tanti punti in sospeso - Sicurezza Alimentare

S p e c i a l e
ETICHETTATURA
Le novità sull’informazione al consumatore
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INFORMAZIONI AI CONSUMATORI.
LE NOVITÀ – Cristina La Corte
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REGOLAMENTO 1169. LE “DOMANDE
E RISPOSTE” ALLA PROVA DEI FATTI
Corrado Finardi e Cesare Varallo
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REGOLAMENTO 1169.
COME APPLICARE LE NUOVE REGOLE
Dario Dongo
Dal 13 dicembre 2014 le direttive 2000/13/CE e
90/496/CE (recepite in Italia dal d.lgs. 109/92 e dal
d.lgs. 77/1993) saranno soppiantate dall’ormai noto
regolamento UE 1169/2011, volto a semplificare,
aggiornare e rifondere in un unico testo normativo,
uniformemente e simultaneamente efficace in tutti
gli Stati membri dell’UE, l’attuale disciplina su
etichettatura, presentazione e pubblicità degli
alimenti nonché quella sulle informazioni nutrizionali
fornite ai consumatori.
Tra le principali innovazioni che il nuovo
regolamento introduce, Cristina La Corte analizza
l’evidenziazione degli allergeni, la più compiuta
disciplina in materia di indicazione d’origine in
etichetta e l’obbligatorietà della dichiarazione
nutrizionale che, in base alla attuale disciplina è, di
regola, salvo il caso in cui in etichetta siano riportati
claims nutrizionali o salutistici, facoltativa.
Per aiutare i professionisti del settore alimentare ad
applicare correttamente la nuova normativa, la
Commissione europea ha pubblicato, il 31 gennaio
del 2012, il documento “Domande e Risposte”.
Il documento promette diverse risposte ad aspetti
che dal dettato normativo risultavano poco chiari,
ma, come evidenziato nell’articolo di Corrado Finardi
e Cesare Varallo, in molti casi i dubbi rimangono.
FoodDrinkEurope ed Eurocommerce hanno perciò
pubblicato, il 12 settembre scorso, le loro Linee guida
condivise per l’applicazione del regolamento.
Il testo, frutto di oltre 18 mesi di consultazioni e
lavori, rilegge il provvedimento tenendo anche conto
del documento “Domande e Risposte” della
Commissione europea, discostandosi tuttavia da
quest’ultimo in alcuni passaggi.
Ma, come si evince dall’articolo di Dario Dongo, al di
là delle divergenze d’interpretazione, il documento
di FoodDrinkEurope ed Eurocommerce offre una
lettura del testo normativo di sicura utilità per gli
operatori del settore alimentare e della distribuzione.
Etichettatura
Informazioni
ai consumatori
Le novità
Allergeni, indicazione dell’origine e informazioni nutrizionali
di Cristina La Corte
Avvocato, Studio legale Forte
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La nuova normativa
codifica
importanti principi
maturati in ambito
giurisprudenziale
in materia
di responsabilità
concernenti l’etichettatura
del prodotto.
Alcune delle principali
innovazioni
L’
etichettatura rappresenta, nel settore
agroalimentare, il principale strumento
d’informazione messo a disposizione del
consumatore, la cui disciplina necessita, nell’ottica del c.d. “Mercato comune”, di una compiuta armonizzazione a livello europeo.
Dal 13 dicembre 2014 le direttive 2000/13/CE e
90/496/CE (recepite in Italia dal d.lgs. 109/92 e
d.lgs. 77/1993) saranno soppiantate dall’ormai
noto regolamento UE 1169/2011, volto a semplificare, aggiornare e rifondere in un unico testo normativo, uniformemente e simultaneamente efficace in tutti gli Stati membri dell’UE,
l’attuale disciplina su etichettatura, presenta-
zione e pubblicità degli alimenti nonché quella
sulle informazioni nutrizionali fornite ai consumatori.
La nuova normativa, oltre a codificare importanti principi maturati in ambito giurisprudenziale in
materia di responsabilità concernenti l’etichettatura del prodotto, rivoluziona anche in ambito
terminologico ed, infatti, l’“etichettatura” diventa “informazione al consumatore”, il “divieto di ingannevolezza” diventa “pratiche leali
d’informazione” e così via.
Tra le principali innovazioni che la nuova disciplina comunitaria introduce si ricordano, in questa
sede, l’evidenziazione degli allergeni, una più
compiuta disciplina in materia di indicazione
d’origine in etichetta, nonché l’obbligatorietà
della dichiarazione nutrizionale che, viceversa, in
base alla attuale disciplina è, di regola, salvo il
caso in cui in etichetta siano riportati claims nutrizionali o salutistici, facoltativa.
Allergeni più evidenti
La disciplina sull’etichettatura degli allergeni
tende a renderne l’indicazione sempre più chiara e visibile e, per certi aspetti, addirittura ridondante.
Viene mantenuta la regola generale in base alla
quale ingredienti o coadiuvanti tecnologici figu-
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Etichettatura
ranti nell’elenco dei c.d. “allergeni” o derivati da
una sostanza o un prodotto incluso in detto
elenco, se usati nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel
prodotto finito, anche se in forma modificata,
devono figurare nell’elenco ingredienti con un riferimento chiaro alla denominazione della sostanza, a meno che la denominazione di vendita
del prodotto non faccia chiaramente riferimento
all’allergene in questione.
Sempre più chiara e visibile
l’indicazione degli allergeni
in etichetta
A ciò è aggiunto che, oltre a figurare nell’elenco
ingredienti con un riferimento chiaro alla denominazione della sostanza o del prodotto allergizzante, tale denominazione della sostanza o del
prodotto dovrà essere evidenziata attraverso un
tipo di carattere chiaramente distinto dagli altri
ingredienti elencati, per esempio per dimensioni,
stile o colore di sfondo.
Come si può notare per le neo introdotte modalità di indicazione degli allergeni, è al momento
lasciata una certa discrezionalità all’operatore,
che potrà utilizzare, ad esempio, un grassetto,
stampatello ovvero dimensioni o colori più evidenti.
In mancanza di un elenco degli ingredienti, l’indicazione include il termine «contiene» seguito
dalla denominazione della sostanza o del prodotto figurante nell’elenco dell’allegato II.
La norma chiarisce, inoltre, che (e questa rappresenta un’ulteriore novità rispetto alla interpretazione attualmente vigente in Italia), quando più
ingredienti o coadiuvanti tecnologici di un alimento provengono da un’unica sostanza o da
un unico prodotto allergizzante, ciò deve essere
precisato nell’etichettatura per ciascun ingrediente o coadiuvante tecnologico in questione.
In sostanza, se in una preparazione gastronomica utilizzo la soia, la sua menzione in etichetta
non mi esonererebbe da evidenziare la stessa
matrice – ad esempio della lecitina – utilizzata
nella stessa preparazione come additivo.
In materia di allergie alimentari è stato inoltre os-
servato che la maggior parte dei problemi hanno origine in relazione ad alimenti non preimballati; di conseguenza, è previsto che le informazioni sui potenziali allergeni dovranno sempre
essere fornite al consumatore anche e soprattutto in tali casi.
Congiuntamente all’estensione dell’ambito di
applicazione della nuova normativa ai prodotti
forniti dalle collettività, intendendo con tale
espressione qualunque struttura (compreso un
veicolo o un banco di vendita fisso o mobile),
come ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione in cui, nel quadro di un’attività imprenditoriale, sono preparati alimenti
destinati al consumo immediato da parte del
consumatore finale, la norma renderà obbligatoria, dal 13 dicembre 2014, la segnalazione
degli allergeni anche per i prodotti consumati
presso i ristoranti.
Verso una maggiore trasparenza
nell’indicazione dell’origine
In quest’ambito, una rilevante novità è senza
dubbio costituita dal neo introdotto obbligo di
indicazione dell’origine per le carni suine, ovine,
caprine e di volatili fresche refrigerate e congelate.
L’applicazione di tale norma è però soggetta all’adozione degli atti di esecuzione, che la Commissione dovrà adottare entro il 13 dicembre
2013, previa valutazione d’impatto, che, tra l’altro, dovrà prendere in considerazione le opzioni
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Etichettatura
sulle modalità di espressione del Paese d’origine
o del luogo di provenienza di detti alimenti, in
particolare per quanto riguarda ciascuno dei seguenti momenti determinanti nella vita di un
animale:
• luogo di nascita;
• luogo di allevamento;
• luogo di macellazione.
Obbligatorio indicare
in etichetta
l’origine delle carni suine, ovine,
caprine e dei volatili
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In generale, fatta eccezione per i prodotti ove
l’indicazione dell’origine è prescritta da una normativa verticale di settore (ad esempio, ortofrutta, ittici, carni bovine, olio d’oliva ecc.), detta
menzione diventa obbligatoria nel caso in cui la
sua omissione possa indurre in errore il consumatore in merito alla reale origine o provenienza dell’alimento, in particolare se le informazioni
che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente
Paese d’origine o luogo di provenienza.
Il nuovo regolamento introduce l’importante
precisazione, mai codificata sin ora in una normativa concernente l’etichettatura, in base alla
quale, ai fini del regolamento, «il Paese di origine di un alimento si riferisce all’origine di tale
prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento CEE 2913/92,
che istituisce un codice doganale comunitario. A
tal proposito, si ricorda che, ai sensi dell’art. articolo 24 di detto regolamento, «una merce alla
cui produzione hanno contribuito due o più Paesi è originaria del Paese in cui è avvenuta l’ultima
trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa
con la fabbricazione di un prodotto nuovo od
abbia rappresentato una fase importante del
processo di fabbricazione».
Il «luogo di provenienza» assume un significato
residuale, ossia qualunque luogo indicato come
quello da cui proviene l’alimento, ma che non è
il «Paese d’origine» con l’importante precisazione in base alla quale il nome, la ragione sociale
o l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare
apposto sull’etichetta non costituisce un’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto alimentare ai sensi del presente regolamento.
A ciò è aggiunto che, quando il Paese d’origine
o il luogo di provenienza di un alimento è indicato (ad esempio, Pandoro di Verona, Panettone
di Milano, Cioccolato belga ecc.) e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:
• è indicato anche il Paese d’origine o il luogo
di provenienza di tale ingrediente primario;
oppure
• il Paese d’origine o il luogo di provenienza
dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.
Sembra davvero dirompente l’impatto di tale
nuova norma, la cui applicazione è però soggetta all’adozione degli atti di esecuzione che la
Commissione è tenuta ad adottare entro il 2013.
Informazioni nutrizionali,
da facoltà ad obbligo
Dispone l’art. 4 del nuovo regolamento che le informazioni sugli alimenti richieste dalla normativa in esame rientrano, in particolare, in tre categorie, tra cui quelle sulle caratteristiche nutrizionali che consentano ai consumatori, compresi
quelli che devono seguire un regime alimentare
speciale, di effettuare scelte consapevoli.
Sulla base di tale principio, dal 13 dicembre
2016 l’etichettatura nutrizionale diverrà obbligatoria per la generalità dei prodotti alimentari,
fatte salve le esenzioni contemplate all’allegato
V del regolamento stesso1; inoltre, dal 13 dicembre 2014, la “tabella nutrizionale” cambierà impostazione con conseguente archiviazione della
cosiddetta versione “ridotta” ovvero “estesa”,
come previsto dal d.lgs. 77/1993.
Il nuovo format di tabella nutrizionale può essere adottato dagli operatori sin da ora, senza per
questo incorrere in una violazione del (ancora vigente) d.lgs. 77/1993, avendo a tal proposito il
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Etichettatura
legislatore comunitario previsto esplicitamente la
possibilità di adeguamento preventivo.
La nuova veste grafica della tabella nutrizionale
prevede l’indicazione dei nutrienti riportati di seguito, in tale ordine:
•
•
•
•
•
•
•
energia (kj e kcal);
grassi;
acidi grassi saturi;
carboidrati;
zuccheri;
proteine;
sale.
È stato ritenuto maggiormente rispondente ad
esigenze di trasparenza verso il consumatore che
l’etichetta rechi il termine “sale” invece del termine corrispondente della sostanza nutritiva
“sodio”.
Ove opportuno, in etichetta può figurare, immediatamente accanto alla dichiarazione nutrizionale, una dicitura indicante che il contenuto di
sale è dovuto esclusivamente al sodio naturalmente presente.
Oltre alle sopra elencate indicazioni, il contenuto della dichiarazione nutrizionale può essere integrato con l’indicazione della quantità di altri
elementi quali:
•
•
•
•
•
acidi grassi monoinsaturi;
acidi grassi polinsaturi;
polioli;
amido;
fibre (da inserire eventualmente tra gli zuccheri e le proteine);
1
• i sali minerali e/o le vitamine presenti in
quantità significativa.
Come si può notare, tra i nutrienti che possono
essere indicati volontariamente non è più previsto il colesterolo, che potrà eventualmente comparire nell’etichettatura dei prodotti alimentari
solo se inserito nel contesto di una indicazione
sulla salute autorizzata ai sensi del reg. CE
1924/2006.
Il nuovo regolamento prevede inoltre che il valore energetico e le quantità di grassi, acidi grassi
saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale possono essere espressi quale percentuale delle assunzioni di riferimento indicate nella parte B dell’allegato XIII.
In questo caso, oltre o in luogo della forma di
espressione per 100 g o per 100 ml, il valore
energetico e le quantità di sostanze nutritive
possono essere espressi per porzione e/o per
unità di consumo, a condizione che siano quantificate sull’etichetta la porzione o l’unità utilizzate e sia indicato il numero di porzioni o unità
contenute nell’imballaggio.
Si tratta della regolamentazione, armonizzata a
livello europea, dell’indicazione delle (ex) Gda,
acronimo non più pertinente e che potrà eventualmente essere sostituto con la sigla Ar ovvero
Ri (Assunzioni di riferimento o Reference intake),
a condizione che la stessa sia spiegata nel suo significato e ferma restando la necessità che in
stretta prossimità delle informazioni fornite figuri la dicitura supplementare «Assunzioni di riferimento di un adulto medio (8.400 kJ/2.000
kcal)».
«1. I prodotti non trasformati che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti; 2. I prodotti
trasformati che sono stati sottoposti unicamente a maturazione e che comprendono un solo ingrediente o una sola
categoria di ingredienti; 3. Le acque destinate al consumo umano, comprese quelle che contengono come soli
ingredienti aggiunti anidride carbonica e/o aromi; 4. Le piante aromatiche, le spezie o le loro miscele; 5. Il sale e i
succedanei del sale; 6. Gli edulcoranti da tavola; 7. I prodotti contemplati dalla direttiva 1999/4/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 22 febbraio 1999, relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria, i chicchi di caffè
interi o macinati e i chicchi di caffè decaffeinati interi o macinati; 8. Le infusioni a base di erbe e di frutta, i tè, tè
decaffeinati, tè istantanei o solubili o estratti di tè, tè istantanei o solubili o estratti di tè decaffeinati, senza altri
ingredienti aggiunti tranne aromi che non modificano il valore nutrizionale del tè; 9. Gli aceti di fermentazione e i
loro succedanei, compresi quelli i cui soli ingredienti aggiunti sono aromi; 10. Gli aromi; 11. Gli additivi alimentari;
12. I coadiuvanti tecnologici; 13. Gli enzimi alimentari; 14. La gelatina; 15. I composti di gelificazione per marmellate;
16. I lieviti; 17. Le gomme da masticare; 18. Gli alimenti confezionati in imballaggi o contenitori la cui superficie
maggiore misura meno di 25 cm 2 ; 19. Gli alimenti, anche confezionati in maniera artigianale, forniti direttamente
dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che
forniscono direttamente al consumatore finale».
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Etichettatura
Regolamento 1169
Le “domande e risposte”
alla prova dei fatti
Ancora tante le incertezze tra i professionisti del settore
di Corrado Finardi* e Cesare Varallo**
* Senior Food Policy Advisor
** Avvocato specializzato in diritto alimentare
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Pregi e difetti
della nuova normativa.
Tanti i dubbi
che il documento
“Domande e Risposte”,
pubblicato
dalla Commissione europea,
non ha ancora chiarito
E
ntrato in vigore il 12 dicembre 2011, il reg.
UE 1169/2011 rappresenta un atto normativo complesso, che riassorbe fonti normative diverse e stratificate nel tempo, quali: norme
su etichettatura nutrizionale e salutistica, allergeni nonché normative precedenti su indicazioni
volontarie ed obbligatorie in etichetta.
In realtà, il regolamento riprende aspetti di filosofia “alimentarista” noti da tempo. Tra gli
obiettivi, il primo sembra essere sicuramente
quello di confermare l’impianto giuridico precedente e assicurarne una più facile adozione nonché una maggiore chiarezza complessiva per gli
operatori alimentari e le parti interessate. Soprattutto, la nuova normativa dichiara di voler
raggiungere obiettivi di certezza legale, riduzio-
ne dell’onere amministrativo e chiara, comprensibile e leggibile etichettatura degli alimenti.
I “pro”: l’approccio “olistico”
Uno dei pregi fondamentali della nuova (e già
molto dibattuta) normativa europea circa l’etichettatura alimentare – o meglio, di “informazione alimentare ai consumatori” – è l’approccio
olistico: non più quindi etichettatura sic et simpliciter, ma, appunto, ogni forma di comunicazione ai consumatori, inclusiva di banner, cartelloni, pubblicità e comunicazione on line. Tale
aspetto è promettente e tiene conto di tutte le
nuove tecnologie che veicolano al consumatore
messaggi alimentari di tipo commerciale, precedenti l’acquisto, e che agiscono da stimoli.
Non a caso, proprio nell’introduzione al regolamento – al considerando 9 – si precisa che, sebbene la normativa in essere sia ancora valida nei
suoi presupposti, è necessario raggiungere una
maggiore chiarezza e sequela da parte degli stakeholders, in particolare tenendo conto degli sviluppi nel campo dell’informazione alimentare ai
consumatori. Su quali siano questi sviluppi, la
Commissione (considerando 14) precisa che va
intesa un’ampia accezione della “informazione
alimentare”, coprendo anche comunicazioni ef-
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Etichettatura
fettuate con mezzi che vanno oltre la tradizionale etichetta alimentare.
I “pro”: i consumatori
e la salute pubblica al centro
L’attenzione alla corretta informazione al consumatore, seppure da sempre presente nelle intenzioni del legislatore comunitario, per la prima
volta viene posta in rilievo addirittura nell’intitolazione stessa dell’atto (Informazione alimentare
ai consumatori), tanto da sembrare prevalente.
Tradizionalmente, infatti, la normativa alimentare è da sempre stata costretta ad un problematico bilanciamento tra due interessi fondamentali,
quali la tutela della salute pubblica e la libera circolazione delle merci.
L’interesse del consumatore ad una corretta informazione (oltre che all’acquisto di un prodotto
sicuro) ora inizia a reclamare un ruolo di primo
piano, insieme all’allargarsi della percezione di
una sfera dei diritti di salute sia pubblica che individuale. Sebbene infatti la nuova normativa riconfermi la validità dell’impianto precedente, nel
tempo molte cose sono cambiate: l’attenzione
agli allergeni e ad aspetti di nutrizione e salute
(entrambi da comunicare adeguatamente al
consumatore finale) ne sono un evidente esempio. Inoltre, nuovi aspetti che denotano una accresciuta sensibilità dei consumatori (come gli
alimenti senza glutine o a basso tenore di glutine o gli alimenti de-lattosati) dovranno essere integrati nella presente normativa. Questi ultimi
godono di un’attenzione e un interesse particolari, sia sotto il profilo sociale (obesità, sovrappeso e malattie collegate), sia, in certi casi, sotto il
profilo più strettamente individuale (allergie e intolleranze).
I dubbi
Ma ancora tanta è l’incertezza sul campo. Al
punto che l’avvocato e giornalista Dario Dongo
ha fatto riferimento a normativa “monstre”, sottolineando il cortocircuito tra la promessa di certezza legale e invece – a distanza di 2 anni – gli
effetti empirici emersi.
Se molte questioni hanno iniziato ben presto a
essere dibattute, al fine di garantire una maggiore chiarezza, la Commissione è intervenuta pubblicando – il 31 gennaio del 2012 – il documento “Domande e Risposte” (D&R, in inglese
“Questions and Answers”, scaricabile dal sito
della Direzione generale Salute e Consumatori,
http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/docs/qanda_application_reg1
169-2011_en.pdf).
Il documento promette diverse risposte ad
aspetti che dal dettato normativo risultavano poco chiari, ma in molti casi tanti dubbi rimangono
senza risposta. Anche perché la Commissione ha
precisato che il documento non assolve a base
giuridica impugnabile, per la quale invece resta
valido il ruolo della Corte di Giustizia europea. Le
Linee guida non sono infatti atto giuridico di carattere cogente, ma sono destinate ad essere
utilizzate come bussola nell’orientare la condotta tanto delle imprese, quanto delle autorità di
controllo, le quali ci si attende che ad esse facciano riferimento nel determinare il rispetto del
dettato normativo. Inoltre, in molti casi le risposte sembrano premettere a nuove domande.
Intanto una precisazione riguarda la possibilità di
anticipare l’uso del regolamento. Il reg. UE
1169/2011, sebbene si applichi dal 13 dicembre
2014, consentirà agli operatori alimentari di etichettare i prodotti a norma del regolamento UE
1169/2011, ma a patto che non ci siano conflitti evidenti con la normativa tuttora in vigore e
cioè la direttiva 2000/13/CE, che continua a essere applicata fino, appunto, al 13 dicembre
2014. Un esempio: in base alla direttiva
2000/13/CE, la data di scadenza va posta nello
stesso campo visivo della denominazione di vendita, quantità netta e volume alcolico. Sotto il regolamento UE 1169/2011 tale disposizione non
è più valida (non serve unitarietà di campo visivo). Se quindi oggi gli operatori adottano la regola del regolamento UE 1169/2011 cadono in
infrazione.
Sull’etichettatura nutrizionale si può giocare di
anticipo sull’anticipo (infatti, era previsto un periodo di adozione volontaria, tra il 2014 ed il
2016, ma con il documento “D&R” chi intende
avvalersi di un’etichettatura nutrizionale completa o di spunti presenti nel regolamento UE
1169/2011 dovrà interamente conformarsi a tale atto normativo.
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Etichettatura
Aspetti poco chiari(ti)
Ma a livello concettuale, tre sembrano gli aspetti
principali che minano la chiarezza del regolamento: ritardi “programmati” (atti di esecuzione e implementazione, con un ponte buttato sul futuro),
lo spazio lasciato ab origine a disposizioni nazionali (come previsto in diversi casi (info nutrizionali aggiuntive, allergeni), la mancanza di chiarezza
del testo (che dovrà comunque essere risolta a livello pratico – cioè nazionale – dei controlli).
Incertezza legale: nel tempo…
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In primo luogo, sembra esserci una carente orchestrazione della architettura stessa del regolamento UE 1169/2011, che ha finito per lasciare molti
aspetti irrisolti. Se infatti è vero che è teoricamente possibile applicare sin da ora il regolamento (se
non contrasta con la direttiva precedente), la
Commissione ha però previsto atti di esecuzione
o misure di implementazione (36 a quanto pare)
che potrebbero causare un’applicazione frammentata della norma nel corso dei prossimi anni,
posto che non è stata stabilita una linea temporale per l’emanazione di detti atti. Inoltre, i medesimi saranno adottati, nella maggior parte dei casi,
ai sensi dell’art. 48 del reg. UE 1169/2011, con la
cosiddetta “procedura di comitatologia” (“comitology procedure”), senza dunque passare attraverso lo scrutinio del Consiglio e del Parlamento.
Nell’esercizio delle sue competenze d’esecuzione, secondo tale procedura, da ultimo revisionata con il reg. UE 182/2011, la Commissione è assistita dai rappresentanti degli Stati membri, raggruppati in comitati. In quanto sede di discussione, i comitati dovrebbero essere dunque rappresentativi delle amministrazioni nazionali e delle
diverse realtà ad esse sottese, garantendo la condivisione degli indirizzi legislativi. Tale procedura
è stata tacciata a più riprese di scarsa rappresentatività e democraticità e nella sua ultima versione, appunto con il reg. UE 182/2011, essa è stata resa maggiormente trasparente e sottoposta a
controllo da parte del Consiglio e del Parlamento, i quali in ogni momento possono comunicare
alla Commissione di ritenere che, a loro avviso,
un progetto di atto di esecuzione ecceda i poteri
d’esecuzione previsti nell’atto di base. In tal caso,
tuttavia, la Commissione non incontra un vero e
proprio blocco della propria iniziativa, ma è tenuta solamente a riesaminare il progetto di atto di
esecuzione, tenendo conto delle posizioni
espresse, e ad informare il Parlamento europeo e
il Consiglio se intende mantenere, modificare o
ritirare il progetto di atto di esecuzione.
Su temi di particolare delicatezza (quali gli allergeni
e le indicazioni obbligatorie) è evidente come forse
sarebbe stato opportuno un dibattito più ampio.
Le numerosissime lacune del testo, destinate ad
essere colmate da tali atti di esecuzione, sono evidentemente il portato di un processo legislativo
assai travagliato e condizionato da interessi e visioni contrastanti e non solamente dalla tradizionale
contrapposizione tra industria e consumatori, ma
in particolar modo con riferimento agli Stati membri; basti pensare, a tal proposito, all’aperto scontro tra Paesi dell’area nord europea e mediterranei
su temi fondamentali quali le modalità di espressione delle informazioni nutrizionali (ad esempio,
“traffic light”) e sull’indicazione di origine.
Onde evitare l’empasse sono state effettuate
scelte di compromesso che, se pur hanno portato all’emanazione del regolamento, potrebbero
pesantemente condizionarne l’applicazione e
l’emanazione degli atti di esecuzione, sede in cui
inevitabilmente tale conflitto sarà riproposto.
Incertezza legale: nello spazio…
Inoltre, in ragione della possibilità lasciata agli
Stati membri di adottare proprie opzioni di policy, si rischia di creare una frammentazione nel
Mercato interno unico, con impedimento alla libera circolazione delle merci. Ma si rischia anche
di creare diversi standard di salute pubblica, a
causa della diversa sensibilità al problema e di
quello che ogni Stato membro può ritenere essere il cosiddetto “livello adeguato di protezione”.
Esempi in tal senso riguardano gli schemi nutrizionali volontari addizionali (ex art. 35 del regolamento), come ad esempio il sistema del “semaforo” inglese (vedasi Alimenti&Bevande, settembre 2013, pp. 53-60), ma anche l’informazione
sugli allergeni per i prodotti non preconfezionati
(che può essere fornita oralmente e su richiesta
dei consumatori) o, ancora, le info da veicolare
insieme agli alimenti venduti sfusi. La ri-naziona-
Anno XV - 9 - Nov-Dic 2013
Etichettatura
lizzazione delle previsioni normative sembra insomma una realtà de jure con buona pace per le
pretese di armonizzazione del settore.
Aspetti principali
Ripercorrendo poi il documento “Domande e Risposte” (D&R) della Commissione, una prima
analisi permette di visualizzare quelle che sembrano essere delle vere e proprie “zone grigie”,
sulle quali c’è da attendersi una ragionevole incertezza. Vediamole con maggiore dettaglio.
• Etichette amovibili (punto 2.1.1). Per quanto
concerne la valutazione dell’equivalenza dell’etichetta amovibile rispetto ai requisiti generali di messa a disposizione e del posizionamento delle indicazioni obbligatorie, si
prevede che essa sia effettuata con un approccio “caso per caso”. Si precisa, inoltre,
che dovrà essere prestata particolare attenzione alla buona visibilità di tale tipo di etichetta, ma ciò nondimeno tale approccio solleva molti dubbi: se da un lato la flessibilità
aiuterà l’applicazione della normativa, poiché
certamente in futuro i dipartimenti Marketing ci stupiranno con etichette amovibili inaspettate, dall’altra essa mina la certezza di un
requisito fondamentale dell’etichettatura,
quale la concreta messa a disposizione delle
informazioni obbligatorie al consumatore.
• Istruzioni d’uso e pittogrammi. Le D&R in prima battuta vietano categoricamente l’utilizzo
di pittogrammi o simboli in sostituzione di indicazioni obbligatorie, quali le istruzioni per
l’uso, che quindi devono sempre essere
espresse in cifre e parole. I pittogrammi potranno essere solo un mezzo di espressione
complementare. Nel secondo paragrafo del
punto 2.2.1., tuttavia, si dice che la Commissione potrà adottare atti delegati o di esecuzione che ne consentano il ricorso. In questo
caso l’incertezza probabilmente pesa più sui
produttori che sul consumatore: sarebbe opportuno, infatti, conoscere a priori le regole
per la nuova etichettatura dei prodotti alimentari e, di conseguenza, adottare opportune strategie di marketing e presentazione.
In tal modo, si costringe l’operatore ad una
costante e costosa revisione delle proprie etichette ad ogni nuovo atto delegato.
• Data di congelamento. L’obbligatorietà dell’indicazione della data di congelamento o di
primo congelamento sussiste solo per le carni congelate, i preparati di carni congelate e
i prodotti della pesca non trasformati congelati preimballati. Per i non preimballati, al
contrario, tale obbligo non è previsto, salva la
possibilità degli Stati membri di introdurre
questo obbligo su base nazionale.
Onde evitare disuguaglianze sul mercato e
disparità applicativa, qualora sia lasciata agli
Stati Membri libertà di introdurre misure nazionali, sarebbe forse opportuno stabilire a
quali condizioni e per quali motivi ciò può avvenire. O a monte di tale scelta sussiste una
precisa ratio oppure tale approccio può solo
essere fonte di un’inutile disomogeneità normativa sul Mercato unico.
• Porzioni ed etichettatura. Le porzioni non sono definite dal regolamento, sebbene si sappia empiricamente che sono capaci di suggerire la corretta/scorretta quantità di consumo.
Di conseguenza, possono essere stabilite dal
produttore e indicate come quantità nell’etichettatura nutrizionale. Le porzioni svolgono
un ruolo fondamentale nel garantire un’alimentazione adeguata o eccessiva e nell’adempiere o meno a obiettivi di salute pubblica nutrizionale. Ma in Europa, al di là delle
scelte dei produttori, manca una definizione
sui quantitativi che possono essere veicolati
per ogni porzione, anche rispetto a determinate matrici alimentari. Il che sminuisce il
ruolo della più generale etichettatura nutrizionale (pure possibile, anche per porzione)
nel dare un’informazione adeguata su quel
che si sta ingerendo. Se il documento “D&R”
spiega che le porzioni “debbono essere facilmente riconoscibili per il consumatore”, anche con l’aggiunta di simboli e pittogrammi –
un elemento di complicazione deriva dall’introduzione del concetto di “unità di consumo” (“Ma allora la porzione cosa è?”, verrebbe da chiedersi). L’unità di consumo, da
quel che si apprende (punto 3.22), è qualcosa di più piccolo della porzione, ma che può
anche coincidere con quest’’ultima.
• Schemi volontari addizionali di informazione
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Etichettatura
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nutrizionale ai consumatori (punto 3.4). È
questo un aspetto caldo del dibattito, come
inizialmente previsto dall’art. 35 del regolamento. Ma, in realtà, nel documento “D&R”,
oltre a ribadire i pre-requisiti necessari per
l’approvazione di tali ulteriori metodi di informazione ai consumatori (la necessità di una
base scientifica, il fatto che siano ben compresi dai consumatori, ben ricevuti dagli stakeholders, l’obiettività, la non discriminatorietà e il non impedimento alla libera circolazione di merci) non vi è molto di più. Rimangono invece forti dubbi sul fatto che molti
schemi, per loro stessa natura, non possano
adempiere ad alcuni fondamentali pre-requisiti elencati, come la non discriminatori età o
il non creare ostacolo alla libera circolazione
delle merci. Come insegna il recente caso inglese dell’Hybrid traffic light system inglese,
questi schemi rischiano spesso di essere poco
scientifici e molto discriminatori tra Stati
membri, minando alla base l’idea stessa di
Mercato interno unico.
• Etichettatura indelebile? Rispetto al dettato
della precedente direttiva n. 13 del 2000, in
base alla quale l’etichettatura doveva essere
effettuata rispondendo al requisito dell’indelebilità (art. 13), ora tale requisito è più sfumato. E il testo del reg. UE 1169/2011 (ribadito dal punto 2.1.1 del documento “D&R”)
parla di “eventualmente indelebile” (meglio,
“indelebili”, dove richiesto”). Si tratta di sfumature, ma non si vede la ragione per minare alla base la certezza del diritto su un aspetto così rilevante (si pensi alla data di scadenza o alle informazioni parimenti rilevanti anche per la salute pubblica).
• Allergeni e modalità di indicazione. Se la normativa in tal senso prevedeva l’obbligatorietà
di informazione scritta, già a partire dalla direttiva 2003/89/CE, il nuovo regolamento
sembra estendere tale disposizione. Tuttavia,
il documento “D&R” crea delle contraddizioni. Se infatti al punto 2.5.1 si parla di indicazioni scritte obbligatorie riferibili all’enunciazione degli allergeni (quali quelle solitamente
intese, come la lista degli ingredienti, l’ingrediente caratterizzante in denominazione di
vendita, la denominazione di vendita tal quale), i punti 2.5.2 e, soprattutto, 2.5.3 aprono
la strada a misure alternative di informazione
ai consumatori. In nome di un “approccio
pragmatico” sugli alimenti venduti sfusi, infatti, si introduce non solo la possibilità di ulteriori informazioni nazionali, ma anche, di
fatto, la possibilità di derogare all’informazione scritta. Insomma, la fornitura di informazioni sugli allergeni solo tramite la comunicazione orale – vietata al punto 2.5.1, viene poi
autorizzata al punto 2.5.3 (con eventuali cartelli ben visibili che spieghino che ulteriori info sugli allergeni sono disponibili su richiesta,
ad esempio). Macroscopici i problemi di certezza normativa (Come fare a verificare, in
caso di disputa, che l’informazione sia stata
effettivamente messa a disposizione?). Il rischio è la presenza di standard diversi di tutela della salute dei consumatori come risultato di diverse policies (magari anche molto
pragmaticamente intese) nei diversi Paesi UE.
Il Regno Unito ha fatto il resto, notificando la
comunicazione orale degli allergeni, che deve essere “verificabile”(ma anche in questo
caso non si capisce come, se tutto passa tramite la comunicazione orale).
• Indicazione di acqua aggiunta agli alimenti. Al
fine di evitare pratiche commerciali ingannevoli e fuorvianti, il consumatore dovrebbe essere informato in caso di acqua aggiunta ad
alimenti. Al punto 2.11 si spiega che di massima tutti gli alimenti che all’apparenza sembrano costituire tagli (anche d’arrosto), fette,
porzioni o carcasse di carne o filetto devono
indicare l’acqua aggiunta se in quantità maggiore al 5% sul peso finale. Ma poi, al punto
2.11.1, viene riportata una serie di eccezioni
con deroghe diverse per casi precisi e dove la
motivazione della tecnologia produttiva si fatica a intravedere (semmai quella economica).
Non si capisce su quali basi gli insaccati (ad
esempio, prosciutto cotto, hot dog, mortadella), che presentano per altro la forma di un
unico taglio (e che quindi dovrebbero presentare il contenuto d’acqua aggiunta in modo
chiaro in etichetta) siano esentati.
• Etichettatura nutrizionale in alimenti non
preimballati. L’etichettatura nutrizionale non è
obbligatoria per alimenti composti da un solo
ingrediente e che abbiano subito come unica
trasformazione la stagionatura o che siano
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Etichettatura
forniti in piccoli quantitativi dal produttore al
consumatore (più altre eccezioni, come previsto dall’allegato VIII del regolamento UE
1169/2011). Ma il regolamento non disciplina
con chiarezza la sorte degli alimenti con riguardo alle modalità di confezionamento (sfusi, preimballati, preincartati). In realtà, questo
dovrebbe essere un aspetto implicito, in quanto il reg. UE 1169/2011 si applica solo agli alimenti preimballati (con conseguente esclusione di obbligo di etichettatura per gli sfusi). Ma
qui le cose si complicano. Infatti, circa gli alimenti sfusi (non preimballati), i punti 3.2 e 3.3
del documento “D&R” prevedono la possibilità di indicare le info nutrizionali in modo semplificato. Tali alimenti possono indicare i “big
four” (grassi, grassi saturi, zuccheri e sale, oltre energia). Quel che non è chiaro è se la “volontarietà” riguardi l’etichettatura nutrizionale
o invece la modalità precisa (con i 4 nutrienti).
Anche perché lo sfuso non figura espressamente nell’allegato VIII, come esenzione rispetto all’etichettatura nutrizionale. Non sono
chiariti poi con esempi pratici i mezzi e i supporti per la dichiarazione nutrizionale degli alimenti “non preimballati”. Infine, vi è una più
generale contraddizione tra l’ammettere tale
etichettatura volontaria, che fa pensare a strumenti di valorizzazione positive, subordinandola però alla sola enunciazione di nutrienti
“negativi” e “critici”.
• Dichiarazione dei valori nutrizionali, i metodi
di determinazione. Un problema che può sorgere riguarda poi le diverse metriche autorizzate per determinare il valore nutrizionale di
una matrice. Al punto 3.8 si spiega infatti che
si potrà alternativamente fare affidamento:
a) su risultati analitici puntuali;
b) sul calcolo effettuato a partire dai valori medi noti relativi agli ingredienti utilizzati; oppure
c) sul calcolo effettuato a partire da dati generalmente stabiliti e accettati.
Gli ultimi due metodi, senza entrare nel dettaglio, si rifanno non alla composizione precisa e analitica dell’alimento, ma a stime generali (“medie”) come ad esempio quelle
contenute in database alimentari. Ma in un
passato anche recente alcuni movimenti dei
consumatori hanno impugnato – dando enfasi giornalistica alla cosa – la discrepanza tra
valori nutrizionali dichiarati in etichetta e valori risultanti rispetto a ri-analisi di laboratorio
condotte privatamente a scopo di controllo.
Non è difficile immaginare che possa accadere presto in Europa. Anche perché, implicitamente, il punto 3.8 lascia impregiudicata la
possibilità per le imprese di rifarsi a valori medi come da tabelle ufficiali di composizione
degli alimenti (vedi quelle Cra-Inran per l’Italia, con evidente vantaggio per le Piccole e
medie imprese (Pmi), sollevate dall’onere di
costosi analisi sulle matrici alimentari di propria produzione). Diventa quindi importante
dirimere questo aspetto, chiedendo chiarimenti alla Commissione europea qualora un
punto voglia essere usato da alcuni attori
contro un altro.
• Valori di riferimento e “Gda”. La Commissione
spiega che su base volontaria e come ulteriore
strumento di informazione al consumatore i
valori nutrizionali potranno essere espressi come valori di riferimento (reference intakes) in
percentuale rispetto a quantitativi giornalieri
pre-determinati. Questo sia per le vitamine e
minerali che per altri nutrienti (vedi l’art. 32)
nei quantitativi delineati nell’allegato VIII.
Ma a ben vedere, i valori di riferimento per vitamine e minerali (“daily reference intake”)
significano qualcosa di assai diverso rispetto
ai Ri per altri nutrienti (ad esmepio, grassi,
grassi saturi, zuccheri, sale), sebbene questo
non venga affatto comunicato ai consumatori. Per i primi (vitamine e minerali), i valori sono da intendersi come quelli minimi da assumere per non andare incontro a carenze nutrizionali croniche. Per i secondi, sono al contrario livelli massimi da non superare per non
andare incontro a malattie non trasmissibili
(NCDs) tipiche delle società attuali (malattie
da sovra-alimentazione). Sono di fatto la riproposizione – più o meno – delle Gda (Guidelines on daily amount) che lo stesso documento “D&R” vorrebbe definitivamente
mandare in soffitta (punto 3.19), in quanto
non in grado di dare una corretta e comprensibile informazione al consumatore.
Se è vero che le Gda sono considerate in qualche modo ingannevoli, in quanto proporrebbero dei target di assunzione nutrizionale artificiosamente alti, non si capisce invece come
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le assunzioni di riferimento possano essere diversamente intese dai consumatori. Di fatto,
da un punto di vista della psicologia comportamentale, rappresentano un’ancora semantica, un riferimento appunto che il consumatore considera come punto di partenza rispetto
alla definizione del proprio fabbisogno. Certo,
vi sono esigenze di sintesi che un’etichetta
deve sopportare. Ma la mera indicazione “assunzioni di riferimento di un adulto medio
8400 kj/2000 kcal” come unico parametro
esplicativo sembra davvero poco. E la Commissione europea pensa di risolvere tutto
cambiando i nomi (da Gda in “Reference intakes”, con valori praticamente coincidenti).
Interessante osservare quello che afferma la
Commissione: “La nozione di “assunzioni di
riferimento” differisce dalla nozione di
“Quantitativo giornaliero consigliato” (Gda),
considerando che la prima non implica, contrariamente alla seconda, un consiglio nutrizionale. Consumare 20 g di grassi saturi al
giorno non è un consiglio dietetico ed è opportuno evitare che i consumatori credano
che si tratti di una quantità minima necessaria per rimanere in buona salute.” Non si capisce però cosa faccia la Commissione per evitare questo tipo di inevitabile comprensione
da parte dei consumatori. Non pervenuto.
• Esenzioni dalla dichiarazione nutrizionale. Il
punto 3.1 del documento “Q&A” sbrigativamente ribadisce le categorie di alimenti esenti dalla dichiarazione nutrizionale obbligatoria, ovvero gli integratori, le acque minerali
naturali e gli alimenti destinati ad alimentazione particolare, a meno che non sia prevista alcuna regola specifica concernente gli
aspetti della dichiarazione nutrizionale.
Certamente maggiore chiarezza l’avrebbe
conferita il citare in tale punto anche le esenzioni di cui all’allegato V, riprese poi nella risposta 3.5, ma che sollevano non minori problemi. Tra di essi, infatti, troviamo prodotti
che necessiterebbero di maggior definizione
al fine di chiarire il campo applicativo della
norma: basti pensare ai prodotti non trasformati che comprendono un solo ingrediente o
una sola categoria di ingredienti, riguardo ai
quali ci si potrebbe interrogare su quali processi comportino una trasformazione dell’ali-
mento e quali no, sia sulla definizione del
prodotto monoingrediente.
• Possibilità di dichiarare gli acidi grassi omega
3. Scelta assai discussa e dibattuta è stata
quella di limitare la dichiarazione nutrizionale solo ed esclusivamente alle sostanze elencate nell’art. 30 del regolamento. Per quanto
riguarda nello specifico ed a titolo esemplificativo gli acidi grassi omega 3, essi potranno
essere indicati solamente ove sia inserita in
etichetta un’indicazione nutrizionale o e/o
sulla salute, inserendo la quantità per 100 g
di sostanza al di fuori e nelle immediate vicinanze della dichiarazione nutrizionale.
L’avanzare della scienza e della comprensione
dei meccanismi biologici tra assunzione di sostanze benefiche ed impatto positivo sulla salute sembra non essere riconosciuta da questa
classificazione, con nutrienti di serie “A” e di
serie “B” e nonostante molti degli ultimi abbiano ricevuto pareri favorevoli da parte di Efsa (che ne ha stabilito una valenza salutistica).
Conclusioni
Nella risoluzione del Parlamento europeo dello
scorso 17 luglio, a firma di De Jong – Draft report
on the european retail action plan for the benefit
of all actors (2013/2093(INI)) – si afferma (punto 6):
“Encourages the Commission to set up an easily
accessible database containing all EU and national
labelling requirements; at the same time warns
against the multiplication of labels and labelling requirements and calls for simplification.” È quindi
evidente in seno alle stesse istituzioni europee che
vi è un bisogno immediato di comparazione e semplificazione normativa, nel momento stesso in cui
la normativa non è stata ancora finalizzata o implementata. Per la realizzazione di tale database è già
stata indetta dalle istituzioni europee una gara e, a
seguito dell’aggiudicazione, il progetto dovrebbe
partire nel 2014, motivo per cui tale esigenza pare
ulteriormente reale e necessaria.
Gli esempi qui riportati, se certamente non esauriscono le problematicità dell’adozione del nuovo regolamento, ne evidenziano sicuramente una parte, facendo semmai riferimento ad articoli e parti che già
sono state “azionate” dai policy makers nazionali,
portando in superficie le contraddizioni e difficoltà.
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Etichettatura
Regolamento 1169
Come applicare
le nuove regole
Le Linee guida di Food Drink Europe ed EuroCommerce
di Dario Dongo
Avvocato, FARE (Food & Agricolture REquirements)
Il testo, frutto
di oltre 18 mesi
di consultazioni e lavori,
rilegge
il reg. UE 1169/2011
e offre una lettura
del testo normativo
di sicura utilità
per gli operatori
del settore alimentare
e della distribuzione
C
on l’avvicinarsi del 13 dicembre 2014 –
data di applicazione del regolamento UE
1169/2011 sull’informazione al consumatore (Food information to consumer, Fic) – aumenta l’interesse degli operatori del settore alimentare a comprenderne con esattezza i risvolti
applicativi.
L’interpretazione non é sempre facile, per usare
un eufemismo, e i dettagli delle nuove regole
devono ancora venire definiti.
1
2
Già lo scorso gennaio la Commissione europea ha pubblicato sul sito web della Dg Sanco le “Q&A”1, condivise con le rappresentanze degli Stati membri, volte a offrire una lettura univoca su elementi suscettivi di svariate
interpretazioni. Ma il documento non è parso
idoneo a risolvere alcuni dubbi (vedi l’articolo
“Regolamento 1169. Le “domande e risposte” alla prova dei fatti”, pubblicato alle pp.
46-52).
FoodDrinkEurope (la Confederazione dell’industria alimentare in Europa) ed Eurocommerce
(l’associazione europea di rappresentanza della
distribuzione, moderna e tradizionale) hanno
perciò pubblicato, il 12 settembre 2013, le loro
Linee guida condivise per l’applicazione del regolamento Fic2.
Il testo, frutto di oltre 18 mesi di consultazioni e
lavori, rilegge il provvedimento tenendo anche
conto delle “Q&A” della Commissione europea,
discostandosi tuttavia da queste ultime in alcuni
passaggi.
Le rappresentanze europee di industria e distribuzione mantengono un punto di vista diverso,
rispetto a quello della Commissione, in particolare sugli aspetti riportati di seguito.
http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/docs/qanda_application_reg1169-2011_it.pdf
http://www.fooddrinkeurope.eu/S=0/publication/guidance-on-the-provision-of-food-information-to-consumers/
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• GDA e RI. La Commissione considera il concetto di “valori di riferimento” (Ri, Reference
intake) come diverso da quello di “quantità
giornaliere raccomandate” (Gda, Guideline
daily amounts). Sebbene le Gda siano in uso
da parecchi anni ormai, ad avviso della Dg
Sanco è necessario riferire la dicitura “valori
(letteralmente: assunzioni) di riferimento”
nell’informazione nutrizionale su base volontaria di cui agli articoli 32 e 33 del regolamento.
L’acronimo Gda non risulterebbe invece idoneo in quanto implica una ‘raccomandazione”, cioè un consiglio nutrizionale.
Di diverso avviso FoodDrinkEurope ed Eurocommerce che, con buona memoria del relativo parere Efsa, considerano legittimo l’utilizzo dell’acronimo Gda in alternativa a Ri;
• Stima della superficie più ampia dell’etichetta, nelle confezioni di forma cilindrica o aventi superficie curva. Tale determinazione rileva
ai fini dell’altezza minima dei caratteri delle
informazioni obbligatorie, 0,9 mm anziché
1,2 mm quando l’area sia inferiore a 80 cm2.
Secondo la Commissione, la dimensione cui
riferirsi nei packaging cilindrici o a superficie
curva coincide con l’intera superficie dell’imballaggio, ad eccezione dei lati superiore e inferiore, delle flange delle lattine, della spalla
e del collo di bottiglie e boccali.
La superficie maggiore coinciderebbe perciò
con l’intera confezione “srotolata”, prescindendo cioè dalla geometria e dal punto di osservazione. Un’ipotesi che potrebbe venire
contraddetta e smentita dalle autorità dei
singoli Stati membri.
FoodDrinkEurope ed Eurocommerce reputano invece si debba misurare la dimensione
dell’area in ragione della sua visibilità, pari a
1/3 della superficie irregolare (cilindro, cono,
bottiglia).
• Informazioni su allergeni per alimenti non
preconfezionati. FoodDrinkEurope e Eurocommerce ritengono possibile che le misure
nazionali possano consentire la fornitura di
informazioni sulla presenza di allergeni nei
prodotti non preconfezionati anche in forma
orale. La Commissione, diversamente, non ritiene la forma orale un idoneo mezzo di comunicazione.
• Peso netto senza glassa. FoodDrinkEurope e
Eurocommerce ritengono corretto indicare il
peso dei prodotti glassati mediante l’indicazione “peso netto senza glassa”.
Al di là delle suesposte divergenze d’interpretazione, il documento di FoodDrinkEurope ed Eurocommerce offre una lettura pienamente condivisa del testo normativo, di sicura utilità per gli
operatori del settore alimentare e della distribuzione.
Le Linee guida si articolano in cinque capitoli:
•
•
•
•
•
etichetta nutrizionale;
indicazione d’origine;
leggibilità;
etichettatura degli allergeni;
ulteriori questioni orizzontali.
Il documento include altresì due allegati: uno
contenente un grafico delle date importanti riguardanti il regolamento, l’altro una spiegazione
dettagliata in ordine alle responsabilità degli
operatori della filiera alimentare.
Indicazione d’origine,
lavori in corso
Il regolamento UE 1169/2011, si ricorda, ha introdotto importanti novità in tema di indicazione d’origine e di provenienza, delegando la
Commissione europea, in accordo con gli Stati
membri, alla definizione delle misure di applicazione degli aspetti già compiutamente definiti
nel regolamento e a presentare relazioni e proposte, al Parlamento e al Consiglio, sui temi solo in parte definiti.
A seguire, un aggiornamento sui lavori attualmente in corso.
Indicazione d’origine
delle carni suine, ovine,
caprine e del pollame
Sono in fase di conclusione i lavori della Commissione europea e degli Stati membri per definire le regole sull’indicazione d’origine obbligatoria per le carni suine, ovine, caprine e per il
pollame fresche, refrigerate e congelate.
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Etichettatura
Nella riunione del 10 settembre 2013 del Gruppo di lavoro Commissione-Stati membri è stata
finalmente presentata una prima bozza dell’atto
di esecuzione previsto all’art. 26.2.b.
Secondo quanto preliminarmente proposto dalla
Commissione, le carni suine, ovine, caprine e di
pollame (siano esse vendute fresche, congelate
o surgelate) dovranno riportare in etichetta le seguenti indicazioni:
• “Allevato in (nome dello Stato membro o del
Paese Terzo)”, con citazione dell’ultimo Stato
membro o Paese terzo ove l’animale è stato
allevato per almeno due mesi (un mese il pollame).
Nel caso in cui il tale periodo non sia stato
raggiunto, la notizia é riferita al Paese ove
l’animale ha trascorso gli ultimi 15 giorni prima del macello (5 giorni per il pollame).
• “Macellato in (nome dello Stato membro o
Paese Terzo)”.
• Codice di riferimento, che assicura il legame
tra la carne e l’animale o gruppo di animali.
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Qualora l’animale sia stato allevato (per almeno
due mesi, un mese il pollame) e macellato nello
stesso territorio nazionale, l’etichetta potrà riportare la dicitura “Allevato e Macellato in (nome dello Stato membro o Paese Terzo)”.
Laddove diversi tagli di carne, della stessa o di
varie specie, siano ottenuti da animali allevati e
macellati in diversi Paesi e siano tuttavia raccolti
in un’unica confezione, l’etichetta deve indicare
ciascuno Stato membro o Paese terzo di allevamento e macello.
Nei casi in cui non siano disponibili tutte le informazioni di cui sopra, si dovrà invece riportare:
“Allevato in: NON UE” e “Macellato in: Paese
terzo”.
Per quanto attiene a carne macinata e ritagli (i
c.d. “trimmings”):
• quando derivati esclusivamente da animali allevati e macellati in vari Stati Membri si potrà
riportare in etichetta l’indicazione “Allevato e
Macellato in: UE”;
• qualora prodotti esclusivamente da carne o
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Etichettatura
carcasse di provenienza extra-europea si potrà indicare “Allevato e Macellato in: NON
UE”;
• quando realizzati a partire dalle carni di animali extra-UE e macellati in UE, si potrà scrivere “Allevato in: NON UE” e “Macellato in:
Nome dello Stato membro”;
• quando contengono sia carne UE che carne
importata si potrà riportare in etichetta l’indicazione “Allevato e Macellato in: UE e NON
UE”.
Indicazione d’origine
volontaria
Alla riunione del 10 settembre 2013 del Gruppo
di lavoro con gli esperti degli Stati membri dedicato all’informazione al consumatore, la Dg Sanco ha altresì presentato una prima bozza di atto
di esecuzione in merito all’indicazione d’origine
volontaria, a norma dell’art. 26.3 del reg. UE
1169/2011.
Il documento prevede un identico livello di precisione nella menzione dell’origine dell’ingrediente primario rispetto a quella dell’alimento, ove
essa sia volontariamente apposta.
Con alcune deroghe nei casi di ingrediente primario con origine differenziata:
• nel caso di origine da due Paesi, l’ipotesi delineata contempla l’indicazione di origine e
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Queste regole dovrebbero applicarsi a partire dal
1° aprile 2015, fatta salva la facoltà di commercializzare e mantenere sul mercato i prodotti
confezionati prima di tale data con etichette
conformi alle norme previgenti.
La proposta della Commissione ha registrato
un generale consenso da parte degli Stati
membri, con eccezione della Francia, invece
propensa ad applicare su tutte le carni il modello di informazione già stabilito per quelle
bovine, ai sensi dei reg. CEE n. 1760/2000 e
1825/2000 (luogo di nascita/allevamento/macellazione).
È attesa entro fine novembre l’approvazione
del documento da parte dello Standing committee for the Food chain & Animal health, in
vista della sua adozione entro il mese di dicembre.
provenienza di entrambi (alimento X prodotto in Italia con ingrediente primario proveniente da Francia e/o Italia);
• nel caso di ingredienti primari provenienti da
più di due Paesi, può venire ammessa l’indicazione UE/Non UE.
La Commissione ha inoltre precisato che, qualora l’ingrediente primario sia un alimento soggetto a norme specifiche in tema d’indicazione
d’origine o provenienza (ad esempio, reg. CE n.
1760/2000 sulle carni bovine), ai dettagli di tali
regole ci si deve riferire.
Nel’ipotesi, infine ,di ingredienti primari di svariare origini e provenienze, la soluzione proposta
è di indicare la dicitura “[...] con ingrediente/i x
(x,y,z) di differente origine/provenienza”, a norma dell’art. 26.3.b.
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