Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 47 (46.885) Città del Vaticano venerdì 27 febbraio 2015 . La strategia dell’Is in Iraq e Siria Kiev interrompe le forniture di gas nelle roccaforti dei ribelli filorussi a Donetsk e Lugansk Guerra contro i civili L’arma del freddo E Vladimir Putin prospetta ricadute sull’approvvigionamento all’Europa Piccoli profughi siriani a Istanbul (Epa) y(7HA3J1*QSSKKM( +\!z!$!$!/! BAGHDAD, 26. La strategia del cosiddetto Stato islamico (Is), in difficoltà sul piano militare sui fronti iracheni e siriani, si sta definendo sempre più come una guerra alle popolazioni civili, con il ricorso sistematico a sequestri e atti di terrorismo. Ne dà conferma anche una dichiarazione diffusa ieri dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condanna il sequestro dei cristiani nel nord-est della Siria. «Questi crimini dimostrano ancora una volta la brutalità dello Stato islamico, responsabile di migliaia di abusi contro persone di tutte le fedi religiose, etnie e nazionalità, senza riguardo per ogni valore di base dell’umanità» si legge nel documento. E mentre crescono i timori per la vita dei cristiani rapiti in Siria — il cui numero resta ancora incerto, ma che alcune fonti stimano a oltre duecento — si è appreso ieri di un’analoga operazione di sequestro di massa compiuta dall’Is in Iraq, dove i miliziani hanno preso in ostaggio un centinaio di membri, compresi nove bambini, di un clan tribale schieratosi con il Governo di Baghdad. Poche ore prima era stata data notizia che almeno ottanta miliziani erano stati uccisi in un raid aereo sferrato dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti sul centro di Mosul, la città settentrionale più volte indicata come prossimo obiettivo dell’offensiva contro il gruppo jihadista. Fonti mediche di Mosul citate oggi dalle agenzie di stampa internazionali hanno riferito che nei raid della coalizione nelle ultime ore sono stati uccisi cinquanta civili, compresi donne e bambini. Sempre ieri, in diversi raid aerei egiziani nella regione del Sinai settentrionale sono rimasti uccisi 38 jihadisti. Altri 27 sono stati feriti. Lo ha riferito una fonte militare Nella provincia nordorientale siriana di Hasaka, dove è avvenuto lunedì scorso il sequestro dei cristiani, i peshmerga curdi hanno annunciato intanto di aver interrotto il principale canale di rifornimento dell’Is — e di collegamento tra i territori controllati dal gruppo jihadista in Iraq e Siria — assumendo il controllo della strada tra la cittadina di Tel Hamis e la località di Al Houl, situata proprio a ridosso del confine iracheno. Resta invece incerto, più a est, l’esito del tentativo dell’Is di mantenere aperto il colle- Nuove norme per il clero orientale cattolico uxorato Nel solco del Vaticano II CYRIL VASIL’ A PAGINA 7 gamento con la frontiera turca tramite la quale, secondo molte fonti, continuerebbe a ricevere rinforzi. La lotta contro l’Is resta comunque il tema cruciale di confronto sia a livello di rapporti internazionali sia all’interno dei Paesi che partecipano alla coalizione, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento da tenere con il Governo di Damasco. È il caso, per esempio, della Francia, dove il ministero degli Esteri ha preso le distanze dall’iniziativa di una delegazione di parlamentari, di maggioranza e d’opposizione, recatisi a Damasco dove hanno incontrato il presidente Bashar Al Assad. Si tratta della prima visita di questo genere dall’interruzione delle relazioni diplomatiche con la Siria decisa congiuntamente nel maggio 2012 da Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna. Una nota ministeriale parla di «un’iniziativa personale, in nessun modo ufficiale o diplomatica», mentre lo stesso ministro degli Esteri, Fabius, ha ribadito di ritenere falsa «l’idea che si potrebbe trovare la pace in Siria fidandosi di Bashar Al Assad». La vicenda dell’Is sembra destinata ad avere un peso anche nelle relazioni tra il Governo di Washington e quello di Teheran. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha dichiarato ieri che gli Stati Uniti e l’Iran hanno un comune interesse a sconfiggerlo. «L’Iran si oppone totalmente all’Is e sta eliminando i suoi uomini al confine tra Iran e Iraq. Abbiamo almeno un reciproco interesse, se non un impegno comune», ha detto. KIEV, 26. Sullo sfondo della grave crisi umanitaria nell’est dell’Ucraina, incombe lo spettro di una nuova guerra del gas tra Mosca e Kiev, che potrebbe coinvolgere gran parte dell’Europa. Il Governo ucraino ha infatti deciso di interrompere le forniture di gas nelle zone orientali di Donetsk e di Lugansk, roccaforti dei ribelli separatisti filorussi. A fare ulteriormente salire la tensione è stata anche la pesante replica del presidente russo, Vladimir Putin. In una conferenza stampa a Mosca, il leader del Cremlino ha infatti detto che «non solo c’è la carestia, non solo l’Osce ha denunciato una catastrofe umanitaria, ma in più tagliano anche il gas. Tutto questo sembra un genocidio». Putin ha poi ricordato che, in base ai recenti accordi di Minsk, l’Ucraina deve garantire forniture energetiche a Donetsk e Lugansk. «Le intese — ha sottolineato — sono state fissate da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e hanno valore di documento di diritto internazionale e, quindi, devono essere rispettate». Il presidente ha inoltre confermato che Mosca taglierà il gas all’Ucraina, qualora Kiev non effettuasse in tempo il pre-pagamento delle consegne. Questo, ha dunque avvertito il leader russo, «creerà un problema» per il gas in transito verso l’Europa, che dai gasdotti ucraini riceve il 40 per cento del metano che acquista dalla Rus- sia, che a sua volta rappresenta circa un terzo del fabbisogno totale del Vecchio Continente. La controversia dell’anno passato è stata risolta a ottobre con un’intesa temporanea — mediata dall’Ue — che ha introdotto un regime di pagamenti anticipati per il prezzo che Kiev deve pagare per il gas di Mo- sca. Secondo il leader del Cremlino, «la cifra pagata in anticipo dalla parte ucraina basterà per le forniture per tre-quattro giorni» e, ha aggiunto, se non arriveranno altri pagamenti Gazprom sospenderà i rifornimenti, «così come previsto dal contratto». Una misura che può rappresentare una seria minaccia al transito Ghiaccio su una conduttura di gas (Reuters) Dopo l’uccisione di un ragazzo a San Cristóbal Ancora scontri in Venezuela CARACAS, 26. Non accenna a stemperarsi la tensione in Venezuela. Dopo la morte di Kluiver Roa, studente quattordicenne ucciso con uno sparo alla testa da un agente della polizia antisommossa a San Cristóbal, nello Stato di Táchira, si sono registrati nuovi scontri fra forze dell’ordine e manifestanti anti-chavisti. Nella capitale Caracas organizzazioni studentesche hanno inscenato ieri una protesta davanti alla sede del ministero degli Interni. Il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, ha promesso il rispetto della sicurezza, condannando gli atti di violenza. Negli scontri scoppiati ieri sempre a San Cristóbal fra giovani anti-chavisti e unità della polizia antisommossa, sono state arrestate sette persone. Nei giorni scorsi sono stati fermati 17 studenti. La polizia dello stato di Mérida è intervenuta per con- tenere una manifestazione nei pressi delle facoltà di diritto e medicina. Proteste isolate si sono verificate anche a Tachíra. A Caracas centinaia di giovani hanno risposto all’appello della Federazione nazionale studentesca per denunciare la repressione delle proteste e chiedere l’abrogazione di recenti misure da parte del Governo sull’organizzazione e la gestione delle manifestazioni. «La nostra indignazione deve diventare azione, oggi il movimento studente- sco esige in piazza giustizia e castigo per i colpevoli» ha scritto su Twitter Hasler Iglesias, presidente della Federazione, sottolineando che le proteste devono essere «pacifiche». Le manifestazioni che vanno avanti da settimane in tutto il Paese sono cominciate all’inizio dell’anno scorso e — dicono gli analisti — sono state organizzate da membri dell’opposizione anti-chavista e da studenti. I motivi della protesta sono diversi: dalle scarse condizioni di sicurezza Accordo tra Australia e Cambogia Condizioni di vita migliori per i migranti nel Pacifico SYDNEY, 26. Australia e Cambogia hanno raggiunto un’intesa per garantire una migliore sistemazione ai migranti in attesa di una qualche forma di ricollocazione una volta accertata la condizione formale di rifugiato, oppure che aspettano una verifica che potrebbe durare molti mesi. I due Governi hanno infatti firmato un accordo che introduce misure umanitarie volte a migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone che attraversano il mare in cerca di una vita migliore. Sono attualmente quattrocento i profughi provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Iran ospitati sull’isola di Nauru, dove si trova dal 2001 un campo di accoglienza australiano. Nel campo di Nauru sono generalmente trasferiti i migranti che, senza permesso, del metano russo verso l’Europa. Il nuovo braccio di ferro sul gas si aggiunge all’analoga vicenda nel Donbass, dove nelle ultime ore la tregua sembra comunque tenere. Kiev ha infatti bloccato le forniture nelle zone occupate dai separatisti filorussi, giustificandosi con presunti danni ai gasdotti causati dai bombardamenti. raggiungono l’Australia via mare. Nel dicembre 2003 decine di migranti iniziarono uno sciopero della fame per protestare contro le pessime condizioni di vita nella struttura. Preoccupazione è stata espressa più volte anche dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e ripetute segnalazioni sono state fatte anche da Amnesty International. Ora, con l’accordo tra Australia e Cambogia sembra aprirsi la possibilità di un trasferimento. La palla passa all’Organizzazione internazionale per le migrazioni che dovrà decidere se concedere o meno lo status di rifugiato, consentendo o meno la ricollocazione. A Nauru ci sono ancora ottocento persone che attendono di vedere definito il proprio status. nei centri abitati alle misure economiche decise dal Governo per fronteggiare la crisi che ha colpito duramente il Paese. Le prime manifestazioni si sono tenute nelle città andine di San Cristóbal e Mérida e si sono poi diffuse in molte altre zone del Paese. Finora — dicono i media locali — 43 persone sono morte nelle proteste: circa altre cento sono rimaste ferite e la polizia ha fatto migliaia di arresti. Nelle ultime settimane la tensione è tornata a salire a causa dell’arresto del sindaco di Caracas anti-chavista, Antonio Ledezsma. L’accusa era cospirazione e associazione in attività sovversiva per il presunto coinvolgimento in un piano golpista sostenuto dagli Stati Uniti. Al momento Ledezsma è rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde, nella periferia della capitale, dove da un anno è detenuto anche Leopoldo López, un altro leader del movimento anti-chavista. Ledezsma è stato l’autore, assieme alla deputata María Corina Machado e a Leopoldo López, di un manifesto pubblicato l’11 febbraio scorso su una pagina del quotidiano «El Nacional». Il documento chiedeva le dimissioni di Maduro, proponeva un accordo nazionale per aprire una fase di transizione al Governo e avviare una serie di importanti riforme. Sulla crisi venezuelana è intervenuto ieri anche il segretario di Stato americano, John Kerry, il quale ha criticato l’azione del Governo del presidente Maduro, lasciando intendere che presto Washington potrebbe decidere di applicare sanzioni contro Caracas. Preoccupazione per quanto sta avvenendo in Venezuela è stata espressa anche dall’Unione europea. Raccontare la matematica Sant’Agostino e il numero 6 La guardia nazionale schierata a Caracas (Afp) CARLO MARIA POLVANI A PAGINA 5 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 27 febbraio 2015 Il commissario Ue per l’Unione energetica Maroš Šefčovič (La Presse/Ap) Schäuble chiede rispetto dei patti mentre Tsipras blocca le privatizzazioni Sulla Grecia la partita è ancora aperta ATENE, 26. La partita greca non è finita. L’Eurogruppo ha esteso ufficialmente per quattro mesi il supporto finanziario ad Atene, ma il confronto e il dibattito continuano. Ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è intervenuto nuovamente sulla questione, sottolineando che la Grecia non vedrà «nemmeno un euro» fino a quando non avrà ottemperato a tutti gli impegni presi. «Se li attuano, allora potranno ricevere i versamenti rimanenti — ha spiegato il ministro — ma se non li attuano non ci sarà nessun versamento». Per Schäuble, la questione principale al momento è capire «se si può credere o meno alle assicurazioni del Governo greco». In risposta alle parole di Schäuble, il Governo Tsipras ha annuncia- to ieri la cancellazione di alcuni provvedimenti che risalgono agli impegni del precedente Esecutivo con la Troika. In particolare, sono state Calcio di rigore ATENE, 26. Stop al calcio. Alexis Tsipras prende tutti in contropiede e, a dispetto dei suoi detrattori, mostra di sapere prendere decisioni drastiche in situazioni di emergenza. Il Governo greco ha infatti deciso ieri di fermare il principale campionato di calcio del Paese, la Super League. La decisione è arrivata in seguito agli incidenti avvenuti prima, durante e dopo il derby Panathinaikos – Olympiakos Pireo, domenica scorsa. Al termine degli scontri ad Atene c’erano stati undici arresti, mentre un giocatore dell’Olympiakos, il nigeriano Michael Olaitan, a causa del forte stress, aveva perso conoscenza durante il primo tempo ed era stato ricoverato in ospedale. Non ci sono ancora — ha fatto sapere Tsipras — le condizioni per garantire la sicurezza. Un morto e sei feriti Quattro esplosioni al Cairo IL CAIRO, 26. Violenza nella capitale egiziana. Quattro esplosioni si sono verificate questa mattina a Giza, quartiere residenziale del Cairo, provocando un morto e sei feriti. Lo ha reso noto il portavoce del Ministero della Sanità. La prima esplosione, che ha causato la vittima, ha avuto luogo in un fast-food. Le altre tre hanno colpito dei negozi di comunicazioni, ma non hanno fatto vittime. Gli artificieri sono sul posto per verificare la presenza di altro esplosivo. La situazione è da settimane molto tesa nel Paese. Il prossimo mese sono previste le elezioni legislative, ma il voto potrebbe slittare. In effetti, domenica prossima la Corte costituzionale egiziana emetterà il proprio verdetto sui ricorsi pendenti contro la legge elettorale. Nel dettaglio, i giudici della Corte dovranno esprimersi sulla costituzionalità di alcuni articoli sui quali pendono in tutto sei ricorsi. Gli analisti prevedono che, in concomitanza con la sentenza, vi sarà appunto l’annuncio di uno slittamento di alcune settimane delle elezioni legislative, terza e ultima tappa della transizione democratica dopo la destituzione dell’ex presidente Mursi. Lo slittamento — dicono fonti di stampa — sarebbe auspicato soprattutto dalle forze di sicurezza, secondo le quali la situazione nel Paese è ancora troppo instabile per poter garantire il sereno svolgimento delle elezioni. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va bloccate le privatizzazioni del gruppo produttore di energia elettrica Pcc e della rete di distribuzione elettrica Admie, secondo quanto ha detto lo stesso ministro dell’Energia greco, Panagiotis Lafazanis. Il confronto greco-tedesco si anima proprio nel momento in cui la Commissione europea ha emesso le proprie valutazioni sui conti dei Paesi membri. Tra i giudizi principali, spiccano quello sull’Italia, per la quale non è stata decisa nessuna procedura di richiamo, e quello sulla Francia, alla quale sono stati concessi due anni in più per riportare il deficit sotto il tre per cento del pil (prodotto interno lordo), in linea con i Trattati Ue. Richiamo alla Germania, alla quale sono stati chiesti più investimenti. Le situazioni più difficili restano quelle della Grecia, della Romania, di Cipro e del Portogallo. I Paesi più virtuosi, oltre alla Germania, sono l’Olanda, la Danimarca, la Svezia, la Lituania, l’Estonia, la Slovenia e l’Ungheria. Presentata la nuova strategia energetica Per liberare l’Europa dalla dipendenza BRUXELLES, 26. Un maxi-piano su cinque anni per liberare dalla dipendenza energetica l’Europa, impaludata nella crisi ucraina e in quella economica, dove le forniture di energia dipendono per il 53 per cento dai capricci del mercato, della sua opacità e dei Paesi terzi. È la nuova strategia energetica per i Ventotto, che la Commissione Ue presenterà oggi, il primo documento di questo tipo mai redatto da Bruxelles con una serie di misu- Le Nazioni Unite avviano le consultazioni Verso il rilancio del negoziato tra fazioni libiche NEW YORK, 26. La missione dell’Onu in Libia (Unsmil) guidata dall’inviato Bernardino León sta avviando consultazioni con le parti in conflitto — il Governo con sede a Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale e quello islamista di Tripoli — per preparare un nuovo round di colloqui. In una nota dell’Unsmil si parla di prioritaria necessità di «un Governo forte e indipendente» per trovare «una soluzione pacifica alla crisi libica». Il Governo di Tobruk aveva sospeso due giorni fa la sua partecipazione al dialogo, del quale era prevista una nuova tornata proprio oggi a Rabat, la capitale del Marocco. L’Unsmil «chiede a tutte le parti di non permettere che questa finestra di opportunità si chiuda e di rinnovare il loro impegno». La missione guidata da León sostiene che finora i colloqui si erano svolti «in modo serio e responsabile, con una forte determinazione delle parti a raggiungere un accordo politico ampio» e ne definisce l’interruzione «una minaccia all’unità e alla coesione del Paese». Il Governo di Tobruk, intanto, ha annunciato la nomina del generale Khalifa Hafta a comandante dell’esercito, attribuendogli tutte le prerogative di ministro della Difesa e di capo di stato maggiore. Il portavoce delle forze armate libiche, Mohamed Hegazi, ha dichiarato che si è inoltre costituito «un coordinamento totale ed esaustivo fra le autorità libiche ed egiziane per lottare contro il terrorismo». Hegazi ha poi aggiunto che saranno varate nuove leggi per la ristrutturazione dell’esercito libico per «creare un’istituzione militare disciplinata» oltre a «nuove unità specializzate nella lotta contro il terrorismo». In Libia si è aperto un nuovo fronte quello della sfida del cosiddetto Stato islamico e Mohammed Dayri, ministro degli Esteri del Governo di Tobruk, ha rinnovato la ri- Presidenziali in Togo il 15 aprile Militari libici durante una pausa nei combattimenti ad est di Tripoli (La Presse/Ap) Fallito un tentativo di trovare nella foresta di Sambisa le ragazze rapite da Boko Haram Nessuna traccia delle studentesse nigeriane ABUJA, 26. È fallito un tentativo delle forze speciali nigeriane di trovare nella foresta di Sambisa, nello Stato nordorientale del Borno, le oltre duecento studentesse sequestrate nell’aprile scorso da Boko Haram a Chibok e di strapparle ai rapitori. Delle giovani da allora non si hanno notizie certe, ma per tutti questi mesi è stata avanzata con insistenza l’ipotesi che siano tenute prigioniere appunto nella foresta di Sambisa, dove Boko Haram ha proprie basi. Dopo una settimana di bombardamenti e operazioni di terra nell’area, i militari non sono riusciti a trovare tracce delle ragazze. Fonti dell’esercito hanno riferito che le forze speciali hanno scandagliato ampie zone della foresta, dopo i raid aerei che hanno neutralizzato le postazioni degli jiha- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio disti e le mine antiuomo piazzate da Boko Haram per difendere il territorio. Ma i miliziani islamisti sono riusciti a far perdere le loro tracce, sfruttando tunnel e trincee costruiti nella foresta. Sempre ieri, uomini armati hanno rapito un ingegnere cinese, Cui Fu Long Xi, che lavora in un impianto per il trattamento delle acque nello Stato centrale nigeriano di Nasarawa. Il sequestro segue di due giorni quello dell’insegnante statunitense Phyllis Sotor nella scuola della Free Methodist Church di Emimoro, nel vicino Stato di Kogi, e per la quale è stato chiesto un riscatto di trecentomila dollari, secondo quanto riferito dalla polizia. Di entrambi i casi gli inquirenti ritengono responsabili gruppi di criminalità comune. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione chiesta alla comunità internazionale di sostegno concreto contro le milizie jihadiste che ormai controllano diverse aree del Paese. «Senza una soluzione politica potremmo finire intrappolati in una guerra civile su vasta scala come quella siriana» ha detto il ministro. re di insieme — di cui quindici prioritarie da quest’anno sino al 2020 — per arrivare a una trasformazione dalle fondamenta del sistema energetico dell’Europa che ora paga il doppio o il triplo rispetto agli Stati Uniti. In base al piano, Bruxelles punta a un sistema integrato a livello continentale, dove l’energia possa scorrere liberamente attraverso le frontiere, basato sulla concorrenza e il miglior uso possibile delle risorse, e con una regolamentazione efficace dei mercati dell’energia a livello Ue, dove necessario. E questo — prosegue ancora il testo — allontanandosi da un’economia guidata dai combustibili fossili. Si va, infatti, dalla sicurezza delle forniture di gas, incluso un piano per il gas liquefatto naturale, al taglio dell’uso del petrolio per un’integrazione maggiore delle rinnovabili ridisegnando il mercato elettrico, considerando l’efficienza una fonte energetica vera e propria e lavorando su trasporti, industria e concretizzando la politica climatica dell’Unione europea. Cinque i pilastri fondamentali: sicurezza energetica, mercato interno, efficienza, decarbonizzazione, e ricerca e innovazione. Nel 2016 arriverà, poi, il piano che ridisegnerà il mercato elettrico europeo, integrando i produttori di rinnovabili e nell’ottica dei target di interconnessione del 10 per cento nel 2020 e 15 per cento nel 2030, ma anche l’analisi dei prezzi e dei costi dell’energia. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Più tasse e tagli alla spesa in Sud Africa CITTÀ DEL CAPO, 26. Il Governo del Sud Africa intende aumentare la pressione fiscale e diminuire la spesa pubblica, per ridurre il deficit di bilancio dal 3,9 per cento del prodotto interno lordo al 2,6. Il disegno di legge di bilancio per il 2015 e il 2016 presentato ieri in Parlamento dal ministro delle Finanze, Nhlanhla Nene, prevede tagli per 25 miliardi di rand (quasi due miliardi di euro) e più tasse per 17 miliardi di rand. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 LOMÉ, 26. Si terranno il 15 aprile le elezioni presidenziali in Togo. La data è stata stabilita da un decreto del Consiglio dei ministri. Altri due provvedimenti stabiliscono anche l’ammontare dei finanziamenti pubblici (seicento milioni di franchi africani, circa 920.000 euro) che saranno ripartiti tra i candidati e quello della cauzione (venti milioni di franchi africani, oltre 30.000 euro) che ognuno di loro dovrà versare. L’attenzione ora è su chi sfiderà il presidente uscente, Faure Gnassingbé, al potere dal 2005 e ricandidato proprio oggi dal suo partito, l’Unione per la Repubblica. Faure Gnassingbé è figlio e successore dell’ex presidente Gnassingbé Eyadema, al potere dal 1967 al 2005. Fu lui ad abolire, nel 2002, il limite al numero dei mandati presidenziali: una circostanza che oggi permette al figlio — come accadde a lui stesso — di ricandidarsi per la terza volta. L’opposizione non ha ancora trovato l’accordo su un candidato comune alla presidenza. Risultano ancora in corsa Alberto Olympio, del Partito dei togolesi e l’economista Jean Pierre Fabre, dell’Alleanza per il cambiamento. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 27 febbraio 2015 pagina 3 Incendio in un seminario cristiano a Gerusalemme Attentato talebano colpisce un convoglio turco Kabul nella morsa del terrore KABUL, 26. Non si allenta la morsa del terrore sulla capitale afghana. Un attentatore suicida si è fatto esplodere questa mattina a Kabul nell’automobile su cui viaggiava. La deflagrazione è avvenuta vicino a un convoglio di automezzi che portava personale dell’ambasciata turca. Un cittadino turco è morto, un altro è rimasto ferito. Come riferisce l’agenzia di stampa Pajhwok, l’attacco è avvenuto vicino all’ambasciata dell’Iran in una zona centrale della capitale afghana. Il vice ministro dell’Interno afghano, Ayub Salangi, ha confermato che l’obiettivo dell’azione era un convoglio di auto dell’ambasciata turca, che si trova nelle vicinanze di quella iraniana. L’attacco è stato rivendicato dai talebani che hanno sostenuto di avere colpito «un obiettivo di forze straniere». È la prima volta che la Turchia è colpita da un attentato in Afghanistan. L’esplosione è stata molto forte, ha precisato la Pajhwok, danneggiando non solo le due auto con targa turca, ma molte altre nelle vicinanze, e non è escluso che il bilancio delle vittime sia destinato ad aumentare nelle prossime ore. Dichiarazione del Consiglio di sicurezza L’Onu sollecita il dialogo in Yemen SAN’A, 26. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto ieri ai protagonisti della crisi yemenita di «accelerare le negoziazioni» in vista di una soluzione politica della crisi. In una dichiarazione, i quindici Paesi membri del Consiglio di sicurezza hanno chiesto ai ribelli sciiti huthi, che controllano la capitale e le principali istituzioni, di «liberare immediatamente e senza condizioni» il primo ministro Khaled Bahah e i membri del Governo ancora agli arresti domiciliari. Salutando positivamente la liberazione del presidente Hadi, i quindici hanno giudicato molto positivamente la decisione di Hadi «presidente legittimo dello Yemen», che è riuscito a fuggire da San’a e a rifugiarsi ad Aden, di impegnarsi «in buona fede in negoziazioni condotte sotto l’egida delle Nazioni Unite» per accelerare l’uscita dalla crisi. Intanto, non sono giunte ancora rivendicazioni del sequestro di Isabelle Prime, 30 anni, cittadina francese, dipendente di un’azienda di consulting statunitense, sequestrata due giorni fa a San’a. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha dichiarato ieri che la donna è in mano ai ribelli huthi. Il capo della diplomazia di Parigi, Laurent Fabius, ha rinnovato l’appello ai cittadini francesi ancora presenti nello Yemen a rimpatriare. Manifestazione a San’a per sostenere il presidente Hadi (Reuters) In Bolivia scoperto un maxi giacimento di gas LA PAZ, 26. Un consorzio petrolifero, costituito dalla spagnola Repsol, la britannica Bg e l’argentina Pae, ha scoperto un enorme giacimento di gas naturale nel sud della Bolivia, nel dipartimento di Tarija. Lo ha annunciato ieri il presidente del Paese sudamericano, Evo Morales. Secondo le stime, il nuovo giacimento dovrebbe produrre due milioni di metri cubi di gas al giorno. Il valore degli investimenti del consorzio si aggira sui 350 milioni di dollari destinati anche allo sviluppo di altri giacimenti a Tarija e nel dipartimento di Chuquisaca, il più ricco del Paese. Il consorzio opera anche nel giacimento di Margarita, nella provincia di Gran Chaco. Intanto, alla violenza talebana si aggiunge l’emergenza inverno. È di oltre cento morti e decine di dispersi il bilancio delle valanghe che si sono abbattute su alcuni villaggi nella provincia afghana del Panjshir, 150 chilometri a nord di Kabul. Le strade sono bloccate e numerose abitazioni sono distrutte, mentre i soccorritori stanno tentando di salvare le persone rimaste sepolte dalla neve. Il governatore della provincia, Abdul Rahman Kabiri, ha spiegato che il bilancio potrebbe anche peggiorare. «Non abbiamo l’equipaggiamento necessario, persone comuni e soccorritori stanno scavando con le pale e a mani nude per portare in salvo le persone rimaste sotto la neve» ha raccontato il governatore, assicurando che le operazioni di soccorso proseguiranno anche nella notte. Altre valanghe hanno colpito le province di Bamyan, Badghis, Nangarhar e Laghman, provocando undici morti. A causa della neve in varie zone di Kabul si sono verificate interruzioni di corrente elettrica. Allarme attacchi in Giordania Forze di sicurezza afghane sul luogo dell’attentato nella capitale (La Presse/Ap) Tra reparti speciali dell’esercito e ribelli secessionisti del gruppo Abu Sayyaf Combattimenti nel sud delle Filippine MANILA, 26. In una vasta operazione, i reparti speciali dell’esercito filippino hanno ucciso ieri quattordici miliziani del gruppo terroristico islamico Abu Sayyaf, responsabile da anni di una lunga scia di violenza in tutto l’arcipelago asiatico. L’attacco ha avuto luogo nella città di Patikul, situata in una zona montagnosa della provincia di Sulu, nella regione autonoma meridionale del Mindanao musulmano. Nell’operazione i soldati, che hanno perso due effettivi, hanno usato artiglieria e raid aerei per colpire le basi del gruppo di ribelli secessionisti, legato alla rete di Al Qaeda, che hanno tuttora nelle loro mani tre ostaggi stranieri. Composto da centinaia di isole situate nel braccio di mare che separa le Filippine dalla Malaysia, l’arcipelago di Sulu è divenuto negli anni una delle roccaforti di Abu Sayyaf. Il gruppo è responsabile del peggiore attentato nella storia delle Filippine, l’affondamento di un traghetto nella baia di Manila nel 2004 in cui morirono oltre cento persone. Le milizie di Abu Sayyaf sono il gruppo più piccolo a livello numerico, ma il più pericoloso e sanguinario fra i movimenti musulmani che si battono per l’indipendenza del sud delle Filippine, la sola nazione asiatica a larga maggioranza cattolica. Sarebbero circa cinquecento i componenti del gruppo, concentrati attorno a Basilan e Jolo. Tornata negoziale tra Stati Uniti e Cuba WASHINGTON, 26. Si terrà domani a Washington la seconda tornata negoziale per la ripresa delle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e Cuba interrotte da oltre mezzo secolo. La data è stata confermata ieri dal dipartimento di Stato americano. La prima sezione di colloqui si era svolta il 22 e il 23 gennaio all’Avana, sei settimane dopo la storica svolta nei rapporti tra i due Paesi annunciata il 17 dicembre contemporaneamente dai presidenti Barack Obama e Raúl Castro. La delegazione statunitense sarà ancora una volta guidata da Roberta Jacobson, assistente segretario di Stato agli affari dell’emisfero occidentale. A sua volta, alla guida di quella cubana ci sarà di nuovo Josefina Vidal, direttore della sezione del ministero degli Esteri per i rapporti con degli Stati Uniti. «Questi negoziati portano avanti il dialogo TEL AVIV, 26. Un incendio doloso ha danneggiato un seminario greco-ortodosso per gli studi sulla cristianità vicino alla Porta di Jaffa a Gerusalemme. Sui muri, secondo la radio militare israeliana, sono state rinvenute scritte offensive e anticristiane. Nessuna vittima né feriti. La polizia — dopo l’intervento dei pompieri che hanno spento l’incendio — sta indagando sull’atto criminale. La pista più probabile sembra essere quella di un’azione dei coloni ebrei ultraortodossi. iniziato lo scorso 22 gennaio all’Avana e rappresentano un passaggio chiave nella nuova direzione delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba annunciate dal presidente Obama lo scorso 17 dicembre», si sottolinea nel comunicato del dipartimento di Stato di Washington. I temi in agenda, già affrontati nelle riunioni di gennaio all’Avana, vanno dalla riapertura reciproca delle ambasciate, chiuse sin dal 1961 dopo la rivoluzione cubana, alla cooperazione, alle regole per il commercio bilaterale, alla lotta al narcotraffico, alla protezione dell’ambiente, alle questioni legate alla sanità a livello internazionale. Le due delegazioni sono inoltre chiamate a confrontarsi sulla questione dei diritti umani, argomento intorno al quale nella prima tornata negoziale sono venute alla luce le divergenze più evidenti. Come sottolineano gli analisti, Abu Sayyaf è legato alla più famigerata Jemaah Islamiah, un movimento radicale pan-asiatico responsabile di attentati in Indonesia, fra cui la strage del 2002 a Bali costata la vita a oltre duecento persone, soprattutto turisti stranieri. Lo scorso 6 febbraio, un’altra battaglia tra i soldati e i ribelli di Abu Sayyaf aveva causato almeno otto morti tra i guerriglieri. Negli ultimi quindici anni, Abu Sayyaf si è finanziato in particolare con i riscatti ottenuti da rapimenti di stranieri. I violenti scontri tra esercito e ribelli separatisti musulmani hanno avuto luogo poche ore prima della visita ufficiale a Manila del presidente francese, François Hollande. La lotta ai cambiamenti climatici avrà un posto di primo piano nelle discussioni con le autorità filippine, in vista della Conferenza mondiale sul clima che la Francia ospiterà a Parigi a dicembre. Primo leader francese in visita nel Paese asiatico dal 1946, Hollande ha in programma anche una tappa a Guiuan, nella provincia orientale di Samar. AMMAN, 26. L’ambasciata statunitense ad Amman mette in guardia dal rischio di attentati contro possibili obiettivi in Giordania. La sede diplomatica ha riferito ieri di aver ricevuto informazioni «credibili» di una «potenziale minaccia, anche se è sconosciuto l’arco di tempo e il tipo» di attentato che potrebbe essere eseguito. L’ambasciata statunitense ad Amman ha poi sottolineato che, anche se il Governo giordano ha aumentato le misure di sicurezza, gli impiegati della rappresentanza diplomatica, le loro famiglie e in generale tutti i cittadini americani presenti nel Paese sono stati invitati a evitare «per precauzione» i centri commerciali «nei prossimi giorni». Il portavoce dell’Esecutivo di Amman, Mohammad Al Momani, ha assicurato che, data la «situazione nella regione», le autorità locali «continuano ad adottare le misure per garantire la sicurezza della popolazione». I diritti traditi delle minoranze in Myanmar NAYPYIDAN, 26. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, ha rivolto ieri un appello alle autorità del Myanmar affinché rispettino i diritti delle minoranze. «Il Myanmar ha promesso di mettere fine all’era dei prigionieri politici — ha affermato Hussein in una nota — ma ora sembra averne aperta un’altra, mettendo in carcere persone che tentano di fruire delle libertà democratiche che erano state garantite loro». L’Alto commissario dell’Onu ha poi ricordato che la comunità internazionale aveva accolto con favore la transizione politica in Myanmar, dopo l’arrivo al potere — nel 2011 — di un Governo semi-civile, dopo decenni di giunta militare. «Ma i recenti sviluppi che riguardano i diritti umani delle minoranze, la libertà di espressione e il diritto alle proteste pacifiche stanno mettendo in discussione il percorso di riforme e minacciano di riportare indietro» il Paese del sud-est asiatico, ha sottolineato Hussein. L’Alto commissario ha citato il caso di quattordici esponenti della comunità michaungkan arrestati la A New Delhi dimezzata la bolletta della luce NEW DELHI, 26. Il nuovo governatore di New Delhi, l’attivista anti-corruzione Arvind Kejriwal, ha annunciato un taglio della bolletta della luce del 50 per cento per i cittadini della capitale indiana. Si tratta di una misura che era stata annunciata durante la campagna elettorale dal leader del Partito dell’Uomo comune (Aap), che due settimane fa ha vinto le elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa della metropoli, battendo nettamente il candidato del partito del premier, Narendra Modi. La riduzione vale per consumi fino a quattrocento unità al mese, che è quello delle famiglie più povere. Oltre allo sconto sull’elettricità, Kajriwal assicurerà anche ventimila litri di acqua gratuita mensile per ogni famiglia. Quest’ultima misura sarà introdotta a partire dal primo marzo. settimana scorsa per aver protestato pacificamente contro la confisca delle loro terre. Inoltre, ha denunciato Hussein, dieci giornalisti sono stati arrestati lo scorso anno in base all’applicazione di vecchie leggi sulla diffamazione e la sicurezza nazionale, mentre rimane alta la tensione nello Stato nord-occidentale del Rakhine, dove l’Onu parla di «aggressioni» e di «violenze indiscriminate da parte della comunità buddista» contro la minoranza musulmana dei rohingya, a cui il Governo nega tuttora il riconoscimento della cittadinanza del Myanmar. Un diritto negato, nonostante i rohingya vivano da tre generazioni nel Paese asiatico. La difficile convivenza tra buddisti e rohingya è sfociata in gravi episodi di violenza nel giugno del 2012, che hanno provocato la morte di circa duecento persone e costretto migliaia di musulmani alla fuga, chi cercando rifugio nei campi profughi, chi tentando la fuga via mare verso la lontana Malaysia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 Il paziente compare nelle statistiche quando muore Ma cosa accade quando un malato terminale viene dimesso dall’ospedale? venerdì 27 febbraio 2015 Hospice e cure palliative a Reggio Calabria I medici di Via delle stelle di SILVIA GUSMANO uando Fabrizio ha chiuso gli occhi per l’ultima volta, i cinque nipotini più grandi hanno poggiato al suo fianco i loro disegni continuando a discutere su quale fosse il più bello. «D’ora in poi — aveva chiesto il nonno poco prima — immaginatemi come un aquilone in alto nel cielo» e loro via, di corsa, a prendere i colori più Q Una foto scattata durante la festa degli aquiloni a San Vito Lo Capo accesi dell’astuccio per farlo contento, riempiendo la stanza di scherzi e risa. Come sempre. Come nei giorni precedenti, quando l’attesa della fine si è trasformata in occasione di scambio e profondo incontro nel comune desiderio di chiudere al meglio un capitolo che, di certo, non è stato l’ultimo né per Fabrizio, né per la sua famiglia. Chiunque abbia aspettato la morte al fianco di una persona amata sa che tutto ciò non ha prezzo. Poter riannodare i fili lasciati in sospeso, riempendo di senso il cammino fatto e immaginando un futuro sereno anche nell’assenza fisica, ha a che fare molto più con la vita che con la morte. È l’essenza stessa della vita che ciascun malato dovrebbe avere il diritto di cogliere. Soprattutto se la giovane età, la presenza di familiari non autonomi, o le preoccupazioni materiali rendono la morte un lacerante incubo. Purtroppo però nella nostra società garantire il diritto alla buona morte così intesa è una missione difficile e rivoluzionaria. La missione di quanti, attraverso le cure palliative, offrono ai malati inguaribili la possibilità di una vita degna. Molta strada è stata fatta da quando Cicely Saunders ha aperto a Londra il primo Hospice. Era il 1967 e l’infermiera inglese, formatasi in un reparto di oncologia e laureatasi poi in medicina, creava un luogo capace di accogliere in modo globale la persona sofferente. Il suo progetto è più attuale che mai, almeno in quella parte del mondo dove si assiste a un costante avanzamento dell’età media, all’aumento di malattie terminali e al progresso delle cure mediche in grado di ritardare l’esito negativo di alcune diagnosi. Eppure il rifiuto più o meno consapevole verso certe tematiche, tende a respingere spesso le cure palliative in un cono d’ombra, sia nel dibattito pubblico che nel dialogo medico-paziente. Per il sistema sanitario — spiega Angela Pacioni, infermiera — contano solo i numeri e, in modo prioritario, quelli delle guarigioni. Il paziente compare nelle statistiche quando è vivo, quando si ammala e quando è morto. Ma come e dove muore? E soprattutto, cosa accade quando un malato terminale che soffre di dolore cronico viene dimesso dall’ospedale? A chi si rivolge la famiglia per un aiuto clinico e psicologico? In Italia gli Hospice iniziano a diffondersi e a ottenere un riconoscimento giuridico circa vent’anni fa, anche in risposta ai profondi cambiamenti avvenuti nella famiglia. Quando superano i considerevoli ostacoli burocratici ed economici, queste nuove strutture si radicano subito sul territorio e incontrano il favore e la riconoscenza dei loro utenti, assistiti sia internamente, in ambienti confortevoli e personalizzati, sia in casa propria. Oggi si contano oltre 230 Hospice, ma la loro distribuzione — principalmente al centro-nord — e le risorse di cui dispongono sono molto disomogenee. Il dottor Vincenzo Trapani Lombardo si muove in uno dei contesti socio-sanitari più sofferenti del Paese, quello di Reggio Calabria. Dopo trentacinque anni di lavoro in corsia, anche come direttore sanitario, una volta in pensione ha scelto di dedicar- Paolo Silvestri, «Treno di gabbiani» (2003) Recuperati dai carabinieri dodici frammenti trafugati dal comprensorio callistiano Il ritorno del sarcofago Un frammento del sarcofago al momento della scoperta negli anni Sessanta di FABRIZIO BISCONTI Nella mattina del 25 febbraio, a Perugia, il Comando dei carabinieri tutela del patrimonio culturale di Firenze ha riconsegnato ai responsabili della Pontificia commissione di archeologia sacra un gruppo di dodici frammenti di un sarcofago marmoreo, trafugati nel 2003 dalla basilica ipogea e anonima della via Ardeatina, nei pressi del comprensorio callistiano. I reperti erano stati sistemati nel parato murario esterno di un casale nei dintorni di Norcia ed erano stati individuati da una responsabile della Sovrintendenza archeologica di Perugia. La scoperta è molto importante in quanto il sarcofago rappresenta uno degli esemplari più completi e complessi del tema cinegetico, così come si diffonde nelle officine romane attive tra l’età di Gallieno e gli esordi della tetrarchia. Sebbene molto frammentaria, la fronte dell’arca marmorea propone, infatti, oltre all’aulica e fortunatissima caccia al leone di alessandrina memoria, anche la caccia al cervo e al cinghiale, che calano nell’ambiente italico lo scontro frontale tra i cacciatori e la selvaggina che popolava le foreste della penisola. Le peculiarità stilistiche e l’organizza- lità nell’altare tufaceo ancora visibile nel zione iconografica della decorazione sem- presbiterio del complesso cultuale. brano rimandare al tempo che va dalla seIl sarcofago deve essere appartenuto a conda metà del III secolo e l’avvio del se- un defunto eccellente e dall’elevato potenguente. ziale economico perché mostra tutti i caIl sarcofago venne rinvenuto già in ratteri di una scultura raffinata, estremaframmenti durante mente curata nei lo sterro della basipanneggi, nella gelica scoperta, negli stualità, nel trattaLa tomba recuperata anni Sessanta del mento speciale risecolo scorso, da servato alle capiè un documento simbolico padre Antonio Fergliature delle figure di quel museo diffuso rua, nel lembo di umane e alle pellicterra prospiciente ce degli animali, costituito dai cimiteri cristiani alla via Ardeatina eseguite con il tradella Roma sotterranea che si distende dalpano corrente. la chiesa del DomiTutte queste peculiarità, unitamenne quo vadis? sino alle catacombe di San Callisto. Il piccolo te alla preziosa cimasa che definisce tutto edificio di culto, che si colloca al centro di il bordo superiore del sarcofago, rimandauna densa rete di gallerie catacombali, no a un atelier esclusivo e a una maestranpuò essere riferito — stando alla testimo- za dal grande bagaglio tecnico e culturale. Secondo le intenzioni dei responsabili nianza delle fonti medievali — al santuario dei martiri greci sepolti con ogni probabi- della Pontificia commissione di archeolo- La ricostruzione del sarcofago prima del furto si completamente, da volontario, alla Fondazione Via delle Stelle e al suo Hospice, di cui oggi è il presidente. «Mi ha appassionato l’aspetto umanitario — spiega — e la possibilità di mettere davvero il malato e la sua famiglia al centro, facendosi carico in modo globale delle loro esigenze». Una differenza notevole rispetto alla più comune prassi ospedaliera, soprattutto in certe parti d’Italia. «Qui l’approccio è diretto — continua Trapani Lombardo — e ogni paziente è a sé, non esiste un protocollo unico. Le cure palliative che in tanti casi procedono di pari passo con quelle attive, non vanno confuse con la sola terapia del dolo- gia sacra, dopo un accurato restauro il sarcofago troverà un’adeguata postazione nel costituendo museo della Torretta, al centro dell’evento, programmato per il prossimo 18 giugno, dedicato al “museo diffuso” e alle recenti scoperte avvenute proprio nel comprensorio callistiano. In questo modo verrà reso il giusto merito all’attività integrata del Comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri, della Sovrintendenza archeologica di Stato e della Pontificia commissione di archeologia sacra, i cui responsabili, in questi anni, non hanno mai interrotto la ricerca del sarcofago rubato nell’area delle catacombe di San Callisto. Con la speranza di ricondurlo nel suo habitat originario e di valorizzarlo, facendolo assurgere a documento simbolico di quel museo diffuso che interessa lo straordinario giacimento dei materiali archeologici conservati nelle catacombe della Roma sotterranea cristiana. Una speranza che ora potrà essere realizzata. re». Combattere con i farmaci la sofferenza fisica, infatti, è primario e basilare, ma non esaurisce la missione dell’Hospice. Grazie all’intervento e alla collaborazione di numerose figure — l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo, il medico, il referente spirituale — si interviene su tutti gli aspetti del dolore e sulle sue conseguenze, compresa l’elaborazione del lutto da parte dei familiari. Rabbia, depressione, ansia, paura non sono elementi collaterali e inevitabili della malattia terminale. Sono fattori determinanti che devono essere curati al meglio, per offrire ai pazienti la possibilità di una vita dignitosa sino alla fine. In molti casi, la loro serenità passa per un dialogo più intimo o per la riconciliazione con Dio e per questo a Via delle Stelle, oltre a un frate francescano, si trovano i rappresentanti di diversi culti. Quasi sempre poi, la priorità degli assistiti è il chiarimento delle questioni familiari: le decisioni in merito al futuro di chi rimane, il recupero di rapporti lacerati o trascurati, il desiderio di godere il più possibile, nel tempo rimasto, della vicinanza dei propri cari. La missione dell’Hospice può essere anche qui fondamentale. Ancora Trapani Lombardo: «Da noi le faide familiari sono assai frequenti, ma ho assistito grazie alla mediazione dei nostri volontari, a riconciliazioni eclatanti, anche tra fratelli che non si parlavano da trent’anni». Quando i pazienti sono soli, invece, il ruolo dell’Hospice si gioca sul piano dell’amicizia e della solidarietà, come nel caso recente dell’accoglienza a un signore senza fissa dimora. Tutto ciò però passa per una maggiore informazione sulla malattia e sulle finalità dell’Hospice, che ancora in Italia soffre del pregiudizio di chi lo considera un’anticamera della morte piuttosto che un luogo che valorizza la vita. Per volontà delle famiglie, inoltre, si ha ancora la tendenza a nascondere o sminuire la diagnosi, un problema superato in Paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna dove non si prescinde mai da un dialogo chiaro e onesto con il paziente. L’ostacolo principale all’attività della Fondazione Via delle Stelle come di molte altre strutture simili, tuttavia, è la sordità delle istituzioni, sia sul fronte dei vincoli burocratici, sia soprattutto sul fronte economico. È qui che Trapani Lombardo porta avanti la più difficile delle sue battaglie: «non riusciamo a soddisfare tutte le richieste di aiuto, nonostante le donazioni e le iniziative di beneficenza volte alla raccolta fondi». E questo non è accettabile, a meno di voler considerare, come troppo spesso facciamo, i bisogni immateriali di una persona e la sua dignità umana aspetti irrilevanti e secondari della vita. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 27 febbraio 2015 pagina 5 Alan Turing negli anni Trenta sostenne che se un problema è intuitivamente calcolabile anche se non siamo capaci di risolverlo deve esistere un dispositivo in grado di farlo Pose così le basi per l’invenzione del computer Raccontare la matematica Sant’Agostino e il numero 6 di CARLO MARIA POLVANI L’editrice Il Mulino ha dato vita a una collana intitolata Raccontare la matematica. Il primo numero, curato da Umberto Bottazzini, è dedicato ai Numeri (Bologna, 2015, pagine 190, euro 14), mentre il secondo, di Carlo Toffalori, riguarda gli Algoritmi (Bologna, 2015, pagine 198, euro 14). Entrambi i saggi permettono l’accesso al mondo della matematica anche a quanti ne hanno sempre avuto il timore. Il lavoro di Bottazzini affascina nel suo elegante sforzo di indagine sull’origine dei numeri e su quale realtà rappresentino. L’autore, con un linguaggio piacevole e chiaro, è capace di spiegare la profondità racchiusa nel linguaggio dei numeri. Partendo dall’idea che sebbene alcuni animali posseggano delle strutture protonumerali solo l’uomo ha creato dei veri e propri sistemi numerici, il libro mette in luce i primi passi dell’umanità nella scoperta della numerazione. Dagli uomini primitivi che intagliarono tacche Jon Callas, «Alan Turing» successive sulle ossa di animali uccisi, passando per le rappresentazioni simboliche, spesso biometriche, di valori numerici costanti — come quelli usati dai romani con il segno X per raffigurare il 10 o V per indicare il 5 — viene evidenziata l’importanza delle scoperte che permisero la messa in opera di un impianto che rendesse possibili calcoli complessi come quello del computo del tempo e dei cambiamenti astrali. I reperti archeologici di varie culture come quelle americane (i maya calcolavano in base vigesimale, gli inca usavano un complesso abaco denominato quipu) o mediorientali (gli assiri e i babilonesi utilizzavano un sistema decimale misto) confermano l’affermarsi di alcuni numeri su altri in quanto necessari per dare un senso ai calcoli, fossero essi il 3, il 7 o il 13, a seconda delle convenzioni culturali adottate. Ma a compiere un balzo di enorme importanza nella comprensione del numero fu la cultura greca e in particolare Pitagora. Al di là dei miti e delle leggende che fioriscono intorno al filosofo di Samo furono i greci a percepire nel numero una misura del cambiamento, facendo così del numero «la progressione che inizia dall’1 e la retrocessione che vi termina» come intuiva lo stesso Platone. Tutti i numeri sono generati dall’1, come «punti aventi posizione», e quindi possono essere raffigurati spazialmente in insiemi triangolari, quadrati, pentagonali o di altra forma. Questa rappresentazione geometrica aprì ai pitagorici osservazioni inedite. Per esempio si poté notare che nella serie di numeri triangolari (ottenuti disegnando punti in modo da formare triangoli ogni volta superiori di lato: 1, 3, 6, 10, 15 e così via) la somma di due numeri conse- cutivi è sempre uguale al quadrato dei numeri naturali (1 + 3 = 4 = 2²; 3 + 6 = 9 = 3²; 6 + 10 = 16 = 4²; 10 + 15 = 25 = 5² e così via) e che la stessa relazione si riesce, incredibilmente, a stabilire con la somma dei numeri dispari corrispondente al quadrato del numero di fattori sommati (1 + 3 = 4 = 2²; 1 + 3 + 5 = 9 = 3²; 1 + 3 + 5 + 7 = 16 = 4²; 1 + 3 + 5 + 7 + 9 = 25 = 5² e così via). Da queste osservazioni anche i misteri più arcani dei numeri venivano svelati e categorie quasi mistiche o per lo meno esoteriche avrebbero ispirato generazioni di matematici illustri. È il caso dei cosiddetti “numeri amici” (ognuno dei quali è la somma dei divisori dell’altro, come per esempio 220 e 284: 1 + 2 + 4 + 5 + 10 + 11 + 20 + 22 + 44 + 55 + 110 = 284 e 1 + 2 + 4 + 71 + 142 = 220) o dei cosiddetti “numeri perfetti” (uguali alla somma dei loro divisori, come 6 = 3 + 2 + 1) o dei “numeri primi” (divisibili solo per 1 e per loro stessi). Straordinariamente interessante si rivelò la questione del numero zero, strettamente collegata con il concetto del nulla che, per essere rappresentato, necessita di un simbolo a parte, il quale, a sua volta, afferma l’esistenza stessa — almeno a livello del linguaggio formale — di qualche cosa che non esiste: il nulla. Non è del tutto chiaro come gli uomini arrivarono al concetto dello zero. Pare comunque che fu usato nella valle dell’Indo e poi adottato con il nome di zephir dagli arabi. Da lì lo zero, imponendo ai sistemi numerici la posizionalità numerale (lo zero o gli zeri venivano messi dietro le altre cifre) permetteva l’emergere di un nuovo sistema di calcolo, introdotto in occidente da Fibonacci (1170-1240) con il Liber abaci, la cui base, dalla disarmante ma rivoluzionaria semplicità, recitava che «con le cifre 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2 e 1 e con questo simbolo: 0 (...) si può scrivere qualsiasi numero». Da queste osservazioni nasce quindi spontaneamente la domanda: i numeri sono una creazione della mente o una struttura formale di rappresentazione? In questo contesto, come non notare che la successione di Fibonacci — dall’elementare semplicità (la somma degli ultimi due numeri dà il numero seguente: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così via) — si adatta a delle realtà naturali insospettabili come la distribuzione dei petali dei fiori? E bisogna considerare il teorema di Kurt Gödel (19061978) che recita «non è possibile co- struire un sistema matematico assiomatico che sia allo stesso tempo in grado di provare tutte le verità matematiche». È proprio nel contesto di queste domande che risulta altrettanto riuscito il lavoro di Carlo Toffalori sugli algoritmi. Forse più difficile da leggere per chi non è avvezzo alla matematica, il lavoro rimane tuttavia brillante e accessibile. In esso la natura degli algoritmi è spiegata nel suo senso più puro, ossia la capacità di essere modi di calcolo privilegiato così duttili da prevedere il reale a partire dalla decomposizione delle esperienze di calcolo passate. Per mezzo di esempi classici come il problema dei ponti di Könisberg (oggi, Kaliningrad) risolto da Leonardo Eulero (1707-1783), il libro sonda i limiti della calcolabilità numerica, per arrivare a spiegare che le E in pieno medioevo fu Fibonacci a introdurre un principio dalla rivoluzionaria semplicità Con i segni che vanno da 0 a 9 si può scrivere qualsiasi cifra nostre certezze matematiche trovano spesso la loro fondatezza in algoritmi imperfetti ma comunque efficaci. Il tentativo di disegnare algoritmi per ogni possibile calcolo è infatti sfociato nell’ipotesi straordinaria formulata da Alan Turing (19121954) e da Alonzo Church (19031995): anche se ci sono problemi numerici semplicemente incalcolabili, quando si affronta un problema intuitivamente calcolabile allora deve esistere un dispositivo (come il computer) in grado di calcolarlo. È quindi con una certa aspettativa che si attende l’uscita del terzo lavoro sulla Matematica della natura, che dovrebbe svelare alcuni dei meccanismi matematici insiti nel funzionamento dell’universo. Aspettandolo, ci si potrebbe interrogare sul significato ultimo di un’affermazione di sant’Agostino che, riflettendo sul numero 6, in riferimento al racconto della creazione nella Genesi, notava che «non possiamo dire che il 6 sia un numero perfetto per il fatto che Dio ha compiuto le sue opere in 6 giorni, ma possiamo dire che egli ha compiuto le sue opere in 6 giorni per il fatto che 6 è un numero perfetto; questo numero perciò sarebbe perfetto anche se queste opere non ci fossero state; se invece esso non fosse stato perfetto, Dio non avrebbe di certo compiuto le sue opere attenendosi a questo numero». Cosa intendeva dire il doctor gratiae: che la verità è nei numeri o che la verità è dei numeri? O forse entrambe le cose? I lunedì dell’arte a Villa Cagnola Sei incontri per leggere, apprezzare e riconoscere i simboli nascosti in alcune sorprendenti opere d’arte. «I lunedì dell’arte» — questo il nome dell’iniziativa — si svolgeranno, a partire dal 2 marzo, in una delle più suggestive collezioni della provincia di Varese, quella di Villa Cagnola, che raccoglie capolavori di arte sacra collezionati dal conte Cagnola lungo tutto l’arco della sua vita. L’iniziativa, aperta al pubblico gratuitamente, è curata dai teologi e storici dell’arte François Bœspflug ed Emanuela Fogliadini. I lunedì saranno incentrati su temi di iconografia sacra e sui nodi storici per la pittura orientale e per quella occidentale. Non mancheranno letture approfondite di alcune opere d’arte conservate nella Villa, come Cristo portacroce di Pietro da Messina. Il ciclo intende inoltre proporsi come un costruttivo dialogo tra cristianesimo occidentale e mondo bizantino ortodosso. Il documento di identità di Marie Jalowicz Simon Marie Jalowicz Simon e la Shoah Come emigrare restando fermi di ANNA FOA ell’ottobre 1941, quando cominciarono le deportazioni degli ebrei tedeschi verso i ghetti e i campi polacchi, a Berlino c’erano ancora circa cinquantacinquemila dei centosessantamila ebrei che vi vivevano prima del 1933. Vivevano chiusi nelle cosiddette “case degli ebrei”, in condizioni miserevoli, e dal 1938 avevano perduto ogni residuo diritto. Schedati, individuati, marchiati con una J nei documenti e con una stella gialla nella fascia che erano obbligati a portare, avevano poche possibilità di sfuggire alla deportazione e quindi alla morte. Molti si suicidarono prima che la Gestapo venisse a cercarli. Nel 1943, N «Sa, essere dichiarata maggiorenne mi faciliterebbe negli spostamenti da un Lager all’altro» dice al giudice nazista quando tutti erano stati deportati, però, a Berlino erano rimaste ancora poche migliaia di ebrei, nascosti. Alcuni di loro sopravvissero fino alla fine della guerra. È questa, fra le altre, la storia di Marie Jalowicz Simon, una giovane ebrea di Berlino che nel 1942, quando la Gestapo venne a cercarla per deportarla, riuscì a fuggire ed entrò in clandestinità, passando di casa in casa, aiutata da amici ebrei non ancora deportati e soprattutto dalla rete clandestina antinazista. Per tre anni, vivendo in ciascun rifugio per poche settimane, Marie riuscì a sopravvivere. Si era preparata alla clandestinità con grande inventiva, facendo credere alla fabbrica in cui era costretta a lavorare, la Siemens, di essere stata già deportata, poi sfuggendo all’arresto. Dopo la guerra, si iscrisse all’università, si laureò in filologia classica, si sposò con un suo antico compagno di scuola, anch’egli ebreo ed emigrato in Palestina, si stabilì con lui in Germania e insegnò all’università di Berlino fino al 1982. Sembra che fosse una straordinaria insegnante, molto amata dai suoi studenti. Fino al 1997, quando suo figlio, storico di professione, le forzò la mano presentandosi davanti a lei con un registratore, non aveva quasi mai parlato dei suoi anni di clandestinità. Da allora, fino alla morte nel 1998, Marie raccontò. Da quelle registrazioni è stato tratto un libro, Clandestina. Una giovane donna persone è difficilissima, in alcuni casi Marie fa la serva, in altri dorme con chi le dà ospitalità. Ci sono momenti in cui si imbatte in persone di grande e coraggiosa generosità e momenti in cui si trova obbligata a sopportare la ristrettezza mentale e la prepotenza di altri. In tutto il libro Marie è estremamente vitale, curiosa del mondo intorno, attenta a sopravvivere, a scampare ai pericoli, pronta a godere dei pochi momenti di felicità, mai incline a lamentarsi della sua sorte, in una sorta di giovanile cinismo che le fa dire al giudice nazista a cui aveva chiesto, quando ancora non era clandestina, di essere dichiarata maggiorenne: «Sa, mi faciliterebbe nell’inevitabile spostamento da un campo di concentramento all’altro». Non c’è rassegnazione né, al limite, vera paura, ma un gioco col destino la cui posta è la vita. Certo, questa sua forza, questa capacità di cogliere l’ironia di ogni situazione, non possono non averle facilitato la sopravvivenza, accanto all’altro grande agente di queste vicende, il caso. Ma la giovane Marie Una tavola didattica sulle razze tutto è meno che in uso nelle scuole del Reich negli anni Trenta una vittima designata, anche se proprio quasi totalmente vietata agli a vittima era stata designata dal ebrei, in cui le norme rendono nazismo. loro la vita impossibile, poi una Colpisce, nel libro, la vastità Berlino priva di ebrei. Tutti, po- della rete antinazista. Formata co alla volta, sono stati chiamati in gran parte di comunisti, ma e deportati, tutti gli amici e i co- anche di operai che hanno avunoscenti ebrei della giovane Ma- to un passato politico e di gente rie. Anche coloro che lavoravano comune, questa rete è uno dei nelle fabbriche tedesche, ed era- protagonisti della vicenda, ciò no per questo esentati dalla de- che consente di ottenere asilo, portazione, come la giovane protezione per un momento, anMarie alla Siemens, sono tutti che solo uno sguardo complice deportati nel 1943. Marie si è in- o di simpatia. vece sottratta al suo destino, ma È questa presenza, accanto al è sola — i suoi genitori sono grande consenso goduto dai namorti — senza soldi, senza casa, zisti, alle complicità dei più, senza identità. I suoi documenall’indifferenza anche di chi non ti, se mostrati, la condannano condivideva l’antisemitismo naperché riportano la J di Jude. zista, a consentire alla ragazza Si è strappata dai vestiti la stella gialla, reato di per sé pas- di restare in Germania a guerra finita, di stabilire là la sua vita, sibile di morte. La sua sopravvivenza dipende di convincere anche il fidanzato, dall’aiuto di chi la circonda, dal- che si era trasferito in Palestina, le persone che conosceva prima a tornare in Germania? Di frondi entrare in clandestinità. Un te alle obiezioni che le venivano suo tentativo di fuggire in Tur- rivolte, Marie scrisse infatti: chia attraverso la Bulgaria falli- «Considero la mia emigrazione sce. Comincia così la vita ramin- compiuta. Sono emigrata dalla ga a Berlino, di casa in casa, Germania di Hitler a quella di presso non ebrei antinazisti o Goethe e Sebastian Bach, dove anche soltanto non nazisti, o an- mi sento perfettamente a mio che presso convinti nazisti che agio. In altre parole: ho intennon sanno che Marie è ebrea. zione di restare in questo La convivenza con tutte queste Paese». sopravvissuta a Berlino. 19401945 (Torino, Einaudi, 2015, pagine 331, euro 20), che è frutto da una parte della narrazione di Marie Simon, dall’altra dei rigorosi e accuratissimi riscontri documentari operati dal figlio sul suo racconto, di cui resta traccia nel precisissimo registro dei nomi apposto al libro. Non un romanzo, quindi, ma una rigorosa ricostruzione della vita di un’ebrea a Berlino nella guerra, una testimonianza, potremmo definirla. La Berlino di cui Marie ci parla è, all’origine, una Berlino L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 27 febbraio 2015 Appello dei presuli Per non abbandonare la Siria Varato dal ministero dell’Interno un esteso pacchetto di provvedimenti Nuovo dialogo con l’islam in Francia PARIGI, 26. Dialogo, formazione, sicurezza, conoscenza dell’islam: sono le quattro parole-chiave attorno alle quali ruotano le misure illustrate ieri dal ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, all’uscita dal Consiglio dei ministri. Misure che giungono circa un mese e mezzo dopo i tragici attentati di Parigi e una serie crescente di intimidazioni nei confronti della comunità musulmana. Innanzitutto verrà creata, prima del 18 giugno (giorno di inizio del prossimo Ramadan), una «istanza di dialogo» che riunirà la più ampia rappresentanza possibile di responsabili musulmani. Consultazioni saranno decise dai prefetti per individuare i rappresentanti (intellettuali, operatori sul campo, associazioni) in grado di parteciparvi, così come gli argomenti sui quali lavorare (formazione civile degli imam, abbattimento e macellazione rituale, sicurezza dei luoghi di culto, organizzazione delle cappellanie). Questa istanza non sostituirà il Consiglio francese del culto musulmano e il suo funzionamento sarà più flessibile, con diversi gruppi di lavoro e una riunione prevista due volte all’anno alla presenza del primo ministro (come già accade per il culto cattolico con l’Instance Matignon). L’offerta di formazione degli imam e dei cappellani musulmani verrà rafforzata, soprattutto attraver- so un incoraggiamento a creare diplomi universitari di formazione civile e civica. L’obiettivo è che almeno una dozzina di istituti superiori propongano tali diplomi da oggi alla fine dell’anno. In particolare i cappellani — ha affermato Cazeneuve — «d’ora in poi verranno reclutati solo tra coloro che avranno ottenuto questi diplomi di formazione ai principi fondamentali della Repubblica». Le lezioni non saranno di contenuto religioso (escluso ogni riferimento alla formazione teologica) poiché dovrà essere rispettato il principio della laicità dello Stato. Verrà inoltre istituita una fondazione per promuovere le iniziative dell’islam di Francia, in collegamento con l’Istituto del mondo arabo. Non si tratta, specifica il comunicato del ministero, di rilanciare la Fondazione delle opere dell’islam di Francia (nata nel 2005 e subito finita nel dimenticatoio) ma di contribuire alla ricerca, alla formazione, alla diffusione della cultura affidandosi a una differente governance. La fondazione dovrà essere in grado di autofinanziarsi. Gli istituti scolastici confessionali verranno sollecitati a passare sotto contratto con il ministero della Pubblica Istruzione. E direttive saranno inviate a prefetti e rettori in modo che utilizzino pienamente le loro prerogative di controllo, soprattutto sugli istituti fuori contratto. Verrà inoltre organizzato un programma di ricerca su islam di Francia, islamologia e mondo musulmano. Previste anche borse di studio per i dottorandi impegnati su queste materie. Capitolo a parte è quello della sicurezza (secondo stime fornite dal ministero dell’Interno nel solo mese di gennaio si sarebbe verificato nel Paese un numero di episodi antimusulmani pari a quello dell’intero 2014). Verrà rafforzata la vigilanza attorno alle moschee e ad altri luoghi di culto, sbloccando fondi per il finanziamento di tecnologie come la video-sorveglianza. Dopo aver illustrato i provvedimenti, Cazeneuve si è recato a Bordeaux dove ha incontrato i responsabili della comunità musulmana. Accompagnato dal rettore, Tareq Oubrou, ha visitato la grande moschea, poi quella di rue des Menuts e la moschea de Cenon. In quest’ultima, dopo aver salutato i rappresentanti del Consiglio regionale del culto musulmano, ha letto un discorso nel quale ha tenuto a rassicurare la comunità islamica: «Sono cosciente dell’inquietudine che hanno oggi molti connazionali musulmani. Voglio dire loro che ne comprendo i motivi e che farò tutto ciò che è in mio potere per calmare le paure, rispondere alle legittime attese, tranquillizzare gli animi», ha concluso. ALEPPO, 26. «Non abbandonateci, non lasciateci soli». È il drammatico appello che l’arcivescovo di Aleppo dei Greco-Melkiti, JeanClément Jeanbart, lancia da quella che, suo malgrado, è diventata una della città simbolo della guerra civile in Siria. «È appena caduto un razzo — racconta il presule all’agenzia Sir — siamo a circa cento metri dalla linea di demarcazione, al confine della città antica. Ogni giorno muore qualcuno». La notizia del rapimento delle decine di cristiani — duecentoventi secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani — da parte dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico, che ha conquistato alcuni villaggi cristiani nel Khabour, è arrivata fino ad Aleppo e adesso sale la preoccupazione per la sorte dei rapiti. Da parte del presule c’è anche la denuncia dell’atteggiamento di sufficienza con il quale, almeno fino ai gravi fatti di Parigi, la comunità internazionale sembra avere guardato all’espandersi del fondamentalismo. «Ma per questa gente innocente, colpevole solo di professare la fede cristiana, nessuno spende mai una parola e ciò è davvero terribile», aggiunge l’arcivescovo, che descrive anche la situazione di «grave emergenza umanitaria» in cui versa Aleppo. «In città — afferma — manca tutto: elettricità, cibo, acqua, benzina, medicine. Le industrie sono state chiuse e i loro operai, più di un milione e duecentomila, ora sono privi di reddito. Le infrastrutture sono state colpite e distrutte dai bombardamenti dei ribelli e dei governativi. La vita è sempre più dura, complice anche l’inflazione che ha fatto quadruplicare i prezzi dei generi di prima necessità». E, ancora: «Prima della guerra qui abitavano oltre tre milioni di persone, oggi ne sono rimaste poco meno della metà. Gli altri oggi ingrossano le fila dei profughi e degli sfollati. Come Chiesa facciamo quel che possiamo forse più delle ong, delle agenzie umanitarie e anche del Governo stesso, aiutando quanta più gente possibile. Ma non basta». Alle nazioni occidentali e alla comunità internazionale si rivolge anche l’appello del vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Georges Abou Khazen, affermando — come riferisce AsiaNews — che «l’intervento militare contro lo Stato islamico non è la via giusta» per risolvere la crisi e restituire pace e sicurezza alla Siria e al Medio oriente. L’Austria adotta una legge per contrastare l’estremismo Più diritti e più doveri per i musulmani VIENNA, 26. Il Parlamento austriaco ha adottato mercoledì scorso una legge che vieta il finanziamento agli imam da parte di fondi stranieri e impone ai religiosi di parlare la lingua tedesca. Presentata dal Governo di grande coalizione e adottata a larga maggioranza, la norma aggiorna quella esistente, risalente al 1912, all’epoca dell’annessione della Bosnia-Erzegovina all’Impero austro-ungarico. Un testo che scontenta l’estrema destra austriaca, ma anche i musulmani, che denunciano l’introduzione di norme più restrittive rispetto a quelle applicate alle altre religioni nel Paese. L’iniziativa del Governo punta «a riconoscere più diritti ai musulmani, ma anche a combattere le derive», ha sottolineato invece il ministro per l’Integrazione, Sebastian Kurz. Con circa 8,5 milioni di abitanti, l’Austria conta circa 560.000 musulmani, per lo più di origine turca e bosniaca. Per arginare il ri- In una conferenza alla Mecca proposta la revisione dei programmi scolastici Lotta alle fonti del terrorismo RIAD, 26. Una revisione dei programmi scolastici per favorire un «approccio moderato» alla religione, ma anche «una lotta contro la corruzione, una riduzione della disoccupazione e della povertà». Sono queste due delle principali ricette per sconfiggere il terrorismo raccomandate da una conferenza di religiosi islamici sotto il patrocinio della casa reale saudita e intitolata «Islam e lotta al terrorismo», svoltasi nei giorni scorsi alla Mecca. I partecipanti hanno chiesto ai leader dei Paesi musulmani «lo sviluppo di una strategia complessiva per essiccare le fonti del terrorismo». schio di indottrinamento e promuovere “un islam europeo'”, come ha dichiarato Kurz, la legge vieta, come detto, il finanziamento alle organizzazioni religiose e agli imam da parte di fondi esteri e impone ai religiosi l’uso del tedesco nelle moschee, ma anche nuovi diritti come il cibo halal a scuola e giorni di ferie nelle festività islamiche. Inoltre, il testo stabilisce che le circa 450 organizzazioni musulmane presenti nel Paese diano prova di un «approccio positivo verso la società e lo Stato» per poter ottenere l’autorizzazione a operare in Austria. La legge introduce, per la prima volta, il diritto dei musulmani di avere religiosi nell’esercito, negli ospedali e nelle case di riposo. Dopo due anni di preparazione, il nuovo testo non è direttamente collegato ai recenti attacchi islamici in Europa, ma ha assunto una nuova dimensione anche in considerazione del fatto che circa duecento persone, tra cui donne e minori, provenienti dall’Austria, si sono uniti alle milizie jihadiste in Siria e in Iraq. Secondo una delle principali autorità religiose musulmane in Turchia, Mehmet Görmez, «la nuova normativa rappresenta un passo indietro di 100 anni». Mentre per Kurz l’obiettivo è quello di «evitare qualsiasi tutela dall’estero. Ci auguriamo di avere in futuro sempre più imam cresciuti in Austria, che parlino tedesco e che possano quindi servire da esempio positivo per i giovani musulmani». Il testo è significativamente ridotto rispetto al primo progetto, che prevedeva l’imposizione di una ver- sione “ufficiale” del Corano in tedesco. Come altri Paesi dell’Ue, l’Austria sta affrontando la radicalizzazione di una frangia delle generazioni più giovani e dallo scorso dicembre ha lanciato un numero verde destinato a quanti vogliono denunciare episodi di estremismo. Secondo un sondaggio dell’istituto Ogm, il 58 per cento degli austriaci ritiene di stare assistendo a una “radicalizzazione” dei musulmani nel Paese. † La Congregazione delle Cause dei Santi partecipa commossa al grave lutto del Rev.mo P. Vincenzo Criscuolo, O.F.M. Cap., Relatore Generale del Dicastero, per la morte della sua amatissima Madre Sig.ra ELISABETTA ACETO vedova Criscuolo e prega perché il Signore Risorto la accolga nella luce del Suo Regno in compagnia dei Santi e Beati. † S.E. l’ambasciatore George Poulides, e i figli Marcantonio, Fotis con Kathleen e Danae, e Alexandros annunciano addolorati la scomparsa dell’amata MARIA EUGENIA POULIDES «Non ho mai creduto nella guerra — precisa — perché essa crea ancora più odio e divisioni». L’occidente, prosegue il presule, dice di combattere questi gruppi «ma li aiuta dall’altra parte. Chi compra il loro petrolio, chi vende loro le armi, chi è coinvolto nel traffico di reperti archeologici, di beni antichi di inestimabile valore?». Insomma, ci sarebbe anche molta «ipocrisia» nella lotta ai terroristi, «che non si risolverà certo con le bombe, ma smettendola di finanziare» i terroristi «a livello economico e militare. Quello che chiediamo è di non aiutare questa gente, non vendere loro le armi, lo diciamo da tempo ma nessuno ci ascolta». Parole molto simili a quelle dell'arcivescovo di Hassaké-Nisibi dei Siri, Jacques Behnan Hindo, che in una dichiarazione all’agenzia Fides ha denunciato le «politiche sciagurate» di alcune nazioni, che hanno «portato a questo caos» e hanno «distrutto la Siria, facendoci regredire di 200 anni». Una severa condanna degli «attacchi criminali» arriva anche dal patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, che si unisce agli appelli rivolti «alle comunità regionale e internazionale di proteggere i civili e di trovare in tempi brevi una soluzione efficace, seria e radicale al problema del terrorismo». La Chiesa siro - ortodossa, nel frattempo, ha diffuso un appello ai fedeli emigrati all’estero e che ancora possiedono case a Qamishli, nella provincia siriana di Hasaka, perché le mettano a disposizione dei cristiani che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi nella zona di Khabur attaccati dalle milizie fondamentaliste. Migliaia di fedeli siro ortodossi — si legge nel comunicato diffuso dal sito Baghdadhope — hanno lasciato la Siria già dal 2011, abbandonando le proprie case senza venderle. A quei fedeli fa appello la Chiesa, ricordando come le migliaia di sfollati che si sono riversati nelle città di Hasaka e Qamishli abbiano bisogno di un tetto e di un posto sicuro. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 27 febbraio 2015 pagina 7 Pontificale bizantino durante il concilio Vaticano (13 novembre 1964) II che attualmente nell’occidente latino esercitano il servizio pastorale decine di sacerdoti provenienti dall’anglicanesimo e ordinati nella Chiesa latina, nonostante il loro stato coniugale. Questo fenomeno non sembra che perturbi minimamente i fedeli o il clero celibe. Una nuova situazione Nuove norme per il clero orientale cattolico uxorato Nel solco del Vaticano di CYRIL VASIL’* Fino a qualche mese fa sembrava che sulla presenza e il servizio pastorale del clero orientale cattolico uxorato nella cosiddetta diaspora, fuori cioè dei territori orientali tradizionali, non fosse possibile aggiungere nulla dal punto di vista storico o normativo che non fosse già studiato e considerato. La questione è riassunta nel canone 758 paragrafo 3 del Codex canonum ecclesiarum orientalium che recita: «A riguardo dell’ammissione agli ordini sacri dei coniugati si osservi il diritto particolare della propria Chiesa sui iuris o le norme speciali stabilite dalla Sede apostolica». Seguendo la prassi antica, tutte le Chiese orientali cattoliche (a eccezione di quelle siro-malabarese e siro-malankarese che hanno una normativa propria) possono ammettere gli uomini sposati non solo al diaconato ma anche al presbiterato. Per l’esercizio del ministero da parte del clero uxorato fuori dei territori tradizionali di queste Chiese, si faceva invece riferimento alle norme speciali stabilite dalla Sede apostolica. Un recente e importante sviluppo della relativa legislazione offre l’occasione per richiamare i punti principali della questione nella sua prospettiva storica e per la presentazione della nuova normativa entrata in vigore. A partire dal 1890 la Sede apostolica ha emanato direttive secondo le quali i presbiteri delle Chiese orientali cattoliche, che esercitavano o avrebbero voluto esercitare la cura pastorale dei loro fedeli orientali fuori dei territori tradizionali, erano vincolati all’obbligo del celibato come per i chierici latini. Sporadici casi di eventuale richiesta di dispensa erano sottoposti alla Sede apostolica. La sessione plenaria della Congregazione per le Chiese orientali, tenutasi dal 19 al 22 novembre 2013 presso il Palazzo apostolico, ha trattato ampiamente la questione ottenendo al riguardo un ampio consenso dei membri. Di conseguenza, il prefetto della congregazione ha presentato al Papa la richiesta di concedere alle rispettive autorità ecclesiastiche la facoltà di permettere, a determinate condizioni, al clero uxorato orientale l’esercizio del loro ministero anche fuori dei territori orientali tradizionali. Il Santo Padre, nell’udienza concessa al prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, cardinale Leonardo Sandri, il 23 dicembre 2013, ha accolto questa richiesta, contrariis quibuslibet minime obstantibus, e il testo delle nuove disposizioni è stato pubblicato negli «Acta Apostolicae Sedis» (106, 2014, pp. 496-499) con il titolo Pontificia praecepta de clero uxorato Orientali e la data del 14 giugno 2014. Per poter comprendere la portata di queste misure, sembra opportuno almeno sommariamente richiamare la storia della legislazione, dagli inizi all’attuale normativa, più corrispondente all’attuale situazione. zione latina trovava il suo appoggio sia nella diffusa mentalità della prestantia ritus Latini, sia nella sottovalutazione delle particolari caratteristiche dei cattolici orientali. Ai vescovi americani di estrazione irlandese o tedesca la possibilità per il clero orientale di essere coniugato era praticamente sconosciuta, estranea e considerata inammissibile. Di conseguenza gli ordinari latini si rivolsero con veemenza alla Sede apostolica chiedendo di emanare norme restrittive che avrebbero eliminato la differenza disciplinare nei territori e tra i fedeli affidati alla loro cura pastorale. In seguito a tale insistenza la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, con decreto del 1° ottobre 1890, proibì al clero ruteno uxorato di risiedere negli Stati Uniti d’America. Nel 1913 la Sede apostolica stabilì che in Canada solo i celibi potevano essere ordinati presbiteri e tra il 1929 e il 1930, la Sacra Congregazione per la Chiesa orientale emanò tre decreti: Cum data fuerit del 1° marzo 1929 proibì l’esercizio del ministero al clero ruteno uxorato in emigrazione nell’America del nord; Qua sollerti del 23 dicembre 1929 estese la proibizione del ministero a tutto il clero orientale uxorato emigrato in America del Nord e del Sud, in Canada e in Australia; Graeci-Rutheni del 24 maggio 1930 stabilì che solo gli uomini celibi potevano essere ammessi in seminario e promossi all’ordine sacro. Questi decreti, che inizialmente riguardavano solo il clero orientale negli Stati Uniti e nel Canada, per la prima volta introducevano l’obbligo generale del celibato per i chierici cattolici orientali e costituivano una sorta di precedente giuridico, che veniva poi esteso agli altri territori considerati non orientali. La normativa veniva motivata dalla difficoltà — ma forse anche con scarsa volontà — di spiegare ai fedeli latini che il celibato obbligatorio dei presbiteri vige solo nella Chiesa latina, con la preoccupazione e presunzione che la presenza del clero cattolico orientale uxorato sarebbe stata nociva al rispetto che i fedeli laici nutrono per il clero cattolico e che questa, inoltre, avrebbe messo in pericolo il celibato dei presbiteri latini. Tutto sommato, dunque, i motivi che hanno causato la nascita della norma restrittiva sembrano essere di natura pratica e pastorale piuttosto che teologica ed ecclesiologica. I risultati dell’introduzione dell’obbligo del celibato per il clero orientale cattolico sono stati controversi. Da una parte si arrivò all’uniformità della disciplina, ma dall’altra le comunità cattoliche orientali si divisero. Nei primi decenni successivi all’introduzione delle norme restrittive per il clero uxorato, circa duecentomila fedeli ruteni, vedendosi in pericolo di essere privato dei ministri del loro rito, passarono all’ortodossia. I fedeli e il clero rimasti nella Chiesa cattolica si sottomisero a tale normativa, ma restava un senso di disagio. Infatti, nella disputa che portò alla legislazione restrittiva, i fedeli orientali non furono sufficientemente consultati e le esigenze dei presbiteri e dei vescovi orientali non vennero prese in debita considerazione e perciò tale legislazione fu percepita come un’imposizione più che uno sviluppo organico corrispondente alle tradizioni. Il periodo postconciliare Dopo il Vaticano II, anche sulla base delle affermazioni del decreto Orientalium ecclesiarum sul rispetto delle tradizioni orientali ubique terrarum, i capi di alcune Chiese orientali Nascita della norma restrittiva Alla fine del XIX secolo la migrazione in America di cattolici orientali, in prevalenza slavi (ucraini, ruteni, slovacchi, ecc.), colse la gerarchia latina locale del tutto impreparata ad affrontare tale flusso migratorio dal punto di vista pastorale e a comprenderne le peculiarità sociali ed ecclesiali. L’idea originale di conglobare tutti cattolici sotto la giurisdi- II Giuseppe Monguzzi, «L’ultima cena» (1990) cattoliche e altri gerarchi si sono rivolti alla Sede apostolica chiedendo l’abrogazione della legislazione restrittiva. Infatti il concilio insegna che le discipline particolari degli orientali, raccomandate per veneran- Oggi esistono circoscrizioni ecclesiastiche orientali praticamente in tutti i continenti, e perciò la situazione dei cattolici orientali è del tutto differente da quella che esisteva negli Stati Uniti d’America verso la fine dell’Ottocento, quando nacque la legislazione restrittiva per il clero orientale uxorato, o negli anni settanta del secolo scorso, quando la Chiesa latina doveva affrontare la crisi dell’identità sacerdotale e le contestazioni al celibato. Negli ultimi decenni è cambiata anche l’opinione generale dell’epi- Lello Scorzelli, «Concilio Vaticano II» da antichità, sono più corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro anime. Nonostante ciò, in varie lettere autografe di Paolo VI e Giovanni Paolo II ai presuli delle Chiese melchita e ucraina veniva ribadita la permanenza della norma restrittiva per il clero uxorato in diaspora. Le motivazioni addotte richiamavano la gerarchia orientale au sens de l’Eglise universelle e alla necessità di tenere conto des répercussions que peuvent provoquer chez d’autres rites de l’Eglise Catholique. Concretamente, viene specificato nella lettera della Congregazione per le Chiese orientali n. 344/70 del 30 gennaio 1980, di quelle ripercussioni que la présence de prêtres orientaux mariés, … pose des problèmes délicates aux communautés de rite latin. Come interpretare tale invito al senso del bene della Chiesa universale e quali sono stati i problemi delicati del rito latino all’epoca connessi con la presenza del clero sposato? Con ogni probabilità si può intravedere in tale invito l’ombra della grave crisi del celibato sacerdotale che ha scosso la Chiesa latina, specialmente in occidente nel periodo postconciliare, in particolare negli anni settanta del secolo scorso. I numerosi abbandoni del sacerdozio e la contestazione diffusa della normativa latina sul celibato sono stati un fenomeno che ha gravemente ferito la Chiesa cattolica. In quest’ottica si comprendono i timori che la revoca della normativa restrittiva per il clero orientale uxorato, richiesta dai presuli orientali, sarebbe stata in quel periodo probabilmente manipolata e interpretata come un argomento contro il celibato del clero latino e come un segno della vacillazione della Chiesa di fronte alle pressioni indebite, o addirittura sarebbe stata guardata con una sorta di malcelata invidia da una parte del clero latino, contestatario nei riguardi della normativa tradizionale della Chiesa latina. Dalla crisi postconciliare del celibato clericale nella Chiesa latina sono passati decenni. Va poi ricordato scopato latino a proposito della possibilità e/o opportunità della presenza del clero orientale uxorato nei Paesi occidentali. Questo è dimostrato anche dalle diverse conferenze episcopali nei Paesi con una significativa presenza degli orientali cattolici, che hanno espresso il loro nulla osta al ripristino della tradizionale prassi orientale, anche se si deve segnalare che in alcune conferenze episcopali ancora oggi prevale il desiderio di vedere i nuovi migranti orientali spiritualmente serviti dal clero esclusivamente celibe. Ma si deve rilevare che anche in queste nazioni, diversi membri delle stesse conferenze si rivolgono ripetutamente alla Congregazione per le Chiese orientali per chiedere la regolarizzazione della presenza dei singoli presbiteri uxorati che con successo, sacrificio e stima del popolo di Dio, lavorano nelle loro diocesi in favore dei fedeli delle loro Chiese e del proprio rito. Tutte queste considerazioni costituiscono il contesto della nuova normativa, che prevede una triplice modalità del rapporto con la presenza pastorale del clero orientale cattolico uxorato. Gli orientali cattolici non hanno dappertutto le loro strutture amministrative gerarchiche e perciò due punti delle norme pontificie contemplano i modi di procedere riguardo all’ammissione del clero orientale cattolico uxorato in queste situazioni. Nei territori dove i fedeli orientali sono privi di ogni struttura ecclesiastica specifica e sono affidati alle cure dei vescovi latini del luogo, la facoltà di consentire il servizio pastorale del clero uxorato orientale è riservata alla Congregazione per le Chiese orientali, che la eserciterà in casi concreti ed eccezionali dopo aver sentito il parere delle rispettive conferenze episcopali. In quest’ultima ipotesi, e solo in essa, si continuerà infatti ad applicare la normativa che è stata decisa nella sessione ordinaria della Congregazione per la dottrina della fede del 20 febbraio 2008, approvata da Benedetto XVI e che prima veniva applicata a tutte le richieste riguardo al servizio del cle- ro orientale cattolico uxorato fuori dei territori tradizionali orientali. In alcuni Paesi gli orientali cattolici sono privi di un gerarca proprio e sono affidati alla cura di un ordinario, di solito un vescovo latino. In questi ordinariati per i fedeli orientali la facoltà sopra menzionata viene conferita agli ordinari, che la eserciteranno informando nei casi concreti la rispettiva conferenza episcopale e la Congregazione per le Chiese orientali. Nelle circoscrizioni ecclesiastiche orientali (metropolie, eparchie, esarcati) costituite fuori dai territori tradizionali, la facoltà di consentire il servizio pastorale del clero uxorato orientale viene conferita ai gerarchi orientali, che la eserciteranno secondo le tradizioni delle rispettive Chiese. Essi hanno altresì la facoltà di ordinare i candidati orientali uxorati provenienti dalla rispettiva circoscrizione con l’obbligo di informare previamente per scritto il vescovo latino di residenza del candidato, onde averne il parere e ogni informazione utile. Tale facoltà prevede perciò la possibilità sia di invitare il clero sposato dai territori considerati tradizionali sia di conferire gli ordini sacri agli uomini sposati provenienti da altri territori. Per quest’ultima ipotesi ovviamente valgono le stesse condizioni dei candidati celibi: percorso spirituale, pastorale vocazionale, iter degli studi filosofico-teologici e formazione seminaristica. Questa prassi è infatti comune anche nei territori tradizionali delle medesime Chiese che di regola prevedono un processo formativo comune e dello stesso spessore spirituale e intellettuale per tutti i candidati, sia quelli che si orientano verso la scelta del celibato sia coloro che prima della ricezione degli ordini sacri desiderano sposarsi. Unica differenza procedurale per i candidati al sacerdozio sposati consiste nell’obbligo per il vescovo orientale di informare previamente e per iscritto il vescovo latino del luogo di residenza del candidato, chiedendo il suo parere o eventuali informazioni utili. Tale dovere non è altro che una specificazione, che allarga e rende obbligatoria la procedura, che nel Codex canonum ecclesiarum orientalium è lasciata alla discrezione del vescovo se costui «lo giudica opportuno» (canone 769, paragrafo 1, 6). Il Papa, per ragioni prudenziali, ha deciso di rendere obbligatoria questa possibilità che ha il vescovo nel caso di candidati uxorati, quando l’ordinazione avviene fuori dei territori tradizionali orientali. La possibilità di soddisfare i bisogni pastorali con l’invito del clero uxorato proveniente dai territori tradizionali non dispensa i relativi gerarchi costituiti fuori del territorio dal dovere di una promozione delle vocazioni locali, anzi allarga questa pastorale vocazionale anche ai candidati che desiderano unire nelle loro vite entrambe le vocazioni. Il cambiamento della normativa restrittiva circa il servizio pastorale del clero orientale cattolico uxorato fuori dei territori orientali tradizionali costituisce un eloquente segno della fiducia che nutre il supremo legislatore nei confronti della gerarchia orientale cattolica e del riconfermato rispetto nei confronti della diversità disciplinare che vige fra le varie Chiese sui iuris orientali e la Chiesa latina. A mezzo secolo dalla pubblicazione del decreto conciliare Orientalium ecclesiarum viene in questo modo confermata la strada intrapresa da questo decreto che ha uno dei suoi capisaldi anche nella promulgazione nel 1990 del Codex canonum ecclesiarum orientalium: unica Chiesa cattolica, ma due codici di diritto canonico per questa varietas ecclesiarum, diversi approcci disciplinari, liturgici, spirituali e teologici per esprimere le stesse verità della fede. D’altra parte, di fronte a questo tanto atteso gesto di fiducia si deve sottolineare che una responsabile applicazione di tale facoltà non deve costituire, neppure minimamente, pregiudizio nei confronti del clero celibatario, orientale o latino, né tanto meno una occasione per rivendicazioni o speculazioni indebite riguardo alla prassi latina sul celibato e nei confronti dell’alta stima che gode il celibato sacerdotale anche nelle Chiese orientali cattoliche. *Segretario della Congregazione per le Chiese orientali L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 27 febbraio 2015 «Scene della vita di Elia» (icona melchita, XVIII secolo) Conferenza stampa della fondazione Centesimus annus Più etica nella finanza Gli esercizi spirituali della Curia romana ad Ariccia Senza paura di perdere la faccia Di fronte a chi è in difficoltà usiamo il bastone della rigidità e delle categorie stabilite oppure l’abbraccio della misericordia? È questa l’ultima domanda lasciata alla meditazione dei presenti da padre Bruno Secondin, nel pomeriggio di mercoledì 25 febbraio, a conclusione della giornata degli esercizi spirituali quaresimali in corso ad Ariccia per il Papa e la Curia romana. Nell’ambito della riflessione sul tema del «lasciarsi sorprendere da Dio», il carmelitano si è soffermato sulla lettura del brano biblico di Elia e la vedova di Sarepta (1 Re, 17, 2-24) accostato a quello parallelo nel quale Eliseo fa risorgere il figlio della Sunammita (2 Re, 4, 25-37). Un contesto che ha portato il predicatore a sottolineare un aspetto fondamentale nella vita di fede, il fatto, cioè, che «i poveri ci evangelizzano». La vedova povera che, pur avendo solo «un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio», ospita Elia, diventa occasione propizia di crescita interiore per il profeta. Elia, ha sottolineato padre Secondin, «era scorbutico, aggressivo». Gli stessi padri della Chiesa commentando questi passi biblici suggeriscono che «Dio cerca di raddrizzare Elia affinché si ammansisca». E il profeta viene quindi invia- to a Sarepta dove riceve una prima lezione dalla donna: la povertà e la morte affrontate con dignità. Inizialmente il profeta, attraverso il miracolo del cibo che non finisce, si presenta in vesti potenti, taumaturgiche. Poi però la morte del figlio della vedova lo costringe a un’altra dimensione: si sente impotente e può solo invocare Dio, «affidarsi a Dio in nudità», riconoscere che lui ha solo il potere «di gridare il suo dubbio e di implorare». Ed è allora, di fronte ai suoi gesti teneri e all’ammissione della sua debolezza, che la vedova riconosce un altro volto di Dio: il «Dio di compassione», il «Dio di misericordia», il «Dio che abbraccia, che porta nella sua identità la nostra ferita». È una storia che provoca domande per la storia personale di ognuno: «Siamo capaci di incontrare i poveri per arrivare a incontrare la verità? O abbiamo paura di perdere la faccia?»; sappiamo riconoscere e abbracciare chi ha un «“bimbo morto” nel suo cuore: violenze, traumi infantili, divisioni, orrori...»? La nostra parola è quella saccente del taumaturgo o «la parola che implora»? Di fronte a situazioni di dolore «mandiamo avanti il canonista», usiamo «il bastone» o adoperiamo «le braccia per abbracciare»? Inizio della missione del nunzio apostolico in Mali Monsignor Santo Gangemi, arcivescovo titolare di Umbriatico, è giunto all’aeroporto internazionale di Bamako il 2 dicembre scorso. Ricevuto da don Edmond Dembélé, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali (C.E.M.), è stato accompagnato all’arcivescovado della capitale. Il 3 dicembre, il rappresentante pontificio ha presentato le lettere commendatizie del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, al vescovo Jean Baptiste Tiama, presidente della C.E.M. Quest’ultimo gli ha illustrato brevemente il volto della Chiesa in Mali, piccola in quanto a fedeli, ma animata da un autentico spirito missionario che fa guardare al futuro con speranza. Da parte sua, il nunzio apostolico ha assicurato che non mancherà di impegnarsi per manifestare il volto sollecito e paterno di Papa Francesco a tutti fedeli del Mali. Nel tardo pomeriggio del 9 dicembre, monsignor Gangemi è stato ricevuto dal ministro degli Affari esteri, dell’Integrazione africana e della Cooperazione internazionale, Abdoulaye Diop, per la consegna della copia delle lettere credenziali. Il ministro, dopo aver augurato il benvenuto al nunzio apostolico, ha manifestato l’apprezzamento per l’importante ruolo della Chiesa cattolica in Mali evidenziatosi nei recenti momenti di crisi, e si è soffermato sull’importanza della voce di Papa Francesco in merito a tante importanti questioni sulle quali i governanti di tutto il mondo sono chiamati a decidere. Nella mattinata dell’11 dicembre ha avuto luogo la cerimonia di presentazione delle lettere credenziali al presidente della Repubblica, Ibrahim Boubacar Keïta. Accompagnato da monsignor Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, dal segretario generale della C.E.M., monsignor Gangemi è stato ricevuto alla Cancelleria e introdotto nel salone presidenziale, dove ha consegnato al presidente della Repubblica le sue lettere credenziali. Il capo dello Stato ha invitato il nuovo nunzio a un colloquio pri- vato, nel corso del quale, dopo aver portato il saluto benedicente del Papa, il rappresentante pontificio ha manifestato l’intenzione di lavorare per il bene della Chiesa, promuovendo un dialogo costruttivo ed esemplare per la ricerca della pace e la salvaguardia della libertà della nazione maliana. Nelle domeniche 7 e 14 dicembre, il nunzio apostolico ha presieduto, rispettivamente nelle cattedrali di San e di Bamako, la solenne Eucaristia e ha avuto l’occasione di rivolgere la sua parola alla comunità ecclesiale. Scelte concrete, atteggiamenti chiari, come quelli suggeriti anche dalla prima meditazione di giovedì 26, nella quale padre Secondin si è soffermato sul tema della giustizia. Tema centrale perché, ha sottolineato il predicatore, «l’impegno per la giustizia è parte integrante della nostra sequela di Cristo, perché i poveri sono i privilegiati del Vangelo: non è una mania populistica». Un altro episodio della vita di Elia narrato nel primo libro dei Re (21, 1-29) ha fornito lo spunto per la riflessione. Il re Acab vuole acquistare la vigna dell’umile Nabot, ma il contadino rifiuta perché non vuole fare torto all’eredità ricevuta dai suoi padri. Allora la perfida regina Gezabele organizza un’assemblea rituale con i rappresentanti del popolo nella quale, grazie a due false testimonianze, accusa Nabot di blasfemia e lo fa uccidere, consentendo così ad Acab di ottenere il suo “giocattolo”. Elia allora pronuncia la condanna divina contro Acab, il quale si pente ottenendo da Dio un’attenuazione della pena. Un testo lungo, nel quale le psicologie dei vari personaggi — Acab il frustrato, Gezabele la potente senza scrupoli, Nabot il pio, i rappresentanti del popolo privi di coscienza e succubi di dinamiche di stampo mafioso — possono mettere allo scoperto anche tanti aspetti delle nostre vite. Un testo che ha offerto l’occasione al predicatore carmelitano per lanciare molte provocazioni. Quante volte, ad esempio, «elementi sacri sono usati come copertura di procedimenti iniqui»? Veri e propri «abissi di violenza vengono aperti in nome di Dio» e «anche tra noi cristiani» si ritrova «il sonno della coscienza». Ma, ha rimarcato padre Secondin, «quanto dovranno gridare i poveri e gli oppressi?». E pensando alle violenze che si consumano in Africa e in Medio oriente, si è chiesto: «La coscienza degli europei non ha niente da rimproverarsi?». Il richiamo che viene dalle Scritture è forte: «dobbiamo stare dalla parte di tutti i Nabot della terra, difendere i diritti, accogliere le vittime, spronare le coscienze, promuovere strutture, perché la terra è di Dio, è un dono per la vita di tutti e non per i capricci di qualcuno». Ma la Scrittura, ha detto il predicatore, propone anche una «pedagogia dei piccoli gesti». Occorre, cioè, «cominciare da noi stessi», convertire il proprio stile di vita, rivedere i consumi («quanto spreco di cibo...»), avere trasparenza nell’agire, fare il proprio dovere con onestà, non esercitare l’autorità come potere e come fonte di privilegi. E ancora: «spezzare l’omertà, le coperture, gli abusi». Padre Secondin è tornato quindi a considerare dinamiche e problemi di interesse planetario: di fronte a violenze come quelle dell’inquinamento, dell’accaparramento delle terre fertili e delle acque a danno dei popoli locali, o come quelle finanziarie nelle quali senza scrupoli, con un semplice “clic”, fanno morire le persone, dobbiamo recuperare la forza del canto del Magnificat e «avere il coraggio di denunciare». Perché «Dio non sopporta i prepotenti». Ecco allora la domanda che ha concluso la meditazione: «Sappiamo familiarizzare pubblicamente con gli umiliati, con gli scarti della violenza, o abbiamo paura di perdere la faccia per il Vangelo»? Un regard chrétien. De la banque mé- dievali sui problemi economici del diévale à la mondalisation financière loro tempo. La seconda parte è de(Les Plans sur Bex, Embrasure, dicata ai contributi più rilevanti 2013) del francese Pierre de Lauzun della dottrina sociale della Chiesa è l’opera che ha vinto la seconda dei Papi moderni in ambito econoedizione del premio internazionale mico, soprattutto per quanto riEconomia e società, promosso dalla guarda il tema della finanza». E fondazione Centesimus annus Pro proprio «sulla base di questi tesori Pontifice. Il riconoscimento, che ha dottrinali, de Lauzun affronta nella cadenza biennale, «intende pro- terza parte i problemi morali della muovere la conoscenza della dottri- finanza contemporanea». In particolare «analizza il problema dei crina sociale della Chiesa cattolica». Ad annunciarlo, in una conferen- teri vigenti nel sistema finanziario, za nella Sala stampa della Santa della qualità della formazione dei Sede, giovedì mattina 26 febbraio, prezzi, dell’importanza di una visioè stato il presidente della fondazio- ne a lungo termine, della realtà del ne Domingo Sugranyes Bickel. Con valore aggiunto, del dominio dei rilui anche don Michael Konrad, segretario della giuria del premio, che è stata presieduta dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga e coordinatore del Consiglio per l’economia. Hanno preso la parola anche monsignor Giuseppe Antonio Scotti, membro della giuria, e Massimo Gattamelata, segretario generale della fondazione. La consegna del premio a Pierre de Lauzun avverrà — alla presenza del cardinale segretario «Banca medievale» (1330-1340, miniatura) di Stato Pietro Parolin — martedì 26 maggio, al Palazzo della Cancelleria, schi collettivi e dell’indebitanell’ambito del convegno interna- mento». Da parte sua monsignor Scotti zionale organizzato dal 25 al 27 maggio sul tema: «Ripensare le ca- ha ricordato, anche con riferimenti ratteristiche chiave della vita econo- all’insegnamento di Papa Francemica e sociale». E così la fondazio- sco, che l’assegnazione del premio ne rilancia il suo impegno scientifi- «non solo afferma che la ragione co per rafforzare l’etica nella finan- può utilmente lasciarsi provocare dalla fede, ma osa dire qualcosa di za. A tracciare un profilo del vincito- più. Afferma che le nostre parole di re del premio è stato don Konrad. tutti i giorni, le parole che espriPierre de Lauzun, ha spiegato, «la- miamo nei momenti importanti delvora da decenni con grandi respon- la vita si possono usare solo a consabilità nel settore finanziario e dizione di tornare ad avere stima bancario. Non si tratta di uno stu- della ragione e lasciare che anche la dioso chiuso nella biblioteca, ma di fede la provochi. Solo così quelle un uomo che da anni approfondi- parole che pure continuiamo a usasce la sua esperienza professionale re, come “bene comune”, “sussidiacon una ricca riflessione politica, rietà”, “solidarietà” — che poi altro culturale e religiosa». In particolare non sono che i termini con i quali è autore di studi «che vertono anzi- si declina la dottrina sociale della tutto sui problemi legati all’econo- Chiesa — possono parlare nuovamia, alla finanza e alla democra- mente e condurre a una vita giusta, zia», fondando «i suoi giudizi sul buona, ordinata, dove nessuno sia confronto con la grande tradizione ritenuto uno “scarto”». Al premio internazionale si è agdella cultura europea». «Il testo premiato — ha reso noto giunto anche un riconoscimento il segretario della giuria — si divide per giovani ricercatori in dottrina in tre parti. Nella prima espone i sociale: lo hanno vinto l’austriaco giudizi della Sacra scrittura, dei pa- Alexander Stummvoll e l’uruguaiadri della Chiesa e dei teologi me- no Arturo Bellocq Montano. A colloquio con il cardinale John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington Abbiamo qualcosa da dire di NICOLA GORI Periferia del mondo ma non della Chiesa: nella porpora conferitagli da Francesco lo scorso 14 febbraio il cardinale John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington, vede un segno speciale di considerazione per la piccola comunità cattolica che abita la Nuova Zelanda e l’intera regione del Pacifico. In questa intervista al nostro giornale il porporato ricorda che si tratta di una Chiesa in crescita. E parla delle nuove sfide che la attendono: l’immigrazione, i cambiamenti climatici, l’accoglienza di persone di diverse culture e religioni. Lei è il quarto cardinale neozelandese nella storia del Paese. Come legge la scelta di Papa Francesco? La mia nomina a cardinale è soprattutto un riconoscimento alla Chiesa cattolica in Nuova Zelanda. Ritengo che il Pontefice, andando incontro a Chiese numericamente e geograficamente piccole — come quella neozelandese o quella del cardinale Soane Patita Paini Mafi, che è vescovo di Tonga, nel Pacifico — voglia dimostrare che le comunità ecclesiali in Oceania hanno un contributo da dare alla vita della Chiesa. In questa parte del mondo ci sono questioni, come i cambiamenti climatici e la tratta di esseri umani, sulle quali possiamo dire qualcosa. Penso che, nominando cardinali provenienti da luoghi come la Nuova Zelanda e Tonga, Papa Francesco stia ribadendo che la Chiesa è davvero universale. Anche se piccola la Chiesa cattolica in Nuova Zelanda sta crescendo. Qual è il ruolo dei laici? La nostra Chiesa sta crescendo soprattutto grazie all’immigrazione. Nel corso degli anni abbiamo avuto molte ondate migratorie: persone provenienti dall’Europa dopo la seconda guerra mondiale; negli anni Cinquanta e Sessanta e ancora oggi persone provenienti dalle isole del Pacifico; e negli ultimi anni molte persone provenienti da Paesi asiatici. In questo contesto anche i laici hanno, di fatto, un ruolo importante nell’evangelizzazione. I vescovi della Nuova Zelanda cercano di sottolineare che nella Chiesa c’è un posto e un compito per tutti, e che ognuno è chiamato a evangelizzare. La grande esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, e ora naturalmente quella di Papa Francesco l’Evangelii gaudium, ci aiutano a incoraggiare e a coinvolgere le persone, invitandole a comprendere che hanno un ruolo nell’evangelizzazione e che essere cattolici significa interessarsi alle questioni e ai problemi che toccano la società umana. Vuol dire anche schierarsi a favore di valori che promuovono la dignità umana e contribuire ad aiutare le persone ad avere una qualità di vita migliore. Per questo abbiamo bisogno di cristiani ben formati dalla dottrina sociale della Chiesa e plasmati secondo il Vangelo, per portare gioia e pace autentica nella nostra vita. Come state rispondendo alle sfide poste del fenomeno delle migrazioni? Si deve considerare che la sfida della migrazione ne pone altre che chiamano all’impegno il nostro clero e le nostre parrocchie. Occorre prendere coscienza che la gente viene da noi con il proprio bagaglio religioso, racchiuso anche in determinate espressioni cultuali e devozionali. Comprendendo le loro tradizioni, noi cerchiamo di accoglierli nella società neozelandese e di inserirli in ciò che ha reso la Nuova Zelanda il Paese che è attualmente. Destano preoccupazione le conseguenze sempre più gravi dei cambiamenti climatici. C’è una nuova attenzione alla questione ecologica? In questa parte del mondo e in molte isole del Pacifico il pericolo dell’innalzamento del livello dei mari è motivo di grande preoccupazione. Molti cattolici, specialmente i giovani, ormai conoscono bene le questioni riguardanti l’ecologia. Il nostro ruolo è quello di incoraggiare le persone a una maggiore consapevolezza, cercando i modi per aiutarle a riconoscere che tutto l’ambiente in cui viviamo è un dono di Dio e dunque abbiamo il dovere di prendercene cura. Come state vivendo questo Anno dedicato alla vita consacrata? Ci sono molte persone straordinarie che vivono la loro consacrazione religiosa in questa regione del mondo. La loro testimonianza ci offre una nuova opportunità per promuovere la vita consacrata e chiedere a tutti di riflettere sulla possibilità della vocazione. Ci dà anche l’opportunità di ringraziare i tanti sacerdoti, religiosi e religiose che con la loro scelta vocazionale hanno arricchito la Chiesa in Nuova Zelanda.
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