L`OSSERVATORE ROMANO

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POLITICO RELIGIOSO
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Anno CLV n. 47 (46.885)
Città del Vaticano
venerdì 27 febbraio 2015
.
La strategia dell’Is in Iraq e Siria
Kiev interrompe le forniture di gas nelle roccaforti dei ribelli filorussi a Donetsk e Lugansk
Guerra
contro i civili
L’arma del freddo
E Vladimir Putin prospetta ricadute sull’approvvigionamento all’Europa
Piccoli profughi siriani a Istanbul (Epa)
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BAGHDAD, 26. La strategia del cosiddetto Stato islamico (Is), in difficoltà sul piano militare sui fronti
iracheni e siriani, si sta definendo
sempre più come una guerra alle
popolazioni civili, con il ricorso sistematico a sequestri e atti di terrorismo. Ne dà conferma anche una
dichiarazione diffusa ieri dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite che condanna il sequestro
dei cristiani nel nord-est della Siria. «Questi crimini dimostrano ancora una volta la brutalità dello
Stato islamico, responsabile di migliaia di abusi contro persone di
tutte le fedi religiose, etnie e nazionalità, senza riguardo per ogni valore di base dell’umanità» si legge
nel documento.
E mentre crescono i timori per la
vita dei cristiani rapiti in Siria — il
cui numero resta ancora incerto,
ma che alcune fonti stimano a oltre
duecento — si è appreso ieri di
un’analoga operazione di sequestro
di massa compiuta dall’Is in Iraq,
dove i miliziani hanno preso in
ostaggio un centinaio di membri,
compresi nove bambini, di un clan
tribale schieratosi con il Governo
di Baghdad.
Poche ore prima era stata data
notizia che almeno ottanta miliziani erano stati uccisi in un raid aereo sferrato dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti
sul centro di Mosul, la città settentrionale più volte indicata come
prossimo obiettivo dell’offensiva
contro il gruppo jihadista. Fonti
mediche di Mosul citate oggi dalle
agenzie di stampa internazionali
hanno riferito che nei raid della
coalizione nelle ultime ore sono
stati uccisi cinquanta civili, compresi donne e bambini.
Sempre ieri, in diversi raid aerei
egiziani nella regione del Sinai settentrionale sono rimasti uccisi 38
jihadisti. Altri 27 sono stati feriti.
Lo ha riferito una fonte militare
Nella provincia nordorientale siriana di Hasaka, dove è avvenuto
lunedì scorso il sequestro dei cristiani, i peshmerga curdi hanno annunciato intanto di aver interrotto
il principale canale di rifornimento
dell’Is — e di collegamento tra i
territori controllati dal gruppo jihadista in Iraq e Siria — assumendo il
controllo della strada tra la cittadina di Tel Hamis e la località di Al
Houl, situata proprio a ridosso del
confine iracheno. Resta invece incerto, più a est, l’esito del tentativo
dell’Is di mantenere aperto il colle-
Nuove norme
per il clero orientale cattolico uxorato
Nel solco
del Vaticano
II
CYRIL VASIL’
A PAGINA
7
gamento con la frontiera turca tramite la quale, secondo molte fonti,
continuerebbe a ricevere rinforzi.
La lotta contro l’Is resta comunque il tema cruciale di confronto
sia a livello di rapporti internazionali sia all’interno dei Paesi che
partecipano alla coalizione, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento da tenere con il Governo
di Damasco. È il caso, per esempio, della Francia, dove il ministero
degli Esteri ha preso le distanze
dall’iniziativa di una delegazione di
parlamentari, di maggioranza e
d’opposizione, recatisi a Damasco
dove hanno incontrato il presidente
Bashar Al Assad. Si tratta della
prima visita di questo genere
dall’interruzione delle relazioni diplomatiche con la Siria decisa congiuntamente nel maggio 2012 da
Francia, Germania, Gran Bretagna,
Italia e Spagna. Una nota ministeriale parla di «un’iniziativa personale, in nessun modo ufficiale o diplomatica», mentre lo stesso ministro degli Esteri, Fabius, ha ribadito di ritenere falsa «l’idea che si
potrebbe trovare la pace in Siria fidandosi di Bashar Al Assad».
La vicenda dell’Is sembra destinata ad avere un peso anche nelle
relazioni tra il Governo di Washington e quello di Teheran. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha dichiarato ieri che gli Stati
Uniti e l’Iran hanno un comune
interesse a sconfiggerlo. «L’Iran si
oppone totalmente all’Is e sta eliminando i suoi uomini al confine
tra Iran e Iraq. Abbiamo almeno
un reciproco interesse, se non un
impegno comune», ha detto.
KIEV, 26. Sullo sfondo della grave
crisi umanitaria nell’est dell’Ucraina,
incombe lo spettro di una nuova
guerra del gas tra Mosca e Kiev, che
potrebbe coinvolgere gran parte
dell’Europa. Il Governo ucraino ha
infatti deciso di interrompere le forniture di gas nelle zone orientali di
Donetsk e di Lugansk, roccaforti dei
ribelli separatisti filorussi.
A fare ulteriormente salire la tensione è stata anche la pesante replica
del presidente russo, Vladimir Putin.
In una conferenza stampa a Mosca,
il leader del Cremlino ha infatti detto che «non solo c’è la carestia, non
solo l’Osce ha denunciato una catastrofe umanitaria, ma in più tagliano
anche il gas. Tutto questo sembra un
genocidio».
Putin ha poi ricordato che, in base ai recenti accordi di Minsk,
l’Ucraina deve garantire forniture
energetiche a Donetsk e Lugansk.
«Le intese — ha sottolineato — sono
state fissate da una risoluzione del
Consiglio di sicurezza dell’Onu e
hanno valore di documento di diritto internazionale e, quindi, devono
essere rispettate». Il presidente ha
inoltre confermato che Mosca taglierà il gas all’Ucraina, qualora Kiev
non effettuasse in tempo il pre-pagamento delle consegne. Questo, ha
dunque avvertito il leader russo,
«creerà un problema» per il gas in
transito verso l’Europa, che dai gasdotti ucraini riceve il 40 per cento
del metano che acquista dalla Rus-
sia, che a sua volta rappresenta circa
un terzo del fabbisogno totale del
Vecchio Continente.
La controversia dell’anno passato
è stata risolta a ottobre con un’intesa
temporanea — mediata dall’Ue — che
ha introdotto un regime di pagamenti anticipati per il prezzo che
Kiev deve pagare per il gas di Mo-
sca. Secondo il leader del Cremlino,
«la cifra pagata in anticipo dalla
parte ucraina basterà per le forniture
per tre-quattro giorni» e, ha aggiunto, se non arriveranno altri pagamenti Gazprom sospenderà i rifornimenti, «così come previsto dal contratto». Una misura che può rappresentare una seria minaccia al transito
Ghiaccio su una conduttura di gas (Reuters)
Dopo l’uccisione di un ragazzo a San Cristóbal
Ancora scontri in Venezuela
CARACAS, 26. Non accenna a stemperarsi la tensione in Venezuela. Dopo la morte di Kluiver Roa, studente quattordicenne ucciso con uno
sparo alla testa da un agente della
polizia antisommossa a San Cristóbal, nello Stato di Táchira, si sono
registrati nuovi scontri fra forze
dell’ordine e manifestanti anti-chavisti. Nella capitale Caracas organizzazioni studentesche hanno inscenato
ieri una protesta davanti alla sede
del ministero degli Interni. Il presidente venezuelano, Nicolás Maduro,
ha promesso il rispetto della sicurezza, condannando gli atti di violenza.
Negli scontri scoppiati ieri sempre
a San Cristóbal fra giovani anti-chavisti e unità della polizia antisommossa, sono state arrestate sette persone. Nei giorni scorsi sono stati fermati 17 studenti. La polizia dello stato di Mérida è intervenuta per con-
tenere una manifestazione nei pressi
delle facoltà di diritto e medicina.
Proteste isolate si sono verificate anche a Tachíra. A Caracas centinaia
di giovani hanno risposto all’appello
della Federazione nazionale studentesca per denunciare la repressione
delle proteste e chiedere l’abrogazione di recenti misure da parte del
Governo sull’organizzazione e la gestione delle manifestazioni. «La nostra indignazione deve diventare
azione, oggi il movimento studente-
sco esige in piazza giustizia e castigo
per i colpevoli» ha scritto su Twitter
Hasler Iglesias, presidente della Federazione, sottolineando che le proteste devono essere «pacifiche».
Le manifestazioni che vanno avanti da settimane in tutto il Paese sono
cominciate all’inizio dell’anno scorso
e — dicono gli analisti — sono state
organizzate da membri dell’opposizione anti-chavista e da studenti. I
motivi della protesta sono diversi:
dalle scarse condizioni di sicurezza
Accordo tra Australia e Cambogia
Condizioni di vita migliori
per i migranti nel Pacifico
SYDNEY, 26. Australia e Cambogia
hanno raggiunto un’intesa per garantire una migliore sistemazione
ai migranti in attesa di una qualche forma di ricollocazione una
volta accertata la condizione formale di rifugiato, oppure che
aspettano una verifica che potrebbe durare molti mesi. I due Governi hanno infatti firmato un accordo che introduce misure umanitarie volte a migliorare le condizioni di vita di migliaia di persone
che attraversano il mare in cerca
di una vita migliore.
Sono attualmente quattrocento i
profughi provenienti soprattutto
da Afghanistan, Pakistan e Iran
ospitati sull’isola di Nauru, dove si
trova dal 2001 un campo di accoglienza australiano. Nel campo di
Nauru sono generalmente trasferiti
i migranti che, senza permesso,
del metano russo verso l’Europa. Il
nuovo braccio di ferro sul gas si aggiunge all’analoga vicenda nel Donbass, dove nelle ultime ore la tregua
sembra comunque tenere. Kiev ha
infatti bloccato le forniture nelle zone occupate dai separatisti filorussi,
giustificandosi con presunti danni ai
gasdotti causati dai bombardamenti.
raggiungono l’Australia via mare.
Nel dicembre 2003 decine di migranti iniziarono uno sciopero della fame per protestare contro le
pessime condizioni di vita nella
struttura. Preoccupazione è stata
espressa più volte anche dall’alto
commissariato delle Nazioni Unite
per i rifugiati e ripetute segnalazioni sono state fatte anche da
Amnesty International.
Ora, con l’accordo tra Australia
e Cambogia sembra aprirsi la possibilità di un trasferimento. La
palla passa all’Organizzazione internazionale per le migrazioni che
dovrà decidere se concedere o meno lo status di rifugiato, consentendo o meno la ricollocazione. A
Nauru ci sono ancora ottocento
persone che attendono di vedere
definito il proprio status.
nei centri abitati alle misure economiche decise dal Governo per fronteggiare la crisi che ha colpito duramente il Paese. Le prime manifestazioni si sono tenute nelle città andine di San Cristóbal e Mérida e si sono poi diffuse in molte altre zone
del Paese. Finora — dicono i media
locali — 43 persone sono morte nelle
proteste: circa altre cento sono rimaste ferite e la polizia ha fatto migliaia di arresti.
Nelle ultime settimane la tensione
è tornata a salire a causa dell’arresto
del sindaco di Caracas anti-chavista,
Antonio Ledezsma. L’accusa era cospirazione e associazione in attività
sovversiva per il presunto coinvolgimento in un piano golpista sostenuto dagli Stati Uniti. Al momento Ledezsma è rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde, nella periferia
della capitale, dove da un anno è
detenuto anche Leopoldo López, un
altro leader del movimento anti-chavista. Ledezsma è stato l’autore, assieme alla deputata María Corina
Machado e a Leopoldo López, di un
manifesto pubblicato l’11 febbraio
scorso su una pagina del quotidiano
«El Nacional». Il documento chiedeva le dimissioni di Maduro, proponeva un accordo nazionale per
aprire una fase di transizione al Governo e avviare una serie di importanti riforme.
Sulla crisi venezuelana è intervenuto ieri anche il segretario di Stato
americano, John Kerry, il quale ha
criticato l’azione del Governo del
presidente Maduro, lasciando intendere che presto Washington potrebbe decidere di applicare sanzioni
contro Caracas. Preoccupazione per
quanto sta avvenendo in Venezuela è
stata espressa anche dall’Unione europea.
Raccontare la matematica
Sant’Agostino
e il numero 6
La guardia nazionale schierata a Caracas (Afp)
CARLO MARIA POLVANI
A PAGINA
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pagina 2
venerdì 27 febbraio 2015
Il commissario Ue per l’Unione energetica
Maroš Šefčovič (La Presse/Ap)
Schäuble chiede rispetto dei patti mentre Tsipras blocca le privatizzazioni
Sulla Grecia
la partita è ancora aperta
ATENE, 26. La partita greca non è finita. L’Eurogruppo ha esteso ufficialmente per quattro mesi il supporto finanziario ad Atene, ma il
confronto e il dibattito continuano.
Ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è intervenuto nuovamente sulla questione,
sottolineando che la Grecia non vedrà «nemmeno un euro» fino a
quando non avrà ottemperato a tutti
gli impegni presi. «Se li attuano, allora potranno ricevere i versamenti
rimanenti — ha spiegato il ministro
— ma se non li attuano non ci sarà
nessun versamento». Per Schäuble,
la questione principale al momento è
capire «se si può credere o meno alle assicurazioni del Governo greco».
In risposta alle parole di Schäuble, il Governo Tsipras ha annuncia-
to ieri la cancellazione di alcuni
provvedimenti che risalgono agli impegni del precedente Esecutivo con
la Troika. In particolare, sono state
Calcio
di rigore
ATENE, 26. Stop al calcio. Alexis
Tsipras prende tutti in contropiede e, a dispetto dei suoi detrattori,
mostra di sapere prendere decisioni drastiche in situazioni di emergenza. Il Governo greco ha infatti
deciso ieri di fermare il principale
campionato di calcio del Paese, la
Super League. La decisione è arrivata in seguito agli incidenti avvenuti prima, durante e dopo il derby Panathinaikos – Olympiakos
Pireo, domenica scorsa. Al termine degli scontri ad Atene c’erano
stati undici arresti, mentre un giocatore dell’Olympiakos, il nigeriano Michael Olaitan, a causa del
forte stress, aveva perso conoscenza durante il primo tempo ed era
stato ricoverato in ospedale. Non
ci sono ancora — ha fatto sapere
Tsipras — le condizioni per garantire la sicurezza.
Un morto e sei feriti
Quattro
esplosioni
al Cairo
IL CAIRO, 26. Violenza nella capitale
egiziana. Quattro esplosioni si sono
verificate questa mattina a Giza,
quartiere residenziale del Cairo,
provocando un morto e sei feriti. Lo
ha reso noto il portavoce del Ministero della Sanità. La prima esplosione, che ha causato la vittima, ha
avuto luogo in un fast-food. Le altre
tre hanno colpito dei negozi di comunicazioni, ma non hanno fatto
vittime. Gli artificieri sono sul posto
per verificare la presenza di altro
esplosivo.
La situazione è da settimane molto tesa nel Paese. Il prossimo mese
sono previste le elezioni legislative,
ma il voto potrebbe slittare. In effetti, domenica prossima la Corte costituzionale egiziana emetterà il proprio verdetto sui ricorsi pendenti
contro la legge elettorale. Nel dettaglio, i giudici della Corte dovranno
esprimersi sulla costituzionalità di
alcuni articoli sui quali pendono in
tutto sei ricorsi.
Gli analisti prevedono che, in
concomitanza con la sentenza, vi sarà appunto l’annuncio di uno slittamento di alcune settimane delle elezioni legislative, terza e ultima tappa
della transizione democratica dopo
la destituzione dell’ex presidente
Mursi. Lo slittamento — dicono fonti di stampa — sarebbe auspicato soprattutto dalle forze di sicurezza, secondo le quali la situazione nel Paese è ancora troppo instabile per poter garantire il sereno svolgimento
delle elezioni.
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bloccate le privatizzazioni del gruppo produttore di energia elettrica
Pcc e della rete di distribuzione elettrica Admie, secondo quanto ha detto lo stesso ministro dell’Energia
greco, Panagiotis Lafazanis.
Il confronto greco-tedesco si anima proprio nel momento in cui la
Commissione europea ha emesso le
proprie valutazioni sui conti dei Paesi membri. Tra i giudizi principali,
spiccano quello sull’Italia, per la
quale non è stata decisa nessuna
procedura di richiamo, e quello sulla
Francia, alla quale sono stati concessi due anni in più per riportare il
deficit sotto il tre per cento del pil
(prodotto interno lordo), in linea
con i Trattati Ue. Richiamo alla
Germania, alla quale sono stati chiesti più investimenti.
Le situazioni più difficili restano
quelle della Grecia, della Romania,
di Cipro e del Portogallo. I Paesi
più virtuosi, oltre alla Germania, sono l’Olanda, la Danimarca, la Svezia, la Lituania, l’Estonia, la Slovenia e l’Ungheria.
Presentata la nuova strategia energetica
Per liberare l’Europa
dalla dipendenza
BRUXELLES, 26. Un maxi-piano su
cinque anni per liberare dalla dipendenza energetica l’Europa, impaludata nella crisi ucraina e in
quella economica, dove le forniture
di energia dipendono per il 53 per
cento dai capricci del mercato, della sua opacità e dei Paesi terzi.
È la nuova strategia energetica
per i Ventotto, che la Commissione
Ue presenterà oggi, il primo documento di questo tipo mai redatto
da Bruxelles con una serie di misu-
Le Nazioni Unite avviano le consultazioni
Verso il rilancio
del negoziato tra fazioni libiche
NEW YORK, 26. La missione dell’Onu in Libia (Unsmil) guidata
dall’inviato Bernardino León sta avviando consultazioni con le parti in
conflitto — il Governo con sede a
Tobruk riconosciuto dalla comunità
internazionale e quello islamista di
Tripoli — per preparare un nuovo
round di colloqui.
In una nota dell’Unsmil si parla
di prioritaria necessità di «un Governo forte e indipendente» per
trovare «una soluzione pacifica alla
crisi libica». Il Governo di Tobruk
aveva sospeso due giorni fa la sua
partecipazione al dialogo, del quale
era prevista una nuova tornata proprio oggi a Rabat, la capitale del
Marocco. L’Unsmil «chiede a tutte
le parti di non permettere che questa finestra di opportunità si chiuda
e di rinnovare il loro impegno». La
missione guidata da León sostiene
che finora i colloqui si erano svolti
«in modo serio e responsabile, con
una forte determinazione delle parti
a raggiungere un accordo politico
ampio» e ne definisce l’interruzione
«una minaccia all’unità e alla coesione del Paese».
Il Governo di Tobruk, intanto,
ha annunciato la nomina del generale Khalifa Hafta a comandante
dell’esercito, attribuendogli tutte le
prerogative di ministro della Difesa
e di capo di stato maggiore. Il portavoce delle forze armate libiche,
Mohamed Hegazi, ha dichiarato
che si è inoltre costituito «un coordinamento totale ed esaustivo fra le
autorità libiche ed egiziane per lottare contro il terrorismo». Hegazi
ha poi aggiunto che saranno varate
nuove leggi per la ristrutturazione
dell’esercito libico per «creare
un’istituzione militare disciplinata»
oltre a «nuove unità specializzate
nella lotta contro il terrorismo».
In Libia si è aperto un nuovo
fronte quello della sfida del cosiddetto Stato islamico e Mohammed
Dayri, ministro degli Esteri del Governo di Tobruk, ha rinnovato la ri-
Presidenziali
in Togo
il 15 aprile
Militari libici durante una pausa nei combattimenti ad est di Tripoli (La Presse/Ap)
Fallito un tentativo di trovare nella foresta di Sambisa le ragazze rapite da Boko Haram
Nessuna traccia delle studentesse nigeriane
ABUJA, 26. È fallito un tentativo delle forze speciali nigeriane di trovare nella foresta di Sambisa, nello Stato
nordorientale del Borno, le oltre duecento studentesse
sequestrate nell’aprile scorso da Boko Haram a Chibok e di strapparle ai rapitori. Delle giovani da allora
non si hanno notizie certe, ma per tutti questi mesi è
stata avanzata con insistenza l’ipotesi che siano tenute
prigioniere appunto nella foresta di Sambisa, dove Boko Haram ha proprie basi. Dopo una settimana di
bombardamenti e operazioni di terra nell’area, i militari non sono riusciti a trovare tracce delle ragazze. Fonti dell’esercito hanno riferito che le forze speciali hanno scandagliato ampie zone della foresta, dopo i raid
aerei che hanno neutralizzato le postazioni degli jiha-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
disti e le mine antiuomo piazzate da Boko Haram per
difendere il territorio. Ma i miliziani islamisti sono riusciti a far perdere le loro tracce, sfruttando tunnel e
trincee costruiti nella foresta.
Sempre ieri, uomini armati hanno rapito un ingegnere cinese, Cui Fu Long Xi, che lavora in un impianto per il trattamento delle acque nello Stato centrale nigeriano di Nasarawa. Il sequestro segue di due
giorni quello dell’insegnante statunitense Phyllis Sotor
nella scuola della Free Methodist Church di Emimoro,
nel vicino Stato di Kogi, e per la quale è stato chiesto
un riscatto di trecentomila dollari, secondo quanto riferito dalla polizia. Di entrambi i casi gli inquirenti ritengono responsabili gruppi di criminalità comune.
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
chiesta alla comunità internazionale
di sostegno concreto contro le milizie jihadiste che ormai controllano
diverse aree del Paese. «Senza una
soluzione politica potremmo finire
intrappolati in una guerra civile su
vasta scala come quella siriana» ha
detto il ministro.
re di insieme — di cui quindici
prioritarie da quest’anno sino al
2020 — per arrivare a una trasformazione dalle fondamenta del sistema energetico dell’Europa che
ora paga il doppio o il triplo rispetto agli Stati Uniti.
In base al piano, Bruxelles punta a un sistema integrato a livello
continentale, dove l’energia possa
scorrere liberamente attraverso le
frontiere, basato sulla concorrenza
e il miglior uso possibile delle risorse, e con una regolamentazione
efficace dei mercati dell’energia a
livello Ue, dove necessario. E questo — prosegue ancora il testo — allontanandosi da un’economia guidata dai combustibili fossili.
Si va, infatti, dalla sicurezza delle forniture di gas, incluso un piano per il gas liquefatto naturale, al
taglio dell’uso del petrolio per
un’integrazione maggiore delle rinnovabili ridisegnando il mercato
elettrico, considerando l’efficienza
una fonte energetica vera e propria
e lavorando su trasporti, industria
e concretizzando la politica climatica dell’Unione europea. Cinque i
pilastri fondamentali: sicurezza
energetica, mercato interno, efficienza, decarbonizzazione, e ricerca
e innovazione. Nel 2016 arriverà,
poi, il piano che ridisegnerà il mercato elettrico europeo, integrando i
produttori di rinnovabili e nell’ottica dei target di interconnessione
del 10 per cento nel 2020 e 15 per
cento nel 2030, ma anche l’analisi
dei prezzi e dei costi dell’energia.
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Più tasse
e tagli alla spesa
in Sud Africa
CITTÀ DEL CAPO, 26. Il Governo
del Sud Africa intende aumentare
la pressione fiscale e diminuire la
spesa pubblica, per ridurre il deficit di bilancio dal 3,9 per cento
del prodotto interno lordo al 2,6.
Il disegno di legge di bilancio
per il 2015 e il 2016 presentato ieri in Parlamento dal ministro delle Finanze, Nhlanhla Nene, prevede tagli per 25 miliardi di rand
(quasi due miliardi di euro) e più
tasse per 17 miliardi di rand.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
LOMÉ, 26. Si terranno il 15 aprile le
elezioni presidenziali in Togo. La
data è stata stabilita da un decreto
del Consiglio dei ministri. Altri
due provvedimenti stabiliscono anche l’ammontare dei finanziamenti
pubblici (seicento milioni di franchi africani, circa 920.000 euro)
che saranno ripartiti tra i candidati
e quello della cauzione (venti milioni di franchi africani, oltre
30.000 euro) che ognuno di loro
dovrà versare.
L’attenzione ora è su chi sfiderà
il presidente uscente, Faure Gnassingbé, al potere dal 2005 e ricandidato proprio oggi dal suo partito, l’Unione per la Repubblica.
Faure Gnassingbé è figlio e successore dell’ex presidente Gnassingbé
Eyadema, al potere dal 1967 al
2005. Fu lui ad abolire, nel 2002, il
limite al numero dei mandati presidenziali: una circostanza che oggi
permette al figlio — come accadde
a lui stesso — di ricandidarsi per la
terza volta.
L’opposizione non ha ancora
trovato l’accordo su un candidato
comune alla presidenza. Risultano
ancora in corsa Alberto Olympio,
del Partito dei togolesi e l’economista Jean Pierre Fabre, dell’Alleanza
per il cambiamento.
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pagina 3
Incendio
in un seminario
cristiano
a Gerusalemme
Attentato talebano colpisce un convoglio turco
Kabul
nella morsa del terrore
KABUL, 26. Non si allenta la morsa
del terrore sulla capitale afghana.
Un attentatore suicida si è fatto
esplodere questa mattina a Kabul
nell’automobile su cui viaggiava. La
deflagrazione è avvenuta vicino a un
convoglio di automezzi che portava
personale dell’ambasciata turca. Un
cittadino turco è morto, un altro è
rimasto ferito. Come riferisce l’agenzia di stampa Pajhwok, l’attacco è
avvenuto vicino all’ambasciata dell’Iran in una zona centrale della capitale afghana.
Il vice ministro dell’Interno afghano, Ayub Salangi, ha confermato
che l’obiettivo dell’azione era un
convoglio di auto dell’ambasciata
turca, che si trova nelle vicinanze di
quella iraniana. L’attacco è stato rivendicato dai talebani che hanno sostenuto di avere colpito «un obiettivo di forze straniere». È la prima
volta che la Turchia è colpita da un
attentato in Afghanistan. L’esplosione è stata molto forte, ha precisato
la Pajhwok, danneggiando non solo
le due auto con targa turca, ma molte altre nelle vicinanze, e non è
escluso che il bilancio delle vittime
sia destinato ad aumentare nelle
prossime ore.
Dichiarazione del Consiglio di sicurezza
L’Onu sollecita
il dialogo in Yemen
SAN’A, 26. Il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite ha chiesto ieri
ai protagonisti della crisi yemenita
di «accelerare le negoziazioni» in
vista di una soluzione politica della
crisi. In una dichiarazione, i quindici Paesi membri del Consiglio di
sicurezza hanno chiesto ai ribelli
sciiti huthi, che controllano la capitale e le principali istituzioni, di
«liberare immediatamente e senza
condizioni» il primo ministro Khaled Bahah e i membri del Governo
ancora agli arresti domiciliari. Salutando positivamente la liberazione del presidente Hadi, i quindici
hanno giudicato molto positivamente la decisione di Hadi «presidente legittimo dello Yemen», che
è riuscito a fuggire da San’a e a rifugiarsi ad Aden, di impegnarsi
«in buona fede in negoziazioni
condotte sotto l’egida delle Nazioni Unite» per accelerare l’uscita
dalla crisi.
Intanto, non sono giunte ancora
rivendicazioni del sequestro di Isabelle Prime, 30 anni, cittadina francese, dipendente di un’azienda di
consulting statunitense, sequestrata
due giorni fa a San’a. Il segretario
di Stato americano, John Kerry, ha
dichiarato ieri che la donna è in
mano ai ribelli huthi. Il capo della
diplomazia di Parigi, Laurent Fabius, ha rinnovato l’appello ai cittadini francesi ancora presenti nello Yemen a rimpatriare.
Manifestazione a San’a per sostenere il presidente Hadi (Reuters)
In Bolivia
scoperto
un maxi giacimento
di gas
LA PAZ, 26. Un consorzio petrolifero, costituito dalla spagnola
Repsol, la britannica Bg e l’argentina Pae, ha scoperto un enorme
giacimento di gas naturale nel sud
della Bolivia, nel dipartimento di
Tarija. Lo ha annunciato ieri il
presidente del Paese sudamericano, Evo Morales. Secondo le stime, il nuovo giacimento dovrebbe
produrre due milioni di metri cubi
di gas al giorno. Il valore degli investimenti del consorzio si aggira
sui 350 milioni di dollari destinati
anche allo sviluppo di altri giacimenti a Tarija e nel dipartimento
di Chuquisaca, il più ricco del
Paese. Il consorzio opera anche
nel giacimento di Margarita, nella
provincia di Gran Chaco.
Intanto, alla violenza talebana si
aggiunge l’emergenza inverno. È di
oltre cento morti e decine di dispersi
il bilancio delle valanghe che si sono
abbattute su alcuni villaggi nella
provincia afghana del Panjshir, 150
chilometri a nord di Kabul. Le strade sono bloccate e numerose abitazioni sono distrutte, mentre i soccorritori stanno tentando di salvare le
persone rimaste sepolte dalla neve.
Il governatore della provincia, Abdul Rahman Kabiri, ha spiegato che
il bilancio potrebbe anche peggiorare. «Non abbiamo l’equipaggiamento necessario, persone comuni e soccorritori stanno scavando con le pale
e a mani nude per portare in salvo
le persone rimaste sotto la neve» ha
raccontato il governatore, assicurando che le operazioni di soccorso
proseguiranno anche nella notte. Altre valanghe hanno colpito le province di Bamyan, Badghis, Nangarhar e Laghman, provocando undici
morti. A causa della neve in varie
zone di Kabul si sono verificate interruzioni di corrente elettrica.
Allarme
attacchi
in Giordania
Forze di sicurezza afghane sul luogo dell’attentato nella capitale (La Presse/Ap)
Tra reparti speciali dell’esercito e ribelli secessionisti del gruppo Abu Sayyaf
Combattimenti nel sud delle Filippine
MANILA, 26. In una vasta operazione, i reparti speciali dell’esercito filippino hanno ucciso ieri quattordici
miliziani del gruppo terroristico islamico Abu Sayyaf, responsabile da
anni di una lunga scia di violenza in
tutto l’arcipelago asiatico. L’attacco
ha avuto luogo nella città di Patikul,
situata in una zona montagnosa della provincia di Sulu, nella regione
autonoma meridionale del Mindanao musulmano.
Nell’operazione i soldati, che hanno perso due effettivi, hanno usato
artiglieria e raid aerei per colpire le
basi del gruppo di ribelli secessionisti, legato alla rete di Al Qaeda, che
hanno tuttora nelle loro mani tre
ostaggi stranieri. Composto da centinaia di isole situate nel braccio di
mare che separa le Filippine dalla
Malaysia, l’arcipelago di Sulu è divenuto negli anni una delle roccaforti di Abu Sayyaf.
Il gruppo è responsabile del peggiore attentato nella storia delle Filippine, l’affondamento di un traghetto nella baia di Manila nel 2004
in cui morirono oltre cento persone.
Le milizie di Abu Sayyaf sono il
gruppo più piccolo a livello numerico, ma il più pericoloso e sanguinario fra i movimenti musulmani che
si battono per l’indipendenza del
sud delle Filippine, la sola nazione
asiatica a larga maggioranza cattolica. Sarebbero circa cinquecento i
componenti del gruppo, concentrati
attorno a Basilan e Jolo.
Tornata negoziale
tra Stati Uniti e Cuba
WASHINGTON, 26. Si terrà domani a
Washington la seconda tornata negoziale per la ripresa delle relazioni
diplomatiche tra gli Stati Uniti e
Cuba interrotte da oltre mezzo secolo. La data è stata confermata ieri
dal dipartimento di Stato americano. La prima sezione di colloqui si
era svolta il 22 e il 23 gennaio
all’Avana, sei settimane dopo la storica svolta nei rapporti tra i due
Paesi annunciata il 17 dicembre contemporaneamente dai presidenti Barack Obama e Raúl Castro.
La delegazione statunitense sarà
ancora una volta guidata da Roberta Jacobson, assistente segretario di
Stato agli affari dell’emisfero occidentale. A sua volta, alla guida di
quella cubana ci sarà di nuovo Josefina Vidal, direttore della sezione
del ministero degli Esteri per i rapporti con degli Stati Uniti. «Questi
negoziati portano avanti il dialogo
TEL AVIV, 26. Un incendio doloso
ha danneggiato un seminario greco-ortodosso per gli studi sulla
cristianità vicino alla Porta di Jaffa a Gerusalemme. Sui muri, secondo la radio militare israeliana,
sono state rinvenute scritte offensive e anticristiane. Nessuna vittima né feriti. La polizia — dopo
l’intervento dei pompieri che hanno spento l’incendio — sta indagando sull’atto criminale. La pista
più probabile sembra essere quella
di un’azione dei coloni ebrei ultraortodossi.
iniziato lo scorso 22 gennaio
all’Avana e rappresentano un passaggio chiave nella nuova direzione
delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba annunciate dal presidente Obama lo scorso 17 dicembre», si sottolinea nel comunicato del dipartimento di Stato di Washington.
I temi in agenda, già affrontati
nelle riunioni di gennaio all’Avana,
vanno dalla riapertura reciproca delle ambasciate, chiuse sin dal 1961
dopo la rivoluzione cubana, alla
cooperazione, alle regole per il commercio bilaterale, alla lotta al narcotraffico, alla protezione dell’ambiente, alle questioni legate alla sanità a
livello internazionale. Le due delegazioni sono inoltre chiamate a confrontarsi sulla questione dei diritti
umani, argomento intorno al quale
nella prima tornata negoziale sono
venute alla luce le divergenze più
evidenti.
Come sottolineano gli analisti,
Abu Sayyaf è legato alla più famigerata Jemaah Islamiah, un movimento radicale pan-asiatico responsabile
di attentati in Indonesia, fra cui la
strage del 2002 a Bali costata la vita
a oltre duecento persone, soprattutto
turisti stranieri.
Lo scorso 6 febbraio, un’altra battaglia tra i soldati e i ribelli di Abu
Sayyaf aveva causato almeno otto
morti tra i guerriglieri. Negli ultimi
quindici anni, Abu Sayyaf si è finanziato in particolare con i riscatti ottenuti da rapimenti di stranieri.
I violenti scontri tra esercito e ribelli separatisti musulmani hanno
avuto luogo poche ore prima della
visita ufficiale a Manila del presidente francese, François Hollande.
La lotta ai cambiamenti climatici
avrà un posto di primo piano nelle
discussioni con le autorità filippine,
in vista della Conferenza mondiale
sul clima che la Francia ospiterà a
Parigi a dicembre. Primo leader
francese in visita nel Paese asiatico
dal 1946, Hollande ha in programma
anche una tappa a Guiuan, nella
provincia orientale di Samar.
AMMAN, 26. L’ambasciata statunitense ad Amman mette in guardia
dal rischio di attentati contro possibili obiettivi in Giordania. La sede diplomatica ha riferito ieri di
aver ricevuto informazioni «credibili» di una «potenziale minaccia,
anche se è sconosciuto l’arco di
tempo e il tipo» di attentato che
potrebbe essere eseguito.
L’ambasciata statunitense ad
Amman ha poi sottolineato che,
anche se il Governo giordano ha
aumentato le misure di sicurezza,
gli impiegati della rappresentanza
diplomatica, le loro famiglie e in
generale tutti i cittadini americani
presenti nel Paese sono stati invitati a evitare «per precauzione» i
centri commerciali «nei prossimi
giorni».
Il portavoce dell’Esecutivo di
Amman, Mohammad Al Momani,
ha assicurato che, data la «situazione nella regione», le autorità
locali «continuano ad adottare le
misure per garantire la sicurezza
della popolazione».
I diritti traditi
delle minoranze in Myanmar
NAYPYIDAN, 26. L’Alto commissario
delle Nazioni Unite per i Diritti
umani, Zeid Raad Al Hussein, ha
rivolto ieri un appello alle autorità
del Myanmar affinché rispettino i
diritti delle minoranze. «Il Myanmar ha promesso di mettere fine
all’era dei prigionieri politici — ha
affermato Hussein in una nota —
ma ora sembra averne aperta un’altra, mettendo in carcere persone
che tentano di fruire delle libertà
democratiche che erano state garantite loro».
L’Alto commissario dell’Onu ha
poi ricordato che la comunità internazionale aveva accolto con favore
la transizione politica in Myanmar,
dopo l’arrivo al potere — nel 2011 —
di un Governo semi-civile, dopo
decenni di giunta militare.
«Ma i recenti sviluppi che riguardano i diritti umani delle minoranze, la libertà di espressione e il diritto alle proteste pacifiche stanno
mettendo in discussione il percorso
di riforme e minacciano di riportare
indietro» il Paese del sud-est asiatico, ha sottolineato Hussein.
L’Alto commissario ha citato il
caso di quattordici esponenti della
comunità michaungkan arrestati la
A New Delhi
dimezzata la bolletta della luce
NEW DELHI, 26. Il nuovo governatore di New Delhi, l’attivista
anti-corruzione Arvind Kejriwal,
ha annunciato un taglio della bolletta della luce del 50 per cento
per i cittadini della capitale indiana. Si tratta di una misura che era
stata annunciata durante la campagna elettorale dal leader del
Partito dell’Uomo comune (Aap),
che due settimane fa ha vinto le
elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa della metropoli,
battendo nettamente il candidato
del partito del premier, Narendra
Modi.
La riduzione vale per consumi
fino a quattrocento unità al mese,
che è quello delle famiglie più povere. Oltre allo sconto sull’elettricità, Kajriwal assicurerà anche
ventimila litri di acqua gratuita
mensile per ogni famiglia. Quest’ultima misura sarà introdotta a
partire dal primo marzo.
settimana scorsa per aver protestato
pacificamente contro la confisca
delle loro terre. Inoltre, ha denunciato Hussein, dieci giornalisti sono
stati arrestati lo scorso anno in base
all’applicazione di vecchie leggi sulla diffamazione e la sicurezza nazionale, mentre rimane alta la tensione
nello Stato nord-occidentale del
Rakhine, dove l’Onu parla di «aggressioni» e di «violenze indiscriminate da parte della comunità buddista» contro la minoranza musulmana dei rohingya, a cui il Governo
nega tuttora il riconoscimento della
cittadinanza del Myanmar. Un diritto negato, nonostante i rohingya
vivano da tre generazioni nel Paese
asiatico.
La difficile convivenza tra buddisti e rohingya è sfociata in gravi
episodi di violenza nel giugno del
2012, che hanno provocato la morte
di circa duecento persone e costretto migliaia di musulmani alla fuga,
chi cercando rifugio nei campi profughi, chi tentando la fuga via mare
verso la lontana Malaysia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
Il paziente
compare nelle statistiche
quando muore
Ma cosa accade quando
un malato terminale viene
dimesso dall’ospedale?
venerdì 27 febbraio 2015
Hospice e cure palliative a Reggio Calabria
I medici di Via delle stelle
di SILVIA GUSMANO
uando Fabrizio ha chiuso
gli occhi per l’ultima volta,
i cinque nipotini più grandi hanno poggiato al suo
fianco i loro disegni continuando a discutere su quale fosse il più bello. «D’ora in poi — aveva
chiesto il nonno poco prima — immaginatemi come un aquilone in alto nel cielo» e
loro via, di corsa, a prendere i colori più
Q
Una foto scattata durante la festa degli aquiloni a San Vito Lo Capo
accesi dell’astuccio per farlo contento,
riempiendo la stanza di scherzi e risa. Come sempre. Come nei giorni precedenti,
quando l’attesa della fine si è trasformata
in occasione di scambio e profondo incontro nel comune desiderio di chiudere al
meglio un capitolo che, di certo, non è stato l’ultimo né per Fabrizio, né per la sua
famiglia.
Chiunque abbia aspettato la morte al
fianco di una persona amata sa che tutto
ciò non ha prezzo. Poter riannodare i fili
lasciati in sospeso, riempendo di senso il
cammino fatto e immaginando un futuro
sereno anche nell’assenza fisica, ha a che
fare molto più con la vita che con la morte. È l’essenza stessa della vita che ciascun
malato dovrebbe avere il diritto di cogliere.
Soprattutto se la giovane età, la presenza
di familiari non autonomi, o le preoccupazioni materiali rendono la morte un lacerante incubo. Purtroppo però nella nostra
società garantire il diritto alla buona morte
così intesa è una missione difficile e rivoluzionaria. La missione di quanti, attraverso
le cure palliative, offrono ai malati inguaribili la possibilità di una vita degna.
Molta strada è stata fatta da quando Cicely Saunders ha aperto a Londra il primo
Hospice. Era il 1967 e l’infermiera inglese,
formatasi in un reparto di oncologia e laureatasi poi in medicina, creava un luogo
capace di accogliere in modo globale la
persona sofferente. Il suo progetto è più
attuale che mai, almeno in quella parte del
mondo dove si assiste a un costante avanzamento dell’età media, all’aumento di malattie terminali e al progresso delle cure
mediche in grado di ritardare l’esito negativo di alcune diagnosi.
Eppure il rifiuto più o meno consapevole verso certe tematiche, tende a respingere
spesso le cure palliative in un cono d’ombra, sia nel dibattito pubblico che nel dialogo medico-paziente. Per il sistema sanitario — spiega Angela Pacioni, infermiera —
contano solo i numeri e, in modo prioritario, quelli delle guarigioni. Il paziente
compare nelle statistiche quando è vivo,
quando si ammala e quando è morto. Ma
come e dove muore? E soprattutto, cosa
accade quando un malato terminale che
soffre di dolore cronico viene dimesso
dall’ospedale? A chi si rivolge la famiglia
per un aiuto clinico e psicologico?
In Italia gli Hospice iniziano a diffondersi e a ottenere un riconoscimento giuridico circa vent’anni fa, anche in risposta ai
profondi cambiamenti avvenuti nella famiglia. Quando superano i considerevoli
ostacoli burocratici ed economici, queste
nuove strutture si radicano subito sul territorio e incontrano il favore e la riconoscenza dei loro utenti, assistiti sia internamente, in ambienti confortevoli e personalizzati, sia in casa propria. Oggi si contano oltre 230 Hospice, ma la loro distribuzione —
principalmente al centro-nord — e le risorse di cui dispongono sono molto disomogenee.
Il dottor Vincenzo Trapani Lombardo si
muove in uno dei contesti socio-sanitari
più sofferenti del Paese, quello di Reggio
Calabria. Dopo trentacinque anni di lavoro
in corsia, anche come direttore sanitario,
una volta in pensione ha scelto di dedicar-
Paolo Silvestri, «Treno di gabbiani» (2003)
Recuperati dai carabinieri dodici frammenti trafugati dal comprensorio callistiano
Il ritorno del sarcofago
Un frammento del sarcofago
al momento della scoperta negli anni Sessanta
di FABRIZIO BISCONTI
Nella mattina del 25 febbraio, a Perugia, il
Comando dei carabinieri tutela del patrimonio culturale di Firenze ha riconsegnato ai responsabili della Pontificia commissione di archeologia sacra un gruppo di
dodici frammenti di un sarcofago marmoreo, trafugati nel 2003 dalla basilica ipogea e anonima della via Ardeatina, nei
pressi del comprensorio callistiano. I reperti erano stati sistemati nel parato murario esterno di un casale nei dintorni di
Norcia ed erano stati individuati da una
responsabile della Sovrintendenza archeologica di Perugia.
La scoperta è molto importante in
quanto il sarcofago rappresenta uno degli
esemplari più completi e complessi del tema cinegetico, così come si diffonde nelle
officine romane attive tra l’età di Gallieno
e gli esordi della tetrarchia. Sebbene molto frammentaria, la fronte dell’arca marmorea propone, infatti, oltre all’aulica e
fortunatissima caccia al leone di alessandrina memoria, anche la caccia al cervo e
al cinghiale, che calano nell’ambiente italico lo scontro frontale tra i cacciatori e la
selvaggina che popolava le foreste della
penisola.
Le peculiarità stilistiche e l’organizza- lità nell’altare tufaceo ancora visibile nel
zione iconografica della decorazione sem- presbiterio del complesso cultuale.
brano rimandare al tempo che va dalla seIl sarcofago deve essere appartenuto a
conda metà del III secolo e l’avvio del se- un defunto eccellente e dall’elevato potenguente.
ziale economico perché mostra tutti i caIl sarcofago venne rinvenuto già in ratteri di una scultura raffinata, estremaframmenti durante
mente curata nei
lo sterro della basipanneggi, nella gelica scoperta, negli
stualità, nel trattaLa tomba recuperata
anni Sessanta del
mento speciale risecolo scorso, da
servato alle capiè un documento simbolico
padre Antonio Fergliature delle figure
di quel museo diffuso
rua, nel lembo di
umane e alle pellicterra
prospiciente
ce degli animali,
costituito dai cimiteri cristiani
alla via Ardeatina
eseguite con il tradella Roma sotterranea
che si distende dalpano corrente.
la chiesa del DomiTutte queste peculiarità, unitamenne quo vadis? sino
alle catacombe di San Callisto. Il piccolo te alla preziosa cimasa che definisce tutto
edificio di culto, che si colloca al centro di il bordo superiore del sarcofago, rimandauna densa rete di gallerie catacombali, no a un atelier esclusivo e a una maestranpuò essere riferito — stando alla testimo- za dal grande bagaglio tecnico e culturale.
Secondo le intenzioni dei responsabili
nianza delle fonti medievali — al santuario
dei martiri greci sepolti con ogni probabi- della Pontificia commissione di archeolo-
La ricostruzione del sarcofago prima del furto
si completamente, da volontario, alla Fondazione Via delle Stelle e al suo Hospice,
di cui oggi è il presidente. «Mi ha appassionato l’aspetto umanitario — spiega — e
la possibilità di mettere davvero il malato e
la sua famiglia al centro, facendosi carico
in modo globale delle loro esigenze». Una
differenza notevole rispetto alla più comune prassi ospedaliera, soprattutto in certe
parti d’Italia. «Qui l’approccio è diretto —
continua Trapani Lombardo — e ogni paziente è a sé, non esiste un protocollo unico. Le cure palliative che in tanti casi procedono di pari passo con quelle attive, non
vanno confuse con la sola terapia del dolo-
gia sacra, dopo un accurato restauro il sarcofago troverà un’adeguata postazione nel
costituendo museo della Torretta, al centro
dell’evento, programmato per il prossimo
18 giugno, dedicato al “museo diffuso” e
alle recenti scoperte avvenute proprio nel
comprensorio callistiano.
In questo modo verrà reso il giusto merito all’attività integrata del Comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri,
della Sovrintendenza archeologica di Stato e della Pontificia commissione di archeologia sacra, i cui responsabili, in questi anni, non hanno mai interrotto la ricerca del sarcofago rubato nell’area delle
catacombe di San Callisto. Con la speranza di ricondurlo nel suo habitat originario
e di valorizzarlo, facendolo assurgere a
documento simbolico di quel museo diffuso che interessa lo straordinario giacimento dei materiali archeologici conservati nelle catacombe della Roma sotterranea
cristiana. Una speranza che ora potrà essere realizzata.
re». Combattere con i farmaci la sofferenza
fisica, infatti, è primario e basilare, ma non
esaurisce la missione dell’Hospice. Grazie
all’intervento e alla collaborazione di numerose figure — l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo, il medico, il referente
spirituale — si interviene su tutti gli aspetti
del dolore e sulle sue conseguenze, compresa l’elaborazione del lutto da parte dei
familiari. Rabbia, depressione, ansia, paura
non sono elementi collaterali e inevitabili
della malattia terminale. Sono fattori determinanti che devono essere curati al meglio,
per offrire ai pazienti la possibilità di una
vita dignitosa sino alla fine. In molti casi,
la loro serenità passa per un dialogo più
intimo o per la riconciliazione con Dio e
per questo a Via delle Stelle, oltre a un frate francescano, si trovano i rappresentanti
di diversi culti.
Quasi sempre poi, la priorità degli assistiti è il chiarimento delle questioni familiari: le decisioni in merito al futuro di chi
rimane, il recupero di rapporti lacerati o
trascurati, il desiderio di godere il più possibile, nel tempo rimasto, della vicinanza
dei propri cari. La missione dell’Hospice
può essere anche qui fondamentale. Ancora Trapani Lombardo: «Da noi le faide familiari sono assai frequenti, ma ho assistito
grazie alla mediazione dei nostri volontari,
a riconciliazioni eclatanti, anche tra fratelli
che non si parlavano da trent’anni».
Quando i pazienti sono soli, invece, il ruolo dell’Hospice si gioca sul piano dell’amicizia e della solidarietà, come nel caso recente dell’accoglienza a un signore senza
fissa dimora. Tutto ciò però passa per una
maggiore informazione sulla malattia e sulle finalità dell’Hospice, che ancora in Italia
soffre del pregiudizio di chi lo considera
un’anticamera della morte piuttosto che un
luogo che valorizza la vita. Per volontà
delle famiglie, inoltre, si ha ancora la tendenza a nascondere o sminuire la diagnosi,
un problema superato in Paesi come gli
Stati Uniti o la Gran Bretagna dove non si
prescinde mai da un dialogo chiaro e onesto con il paziente.
L’ostacolo principale all’attività della
Fondazione Via delle Stelle come di molte
altre strutture simili, tuttavia, è la sordità
delle istituzioni, sia sul fronte dei vincoli
burocratici, sia soprattutto sul fronte economico. È qui che Trapani Lombardo porta avanti la più difficile delle sue battaglie:
«non riusciamo a soddisfare tutte le richieste di aiuto, nonostante le donazioni e le
iniziative di beneficenza volte alla raccolta
fondi». E questo non è accettabile, a meno
di voler considerare, come troppo spesso
facciamo, i bisogni immateriali di una persona e la sua dignità umana aspetti irrilevanti e secondari della vita.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 27 febbraio 2015
pagina 5
Alan Turing negli anni Trenta sostenne
che se un problema è intuitivamente calcolabile
anche se non siamo capaci di risolverlo
deve esistere un dispositivo in grado di farlo
Pose così le basi per l’invenzione del computer
Raccontare la matematica
Sant’Agostino
e il numero 6
di CARLO MARIA POLVANI
L’editrice Il Mulino ha dato vita a
una collana intitolata Raccontare la
matematica. Il primo numero, curato
da Umberto Bottazzini, è dedicato
ai Numeri (Bologna, 2015, pagine
190, euro 14), mentre il secondo, di
Carlo Toffalori, riguarda gli Algoritmi (Bologna, 2015, pagine 198, euro
14). Entrambi i saggi permettono
l’accesso al mondo della matematica
anche a quanti ne hanno sempre
avuto il timore.
Il lavoro di Bottazzini affascina
nel suo elegante sforzo di indagine
sull’origine dei numeri e su quale
realtà rappresentino. L’autore, con
un linguaggio piacevole e chiaro, è
capace di spiegare la profondità racchiusa nel linguaggio dei numeri.
Partendo dall’idea che sebbene alcuni animali posseggano delle strutture protonumerali solo l’uomo ha
creato dei veri e propri sistemi numerici, il libro mette in luce i primi
passi dell’umanità nella scoperta
della numerazione. Dagli uomini
primitivi che intagliarono tacche
Jon Callas, «Alan Turing»
successive sulle ossa di animali uccisi, passando per le rappresentazioni
simboliche, spesso biometriche, di
valori numerici costanti — come
quelli usati dai romani con il segno
X per raffigurare il 10 o V per indicare il 5 — viene evidenziata l’importanza delle scoperte che permisero
la messa in opera di un impianto
che rendesse possibili calcoli complessi come quello del computo del
tempo e dei cambiamenti astrali.
I reperti archeologici di varie culture come quelle americane (i maya
calcolavano in base vigesimale, gli
inca usavano un complesso abaco
denominato quipu) o mediorientali
(gli assiri e i babilonesi utilizzavano
un sistema decimale misto) confermano l’affermarsi di alcuni numeri
su altri in quanto necessari per dare
un senso ai calcoli, fossero essi il 3,
il 7 o il 13, a seconda delle convenzioni culturali adottate. Ma a compiere un balzo di enorme importanza nella comprensione del numero
fu la cultura greca e in particolare
Pitagora.
Al di là dei miti e delle leggende
che fioriscono intorno al filosofo di
Samo furono i greci a percepire nel
numero una misura del cambiamento, facendo così del numero «la progressione che inizia dall’1 e la retrocessione che vi termina» come intuiva lo stesso Platone. Tutti i numeri
sono generati dall’1, come «punti
aventi posizione», e quindi possono
essere raffigurati spazialmente in insiemi triangolari, quadrati, pentagonali o di altra forma.
Questa rappresentazione geometrica aprì ai pitagorici osservazioni
inedite. Per esempio si poté notare
che nella serie di numeri triangolari
(ottenuti disegnando punti in modo
da formare triangoli ogni volta superiori di lato: 1, 3, 6, 10, 15 e così
via) la somma di due numeri conse-
cutivi è sempre uguale al quadrato
dei numeri naturali (1 + 3 = 4 = 2²; 3
+ 6 = 9 = 3²; 6 + 10 = 16 = 4²; 10 + 15
= 25 = 5² e così via) e che la stessa
relazione si riesce, incredibilmente, a
stabilire con la somma dei numeri
dispari corrispondente al quadrato
del numero di fattori sommati (1 + 3
= 4 = 2²; 1 + 3 + 5 = 9 = 3²; 1 + 3 + 5
+ 7 = 16 = 4²; 1 + 3 + 5 + 7 + 9 = 25 =
5² e così via).
Da queste osservazioni anche i
misteri più arcani dei numeri venivano svelati e categorie quasi mistiche o per lo meno esoteriche avrebbero ispirato generazioni di matematici illustri. È il caso dei cosiddetti “numeri amici” (ognuno dei
quali è la somma dei divisori dell’altro, come per esempio 220 e 284: 1
+ 2 + 4 + 5 + 10 + 11 + 20 + 22 + 44 +
55 + 110 = 284 e 1 + 2 + 4 + 71 + 142 =
220) o dei cosiddetti “numeri perfetti” (uguali alla somma dei loro
divisori, come 6 = 3 + 2 + 1) o dei
“numeri primi” (divisibili solo per 1
e per loro stessi).
Straordinariamente interessante si
rivelò la questione del numero zero,
strettamente
collegata
con il concetto del nulla che, per essere rappresentato, necessita di
un simbolo a parte, il
quale, a sua volta, afferma l’esistenza stessa —
almeno a livello del linguaggio formale — di
qualche cosa che non
esiste: il nulla.
Non è del tutto chiaro come gli uomini arrivarono al concetto dello
zero. Pare comunque
che fu usato nella valle
dell’Indo e poi adottato
con il nome di zephir
dagli arabi. Da lì lo zero, imponendo ai sistemi numerici la posizionalità numerale (lo zero
o gli zeri venivano messi dietro le altre cifre)
permetteva l’emergere
di un nuovo sistema di
calcolo, introdotto in
occidente da Fibonacci (1170-1240)
con il Liber abaci, la cui base, dalla
disarmante ma rivoluzionaria semplicità, recitava che «con le cifre 9,
8, 7, 6, 5, 4, 3, 2 e 1 e con questo
simbolo: 0 (...) si può scrivere qualsiasi numero».
Da queste osservazioni nasce
quindi spontaneamente la domanda:
i numeri sono una creazione della
mente o una struttura formale di
rappresentazione? In questo contesto, come non notare che la successione di Fibonacci — dall’elementare
semplicità (la somma degli ultimi
due numeri dà il numero seguente:
1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così via) — si
adatta a delle realtà naturali insospettabili come la distribuzione dei
petali dei fiori? E bisogna considerare il teorema di Kurt Gödel (19061978) che recita «non è possibile co-
struire un sistema matematico assiomatico che sia allo stesso tempo in
grado di provare tutte le verità matematiche».
È proprio nel contesto di queste
domande che risulta altrettanto riuscito il lavoro di Carlo Toffalori sugli algoritmi. Forse più difficile da
leggere per chi non è avvezzo alla
matematica, il lavoro rimane tuttavia
brillante e accessibile. In esso la natura degli algoritmi è spiegata nel
suo senso più puro, ossia la capacità
di essere modi di calcolo privilegiato così duttili da prevedere il reale a
partire dalla decomposizione delle
esperienze di calcolo passate.
Per mezzo di esempi classici come
il problema dei ponti di Könisberg
(oggi, Kaliningrad) risolto da Leonardo Eulero (1707-1783), il libro
sonda i limiti della calcolabilità numerica, per arrivare a spiegare che le
E in pieno medioevo fu Fibonacci
a introdurre un principio
dalla rivoluzionaria semplicità
Con i segni che vanno da 0 a 9
si può scrivere qualsiasi cifra
nostre certezze matematiche trovano
spesso la loro fondatezza in algoritmi imperfetti ma comunque efficaci.
Il tentativo di disegnare algoritmi
per ogni possibile calcolo è infatti
sfociato nell’ipotesi straordinaria
formulata da Alan Turing (19121954) e da Alonzo Church (19031995): anche se ci sono problemi numerici semplicemente incalcolabili,
quando si affronta un problema intuitivamente calcolabile allora deve
esistere un dispositivo (come il computer) in grado di calcolarlo.
È quindi con una certa aspettativa che si attende l’uscita del terzo
lavoro sulla Matematica della natura,
che dovrebbe svelare alcuni dei
meccanismi matematici insiti nel
funzionamento dell’universo. Aspettandolo, ci si potrebbe interrogare
sul significato ultimo di un’affermazione di sant’Agostino che, riflettendo sul numero 6, in riferimento al
racconto della creazione nella Genesi, notava che «non possiamo dire
che il 6 sia un numero perfetto per
il fatto che Dio ha compiuto le sue
opere in 6 giorni, ma possiamo dire
che egli ha compiuto le sue opere in
6 giorni per il fatto che 6 è un numero perfetto; questo numero perciò sarebbe perfetto anche se queste
opere non ci fossero state; se invece
esso non fosse stato perfetto, Dio
non avrebbe di certo compiuto le
sue opere attenendosi a questo numero». Cosa intendeva dire il doctor
gratiae: che la verità è nei numeri o
che la verità è dei numeri? O forse
entrambe le cose?
I lunedì dell’arte
a Villa Cagnola
Sei incontri per leggere, apprezzare e riconoscere i simboli nascosti in alcune sorprendenti opere d’arte. «I lunedì dell’arte»
— questo il nome dell’iniziativa — si svolgeranno, a partire dal
2 marzo, in una delle più suggestive collezioni della provincia
di Varese, quella di Villa Cagnola, che raccoglie capolavori di
arte sacra collezionati dal conte Cagnola lungo tutto l’arco della sua vita. L’iniziativa, aperta al pubblico gratuitamente, è curata dai teologi e storici dell’arte François Bœspflug ed Emanuela Fogliadini. I lunedì saranno incentrati su temi di iconografia sacra e sui nodi storici per la pittura orientale e per quella occidentale. Non mancheranno letture approfondite di alcune opere d’arte conservate nella Villa, come Cristo portacroce di
Pietro da Messina. Il ciclo intende inoltre proporsi come un
costruttivo dialogo tra cristianesimo occidentale e mondo bizantino ortodosso.
Il documento di identità di Marie Jalowicz Simon
Marie Jalowicz Simon e la Shoah
Come emigrare
restando fermi
di ANNA FOA
ell’ottobre
1941,
quando cominciarono le deportazioni degli ebrei
tedeschi verso i
ghetti e i campi polacchi, a Berlino c’erano ancora circa cinquantacinquemila dei centosessantamila ebrei che vi vivevano
prima del 1933. Vivevano chiusi
nelle cosiddette “case degli
ebrei”, in condizioni miserevoli,
e dal 1938 avevano perduto ogni
residuo diritto.
Schedati, individuati, marchiati con una J nei documenti
e con una stella gialla nella fascia che erano obbligati a portare, avevano poche possibilità di
sfuggire alla deportazione e
quindi alla morte. Molti si suicidarono prima che la Gestapo
venisse a cercarli. Nel 1943,
N
«Sa, essere dichiarata
maggiorenne mi faciliterebbe
negli spostamenti
da un Lager all’altro»
dice al giudice nazista
quando tutti erano stati deportati, però, a Berlino erano rimaste
ancora poche migliaia di ebrei,
nascosti. Alcuni di loro sopravvissero fino alla fine della
guerra.
È questa, fra le altre, la storia
di Marie Jalowicz Simon, una
giovane ebrea di Berlino che nel
1942, quando la Gestapo venne
a cercarla per deportarla, riuscì
a fuggire ed entrò in clandestinità, passando di casa in casa, aiutata da amici ebrei non ancora
deportati e soprattutto dalla rete
clandestina antinazista. Per tre
anni, vivendo in ciascun rifugio
per poche settimane, Marie riuscì a sopravvivere. Si era preparata alla clandestinità con grande inventiva, facendo credere alla fabbrica in cui era costretta a
lavorare, la Siemens, di essere
stata già deportata, poi sfuggendo all’arresto.
Dopo la guerra, si iscrisse
all’università, si laureò in filologia classica, si sposò con un suo
antico compagno di scuola, anch’egli ebreo ed emigrato in Palestina, si stabilì con lui in Germania e insegnò all’università di
Berlino fino al 1982. Sembra che
fosse una straordinaria insegnante, molto amata dai suoi
studenti.
Fino al 1997, quando suo figlio, storico di professione, le
forzò la mano presentandosi davanti a lei con un registratore,
non aveva quasi mai parlato dei
suoi anni di clandestinità. Da allora, fino alla morte nel 1998,
Marie raccontò. Da quelle registrazioni è stato tratto un libro,
Clandestina. Una giovane donna
persone è difficilissima, in alcuni
casi Marie fa la serva, in altri
dorme con chi le dà ospitalità.
Ci sono momenti in cui si imbatte in persone di grande e coraggiosa generosità e momenti
in cui si trova obbligata a sopportare la ristrettezza mentale e
la prepotenza di altri. In tutto il
libro Marie è estremamente vitale, curiosa del mondo intorno,
attenta a sopravvivere, a scampare ai pericoli, pronta a godere
dei pochi momenti di felicità,
mai incline a lamentarsi della
sua sorte, in una sorta di giovanile cinismo che le fa dire al
giudice nazista a cui
aveva chiesto, quando ancora non era
clandestina, di essere dichiarata maggiorenne: «Sa, mi
faciliterebbe
nell’inevitabile spostamento da un campo
di concentramento
all’altro». Non c’è
rassegnazione né, al
limite, vera paura,
ma un gioco col destino la cui posta è
la vita. Certo, questa sua forza, questa
capacità di cogliere
l’ironia di ogni situazione, non possono non averle facilitato la sopravvivenza,
accanto
all’altro
grande
agente di queste vicende, il caso. Ma
la giovane Marie
Una tavola didattica sulle razze
tutto è meno che
in uso nelle scuole del Reich negli anni Trenta
una vittima designata, anche se proprio
quasi totalmente vietata agli a vittima era stata designata dal
ebrei, in cui le norme rendono nazismo.
loro la vita impossibile, poi una
Colpisce, nel libro, la vastità
Berlino priva di ebrei. Tutti, po- della rete antinazista. Formata
co alla volta, sono stati chiamati in gran parte di comunisti, ma
e deportati, tutti gli amici e i co- anche di operai che hanno avunoscenti ebrei della giovane Ma- to un passato politico e di gente
rie. Anche coloro che lavoravano comune, questa rete è uno dei
nelle fabbriche tedesche, ed era- protagonisti della vicenda, ciò
no per questo esentati dalla de- che consente di ottenere asilo,
portazione, come la giovane protezione per un momento, anMarie alla Siemens, sono tutti che solo uno sguardo complice
deportati nel 1943. Marie si è in- o di simpatia.
vece sottratta al suo destino, ma
È questa presenza, accanto al
è sola — i suoi genitori sono grande consenso goduto dai namorti — senza soldi, senza casa,
zisti, alle complicità dei più,
senza identità. I suoi documenall’indifferenza anche di chi non
ti, se mostrati, la condannano
condivideva l’antisemitismo naperché riportano la J di Jude.
zista, a consentire alla ragazza
Si è strappata dai vestiti la
stella gialla, reato di per sé pas- di restare in Germania a guerra
finita, di stabilire là la sua vita,
sibile di morte.
La sua sopravvivenza dipende di convincere anche il fidanzato,
dall’aiuto di chi la circonda, dal- che si era trasferito in Palestina,
le persone che conosceva prima a tornare in Germania? Di frondi entrare in clandestinità. Un te alle obiezioni che le venivano
suo tentativo di fuggire in Tur- rivolte, Marie scrisse infatti:
chia attraverso la Bulgaria falli- «Considero la mia emigrazione
sce. Comincia così la vita ramin- compiuta. Sono emigrata dalla
ga a Berlino, di casa in casa, Germania di Hitler a quella di
presso non ebrei antinazisti o Goethe e Sebastian Bach, dove
anche soltanto non nazisti, o an- mi sento perfettamente a mio
che presso convinti nazisti che agio. In altre parole: ho intennon sanno che Marie è ebrea. zione di restare in questo
La convivenza con tutte queste Paese».
sopravvissuta a Berlino. 19401945 (Torino, Einaudi, 2015, pagine 331, euro 20), che è frutto
da una parte della narrazione di
Marie Simon, dall’altra dei rigorosi e accuratissimi riscontri documentari operati dal figlio sul
suo racconto, di cui resta traccia
nel precisissimo registro dei nomi apposto al libro. Non un romanzo, quindi, ma una rigorosa
ricostruzione della vita di
un’ebrea a Berlino nella guerra,
una testimonianza, potremmo
definirla.
La Berlino di cui Marie ci
parla è, all’origine, una Berlino
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 27 febbraio 2015
Appello dei presuli
Per non abbandonare
la Siria
Varato dal ministero dell’Interno un esteso pacchetto di provvedimenti
Nuovo dialogo
con l’islam in Francia
PARIGI, 26. Dialogo, formazione, sicurezza, conoscenza dell’islam: sono
le quattro parole-chiave attorno alle
quali ruotano le misure illustrate ieri
dal ministro dell’Interno francese,
Bernard Cazeneuve, all’uscita dal
Consiglio dei ministri. Misure che
giungono circa un mese e mezzo
dopo i tragici attentati di Parigi e
una serie crescente di intimidazioni
nei confronti della comunità musulmana. Innanzitutto verrà creata, prima del 18 giugno (giorno di inizio
del prossimo Ramadan), una «istanza di dialogo» che riunirà la più
ampia rappresentanza possibile di
responsabili musulmani. Consultazioni saranno decise dai prefetti per
individuare i rappresentanti (intellettuali, operatori sul campo, associazioni) in grado di parteciparvi,
così come gli argomenti sui quali lavorare (formazione civile degli
imam, abbattimento e macellazione
rituale, sicurezza dei luoghi di culto,
organizzazione delle cappellanie).
Questa istanza non sostituirà il
Consiglio francese del culto musulmano e il suo funzionamento sarà
più flessibile, con diversi gruppi di
lavoro e una riunione prevista due
volte all’anno alla presenza del primo ministro (come già accade per il
culto cattolico con l’Instance Matignon).
L’offerta di formazione degli
imam e dei cappellani musulmani
verrà rafforzata, soprattutto attraver-
so un incoraggiamento a creare diplomi universitari di formazione civile e civica. L’obiettivo è che almeno una dozzina di istituti superiori
propongano tali diplomi da oggi alla fine dell’anno. In particolare i
cappellani — ha affermato Cazeneuve — «d’ora in poi verranno reclutati solo tra coloro che avranno ottenuto questi diplomi di formazione
ai principi fondamentali della Repubblica». Le lezioni non saranno
di contenuto religioso (escluso ogni
riferimento alla formazione teologica) poiché dovrà essere rispettato il
principio della laicità dello Stato.
Verrà inoltre istituita una fondazione per promuovere le iniziative
dell’islam di Francia, in collegamento con l’Istituto del mondo arabo.
Non si tratta, specifica il comunicato del ministero, di rilanciare la
Fondazione delle opere dell’islam di
Francia (nata nel 2005 e subito finita nel dimenticatoio) ma di contribuire alla ricerca, alla formazione,
alla diffusione della cultura affidandosi a una differente governance. La
fondazione dovrà essere in grado di
autofinanziarsi.
Gli istituti scolastici confessionali
verranno sollecitati a passare sotto
contratto con il ministero della Pubblica Istruzione. E direttive saranno
inviate a prefetti e rettori in modo
che utilizzino pienamente le loro
prerogative di controllo, soprattutto
sugli istituti fuori contratto. Verrà
inoltre organizzato un programma
di ricerca su islam di Francia, islamologia e mondo musulmano. Previste anche borse di studio per i
dottorandi impegnati su queste materie.
Capitolo a parte è quello della sicurezza (secondo stime fornite dal
ministero dell’Interno nel solo mese
di gennaio si sarebbe verificato nel
Paese un numero di episodi antimusulmani pari a quello dell’intero
2014). Verrà rafforzata la vigilanza
attorno alle moschee e ad altri luoghi di culto, sbloccando fondi per il
finanziamento di tecnologie come la
video-sorveglianza.
Dopo aver illustrato i provvedimenti, Cazeneuve si è recato a Bordeaux dove ha incontrato i responsabili della comunità musulmana.
Accompagnato dal rettore, Tareq
Oubrou, ha visitato la grande moschea, poi quella di rue des Menuts
e la moschea de Cenon. In quest’ultima, dopo aver salutato i rappresentanti del Consiglio regionale del
culto musulmano, ha letto un discorso nel quale ha tenuto a rassicurare la comunità islamica: «Sono cosciente dell’inquietudine che hanno
oggi molti connazionali musulmani.
Voglio dire loro che ne comprendo i
motivi e che farò tutto ciò che è in
mio potere per calmare le paure, rispondere alle legittime attese, tranquillizzare gli animi», ha concluso.
ALEPPO, 26. «Non abbandonateci,
non lasciateci soli». È il drammatico appello che l’arcivescovo di
Aleppo dei Greco-Melkiti, JeanClément Jeanbart, lancia da quella
che, suo malgrado, è diventata una
della città simbolo della guerra civile in Siria. «È appena caduto un
razzo — racconta il presule
all’agenzia Sir — siamo a circa cento metri dalla linea di demarcazione, al confine della città antica.
Ogni giorno muore qualcuno». La
notizia del rapimento delle decine
di cristiani — duecentoventi secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani — da parte dei jihadisti
del cosiddetto Stato islamico, che
ha conquistato alcuni villaggi cristiani nel Khabour, è arrivata fino
ad Aleppo e adesso sale la preoccupazione per la sorte dei rapiti.
Da parte del presule c’è anche la
denuncia dell’atteggiamento di sufficienza con il quale, almeno fino
ai gravi fatti di Parigi, la comunità
internazionale sembra avere guardato all’espandersi del fondamentalismo. «Ma per questa gente innocente, colpevole solo di professare
la fede cristiana, nessuno spende
mai una parola e ciò è davvero terribile», aggiunge l’arcivescovo, che
descrive anche la situazione di
«grave emergenza umanitaria» in
cui versa Aleppo. «In città — afferma — manca tutto: elettricità, cibo,
acqua, benzina, medicine. Le industrie sono state chiuse e i loro operai, più di un milione e duecentomila, ora sono privi di reddito. Le
infrastrutture sono state colpite e
distrutte dai bombardamenti dei ribelli e dei governativi. La vita è
sempre più dura, complice anche
l’inflazione che ha fatto quadruplicare i prezzi dei generi di prima
necessità». E, ancora: «Prima della
guerra qui abitavano oltre tre milioni di persone, oggi ne sono rimaste poco meno della metà. Gli
altri oggi ingrossano le fila dei profughi e degli sfollati. Come Chiesa
facciamo quel che possiamo forse
più delle ong, delle agenzie umanitarie e anche del Governo stesso,
aiutando quanta più gente possibile. Ma non basta».
Alle nazioni occidentali e alla
comunità internazionale si rivolge
anche l’appello del vicario apostolico di Aleppo dei Latini, Georges
Abou Khazen, affermando — come
riferisce AsiaNews — che «l’intervento militare contro lo Stato islamico non è la via giusta» per risolvere la crisi e restituire pace e sicurezza alla Siria e al Medio oriente.
L’Austria adotta una legge per contrastare l’estremismo
Più diritti e più doveri per i musulmani
VIENNA, 26. Il Parlamento austriaco
ha adottato mercoledì scorso una
legge che vieta il finanziamento agli
imam da parte di fondi stranieri e
impone ai religiosi di parlare la lingua tedesca.
Presentata dal Governo di grande
coalizione e adottata a larga maggioranza, la norma aggiorna quella
esistente, risalente al 1912, all’epoca
dell’annessione della Bosnia-Erzegovina all’Impero austro-ungarico.
Un testo che scontenta l’estrema
destra austriaca, ma anche i musulmani, che denunciano l’introduzione di norme più restrittive rispetto
a quelle applicate alle altre religioni
nel Paese.
L’iniziativa del Governo punta
«a riconoscere più diritti ai musulmani, ma anche a combattere le derive», ha sottolineato invece il ministro per l’Integrazione, Sebastian
Kurz. Con circa 8,5 milioni di abitanti, l’Austria conta circa 560.000
musulmani, per lo più di origine
turca e bosniaca. Per arginare il ri-
In una conferenza alla Mecca proposta la revisione dei programmi scolastici
Lotta alle fonti del terrorismo
RIAD, 26. Una revisione dei
programmi scolastici per favorire un «approccio moderato» alla religione, ma anche «una lotta contro la
corruzione, una riduzione
della disoccupazione e della
povertà». Sono queste due
delle principali ricette per
sconfiggere il terrorismo
raccomandate da una conferenza di religiosi islamici
sotto il patrocinio della casa
reale saudita e intitolata
«Islam e lotta al terrorismo», svoltasi nei giorni
scorsi alla Mecca.
I partecipanti hanno chiesto ai leader dei Paesi musulmani «lo sviluppo di una
strategia complessiva per
essiccare le fonti del terrorismo».
schio di indottrinamento e promuovere “un islam europeo'”, come ha
dichiarato Kurz, la legge vieta, come detto, il finanziamento alle organizzazioni religiose e agli imam
da parte di fondi esteri e impone ai
religiosi l’uso del tedesco nelle moschee, ma anche nuovi diritti come
il cibo halal a scuola e giorni di ferie nelle festività islamiche. Inoltre,
il testo stabilisce che le circa 450 organizzazioni musulmane presenti
nel Paese diano prova di un «approccio positivo verso la società e
lo Stato» per poter ottenere l’autorizzazione a operare in Austria. La
legge introduce, per la prima volta,
il diritto dei musulmani di avere religiosi nell’esercito, negli ospedali e
nelle case di riposo.
Dopo due anni di preparazione,
il nuovo testo non è direttamente
collegato ai recenti attacchi islamici
in Europa, ma ha assunto una nuova dimensione anche in considerazione del fatto che circa duecento
persone, tra cui donne e minori,
provenienti dall’Austria, si sono
uniti alle milizie jihadiste in Siria e
in Iraq. Secondo una delle principali autorità religiose musulmane in
Turchia, Mehmet Görmez, «la nuova normativa rappresenta un passo
indietro di 100 anni». Mentre per
Kurz l’obiettivo è quello di «evitare
qualsiasi tutela dall’estero. Ci auguriamo di avere in futuro sempre più
imam cresciuti in Austria, che parlino tedesco e che possano quindi
servire da esempio positivo per i
giovani musulmani».
Il testo è significativamente ridotto rispetto al primo progetto, che
prevedeva l’imposizione di una ver-
sione “ufficiale” del Corano in tedesco. Come altri Paesi dell’Ue, l’Austria sta affrontando la radicalizzazione di una frangia delle generazioni più giovani e dallo scorso dicembre ha lanciato un numero verde destinato a quanti vogliono denunciare episodi di estremismo. Secondo un sondaggio dell’istituto
Ogm, il 58 per cento degli austriaci
ritiene di stare assistendo a una “radicalizzazione” dei musulmani nel
Paese.
†
La Congregazione delle Cause dei
Santi partecipa commossa al grave
lutto del Rev.mo P. Vincenzo Criscuolo, O.F.M. Cap., Relatore Generale del
Dicastero, per la morte della sua amatissima Madre
Sig.ra
ELISABETTA ACETO
vedova Criscuolo
e prega perché il Signore Risorto la
accolga nella luce del Suo Regno in
compagnia dei Santi e Beati.
†
S.E. l’ambasciatore George Poulides,
e i figli Marcantonio, Fotis con
Kathleen e Danae, e Alexandros annunciano addolorati la scomparsa
dell’amata
MARIA EUGENIA
POULIDES
«Non ho mai creduto nella guerra
— precisa — perché essa crea ancora
più odio e divisioni». L’occidente,
prosegue il presule, dice di combattere questi gruppi «ma li aiuta
dall’altra parte. Chi compra il loro
petrolio, chi vende loro le armi, chi
è coinvolto nel traffico di reperti
archeologici, di beni antichi di inestimabile valore?». Insomma, ci sarebbe anche molta «ipocrisia» nella lotta ai terroristi, «che non si risolverà certo con le bombe, ma
smettendola di finanziare» i terroristi «a livello economico e militare.
Quello che chiediamo è di non aiutare questa gente, non vendere loro
le armi, lo diciamo da tempo ma
nessuno ci ascolta». Parole molto
simili a quelle dell'arcivescovo di
Hassaké-Nisibi dei Siri, Jacques
Behnan Hindo, che in una dichiarazione all’agenzia Fides ha denunciato le «politiche sciagurate» di
alcune nazioni, che hanno «portato
a questo caos» e hanno «distrutto
la Siria, facendoci regredire di 200
anni».
Una severa condanna degli «attacchi criminali» arriva anche dal
patriarca di Babilonia dei Caldei,
Louis Raphaël I Sako, che si unisce
agli appelli rivolti «alle comunità
regionale e internazionale di
proteggere i civili e di trovare in
tempi brevi una soluzione efficace,
seria e radicale al problema del terrorismo».
La Chiesa siro - ortodossa, nel
frattempo, ha diffuso un appello ai
fedeli emigrati all’estero e che ancora possiedono case a Qamishli,
nella provincia siriana di Hasaka,
perché le mettano a disposizione
dei cristiani che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi nella
zona di Khabur attaccati dalle milizie fondamentaliste. Migliaia di
fedeli siro ortodossi — si legge nel
comunicato
diffuso
dal
sito
Baghdadhope — hanno lasciato la
Siria già dal 2011, abbandonando le
proprie case senza venderle. A quei
fedeli fa appello la Chiesa, ricordando come le migliaia di sfollati
che si sono riversati nelle città di
Hasaka
e
Qamishli
abbiano
bisogno di un tetto e di un posto
sicuro.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 27 febbraio 2015
pagina 7
Pontificale bizantino
durante il concilio Vaticano
(13 novembre 1964)
II
che attualmente nell’occidente latino
esercitano il servizio pastorale decine
di sacerdoti provenienti dall’anglicanesimo e ordinati nella Chiesa latina, nonostante il loro stato coniugale. Questo fenomeno non sembra
che perturbi minimamente i fedeli o
il clero celibe.
Una nuova
situazione
Nuove norme per il clero orientale cattolico uxorato
Nel solco
del Vaticano
di CYRIL VASIL’*
Fino a qualche mese fa sembrava
che sulla presenza e il servizio pastorale del clero orientale cattolico
uxorato nella cosiddetta diaspora,
fuori cioè dei territori orientali tradizionali, non fosse possibile aggiungere nulla dal punto di vista storico
o normativo che non fosse già studiato e considerato. La questione è
riassunta nel canone 758 paragrafo 3
del Codex canonum ecclesiarum orientalium che recita: «A riguardo
dell’ammissione agli ordini sacri dei
coniugati si osservi il diritto particolare della propria Chiesa sui iuris o
le norme speciali stabilite dalla Sede
apostolica».
Seguendo la prassi antica, tutte le
Chiese orientali cattoliche (a eccezione di quelle siro-malabarese e siro-malankarese che hanno una normativa propria) possono ammettere
gli uomini sposati non solo al diaconato ma anche al presbiterato. Per
l’esercizio del ministero da parte del
clero uxorato fuori dei territori tradizionali di queste Chiese, si faceva invece riferimento alle norme speciali
stabilite dalla Sede apostolica. Un
recente e importante sviluppo della
relativa legislazione offre l’occasione
per richiamare i punti principali della questione nella sua prospettiva
storica e per la presentazione della
nuova normativa entrata in vigore.
A partire dal 1890 la Sede apostolica ha emanato direttive secondo le
quali i presbiteri delle Chiese
orientali cattoliche, che esercitavano
o avrebbero voluto esercitare la cura
pastorale dei loro fedeli orientali
fuori dei territori tradizionali, erano
vincolati all’obbligo del celibato
come per i chierici latini. Sporadici
casi di eventuale richiesta di
dispensa erano sottoposti alla Sede
apostolica.
La sessione plenaria della Congregazione per le Chiese orientali, tenutasi dal 19 al 22 novembre 2013 presso il Palazzo apostolico, ha trattato
ampiamente la questione ottenendo
al riguardo un ampio consenso dei
membri. Di conseguenza, il prefetto
della congregazione ha presentato al
Papa la richiesta di concedere alle rispettive autorità ecclesiastiche la facoltà di permettere, a determinate
condizioni, al clero uxorato orientale
l’esercizio del loro ministero anche
fuori dei territori orientali tradizionali.
Il Santo Padre, nell’udienza concessa al prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, cardinale
Leonardo Sandri, il 23 dicembre
2013, ha accolto questa richiesta, contrariis quibuslibet minime obstantibus, e
il testo delle nuove disposizioni è
stato pubblicato negli «Acta Apostolicae Sedis» (106, 2014, pp. 496-499)
con il titolo Pontificia praecepta de
clero uxorato Orientali e la data del 14
giugno 2014. Per poter comprendere
la portata di queste misure, sembra
opportuno almeno sommariamente
richiamare la storia della legislazione, dagli inizi all’attuale normativa,
più corrispondente all’attuale situazione.
zione latina trovava il suo appoggio
sia nella diffusa mentalità della prestantia ritus Latini, sia nella sottovalutazione delle particolari caratteristiche dei cattolici orientali. Ai vescovi americani di estrazione irlandese o tedesca la possibilità per il clero
orientale di essere coniugato era praticamente sconosciuta, estranea e
considerata inammissibile. Di conseguenza gli ordinari latini si rivolsero
con veemenza alla Sede apostolica
chiedendo di emanare norme restrittive che avrebbero eliminato la differenza disciplinare nei territori e tra i
fedeli affidati alla loro cura pastorale.
In seguito a tale insistenza la Sacra Congregazione di Propaganda
Fide, con decreto del 1° ottobre
1890, proibì al clero ruteno uxorato
di risiedere negli Stati Uniti d’America. Nel 1913 la Sede apostolica stabilì che in Canada solo i celibi potevano essere ordinati presbiteri e tra il
1929 e il 1930, la Sacra Congregazione per la Chiesa orientale emanò tre
decreti: Cum data fuerit del 1° marzo
1929 proibì l’esercizio del ministero
al clero ruteno uxorato in emigrazione nell’America del nord; Qua sollerti del 23 dicembre 1929 estese la
proibizione del ministero a tutto il
clero orientale uxorato emigrato in
America del Nord e del Sud, in Canada e in Australia; Graeci-Rutheni
del 24 maggio 1930 stabilì che solo
gli uomini celibi potevano essere
ammessi in seminario e promossi
all’ordine sacro.
Questi decreti, che inizialmente riguardavano solo il clero orientale
negli Stati Uniti e nel Canada, per
la prima volta introducevano l’obbligo generale del celibato per i chierici
cattolici orientali e costituivano una
sorta di precedente giuridico, che veniva poi esteso agli altri territori
considerati non orientali. La normativa veniva motivata dalla difficoltà
— ma forse anche con scarsa volontà
— di spiegare ai fedeli latini che il
celibato obbligatorio dei presbiteri
vige solo nella Chiesa latina, con la
preoccupazione e presunzione che la
presenza del clero cattolico orientale
uxorato sarebbe stata nociva al rispetto che i fedeli laici nutrono per
il clero cattolico e che questa, inoltre, avrebbe messo in pericolo il celibato dei presbiteri latini. Tutto sommato, dunque, i motivi che hanno
causato la nascita della norma restrittiva sembrano essere di natura
pratica e pastorale piuttosto che teologica ed ecclesiologica.
I
risultati
dell’introduzione
dell’obbligo del celibato per il clero
orientale cattolico sono stati controversi. Da una parte si arrivò all’uniformità della disciplina, ma dall’altra
le comunità cattoliche orientali si divisero. Nei primi decenni successivi
all’introduzione delle norme restrittive per il clero uxorato, circa duecentomila fedeli ruteni, vedendosi in pericolo di essere privato dei ministri
del loro rito, passarono all’ortodossia.
I fedeli e il clero rimasti nella
Chiesa cattolica si sottomisero a tale
normativa, ma restava un senso di
disagio. Infatti, nella disputa che
portò alla legislazione restrittiva, i
fedeli orientali non furono sufficientemente consultati e le esigenze dei
presbiteri e dei vescovi orientali non
vennero prese in debita considerazione e perciò tale legislazione fu
percepita come un’imposizione più
che uno sviluppo organico corrispondente alle tradizioni.
Il periodo
postconciliare
Dopo il Vaticano II, anche sulla
base delle affermazioni del decreto
Orientalium ecclesiarum sul rispetto
delle tradizioni orientali ubique terrarum, i capi di alcune Chiese orientali
Nascita
della norma restrittiva
Alla fine del XIX secolo la migrazione in America di cattolici orientali, in prevalenza slavi (ucraini, ruteni, slovacchi, ecc.), colse la gerarchia
latina locale del tutto impreparata
ad affrontare tale flusso migratorio
dal punto di vista pastorale e a comprenderne le peculiarità sociali ed
ecclesiali. L’idea originale di conglobare tutti cattolici sotto la giurisdi-
II
Giuseppe Monguzzi, «L’ultima cena» (1990)
cattoliche e altri gerarchi si sono rivolti alla Sede apostolica chiedendo
l’abrogazione della legislazione restrittiva. Infatti il concilio insegna
che le discipline particolari degli
orientali, raccomandate per veneran-
Oggi esistono circoscrizioni ecclesiastiche orientali praticamente in
tutti i continenti, e perciò la situazione dei cattolici orientali è del tutto differente da quella che esisteva
negli Stati Uniti d’America verso la
fine dell’Ottocento, quando nacque
la legislazione restrittiva per il clero
orientale uxorato, o negli anni settanta del secolo scorso, quando la
Chiesa latina doveva affrontare la
crisi dell’identità sacerdotale e le
contestazioni al celibato.
Negli ultimi decenni è cambiata
anche l’opinione generale dell’epi-
Lello Scorzelli, «Concilio Vaticano II»
da antichità, sono più corrispondenti
ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro
anime.
Nonostante ciò, in varie lettere
autografe di Paolo VI e Giovanni
Paolo II ai presuli delle Chiese melchita e ucraina veniva ribadita la
permanenza della norma restrittiva
per il clero uxorato in diaspora. Le
motivazioni addotte richiamavano la
gerarchia orientale au sens de l’Eglise
universelle e alla necessità di tenere
conto des répercussions que peuvent
provoquer chez d’autres rites de l’Eglise
Catholique. Concretamente, viene
specificato nella lettera della Congregazione per le Chiese orientali n.
344/70 del 30 gennaio 1980, di quelle ripercussioni que la présence de
prêtres orientaux mariés, … pose des
problèmes délicates aux communautés
de rite latin.
Come interpretare tale invito al
senso del bene della Chiesa universale e quali sono stati i problemi delicati del rito latino all’epoca connessi con la presenza del clero sposato?
Con ogni probabilità si può intravedere in tale invito l’ombra della grave crisi del celibato sacerdotale che
ha scosso la Chiesa latina, specialmente in occidente nel periodo postconciliare, in particolare negli anni
settanta del secolo scorso. I numerosi abbandoni del sacerdozio e la
contestazione diffusa della normativa latina sul celibato sono stati un
fenomeno che ha gravemente ferito
la Chiesa cattolica.
In quest’ottica si comprendono i
timori che la revoca della normativa
restrittiva per il clero orientale uxorato, richiesta dai presuli orientali,
sarebbe stata in quel periodo probabilmente manipolata e interpretata
come un argomento contro il celibato del clero latino e come un segno
della vacillazione della Chiesa di
fronte alle pressioni indebite, o addirittura sarebbe stata guardata con
una sorta di malcelata invidia da
una parte del clero latino, contestatario nei riguardi della normativa
tradizionale della Chiesa latina.
Dalla crisi postconciliare del celibato clericale nella Chiesa latina sono passati decenni. Va poi ricordato
scopato latino a proposito della possibilità e/o opportunità della presenza del clero orientale uxorato nei
Paesi occidentali. Questo è dimostrato anche dalle diverse conferenze
episcopali nei Paesi con una significativa presenza degli orientali cattolici, che hanno espresso il loro nulla
osta al ripristino della tradizionale
prassi orientale, anche se si deve segnalare che in alcune conferenze
episcopali ancora oggi prevale il desiderio di vedere i nuovi migranti
orientali spiritualmente serviti dal
clero esclusivamente celibe. Ma si
deve rilevare che anche in queste nazioni, diversi membri delle stesse
conferenze si rivolgono ripetutamente alla Congregazione per le Chiese
orientali per chiedere la regolarizzazione della presenza dei singoli presbiteri uxorati che con successo, sacrificio e stima del popolo di Dio,
lavorano nelle loro diocesi in favore
dei fedeli delle loro Chiese e del
proprio rito.
Tutte queste considerazioni costituiscono il contesto della nuova normativa, che prevede una triplice modalità del rapporto con la presenza
pastorale del clero orientale cattolico
uxorato. Gli orientali cattolici non
hanno dappertutto le loro strutture
amministrative gerarchiche e perciò
due punti delle norme pontificie
contemplano i modi di procedere riguardo all’ammissione del clero
orientale cattolico uxorato in queste
situazioni.
Nei territori dove i fedeli orientali
sono privi di ogni struttura ecclesiastica specifica e sono affidati alle cure dei vescovi latini del luogo, la facoltà di consentire il servizio pastorale del clero uxorato orientale è riservata alla Congregazione per le
Chiese orientali, che la eserciterà in
casi concreti ed eccezionali dopo
aver sentito il parere delle rispettive
conferenze episcopali. In quest’ultima ipotesi, e solo in essa, si continuerà infatti ad applicare la normativa che è stata decisa nella sessione
ordinaria della Congregazione per la
dottrina della fede del 20 febbraio
2008, approvata da Benedetto XVI e
che prima veniva applicata a tutte le
richieste riguardo al servizio del cle-
ro orientale cattolico uxorato fuori
dei territori tradizionali orientali.
In alcuni Paesi gli orientali cattolici sono privi di un gerarca proprio e
sono affidati alla cura di un ordinario, di solito un vescovo latino. In
questi ordinariati per i fedeli orientali la facoltà sopra menzionata viene
conferita agli ordinari, che la eserciteranno informando nei casi concreti
la rispettiva conferenza episcopale e
la Congregazione per le Chiese
orientali.
Nelle circoscrizioni ecclesiastiche
orientali (metropolie, eparchie, esarcati) costituite fuori dai territori tradizionali, la facoltà di consentire il
servizio pastorale del clero uxorato
orientale viene conferita ai gerarchi
orientali, che la eserciteranno secondo le tradizioni delle rispettive Chiese. Essi hanno altresì la facoltà di ordinare i candidati orientali uxorati
provenienti dalla rispettiva circoscrizione con l’obbligo di informare previamente per scritto il vescovo latino
di residenza del candidato, onde
averne il parere e ogni informazione
utile.
Tale facoltà prevede perciò la possibilità sia di invitare il clero sposato
dai territori considerati tradizionali
sia di conferire gli ordini sacri agli
uomini sposati provenienti da altri
territori. Per quest’ultima ipotesi ovviamente valgono le stesse condizioni dei candidati celibi: percorso spirituale, pastorale vocazionale, iter
degli studi filosofico-teologici e formazione seminaristica.
Questa prassi è infatti comune anche nei territori tradizionali delle
medesime Chiese che di regola prevedono un processo formativo comune e dello stesso spessore spirituale e intellettuale per tutti i candidati, sia quelli che si orientano verso
la scelta del celibato sia coloro che
prima della ricezione degli ordini sacri desiderano sposarsi. Unica differenza procedurale per i candidati al
sacerdozio sposati consiste nell’obbligo per il vescovo orientale di informare previamente e per iscritto il
vescovo latino del luogo di residenza
del candidato, chiedendo il suo parere o eventuali informazioni utili.
Tale dovere non è altro che una specificazione, che allarga e rende obbligatoria la procedura, che nel Codex canonum ecclesiarum orientalium è
lasciata alla discrezione del vescovo
se costui «lo giudica opportuno»
(canone 769, paragrafo 1, 6). Il Papa,
per ragioni prudenziali, ha deciso di
rendere obbligatoria questa possibilità che ha il vescovo nel caso di candidati uxorati, quando l’ordinazione
avviene fuori dei territori tradizionali
orientali.
La possibilità di soddisfare i bisogni pastorali con l’invito del clero
uxorato proveniente dai territori tradizionali non dispensa i relativi gerarchi costituiti fuori del territorio
dal dovere di una promozione delle
vocazioni locali, anzi allarga questa
pastorale vocazionale anche ai candidati che desiderano unire nelle loro
vite entrambe le vocazioni.
Il cambiamento della normativa
restrittiva circa il servizio pastorale
del clero orientale cattolico uxorato
fuori dei territori orientali tradizionali costituisce un eloquente segno
della fiducia che nutre il supremo legislatore nei confronti della gerarchia orientale cattolica e del riconfermato rispetto nei confronti della
diversità disciplinare che vige fra le
varie Chiese sui iuris orientali e la
Chiesa latina. A mezzo secolo dalla
pubblicazione del decreto conciliare
Orientalium ecclesiarum viene in questo modo confermata la strada intrapresa da questo decreto che ha uno
dei suoi capisaldi anche nella promulgazione nel 1990 del Codex canonum ecclesiarum orientalium: unica
Chiesa cattolica, ma due codici di
diritto canonico per questa varietas
ecclesiarum, diversi approcci disciplinari, liturgici, spirituali e teologici
per esprimere le stesse verità della
fede.
D’altra parte, di fronte a questo
tanto atteso gesto di fiducia si deve
sottolineare che una responsabile applicazione di tale facoltà non deve
costituire, neppure minimamente,
pregiudizio nei confronti del clero
celibatario, orientale o latino, né tanto meno una occasione per rivendicazioni o speculazioni indebite riguardo alla prassi latina sul celibato
e nei confronti dell’alta stima che
gode il celibato sacerdotale anche
nelle Chiese orientali cattoliche.
*Segretario della Congregazione
per le Chiese orientali
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 27 febbraio 2015
«Scene della vita di Elia»
(icona melchita, XVIII secolo)
Conferenza stampa della fondazione Centesimus annus
Più etica
nella finanza
Gli esercizi spirituali della Curia romana ad Ariccia
Senza paura
di perdere la faccia
Di fronte a chi è in difficoltà usiamo
il bastone della rigidità e delle categorie stabilite oppure l’abbraccio
della misericordia? È questa l’ultima
domanda lasciata alla meditazione
dei presenti da padre Bruno Secondin, nel pomeriggio di mercoledì 25
febbraio, a conclusione della giornata degli esercizi spirituali quaresimali in corso ad Ariccia per il Papa e la
Curia romana.
Nell’ambito della riflessione sul
tema del «lasciarsi sorprendere da
Dio», il carmelitano si è soffermato
sulla lettura del brano biblico di
Elia e la vedova di Sarepta (1 Re, 17,
2-24) accostato a quello parallelo nel
quale Eliseo fa risorgere il figlio della Sunammita (2 Re, 4, 25-37). Un
contesto che ha portato il predicatore a sottolineare un aspetto fondamentale nella vita di fede, il fatto,
cioè, che «i poveri ci evangelizzano».
La vedova povera che, pur avendo solo «un pugno di farina nella
giara e un po’ d’olio nell’orcio»,
ospita Elia, diventa occasione propizia di crescita interiore per il profeta. Elia, ha sottolineato padre Secondin, «era scorbutico, aggressivo». Gli stessi padri della Chiesa
commentando questi passi biblici
suggeriscono che «Dio cerca di raddrizzare Elia affinché si ammansisca». E il profeta viene quindi invia-
to a Sarepta dove riceve una prima
lezione dalla donna: la povertà e la
morte affrontate con dignità.
Inizialmente il profeta, attraverso
il miracolo del cibo che non finisce,
si presenta in vesti potenti, taumaturgiche. Poi però la morte del figlio della vedova lo costringe a
un’altra dimensione: si sente impotente e può solo invocare Dio, «affidarsi a Dio in nudità», riconoscere
che lui ha solo il potere «di gridare
il suo dubbio e di implorare». Ed è
allora, di fronte ai suoi gesti teneri e
all’ammissione della sua debolezza,
che la vedova riconosce un altro volto di Dio: il «Dio di compassione»,
il «Dio di misericordia», il «Dio che
abbraccia, che porta nella sua identità la nostra ferita».
È una storia che provoca domande per la storia personale di ognuno: «Siamo capaci di incontrare i
poveri per arrivare a incontrare la
verità? O abbiamo paura di perdere
la faccia?»; sappiamo riconoscere e
abbracciare chi ha un «“bimbo morto” nel suo cuore: violenze, traumi
infantili, divisioni, orrori...»? La nostra parola è quella saccente del taumaturgo o «la parola che implora»?
Di fronte a situazioni di dolore
«mandiamo avanti il canonista»,
usiamo «il bastone» o adoperiamo
«le braccia per abbracciare»?
Inizio della missione
del nunzio apostolico in Mali
Monsignor Santo Gangemi, arcivescovo titolare di Umbriatico, è
giunto all’aeroporto internazionale
di Bamako il 2 dicembre scorso.
Ricevuto da don Edmond Dembélé, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali (C.E.M.),
è stato accompagnato all’arcivescovado della capitale.
Il 3 dicembre, il rappresentante
pontificio ha presentato le lettere
commendatizie del cardinale Pietro
Parolin, segretario di Stato, al vescovo Jean Baptiste Tiama, presidente della C.E.M. Quest’ultimo gli
ha illustrato brevemente il volto
della Chiesa in Mali, piccola in
quanto a fedeli, ma animata da un
autentico spirito missionario che fa
guardare al futuro con speranza.
Da parte sua, il nunzio apostolico
ha assicurato che non mancherà di
impegnarsi per manifestare il volto
sollecito e paterno di Papa Francesco a tutti fedeli del Mali.
Nel tardo pomeriggio del 9 dicembre, monsignor Gangemi è stato ricevuto dal ministro degli Affari esteri, dell’Integrazione africana
e della Cooperazione internazionale, Abdoulaye Diop, per la consegna della copia delle lettere credenziali. Il ministro, dopo aver augurato il benvenuto al nunzio apostolico, ha manifestato l’apprezzamento per l’importante ruolo della
Chiesa cattolica in Mali evidenziatosi nei recenti momenti di crisi, e
si è soffermato sull’importanza della voce di Papa Francesco in merito a tante importanti questioni sulle quali i governanti di tutto il
mondo sono chiamati a decidere.
Nella mattinata dell’11 dicembre
ha avuto luogo la cerimonia di
presentazione delle lettere credenziali al presidente della Repubblica, Ibrahim Boubacar Keïta. Accompagnato da monsignor Jean
Zerbo, arcivescovo di Bamako, dal
segretario generale della C.E.M.,
monsignor Gangemi è stato ricevuto alla Cancelleria e introdotto nel
salone presidenziale, dove ha consegnato al presidente della Repubblica le sue lettere credenziali.
Il capo dello Stato ha invitato il
nuovo nunzio a un colloquio pri-
vato, nel corso del quale, dopo
aver portato il saluto benedicente
del Papa, il rappresentante pontificio ha manifestato l’intenzione di
lavorare per il bene della Chiesa,
promuovendo un dialogo costruttivo ed esemplare per la ricerca della
pace e la salvaguardia della libertà
della nazione maliana.
Nelle domeniche 7 e 14 dicembre, il nunzio apostolico ha presieduto, rispettivamente nelle cattedrali di San e di Bamako, la solenne Eucaristia e ha avuto l’occasione di rivolgere la sua parola alla
comunità ecclesiale.
Scelte concrete, atteggiamenti
chiari, come quelli suggeriti anche
dalla prima meditazione di giovedì
26, nella quale padre Secondin si è
soffermato sul tema della giustizia.
Tema centrale perché, ha sottolineato il predicatore, «l’impegno per la
giustizia è parte integrante della nostra sequela di Cristo, perché i poveri sono i privilegiati del Vangelo:
non è una mania populistica».
Un altro episodio della vita di
Elia narrato nel primo libro dei Re
(21, 1-29) ha fornito lo spunto per la
riflessione. Il re Acab vuole acquistare la vigna dell’umile Nabot, ma
il contadino rifiuta perché non vuole
fare torto all’eredità ricevuta dai
suoi padri. Allora la perfida regina
Gezabele organizza un’assemblea rituale con i rappresentanti del popolo nella quale, grazie a due false testimonianze, accusa Nabot di blasfemia e lo fa uccidere, consentendo
così ad Acab di ottenere il suo “giocattolo”. Elia allora pronuncia la
condanna divina contro Acab, il
quale si pente ottenendo da Dio
un’attenuazione della pena.
Un testo lungo, nel quale le psicologie dei vari personaggi — Acab
il frustrato, Gezabele la potente senza scrupoli, Nabot il pio, i rappresentanti del popolo privi di coscienza e succubi di dinamiche di stampo
mafioso — possono mettere allo scoperto anche tanti aspetti delle nostre
vite. Un testo che ha offerto l’occasione al predicatore carmelitano per
lanciare molte provocazioni.
Quante volte, ad esempio, «elementi sacri sono usati come copertura di procedimenti iniqui»? Veri e
propri «abissi di violenza vengono
aperti in nome di Dio» e «anche tra
noi cristiani» si ritrova «il sonno
della coscienza». Ma, ha rimarcato
padre Secondin, «quanto dovranno
gridare i poveri e gli oppressi?». E
pensando alle violenze che si consumano in Africa e in Medio oriente,
si è chiesto: «La coscienza degli europei non ha niente da rimproverarsi?». Il richiamo che viene dalle
Scritture è forte: «dobbiamo stare
dalla parte di tutti i Nabot della terra, difendere i diritti, accogliere le
vittime, spronare le coscienze, promuovere strutture, perché la terra è
di Dio, è un dono per la vita di tutti
e non per i capricci di qualcuno».
Ma la Scrittura, ha detto il predicatore, propone anche una «pedagogia dei piccoli gesti». Occorre, cioè,
«cominciare da noi stessi», convertire il proprio stile di vita, rivedere i
consumi («quanto spreco di cibo...»), avere trasparenza nell’agire,
fare il proprio dovere con onestà,
non esercitare l’autorità come potere
e come fonte di privilegi. E ancora:
«spezzare l’omertà, le coperture, gli
abusi».
Padre Secondin è tornato quindi
a considerare dinamiche e problemi
di interesse planetario: di fronte a
violenze come quelle dell’inquinamento, dell’accaparramento delle
terre fertili e delle acque a danno
dei popoli locali, o come quelle finanziarie nelle quali senza scrupoli,
con un semplice “clic”, fanno morire
le persone, dobbiamo recuperare la
forza del canto del Magnificat e
«avere il coraggio di denunciare».
Perché «Dio non sopporta i prepotenti». Ecco allora la domanda che
ha concluso la meditazione: «Sappiamo familiarizzare pubblicamente
con gli umiliati, con gli scarti della
violenza, o abbiamo paura di perdere la faccia per il Vangelo»?
Un regard chrétien. De la banque mé- dievali sui problemi economici del
diévale à la mondalisation financière loro tempo. La seconda parte è de(Les Plans sur Bex, Embrasure, dicata ai contributi più rilevanti
2013) del francese Pierre de Lauzun della dottrina sociale della Chiesa
è l’opera che ha vinto la seconda dei Papi moderni in ambito econoedizione del premio internazionale mico, soprattutto per quanto riEconomia e società, promosso dalla guarda il tema della finanza». E
fondazione Centesimus annus Pro proprio «sulla base di questi tesori
Pontifice. Il riconoscimento, che ha dottrinali, de Lauzun affronta nella
cadenza biennale, «intende pro- terza parte i problemi morali della
muovere la conoscenza della dottri- finanza contemporanea». In particolare «analizza il problema dei crina sociale della Chiesa cattolica».
Ad annunciarlo, in una conferen- teri vigenti nel sistema finanziario,
za nella Sala stampa della Santa della qualità della formazione dei
Sede, giovedì mattina 26 febbraio, prezzi, dell’importanza di una visioè stato il presidente della fondazio- ne a lungo termine, della realtà del
ne Domingo Sugranyes Bickel. Con valore aggiunto, del dominio dei rilui anche don Michael
Konrad, segretario della giuria del premio,
che è stata presieduta
dal cardinale Reinhard
Marx, arcivescovo di
Monaco e Frisinga e
coordinatore del Consiglio per l’economia.
Hanno preso la parola
anche monsignor Giuseppe Antonio Scotti,
membro della giuria, e
Massimo Gattamelata,
segretario generale della fondazione.
La consegna del premio a Pierre de Lauzun
avverrà — alla presenza
del cardinale segretario
«Banca medievale» (1330-1340, miniatura)
di Stato Pietro Parolin
— martedì 26 maggio,
al
Palazzo
della
Cancelleria, schi collettivi e dell’indebitanell’ambito del convegno interna- mento».
Da parte sua monsignor Scotti
zionale organizzato dal 25 al 27
maggio sul tema: «Ripensare le ca- ha ricordato, anche con riferimenti
ratteristiche chiave della vita econo- all’insegnamento di Papa Francemica e sociale». E così la fondazio- sco, che l’assegnazione del premio
ne rilancia il suo impegno scientifi- «non solo afferma che la ragione
co per rafforzare l’etica nella finan- può utilmente lasciarsi provocare
dalla fede, ma osa dire qualcosa di
za.
A tracciare un profilo del vincito- più. Afferma che le nostre parole di
re del premio è stato don Konrad. tutti i giorni, le parole che espriPierre de Lauzun, ha spiegato, «la- miamo nei momenti importanti delvora da decenni con grandi respon- la vita si possono usare solo a consabilità nel settore finanziario e dizione di tornare ad avere stima
bancario. Non si tratta di uno stu- della ragione e lasciare che anche la
dioso chiuso nella biblioteca, ma di fede la provochi. Solo così quelle
un uomo che da anni approfondi- parole che pure continuiamo a usasce la sua esperienza professionale re, come “bene comune”, “sussidiacon una ricca riflessione politica, rietà”, “solidarietà” — che poi altro
culturale e religiosa». In particolare non sono che i termini con i quali
è autore di studi «che vertono anzi- si declina la dottrina sociale della
tutto sui problemi legati all’econo- Chiesa — possono parlare nuovamia, alla finanza e alla democra- mente e condurre a una vita giusta,
zia», fondando «i suoi giudizi sul buona, ordinata, dove nessuno sia
confronto con la grande tradizione ritenuto uno “scarto”».
Al premio internazionale si è agdella cultura europea».
«Il testo premiato — ha reso noto giunto anche un riconoscimento
il segretario della giuria — si divide per giovani ricercatori in dottrina
in tre parti. Nella prima espone i sociale: lo hanno vinto l’austriaco
giudizi della Sacra scrittura, dei pa- Alexander Stummvoll e l’uruguaiadri della Chiesa e dei teologi me- no Arturo Bellocq Montano.
A colloquio con il cardinale John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington
Abbiamo qualcosa da dire
di NICOLA GORI
Periferia del mondo ma non della Chiesa: nella porpora conferitagli da Francesco lo scorso
14 febbraio il cardinale John Atcherley Dew,
arcivescovo di Wellington, vede un segno speciale di considerazione per la piccola comunità cattolica che abita la Nuova Zelanda e l’intera regione del Pacifico. In questa intervista
al nostro giornale il porporato ricorda che si
tratta di una Chiesa in crescita. E parla delle
nuove sfide che la attendono: l’immigrazione,
i cambiamenti climatici, l’accoglienza di persone di diverse culture e religioni.
Lei è il quarto cardinale neozelandese nella storia
del Paese. Come legge la scelta di Papa
Francesco?
La mia nomina a cardinale è soprattutto un
riconoscimento alla Chiesa cattolica in Nuova
Zelanda. Ritengo che il Pontefice, andando
incontro a Chiese numericamente e geograficamente piccole — come quella neozelandese
o quella del cardinale Soane Patita Paini Mafi, che è vescovo di Tonga, nel Pacifico — voglia dimostrare che le comunità ecclesiali in
Oceania hanno un contributo da dare alla vita della Chiesa. In questa parte del mondo ci
sono questioni, come i cambiamenti climatici
e la tratta di esseri umani, sulle quali possiamo dire qualcosa. Penso che, nominando cardinali provenienti da luoghi come la Nuova
Zelanda e Tonga, Papa Francesco stia ribadendo che la Chiesa è davvero universale.
Anche se piccola la Chiesa cattolica in Nuova
Zelanda sta crescendo. Qual è il ruolo dei laici?
La nostra Chiesa sta crescendo soprattutto
grazie all’immigrazione. Nel corso degli anni
abbiamo avuto molte ondate migratorie: persone provenienti dall’Europa dopo la seconda
guerra mondiale; negli anni Cinquanta e Sessanta e ancora oggi persone provenienti dalle
isole del Pacifico; e negli ultimi anni molte
persone provenienti da Paesi asiatici. In questo contesto anche i laici hanno, di fatto, un
ruolo importante nell’evangelizzazione. I vescovi della Nuova Zelanda cercano di sottolineare che nella Chiesa c’è un posto e un compito per tutti, e che ognuno è chiamato a
evangelizzare. La grande esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, e ora naturalmente quella di Papa Francesco l’Evangelii
gaudium, ci aiutano a incoraggiare e a coinvolgere le persone, invitandole a comprendere
che hanno un ruolo nell’evangelizzazione e
che essere cattolici significa interessarsi alle
questioni e ai problemi che toccano la società
umana. Vuol dire anche schierarsi a favore di
valori che promuovono la dignità umana e
contribuire ad aiutare le persone ad avere una
qualità di vita migliore. Per questo abbiamo
bisogno di cristiani ben formati dalla dottrina
sociale della Chiesa e plasmati secondo il
Vangelo, per portare gioia e pace autentica
nella nostra vita.
Come state rispondendo alle sfide poste del fenomeno delle migrazioni?
Si deve considerare che la sfida della migrazione ne pone altre che chiamano all’impegno il nostro clero e le nostre parrocchie. Occorre prendere coscienza che la gente viene da
noi con il proprio bagaglio religioso, racchiuso anche in determinate espressioni cultuali e
devozionali. Comprendendo le loro tradizioni,
noi cerchiamo di accoglierli nella società neozelandese e di inserirli in ciò che ha reso la
Nuova Zelanda il Paese che è attualmente.
Destano preoccupazione le conseguenze sempre più
gravi dei cambiamenti climatici. C’è una nuova
attenzione alla questione ecologica?
In questa parte del mondo e in molte isole
del Pacifico il pericolo dell’innalzamento del
livello dei mari è motivo di grande preoccupazione. Molti cattolici, specialmente i giovani, ormai conoscono bene le questioni riguardanti l’ecologia. Il nostro ruolo è quello di incoraggiare le persone a una maggiore consapevolezza, cercando i modi per aiutarle a riconoscere che tutto l’ambiente in cui viviamo
è un dono di Dio e dunque abbiamo il dovere di prendercene cura.
Come state vivendo questo Anno dedicato alla vita consacrata?
Ci sono molte persone straordinarie che vivono la loro consacrazione religiosa in questa
regione del mondo. La loro testimonianza ci
offre una nuova opportunità per promuovere
la vita consacrata e chiedere a tutti di riflettere sulla possibilità della vocazione. Ci dà anche l’opportunità di ringraziare i tanti sacerdoti, religiosi e religiose che con la loro scelta
vocazionale hanno arricchito la Chiesa in
Nuova Zelanda.