccia di cui non parliamo adesso. Ma un altro modo del tutto equivalente per recuperare il rigore dovuto `e assumere g ∈ H 1 (Ω) e imporre la condizione u − g ∈ H01 (Ω). Essendo Z Z Z Du · Dv = D(u − g) · Dv + Dg · Dv , Ω Ω Ω u ∈ H 1 (Ω) `e soluzione se e solo se w = u − g ∈ H01 (Ω) soddisfa l’equazione Z Z Dw · Dv = hf, vi − Dg · Dv ∀v ∈ H01 (Ω) Ω Ω dove si riconosce f + ∆g come elemento di H −1 (Ω) essendo Dg ∈ L2 (Ω). Il problema omogeneo sul bordo non `e quindi meno generale di quello con g perch´e pur di scegliere sempre la formulazione del Problema 2.3, anche se si `e nelle condizioni del Problema 2.2, ci si pu` o ricondurre al caso omogeneo. Tutto ci` o che si `e detto finora vale anche nel caso pi` u generale di un operatore ellittico in forma variazionale a coefficienti A(x) = (aij (x)). Sulla matrice A supponiamo aij ∈ L∞ (Ω) e che per un certo λ > 0 si abbia A(x)ξ · ξ = n X ij=1 aij (x)ξi ξj > λ|ξ|2 ∀ξ ∈ Rn ∀x q.o. ∈ Ω . 33 2.3 Formulazione variazionale Problema 2.6 Data f ∈ H −1 (Ω), trovare u ∈ H01 (Ω) tale che (2.11) − div(A(x)Du) = f in Ω . La (2.11) va intesa nel senso variazionale, come equazione Z A(x)Du · Dv = hf, vi ∀v ∈ H01 (Ω) Ω oppure, se A(x) `e simmetrica, come principio di minimo (2.12) F (u) 6 F (v) essendo F (v) = 1 2 ∀v ∈ H01 (Ω) Z A(x)Dv · Dv dx − hf, vi Ω ∀v ∈ H01 (Ω) . L’esistenza e l’unicit` a della soluzione del Problema 2.6 `e conseguenza di un teorema astratto negli spazi di Hilbert che vediamo tra poco. Siano H uno spazio di Hilbert reale con prodotto scalare h., .i e norma k · k e H ∗ il suo duale con l’accoppiamento : H ∗ × H → R (f, u) → hf, ui . Un operatore lineare e continuo A : H → H ∗ determina la forma bilineare (2.13) a(u, v) = hAu, vi che `e ovviamente lineare in u e in v e continua perch´e |a(u, v)| 6 kAkkukkvk. Viceversa, ad ogni forma bilineare e continua rimane associato l’operatore A : H → H ∗ tale che vale la (2.13). Definizione 2.7 Diciamo che a(u, v) `e coerciva se esiste una costante λ > 0 tale che a(u, u) > λkuk2 ∀u ∈ H . p Una forma bilineare continua e coerciva definisce la norma a(u, u) che `e equivalente alla norma di H. Teorema 2.8 (Lax-Milgram) Sia a(u, v) una forma bilineare coerciva su uno spazio di Hilbert H. Allora per ogni f ∈ H ∗ esiste un’unica u ∈ H tale che (2.14) a(u, v) = hf, vi ∀v ∈ H . Inoltre l’applicazione f → u `e lipschitziana: se u1 e u2 sono le soluzioni della (2.14) corrispondenti ai dati f1 e f2 allora ku1 − u2 kH 6 1 kf1 − f2 kH ∗ . λ Dimostrazione. Supponiamo dapprima che a(u, v) sia simmetrica. In questo caso la (2.14) `e equivalente al problema di minimo in H per il funzionale F (v) = Poich´e 1 a(v, v) − hf, vi . 2 f 1 kf k2 2 2 hf, vi 6 kf kkvk = kεvk 6 + ε kvk , ε 2 ε2 34 Il Problema di Dirichlet F `e limitato inferiormente in quanto F (v) > λ − ε2 kf k kf k kvk2 − 2 > − 2 , 2 2ε 2ε basta scegliere ε2 < λ. Sia allora I = inf F (v) . v∈H Per ogni h ∈ N esiste uh ∈ H tale che I 6 F (uh ) < I + 1 h ∀h ∈ N . Siccome F (uh ) → I, la (uh ) si chiama successione minimizzante. Essa `e di Cauchy perch´e λ 1 kuh − uk k2 6 a(uh − uk , uh − uk ) 2 2 uh + uk uh + uk = a(uh , uh ) + a(uk , uk ) − 2a , 2 2 uh + uk uh + uk = 2(F (uh ) + hf, uh i + F (uk ) + hf, uk i) − 4 F + hf, i 2 2 1 1 uh + uk 6 2(F (uh ) + F (uk )) − 4I 6 + = 2(F (uh ) + F (uk )) − 4F 2 h k che tende a 0 per h, k → ∞. Essendo H completo, esiste u ∈ H tale che kuh − uk → 0 e poich´e hf, uh − ui → 0 e inoltre |a(uh , uh ) − a(u, u)| = |a(uh − u, uh − u) + 2a(uh − u, u)| 6 kAkkuh − uk2 + 2kAkkuh − ukkuk → 0 , allora F (uh ) → F (u), ma F (uh ) → I e quindi F (u) = I. Siano adesso ui ∈ H01 (Ω), i = 1, 2, soluzioni delle equazioni a(ui , v) = hfi , vi Per differenza si ha ∀v ∈ H01 (Ω) . a(u1 − u2 , v) = hf1 − f2 , vi e scegliendo v = u1 − u2 si ottiene λku1 − u2 k2 6 a(u1 − u2 , u1 − u2 ) = hf1 − f2 , u1 − u2 i 6 kf1 − f2 kku1 − u2 k , da cui 1 kf1 − f2 k . λ Ci` o mostra non solo l’unicit` a, ma anche la dipendenza continua. ku1 − u2 k 6 2 Come rientra il nostro problema di Dirichlet all’interno dello schema astratto che abbiamo appena discusso? Lo spazio che ci interessa, H01 (Ω), `e di Hilbert come sottospazio chiuso di H 1 (Ω), ma le condizioni di continuit`a e di coercivit`a della forma bilineare a(u, v) non coinvolgono tutta la norma, bens`ı solo la parte che contiene il gradiente. Lo schema generale pu` o essere applicato direttamente ad un problema come questo ( − div(A(x)Du) + k(x)u = f in Ω (2.15) u=0 su ∂Ω 35 2.3 Formulazione variazionale che `e l’equazione di equilibrio di una membrana appoggiata su un letto di molle di rigidezza k(x) > 0 ed essendo in questo caso Z Z a(u, v) = k(x)uv dx + A(x)Du · Dv dx , Ω Ω l’ambientazione del problema in H01 (Ω) e l’ipotesi f ∈ H −1 (Ω) sono corrette perch´e l’esistenza e l’unicit` a della soluzione per il problema (2.15) discendono direttamente dal Teorema 2.8. Per adattare il Problema 2.6 al Teorema 2.8 dobbiamo mostrare che in H01 (Ω) la norma con le sole derivate `e equivalente alla norma di H 1 (Ω) e allo scopo vale il seguente risultato. Teorema 2.9 (Disuguaglianza di Poincar´ e) Siano Ω ⊂ Rn un aperto limitato e 1 6 p < +∞. Esiste una costante c(Ω, p) > 0 tale che (2.16) ∀u ∈ W01,p (Ω) . kukLp (Ω) 6 c(Ω, p)kDukLp (Ω) Dimostrazione. Sia u ∈ C01 (Ω) estesa con valore nullo al complementare di Ω. Fissato un punto x ∈ Ω, per r > 0 abbastanza grande (dipendente da Ω) si ha u(x + rω) = 0 per ogni ω ∈ Rn tale che |ω| = 1, pertanto Z r Z r ∂u(x + tω) Du(x + tω) · ω dt . dt = −u(x) = u(x + rω) − u(x) = ∂t 0 0 Passando al modulo e usando la disuguaglianza di H¨older Z r 1/p Z r 1/q p |u(x)| 6 |Du(x + tω)| dt 6 r |Du(x + tω)| dt . 0 0 Adesso eleviamo alla p e passiamo all’integrale su Rn (o equivalentemente su Ω) Z Z Z r p p p/q kukp = |u(x)| dx 6 r |Du(x + tω)|p dt dx Rn Rn 0 Z rZ p−1 =r |Du|p dx dt = rp kDukpp . 0 Rn Se u ∈ W01,p (Ω) esiste una successione (uh ) ⊂ C01 (Ω) tale che kuh − ukW 1,p (Ω) → 0. Per ogni uh vale la disuguaglianza (2.16) e la norma `e continua, quindi la (2.16) `e stabile nel passaggio al limite e rimane vera per ogni u ∈ W01,p (Ω). La costante trovata per questa disuguaglianza `e semplicemente r, il raggio di una palla che contiene Ω, e non sembra dipendere da p, ma la costante ottimale, la minima per cui la disuguaglianza `e vera, dipende da p. 2 La relazione kDukp 6 kukp + kDukp 6 (1 + c)kDukp ∀u ∈ W01,p (Ω) mostra che in W01,p (Ω) la norma di W 1,p (Ω) e la norma in Lp (Ω) del solo gradiente sono equivalenti, quindi la forma bilineare Z a(u, v) = A(x)Du · Dv dx Ω H01 (Ω). Rimane da verificare, con riferimento al Teorema 2.8, che il `e coerciva in funzionale F (v) della (2.12) `e limitato inferiormente, ma questo `e vero perch´e λ λ 1 ε2 kDukL2 (Ω) − hf /ε, εui > kDukL2 (Ω) − 2 kf k2H −1 (Ω) − kuk2L2 (Ω) 2 2 2ε 2 λ − c2 ε 2 1 1 2 2 > kDukL2 (Ω) − 2 kf kH −1 (Ω) > − 2 kf kH −1 (Ω) 2 2ε 2ε F (u) > 36 Il Problema di Dirichlet pur di scegliere ε2 < λ/c2 . Da queste considerazioni possiamo dedurre che il Problema 2.6 ammette una ed una sola soluzione in H01 (Ω). Il Teorema 2.9 ci dice che l’immersione W01,p (Ω) ,→ LP (Ω) `e continua. Per induzione vale banalmente il seguente corollario. Corollario 2.10 Siano Ω ⊂ Rn un aperto limitato e 1 6 p < +∞. Esiste una costante c(Ω, p) > 0 tale che kukW k,p (Ω) 6 c(Ω, p) X ∀u ∈ W01,p (Ω) . kDα ukLp (Ω) |α|=k 2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet Illustriamo in questo paragrafo un approccio alternativo alla questione dell’esistenza e unicit` a per il Problema di Dirichlet nella versione variazionale (2.12) che poi riprenderemo, in una versione generale, nei problemi variazionali non lineari. Il metodo diretto prende in esame, appunto direttamente, le propriet`a del funzionale senza passare dall’equazione e si basa sull’idea del celebre teorema di Weirstraß di combinare la continuit` a di una funzione con la compattezza del dominio. Rispetto al § 2.3 nulla cambia sulla formulazione, f ∈ H −1 (Ω), F `e limitato inferiormente in H01 (Ω) e la soluzione la cerchiamo in questo spazio. Dato che siamo interessati al solo minimo (d’altra parte F non `e neanche limitato superiormente) e che H01 (Ω) non `e certo compatto, pi` u del teorema di Weirstraß ci interessa una sua variante che prevede l’esistenza del minimo con le ipotesi che i sottolivelli, cio`e gli insiemi {u ∈ H01 (Ω) | F (u) 6 k}, siano compatti e che F sia un funzionale semicontinuo inferiormente. Ora, i sottolivelli di F sono limitati perch´e lim F (v) = +∞ kvk→∞ e sono anche chiusi perch´e, come abbiamo gi`a visto, F `e addirittura continua, ma in uno spazio vettoriale in dimensione non finita come H01 (Ω), la cui metrica `e quella della norma, gli insiemi chiusi e limitati non sono in generale compatti. Insomma, le cose non sembrano andare tanto bene, ma adesso ci procuriamo gli ingredienti che ci servono per farle funzionare. Sia X uno spazio che soddisfa il I assioma di numerabilit`a, per esempio uno spazio metrico, in modo che tutte le sue propriet`a topologiche siano caratterizzabili in termini delle successioni convergenti. Definizione 2.11 Una funzione F : X → R `e detta semicontinua inferiormente (s.c.i.) [superiormente (s.c.s.)] se per ogni x ∈ X e per ogni successione (xh ) ⊂ X tale che xh → x si ha F (x) 6 lim inf F (xh ) h→∞ [F (x) > lim sup F (xh )] . h→∞ Proposizione 2.12 Una funzione F : X → R `e s.c.i. se e solo se per ogni t ∈ R il sottolivello St (F ) = {x ∈ X | F (x) 6 t} `e chiuso. Dimostrazione. Se F (xh ) 6 t per ogni t ∈ R allora lim inf F (xh ) 6 t , h→∞ quindi se xh → x e F `e s.c.i. si ha F (x) 6 lim inf F (xh ) 6 t . h→∞ 2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 37 Viceversa, sia (xh ) una successione convergente a x e indichiamo con l il minimo limite di F (xh ). Per ogni ε > 0 e per ogni h ∈ N esiste kh ∈ N tale che F (xkh ) 6 l + ε ∀h ∈ N , ma allora F (x) 6 l + ε per ipotesi e F `e s.c.i. essendo ε arbitrario. 2 Vi sono altre condizioni necessarie e sufficienti, come la propriet`a che l’epigrafico sia chiuso, ma non le tratteremo. Definizione 2.13 Un funzionale F : X → R `e detto coercivo se per ogni t ∈ R il sottolivello St (F ) ha chiusura compatta in X (in modo equivalente, esiste un compatto K ⊂ X tale che St (F ) ⊂ K). Teorema 2.14 (Il metodo diretto) Se F : X → R `e s.c.i. e coercivo allora esiste x0 ∈ X tale che F (x0 ) 6 F (x) ∀x ∈ X . Dimostrazione. Scelti ad arbitrio un punto x ¯ ∈ X e un numero reale t > F (¯ x), il relativo sottolivello St , indichiamolo con S, `e non vuoto e compatto per ipotesi. Dimostriamo che F ha minimo in S. Scelta una successione minimizzante (xh ) ⊂ S lim F (xh ) = inf F (x) = I , x∈S h→∞ essendo S compatto la (xh ) ammette una sottosuccessione (xkh ) convergente ad un certo x0 ∈ S. Dalla semicontinuit`a di F segue F (x0 ) 6 lim inf F (xkh ) = lim F (xh ) = I , h→∞ h→∞ quindi F (x0 ) = I , I `e il minimo e x0 `e un punto di minimo per F . Il minimo trovato `e anche il minimo di F su tutto X dal momento che per ogni x ∈ / S si ha F (x) > t > F (¯ x) > F (x0 ). Se in pi` u ogni successione minimizzante gi`a converge a x0 il punto di minimo `e unico, ma se vi sono pi` u successioni minimizzanti convergenti a punti distinti ognuno di questi `e di minimo e non vale l’unicit`a. 2 Per far rientrare il nostro caso in questo schema astratto bisogna sostituire la topologia della norma con una topologia pi` u ricca di compatti, quindi con meno aperti, in modo che ogni successione limitata ammetta sottosuccessioni convergenti, d’altra parte diminuendo la quantit` a di aperti diminuisce anche la quantit`a di funzioni continue. Bisogna dunque introdurre nello spazio una nozione abbastanza debole di convergenza da garantire la compattezza dei limitati e, dovendo rinunciare alla continuit`a di F , allo stesso tempo non troppo debole da conservarne perlomeno la semicontinuit`a. La convergenza che fa al caso nostro `e detta appunto convergenza debole, ci limitiamo per il momento ad uno spazio di Hilbert separabile, che ammette cio`e un sottoinsieme numerabile e denso. Ricordiamo che ogni spazio di Hilbert H separabile ammette una base ortonormale numerabile, cio`e un sistema numerabile (eh ) tale che heh , ek i = δhk e tale che l’insieme di tutte le combinazioni lineari finite degli eh `e denso in H. Definizione 2.15 Diciamo che la successione (uh ) ⊂ H converge debolmente a u ∈ H, e si scrive uh * u, se per ogni v ∈ H ∗ si ha hv, uh i → hv, ui . 38 Il Problema di Dirichlet H 1 (Ω) Ad esempio uh −−−−* u se per ogni v ∈ H 1 (Ω) Z Z (uh v + Duh · Dv) dx → (uv + Du · Dv) dx . Ω Ω H01 (Ω) Oppure uh −−−−* u se per ogni v ∈ H −1 (Ω), cio`e v = v0 − div V con v0 ∈ L2 (Ω) e V ∈ L2 (Ω)n , si ha Z Z (uh v0 + Duh · V ) dx → (uv0 + Du · V ) dx . Ω Ω Vediamo alcune propriet` a di questa nuova nozione di convergenza. • Se uh → u nel senso usuale, kuh − uk → 0, allora uh * u, per questo la prima `e anche detta convergenza forte. La dimostrazione `e immediata |huh − u, vi| 6 kuh − ukkvk . • Viceversa, se uh * u e in pi` u kuh k → kuk allora uh → u, basta osservare che kuh − uk2 = kuh k2 − 2huh , ui + kuk2 . • La norma di H `e s.c.i. rispetto alla convergenza debole, basta osservare che 0 6 huh − u, uh − ui = kuh k2 − 2hu, uh i + kuk2 , da cui 2hu, uh i − kuk2 6 kuh k2 e passando al limite sul primo membro e al minimo limite sul secondo si ottiene kuk2 6 lim inf kuh k2 . h→∞ • Ogni successione debolmente convergente `e limitata. Questo risultato si basa sul Teorema di Banach-Steinhaus, nel quale si afferma che se (Tn ) `e una successione di operatori lineari e continui tra due spazi di Banach X e Y allora sup kTn xk < +∞ ∀x ∈ X ⇒ n∈N sup kTn k < +∞ . n∈N Nel nostro caso, se uh * u allora per ogni v ∈ H ∗ la successione huh , vi `e limitata in R, cio`e suph huh , vi < +∞, allora suph kuh k < +∞. • Se uh * u e vh → v allora huh , vh i → hu, vi. Infatti |huh , vh i − hu, vi| 6 |huh , vh − vi| + |hu − uh , vi| , dove il primo termine tende a 0 per la disuguaglianza di Schwartz e il secondo per la definizione stessa di successione debolmente convergente. 2 Un esempio di successione convergente trigo√ a 0 debolmente in L [−π, π] `e il sistema int nometrico (en ) essendo en (t) = e / 2π. Sappiamo infatti che per ogni f ∈ L2 [−π, π] vale la disuguaglianza di Bessel n X |fˆ(k)|2 6 kf k22 , k=−n quindi la successione fˆ(k) = hf, ek i `e infinitesima. La successione (ek ) non converge fortemente a nulla. 39 2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet Proposizione 2.16 Ogni insieme debolmente chiuso lo `e anche fortemente. Viceversa, ogni convesso fortemente chiuso lo `e anche debolmente. Dimostrazione. La prima affermazione `e ovvia perch´e uh → u ⇒ uh * u. Se C `e debolmente chiuso e uh * u ⇒ u ∈ C allora alla stessa conclusione si giunge se uh → u. L’implicazione inversa, con l’ipotesi che C sia convesso, si basa su una versione alternativa del Teorema di Hahn-Banach, secondo la quale dati in uno spazio vettoriale reale V un convesso chiuso C e un compatto K disgiunti e non vuoti, esiste un iperpiano che li separa strettamente, cio`e un elemento a ∈ V ∗ e un α ∈ R tali che e C ⊂ {v ∈ V | ha, vi > α} K ⊂ {v ∈ V | ha, vi < α} . Noi abbiamo un convesso C fortemente chiuso e vogliamo dimostrare che il complementare {C `e debolmente aperto. Allora prendiamo un punto (che `e compatto) x0 ∈ / C e un iperpiano che separa strettamente x0 da C, con a e α come sopra. Tutto l’insieme debolmente aperto {v ∈ V | ha, vi < α} `e un intorno (debole) di x0 che ha intersezione vuota con C, quindi C `e debolmente chiuso. 2 Teorema 2.17 Ogni successione limitata in uno spazio di Hilbert separabile ammette una sottosuccessione convergente. Dimostrazione. Sia (un ) una successione limitata in H, dobbiamo dimostrare che esistono una u ∈ H e una sottosuccessione (ukn ) ⊂ (un ) tali che ukn * u. Rispetto ad una base ortonormale (ei ) di H, ogni un ammette la rappresentazione un = ∞ X cni ei , cni = hun , ei i = coefficienti di Fourier , i=1 nel senso della convergenza in norma lim kun − m→∞ m X cni ei k = 0 . i=1 Dall’identit` a di Parseval kun k = 2 ∞ X |cni |2 i=1 segue che se `e limitata la (un ), mettiamo kun k 6 1 per ogni n ∈ N, anche |cni | 6 1 per ogni n, i ∈ N. In particolare (cn1 ) `e limitata in R, quindi esiste una sottosuccessione (1) (1) (1) (un ) ⊂ (un ) con i relativi coefficienti di Fourier (cni ) ⊂ (cni ) tali che cn1 → c1 . (1) (1) Prendiamo adesso la (cn2 ) che `e anch’essa limitata in R. Allora dalla (un ) possiamo (2) (2) (1) estrarre una sottosuccssione (un ) con i coefficienti di Fourier (cni ) ⊂ (cni ) tali che (2) (1) cn2 → c2 . Si noti che cn2 continua a convergere a c1 . Andando avanti con questo (k) (k−1) ragionamento, al k-esimo passo si estrae una sottosuccessione (un ) ⊂ (un ) con i (k) (k−1) (k) coefficienti di Fourier (cni ) ⊂ (cni ) tali che cnj → cj per ogni j = 1, . . . , k. (n) Con procedimento diagonale si costruisce la successione (un ), anch’essa estratta (n) dalla (un ). Essa ammette la (cni )i∈N come successione dei coefficienti di Fourier la quale soddisfa (n) lim c n→∞ ni (2.17) (n) = ci ∀i ∈ N . (n) Tenendo presente P che cni = hun , ei i, se al posto degli ei mettiamo una combinazione lineare finita v = i vˆi ei , dalla (2.17) si ricava X X (n) lim hun(n) , vi = vˆi lim cni = vˆi ci , n→∞ i n→∞ i 40 Il Problema di Dirichlet quindi il funzionale (2.18) v → L(v) = lim hu(n) n , vi n→∞ dipende linearmente da v nel sottospazio V denso in H delle combinazioni lineari finite degli ei , inoltre `e limitato perch´e |L(v)| 6 sup kun(n) kkvk 6 kvk . n∈N Per il Teorema di Hahn-Banach L ammette un’estensione a tutto H, indichiamola ancora con L, che ne conserva la norma, quindi esiste u ∈ H tale che L(v) = hu, vi per ogni v ∈ H. La (2.18) ci dice che hu(n) n , vi → hu, vi ∀v ∈ V . Veniamo adesso alla stessa conclusione per ogni v ∈ H. Per ogni ε > 0 scegliamo vε ∈ V tale che kv − vε k < ε. Per n abbastanza grande si ha (n) (n) |hu(n) n − u, vi| 6 |hun − u, v − vε i| + |hun − u, vε i| (n) 6 εku(n) n − uk + ε 6 ε(kun k + kuk) + ε < 3ε . 2 Questo risultato si estende facilmente anche al caso in cui H non `e separabile. Basta considerare la chiusura del sottospazio generato dalla successione (un ), indichiamolo ˆ che `e evidentemente uno spazio di Hilbert e separabile per costruzione, allora con H, ˆ e una sottosuccessione (uk ) ⊂ (un ) tale che uk * u. Ci`o esiste un elemento u ∈ H n n ˆ si ha huh , vi → hu, vi. Ma H = H ˆ ⊕H ˆ ⊥ , ogni w ∈ H si significa che per ogni v ∈ H k ˆ e v⊥ ∈ H ˆ ⊥ , quindi pu` o scrivere in modo unico nella somma w = v + v ⊥ con v ∈ H per ogni w ∈ H si ha huhk , wi = huhk , vi + huhk , v ⊥ i = huhk , vi → hu, vi = hu, vi + hu, v ⊥ i = hu, wi . Abbiamo ora a disposizione tutti gli strumenti che ci servono per trattare il Problema di Dirichlet 2.6, nella versione variazionale(2.12), col metodo diretto del CdV. Teorema 2.18 Il Problema 2.6 ammette soluzione unica. Dimostrazione. Il funzionale Z 1 A(x)Dv · Dv − hf, vi 2 Ω ∀v ∈ H01 (Ω) `e fortemente continuo quindi s.c.i. rispetto alla convergenza forte, ma siccome `e anche convesso ogni sottolivello St (F ) = {v ∈ H01 (Ω) | F (v) 6 t} `e convesso, fortemente chiuso e quindi debolmente chiuso per la Proposizione 2.16. Allora F `e debolmente s.c.i. su H01 (Ω). Siano I l’estremo inferiore di F e (uh ) ⊂ H01 (Ω) una successione minimizzante. Con manipolazioni ormai familiari si ha λ 1 ε2 kDuh k2L2 (Ω) − 2 kf k2H −1 (Ω) − kuh k2H 1 (Ω) 0 2 2ε 2 2 λ−ε 1 = kuh k2H 1 (Ω) − 2 kf k2H −1 (Ω) 0 2 2ε F (uh ) > 2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 41 che implica la limitatezza della (uh ) kuh k2H 1 (Ω) 6 0 2 1 (F (uh ) + 2 kf k2H −1 (Ω) ) 2 λ−ε 2ε pur di scegliere ε2 < λ, dato che F (uh ) → I. Per la debole compattezza dei limitati, v. il Teorema 2.17, la (uh ) ammette una sottosuccesione (ukh ) debolmente convergente ad una certa u ∈ H01 (Ω). Questo limite u `e di minimo di F perch´e F (u) 6 lim inf F (ukh ) = lim F (uh ) = I . h→∞ h→∞ L’unicit` a discende dalla stretta convessit`a del funzionale. 2 42 Il Problema di Dirichlet Capitolo 3 Problemi non lineari 3.1 L’equazione di Eulero Non ci preoccupiamo adesso dell’esistenza di minimi, n´e di punti stazionari, vogliamo solo ricavare la condizione necessaria di stazionariet`a F 0 (u) = 0, nota come equazione di Eulero (o anche di Eulero-Lagrange) per il funzionale (3.1) F (u) = Z f (x, u(x), Du(x)) dx , Ω dove Ω `e un aperto limitato di Rn e f : Ω × Rm × Rmn → R, con la condizione al bordo u = u0 su ∂Ω. Per dare un senso all’integrale supponiamo che f soddisfi la seguente definizione. Definizione 3.1 Diciamo che f `e un integrando di Carath´ eodory se (car)1. x → f (x, z, ξ) `e misurabile per ogni (z, ξ) ∈ Rm × Rmn ; (car)2. (z, ξ) → f (x, z, ξ) `e continua per quasi ogni x ∈ Ω. Inoltre, affinch´e F sia ben definito sullo spazio di Sobolev W 1,p (Ω, Rm ), con p > 1, possiamo assumere ad esempio che f soddisfi una condizione del tipo |f (x, z, ξ)| 6 a(x) + b|z|p + c|ξ|p per q.o. x ∈ Ω , ∀z ∈ Rm , ∀ξ ∈ Rmn , dove a ∈ L1 (Ω) e b, c > 0. Naturalmente i passaggi formali di derivazione che stiamo per fare richiedono ulteriori ipotesi di regolarit`a su f , tra le quali la differenziabilit` a almeno fino al secondo ordine, ma le vedremo strada facendo. Riguardo alla condizione al bordo, scelta u0 ∈ W 1,p (Ω, Rm ), il modo corretto di intenderla `e u − u0 ∈ W01,p (Ω, Rm ), ma bisogna fare l’ulteriore ipotesi che ∂Ω sia lipschitziano, a meno che u0 non sia identicamente nulla. A partire da un certo elemento u ∈ u0 + W01,p (Ω, Rm ), tutte le variazioni u + tϕ, con ϕ ∈ C0∞ (Ω), appartengono alla stessa variet`a lineare. Ora, supponiamo in pi` u che u sia stazionario per F . Allora la funzione t → F (u + tϕ) ammette t = 0 come punto stazionario in R, quindi (3.2) d F (u + tϕ)|t=0 = 0 dt ∀ϕ ∈ C0∞ (Ω) . Il primo membro non `e altro che l’analogo della derivata direzionale per le funzioni ordinarie L(ϕ) = hF 0 (u), ϕi 44 Problemi non lineari e, se esiste, prende il nome di derivata di Gˆ ateaux di F . Passando la derivata rispetto a t sotto il segno di integrale e integrando per parti, la (3.2) diventa Z X n m X ∂ϕ ∂f ∂f i L(ϕ) = (x, u, Du)ϕi + (x, u, Du) dx ∂zi ∂ξ ∂x ij j Ω i=1 j=1 Z = (∇z f (x, u, Du) · ϕ + ∇ξ f (x, u, Du) · Dϕ) dx Ω Z = (∇z f (x, u, Du) − divx ∇ξ f (x, u, Du)) ϕ dx = 0 Ω per ogni ϕ ∈ C0∞ (Ω). Per l’arbitrariet`a di ϕ, adattando il ragionamento del Lemma B.10 al caso presente, si ottiene l’equazione differenziale del secondo ordine (3.3) divx ∇ξ f (x, u(x), Du(x)) − ∇z f (x, u(x), Du(x)) = 0 ∀x ∈ Ω . Vale anche qui ci` o che `e stato detto nel § 1.2 del Cap. 1, la condizione di stazionariet`a diventa sufficiente, affinch´e u sia di minimo, nel caso che F sia convessa. Se poi F `e strettamente convessa il minimo `e unico. Problema a parte `e capire quali condizioni su f garantiscano la convessit` a di F . Definizione 3.2 Una funzione u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω) che risolve puntualmente la (3.3) viene detta soluzione classica. Se u ∈ W 1,p (Ω, Rm ) soddisfa Z < F 0 (u), ϕ >= (∇z f (x, u, Du) · ϕ + ∇ξ f (x, u, Du) · Dϕ) dx = 0 Ω per ogni ϕ ∈ C0∞ (Ω), allora diciamo che u risolve la (3.3) nel senso delle distribuzioni, oppure che u `e una soluzione debole della (3.3). Il caso classico richiede che f sia di classe C 2 , altrimenti, affinch´e F 0 (u) sia ben definito su W 1,p , dobbiamo fare delle ipotesi sul comportamento di ∇z f e ∇ξ f per le quali rimandiamo a [9]. Vediamo la forma che la (3.3) assume nei vari casi. Se m = n = 1 si tratta dell’equazione differenziale ordinaria in u d ∂f ∂f (x, u, u0 ) − (x, u, u0 ) = 0 ; dx ∂ξ ∂z se m > n = 1 `e il sistema di equazioni ordinarie d ∂f ∂f (x, u, u0 ) − (x, u, u0 ) = 0 , dx ∂ξi ∂zi i = 1, . . . , m . Questi primi due li abbiamo gi` a trattati nel Cap. 1 con i relativi ed eventuali integrali primi che ci hanno permesso di semplificarle. Se m = 1 < n si ottiene l’equazione alle derivate parziali n X ∂f ∂ ∂f (x, u, Du) − (x, u, Du) = 0 ; ∂x ∂ξ ∂z j j j=1 se m, n > 1 `e il sistema di equazioni alle derivate parziali n X ∂ ∂f ∂f (x, u, Du) − (x, u, Du) = 0 , ∂x ∂ξ ∂z j ij i j=1 i = 1, . . . , m . 45 3.1 L’equazione di Eulero Come esempio, tra i tanti possibili, citiamo il seguente, sia per la sua importanza, anche storica, sia perch´e ci richiama ala mente il nostro vecchio problema della superficie di rivoluzione di area minima col quale ha degli aspetti comuni. Il problema di Plateau. L’equazione di Eulero per il problema dell’area minima Z p 2 1 + |Du| dx | u = u0 su ∂Ω min Ω `e l’equazione della curvatura media nulla con condizioni al bordo div p Du =0 in Ω (3.4) 1 + |Du|2 u = u0 su ∂Ω . Vediamo un controesempio all’esistenza (v. [12]). Sia Ω l’anello circolare BR (0) − Br (0), con 0 < r < R. Come condizioni al bordo imponiamo u(r) = M > 0 e u(R) = 0. Per motivi di simmetria `e lecito cercare la soluzione tra le funzioni a simmetria circolare, del tipo u(ρ) con r < ρ < R. Per vederlo con maggiore rigore, basta partire dalla sua espressione in coordinate polari u(ρ, ϑ) e poi osservare che Z R q Z R q Z 2π Z 2π ρ 1 + u2ρ dρ . ρ 1 + u2ρ + u2ϑ /ρ2 dρ > dϑ dϑ F (u) = 0 r 0 r Se cancellare uϑ non fa aumentare il valore del funzionale vuol dire che il minimo viene raggiunto da una funzione che non dipende da ϑ, quindi, a parte il fattore 2π, il funzionale da minimizzare diventa Z R p F (u) = ρ 1 + u0 (ρ)2 dρ . r Tenendo presente che l’integrando non dipende da u, si ottiene l’equazione di Eulero ρu0 p =c 1 + u0 (ρ)2 che si trasforma facilmente nella −c u0 = p , ρ2 − c2 0 < c < r, dove c > 0 perch´e u0 ha segno costante e u(r) > u(R). Dopo facili calcoli si ricava l’integrale generale p u(ρ) = k − c log(ρ + ρ2 − c2 ) , r < ρ < R, che con la condizione su ∂BR (0) diventa √ R2 − c2 p u(ρ) = c log . ρ + ρ 2 − c2 R+ L’altra condizione sarebbe √ R + R2 − c2 √ u(r) = c log =M, r + r2 − c2 ma la funzione di c ∈ (0, r) che compare a primo membro `e crescente e limitata, quindi per M abbastanza grande non c’`e soluzione, almeno nel senso classico. Come nell’esempio visto in precedenza, bisognerebbe accettare come soluzioni delle funzioni che ammettono salti, anche in questo caso in corrispondenza dei dati al bordo, ma si uscirebbe dall’ambito classico. Il motivo della mancata esistenza di soluzioni classiche sta nel fatto che questo dominio non soddisfa la bounded slope condition. 46 Problemi non lineari 3.2 Il metodo diretto In questo paragrafo seguiamo la traccia di [10]. I risultati generali che stabiliscono l’esistenza di soluzioni di problemi variazionali si basano (praticamente tutti) sull’idea fondamentale, dovuta a Tonelli, di combinare la semicontinuit`a del funzionale con la compattezza del suo dominio. Questo tipo di approccio, originato dal famoso teorema di Weierstraß sugli estremi delle funzioni continue di variabile reale, `e noto come metodo diretto perch´e non passa dalle equazioni di Eulero, ma `e rivolto a studiare direttamente le propriet` a del funzionale. Con Hilbert e il progredire degli studi sugli spazi funzionali l’idea ha subito successive elaborazioni, generalizzazioni e raffinamenti, fino a diventare, con Tonelli, il nucleo fondamentale attorno al quale gravita il CdV. Per poter applicare il metodo diretto, bisogna formulare il problema di minimo in uno spazio munito di una topologia abbastanza forte da rendere semicontinuo il funzionale e allo stesso tempo abbastanza debole perch´e esista una quantit`a sufficientemente grande di insiemi compatti. Ma di fronte a un caso in cui non `e possibile ottenere le due propriet` a insieme non possiamo concludere che non vi sono soluzioni perch´e le due propriet` a sono solo una condizione sufficiente. Se vi sono ragioni per cui la soluzione debba esistere comunque, allora il problema andr`a analizzato autonomamente con uno studio specifico, altrimenti si dovr`a dimostrare che la soluzione non c’`e. Definizione 3.3 Uno spazio topologico X soddisfa il I assioma di numerabilit` a se ogni punto x ∈ X ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile. In un tale spazio la topologia `e univocamente determinata dalla nozione di convergenza delle successioni e le propriet` a topologiche degli insiemi, di essere aperto, chiuso, compatto ecc., si possono descrivere in termini di successioni. Definizione 3.4 Una funzione F : X → R `e semicontinua inferiormente (s.c.i.) se F (x) 6 lim inf F (y) y→x per ogni x ∈ X. F `e sequenzialmente semicontinua inferiormente (seq-s.c.i.) se F (x) 6 lim inf F (xh ) h→∞ per ogni successione (xh ) ⊂ X tale che xh → x. Proposizione 3.5 In generale F s.c.i. ⇒ F seq − s.c.i. e vale anche l’implicazione opposta se X soddisfa il I assioma di numerabilit` a. Per i nostri scopi, X sar` a uno spazio di Banach, o almeno sicuramente uno spazio metrico, quindi useremo solo la semicontinuit`a sequenziale. Ricordiamo che F `e s.c.i. se e solo se per ogni t ∈ R l’insieme St = {x ∈ X | F (x) 6 t} `e chiuso. Ricordiamo inoltre che una successione minimizzante per F `e una successione (xh ) ⊂ X tale che F (xh ) → inf F e che dalle propriet` a dell’estremo inferiore una tale successione esiste sempre. Teorema 3.6 (Il metodo diretto) Se X `e uno spazio metrico compatto ogni funzione F : X → R s.c.i. ammette minimo in X. 47 3.2 Il metodo diretto Dimostrazione. Sia (xh ) ⊂ X una successione minimizzante. Poich´e X `e compatto, esistono una sottosuccessione (xkh ) ⊂ (xh ) e un punto x ∈ X tali che xkh → x. Per la semicontinuit` a di F si ottiene F (x) 6 lim inf F (xkh ) = inf F (y) h→∞ y∈X dunque il punto x `e di minimo per F . 2 Spesso lo spazio X non `e compatto, ma ci`o che serve `e la compattezza delle successioni minimizzanti che pu` o essere recuperata con una propriet`a aggiuntiva del funzionale. Si ottiene in questo modo una variante al Teorema 3.6 che fornisce ancora l’esistenza del minimo. Definizione 3.7 Diciamo che F : X → R `e coerciva se per ogni t ∈ R esiste K ⊂ X compatto tale che {x ∈ X | F (x) 6 t} ⊂ K . Oppure, in modo equivalente, se l’insieme {x ∈ X | F (x) 6 t} `e compatto. Ricordiamo che gli insiemi compatti sono necessariamente chiusi in uno spazio di Hausdorff e ogni spazio metrico lo `e. Teorema 3.8 Se F : X → R `e s.c.i. e coerciva allora ammette minimo in X. Dimostrazione. Sia t ∈ R tale che l’insieme {x ∈ X | F (x) 6 t} 6= ∅ (basta scegliere un punto qualsiasi x0 ∈ X e un t > F (x0 )) e sia K la chiusura di tale insieme. Siccome K `e compatto, F ammette minimo in K, cio`e esiste x ∈ X tale che F (x) 6 F (y) per ogni y ∈ K. Ma x `e di minimo su tutto X perch´e se y ∈ X − K si ha F (x) 6 t < F (y). 2 Osservazione 3.9 Sul Teorema 3.8 si basa l’uso della topologia debole: se X `e uno spazio di Banach riflessivo, dove i limitati sono debolmente compatti, allora F : X → R `e debolmente coerciva ⇔ lim kxk→+∞ F (x) = +∞ . Infatti se t viene scelto come prima, per un certo r > 0 F (x) > t se kxk > r, quindi {x ∈ X | F (x) 6 t} ⊂ Br (0) che `e debolmente compatto. Se per la coercivit` a dobbiamo usare la topologia debole, l’uso congiunto con la semicontinuit` a ci costringe a porci la domanda: quali funzioni sono debolmente s.c.i.? Ovviamente costituiscono un sottoinsieme di quelle fortemente s.c.i. in quanto St σ-chiuso in X ⇒ St τ -chiuso in X , dove σ e τ indicano la topologia debole e forte rispettivamente. Ma se facciamo l’ipotesi aggiuntiva che St sia convesso, naturalmente con X spazio vettoriale normato, per il teorema di Hahn-Banach vale anche l’implicazione opposta. Con ci`o abbiamo dimostrato la seguente proposizione. Proposizione 3.10 Se X `e uno spazio normato una funzione F : X → R `e σ − s.c.i. se e solo se `e τ − s.c.i.. Teorema 3.11 Siano (Ω, T , µ) uno spazio di misura, dove µ `e positiva e σ-finita, X = Lpµ (Ω, Rn ), 1 6 p < +∞ e f : Ω×Rn → R una funzione T ⊗B(Rn )-misurabile tale che 48 Problemi non lineari (i) f (x, ξ) > −a(x) − b|ξ|p , (ii) ξ → f (x, ξ) s.c.i. su Rn . a ∈ L1µ (Ω) , b ∈ R; Allora il funzionale F (u) = Z f (x, u(x))dµ(x) Ω `e ben definito e τ -s.c.i. in Lpµ (Ω, Rn ). Se in pi` u ξ → f (x, ξ) `e convessa allora F `e σ-s.c.i. in Lpµ (Ω, Rn ). Dimostrazione. Dalla (i) segue che la parte negativa, f − , dell’integrando f (x, u(x)) ha integrale finito, quindi F `e ben definito. Siano uh , u ∈ Lpµ (Ω, Rn ) tali che uh → u in Lpµ (Ω, Rn ). A meno di passare a sottosuccessioni, uh → u puntualmente quasi ovunque e per la (ii) f (x, u(x)) 6 lim inf f (x, uh (x)) h→∞ q.o. in Ω . Per il lemma di Fatou Z Z Z f (x, u(x)) dx 6 lim inf f (x, uh (x)) 6 lim inf f (x, uh (x)) dx . Ω Ω h→∞ h→∞ Ω Infine, se ξ → f (x, ξ) `e convessa allora anche F `e convesso e quindi σ-s.c.i.in Lpµ (Ω, Rn ). 2 Teorema 3.12 Siano Ω un aperto di Rn , µ la misura di Lebesgue e f come nel Teorema 3.11. Allora il funzionale Z F (u) = f (x, Du(x)) dx Ω `e τ -s.c.i. in W 1,p (Ω) e se in pi` u ξ → f (x, ξ) `e convessa F (u) `e σ-s.c.i. in W 1,p (Ω). Dimostrazione. Per il Teorema 3.11 il funzionale Z G(w) = f (x, w(x)) dx Ω `e τ -s.c.i., l’operazione di derivazione D : W 1,p (Ω) → Lp (Ω, Rn ) `e continua, quindi la composizione u → F (u) `e τ -s.c.i. in W 1,p (Ω). L’ultima affermazione `e a questo punto ovvia. 2 Adesso abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per risolvere il problema variazionale Z f (x, Du(x)) dx min 1,p u∈W0 (Ω) Ω sotto le ipotesi: 1. ξ → f (x, ξ) s.c.i.; 2. ξ → f (x, ξ) convessa; 3. f (x, ξ) > −a(x) + b|ξ|p , con 1 < p < +∞, a ∈ L1 (Ω) e b > 0. 49 3.2 Il metodo diretto L’esistenza di una soluzione discende dalle seguenti considerazioni: - F `e σ-s.c.i. in W 1,p (Ω) e quindi in W01,p (Ω); - essendo la norma di u in W01,p (Ω) equivalente alla norma in Lp (Ω, Rn ) di Du ed essendo W 1,p (Ω) uno spazio di Banach riflessivo per 1 < p < +∞, dalla disuguaglianza Z Z F (u) > − a(x) dx + b |Du(x)|p dx Ω Ω segue che F `e coerciva in W01,p (Ω). Esercizio 3.1 Dimostrare l’esistenza del minimo con dati al bordo non omogenei u − u0 ∈ W01,p (Ω). Riguardo al caso p = 1 abbiamo gi`a visto un controesempio all’esistenza per il funzionale dell’area, sebbene valga in W 1,1 (Ω) la stessa disuguaglianza (3.2), ma questo spazio non `e riflessivo. Un altro controesempio `e Z 1 0 1,1 (1 + |x|)|u (x)| dx | u ∈ W (−1, 1) , u(−1) = −1 , u(1) = 1 . min −1 Una funzione u ∈ W 1,1 (−1, 1) non nulla agli estremi non pu`o essere quasi ovunque nulla su ] − 1, 1[, quindi Z 1 Z 1 0 0 u (x) dx = 2 . F (u) > |u (x)| dx > −1 −1 D’altra parte F (uh ) → 2 se hx + h − 1 uh (x) = 0 hx − h + 1 se − 1 < x 6 −1 + h1 se − 1 + h1 < x < 1 − se 1 − h1 6 x < 1 . 1 h Dimostriamo adesso che la convessit`a di un integrando, a valori reali finiti, `e una condizione anche necessaria per la semicontinuit`a debole del funzionale. L’ipotesi che faremo su f di essere continua non `e restrittiva perch´e, essendo a valori reali, la convessit` a implica la continuit`a. Teorema 3.13 Sia Ω un aperto limitato di Rn e f : Ω × Rn → R un integrando di Carath´eodory tale che per ogni R > 0 esiste gR ∈ L1 (Ω) tale che |f (x, ξ)| 6 gR (x) per ogni x q.o. in Ω e per ogni ξ ∈ BR (0). Se il funzionale F : W 1,∞ (Ω) → R definito da Z F (u) = f (x, Du(x)) dx Ω ∗ `e σ -s.c.i. in W Ω. 1,∞ (Ω) allora la funzione ξ → f (x, ξ) `e convessa per ogni x q.o. in Il Teorema 3.13 pu` o essere applicato anche al caso di un funzionale σ-s.c.i. in W 1,p (Ω) con la condizione |f (x, ξ)| 6 a(x) + b|ξ|p (basta scegliere gR (x) = a(x)+bRp ) perch´e se F `e σ-s.c.i. in W 1,p (Ω) allora `e σ ∗ -s.c.i. in W 1,∞ (Ω). 50 Problemi non lineari Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che, dati ξ1 , ξ2 ∈ Rn e λ ∈ [0, 1], posto ξ = λξ1 + (1 − λ)ξ2 , deve essere f (x, ξ) 6 λf (x, ξ1 ) + (1 − λ)f (x, ξ2 ) . Sia lξ la funzione lineare lξ (x) = ξ · x. Costruiamo una successione (uh ) di funzioni continue e affini a tratti, convergente a lξ debolmente∗ in W 1,∞ (Ω), il cui gradiente assume solo i valori ξ1 e ξ2 . Sia χ(t), t ∈ R, il prolungamento 1-periodico della funzione 1 se 0 6 t < λ χ0 (t) = 0 se λ 6 t < 1 Fissato un versore e ∈ Rn , affinch´e la funzione costante a tratti su Rn w(x) = ξ1 χ(x · e) + ξ2 (1 − χ(x · e)) sia un gradiente, deve soddisfare le condizioni di integrabilit`a Di wj − Dj wi = 0 che in forma debole diventano Z (wj Di ϕ − wi Dj ϕ) dx = 0 Rn ∀ϕ ∈ C0∞ (Rn ) . Scegliendo come supporto di ϕ una piccola palla che interseca il piano x · e = λ, dopo facili calcoli si vede che e deve essere parallelo al vettore ξ1 − ξ2 . Du = ξ2 Du = ξ1 Du = ξ2 lξ Du = ξ1 e * Figura 3.1: La funzione a zig-zag Una funzione u che ammette w come gradiente `e il prolungamento continuo della funzione ξ1 · x se 0 6 x · e < λ u0 (x) = ξ2 · x + λ|ξ1 − ξ2 | se λ 6 x · e < 1 in modo che u − lξ sia 1-periodico nella direzione di e. Sui piani x · e ∈ Z u − lξ = 0 e ku − lξ k∞ = λ(1 − λ)|ξ1 − ξ2 | . Introdotta la successione uh (x) = si ha kuh − lξ k∞ = 1 u(hx) , h 1 λ(1 − λ)|ξ1 − ξ2 | kuh − lξ k∞ = →0 h h mentre Duh *∗ ξ in L∞ (Rn ), quindi uh *∗ lξ in W 1,∞ (Rn ). Tenendo presente che Duh (x) = ξ1 χh (x · e) + ξ2 (1 − χh (x · e)), dove χh (t) = χ(ht)/h e χh *∗ λ, dalla 51 3.2 Il metodo diretto semicontinuit` a di F segue Z Z F (lξ ) = f (x, ξ) dx 6 lim inf F (uh ) = lim inf f (x, Duh (x)) dx h→∞ h→∞ Ω Ω Z = lim inf [f (x, ξ1 )χh (x · e) + f (x, ξ2 )(1 − χh (x · e))] dx h→∞ Ω Z Z =λ f (x, ξ1 ) dx + (1 − λ) f (x, ξ2 ) dx . Ω Ω Per eliminare i segni di integrale dimostriamo che `e possibile localizzare la disuguaglianza ottenuta scrivendola su ogni aperto A a chiusura compatta in Ω, un fatto non ovvio perch´e non sappiamo ancora se F `e s.c.i. anche su A. Fissati A, B tali che B ⊂⊂ A ⊂⊂ Ω, sia ϕ una funzione di taglio (detta per questo cut off), cio`e ϕ ∈ C0∞ (A), 0 6 ϕ 6 1 e ϕ = 1 su B. Infine consideriamo la successione vh = ϕuh + (1 − ϕ)lξ , ` evidente che vh = uh su B, vh = lξ su dove uh `e la successione costruita sopra. E ∗ 1,∞ Ω − A e vh * lξ in W (Ω). Dunque Z f (x, ξ) dx 6 lim inf h→∞ Ω = lim inf Z f (x, Dvh (x)) dx Ω Z h→∞ f (x, Duh ) dx + Z B f (x, Dvh ) dx + A−B h→∞ B f (x, ξ) dx Ω−A e portando a sinistra l’ultimo termine Z Z Z f (x, ξ) dx 6 lim inf f (x, Duh (x)) dx + A Z f (x, Dvh (x)) dx , A−B dove lim h→∞ Z f (x, Duh (x)) dx = λ B Z f (x, ξ1 ) dx + (1 − λ) Z B f (x, ξ2 ) dx . B Su A − B Dvh = ϕDuh + (1 − ϕ)ξ + (uh − lξ )Dϕ , da cui |Dvh | 6 |Duh | + |ξ| + kuh − lξ k∞ |Dϕ| 6 1 + 2 max{|ξ1 |, |ξ2 |} = R e quindi Z |f (x, Dvh )| dx 6 A−B Z gR (x) dx . A−B Dalla (3.2) si ottiene Z Z Z Z f (x, ξ) dx 6 λ f (x, ξ1 ) dx + (1 − λ) f (x, ξ2 ) dx + A B B gR (x) dx ∀B ⊂⊂ A . A−B Quando B tende a ricoprire tutto A si ottiene la disuguaglianza puntuale in A, ma in questo senso: ∀ξ1 , ξ2 ∈ Rn e ∀λ ∈ [0, 1] ∃Nξ1 ,ξ2 ,λ ⊂ Ω di misura nulla tale che 52 Problemi non lineari f (x, ξ) 6 λf (x, ξ1 ) + (1 − λ)f (x, ξ2 ) ∀x ∈ Ω − Nξ1 ,ξ2 ,λ . Consideriamo allora l’insieme N unione di tutti gli Nξ1 ,ξ2 ,λ al variare di ξ1 e ξ2 in Qn e di λ in Q ∩ [0, 1]. Tale insieme ha misura nulla e per ogni x ∈ Ω − N la funzione ξ → f (x, ξ) `e convessa in Qn ed essendo continua `e convessa anche su Rn . 2 Il seguente esempio, del tipo dell’Esercizio 1.3, mostra che senza l’ipotesi di convessit` a il minimo pu` o non esistere. 3.1 Se Ω =] − 1, 1[×] − 1, 1[ il problema di minimo Z min ((D1 u)2 − 1)2 + (D2 u)4 dx 1,4 u∈W0 (Ω) Ω non ha soluzione. Costruiamo una successione (uh ) di funzioni “zig-zag” come nel Teorema 3.13, convergente uniformemente a 0, tale che D2 uh = 0 e che D1 uh = ±1, in modo che F (uh ) = 0. Siccome questa successione non soddisfa i dati al bordo, la modifichiamo con l’uso di una funzione di taglio. Per ogni B ⊂⊂ Ω siano ϕ ∈ C0∞ (Ω) tale che ϕ = 1 in B e vh = ϕuh . Allora 0 6 inf F 6 F (vh ) 6 F (uh ) + Rh (B) , dove lim lim sup Rh (B) = 0 . B%Ω h→∞ Poich´e F (uh ) = 0, inf F = 0. Se esistesse una funzione ammissibile u tale che F (u) = 0, dovrebbe essere D2 u = 0 in Ω e u dipenderebbe solo da x1 , ma imponendo i dati al bordo si otterrebbe u = 0 in Ω. Questo `e assurdo perch´e F (0) = m(Ω) = 1. Capitolo 4 Omogeneizzazione e G-convergenza L’omogeneizzazione `e una descrizione matematica del comportamento dei materiali compositi da un punto di vista macroscopico. Una struttura costituita da materiale composito `e un continuo nel quale la legge costitutiva `e variabile da punto a punto o da zona a zona. In altre parole, il continuo presenta una distribuzione di materiali caratterizzati da parametri che assumono valori differenti. Fra i tanti, si possono elencare i seguenti casi: • diverse conducibilit` a elettriche o termiche in un conduttore; • diversi valori delle costanti elastiche in un solido elastico; • diverse rigidezze di una struttura elastica; • distribuzioni di fori e fessurazioni, di isolanti e di rinforzi pi` u o meno rigidi; • fibre e strati sottili rinforzanti nelle strutture; • mezzi continui con microstrutture: cristalli, porosit`a ecc.; • policristalli, cio`e quei materiali anisotropi in cui varia da punto a punto solo l’orientazione degli assi cristallografici. Tali disomogeneit` a possono essere distribuite in maniera casuale, come i sassi nel cemento, si parla allora di compositi random e di omogeneizzazione stocastica, oppure possono essere intenzionali, distribuite con dei criteri precisi in modo da rinforzare le parti pi` u deboli di una struttura, per proteggerla ad esempio da eventuali dispersioni di calore e cos`ı via. Supponiamo adesso che i diversi materiali compongono una struttura, soggetta a determinate azioni esterne, siano distribuiti in maniera molto fitta, con rapide oscillazioni spaziali nel passaggio da un componente all’altro. Allora il comportamento che ne deriva non si presta pi` u ad essere descritto in maniera esatta punto per punto, mentre invece pu` o diventare conveniente studiarne localmente la media, adottando una lunghezza di scala macroscopica. Con questo approccio si possono ottenere “in grande” informazioni addirittura pi` u utili e significative . Il problema fondamentale in omogeneizzazione `e allora cercare di determinare quale “materiale medio” va sostituito a quello rapidamente variabile affinch´e ne venga preservato il comportamento medio. Esso viene chiamato materiale effettivo. Il caso pi` u semplice `e quello di una struttura periodica che obbedisce ad una legge costitutiva di tipo lineare. Consideriamo ad esempio il sistema dell’elasticit`a lineare div σ = 0 σ = Ce(u) e(u) = 12 (∇u + ∇uT ) , 54 Omogeneizzazione e G-convergenza dove C `e Q-periodico (Q `e il cubo unitario di R3 e C(x + ei ) = C(x) per ogni x ∈ R3 e per ogni ei della base canonica), insieme a tutte le sue soluzioni Q-periodiche (u, σ). Per definizione il tensore elastico effettivo, l’omogeneizzato di C, `e quel tensore costante C∗ che correla linearmente ogni deformazione media he(u)i con la media hσi = hCe(u)i dello sforzo corrispondente, secondo la legge di Hooke effettiva hσi = C∗ he(u)i . L’omogeneizzazione consiste dunque nel passaggio da C(x) a C∗ . Ovviamente C∗ non coincide con la semplice media di C(x) su Q e la sua determinazione richiede la risoluzione di un’equazione differenziale, di un sistema in questo caso, alle derivate parziali e a coefficienti variabili. Questo argomento ha suscitato un certo interesse gi`a sul finire del XIX secolo, soprattutto per le applicazioni ingegneristiche, ma solo a partire dagli anni ’60 del XX `e stato riscoperto in ambito matematico diventando una teoria rigorosa che ha dato prova di grande utilit` a. Studi sistematici e ricerche in molte direzioni sono stati avviati dando frutti di notevole interesse in numerosi campi negli anni e nei decenni successivi. Le applicazioni sono molteplici e i singoli problemi ne mettono in luce di continuo sempre nuovi aspetti e propriet`a, v. [2], [3], [21]. A titolo di esempio, citiamo, tra i tanti, alcuni settori dell’Analisi e della Meccanica che interagiscono con l’omogeneizzazione in modo naturale per il tipo d’indagine con cui vengono coltivati. Problemi inversi - Si tratta di ricavare informazioni su certi parametri, possibilmente determinarne il valore, che nei problemi tradizionali dell’Analisi sono assegnati, a partire da misurazioni effettuate sulle soluzioni. La non unicit`a e l’assenza di stabilit` a sono tipiche di questi problemi che infatti vengono detti mal posti. Ora, se i parametri da determinare sono quelli che descrivono il mezzo, l’inevitabile grossolanit`a delle misurazioni ci costringe a tener conto di un eventuale fenomeno di instabilit`a materiale che si presta ad essere descritto con metodi di omogeneizzazione. In [14] Kohn e Vogelius mettono bene in evidenza questo fenomeno trattando un problema significativo legato alla tomografia. Si veda anche [1] e [17]. Ottimizzazione strutturale - Assegnata una classe di materiali disponibili, con eventuali vincoli sulle loro quantit` a, `e richiesto di distribuirli in modo che il comportamento della struttura soddisfi certi requisiti di ottimalit`a, ad esempio offra la massima resistenza o minimizzi certi costi. Dal momento che le informazioni sui parametri caratteristici dei componenti e sulla loro distribuzione sono contenute nei coefficienti dell’operatore, problemi di questo tipo vengono detti di controllo sui coefficienti. Anche questi sono mal posti, nel senso che il materiale pi` u conveniente pu`o non esistere. Ci` o che per` o esiste, con riferimento ad un problema di minimo (costo, energia o quant’altro), `e una successione minimizzante di compositi ammissibili. Con un’adeguata nozione di convergenza di questi compositi possiamo immaginare che il limite di questa successione sia un materiale in cui i componenti iniziali non sono pi` u distinguibili, quindi non ammissibile, ma che pu`o essere comunque considerato come il materiale ottimale in un senso generalizzato. Sar`a la soluzione di un nuovo problema di ottimizzazione, detto problema rilassato, ambientato nella classe pi` u ampia dei materiali ottenibili per omogeneizzazione a partire da quelli assegnati, in cui si chiede di rendere minimo un nuovo costo, espresso da un opportuno funzionale rilassato che ammette sempre minimo. I suoi punti di minimo sono i limiti delle successioni minimizzanti del funzionale iniziale. Risolto il problema rilassato, siamo cos`ı in grado di costruire dei compositi arbitrariamente “vicini” alla soluzione ottimale. Sono di notevole interesse anche i problemi di ottimizzazione della forma, si pensi al problema di Newton della minima resistenza al moto, il primo nella storia dell’aerodinamica, che possono rientrare in quelli cui abbiamo accennato come casi degeneri, 55 4.1 Il caso unidimensionale e un esempio in cui i valori caratteristici dei componenti possono annullarsi (in corrispondenza dei vuoti, o degli isolanti). Essi presentano difficolt`a aggiuntive a causa della perdita di coercivit` a dell’equazione di equilibrio. Cristalli - Il problema dell’equilibrio si traduce nella minimizzazione di un funzionale non convesso, il cui integrando, la densit`a di energia, `e una funzione del tensore di Cauchy-Green invariante rispetto a certe rotazioni di un gruppo finito, legato alle simmetrie del cristallo, [4]. I diversi punti di minimo che essa presenta corrispondono alle diversi fasi che possono convivere in un cristallo (twinning) in condizioni di equilibrio. Ma poich´e il gradiente di deformazione non rispetta le condizioni di compatibilit` a attraverso l’interfaccia tra una fase e quella adiacente, si assiste ad una tendenza delle diverse fasi a mescolarsi in maniera sempre pi` u fitta. Infatti il funzionale ammette successioni minimizzanti lineari a tratti, convergenti verso una soluzione omogeneizzata, una fase “media” che rappresenta un punto di minimo del funzionale rilassato. Questo fenomeno trova analogie in altre situazioni come la formazione di piccole pieghe nella trazione di tessuti e membrane inestensibili, [20], [22]. 4.1 Il caso unidimensionale e un esempio Sia a(x) una funzione misurabile e 1-periodica su R, a valori nell’intervallo [α, β], β > α > 0. La funzione aε (x) = a(x/ε) , ε > 0, `e ε-periodica. Il parametro ε rappresenta la lunghezza di scala della microstruttura descritta da aε . Consideriamo poi la successione di problemi ( in ]0, 1[ −(aε u0ε )0 = f uε (0) = uε (1) = 0 , con f assegnata su ]0, 1[. Vogliamo studiare il comportamento asintotico di uε quando ε → 0, cio`e quando le oscillazioni di aε si fanno sempre pi` u rapide. Per integrazione diretta si ottiene Z x F (x) + c , F (x) = f (t) dt . u0ε (x) = − aε 0 Siano J un intervallo limitato e Jε un intervallo di ampiezza ε contenuto in J. Con un semplice cambio di variabile si ottiene Z Z 1 aε (x)−1 dx = ε a(x)−1 dx . Jε 0 Poich´e il numero di intervalli disgiunti del tipo Jε contenuti in J `e dell’ordine di m(J)/ε, si ha Z Z m(J) −1 aε (x) dx ∼ aε (x)−1 dx ε Jε J e per ε → 0 si ottiene la convergenza delle medie Z Z 1 1 aε (x)−1 dx → a(x)−1 dx = ha−1 i , m(J) J 0 ∞ −1 cio`e a−1 i. Quindi la successione (uε ) converge ε converge debolmente* in L (R) a ha alla soluzione u del problema limite ( −a∗ u00 = f in ]0, 1[ uε (0) = uε (1) = 0 , 56 Omogeneizzazione e G-convergenza dove il coefficiente a∗ `e l’omogeneizzato di a (4.1) a∗ = ha−1 i−1 . Osserviamo fin da ora che questo nuovo tipo di convergenza, sebbene sia definita attraverso un problema con dati all’interno e sul bordo, `e di natura locale e dipende solo dal coefficiente a(x). Infatti il coefficiente effettivo nel seguente problema con a periodica ( (au0 )0 = 0 in R (4.2) u0 1-periodica , dovendo per definizione correlare la media di u0 con la media di au0 , soddisfa (4.3) a∗ hu0 i = hau0 i . Ora, con una integrazione della (4.2) si ottiene au0 = c = hau0 i , inoltre u0 = c a e hu0 i = cha−1 i ` evidente quindi il carattere puramente locale e dalla (4.3) si ricava subito la (4.1). E dell’omogeneizzato. Come applicazione, consideriamo il seguente esempio unidimensionale di problema di controllo sui coefficienti. Per progettare una trave che occupa l’intervallo Ω =]0, 1[ siano disponibili le due sole rigidezze assiali α, β > 0. Siano Ω1 e Ω2 sottoinsiemi aperti ¯1 ∪ Ω ¯ 2 = Ω. ¯ Indicando con χ la funzione caratteristica di e disgiunti di Ω tali che Ω Ω1 ( 1 se x ∈ Ω1 χ(x) = , 0 se x ∈ Ω2 riempire Ω1 con materiale del tipo α e Ω2 con quello del tipo β corrisponde a definire la rigidezza variabile a(x) = αχ(x) + β(1 − χ(x)) . Ci proponiamo di distribuire i due materiali in modo ottimale, come richiesto nel seguente problema modello. Problema 4.1 - Trovare Ω1 e Ω2 tali che, se ua ∈ H01 (Ω) `e l’unica soluzione del problema al bordo ( in Ω −(a(x)u0a )0 = 1 (4.4) ua (0) = ua (1) = 0 , risulti minimo il valore del funzionale (4.5) F (a) = kua − wkL2 (Ω) , dove w `e una funzione assegnata in H01 (Ω). Il costo in (4.5) da minimizzare rappresenta una ragionevole distanza tra lo spostamento che la struttura pu` o subire, se progettata con i materiali disponibili, e uno spostamento ottimale, assunto come obiettivo, espresso dalla w. Numerose possono essere le varianti, per esempio si potrebbe fissare un vincolo sulla percentuale di 57 4.1 Il caso unidimensionale e un esempio volume occupato da ciascun materiale, imponendo che l’ntegrale di χ abbia un certo valore tra 0 e 1. Anche per il funzionale costo si possono fare altre scelte. Per esempio chi `e interessato a massimizzare la resistenza di una struttura di solito cerca una distribuzione di rigidezze che minimizzi il lavoro complessivo del carico perch´e questa grandezza. coincidendo con l’energia immagazzinata, pu`o essere interpretata come misura della “cedevolezza”: per un carico costante coincide con lo spostamento medio e per una forza concentrata in un punto lo spostamento in quel punto. Mostriamo adesso che il Problema 4.1, il pi` u semplice cui si potrebbe pensare in ottimizzazione strutturale, `e mal posto. Scegliendo per w la funzione w(x) = α+β (x − x2 ) , 4αβ `e facile verificare che per nessun coefficiente ammissibile essa soddisfa (4.4) perch´e altrimenti verificherebbe l’uguaglianza [αχ(x) + β(1 − χ(x))] α+β (1 − 2x) = c − x , 4αβ ∀x ∈ Ω , in cui a sinistra compare una funzione discontinua e a destra una funzione discontinua. Per` o esiste una successione (ah ) di coefficienti ammissibili tale che la corrispondente successione (uh ) delle soluzioni del Problema 4.1 converge a w in L2 (Ω). Precisamente, se nella definizione di a scegliamo per χ il prolungamento 1-periodico della funzione che vale 1 sull’intervallo ]0, 1/2[ e 0 su ]1/2, 1[, posto ah (x) = a(hx) , si ottiene 1 1 *∗ ∗ in L∞ (Ω) ah a e ∀x ∈ Ω , uh → w in L2 (Ω) , dove a∗ = 2αβ/(α + β) `e l’omogeneizzato di a e w soddisfa ( −a∗ w00 = 1 in Ω w(0) = w(1) = 0 . Dunque F ha estremo inferiore nullo ma non ammette minimo. In questo esempio la non esistenza sembra dovuta ad una mancanza di chiusura o di compattezza dell’insieme ammissibile. In [19] Murat prende in considerazione vari problemi di controllo sui coefficienti, sia in dimensione maggiore, sia per equazioni non ellittiche, sia per i sistemi, allo scopo di metterne in evidenza la mal posizione e l’esempio appena trattato `e il pi` u semplice nello spirito di quel lavoro. Il fenomeno descritto corrisponde al caso in cui due aperti occupati dai componenti iniziali, nel tentare di approssimare la situazione ottimale tendono a “polverizzarsi” costringendo i due materiali a mescolarsi finemente finch´e non fondono in un unico “materiale medio”, omogeneo in questo caso, che per`o non `e ammissibile e naturalmente i due aperti non sono pi` u distinguibili. Esso `e il limite di successioni ammissibili rispetto ad una certa nozione di convergenza che, da quanto visto finora, non coincide in generale con alcuna nozione classica, come la convergenza puntuale, forte o debole che sia. Problemi di ottimizzazione strutturale come questi vengono ripresi in [6] in un contesto variazionale generale in cui la non esistenza viene spiegata con la mancanza di semicontinuit` a inferiore, rispetto a questa nozione di convergenza, di certi costi dipendenti dai coefficienti. In [27] Velte e Villaggio trattano problemi simili con l’aggiunta di certi vincoli di limitatezza sulle deformazioni. Essi mostrano che in certi casi la non esistenza `e dovuta all’assegnazione di dati incompatibili con i vincoli, mentre in altri si possono avere addirittura pi` u soluzioni. 58 4.2 Omogeneizzazione e G-convergenza Le stime elementari Nelle strutture unidimensionali il valore caratteristico del materiale effettivo dipende soltanto dalla concentrazione locale dei vari componenti, infatti, come si vede dalla (4.1), coincide sempre con la loro media armonica. Ma in dimensione maggiore la situazione `e pi` u complicata per il fatto che la geometria della distribuzione dei materiali componenti diventa rilevante. Inoltre i coefficienti dell’equazione sono matrici e anche se i componenti iniziali sono isotropi in ogni punto si pu`o assistere all’insorgere di anisotropie se la distribuzione delle disomogeneit`a non soddisfa op` un’ulteriore conferma che portune condizioni di invarianza rispetto alle rotazioni. E siamo di fronte ad un tipo di convergenza nuova, nella quale successioni di funzioni a valori scalari possono convergere a funzioni a valori matrici. Si tratta allora di capire quali materiali si possono ottenere per omogeneizzazione al variare della geometria della distribuzione dei singoli componenti. Una prima valutazione dell’insieme dei materiali effettivi si ottiene subito ricavando le stime elementari: esse sono solo necessarie e consistono di una limitazione dall’alto mediante la media aritmetica e di una dal basso con la media armonica dei parametri iniziali. Mentre il problema di fornire stime pi` u precise verr` a discusso nel prossimo paragrafo, qui ci limiteremo alla determinazione delle stime elementari. A questo scopo `e conveniente ricorrere ad una caratterizzazione variazionale della forma quadratica associata al materiale effettivo. Sia M la classe delle matrici simmetriche e costanti che soddisfano la condizione c1 |ξ|2 6 Aξ · ξ 6 c2 |ξ|2 , c2 > c1 > 0 . Sia poi M la classe delle funzioni misurabili su Rn a valori in M . Mostriamo che l’omogeneizzato A∗ di una matrice Q-periodica A ∈ M `e una matrice di M costante, quindi identificabile con un elemento di M , tale che (4.6) hA−1 i−1 ξ · ξ 6 A∗ ξ · ξ 6 hAiξ · ξ . Per ogni ξ ∈ Rn sia lξ la funzione lineare lξ (x) = ξ · x. Consideriamo le soluzioni del problema ( div ADu = 0 in Rn (4.7) u − lξ Q-periodica dove A ∈ M `e Q-periodica. Ovviamente hDui = ξ e, posto η = hADui, la matrice effettiva A∗ `e, per definizione, data da A∗ ξ = η . Le quantit` a Du = Du − ξ e ADu = ADu − η vengono dette parti fluttuanti rispettivamente di Du e Adu e hanno media nulla. Dalla seguente versione variazionale della (4.7) Z Z inf A(ξ + Dϕ) · (ξ + Dϕ) dx A(ξ + Du) · (ξ + Du) dx = 1 ϕ∈CQ−per (Rn ) Q Q e ricordando che A(ξ + Du) = η + ADu, si ottiene Z (4.8) A∗ ξ · ξ = inf A(ξ + Dϕ) · (ξ + Dϕ) dx 1 ϕ∈CQ−per (Rn ) Q ed in particolare per ϕ = 0 A∗ ξ · ξ 6 hAiξ · ξ . 59 4.2 Le stime elementari Per la stima dal basso possiamo usare il principio variazionale per l’energia complementare Z 1 ∗ 1 −1 (4.9) A ξ · ξ = sup ξ · σ − A σ · σ dx 2 2 div σ=0 Q che si ricava a partire dall’ovvia relazione A−1 (A(ξ + Dϕ) − σ) · (A(ξ + Dϕ) − σ) > 0 , equivalente a ((ξ + Dϕ) − A−1 σ) · (A(ξ + Dϕ) − σ) > 0 , che vale con l’uguaglianza se e solo se σ = A(ξ + Dϕ), da cui 1 1 A(ξ + Dϕ) · (ξ + Dϕ) > (ξ + Dϕ) · σ − A−1 σ · σ . 2 2 Per integrazione termine a termine si ottiene Z Z Z Z 1 1 A(ξ + Dϕ) · (ξ + Dϕ) > A−1 σ · σ + ξ·σ− Dϕ · σ 2 Q 2 Q Q Q 1 (Rn ). Ma siccome il campo vettoriale σ per cui vale l’uguaglianza per ogni ϕ ∈ CQ−per soddisfa div σ = 0 e in tal caso l’ultimo termine `e nullo, non `e restrittivo passare all’estremo superiore a destra su tutte le σ a divergenza nulla ottenendo Z Z 1 1 A(ξ + Dϕ) · (ξ + Dϕ) = sup ξ · σ − A−1 σ · σ dx 2 Q 2 div σ=0 Q e passando al minimo a sinistra si ottiene la (4.9). La stima dal basso si ottiene subito osservando che hσi = hA(ξ + Dϕ)i = A∗ ξ in corrispondenza della ϕ ottimale, quindi la (4.9) diventa Z 1 ∗ 1 ∗ A ξ·ξ =A ξ·ξ− inf A−1 σ · σ , 2 2 div σ=0 Q hσi=A∗ξ da cui A∗ ξ · ξ 6 Z Q A−1 σ · σ 1 ∀σ ∈ CQ−per (Rn ) : div σ = 0 , hσi = A∗ ξ . Basta allora scegliere il vettore costante σ = A∗ ξ = η e si ottiene A∗ ξ · ξ = η · (A∗ )−1 η 6 hA−1 iη · η che equivale alla disuguaglianza di sinistra nella (4.6). Un caso in cui la matrice effettiva coincide con la media `e quello in cui vale la condizione div A(x) = 0. Infatti questa `e equivalente a div A(x)ξ = 0 per ogni ξ ∈ Rn , da cui si deduce subito che le soluzioni dell’equazione div A(x)Du = 0 con hDui = ξ sono le funzioni u(x) = ξ · x. Dalla (4.8) segue allora che A∗ = hAi. Questa situazione `e stata considerata in [7], e generalizzata poi in [8], per trattare un problema di ottimizzazione strutturale per una membrana soggetta ad uno stato di pretrazione A(x), che per l’equilibrio nel piano ha divergenza nulla. Le stime ottenute valgono sempre in omogeneizzazione, anche nel caso vettoriale dell’elasticit` a e anche nei problemi non lineari. Osserviamo infine che con la (4.8) si stabilisce un legame tra l’omogeneizzazione e l’analisi convessa. Questo aspetto costituisce l’idea centrale su cui si basa lo studio di alcuni problemi di ottimizzazione strutturale. Ma al di l` a di queste applicazioni, in tutti i problemi variazionali in 60 Omogeneizzazione e G-convergenza Meccanica che coinvolgono un’energia W non convessa, come nel caso gi`a citato dei cristalli, certe propriet` a del fenomeno si colgono studiando il problema rilassato Z min W ∗ (Du(x)) dx u Ω dove W `e il convessificato, o meglio il quasiconvessificato trattandosi di un problema vettoriale, di W Z ∗ W ∗ (ξ) = inf ϕ∈C01 (Q) W (ξ + Dϕ) dx , Q ` dunque ragionevole chiamare soluzioni simile ad una versione non lineare della (4.8). E omogeneizzate quelle del problema rilassato. 4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi Il calcolo esplicito del materiale effettivo a partire da una distribuzione geometrica dei componenti `e praticamente impossibile, eccetto in qualche caso particolare, perch´e in generale, ma non sempre, richiede di risolvere esplicitamente l’equazione differenziale. Casi in cui `e stato possibile calcolare l’omogeneizzato sono ad esempio quello delle inclusioni sferiche o ellissoidali, nei quali `e nota la funzione di Green, quello degli strati, quello della scacchiera in due dimensioni e pochissimi altri come quello pi` u recente [18] della scacchiera a 4 fasi. Alcuni studi riguardano il comportamento asintotico dell’omogeneizzato quando uno dei componenti degenera verso 0 o all’∞. Risultati pi` u soddisfacenti sono stati invece ottenuti sulla determinazione e la descrizione dell’insieme di tutti i materiali effettivi che si possono ottenere mescolando periodicamente alcuni materiali iniziali, al variare della loro disposizione geometrica. Per fissare le idee consideriamo il caso pi` u semplice di due conducibilit`a isotrope β > α > 0 delle quali `e prescritta la percentuale locale di volume occupato dall’uno e dall’altro. Il composito `e rappresentato dal coefficiente a(x) = αχ(x) + β(1 − χ(x)) , x ∈ Rn , dove χ `e il prolungamento Q-periodico di una funzione χ0 : Q → R che assume solo i valori 0 e 1 e tale che hχ0 i = ϑ, per cui hai = αϑ + β(1 − ϑ). Il parametro ϑ ∈ [0, 1] `e la percentuale locale di volume occupata dal materiale del tipo α, mentre la parte complementare, di volume 1 − ϑ, `e occupata dall’altro, β. Ad ogni scelta della χ0 , e quindi della χ, corrisponde una particolare distribuzione geometrica. Dalle stime elementari (4.6) discendono subito le stime per gli autovalori λi , i = 1, . . . , n, dell’omogeneizzato A∗ ν(ϑ) 6 λi 6 µ(ϑ) dove −1 ϑ 1−ϑ + e µ(ϑ) = αϑ + β(1 − ϑ) ν(ϑ) = α β sono rispettivamente la media armonica e la media aritmetica dei componenti nelle rispettive proporzioni. L’unica distribuzione geometrica di α e β per cui questi valori caratteristici estremi vengono raggiunti insieme `e quella degli strati a(x) = αχ(x · e) + β(1 − χ(x · e)) , x ∈ Rn , dove e `e la direzione ortogonale agli strati, quella lungo cui α e β sono disposti in serie (in parallelo lungo i piani x1 = c). Scegliendo e = e1 , l’equazione di Eulero relativa al principio variazionale (4.8), che in questo caso va scritto nella forma Z ∗ (4.10) A ξ·ξ = inf a(x1 )|Du|2 dx , hDui=ξ Du Q−periodica Q 61 4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi `e l’equazione (4.11) div(a(x1 )Du) = 0 . La particolare struttura del coefficiente a suggerisce di cercare soluzioni del tipo u(x) = w(x1 ) + n X ξi xi i=2 con w tale che ( w0 (x1 ) = pχ(x) + q(1 − χ(x)) hw0 i = ξ1 . Passando alle medie si ottiene una prima condizione pϑ + q(1 − ϑ) = ξ1 , mentre la (4.11) si semplifica diventando un’equazione ordinaria per la w equivalente all’integrale primo a(x1 )w0 = c che si traduce subito nella condizione di raccordo αp = βq attraverso l’interfaccia dove a cambia valore. Dalle due condizioni si ricavano i valori di p e di q ( p = ν(ϑ)ξ1 /α q = ν(ϑ)ξ1 /β che sostituiti nella (4.10) ci danno la forma quadratica relativa al materiale effettivo " # Z " # Z n n X X A∗ ξ · ξ = α (ν(ϑ)ξ1 /α)2 + ξi2 + β (ν(ϑ)ξ1 /β)2 + ξi2 χ=1 i=2 = ν(ϑ)ξ12 + µ(ϑ) n X χ=0 i=2 ξi2 . i=2 La forma diagonale che abbiamo ottenuto per A∗ `e dovuta alla scelta iniziale dei versori della base, evidentemente `e principale la direzione ortogonale agli strati, lungo cui il materiale effettivo offre una conduttivit`a pari alla media armonica dei componenti, come lo sono tutte le altre direzioni, nella giacitura ortogonale, dove le conduttivit`a principali coincidono tutte con la media aritmetica. In particolare per n = 2 A∗ ξ · ξ = ν(ϑ)ξ12 + µ(ϑ)ξ22 . ` stato dimostrato, con tecniche diverse e in maniera indipendente da vari autori, E che al variare della disposizione geometrica di α e β, in proporzioni locali fissate, i valori caratteristici dei materiali effettivi sono quelli che nel caso bidimensionale sono rappresentati nella piccola regione H(ϑ) caratterizzata dal sistema di disequazioni 1 1 1 1 λ1 − α + λ2 − α 6 ν(ϑ) − α + µ(ϑ) − α (4.12) 1 1 1 1 + 6 + β − λ1 β − λ2 β − ν(ϑ) β − µ(ϑ) nelle quali le uguaglianze corrispondono alle due curve che delimitano H(ϑ). Si vede anche dalla figura che se un autovalore coincide con la media armonica l’altro deve 62 Omogeneizzazione e G-convergenza λ1 = λ2 6 (ν(ϑ), µ(ϑ)) H(ϑ) (µ(ϑ), ν(ϑ)) Figura 4.1: L’insieme dei materiali effettivi in termini degli autovalori coincidere con la media aritmetica e viceversa, che corrisponde, come abbiamo appena visto, al caso degli strati. La simmetria rispetto alla retta dei materiali isotropi, di equazione λ1 = λ2 , `e dovuta all’invarianza nello scambio tra gli autovalori che corrisponde ad una rotazione del composito di π/2, ma se si stabilisce di ordinarli ponendo λ1 6 λ2 si ottiene la sola parte superiore senza perdere nessuna informazione. Per ottenere tutti i materiali effettivi, a prescindere dalla frazione di volume locale, bisogna calcolare l’unione degli insiemi H(ϑ) al variare di ϑ ∈ [0, 1], quindi basta eliminare ϑ dalla curva parametrica (ν(ϑ), µ(ϑ)) dei materiali estremi con gli autovalori ordinati, ottenendo l’arco di iperbole (4.13) ν= αβ α+β−µ che insieme alla retta degli isotropi delimita l’unione delle parti superiori delle regioni H(ϑ) ed ha equazione (4.14) αβ 6 λ1 6 λ2 6 µ . α+β−µ Il caso n-dimensionale `e un po’ pi` u complicato. L’analogo della curva (4.13) `e la curva di Rn λ1 = ν(ϑ) , λi = µ(ϑ) per i = 2, . . . , n , corrispondente al caso degli strati. L’analogo delle due curve che delimitano H(ϑ) `e una coppia di superfici n − 1-dimensionali la cui unione `e solo parte del bordo di H(ϑ). La descrizione completa di H(ϑ) `e data dal sistema (4.15) n X 1 1 n−1 6 + λi − α ν(ϑ) − α µ(ϑ) − α i=1 n X 1 1 n−1 6 + β − λ β − ν(ϑ) β − µ(ϑ) i i=1 ν(ϑ) 6 λi 6 µ(ϑ) i = 1, . . . , n , 63 4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera in cui, a differenza del caso bidimensionale, `e stata riportata anche la terza condizione perch´e non discende dalle altre. Infine abbiamo anche la descrizione completa, a prescindere dalla percentuale locale, di tutto l’insieme dei materiali effettivi λn − α 6 (n − 2)α + β , n−1 X 1 1+α λ −α i=1 i dimostrata in [6], che `e l’analogo della (4.14). Relativamente ai soli materiali isotropi effettivi, le stime (4.15) sono state ottenute per la prima volta da Hashin e Shtrikman [13] per l’elasticit`a con inclusioni sferiche dei componenti. Col metodo delle ellissoidi cofocali sono state poi ottenute nella versione completa da Tartar [24]. Un altro modo in cui sono state ottenute le stesse stime `e quello delle laminazioni successive, [16], che consiste nel ricostruire gli strati, secondo opportune direzioni, alternando α o β con la conduttivit`a effettiva ottenuta al I passo, e poi di nuovo α o β con quella ottenuta al II passo e cos`ı via. Si dimostra che basta iterare questo procedimento un numero finito di volte, a seconda della dimensione, e si raggiungono tutti i materiali effettivi che realizzano le uguaglianze ` stato applicato lo stesso metodo anche ai compositi a pi` nelle due stime. E u fasi, a componenti anisotropi, ai moduli elastici, alle rigidezze delle piastre. Nelle ultime due situazioni le stime di Hashin e Shtrikman, sebbene ancora ottimali, non sono pi` u sufficienti per descrivere completamente i materiali effettivi a causa dell’eccessivo numero di parametri, i moduli elastici, rispetto alla dimensione dello spazio. In due dimensioni si dispone di descrizioni complete per i compositi anisotropi e per i moduli elastici col vincolo di incomprimibilit`a [15]. 4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera Un caso interessante e particolarmente semplice di calcolo esplicito che vale la pena di illustrare, ottenuto da Dykhne in [11], `e quello della scacchiera quadrata piana a due fasi isotrope. Si dimostra che la “scacchiera effettiva” di due componenti iniziali β > α > 0,√isotropa per ovvi motivi di simmetria, ha valore caratteristico la media geometrica αβ dei componenti. Il risultato si basa sulla seguente speciale propriet`a ∗ A A∗ = det A det A∗ valida esclusivamente in due dimensioni. Si noti che A 0 −1 T = RA R , R= 1 det A −1 0 , quindi dobbiamo dimostrare che se v con gradiente Q-periodico soddisfa (4.16) div(RA−1 RT Dv) = 0 e hDvi = η allora (4.17) RA∗−1 RT η · η = Z RA−1 RT Dv · Dv dx . Q In due dimensioni gli operatori di rotore e divergenza si trasformano uno nell’altro applicando al campo vettoriale una rotazione di π/2, quindi la (4.16) `e equivalente a rot(A−1 RT Dv) = 0 , 64 Omogeneizzazione e G-convergenza ma un campo irrotazionale `e un gradiente ed esiste u tale che A−1 RT Dv = Du . Allora Dv = RADu e rot Dv = 0 ⇒ div(ADu) = 0 . Calcoliamo adesso hDui. Poich´e hDvi = hRADui = η, si ha hADui = RT η, ma hADui = A∗ hDui, quindi hDui = A∗−1 RT η e per definizione di A∗ A∗ A∗−1 RT η · A∗−1 RT η = Z ADu · Du Q che `e equivalente alla (4.17). Venendo alla scacchiera, posto A∗ = a(α, β)I, osserviamo che scambiare le caselle di un tipo con quelle dell’altro non ha nessun effetto per via dell’isotropia, inoltre a `e 1-omogenea, quindi 1 1 αβ 1 1 , = αβ a , = , a(α, β) = αβ a β α α β a(αβ) da cui segue subito a(αβ) = p αβ . La scacchiera a cubi in dimensione maggiore `e un problema ancora aperto, mentre la scacchiera piana a 4 fasi isotrope `e stata calcolata pi` u di recente in [18]. 4.5 La G-convergenza Finora abbiamo parlato del fenomeno dell’omogeneizzazione periodica, senza troppe pretese, rimanendo ad un livello presoch´e intuitivo e superficiale, e cos`ı abbiamo visto matrici periodiche che possono “tendere” in un qualche senso nuovo verso una matrice necessariamente costante per l’invarianza rispetto alle traslazioni delle funzioni periodiche, abbiamo visto funzioni scalari, cio`e matrici isotrope, che “tendono” a vere e proprie matrici, anche anisotrope, fenomeno veramente inusuale nella convergenza delle successioni di funzioni, a causa di disposizioni geometriche dei componenti che non sono invarianti per rotazione. Allo scopo di comprendere con maggiore chiarezza gli aspetti essenziali di questa teoria, l’omogeneizzazione va inquadrata in un contesto pi` u generale, con un’appropriata nozione di convergenza delle successioni di operatori ellittici. In certi casi essa si riduce alla convergenza forte in qualche norma, ad esempio uniforme, dei coefficienti, ma in generale `e un tipo di convergenza pi` u debole, sebbene non sia equivalente, altro che in situazioni eccezionali, v. [7] e [8], alla vera e propria convergenza debole che conosciamo. Sia M lo spazio delle matrici introdotto al § 4.2. Assegnata una successione (Ah ) ⊂ M , per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn e per ogni f ∈ H −1 (Ω) la successione (uh ) delle soluzioni dei problemi ( − div Ah Duh = f in Ω (4.18) uh ∈ H01 (Ω) `e limitata in H01 (Ω) e quindi debolmente compatta. Infatti Z 2 c1 kDuh kL2 (Ω) 6 Ah Duh · Duh dx = hf, uh i 6 kf kH −1 (Ω) kuh kH01 (Ω) Ω 6 (cp + 1)kf kH −1 (Ω) kDuh kL2 (Ω) , 65 4.5 La G-convergenza dove cp `e la costante di Poincar´e. Dunque, a meno di sottosuccessioni, (uh ) converge debolmente in H01 (Ω) ad una certa u ∈ H01 (Ω), quindi u → u in L2 (Ω). La domanda che ci poniamo `e la seguente: la funzione limite u `e soluzione di qualche problema? In caso affermativo, quale? Se avviene che Ah → A uniformemente, in L∞ (Ω), o nella norma di qualche spazio Lp (Ω), allora Ah Duh * ADu in L2 (Ω) perch´e f orte × debole = debole. Dunque Z Z ADu · Dϕ dx = lim Ah Duh · Dϕ dx = hf, ϕi ∀ϕ ∈ D 0 (Ω) , h→∞ Ω Ω quindi u `e la soluzione del problema limite ( − div ADu = f (4.19) u ∈ H01 (Ω) . in Ω Ma la convergenza forte di Ah `e una condizione solo sufficiente per il passaggio al limite delle soluzioni. Questa osservazione suggerisce la seguente definizione. G Definizione 4.2 - Diciamo che Ah → A in M se per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn e per ogni f ∈ H −1 (Ω) la successione (uh ) delle soluzioni dei problemi (4.18) converge debolmente in H01 (Ω) alla soluzione u del problema (4.19). Dalle osservazioni introduttive di questo paragrafo si capisce subito che la G-convergenza induce su M una topologia compatta, inoltre `e stato dimostrato che M `e metrizzabile. Tenendo presento quanto abbiamo detto sull’omogeneizzazione, non sar`a difficile comprendere, a questo punto, il senso delle propriet`a qui di seguito riportate per la loro importanza in questa teoria. G ∗ −1 (G)1. Per n = 1, ah → a ⇔ a−1 in L∞ (R). h * a G G (G)2. Per n = 2, Ah → A ⇔ Ah / det Ah → A/ det A. G (G)3. Se div A(x) = 0 allora Ah → A ⇔ Ah *∗ A in L∞ (Rn ). G G (G)4. La G-convergenza ha carattere locale: se Ah → A, Bh → B e Ah = Bh q.o. su un insieme misurabile E allora A = B q.o. su E. Con questa propriet`a si vuol sottolineare che la G-convergenza, sebbene coinvolga problemi al contorno per loro natura non locali, non dipende n´e dal dominio, n´e dai dati, ma solo sai valori puntuali dei coefficienti. Una conseguenza `e l’unicit`a del G-limite. G (G)5. Se Ah → A e su un aperto limitato Ω la successione delle derivate di Ah `e limitata nella norma di L1 (Ω) allora Ah → A in L1 (Ω). Questo discende dal Teorema di Rellich. In altre parole, dove c’`e un limite alla frequnza delle oscillazioni materiali l’omogeneizzazione viene impedita e la G-convergenza si riduce alla convergenza forte. G ∗ −1 in L∞ (Ω) allora (G)6. Se Ah → A e se inoltre Ah *∗ A e A−1 h * A A(x)ξ · ξ 6 A(x)ξ · ξA(x)ξ · ξ ∀x q.o. ∈ Rn , ∀ξ ∈ Rn . G (G)7. Per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn e per ogni scelta dei dati, se Ah → A allora vale la convergenza debole dei momenti Ah Duh * ADu in L2 (Ω) 66 Omogeneizzazione e G-convergenza e delle energie Ah Duh · Duh *∗ ADu · Du in L∞ (Ω) . G Viceversa, se per ogni Ω e per ogni scelta dei dati le energie convergono allora Ah → A. Un altro “viceversa” `e questo Duh * Du e Ah Duh * ADu in L2 (Ω) ⇒ Ah Duh · Duh * ADu · Du in L∞ (Ω) . Quest’affermazione `e immediata conseguenza del seguente risultato di compattezza per compensazione [25]: Se Φh e Ψh sono campi vettoriali in L2 (Rn ) tali che Φh * Φ e Ψh * Ψ in L2 (Rn ) −1 e le successioni (div Φh ) e (rot Ψh ) sono limitate in Hloc (Rn ) allora Φh · Ψh *∗ Φ · Ψ in L∞ (Ω) . Dagli anni ’70 del secolo passato `e stata poi sviluppata la teoria della Γ-convergenza per i funzionali, anche non quadratici, come generalizzazione di questa ai problemi ` facile immaginare la vastit`a di questa teoria e dei non lineari di tipo variazionale. E suoi campi di applicazione. Appendice A Elementi di Analisi Funzionale A.1 La misura di Lebesgue La teoria della misura secondo Peano-Jordan, insieme alla relativa teoria dell’integrazione secondo Riemann, `e insufficiente per i nostri scopi perch´e troppo restrittiva nei passaggi al limite. Una teoria pi` u agevole in questo senso `e quella dovuta a Lebesgue. Essa ci permette la costruzione di spazi di funzioni pi` u appropriati per l’ambientazione di problemi variazionali e di equazioni differenziali in quanto completi ` ben noto l’esempio dell’insieme Q ∩ [0, 1] rispetto a determinate metriche naturali. E che non `e misurabile secondo Peano-Jordan, ma lo `e secondo Lebesgue dal momento che, essendo ogni singolo punto un insieme misurabile (di misura nulla per entrambe le teorie), tale deve essere anche quell’insieme come unione numerabile di insiemi misurabili. La misura di PJ passa al limite su un’unione finita, ma non su un’unione numerabile come in quella di L. Di conseguenza la funzione di Dirichlet, che vale 1 su Q∩[0, 1] e 0 altrove, non `e integrabile secondo Riemann, ma lo `e secondo Lebesgue. In una generica teoria della misura si dispone di un insieme X, di una famiglia M ⊂ P(Rn ) di insiemi detti misurabili e di un’applicazione µ : M → [0, +∞] detta misura (positiva) con le seguenti propriet`a. M `e una σ-algebra: (M )1. X ∈ M , (M )2. (Eh )h∈N ⊂ M ⇒ ∞ [ Eh ∈ M , h=1 (M )3. E ∈ M ⇒ {E ∈ M . Combinando tra loro questi assiomi si ottiene subito che ∅ = {X ∈ M e ! ∞ ∞ \ [ (Eh )h∈N ⊂ M ⇒ Eh = { {Eh ∈ M . h=1 h=1 µ `e numerabilmente additiva: (µ) (Eh )h∈N ⊂ M e Eh ∩ Ek = ∅ se h 6= k ⇒ µ ∞ [ h=1 ! Eh = ∞ X µ(Eh ) . h=0 Per evitare di banalizzare la teoria si assume che esista in M almeno un insieme E0 di misura finita. Allora `e subito evidente che µ(∅) = 0, basta scegliere nella (µ) E1 = E0 e Eh = ∅ per ogni h > 1, inoltre scegliendo Eh = ∅ definitivamente si vede subito che µ `e anche finitamente additiva. 68 Elementi di Analisi Funzionale La terna (X, M , µ) si chiama spazio mensurale. Vediamo alcune conseguenze importanti. Proposizione A.1 - Valgono le seguenti propriet` a: (a) µ `e crescente, E1 ⊂ E2 ⇒ µ(E1 ) 6 µ(E2 ), ∞ [ (b) µ `e numerabilmente subadditiva, (Eh )h∈N ⊂ M ⇒ µ ! Eh 6 h=1 (c) (Eh )h∈N ⊂ M e Eh ⊂ Eh+1 ∀h ∈ N ⇒ µ ∞ [ ∞ X µ(Eh ), h=0 ! = lim µ(Eh ), Eh h→∞ h=1 (d) (Eh )h∈N ⊂ M , µ(E1 ) < +∞ e Eh ⊂ Eh+1 ∀h ∈ N ⇒µ ∞ \ ! Eh = lim µ(Eh ). h→∞ h=1 Dimostrazione. Per verificare (a) µ(E2 ) = µ(E1 ∪ (E2 − E1 )) = µ(E1 ) + µ(E2 − E1 ) > µ(E1 ) . ˜1 = E1 , E ˜h = Eh − (E1 ∪ E2 ∪ . . . ∪ Eh−1 ) per Per la (b), osserviamo che gli insiemi E h > 1 sono a due a due disgiunti e hanno la stessa unione degli Eh , quindi ! ! ∞ ∞ ∞ ∞ [ [ X X ˜ ˜ µ Eh = µ Eh = µ(Eh ) 6 µ(Eh ) . h=1 h=1 h=1 h=1 ˜1 = E1 , E ˜h = I limiti nelle (c) e (d) esistono per la monotonia. Per (c) poniamo E ˜h sono a due a due disgiunti e hanno la Eh − Eh−1 per h > 1 e osserviamo che gli E stessa unione degli Eh , quindi ! ∞ ∞ ∞ [ X X ˜h ) = µ(E1 ) + µ Eh = µ(E1 ) + µ(E [µ(Eh ) − µ(Eh−1 )] = lim µ(Eh ) . h=1 h=2 h→∞ h=2 T∞ ˜h = E1 −Eh per h > 2 e osserviamo che E ˜h ⊂ E ˜h+1 Per (d) poniamo E = h=1 Eh e E S∞ ˜ e che E1 − E = h=1 Eh . Dalla (c) segue ˜h ) = µ(E1 ) − lim µ(Eh ) µ(E1 ) − µ(E) = µ(E1 − E) = lim µ(E h→∞ che `e la tesi. h→∞ 2 L’ipotesi µ(E1 ) < +∞ non si pu` o togliere, basta pensare alla successione di intervalli [h, +∞[ che hanno misura di Lebesgue infinita, ma intersezione vuota. Una misura viene detta completa se tutti i sottoinsiemi di ogni insieme misurabile di misura nulla sono misurabili (e di conseguenza hanno misura nulla). Una misura viene detta σ-finita se X `e unione numerabile di insiemi misurabili Xk di misura finita. Se X `e anche uno spazio topologico indichiamo con B(X) la σ-algebra di Borel che `e quella generata dagli aperti. I suoi elementi, detti boreliani, sono gli aperti, i chiusi e tutte le loro unioni e intersezioni numerabili. In altre parole B(X) `e la pi` u piccola σ-algebra contenente gli aperti, quindi `e chiusa rispetto alle operazioni di unione e intersezione numerabili e passaggio al complementare. Una misura (X, B(X), µ) non `e in generale completa, per` o pu` o essere completata scegliendo come misurabili gli elementi della classe pi` u vasta B(X) ∪ {E ⊂ X | ∃B ∈ B(X) : µ(B) = 0} e ponendo µ(E) = 0. Esempi 69 A.1 La misura di Lebesgue A.1 La δ di Dirac in x0 ∈ X `e la funzione di insieme ( 1 se x0 ∈ E δx0 (E) = 0 se x0 ∈ /E per ogni E ⊂ X ed `e una misura. A.2 La funzione che associa ad ogni insieme E ⊂ X il numero dei suoi punti, nel senso della definizione ( n. punti di E se E `e finito c(E) = +∞ se E `e infinito , `e una misura. A.3 Uno spazio di probabilit` a `e una terna (X, E , P ) dove E `e una σ-algebra i cui elementi sono gli eventi e P `e una misura finita tale che P (X) = 1 che si chiama misura di probabilit` a. Ad ogni evento E ∈ E corrisponde la sua probabilit` a P (E). La misura di Lebesgue in Rn `e un’estensione della misura ordinaria dai rettangoli a insiemi via via pi` u generali e risulta completa, σ-finita e di Borel. Per comodit` a parliamo provvisoriamente di volume riservando il termine misura alla sua estensione definitiva. Per un rettangolo R = [a1 , b1 ] × [a2 , b2 ] × . . . × [an , bn ] poniamo v(R) = n Y (bi − ai ) i=1 da cui gi` a si capisce che la misura non risente della presenza o meno di facce e spigoli nel rettangolo, cio`e del carattere chiuso, aperto o semiaperto degli intervalli ` naturale dunque aspettarsi che la misura di Lebesgue nche compongono R. E dimensionale di una variet` a k-dimensionale in Rn `e nulla se k < n (una curva ha area e volume nulli, una superficie ha volume nullo ecc.). Definiamo plurirettangolo una unione finita di rettangoli P = m [ Rj . j=1 Ovviamente P non ha un’unica rappresentazione, ma possiamo sempre supporre che Rj ∩ Rh = ∅ se j 6= h oppure che abbiano in comune solo facce e spigoli che sono rettangoli di volume nullo. In questo caso v(P ) = m X v(Rj ) . j=1 Estendiamo adesso la nozione di volume agli aperti limitati e ai compatti. Se A e K sono rispettivamente un aperto limitato e un compatto di ⊂ Rn poniamo v(A) = sup{v(P ) | P plurirettangolo ⊂ A} v(K) = inf{v(P ) | P plurirettangolo ⊃ K} . Esercizio A.1 - Verificare che il volume `e una funzione crescente sugli aperti e sui compatti, cio`e A1 ⊂ A2 ⇒ v(A1 ) 6 v(A2 ) e K1 ⊂ K2 ⇒ v(K1 ) 6 v(K2 ) . 70 Elementi di Analisi Funzionale Per ogni insieme limitato E ⊂ Rn poniamo m∗ (E) = sup{v(K) | K compatto ⊂ E} m∗ (E) = inf{v(A) | A aperto ⊃ E} . Proposizione A.2 - Per ogni insieme E ⊂ Rn si ha (A.1) m∗ (E) 6 m∗ (E) . Dimostrazione. Basta verificare che per ogni A e K tali che K ⊂ E ⊂ A v(K) 6 v(A). Se P0 un plurirettangolo tale che K ⊂ P0 ⊂ A si ha v(K) = inf v(P ) 6 v(P0 ) 6 sup v(P ) = v(A) . P ⊃K P ⊂A 2 Definizione A.3 - Un insieme limitato E ⊂ Rn viene detto misurabile se m∗ (E) = m∗ (E) che per la (A.1) equivale a m∗ (E) > m∗ (E). Questo valore comune si indica con m(E) e si chiama misura di E. Proposizione A.4 - Gli aperti limitati e i compatti di Rn sono misurabili e la loro misura coincide col volume. Dimostrazione. Se A `e un aperto limitato e K un compatto in Rn si ha m∗ (A) = inf v(A0 ) = v(A) = sup v(P ) 6 sup v(P ) = m∗ (A) 0 A ⊃A P¯ ⊂A K⊂A m∗ (K) = sup v(K ) = v(K) = inf v(P ) > inf v(A) = m∗ (K) . 0 ◦ K 0 ⊂K P ⊃K A⊃K 2 Osservazione A.5 - Un insieme limitato E ⊂ Rn `e misurabile se e solo se per ogni ε > 0 esistono A e K tali che K ⊂ E ⊂ A e m(A) − m(K) < ε. Osservazione A.6 - Ogni insieme misurabile secondo Peano-Jordan `e anche misurabile secondo Lebesgue perch´e secondo la prima teoria va considerato misurabile ogni insieme le cui misure interna ed esterna sono approssimabili mediante i volumi dei soli plurirettangoli. In altre parole, poich´e sup v(P ) 6 sup v(K) = m∗ (E) 6 m∗ (E) = inf v(A) 6 inf v(P ) , P ⊂E A⊃E K⊂E P ⊃E essere PJ-misurabile per l’insieme E significa che il primo e l’ultimo termine sono uguali, ma allora coincidono anche quelli intermedi e quindi E `e L-misurabile, mentre il viceversa non `e detto. Per` o si pu` o dimostrare che un insieme L-misurabile `e anche PJ-misurabile se e solo se la frontiera di E ha misura di Lebesgue nulla. A completamento della Definizione A.3, se E ⊂ Rn non `e limitato diciamo che `e misurabile se l’intersezione di E con ogni palla Br (0) lo `e e in questo caso definiamo m(E) = lim m(E ∩ Br (0)) . r→∞ Un esempio di insieme non misurabile, un po’ complicato da costruire e che tralasciamo, `e stato trovato da Vitali nel 1905 usando l’assioma della scelta e nel 1964 Coeliem ha dimostrato che tale assioma `e anche necessario. In assenza dell’assioma 71 A.2 Integrazione di Lebesgue della scelta bisogna accettare che tutti gli insiemi siano misurabili. Pi` u semplice `e invece verificare che l’insieme D = Q ∩ [0, 1], che come si ricorder`a non `e PJ-misurabile, lo `e secondo Lebesgue ed ha misura nulla. Si tratta infatti di un insieme numerabile di punti. Ora, se E = {xh | h ∈ N} ⊂ Rn consideriamo per ogni ε > 0 e per ogni h ∈ N il cubetto (n-dimensionale) di centro xh e volume ε2−h . La loro unione `e un aperto A contenente E e per definizione di misura esterna si ha 0 6 m∗ (E) 6 m (E) 6 m(A) 6 ∗ ∞ X ε2−h = ε . h=1 Per l’arbitrariet` a di ε m∗ (E) = m (E) = 0, quindi E `e misurabile ed ha misura nulla. La nozione di misura esterna ci permette di applicare un ragionamento dello stesso tipo per dimostrare che ogni sottoinsieme di un insieme misurabile di misura nulla `e misurabile ed ha misura nulla. ` naturale chiedersi a questo punto se non esistano insiemi di misura nulla con E potenza superiore al numerabile. La risposta `e affermativa e l’insieme di Cantor ne `e un esempio. Questo insieme `e ci`o che si ottiene dall’intervallo [0, 1] togliendo l’unione degli intervalli I(h/2k ) di centro h/2k , con h dispari e minore di 2k , e raggio 21−k . Esprimendo i numeri di [0, 1] in forma ternaria ci`o che si toglie `e l’insieme di tutti i numeri che contengono la cifra 1, quindi ci`o che rimane, l’insieme di Cantor, `e formato dai soli numeri con due cifre e quindi equipotente a [0, 1] (in forma binaria). Da quanto detto, la misura di Lebesgue `e dunque completa, la classe M dei misurabili contiene la classe B(Rn ) degli insiemi di Borel avendo in pi` u qualunque sottoinsieme di ogni boreliano di misura nulla, `e regolare per costruzione, nel senso che ogni misurabile ha misura approssimabile con gli aperti dall’esterno e con i compatti dall’interno, infine `e ovviamente σ-finita. Si pu`o dimostrare, ma noi lo evitiamo, che la funzione m che abbiamo ora costruito soddisfa la (µ) e insieme ad essa anche tutte le conseguenze elencate all’inizio, quindi `e una vera misura. ∗ A.2 Integrazione di Lebesgue Le funzioni di questo paragrafo le assumiamo definite su Rn , di una funzione definita su un sottoinsieme se ne pu`o sempre considerare il prolungamento nullo al di fuori. La misura sar` a sempre, a meno di avviso contrario, quella di Lebesgue. ¯ tale che per ` detta misurabile ogni funzione f : Rn → R Definizione A.7 - E −1 ogni E ⊂ R misurabile f (E) `e misurabile. Se ci si limita ai soli boreliani nel dominio e nel codominio e la controimmagine di un boreliano `e un boreliano, la f viene detta boreliana. La composizione di funzioni misurabili `e misurabile, sono misurabili le somme (il caso +∞ − ∞ non ha senso e va escluso), i prodotti (con la convenzione 0 · ∞ = 0) di ¯ `e una successione di funzioni misurabili e le funzioni continue. Infine se fn Rn → R funzioni misurabili allora lo sono anche le funzioni definite puntualmente da inf fn , n sup fn , n lim inf fn , n→∞ lim sup fn . n→∞ Teorema A.8 (di Lusin) - Se f `e misurabile Definizione A.9 - La funzione χA : Rn → R definita da ( 1 se x ∈ A χA (x) = 0 altrove 72 Elementi di Analisi Funzionale si chiama funzione caratteristica dell’insieme A. Una funzione semplice `e una combinazione lineare finita di funzioni caratteristiche di insiemi Eh , h = 1, . . . , k, misurabili k X ϕ(x) = αh χEh (x) . h=1 Certamente non `e unica la rappresentazione di una funzione semplice, si pu`o ad esempio partire dai valori che la ϕ assume, gli αh , e definire Eh = ϕ−1 ({αh }), comunque possiamo sempre fare in modo che gli Eh siano a due a due disgiunti. L’integrale di ϕ `e il numero Z ϕ(x) dx = Rn k X αh m(Eh ) . h=1 ¯ `e misurabile e non negativa l’integrale di Definizione A.10 - Se f : Rn → R ¯ f `e l’elemento di R Z Z f (x) dx = sup ϕ(x) dx . ϕ6f Rn Rn Se f ha segno qualunque poniamo f + (x) = max{f (x), 0} = parte positiva e f − (x) = − min{f (x), 0} = parte negativa , e |f (x)| = f + (x) + f − (x) . per cui f (x) = f + (x) − f − (x) Diciamo che f `e semi-integrabile se almeno una delle due funzioni non negative, f + o f − , ha integrale finito e integrabile se entrambe hanno integrale finito. In ogni caso poniamo Z Z Z f (x) dx = Rn f + (x) dx − Rn f − (x) dx . Rn Se f `e semi-integrabile pu` o avere integrale non finito, se invece `e integrabile ha integrale finito ed `e anche assolutamente integrabile, cio`e Z Z Z |f (x)| dx = f + (x) dx + f − (x) dx < +∞ . Rn Rn Rn Non ha senso considerare l’integrale di f se entrambe le due parti, positiva e negativa, hanno integrale non finito. Se infine vogliamo considerare l’integrale di f esteso ad un insime E ⊂ Rn misurabile basta porre Z Z f (x) dx = f (x)χE (x) dx . Rn E Nella definizione che abbiamo dato di integrale per una funzione positiva si `e fatto uso delle sole funzioni semplici minoranti. Analogamente a come viene definito l’integrale di Riemann, tramite le sole costanti a tratti, potevamo supporre la funzione limitata e definirla integrabile nel caso che l’estremo superiore degli integrali delle funzioni semplici minoranti coincidesse con l’estremo inferiore degli integrali delle semplici maggioranti, ma sarebbe stato superfluo per l’ipotesi che abbiamo fatto di funzione misurabile. Si pu` o dimostrare che con questa ipotesi i due estremi coincidono sempre e, viceversa, se coincidono la funzione `e misurabile. Per verificare poi che l’integrale di Lebesgue `e una estensione di quello di Riemann, basta osservare che la classe delle funzioni costanti a tratti `e pi` u ristretta di quelle semplici, quindi Z Z Z Z sup ϕ 6 sup ϕ 6 inf ψ 6 inf ψ. ϕstep ϕ6f ϕ∈S ϕ6f ψ∈S ψstep ψ>f ψ>f 73 A.2 Integrazione di Lebesgue Se f `e integrabile secondo Riemann sono uguali il primo e l’ultimo e lo `e anche secondo Lebesgue, altrimenti pu` o esserlo secondo Lebesgue, ma non secondo Riemann. Indichiamo con L1 (Rn ) lo spazio delle funzioni integrabili. Esercizio A.2 - Dimostrare che L1 (Rn ) `e uno spazio vettoriale e che l’integrale `e un funzionale lineare e positivo, quindi crescente, su L1 (Rn ). Definizione A.11 - Diciamo che una propriet` a p(x) definita su Rn vale quasi ovunque, e scriviamo p(x) q.o., se l’insieme {x ∈ Rn | ¬p(x)} ha misura nulla. R Esercizio A.3 - Dimostrare che f = 0 se f = 0 q.o., quindi modificare una funzione integrabile (o semi-integrabile) su un insieme di misura nulla non ha nessuna influenza sul valore del suo integrale. R Esercizio A.4 - Dimostrare Rche se f > 0 su E e E = 0 allora f = 0 q.o. su E e che se f ha segno qualunque e E f = 0 per ogni insieme misurabile E ⊂ Rn allora f = 0 q.o. su Rn . Vediamo, senza dimostrazione, alcune importanti proposizioni che riguardano propriet` a di passaggio al limite sotto il segno di integrale rispetto alla convergenza ¯ puntuale di successioni di funzioni fh : Rn → R. Teorema A.12 (di Beppo Levi) - Se (fh ) `e una successione (puntualmente) monotona di funzioni misurabili non negative, posto f (x) = lim fh (x), si ha h→∞ Z Z f (x) dx = lim Rn h→∞ fh (x) dx . Rn Per sottolineare l’importanza delle ipotesi, osservaiamo che ad esempio la successione non negativa e non monotona (χ[h,h+1] ) ha limite puntuale 0, ma integrale costante pari a 1, mentre la successione negativa di funzioni costanti (−1/n) `e crescente, ha limite puntuale 0, ma integrale costante pari a −∞. Nel seguente risultato si afferma che l’integrale `e semicontinuo inferiormente rispoetto alla convergenza puntuale. Teorema A.13 (Lemma di Fatou) - Se (fh ) `e una successione di funzioni misurabili e f (x) = lim inf fh (x) allora h→∞ Z f (x) dx 6 lim inf Rn Z h→∞ fh (x) dx . Rn Il seguente `e noto anche come teorema della convergenza dominata. Teorema A.14 (di Lebesgue) - Sia (fh ) una successione di funzioni misurabili che ammette limite puntuale f (x) = lim fh (x) e tale che per qualche g integrabile si h→∞ abbia per ogni h ∈ N |fh (x)| 6 g(x) q.o. su Rn . Allora f `e integrabile e Z Z f (x) dx 6 lim fh (x) dx . Rn h→∞ Rn Per concludere osserviamo che se f ∈ L1 (Rn ) la funzione d’insieme Z E → ν(E) = f (x) dx E con E misurabile `e numerabilmente additiva e quindi `e a sua volta una misura positiva, ` facile dimostrare che la ν se f > 0, di cui si pu` o riconoscere la f come densit`a. E 74 Elementi di Analisi Funzionale soddisfa la propriet` a di essere assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue, nel senso che per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che (A.2) m(E) < δ ⇒ ν(E) < ε . Infatti se f ∈ L∞ basta scegliere δ = ε/kf k∞ . Altrimenti definiamo la successione ( f (x) se f (x) 6 h fh (x) = h se f (x) > h che converge puntualmente a f . Poich´e 0 6 f − fh 6 2f , per il Teorema della convergenza dominata kf − fh k1 → 0. Fissato ε > 0, scegliamo un h abbastanza grande tale che Z (f − fh ) dx < ε Rn e poi δ = ε/h. Se m(E) < δ si ha Z Z Z f dx = (f − fh ) dx + fh dx < ε + m(E)h < 2ε . E A.3 E E Spazi Lp Abbiamo detto che l’insieme L1 (E) delle funzioni integrabili su un dominio misu` naturale dotarlo della rabile E ⊂ Rn , o anche su tutto Rn , `e uno spazio vettoriale. E norma Z kf k1 = |f (x)| dx E che soddisfa le propriet` a di essere positiva e la disuguaglianza triangolare, `e nulla se f `e la funzione identicamente nulla ma si annulla anche se f `e solo quasi ovunque nulla. Per questo introduciamo la relazione di equivalenza f ∼ g ⇔ f (x) = g(x) q.o. e definiamo L1 (E) = L1 (E)/ ∼. Gli elementi di questo spazio sono classi di equivalenza di funzioni e da ora in poi quando si considera un elemento f ∈ Lp si deve intendere quella funzione o una qualsiasi che differisca da essa solo su un insieme di misura nulla. Ci` o comporta un po’ di attenzione in pi` u nel definire una funzione, per esempio specificare quale sia il valore di f in un punto non ha pi` u senso. Lo spazio L1 (E) `e di Banach. Oltre alla norma integrale appena vista, `e possibile definirne una che generalizza quella uniforme e si basa su una nozione di estremo superiore che non dipende dai valori della funzione su un insieme di misura nulla. Si tratta dell’estremo superiore essenziale sup ess f = inf{M ∈ R | m{x ∈ E | f (x) > M } = 0} . E Se |f | ha estremo superiore essenziale finito diciamo che `e essenzialmente limitata. Indichiamo con L∞ (E) l’insieme delle classi di equivalenza delle funzioni misurabili essenzialmente limitate su E. Munito della norma kf k∞ = sup ess |f | , E L∞ (E) `e uno spazio di Banach. 75 A.3 Spazi Lp Se 1 < p < +∞ definiamo Lp (E) l’insieme delle classi di equivalenza di funzioni misurabili tali che |f |p ∈ L1 (E) munito della norma (A.3) kf kp = 1/p |f (x)| dx . Z p E Che Lp (E) sia uno spazio vettoriale discende dalla disuguaglianza (|f | + |g|)p 6 2p−1 (|f |p + |g|p ) , ma che la (A.3) definisca una norma non `e cos`ı ovvio come nei casi appena visti p = 1 e p = +∞, bisogna dapprima dimostrare una importante proposizione. Teorema A.15 (disuguaglianza di H¨ older) - Per ogni coppia p, q ∈ [1, +∞] tali che 1/p + 1/q = 1, detti esponenti coniugati, se f ∈ Lp (E) e g ∈ Lq (E) allora f g ∈ L1 (E) e (A.4) kf gk1 6 kf kp kgkq . Dimostrazione. Se una delle due funzioni `e (quasi ovunque) nulla la (A.5) `e banalmente vera, quindi supponiamo che entrambe le norme siano positive. Anche il caso estremo p = 1 e q = +∞ `e banale, basta passare all’estremo superiore dentro l’integrale e portarlo fuori. Supponiamo allora 1 < p, q < +∞. Poniamo F (x) = |f (x)|/kf kp e G(x) = |g(x)|/kgkq , usiamo la disuguaglianza di Young FG 6 e integriamo Z F G dx = E 1 kf kp kgkq Z |f g| dx 6 E 1 p 1 q F + G p q 1 p Z E F p dx + 1 q Z Gq dx = E 1 1 + = 1. p q Se |f | = |g| q.o. la disuguaglianza diventa un’uguaglianza. p q La seguente versione della disuguaglianza di H¨older `e pi` u generale. 2 Proposizione A.16 - Date f1 , f2 , . . . , fk tali che fi ∈ Lpi , se 1/p1 + 1/p2 + . . . + 1/pk = 1/r 6 1, allora f1 f2 · · · fk ∈ Lr e kf1 f2 · · · fk ∈ Lr kr 6 kf1 kp1 kf2 kp2 · · · kfk kpk . Teorema A.17 (disuguaglianza di Minkowski) - Per ogni f, g ∈ Lp (E), con p > 1, si ha kf + gkp 6 kf kp + kgkp . Dimostrazione. Osserviamo intanto che |f + g|p = |f + g| |f + g|p−1 6 (|f | + |g|) |f + g|p−1 , dove a secondo membro il primo fattore sta in Lp (E) e il secondo in Lp/p−1 (E) = Lq (E). Allora possiamo applicare la (A.5) "Z 1/p Z 1/p # Z 1−1/p Z p p p |f + g| dx 6 |f | dx + |g| dx |f + g|p dx E E E E e dividendo a sinistra e a destra per l’ultimo fattore si ottiene la tesi. Vale l’uguaglianza se una delle due funzioni `e nulla o se f = λg per qualche λ ∈ R. 76 Elementi di Analisi Funzionale 2 Dunque vale la disuguaglianza triangolare, le altre sono banali, e la (A.3) definisce una norma. Si dimostra che Lp (E) `e uno spazio di Banach. Se il dominio d’integrazione ha misura finita possiamo ricavare una relazione d’inclusione interessante fra tutti questi spazi, precisamente vale il seguente risultato. Proposizione A.18 - Se p < q ed E ha misura finita allora Lq (I) ⊂ Lp (I) e per ogni f ∈ Lq (I) si ha (A.5) kf kp 6 Ckf kq . ` ovvio che L∞ (E) ⊂ Lp (E) per ogni p > 1. Supponiamo q < Dimostrazione. E +∞. La funzione costante 1 su E appartiene a tutti questi spazi. Scelta una f ∈ Lq (E), pensiamo alla funzione |f |p come prodotto |f |p · 1 dove |f |p ∈ Lq/p (E) e q −1 1 ∈ L(1−p/q) (E) = L q−p (E) in modo da applicare la (A.5) e dedurre che |f |p = |f |p · 1 ∈ L1 (E). Inoltre Z |f |p dx 6 k|f |p kq/p k1kq/(q−p) = kf kpq m(E)1−p/q , E da cui, elevando alla 1/p, si ricava kf kp 6 m(E)1/p−1/q kf kq . 2 L’applicazione p → kf kp , per i p per i quali `e definita, gode di alcune propriet`a, una delle quali `e la seguente: Se f ∈ L∞ (E) allora lim kf kp = kf k∞ . Infatti |f (x)| 6 kf k∞ q.o., inoltre p→+∞ per ogni ε > 0 esiste un insieme misurabile Eε ⊂ E di misura positiva tale che |f (x)| > kf k∞ − ε q.o. in Eε . Quindi, elevando alla p e integrando, si ha (kf k∞ − ε)m(Eε )1/p 6 kf kp 6 kf k∞ m(E)1/p . Per p → ∞ il primo e l’ultimo membro hanno limite, ma di quello centrale non lo sappiamo, possiamo solo scrivere kf k∞ − ε 6 lim inf kf kp 6 lim sup kf kp 6 kf k∞ , p→+∞ p→+∞ ma per l’arbitrariet` a di ε il minimo e il massimo limite devono coincidere, quindi il limite esiste e vale kf k∞ . Il fatto che L1 (E) sia il pi` u grande di tutti non significa che ne sia l’unione. Ad esempio, la funzione 1 1 , 06x6 , f (x) = 2 2 x log x sta in L1 [0, 1/2], ma non appartiene a nessun Lp [0, 1/2] con p > 1. Lo stesso si pu`o dire dell’intersezione: la funzione log x, 0 < x 6 1/2, sta in tutti gli Lp con p > 1 ma non in L∞ . Esercizio A.5 - A quali√spazi Lp [0, 1], p > 1, appartengono le funzioni 1/xα , o in particolare la funzione 1/ x? L’unico caso in cui i due esponenti coniugati coincidono `e quando p = q = 2, il ch´e rende speciale lo spazio L2 (E). Per la disuguaglianza di H¨older, se f, g ∈ L2 (E) 77 A.3 Spazi Lp allora f g ∈ L1 (E) e kf gk1 6 kf k2 kgk2 . Pertanto ha senso in L2 (E) definire il prodotto scalare tra f e g come l’integrale del loro prodotto Z hf, gi = f g¯ dx . E Il lettore lo pu` o verificare facilmente per esercizio. Nella disuguaglianza di H¨older si riconosce quella di Cauchy-Schwarz e la norma stessa pu`o essere scritta in termini del prodotto scalare p kf k2 = hf, f i . Se hf, gi = 0 le due funzioni f e g si dicono ortogonali. Essendo completo, di Banach come gli altri, e munito di una norma indotta dal prodotto scalare, L2 (E) `e uno spazio di Hilbert. Sulla relazione tra la convergenza puntuale e la convergenza in norma vale il seguente risultato. Teorema A.19 - Se fk → f in Lp (E) esistono una sottosuccessione (fhk ) e una funzione g ∈ Lp (E) tali che fhk → f q.o. in E e fhk (x) 6 g(x) per ogni k ∈ N e q.o. in E. Per ogni p ∈ [1, +∞[ indicheremo con Lploc (Rn ) l’insieme delle funzioni su Rn che appartengono a Lp (K) per ogni compatto K ⊂ Rn . La teoria dell’integrazione e la costruzione degli Lp si pu`o ripetere nello stesso modo per funzioni a valori reali (estesi) definite su uno spazio munito di una misura. Un esempio importante `e quello dei numeri interi con la misura della cardinalit`a c(A) per ogni A ⊂ Z. In questo caso ogni funzione misurabile pu`o essere identificata con una successione (cn ) ⊂ R, n ∈ Z, e la condizione che sia integrabile coincide con quella della convergenza della serie X (A.6) cn n∈Z di cui per` o non `e chiaro in quale ordine vanno presi i termini, a meno che non si sostituisca Z con N. Comunque `e ben noto che il suo carattere, e anche il valore della somma quando converge, pu` o dipendere dall’ordine dei termini. Se per`o `e incondizionatamente convergente, che equivale ad essere assolutamente convergente, la somma della serie non dipende dall’ordine dei termini e possiamo senz’altro interpretare la (A.6) arbitrariamente, ad esempio nel senso n X lim n→∞ ck . k=−n Indichiamo con `1 (Z), `p (Z), `∞ (Z) gli insiemi delle successioni x = (xn ) (reali o complesse) tali che !1/p kxk1 = X n∈Z |xn | < +∞ , kxkp = X p |xn | < +∞ , kxk∞ = sup |xn | < +∞ . n∈Z n∈Z Questi spazi sono di Banach e `1 ⊂ `p ⊂ `q ⊂ `∞ per ogni p, q tali che 1 6 p 6 q 6 +∞. In particolare `2 `e di Hilbert col prodotto scalare tra x = (xn ) e y = (yn ) hx, yi = X n∈Z xn y¯n . 78 Elementi di Analisi Funzionale A.4 Dualit` a e convergenza debole Siano X e Y due spazi vettoriali normati e A : X → Y un operatore lineare. Definizione A.20 - Diciamo che A `e limitato se esiste M ∈ R tale che kAxk 6 M kxk ∀x ∈ X . Il minimo M per cui vale questa relazione `e la norma di A kAk = sup x∈X kAxk kAxk = sup = sup kAxk . kxk kxk61 kxk kxk=1 Se X ha dimensione finita ogni operatore lineare A : X → Y `e continuo, altrimenti vale il seguente risultato. Teorema A.21 - Se A : X → Y `e lineare le seguenti propriet` a sono equivalenti (a) A `e continuo, (b) A `e continuo in 0, (c) A `e limitato. Dimostrazione. (a)⇒(b) `e ovvia e (b)⇒(a) perch´e se kAhk → 0 per khk → 0 allora kA(x + h) − A(x)k = kAhk → 0. Anche (c)⇒(b) `e ovvia perch´e se khk → 0 allora kAhk 6 khk → 0. Dimostriamo (b)⇒(c). Se A non fosse limitato per ogni n ∈ N xn ha esisterebbe un xn ∈ X tale che kAxn k > nkxn k. La successione ξn = nkxn k norma 1/n e tende a 0, ma kAξn k > 1 contrariamente all’ipotesi che sia continuo. 2 Se X ⊂ Y l’identit` a i : X → Y si chiama immersione. Essendo lineare, se vogliamo stabilirne la continuit` a dobbiamo verificare la relazione kxkY 6 M kxkX . Osserviamo inoltre che X 0 ⊃ Y 0 . Come caso particolare possiamo considerare Y = R oppure Y = C a seconda che X sia uno spazio vettoriale reale o complesso. In questo caso A si chiama funzionale lineare. L’insieme dei funzionali lineari e continui su X `e a sua volta uno spazio normato con la norma |Ax| kAk = sup , x∈X kxk si chiama duale di X e si indica con X 0 . Di esso si pu`o considerare il duale, (X 0 )0 , che viene detto biduale di X e si indica con X 00 . Osserviamo che X pu`o essere considerato sottoinsieme del suo biduale, vediamo in che senso. Ad ogni x ∈ X facciamo corrispondere il funzionale lineare limitato A → Ax. Anche questo `e limitato per la stessa relazione, |Ax| 6 kAkkxk, per cui `e limitato il funzionale x → Ax e ha norma kxk, quindi X ⊂ X 00 e l’identit`a i : X → X 00 `e un’isometria, in particolare `e continua. Se X = X 00 diciamo che X (e con esso anche X 00 ) `e riflessivo. Teorema A.22 (Hahn-Banach) - Siano X uno spazio normato, Y ⊂ X un sottospazio vettoriale e F : Y → R lineare e continuo. Allora esiste un prolungamento F˜ : X → R lineare e continuo tale che kF˜ kX = kF kY . Nel caso degli spazi Lp (E) la disuguaglianza di H¨older mostra che per f ∈ Lp il funzionale lineare Z (A.7) g → F (g) = f g dx E `e continuo su L (E) e, tenendo presente che essa vale come uguaglianza scegliendo |g| = |f |p/q , possiamo affermare che la norma del funzionale `e proprio kf kp . Viene allora da chiedersi se gli elementi di (Lq (E))0 siano tutti del tipo (A.7). Vale in proposito la seguente caratterizzazione. q 79 A.4 Dualit` a e convergenza debole Teorema A.23 (Teorema di Riesz) - Per ogni q ∈ [1, +∞[ (Lq (E))0 = Lp (E) nel senso che per ogni F ∈ (Lq (E))0 esiste un’unica f ∈ Lp (E) tale che vale la (A.7) e kF k = kf kp quindi (Lq (E))0 e Lp (E) sono isometrici. Il caso q = +∞ fa eccezione nel senso che (L∞ (E))0 % Lp (E). Dunque gli spazi Lp con 1 < p < +∞ sono riflessivi, ma L1 e L∞ non lo sono. Le stesse propriet` a valgono anche negli spazi `p . Facciamo un esempio di funzionale su L∞ [−1, 1] che non ammette rappresentazione in L1 . Il funzionale ϕ → F (ϕ) = ϕ(0) `e ovviamente lineare e continuo su C 0 [−1, 1] perch´e ϕ(0) 6 kϕk∞ . Allora ammette un’estensione con la stessa norma a tutto L∞ per il Teorema A.23. Se esistesse una f ∈ L1 tale che Z 1 f (x)g(x) dx ∀g ∈ L∞ [−1, 1] F (g) = −1 la sua restrizione alle continue varrebbe Z 1 f (x)ϕ(x) dx = ϕ(0) ∀ϕ ∈ C 0 [−1, 1] . −1 Ma ci` o `e assurdo perch´e la successione di funzioni continue ϕn (x) = e−n|x| soddisfa ϕn (0) → 1 e |f (x)ϕn (x)| 6 |f (x)| ∈ L1 mentre per la convergenza dominata Z 1 f (x)ϕ(x) dx → 0 . −1 Gli spazi Lp con 1 6 p < +∞ sono separabili, ammettono cio`e un sottoinsieme numerabile e denso. Se X `e uno spazio vettoriale topologico e X 0 il suo duale la topologia debole di X `e la topologia meno fine su X rispetto a cui gli elementi di X 0 sono funzioni continue. A meno che X non sia uno spazio metrico (pi` u in generale basta che soddisfi il I assioma di numerabilit` a), come nel caso che sia normato, la topologia debole non `e caratterizzata da una nozione di convergenza delle successioni. Ma a noi interessano gli spazi normati, dunque possiamo prendere come definizione di topologia debole quella indotta dalla seguente devinizione di convergenza debole. Definizione A.24 - Una successione (xh ) ⊂ X converge debolmente a x ∈ X, e si scrive xn * x, se F (xh ) → F (x) per ogni F ∈ X 0 . 80 Elementi di Analisi Funzionale Appendice B Cenni sugli spazi di Sobolev B.1 Funzioni assolutamente continue Definizione B.1 - Una funzione u : [a, b] → R viene detta assolutamente continua se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni famiglia finita di intervalli a due a due disgiunti [αi , βi ] ⊂ [a, b], i = 1, . . . , k, si ha k X (βi − αi ) < δ ⇒ i=1 k X |u(βi ) − u(αi )| < ε . i=1 L’insieme delle funzioni assolutamente continue su [a, b] viene indicato con AC[a, b]. Scegliendo k = 1 si vede subito che ogni funzione assolutamente continua `e uniformemente continua. Il viceversa non `e detto, vi sono funzioni continue su [a, b] che non sono AC[a, b] come la funzione di Cantor, sulla quale si consiglia di consultare l’interessante presentazione di Gorni in cui viene chiamata funzione di Vitali. L’Autore mostra tra l’altro che `e h¨ olderiana con esponente log3 2, quindi le funzioni h¨olderiane non sono necessariamente AC. Una condizione invece sufficiente `e quella di Lipschitz: ogni funzione lipschitziana, in particolare ogni funzione di C 1 [a, b], `e assolutamente continua. Infatti se per ogni x, y ∈ [a, b] |f (x) − f (y)| 6 K|x − y| scelto δ(ε) = ε/K nella Definizione B.1, si ha k X |u(βi ) − u(αi )| 6 K i=1 k X (βi − αi ) < K i=1 ε = ε. K Le funzioni assolutamente continue sono, in qualche senso che ora vediamo, quelle derivabili. Teorema B.2 (di derivazione di Lebesgue) - Se u ∈ AC[a, b] allora esiste quasi ovunque la derivata u0 (x), u0 ∈ L1 [a, b] e Z x u(x) − u(y) = u0 (t) dt ∀x, y ∈ [a, b] . y La dimostrazione `e tutt’altro che banale e la omettiamo, ci limitiamo ad osservare che ammettere la derivata in L1 non implica essere assolutamente continua. La funzione di Cantor c(x) ne `e un esempio: `e continua e non decrescente su [0, 1], ha derivata quasi ovunque nulla, ma Z 1 c(1) − c(0) = 1 > c0 (x) dx = 0 . 0 82 Cenni sugli spazi di Sobolev Evidentemente c(x) non `e assolutamente continua, non coincide con la funzione inte` molto semplice invece dimostrare, con l’aiuto dell’assoluta grale della sua derivata. E continuit` a dell’integrale (A.2), che le primitive di funzioni L1 sono AC come viene affermato nel seguente teorema. Teorema B.3 - Siano v ∈ L1 [a, b] e u(x) = Z x v(t) dt . a Allora u ∈ AC[a, b] e u0 = v q.o. Con questa caratterizzazione riconosciamo come assolutamente continue le funzioni di C 1 ]a, b[∩C 0 [a, b], come le h¨ olderiane xα con 0 < α < 1, come la 1/ log x su [0, 1/2] che non `e h¨ olderiana, semplicemente perch´e sono funzioni integrali di funzioni di L1 ]a, b[. Anche le funzioni localmente lipschitziane su ]a, b[, come le convesse, e continue su [a, b] sono assolutamente continue. Se AC[a,b] viene munito della norma kukAC = kuk1 + ku0 k1 ∀u ∈ AC[a, b] si vede facilmente che Lip[a, b] `e denso in AC[a, b]. Proposizione B.4 - Per ogni u ∈ AC[a, b] esiste una successione (uh ) ⊂ Lip[a, b] tale che ku − uh kAC → 0. Dimostrazione. Siccome C 0 [a, b] `e denso in L1 [a, b], esiste una successione (vh ) ⊂ C 0 [a, b] tale che kvh − u0 k1 → 0. Le funzioni Z x uh (x) = u(a) + vh (t) dt a sono ovviamente lipschitziane, la successione delle derivate u0h = vh converge a u0 in L1 e adesso verifichiamo che uh → u in L1 . Infatti Z x 0 ku − uh k1 6 (b − a) sup u (t) − vh (t) dt x∈[a,b] 6 (b − a) Z b a |u0 (t) − vh (t)| dt = (b − a)ku0 − vh k1 → 0 . a 2 B.2 Distribuzioni L’appendice precedente `e finita proprio con un esempio di distribuzione, ora qua di seguito la vediamo pi` u precisamente. Indichiamo con D(Ω) lo spazio vettoriale C0∞ (Ω) delle funzioni con derivate di ogni ordine a supporto compatto nell’aperto Ω ⊂ Rn munito della seguente nozione di convergenza. Definizione B.5 - Una successione (ϕh ) ⊂ D(Ω) converge in D(Ω) a ϕ ∈ D(Ω) per h → ∞ se esiste un compatto K ⊂ Ω che contiene tutti i supporti delle ϕh e la successione delle derivate di ogni ordine (Dα ϕh ) converge uniformemente a Dα ϕ. Che lo spazio non sia vuoto lo si vede ad esempio con la funzione ϕ : Rn → R ( − 1 e 1−|x|2 se |x| 6 1 ϕ(x) = 0 se |x| > 1 83 B.2 Distribuzioni manipolando la quale non `e difficile costruire una funzione cut-off, una ϕ ∈ C0∞ (Ω) tale che ( 1 se x ∈ K ϕ(x) = 0 se x ∈ Rn − Ω dove K `e un compatto contenuto in Ω. Si pu` o dimostrare che la convergenza della Definizione B.5 `e indotta da una topologia non metrizzabile su D(Ω). Indichiamo con D 0 (Ω) il duale di D(Ω), lo spazio dei funzionali lineari e continui su D(Ω). Gli elementi di T ∈ D 0 (Ω) si chiamano distribuzioni e T (ϕ) viene indicato di solito con hT, ϕi. Dunque una distribuzione `e un’applicazione lineare T : D(Ω) → R tale che per ogni successione ϕh → 0 in D(Ω) si ha hT, ϕh i → 0. La topologia di D(Ω) `e definita in modo tale che nella Definizione A.20 la costante M dipende dal compatto K ⊂ Ω che si sceglie come supporto comune agli elementi di D(Ω). Da K dipende anche il massimo ordine di derivazione che pu`o essere sufficiente considerare nella norma uniforme di ϕ e delle sue derivate. Definizione B.6 - Una distribuzione `e un funzionale lineare T : D(Ω) → R tale che per ogni compatto K ⊂ Ω esistono un numero reale M > 0 e un m ∈ N tali che (B.1) |hT, ϕi| 6 M kϕkm per ogni ϕ ∈ D(Ω) con supporto in K. Esempi B.1 Ogni funzione f ∈ C 0 (Ω) o, pi` u in generale, ogni funzione f ∈ L1loc (Ω) definisce R l’applicazione, ovviamente lineare, hTf , ϕi = f ϕ. Essa appartiene a D 0 (Ω) in quanto continua. Infatti gli elementi ϕh di una successione che tende a 0 in D(Ω) hanno tutti lo stesso compatto K ⊂ Ω come supporto, quindi Z Z |f | dx → 0 . |hTf , ϕh i| = f ϕh dx 6 kϕh k∞ K Ω Ci` o mostra che le comuni funzioni possono essere viste come distribuzioni e possiamo identificare Tf con la f stessa. Dal punto di vista della (B.1) l’esempio precedente pu` o essere quindi rivisto in questo modo equivalente: per ogni K ⊂ Ω compatto si ha Z Z f ϕ dx 6 kϕk∞ |f | dx . Ω K Una misura di Radon su R `e una misura boreliana, regolare e finita sui compatti. n B.2 Ogni misura di Radon µ pu` o essere interpretata come la distribuzione µ ∈ D 0 (Ω) Z hµ, ϕi = ϕ dµ . Ω Essa `e continua perch´e se K ⊂ Ω `e il supporto di ϕ si ha Z |hµ, ϕi| = ϕ dµ 6 kϕk∞ µ(K) . Ω B.3 Una particolare misura `e la delta di Dirac δx0 , ossia la distribuzione hδx0 , ϕi = ϕ(x0 ) . 84 Cenni sugli spazi di Sobolev Gli esempi precedenti sono misure di ordine 0 in quanto m = 0, cio`e viene coinvolta la ϕ, ma non le sue derivate. InR una variabile, tanto per fare qualche esempio, le distribuzioni ϕ → ϕ0 (0) e ϕ → f ϕ0 dx sono distribuzioni del I ordine. Esistono anche distribuzioni di ordine infinito, come nel caso di una somma numerabile di δ concentrate su una successione di punti che tende al bordo con ordine di derivazione della ϕ via via crescente. Ad esempio ha ordine infinito la distribuzione di D 0 ]0, 1[ hT, ϕi = ∞ X ϕ (k) k=1 1 . k Definizione B.7 - Il pi` u piccolo m ∈ N per cui vale la (B.1) per qualche M > 0 per ogni compatto K ∈ Ω si chiama ordine della distribuzione. Se tale m non esiste diciamo che la distribuzione ha ordine infinito. Se f ∈ C 1 (Ω) ogni derivata parziale Di f `e continua e appartiene a L1loc (Ω), quindi `e una distribuzione di ordine 1 Z Z hDi f, ϕi = Di f ϕ dx = − f Di ϕ dx ∀ϕ ∈ D(Ω) . Ω Ω Questo esempio mostra che di ogni distribuzione se ne pu`o considerare la derivata di ogni ordine perch´e in realt` a la funzione che dopo tutto viene derivata effettivamente `e la funzione test ϕ che di derivate ne ha infinite. Definizione B.8 - Per ogni multiindice α la derivata di una qualsiasi distribuzione T ∈ D 0 (Ω) `e la distribuzione Dα T ∈ D 0 (Ω) definita da hDα T, ϕi = (−1)α hT, Dα ϕi ∀ϕ ∈ D(Ω) . Esempi B.4 La funzione di Heaviside ( 1 H(x) = 0 se x > 0 se x < 0 ha per derivata δ0 . Infatti per ogni ϕ ∈ D(R) si ha hH , ϕi = − 0 Z Hϕ dx = − 0 +∞ Z ϕ0 dx = ϕ(0) . 0 R B.5 Se la δ0 rappresenta una carica positiva puntiforme posta in 0 la sua derivata, la distribuzione δ00 , rappresenta un dipolo di due cariche di entit` a 1/h e −1/h, poste rispettivamente in 0 e in h hδ00 , ϕi = −ϕ0 (0) = lim h→0 ϕ(0) − ϕ(h) h Vediamo di spiegare meglio questi due esempi. Supponiamo che le gaussiane della successione √ 2 fh (x) = hπe−hx , h ∈ N, rappresentino densit` a di cariche elettriche distribuite (da cui il termine distribuzione) sulla retta. Al crescere di h le cariche si concentrano sempre di pi` u nelle vicinanze 85 B.3 Gli spazi di Sobolev dello 0 e i picchi delle fh sono sempre pi` u alti, ma la carica totale, l’integrale su R, rimane costante ed `e pari a 1. Studiando come si comportano le distribuzioni associate hfh , ϕi = √ Z +∞ e nπ −hx2 −∞ 1 ϕ(x) dx = √ π Z +∞ e −y 2 ϕ −∞ y √ n dy , si vede che per il teorema della convergenza dominata lim hfh , ϕi = ϕ(0) = hδ0 , ϕi . h→∞ Se invece si considera la successione delle derivate delle gaussiane, integrando per parti si ottiene lim hfh0 , ϕi = −ϕ0 (0) = hδ00 , ϕi . h→∞ Applicate le fh alla funzione test xϕ si possono interpretare come distribuzioni di dipoli che si concentrano sempre di pi` u in 0. Osserviamo anche che le funzioni integrali Z x Fh (x) = fh (t) dt −∞ tendono alla funzione di Heaviside. Questo esempio suggerisce di considerare come nozione naturale di convergenza delle successioni di distribuzioni quella puntuale. Definizione B.9 - Una successione (Th ) ⊂ D(Ω) converge a T ∈ D(Ω) se lim hTh , ϕi = hT, ϕi h→∞ ∀ϕ ∈ D(Ω) . Il prodotto di due distribuzioni non ha senso in generale, ma una distribuzione pu` o sempre essere moltiplicata per una funzione di classe C ∞ . Infatti per T ∈ D 0 (Ω) e per ogni ψ ∈ C ∞ (Ω) `e ben definita la distribuzione hψT, ϕi = hT, ψϕi ∀ϕ ∈ D(Ω) . Abbiamo scelto come spazio delle funzioni test il pi` u piccolo possibile, D(Ω), in modo che vada bene per tutte le distribuzioni, per poter dare cio`e una definizione generale. Tuttavia si pu` o sempre indagare se, caso per caso, non fosse possibile passare ad uno spazio pi` u grande, cos`ı da costruire un’estensione della distribuzione. Per le distribuzioni di ordine 0, come le misure di Radon, si pu`o certamente passare da D(Ω) a C00 (Ω), o a C 0 (Ω) ma non oltre, oppure a C0m (Ω) per quelle di ordine m. Ma l’estensione pu` o essere considerata talvolta anche su spazi ben pi` u grandi, basta controllare che non venga meno la disuguaglianza (B.1). Ad esempio se f ∈ Lp (Ω), con p ∈ [1, +∞[, la Tf pu` o essere estesa a Lq (Ω) dove q `e l’esponente coniugato di p. B.3 Gli spazi di Sobolev Premettiamo due lemmi che saranno utili qui e nel seguito. Lemma B.10 - Se f ∈ L1 ]a, b[ e Z a allora f = 0 q.o. in ]a, b[. b f ϕ dx = 0 ∀ϕ ∈ D]a, b[ 86 Cenni sugli spazi di Sobolev Dimostrazione. Se per ogni compatto R K ⊂]a, b[ applichiamo l’ipotesi ad una funzione cut-off che vale 1 su K si ottiene K f = 0. Ma l’integrale `e nullo anche su ogni boreliano B ⊂]a, b[, basta considerare una successione di compatti Kh ⊂ B tale che m(B − Kh ) → 0 e applicare la propriet`a che l’integrale `e una misura assolutamente continua Z Z Z Z f dx = f dx − f dx = f dx → 0 . B Ne segue R E B Kh B−Kh f = 0 per ogni insieme E misurabile, dunque f = 0 quasi ovunque. 2 Lemma B.11 - Se f ∈ L1 ]a, b[ e Z b f ϕ0 dx = 0 ∀ϕ ∈ D]a, b[ a allora esiste c ∈ R tale che f = c q.o. in ]a, b[. Dimostrazione. L’ipotesi equivale a b Z f ψ dx = 0 ∀ψ ∈ C ∞ [a, b] tale che Z a b ψ dx = 0 . a Sia hf i la media integrale di f su [a, b] e dimostriamo che questa `e il valore costante di f . Per ogni ϕ ∈ D]a, b[ la funzione ψ = ϕ − hϕi `e C ∞ e a media nulla, quindi f ψ ha integrale nullo. D’altra parte Z b f ψ dx = a Z b f (ϕ − hϕi) dx = Z a = Z b Z f ϕ dx − a b Z f ϕ dx − hf i a b b f hϕi dx a ϕ dx = Z a b (f − hf i)ϕ dx , a quindi per il Lemma B.10 f − hf i = 0 q.o. in ]a, b[. 2 Indichiamo con Du la derivata distribuzionale, detta anche derivata debole, di una funzione u ∈ L1loc ]a, b[. Definizione B.12 - Diciamo che u ∈ W 1,p ]a, b[ se u ∈ Lp ]a, b[ e Du ∈ Lp ]a, b[. Dimostriamo adesso che gli elementi di W 1,1 ]a, b[ altro non sono che le funzioni di AC[a, b]. Teorema B.13 - Se u ∈ AC[a, b] allora u ∈ W 1,1 ]a, b[ e Du = u0 q.o. in [a, b]. Viceversa, se u ∈ W 1,1 ]a, b[ allora esiste u ¯ ∈ AC[a, b] tale che u ¯ = u q.o. in [a, b] e u ¯0 = Du q.o. in [a, b]. Dimostrazione. Sappiamo che ogni funzione u ∈ AC[a, b] ammette la derivata u0 quasi ovunque in L1 ]a, b[, dobbiamo dimostrare che Z b u0 ϕ dx = − b Z a ∀ϕ ∈ D]a, b[ . uϕ0 dx a La funzione v = uϕ `e assolutamente continua, quindi 0 = v(b) − v(a) = Z a b v dx = 0 Z a b (u0 ϕ + uϕ0 ) dx . 87 B.3 Gli spazi di Sobolev Vediamo l’implicazione contraria. Se u ∈ W 1,1 ]a, b[ Du ∈ L1 ]a, b[, quindi la sua funzione integrale Z x v(x) = Du(t) dt a appartiene ad AC[a, b], allora sta anche in W 1,1 ]a, b[ e Dv = Du q.o. in [a, b]. Dal Lemma B.11 segue che v − u = c q.o. in [a, b]. Baster`a allora scegliere u ¯ = v − c. 2 Le propriet` a viste per gli spazi Lp ]a, b[ hanno delle conseguenze ovvie sugli spazi W 1,p ]a, b[, per esempio 1 6 p < q 6 +∞ ⇒ W 1,q ]a, b[⊂ W 1,p ]a, b[, essendo W 1,∞ ]a, b[ lo spazio delle funzioni assolutamente continue che ammettono derivata distribuzionale, ma a questo punto nel senso classico q.o., essenzialmente limitata, si tratta cio`e delle funzioni lipschitziane. Abbiamo visto che nel pi` u grande di questi spazi, W 1,1 ]a, b[, ci sono funzioni non h¨olderiane come 1/ log x con 0 < x < 1/2, mentre gli elementi di W 1,p ]a, b[ con 1 < p < +∞ sono tutte funzioni h¨olderiane con esponente 1/q con q il coniugato di p. Infatti, per la disuguaglianza di H¨older, se a 6 y < x 6 b Z x Z x u0 (t) dt 6 |u0 (t)| dt 6 ku0 kp |x − y|1/q . |u(x) − u(y)| = y y Dobbiamo tener presente che gli elementi di questi spazi sono classi di equivalenza di funzioni, quindi quando si dice che una funzione `e regolare, nel senso che `e continua, lipschitziana o h¨ olderiana ecc., si deve intendere che nella sua classe ce n’`e una con queste propriet` a e con la quale si pu`o identificare. In dimensione maggiore, e considerando anche le derivate successive fino ad un certo ordine m ∈ N, si definiscono nello stesso modo i vari spazi di Sobolev. Dato un aperto Ω ⊂ Rn , definiamo W m,p (Ω) = {u ∈ Lp (Ω) | Dα u ∈ Lp (Ω) ∀α : |α| 6 m} . In altre parole `e elemento di W m,p (Ω) ogni funzione u ∈ Lp (Ω) tale che per ogni multiindice |α| 6 m esiste uα ∈ Lp (Ω) tale che Z huα , ϕi = (−1)|α| uDα ϕ dx ∀ϕ ∈ D(Ω) . Ω Ovviamente W 0,p (Ω) = Lp (Ω). La norma naturale di W m,p (Ω) `e cos`ı definita (B.2) kukm,p = X kDα ukp α6m e rispetto ad essa `e uno spazio di Banach. Nel caso particolare p = 2 si ottiene uno spazio di Hilbert col prodotto scalare XZ hu, vi = Dα uDα v dx . α6m Ω Lo spazio C ∞ (Ω) `e denso in ogni W m,p (Ω) con p finito, ma, a differenza di quanto accade in Lp (Ω), C0∞ (Ω) non lo `e. Se ne consideriamo la chiusura rispetto alla norma (B.2) si ottiene il sottospazio W0m,p (Ω). Non `e difficile verificare che W0m,p (Rn ) = W m,p (Rn ). Gli spazi W m,p (Ω) con 1 < p < +∞ sono riflessivi e quelli con 1 6 p < +∞ sono separabili. Quelli con p < +∞ coincidono con gli spazi H m,p (Ω) definiti come completamento degli spazi di funzioni regolari C m (Ω), nei quali le derivate vengono chiamate forti (per distinguerli da quelle deboli, nel senso delle distribuzioni). 88 Cenni sugli spazi di Sobolev Definizione B.14 - Diciamo che u ∈ H m,p (Ω) se esiste una successione (uh ) ⊂ C (Ω) tale che kuh −ukp → 0 e per ogni α 6 m la successione (Dα uh ) `e di Cauchy in Lp (Ω), per cui esistono funzioni uα ∈ Lp (Ω) tali che kDα uh − uα kp → 0. Le funzioni uα si chiamano derivate forti di u e si indicano con Dα u. m In un lavoro del 1964 intitolato H = W Meyers e Serrin hanno dimostrato che per 1 6 p < +∞ i due tupi di spazi di Sobolev coincidono. Che ci`o non valga nel caso p = +∞, per cui H 1,∞ (Ω) $ W 1,∞ (Ω), `e evidente con l’esempio u(x) = |x| su ]−1, 1[. Lo spazio W0m,p (Ω), visto come sottospazio di W m,p (Ω), ammette come duale uno spazio pi` u grande. Prendiamo ad esempio W01,2 (Ω) = H01 (Ω). Ogni funzionale lineare e continuo pu` o essere visto come l’estensione ad H01 (Ω) di una distribuzione del tipo ϕ → hf, ϕi = Z Ω f0 ϕ + n Z X fi Di ϕ . Ω i=1 Allora gli elementi fi devono appartenere a L2 (Ω) e f = f0 − n X ∂fi = f0 − div F , ∂xi i=1 F = (f1 , . . . , fn ) , nel senso delle distribuzioni. Il duale di H01 (Ω) viene pertanto indicato con H −1 (Ω). Pi` u in generale, W −m,q (Ω), 1/p + 1/q = 1, `e l’insieme delle distribuzioni f ∈ D 0 (Ω) tali che per ogni |α| 6 m esistono fα ∈ Lq (Ω) tali che X Z hf, ui = fα Dα u dx ∀u ∈ W0m,p (Ω) . |α|6m Per indicare la f si scrive f = Ω X |α|6m (−1)|α| Dα fα . Appendice C Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace Ricordiamo il lemma di Gauss, detto anche teorema della divergenza, su un dominio aperto Ω che supporremo connesso Z Z div E dx = E · ν dσ Ω ∂Ω ¯ `e un campo vettoriale e il bordo di Ω, ∂Ω, `e lipschitziano o C 1 dove E ∈ C 1 (Ω)∩C 0 (Ω) ¯ a tratti. Ne segue che se il campo E `e conservativo con potenziale u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω), E = ∇u, si ha Z Z Z ∂u (C.1) ∆u dx = ∇u · ν dσ = dσ . Ω ∂Ω ∂Ω ∂ν Per un prodotto del tipo u∇v si ha Z Z div(u∇v) dx = Ω ∂Ω u ∂v dσ , ∂ν d’altra parte div(u∇v) = ∇u · ∇v + u∆v, quindi vale la formula d’integrazione per parti Z Z Z ∂v (C.2) u∆v dx = u dσ − ∇u · ∇v dx . Ω ∂Ω ∂ν Ω Una funzione u ∈ C 2 (Ω) `e detta armonica, subarmonica o superarmonica se, rispettivamente, ∆u = 0, ∆u > 0 o ∆u 6 0 in Ω. Dalla (C.2) segue che se ¯ `e una funzione armonica allora u = v ∈ C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω) Z Z ∂u |Du|2 dx = u dσ Ω ∂Ω ∂ν da cui si vede subito che u = 0 oppure Dν u = 0 su ∂Ω allora Du = 0 in Ω e se Ω `e connesso u `e costante, in particolare se u = 0 su ∂Ω allora u = 0 su Ω. In altre parole, se f e g sono continue la soluzione del problema di Dirichlet per l’equazione di Poisson ( −∆u = f in Ω (C.3) u=g su ∂Ω ¯ o unica a meno di una costante in C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω) ¯ nel caso `e unica in C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω), del problema di Neumann. 90 Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace C.1 Teorema della media e principio di massimo Per ogni x ∈ Ω scegliamo una palla BR (x) ⊂ Ω e applichiamo la (C.1) alla Bρ (x), con ρ < R, scrivendo il termine sul bordo in coordinate sferiche y = x + ρω dove |ω| = 1 `e la variabile vettoriale della sfera unitaria Z Z Z ∂ ∂u dσ = ρn−1 u(x + ρω) dω ∆u dy = ∂ρ |ω|=1 Bρ ∂Bρ ∂ν #. " Z Z 1−n n−1 ∂ n−1 ∂ ρ u dσ =ρ u(x + ρω) dω = ρ ∂ρ |ω|=1 ∂ρ ∂Bρ Allora la media su ∂Bρ ρ→ 1 ωn ρn−1 Z u dσ ∂Bρ come funzione di ρ `e crescente, decrescente o costante a seconda del segno di ∆u su Ω e confrontando il limite della media per ρ → 0 con il valore che assume per ρ = R si ottiene il seguente risultato. Teorema C.1 (della media) - Per ogni palla BR (x) ⊂ Ω Z 1 u armonica ⇒ u(x) = u dσ ωn Rn−1 ∂BR Z 1 u dσ u subarmonica ⇒ u(x) 6 (C.4) ωn Rn−1 ∂BR Z 1 u superarmonica ⇒ u(x) > u dσ . ωn Rn−1 ∂BR Questa propriet` a vale anche con la media su tutta la palla, basta integrare rispetto a ρ da 0 a R la (C.4) scritta con ρ al posto di R Z R Z R Z Z ωn Rn ωn ρn−1 u(x) dydρ = u(x) =6> dρ u(y) dy = u(y) dy n 0 0 ∂Bρ BR da cui u(x) =6> n ωn Rn Z u(y) dy BR dove n/ωn `e la misura della palla unitaria. Una conseguenza importante `e il seguente principio di massimo. Teorema C.2 (Principio di massimo forte) - Una funzione subarmonica (superarmonica) u in Ω che abbia massimo (minimo) in un punto interno `e necessariamente costante. Dimostrazione. Supponiamo ∆u > 0 in Ω e u(x0 ) = M = sup u(x) con x0 ∈ Ω. Ω L’insieme ΩM = {x ∈ Ω | u(x) = M } `e non vuoto perch´e x0 ∈ ΩM e chiuso in Ω perch´e u `e continua. D’altra parte, per il teorema della media, se BR (x0 ) ⊂ Ω Z n M = u(x0 ) 6 u(x) dx 6 M , ωn Rn BR (x0 ) quindi u(x) = M per ogni x ∈ BR (x0 ), pertanto ΩM `e anche un aperto di Ω. Siccome Ω `e connesso ΩM = Ω e u `e costante su Ω. 2 Dunque una funzione armonica non pu`o raggiungere il suo massimo n´e il suo minimo all’interno di Ω, a meno che non sia costante. Di immediata conseguenza `e il seguente. 91 C.2 Soluzione fondamentale e formula di Poisson ¯ e ∆u > Teorema C.3 (Principio di massimo debole) - Se u ∈ C 2 (Ω)∩C 0 (Ω) 0 (∆u 6 0) allora sup u = sup u inf u = inf u . Ω Ω ∂Ω ∂Ω In particolare se ∆u = 0 inf u 6 u(x) 6 sup u ∂Ω ∀x ∈ Ω . ∂Ω Si conferma anche, per altra via, l’unicit`a della soluzione del problema al bordo (C.3): se u, v sono due soluzioni e w = u − v allora ∆w = 0 in Ω e w = 0 su ∂Ω. Per il principio di massimo w(x) = 0 per ogni x ∈ Ω, quindi u = v. ¯ `e armonica allora Esercizio C.1 - Mostrare che se u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω) sup |u| = sup |u| . Ω C.2 ∂Ω Soluzione fondamentale e formula di Poisson Una conseguenza della (C.2) `e la formula di Green Z Z ∂u ∂v −v dσ . (C.5) (u∆v − v∆u) dx = u ∂ν ∂ν Ω ∂Ω Si chiama soluzione fondamentale dell’operatore differenziale L la soluzione Γ dell’equazione LΓ = δ , nel senso delle distribuzioni, tale che Γ(∞) = 0, almeno se n > 2. Nel caso dell’operatore −∆ deve essere Z (C.6) − Γ∆ϕ dx = ϕ(0) ∀ϕ ∈ D(Rn ) . Rn Per l’isotropia del laplaciano cerchiamo soluzioni Γ a simmetria radiale Γ(ρ) essendo ρ = |x|. Su Rn − {0} Γ deve essere armonica, e siccome Γ0 (ρ) = ∇Γ · ν su ogni sfera centrata in 0, si ha per ogni R > 0 fissato e per ogni ρ > R Z Z Z 0 0= ∆Γ(|x|) dx = Γ (ρ) dσ − Γ0 (R) dσ = ωn ρn−1 Γ0 (ρ) − c R<|x|<ρ |x|=ρ |x|=R dove ωn `e la misura n − 1-dimensionale della superficie sferica di raggio 1. Pertanto c Γ0 (ρ) = ρ > 0. ωn ρn−1 Per integrazione si ottiene c 2π log ρ Γ(ρ) = c ωn (2 − n)ρn−2 se n = 2 se n > 2 . Resta da calcolare c in modo che sia soddisfatta la (C.6). A questo scopo consideriamo una ϕ a supporto compatto in Rn e per ogni ε > 0 sia Ωε = Rn − Bε (0). Applicando la formula di Green (C.5), per il teorema della media si ha Z Z Z ∂Γ ∂ϕ dσ − ϕ dσ Γ∆ϕ dx = Γ |x|=ε ∂ν Ωε |x|=ε ∂ν = Γ(ε)ωn εn−1 ∂ϕ(ξε ) + Γ0 (ε)ωn εn−1 ϕ(ηε ) ∂ν 92 Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace dove ξε , ηε ∈ ∂B (0). Per ε → 0 si ottiene Z Γ∆ϕ dx = cϕ(0) Ωε da cui c = −1 e − log ρ 2π Γ(ρ) = 1 ωn (n − 2)ρn−2 se n = 2 se n > 2 . Esercizio C.2 - Dedurre l’espressione di Γ(ρ) appena ottenuta cercando direttamente le soluzioni dell’equazione di Laplace che sono a simmetria sferica. Usiamo di nuovo la (C.5) per ricavare una rappresentazione integrale delle funzioni ¯ Per ogni x ∈ Ω poniamo Ωε = Ω − Bε (x) e osserviamo che, posto u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω). ρ = |x − y|, la funzione y → Γ(|x − y|) `e armonica in Ωε . Pertanto Z Z ∂u(ηε ) ∂u Γ(|x − y|)∆u(y) dy = dσ(y) + Γ(ε)ωn εn−1 Γ(|x − y|) ∂νy ∂νy Ωε ∂Ω Z ∂Γ dσ(y) + Γ0 (ε)ωn εn−1 u(ξε ) − u(y) ∂νy ∂Ω e per ε → 0 si ottiene Z Z (C.7) u(x) = − Γ(|x−y|)∆u(y) dy− ∂Γ u(y) dσ(y)+ ∂ν y ∂Ω Ω Z ∂Ω Γ(|x−y|) ∂u dσ(y) . ∂νy Si riconosce il valore del potenziale u in un punto come somma di 3 contributi: il potenziale di volume dovuto ad una distribuzione di carica all’interno di Ω, il potenziale di doppio strato dovuto ad una distribuzione di dipoli in superficie e il potenziale di strato semplice dovuto ad una distribuzione di cariche in superficie. Ora prendiamo una funzione h(x, y) di classe C 2 (Ω × Ω) tale che y → h(x, y) sia 1 ¯ C (Ω) per ogni x ∈ Ω e che h(x, y) = Γ(|x − y|) per ogni x ∈ Ω e per ogni y ∈ ∂Ω. Poich´e Z Z Z ∂h ∂u h(x, y)∆u(y) dy + u(y) dσ(y) = 0 , dσ(y) − h ∂νy Ω ∂Ω ∂Ω ∂ν per differenza membro a membro con la (C.7) e introdotta la funzione di Green G(x, y) = h(x, y) − Γ(|x − y|), si ottiene Z Z ∂G u(x) = G(x, y)∆u(y) dy + u(y) dσ(y) ∀x ∈ Ω ∂ν y Ω ∂Ω che fornisce una rappresentazione integrale della soluzione del problema di Dirichlet (C.3) Z Z ∂G u(x) = − G(x, y)f (y) dy + g(y) dσ(y) ∀x ∈ Ω . ∂ν y Ω ∂Ω Costruiamo adesso la funzione di Green per la palla BR = BR (0) e con essa la formula di Poisson. Cerchiamo una funzione h del tipo h(x, y) = α ωn (n − 2)|x∗ − y|n−2 dove x∗ = R2 x/|x|2 `e il punto ottenuto da x per inversione rispetto alla BR e α va determinato in modo che per ogni y ∈ Br sia G(x, y) = 0. Poich´e |x∗ − y| = 93 C.2 Soluzione fondamentale e formula di Poisson |x − y||y|/|x| = |x − y|R/|x|, questa condizione `e verificata se α = Rn−2 /|x|n−2 e la G vale 1 Rn−2 1 ¯. − , ∀(x, y) ∈ Ω × Ω G(x, y) = ωn (n − 2) |x|n−2 |x∗ − y|n−2 |x − y|n−2 Per calcolare la derivata normale (in y) di G sul bordo teniamo presente che ∂G y ∂G y y ∂G = ∇y G · = · = ∂νy R ∂|y| R R ∂|y| e che, se x · y = |x||y| cos γ = R|x| cos γ, ∂|x − y| R − |x| cos γ = , ∂|y| |x − y| ∂|x∗ − y| R − |x∗ | cos γ = . ∂|y| |x∗ − y| Quindi, dopo qualche manipolazione, si ottiene n−2 (2 − n)(R − |x∗ | cos γ (2 − n)(R − |x| cos γ) 1 R ∂G · − = ∂νy ωn (n − 2) |x|n−2 |x∗ − y|n |x − y|n = R2 − |x|2 . ωn R|x − y|n ¯R ) vale dunque la formula di rapprePer una funzione armonica u ∈ C 2 (BR ) ∩ C 1 (B sentazione integrale di Poisson Z R2 − |x|2 u(y) (C.8) u(x) = dσ(y) ∀x ∈ BR n ωn R ∂BR |x − y| e con un ragionamento di approssimazione sul bordo non `e difficile mostrare che la ¯R ). Si osservi che per y = 0 si riottiene il (C.8) vale anche se u ∈ C 2 (BR ) ∩ C 0 (B teorema della media con le conseguenze che abbiamo gi`a visto. Per stabilire l’esistenza l’esistenza di soluzioni del problema di Dirichlet classico per l’equazione di Laplace sulla palla dobbiamo considerare il ragionamento inverso, in certo senso, che ha portato alla (C.8). Teorema C.4 - Siano B = BR (0) e g ∈ C 0 (∂B). Allora la funzione Z R2 − |x|2 g(y) u(x) = dσ(y) ∀x ∈ B n ωn R ∂BR |x − y| `e soluzione del problema di Dirichlet ¯ , u ∈ C (B) ∩ C (B) 2 0 ( ∆u = 0 u=g in B su ∂B . Dimostrazione. Che u `e armonica in B discende dal fatto che lo `e la funzione x → G(x, y) e quindi anche la x → ∂G(x, y)/∂νy sul bordo. Rimane da far vedere che u assume il valore g su ∂B con continuit`a, cio`e che per ogni x0 ∈ ∂B |u(x)−g(x0 )| → 0 per x → x0 con x ∈ B. Per la (C.8) con u = 1 identicamente, il nucleo di Poisson K(x, y) = R2 − |x|2 , ωn R|x − y|n x ∈ B , y ∈ ∂B , ha integrale unitario Z ∂B K(x, y) dσ(y) = 1 , 94 Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace cosa che si potrebbe anche verificare direttamente ma sarebbe piuttosto complicato. Fissati x0 ∈ ∂B e ε > 0, scegliamo δ > 0 tale che per ogni y ∈ ∂B con |y − x0 | < δ si abbia |g(y) − g(x0 )| < ε e sia |g| 6 M su ∂B. Si ha allora per ogni x ∈ B Z K(x, y)(g(y) − g(x0 )) dσ(y) |u(x) − g(x0 )| 6 ∂B Z Z 6 K(x, y)|g(y) − g(x0 )| dσ(y) + K(x, y)|g(y) − g(x0 )| dσ(y) |y−x0 |6δ 2M (R2 − |x|2 ) <ε+ ωn R |y−x0 |>δ Z |y−x0 |>δ 1 dσ(y) |x − y|n e poich´e nell’ultimo integrale |x − y| > |y − x0 | − |x − x0 | > δ − |x − x0 |, basta che sia |x − x0 | < δ/2 e si ha |x − y| > δ/2. Qundi per |x − x0 | < δ/2 si ottiene |u(x) − g(x0 )| < ε + 2M (R2 − |x|2 )Rn−2 = ε + ψ(x) , (δ/2)n ma siccome ψ(x) → 0 per x → x0 , ψ(x) < ε se |x − x0 | < δ 0 per un certo δ 0 > 0 . In definitiva, per |x − x0 | < min{δ 0 , δ/2} si ottiene |u(x) − g(x0 )| < 2ε . 2 La formula integrale di Poisson ha notevoli conseguenze. - Una funzione u ∈ C 2 (Ω) che soddisfa il teorema della media `e armonica? Possiamo vedere subito che `e vero, basta prendere, per ogni palla B = BR (x) ⊂ Ω, una funzione w armonica in B e uguale a u su ∂B, cos`ı, per w vale la propriet`a della media e w(x) = u(x) e questo vale perogni x ∈ Ω, quindi anche u `e armonica. - Il limite uniforme di una successione di funzioni armoniche `e una funzione armonica. Basta ricordare che l’integrale su ogni palla passa al limite rispetto alla convergenza uniforme. ¯ - Dal punto precedente segue che su un aperto limitato Ω, se (uh ) ⊂ C 2 (Ω)∩C 0 (Ω) `e una successione di funzioni armoniche le cui restrizioni a ∂Ω formano una successione (gh ) uniformemente convergente a una certa g, allora la (uh ) converge unifomemente ¯ ovviamente armonica, che coincide con g su ∂Ω. ad una u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω), Conseguenza del prossimo teorema `e l’interessante propriet`a che per le funzioni armoniche la convergenza in un solo punto implica la convergenza uniforme, almeno sui compatti. Precisamente: - se una successione di funzioni armoniche (uh ) su Ω `e crescente e la successione dei valori uh (x0 ) in un punto x0 ∈ Ω `e limitata allora su ogni aperto Ω0 ⊂⊂ Ω la (un ) converge uniformemente. Teorema C.5 (Disuguaglianza di Harnack) - Per ogni aperto Ω ∈ Rn e per ogni aperto limitato Ω0 ⊂ Ω esiste una costante C = C(Ω, Ω0 , n) tale che sup u 6 C inf0 u Ω0 Ω per ogni u ∈ C 2 (Ω) armonica non negativa. Dimostrazione. Fissiamo un punto x ∈ Ω e R > 0 tale che 4R < dist(x, ∂Ω). Per ogni x1 ∈ BR (x) si ha Z Z n n u(x1 ) = u dy 6 u dy ωn Rn BR (x1 ) ωn Rn B2R (x) 95 C.2 Soluzione fondamentale e formula di Poisson da cui sup u 6 BR (x) n ωn Rn Z u dy . B2R (x) Analogamente, per ogni x2 ∈ BR (x) si ha Z Z n n u(x2 ) = u dy > u dy ωn (3R)n B3R (x2 ) ωn (3R)n B2R (x) da cui n inf u > ωn (3R)n BR (x) Per confronto si ottiene Z u dy . B2R (x) sup u 6 3n inf u . BR (x) BR (x) ¯ 0 rispettivamente di massimo e minimo di Sia ora Ω0 ⊂⊂ Ω, scegliamo i punti x1 , x2 ∈ Ω 0 u e una curva γ ⊂ Ω di estremi x1 e x2 . Se 4R < dist(γ, ∂Ω) la γ pu`o essere ricoperta da un numero finito di palle Bi = BR (ci ) ⊂ Ω0 coi centri ci ∈ γ, i = 1, . . . , k, ordinati lungo la curva in modo che ci = x1 e ck = x2 . Partendo dalla prima e scegliendo ad ogni passo ξi ∈ Bi−1 ∩ Bi , si ha u(x1 ) 6 3n inf u 6 3n u(ξ2 ) 6 3n sup u 6 32n inf u 6 . . . B1 B2 B2 6 3(k−1)n u(ξk ) 6 3(k−1)n sup u 6 3kn inf u 6 3kn u(x2 ) Bk Bk Passando all’estremo inferiore a sinistra e all’estremo superiore a destra si ottiene la tesi. 2 Dimostriamo adesso la propriet`a enunciata poco sopra sulle successioni crescenti di funzioni armoniche. Se definitivamente uk (x0 ) − uh (x0 ) < ε per h < k si ha sup(uk − uh ) 6 C inf0 (uk − uh ) 6 C(uk (x0 ) − uh (x0 )) < Cε Ω0 Ω e quindi la convergenza `e uniforme su Ω0 . Con la formula di Poisson, ma pi` u semplicemente dal teorema della media, si possono dare delle stime sulle derivate all’interno. Precisamente, se u ∈ C 2 (Ω) `e armonica anche Du lo `e, quindi per ogni B = BR (x) ⊂⊂ Ω si ha Z Z n n Du(y) dy = u(y)ν dσ Du(x) = ωn R n B ωn Rn ∂B da cui |Du(x)| 6 n sup |u| R ∂B e prendendo il massimo R > 0 per cui BR (x) ⊂ Ω, posto dx = dist(x, ∂Ω), si ottiene |Du(x)| 6 n sup |u| . dx Ω Applicando le stesse considerazioni alle derivate successive e con un ragionamento sul ricoprimento di un aperto Ω0 ⊂⊂ Ω con palle, si ottiene la stima |α| n|α| (C.9) sup |Dα u| 6 sup |u| d Ω Ω dove d = dist(Ω0 , ∂Ω). Conseguenze della (C.9) sono: 96 Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace (a) compattezza: ogni successione limitata di funzioni armoniche contiene una sottosuccessione che converge uniformemente sui compatti (ad una funzione necessariamente armonica, come sappiamo), (b) Teorema di Liouville: Una funzione armonica limitata su Rn `e necessariamente costante. C.3 Risoluzione del problema di Dirichlet Abbiamo visto all’inizio del § C.1 le definizioni di funzione subarmonica e superarminica, ma quelle vanno bene se ammettono derivate seconde. A noi serve adesso un definizione pi` u generale. Definizione C.6 - Una funzione u : Ω → R `e detta subarmonica se per ogni Ω0 ⊂⊂ Ω e per ogni h armonica in Ω si ha max(u − h) = max (u − h) . 0 ¯0 Ω ∂Ω ` evidente che continua a valere il principio di massimo, basta prendere h = 0. Le E funzioni lineari sono sia subarmoniche che superarmoniche, infatti sono armoniche (le uniche per n = 1). Le funzioni convesse sono subarmoniche e per n = 1 su un intervallo le funzioni subarmoniche sono convesse; infatti se u : I → R `e subarmonica, presi due punti x1 , x2 ∈ I e la funzione armonica ϕ(x) = u(x1 ) + si ha u(x2 ) − u(x1 ) (x − x1 ) x2 − x1 ∀x ∈ [x1 , x2 ] , max (u(x) − ϕ(x)) 6 max{u(x1 ) − ϕ(x1 ), u(x2 ) − ϕ(x2 )} = 0 [x1 ,x2 ] quindi u(x) 6 ϕ(x) per ogni x ∈ [x1 , x2 ]. Proposizione C.7 - Se u1 , . . . , uk sono subarmoniche in Ω allora l’inviluppo superiore u(x) = max{u1 , . . . , uk } , x ∈ Ω, `e subarmonica. Dimostrazione. Se u non fosse subarmonica esisterebbe un aperto Ω0 ⊂⊂ Ω, un punto x0 ∈ Ω0 e una funzione armonica h tale che u(x0 ) − h(x0 ) > max (u − h) . 0 ∂Ω Ma per qualche i = 1, . . . , k si ha u(x0 ) = ui (x0 ), quindi ui (x0 ) − h(x0 ) > max (u − h) > max (ui − h) 0 0 ∂Ω e ui non sarebbe subarmonica. ∂Ω 2 Per ogni funzione u ∈ C 0 (Ω) e per ogni palla B ⊂ Ω la formula di Poisson ci dice ¯ armonica in B e che vale u su ∂B. che esiste un’unica funzione uB ∈ C 2 (B) ∩ C 0 (Ω) B Indicheremo ancora con u , e la chiameremo troncata armonica di u su B, la funzione continua che estende col valore u al di fuori di B tale funzione armonica. Se u `e subarmonica lo `e anche uB , infatti, scelte una palla B 0 ⊂ Ω e una funzione armonica h in Ω tale che h > uB su ∂B 0 , si ha uB = u 6 h su B 0 − B ed essendo uB armonica in B, uB 6 h per il principio di massimo. 97 C.3 Risoluzione del problema di Dirichlet ¯ del problema di Dirichlet Costruiamo adesso la soluzione u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 0 (Ω) ( ∆u = 0 in Ω u=g su ∂Ω con g ∈ C 0 (∂Ω). Consideriamo la classe ¯ | v armonica e v 6 g su ∂Ω} . Sg = {v ∈ C 0 (Ω) Definito un insieme simile per le funzioni superarmoniche tali che v > g su ∂Ω, `e chiaro che la soluzione u del nostro problema, se esiste, deve appartenere ad entrambe le classi, dato che, in quanto armonica `e sia super che subarmonica, inoltre la condizione al bordo u = g equivale a u 6 g e u > g insieme. Ci`o suggerisce di definire la u come inviluppo superiore della classe Sg . Teorema C.8 - La funzione u(x) = sup{v(x) | v ∈ Sg } `e armonica in Ω. Dimostrazione. Fissiamo un punto x0 ∈ Ω e una successione (uh ) ⊂ Sg tale che uh (x0 ) → u(x0 ). Le vh definite da vh (x) = max{u1 (x), . . . , uh (x)} ¯ x∈Ω formano una successione crescente di funzioni subarmoniche tali che vh (x0 ) → u(x0 ). Presa una palla B ⊂⊂ Ω di centro x0 le troncate armoniche wh = vhB stanno nella stessa classe Sg , quindi vh 6 wh 6 u e wh (x0 ) → u(x0 ) crescendo. Quindi (wh ) converge in B uniformemente ad una funzione armonica w, ma sappiamo solo che w(x0 ) = u(x0 ) e dobbiamo dimostrare che w(x) = u(x) per ogni x ∈ B. Allora scegliamo un punto qualsiasi x ¯ ∈ B distinto da x0 e, come sopra, una successione (¯ uh ) ∈ Sg tale che u ¯h (¯ x) → u(¯ x), definiamo le v¯h = max{¯ u1 , . . . , u ¯h , vh } > vh e le relative troncate w ¯h > wh che formano una successione crescente tale che w ¯h (¯ x) → u(¯ x). Per le stesse ragioni di prima w ¯h converge uniformemente in B ad una funzione armonica w ¯ > w con w(x ¯ 0 ) = w(x0 ). La differenza w ¯ − w `e armonica in B ed ha minimo, nullo, nel centro x0 ∈ B, quindi w ¯ = w e dal momento che w(¯ ¯ x) = u(¯ x) e x ¯ `e arbitrario, w e w ¯ coincidono con u e anche u `e armonica. 2 ¯ in modo che sia Rimane da stabilire se la u cos`ı costruita `e continua su tutto Ω soddisfatta la condizione x→x lim u(x) = g(x0 ) per ogni x0 ∈ Ω. 0 x∈Ω ¯ tale che Un punto ξ ∈ ∂Ω `e detto regolare se esiste una funzione αξ ∈ C 0 (Ω) (a) αξ `e superarmonica, (b) αξ (x) > 0 per ogni x ∈ ∂Ω − {ξ} e αξ (ξ) = 0. Se ad esempio Ω `e strettamente convesso ogni punto `e regolare basta prendere αξ (x) = νξ · (ξ − x) se νξ `e la normale esterna. Poich´e g `e continua, fissato ε > 0 esiste δ > 0 tale che |g(x) − g(ξ)| < ε per ogni x ∈ ∂Ω ∩ Bδ (ξ). Su ∂Ω − Bδ (ξ) si ha |g(x) − g(ξ)| 6 sup g − inf g 6 osc(g) ∂Ω ∂Ω αξ (x) = kαξ (x) , inf αξ ∂Ω−Bδ (ξ) quindi |g(x) − g(ξ)| < ε + kαξ (x) ∀x ∈ ∂Ω 98 Teoria classica del problema di Dirichlet per l’operatore di Laplace che equivale a (C.10) g(ξ) − ε − kαξ (x) < g(x) < g(ξ) + ε + kαξ (x) dove la funzione a sinistra `e subarmonica e quella destra `e superarmonica. Ricordiamo che u `e stata definita come l’inviluppo superiore delle subarmoniche che sul bordo non superano g e coincide con l’analogo inviluppo delle superarmoniche non inferiori a g, quindi anche u deve soddisfare la stessa stima (C.10), pertanto |u(x) − g(ξ)| < ε + kαξ (x) ∀x ∈ ∂Ω . Ora, essendo αξ continua, αξ < ε per x ∈ Ω sufficientemente vicino a ξ e in essi |u(x) − g(ξ)| < 2ε. Tanto per fare un esempio, per un dominio con la propriet`a della sfera esterna: ¯r (ˆ ¯ = {ξ} esiste una palla Br (ˆ x) tale che B x) ∩ Ω possiamo scegliere come funzione barriera |x − x ˆ| log αξ (x) = r r2−n − |x − x ˆ|2−n se n = 2 se n > 2 , ma non `e l’unica, anche una condizione sul cono esterno garantisce la regolarit`a di un punto del bordo. Un controesempio `e quello della spina di Lebesgue che riguarda la cuspide rivolta verso l’interno. Una condizione necessaria e sufficiente `e quella di Wiener Z ρ0 cap(Bρ (ξ) ∩ Ω) dρ = +∞ ρn−1 0 dove cap(E) = inf Z Rn |Dϕ|2 dx | ϕ ∈ D(Rn ) , ϕ > 1 su E Bibliografia [1] G. Alessandrini, An identification problem for an alliptic equation in two variables, Ann. Mat. Pura Appl., 4, 265-296, 1986. [2] H. Attouch Variational Convergence for Functions and Operators, Pitman Advanced Publishing Program, 1984. [3] A. Bensoussan, J. L. Lions, G. Papanicolaou, Asymptotic Analysis for Periodic Structures, North-Holland, Amsterdam, 1978. [4] J. M. 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