18/2/2015 - Studio Ducoli

QUADERN
/ MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Divieto di domande
nuove in appello
valido solo per i
“motivi”
Blocco degli aumenti contributivi
per i professionisti “senza
Cassa”
/ Alfio CISSELLO
Applicazione, anche nell’anno in corso, dell’aliquota del 27%, già
vigente nel 2013 e 2014
Nel processo di secondo grado vige il divieto di domande nuove,
e tale principio è contenuto
nell’art. 57 del DLgs. 546/92, secondo cui “nel giudizio di appello
non possono proporsi domande
nuove e, se proposte, debbono
essere dichiarate inammissibili
d’ufficio”, e “non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.
Ciò è un corollario del principio
del doppio grado di giurisdizione: l’oggetto dell’appello deve essere circoscritto alle domande ed
alle eccezioni formulate dalle
parti in primo grado siccome, nel
caso opposto, la domanda verrebbe esaminata per la prima volta
in appello, con conseguente perdita di un grado di giudizio.
Tanto premesso, vi è da dire che
il divieto di domande nuove assume un “volto” particolare nel [...]
/ Francesca TOSCO
Professionisti “senza Cassa” iscritti in via
esclusiva alla Gestione separata INPS e non
pensionati esentati, anche per il 2015, dall’innalzamento della contribuzione, grazie all’applicazione, anche nell’anno in corso, dell’aliquota contributiva previdenziale del 27% – già vigente negli anni 2013 e 2014 – in luogo di quella del 30%.
È quanto prevede uno degli emendamenti al Ddl.
di conversione del “Milleproroghe” (il DL n.
192/2014), approvati dalle Commissioni Affari
costituzionali e Bilancio della Camera.
Si ricorda che, per il 2014, l’art. 1, comma 744
della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014) aveva disposto, per i lavoratori autonomi titolari di
partita IVA, iscritti alla Gestione separata INPS
perché privi di Cassa di categoria, che non risultassero assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie, né pensionati, il mantenimento dell’aliquota contributiva previdenziale
in vigore nel 2013, pari al 27%.
Gli aumenti contributivi stabiliti dall’art. 1,
comma 79 della L. 247/2007 (e successive modifiche e integrazioni) avevano, dunque, interessa-
A PAGINA 2
A PAGINA 3
INEVIDENZA
CONTABILITÀ
Visto infedele sul 730, stabilite le modalità di invio
delle rettifiche
Dichiarazione IVA “unificata” anche per il 2015
Nota integrativa in
XBRL a partire dal 3
marzo
/ Savino GALLO
I sindaci “obbligatori” di srl hanno il potere di
denuncia al Tribunale
Voluntary disclosure meno pesante per gli
investimenti in Svizzera
Riforma del Catasto alla prova dell’invarianza di
gettito
ALTRENOTIZIE
to soltanto gli altri iscritti alla Gestione. Erano state così accolte le istanze dei professionisti, categoria sulla quale grava per intero
l’onere contributivo (fatta salva la facoltà di
rivalsa del 4%), con obbligo di provvedere al
pagamento di quanto dovuto con le modalità
e alle scadenze previste per il versamento
dell’IRPEF.
Nessun provvedimento di blocco era stato, invece, inserito nella L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) e ciò ha fatto sì che, per tutti gli
iscritti alla Gestione separata (ivi compresi i
professionisti “senza Cassa”), fosse tornata ad
essere pienamente applicabile la progressione degli incrementi di cui al sopra citato art.
della L. 247/2007.
Più nello specifico, come confermato anche
dall’INPS nella recente circ. n. 27/2015 (si veda “Operativi gli aumenti per tutti gli iscritti
alla Gestione separata” del 6 febbraio), per il
corrente anno, si era venuta a delineare una situazione caratterizzata dall’applicazione:
- agli iscritti alla Gestione separata assicurati anche presso altre forme [...]
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L’obbligo di predisporre anche la Nota integrativa in formato elaborabile scatterà per i
bilanci chiusi al 31 dicembre 2014 o successivamente, ma solo se approvati a partire dal
prossimo 3 marzo (incluso). La conferma
dell’indiscrezione circolata le scorse settimane (si veda “Nuova tassonomia XBRL solo
per i bilanci approvati «dopo» il 3 marzo
2015” del 27 gennaio) è arrivata ieri, con la
pubblicazione di un comunicato stampa ufficiale sul sito di [...]
A PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Divieto di domande nuove in appello valido
solo per i “motivi”
Detto concetto non vale per le argomentazioni dei motivi addotti
/ Alfio CISSELLO
Nel processo di secondo grado vige il divieto di domande
nuove, e tale principio è contenuto nell’art. 57 del DLgs.
546/92, secondo cui “nel giudizio di appello non possono
proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”, e “non possono proporsi
nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.
Ciò è un corollario del principio del doppio grado di giurisdizione: l’oggetto dell’appello deve essere circoscritto alle
domande ed alle eccezioni formulate dalle parti in primo
grado siccome, nel caso opposto, la domanda verrebbe esaminata per la prima volta in appello, con conseguente perdita di un grado di giudizio.
Tanto premesso, vi è da dire che il divieto di domande nuove assume un “volto” particolare nel processo tributario.
Per l’ente impositore, l’emanazione dell’atto impositivo
“cristallizza” la motivazione, che non può mai essere integrata nel corso del giudizio, e tale fatto, in un certo senso,
comporta la perdita di rilievo del divieto di domande
nuove. Già nel primo grado l’ente impositore non può
vantare una pretesa ulteriore o diversa rispetto a quanto
contenuto nel provvedimento impositivo.
Nei confronti del contribuente, il discorso, in un certo senso,
appare simile.
Il contenzioso tributario è un processo d’impugnazione, e i
motivi di ricorso devono essere contenuti nel ricorso stesso,
non potendo essere integrati né nelle memorie né in appello. Allora, il divieto di domande nuove in appello potrebbe
ritenersi “assorbito” dal divieto di integrazione dei motivi di
ricorso, vigente anche per il primo grado.
Detto ciò, la giurisprudenza ha individuato alcune ipotesi
che non rientrano nel concetto di “domanda nuova”, per cui
possono essere sollevate in appello e, verrebbe da dire, in
primo grado successivamente al ricorso nella memoria illu-
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
strativa.
Nella sentenza della Cassazione n. 18729 del 5 settembre
2014 i giudici hanno affermato che la domanda non va confusa con l’argomentazione ad essa sottostante: così, non è
violato il divieto di domande nuove qualora il contribuente,
in primo grado, abbia eccepito la nullità dell’atto per vizi
della notifica e, in appello, abbia precisato che la nullità, tra
l’altro, deriva dalla violazione dell’art. 65 del DPR 600/73,
in tema di notifica degli atti agli eredi del contribuente defunto.
Arduo distinguere le illustrazioni dalle argomentazioni
Se si accetta questa tesi, prendendo il descritto esempio del
vizio di notifica, nel ricorso di primo grado il contribuente
potrebbe censurare tale vizio sulla base di qualsiasi argomentazione (illegittimità della notifica “diretta”, mancanza
di relata, eccetera), poi, nella memoria o in appello potrebbe
“allargare” la censura richiamando l’illegittimità circa
l’utilizzo della procedura per gli “irreperibili assoluti”.
Rientriamo, a questo punto, in un ambito quasi filosofico, relativo alla distinzione tra “integrazione” ed “illustrazione”
di un motivo di ricorso.
Per cautela, onde evitare eccezioni di inammissibilità del
motivo di appello per violazione dell’art. 57 del DLgs.
546/92, è comunque opportuno evitare di sollevare specifici
vizi solo in appello, stante la difficoltà, come appena
evidenziato, di distinguere l’illustrazione dall’integrazione.
Così, tornando all’esempio di prima, è bene che già nel ricorso di primo grado si evidenzi l’illegittimità circa l’utilizzo della procedura per gli “irreperibili assoluti”, riservandosi, nelle fasi successive, di spiegare meglio solamente il
perché di tale illegittimità.
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
Blocco degli aumenti contributivi per i
professionisti “senza Cassa”
Applicazione, anche nell’anno in corso, dell’aliquota del 27%, già vigente nel 2013 e
2014
/ Francesca TOSCO
Professionisti “senza Cassa” iscritti in via esclusiva alla
Gestione separata INPS e non pensionati esentati, anche
per il 2015, dall’innalzamento della contribuzione, grazie
all’applicazione, anche nell’anno in corso, dell’aliquota contributiva previdenziale del 27% – già vigente negli anni
2013 e 2014 – in luogo di quella del 30%.
È quanto prevede uno degli emendamenti al Ddl. di
conversione del “Milleproroghe” (il DL n. 192/2014),
approvati dalle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio
della Camera.
Si ricorda che, per il 2014, l’art. 1, comma 744 della L.
147/2013 (legge di stabilità 2014) aveva disposto, per i lavoratori autonomi titolari di partita IVA, iscritti alla Gestione
separata INPS perché privi di Cassa di categoria, che non risultassero assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie, né pensionati, il mantenimento dell’aliquota
contributiva previdenziale in vigore nel 2013, pari al 27%.
Gli aumenti contributivi stabiliti dall’art. 1, comma 79 della L. 247/2007 (e successive modifiche e integrazioni) avevano, dunque, interessato soltanto gli altri iscritti alla Gestione. Erano state così accolte le istanze dei professionisti,
categoria sulla quale grava per intero l’onere contributivo
(fatta salva la facoltà di rivalsa del 4%), con obbligo di
provvedere al pagamento di quanto dovuto con le modalità
e alle scadenze previste per il versamento dell’IRPEF.
Nessun provvedimento di blocco era stato, invece, inserito
nella L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) e ciò ha fatto sì
che, per tutti gli iscritti alla Gestione separata (ivi compresi i professionisti “senza Cassa”), fosse tornata ad essere pienamente applicabile la progressione degli incrementi di cui
al sopra citato art. della L. 247/2007.
Più nello specifico, come confermato anche dall’INPS nella
recente circ. n. 27/2015 (si veda “Operativi gli aumenti per
tutti gli iscritti alla Gestione separata” del 6 febbraio), per il
corrente anno, si era venuta a delineare una situazione carat-
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
terizzata dall’applicazione:
- agli iscritti alla Gestione separata assicurati anche presso
altre forme previdenziali obbligatorie o già pensionati, di
un’aliquota contributiva previdenziale (di finanziamento e di
computo) pari al 23,50%, superiore dell’1,50% rispetto a
quella del 2014;
- agli iscritti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie, né pensionati di un’aliquota contributiva
previdenziale (di finanziamento e di computo) pari al 30%
(cui si aggiunge lo 0,72% a titolo assistenziale), con un aumento, quindi, di 2 punti percentuali per i collaboratori
“parasubordinati” (lavoratori a progetto e categorie “assimilate”, quali collaboratori coordinati e continuativi, associati in partecipazione che apportano solo lavoro, venditori a
domicilio e lavoratori autonomi occasionali), in relazione ai
quali l’aliquota 2014 ammontava al 28% (più lo 0,72%), e
di ben 3 punti percentuali per i lavoratori autonomi con
partita IVA, in relazione ai quali l’aliquota 2014 era rimasta
pari, come si è detto, al 27% (più lo 0,72%).
Ora, la situazione è nuovamente destinata a cambiare.
L’emendamento in esame, infatti, intervenendo sull’art. 1,
comma 744 della L. 147/2013, ridetermina l’aliquota contributiva previdenziale per i liberi professionisti iscritti alla
sola Gestione separata che non siano titolari di pensione,
nelle seguenti misure:
- 27% per gli anni 2014 e 2015 (in luogo, rispettivamente,
del 28 e del 30% previsti dalla normativa vigente);
- 28% per l’anno 2016 (in luogo del 31%);
- 29% per l’anno 2017 (in luogo del 32%).
Con riguardo agli oneri finanziari derivanti, pari a 120 milioni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, si prevede
una copertura mediante la riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica e del Fondo speciale
di parte corrente.
/ 03
ancora
CONTABILITÀ
Nota integrativa in XBRL a partire dal 3
marzo
Tutti i bilanci approvati, e non depositati, da quella data in poi dovranno seguire la
nuova tassonomia integrata
/ Savino GALLO
L’obbligo di predisporre anche la Nota integrativa in formato elaborabile scatterà per i bilanci chiusi al 31 dicembre
2014 o successivamente, ma solo se approvati a partire dal
prossimo 3 marzo (incluso). La conferma dell’indiscrezione
circolata le scorse settimane (si veda “Nuova tassonomia
XBRL solo per i bilanci approvati «dopo» il 3 marzo 2015”
del 27 gennaio) è arrivata ieri, con la pubblicazione di un
comunicato stampa ufficiale sul sito di XBRL Italia.
Una nota con cui l’associazione rende conto della riunione
del Consiglio Direttivo del 16 febbraio, durante la quale si è
discusso proprio dell’entrata in vigore dell’obbligo di deposito del bilancio secondo la nuova tassonomia XBRL,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 294 del 19 dicembre
2014.
Sulla data del 3 marzo, infatti, erano sorti diversi dubbi interpretativi, non risultando chiaro se dovesse essere considerata come termine ultimo per il deposito o per l’approvazione del bilancio d’esercizio nel vecchio formato (con Nota
integrativa in pdf). I commercialisti, in particolare, spingevano per questa seconda ipotesi, convinti che, spiegava il Tesoriere del CNDCEC, Roberto Cunsolo, “avrebbe prodotto minori difficoltà operative per le imprese”.
Una posizione condivisa da Unioncamere e Infocamere, che
hanno assicurato la propria disponibilità ad accettare il deposito dei bilanci con Nota integrativa in pdf se approvati
entro il 2 marzo 2015. Di qui, il cambio di orientamento da
parte di XBRL Italia, la quale conferma che “l’obbligo di
deposito con la nuova tassonomia decorrerà dal 3 marzo
2015, ma con riferimento ai bilanci d’esercizio approvati a
partire da tale data e relativi a periodi amministrativi
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
chiusi il 31 dicembre 2014 o successivamente”.
“Noi commercialisti – spiega Cunsolo, soddisfatto per la decisione ufficializzata da XBRL Italia – abbiamo posto fin da
subito il problema dell’interpretazione della norma in merito alla data di entrata in vigore della nuova tassonomia. Come rappresentante del nostro Consiglio nazionale, ho sollevato la questione sia nel Consiglio direttivo dell’associazione XBRL Italia, sia nell’Osservatorio Unioncamere. Alla fine, il buon senso ha prevalso e la decisione assunta oggi
(ieri, ndr) dimostra la bontà delle nostre affermazioni”.
A partire dai bilanci d’esercizio approvati dal prossimo 3
marzo, dunque, la pratica di deposito presso il Registro delle imprese dovrebbe contenere un documento con prospetto
contabile e Nota Integrativa, codificato in XBRL sulla base
della nuova versione della tassonomia (versione 2014-1117), e gli allegati di bilancio, che rimangono in formato
pdf. A questo proposito, però, si attendono ancora le specifiche istruzioni da parte di Unioncamere che, a breve, dovrebbe pubblicare la Guida al deposito bilanci 2015 (sul tema,
continua il tavolo tecnico con il CNDCEC).
Nell’attesa, si ricorda che la nuova tassonomia integrata codifica solo il bilancio individuale d’esercizio, sia in forma
ordinaria che abbreviata, ma non anche quello consolidato
(si veda, da ultimo, “Pratica di deposito differenziata per il
bilancio XBRL” del 19 gennaio). Quest’ultimo, infatti, almeno per la campagna bilanci 2015, continuerà a seguire la
precedente tassonomia (versione 2011-01-04 n. 1.10), che
prevede l’utilizzo del formato XBRL per i soli schemi
quantitativi e il deposito della Nota integrativa nel
tradizionale formato pdf.
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ancora
FISCO
Visto infedele sul 730, stabilite le modalità
di invio delle rettifiche
Per evitare la responsabilità per l’imposta, il professionista o CAF deve trasmettere un
nuovo modello 730 specificando i dati variati
/ Massimo NEGRO
Il professionista o CAF che rilascia un visto di conformità
infedele sul modello 730/2015 può evitare la nuova responsabilità per l’imposta (e i relativi interessi) se, entro il 10
novembre 2015, invia all’Agenzia delle Entrate un nuovo
modello 730 corretto, con l’indicazione dei dati variati.
È la novità che emerge dalle istruzioni per lo svolgimento
degli adempimenti previsti per l’assistenza fiscale, approvate dall’Agenzia delle Entrate con il provvedimento pubblicato ieri, unitamente alle specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei modelli 730/2015.
A seguito dell’introduzione del modello 730 precompilato,
l’art. 6 comma 1 del DLgs. 175/2014 ha apportato rilevanti
modifiche all’art. 39 del DLgs. 241/97, in relazione al regime sanzionatorio per il rilascio del visto di conformità
infedele.
In relazione ai modelli 730, i professionisti e i CAF che rilasciano il visto di conformità infedele non sono infatti più
soggetti alla sanzione amministrativa da 258 a 2.582 euro,
ma diventano tenuti al pagamento di una somma:
- pari all’importo dell’imposta, della sanzione del 30% (ex
art. 13 del DLgs. 471/97) e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente ai sensi dell’art. 36-ter del DPR
600/73 (controllo formale delle dichiarazioni);
- nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore.
In conseguenza alle critiche avanzate dagli operatori e dagli
organismi professionali, è stato stabilito che la suddetta responsabilità del professionista o del CAF non si applica
qualora il visto infedele sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.
Al di fuori dei suddetti casi di dolo o colpa grave del contribuente, il professionista o il CAF potrà evitare la responsabilità relativa all’imposta (e agli interessi) solo se, entro il 10
novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa:
- trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente;
- ovvero, se il contribuente non intende presentare la nuova
dichiarazione, trasmette una comunicazione dei dati relativi alla rettifica.
Con il provvedimento pubblicato ieri dall’Agenzia delle Entrate, sono state precisate le modalità con cui effettuare tale
comunicazione rettificativa.
La trasmissione delle informazioni relative ai dati rettificati deve avvenire mediante il medesimo flusso telematico utilizzato per la trasmissione del modello 730/2015, in conformità alle indicazioni presenti nel relativo tracciato
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
telematico xml.
In particolare, il professionista o il CAF:
- deve barrare la casella “Comunicazione dati rettificati Caf
o professionista”, che è stata inserita nel modello 730-3 (prospetto di liquidazione del modello 730);
- deve compilare integralmente il modello 730 con tutti i
dati, anche quelli non variati;
- deve compilare il prospetto di liquidazione (modello 730-3)
in modo coerente con i dati rettificati;
- non deve riportare i dati relativi alle scelte per la destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, né
i dati relativi al sostituto d’imposta;
- non deve riportare i dati relativi alla firma del contribuente;
- non deve trasmettere i dati relativi al modello 730-4 (comunicazione dei risultati contabili per l’effettuazione dei conguagli da parte del sostituto d’imposta);
- deve compilare la sezione relativa ai dati variati, in conformità alle indicazioni presenti nelle specifiche xml del
modello 730/2015.
Per ciascun dato oggetto di rettifica, nella sezione relativa
ai dati variati deve essere indicato:
- il modulo oggetto di rettifica (dato obbligatorio);
- il quadro e il rigo interessati (dati obbligatori);
- la colonna interessata (dato facoltativo).
Inoltre, nel caso in cui il dato sia stato rimosso (ad esempio
detrazione totalmente non spettante), occorre barrare
l’apposita casella.
Le suddette istruzioni vanno seguite tassativamente; gli
eventuali errori sono bloccanti senza possibilità di conferma.
Nell’ipotesi di trasmissione di una dichiarazione rettificativa del contribuente, il versamento della maggiore imposta
dovuta e dei relativi interessi ricade infatti sul contribuente
stesso, mentre la somma dovuta dal professionista o dal CAF
è pari all’importo della sola sanzione del 30%.
Con le istruzioni fornite ieri, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che tale conclusione si applica anche quando non è
stata presentata la dichiarazione rettificativa del contribuente, ma il professionista o il CAF invia la suddetta rettifica
del precedente modello 730 trasmesso con il visto infedele.
In ogni caso, è previsto che la sanzione si riduce ad un ottavo, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b) del DLgs. 472/97,
quindi al 3,75%, se il relativo versamento viene effettuato
entro la stessa data del 10 novembre.
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ancora
FISCO
Dichiarazione IVA “unificata” anche per il
2015
Un emendamento al DL “Milleproroghe” rinvia di un anno l’abolizione della
comunicazione dati IVA
/ Emanuele GRECO
In sede di conversione del DL 192/2014 (“Milleproroghe”),
attualmente all’esame dell’Aula alla Camera, un emendamento approvato ieri dalle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio prevede il rinvio al 2016 della decorrenza
dell’abolizione, rispettivamente:
- dell’obbligo di presentazione della dichiarazione IVA in
forma unificata;
- della comunicazione dati IVA.
Si ricorda che l’art. 1 comma 641 della legge di stabilità
2015 (L. 23 dicembre 2014 n. 190) aveva previsto l’abolizione della possibilità di presentare la dichiarazione annuale
IVA in forma unificata e l’abolizione della comunicazione
dati IVA già a decorrere dal periodo di imposta 2015 (vale
a dire dalla stagione dichiarativa 2016).
La proroga alle dichiarazioni 2017 (relative all’anno di imposta 2016) prevista dal legislatore appare ragionevole considerato anche che, in virtù delle nuove norme in materia di
rimborsi IVA, può essere necessario più tempo al fine di
potere presentare la dichiarazione annuale munita del visto
di conformità (o della sottoscrizione alternativa da parte
dell’organo di controllo contabile).
In virtù dell’emendamento approvato (a condizione, naturalmente, che il decreto sia convertito in legge entro il 1° marzo 2015 con questa formulazione), la dichiarazione IVA
annuale:
- relativa al 2015 (modello IVA 2016) potrà essere presentata anche congiuntamente al modello UNICO, entro il 30 settembre 2016, laddove ricorrano le condizioni per farlo;
- relativa al 2016 (modello IVA 2017) dovrà essere
presentata esclusivamente in forma autonoma, entro il 28
febbraio 2017.
Di conseguenza, resta obbligatoria per il 2016 la presentazione della comunicazione annuale dati IVA, di cui all’art.
8-bis del DPR 22 luglio 1998 n. 322, riferita al 2015, qualora non si provveda a presentare la dichiarazione annuale entro la fine del mese di febbraio.
Solamente a decorrere dal febbraio 2017, la comunicazione
dati IVA sarà abolita.
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
In definitiva, alla luce della nuova disciplina, diviene obbligatorio ciò che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 8bis comma 2 del DPR 322/98 da parte del DL 78/2009, costituisce una facoltà per i contribuenti, vale a dire la presentazione della dichiarazione annuale in via autonoma entro
la fine di febbraio in luogo della comunicazione annuale dati
IVA.
L’anticipazione a fine febbraio del termine di presentazione
della dichiarazione annuale IVA è conforme con la normativa comunitaria (art. 252 comma 1 della direttiva
2006/112/CE), secondo cui gli Stati membri sono tenuti a
fornire le informazioni relative alle operazioni attive e passive effettuate dai contribuenti entro due mesi dalla fine del
periodo d’imposta, per consentire il calcolo delle risorse
proprie di spettanza dell’Unione europea.
Tra le altre novità che in qualche modo “correggono” le disposizioni in materia di IVA contenute nella legge di stabilità 2015, vi è la modifica alla disciplina che prevede la corresponsione, in favore dell’appaltatore, di un’anticipazione
del prezzo pattuito, nell’ambito dei contratti di pubblico
appalto, ai sensi dell’art. 26-ter del DL 69/2013 (c.d.
decreto “Fare”).
Al fine di “arginare” gli effetti negativi, in termini di liquidità, per i fornitori delle Pubbliche Amministrazioni dovuti
all’entrata in vigore del regime di “split payment”, l’emendamento approvato nella giornata di ieri prevede:
- la proroga al 31 dicembre 2016 delle disposizioni in materia di anticipazione del prezzo in favore dell’appaltatore;
- l’aumento dal 10% al 20% dell’importo contrattuale che
deve essere corrisposto anticipatamente all’appaltatore (importo che era già stato innalzato al 15% da parte di un emendamento precedentemente approvato).
La disposizione si applica con esclusivo riferimento ai contratti di appalto relativi a lavori affidati a seguito di gare
bandite (o di altre procedure di affidamento) avviate successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione
del DL 192/2014.
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ancora
IMPRESA
I sindaci “obbligatori” di srl hanno il potere
di denuncia al Tribunale
Il Tribunale di Bologna si pone lungo la scia della prevalente giurisprudenza di merito
che si oppone alla soluzione fornita in materia dalla Cassazione
/ Maurizio MEOLI
Il collegio sindacale di nomina obbligatoria in una srl ha
anche il potere di denunciare al Tribunale le gravi irregolarità dell’organo gestorio ex art. 2409 c.c. L’importante
precisazione è resa dal Tribunale di Bologna nel
provvedimento del 4 febbraio 2015.
La rilevanza della decisione deriva non solo dalla delicatezza della materia, ma anche dal fatto che su di essa, nonostante un intervento della Cassazione che ha negato tale potere (cfr. Cass. n. 403/2010), seguito da una parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Firenze 25 ottobre 2011 e
Trib. Piacenza 27 giugno 2012), numerosi altri giudici continuano a pensarla diversamente (cfr. Trib. Milano 26 marzo
2010, Trib. Trieste 21 gennaio 2011, Trib. Ascoli Piceno 1
marzo 2013 e Trib. Venezia 13 marzo 2013).
A giudizio della Suprema Corte, in estrema sintesi, al riconoscimento del potere in questione al collegio sindacale di
srl, sia esso facoltativo che obbligatorio, osterebbero: la
formulazione letterale delle disposizioni (dal momento che
l’art. 2409 c.c. non è in alcun modo richiamato nella disciplina delle srl e l’art. 92 disp. att. c.c., in ordine al decreto di
nomina dell’amministratore giudiziario, ex art. 2409 c.c., fa
esclusivo riferimento alle spa ed alle sapa); l’intenzione del
legislatore (desumibile dalla Relazione illustrativa del
DLgs. 6/2003, dove si sottolinea la superfluità e contraddittorietà con il sistema delle srl della previsione di forme di intervento del giudice); i diversi connotati attribuiti alle srl
rispetto alle spa.
Secondo i giudici bolognesi tali argomenti non sarebbero
decisivi per affermare che il legislatore ha inteso “radicalmente” escludere il controllo giurisdizionale ex art. 2409
c.c., a prescindere dalla sussistenza di ipotesi peculiari. La
base del ragionamento è rappresentata dalla seguente considerazione: in esito alla riforma del diritto societario, lo schema tipico della srl è privo sia del collegio sindacale (o del
sindaco unico) che del controllo giurisdizionale. Non è, tuttavia, possibile escludere che, in presenza di determinate peculiarità, sia possibile il ricorso all’art. 2409 c.c. Tali particolarità sono da ravvisare non solo nelle srl “società sportive” (ex L. 91/1981), dove è espressamente sancita l’applicabilità dell’art. 2409 c.c., ma anche nelle ipotesi in cui l’art
2477 c.c. impone la presenza dell’organo di controllo.
Rispetto a ciò, l’argomento secondo il quale l’esclusione del
controllo giurisdizionale sarebbe la fisiologica conseguenza
dell’estensione dei poteri di controllo dei soci “cade” in
quelle situazioni in cui le irregolarità gestionali vengono a
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coincidere con gli interessi dei soci (ad esempio, amministratore/socio unico), dove è evidente come l’assenza di adeguati poteri in capo all’organo di controllo aggravi il rischio
di depauperamento del patrimonio sociale. Difficile, inoltre, da individuare una ratio per l’esclusione del controllo
giurisdizionale in capo al collegio sindacale di nomina obbligatoria nelle srl; così rischiandosi un’ingiustificata differenziazione rispetto ai sindaci di spa.
A sostegno dell’inammissibilità dell’art. 2409 c.c., poi, non
rileva la lettera dell’art. 2477 comma 5 c.c., come inserito
dal DL 5/2012 convertito. Nel testo normativo, in caso di nomina di un organo di controllo, si è passati dal rinvio “alle
disposizioni in tema di spa” al rinvio “alle disposizioni sul
collegio sindacale previste per la spa”. Posta l’equivalenza
tra l’espressione “disposizioni previste per la spa” e
l’espressione “disposizioni in tema di spa”, infatti, la novità è rappresentata dallo specifico riferimento alle disposizioni “sul collegio sindacale”. Ma, sottolinea il Tribunale di
Bologna, una simile formula può essere intesa sia nel senso
di un ulteriore distanziamento della disciplina della srl da
quella delle spa, intendendosi il richiamo al collegio sindacale con esclusivo riferimento alle disposizioni riguardanti
l’organo, sia nel senso opposto, valorizzando la posizione
e le funzioni del collegio sindacale nel contesto della spa.
Probabilmente, conclude la decisione in commento, sono
proprio tali dubbi a giustificare la “vaghezza” di talune
espressioni utilizzate dalla Corte Costituzionale nell’affrontare la questione di legittimità costituzionale prospettata dal
Tribunale di Tivoli (ordinanza del 29 marzo 2012). Secondo
quest’ultimo giudice, infatti, le “insuperabili” argomentazioni utilizzate dalla Cassazione n. 403/2010 finirebbero per negare ai sindaci il potere di intervento su atti di “mala gestio”,
esponendo gli stessi ad una responsabilità per fatto del terzo
(l’amministratore) rispetto al quale non si disporrebbe di alcun potere e, pertanto, ad una responsabilità che potrebbe
addirittura considerarsi come di natura oggettiva.
A fronte di ciò, il Giudice delle Leggi, con ordinanza n.
116/2014, nel dichiarare la questione “manifestamente inammissibile”, ha sottolineato come il giudice rimettente non
avrebbe adeguatamente considerato la modifica all’art. 2477
comma 5 c.c., “sicuramente innovativa in parte qua”.
Secondo autorevole dottrina, peraltro, tali indicazioni della
Corte Costituzionale sarebbero tutt’altro che vaghe, aprendo al controllo giudiziario da parte dei sindaci di srl.
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ancora
FISCO
Voluntary disclosure meno pesante per gli
investimenti in Svizzera
Probabile dimezzamento dei termini per sanzionare il modulo RW per Stati black list
che firmano l’accordo sullo scambio di informazioni con l’Italia
/ Salvatore SANNA
Nuovi ritocchi in arrivo per la voluntary disclosure, in
attesa della pubblicazione della circolare esplicativa da parte
dell’Agenzia delle Entrate.
Tra gli emendamenti al Ddl. di conversione del “Milleproroghe”, nel testo approvato dalle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio e approdato ieri all’esame dell’Aula, ne
figura uno proposto dal medesimo relatore della L. 186/2014
sulla voluntary disclosure, che consentirebbe di beneficiare
del dimezzamento dei termini per l’irrogazione delle sanzioni per violazioni sul modulo RW per i soggetti che aderiranno alla collaborazione volontaria in relazione agli investimenti detenuti in Paesi black list che firmeranno con l’Italia l’accordo sullo scambio di informazioni fiscali entro il 2
marzo 2015.
Il dimezzamento dei termini per contestare l’omessa compilazione modulo RW dovrebbe riguardare in primo luogo la
Svizzera e il Liechtenstein, con cui l’Italia ha già concordato il Protocollo che modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni e che, sostanzialmente, adegua le disposizioni in materia di scambio di informazioni ai più recenti standard internazionali.
Secondo alcune anticipazioni, si troverebbero in fase avanzata anche le trattative con il Principato di Monaco, per
giungere alla firma di un protocollo simile.
Con la normativa in vigore, la firma dell’Accordo tra Italia e
Stato black list sarebbe già in grado di produrre effetti significativi. Infatti, ma solo ai fini dell’adesione alla voluntary
disclosure, per gli investimenti in tali Paesi non si applicherebbe il raddoppio dei termini per l’accertamento previsto
dall’art. 12 comma 2 del DL 78/2009, qualora venisse rilasciata all’intermediario estero del Paese a fiscalità privilegiata un’autorizzazione a trasmettere all’Agenzia delle Entrate
tutti i dati concernenti le attività oggetto di disclosure.
Inoltre, la stipula dell’accordo consente, a coloro che optano
per la disclosure, di evitare il raddoppio delle sanzioni di
cui all’art. 1 del DLgs. 471/97 (omessa dichiarazione e dichiarazione infedele) previsto dall’art. 12 comma 2 del DL
78/2009. In sostanza, la sanzione minima rimarrebbe quella
del 100% (120% in caso di dichiarazione omessa), aumentata di un terzo per i redditi prodotti all’estero.
Si ricorda, poi, che restano fermi i benefici delle disposizioni in materia di collaborazione volontaria: pertanto, la sanzione sopracitata viene ridotta del 25%.
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Infine, le sanzioni indicate nell’atto derivante dalla collaborazione volontaria potranno essere ulteriormente ridotte:
- a un sesto, in caso di adesione all’invito al contradditorio
(art. 5 comma 1-bis del DLgs. 218/97);
- ad un terzo, in caso di istanza di accertamento con adesione.
Il 3% si applicherebbe al massimo per 5 anni
In relazione alle violazioni concernenti il modulo RW per
tutti gli anni accertabili, a seguito della firma dell’Accordo,
per le attività finanziarie e patrimoniali detenute in Svizzera
o Liechtenstein si beneficerà della sanzione minima del
3%.
Se l’emendamento dovesse essere approvato in via definitiva, potrebbero essere contestate le violazioni da RW soltanto a partire dal 2009. Nello specifico, il contribuente dovrebbe sanare l’omessa dichiarazione degli investimenti posseduti al 31 dicembre 2009 (UNICO 2010), al 31 dicembre
2010 (UNICO 2011), al 31 dicembre 2011 (UNICO 2012),
al 31 dicembre 2012 (UNICO 2013) e per tutto il 2013
(UNICO 2014, con le novità della L. 97/2013).
Sempre in applicazione della procedura di collaborazione
volontaria, occorre considerare le specifiche riduzioni delle
sanzioni ivi previste. Pertanto, la sanzione base del 3% calcolata per ogni annualità accertabile potrà essere ridotta del
50% se:
- le attività sono trasferite in un Paese Ue, Norvegia o Islanda (anche attraverso il rimpatrio giuridico);
- ovvero se sono detenute in altri Paesi, ma il contribuente
autorizza l’intermediario non residente, presso il quale le
attività sono depositate, a trasmettere all’Agenzia delle Entrate tutti i dati relativi a tali attività, allegando copia
dell’autorizzazione controfirmata all’istanza di
collaborazione volontaria.
Infine, le sanzioni potranno essere ulteriormente ridotte ad
un terzo definendo l’atto di contestazione ai sensi dell’art.
16 del DLgs. 472/97.
In concreto, se dovesse essere approvato l’emendamento in
commento, si potrebbe beneficiare di una sanzione dello
0,50% per ogni annualità per cui si è omessa la
compilazione del modulo RW fino a un massimo di cinque.
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FISCO
Riforma del Catasto alla prova
dell’invarianza di gettito
Orlandi e Casero ribadiscono che la riforma avverrà senza maggiori tasse; venerdì in
Consiglio dei Ministri anche il decreto sui criteri estimativi
/ Antonio PICCOLO
Dopo il DLgs. n. 198/2014 che ha disciplinato la composizione, le attribuzioni e il funzionamento delle Commissioni
censuarie, sembra tutto pronto per la presentazione del decreto delegato sui criteri estimativi, che dovrebbe avvenire
nel Consiglio dei Ministri di venerdì 20 febbraio. Ieri, commentando il nuovo “step” della riforma del Catasto, in occasione della presentazione della quinta edizione del Rapporto
sugli immobili in Italia (a cura dell’Agenzia delle Entrate e
del Dipartimento delle Finanze), sia la direttrice dell’Amministrazione finanziaria Rossella Orlandi che il Viceministro
all’Economia Luigi Casero hanno ribadito che il nuovo sistema non porterà maggiori tasse. Garantire l’invarianza di
gettito delle singole imposte è previsto, in effetti, dall’art. 2,
comma 3, lettera l) della L. n. 23/2014. Tuttavia, su
Eutekne.info si erano già manifestate perplessità sulla concreta realizzabilità di tale specifica disposizione (si veda
“Con la riforma del Catasto rischia di aumentare
l’imposizione immobiliare” del 23 settembre 2014).
Il decreto delegato sui criteri estimativi costituisce un punto
cruciale per la riforma del Catasto che, a sua volta, è un
aspetto fondamentale del rinnovamento della fiscalità erariale e comunale, come si desume dai principi e criteri direttivi di cui all’art. 2 della L. n. 23/2014. Per modellare tali
criteri estimativi sono stati presi in considerazione i valori
contenuti negli atti di compravendita immobiliare relativi
al triennio 2012/2014. Infatti, secondo quanto annunciato dal
MEF e dall’Agenzia delle Entrate:
- le annualità di riferimento, ai fini della determinazione di
valori e rendite di oltre 60 milioni di immobili, saranno il
2012, il 2013 e il 2014;
- le aste giudiziarie saranno considerate per la determinazione dei valori degli immobili;
- il calcolo del valore catastale si baserà su un algoritmo determinato in base alla categoria dell’immobile e alle zone;
- i fabbricati urbani verranno divisi in due gruppi, la categoria ordinaria e la categoria speciale, mentre per i fabbricati produttivi il costo di costruzione sarà individuato utilizzando prontuari regionali;
- le caratteristiche degli immobili a destinazione ordinaria
saranno determinate, ove possibile, anche con sopralluoghi
“virtuali” e precisamente utilizzando le ortofoto (immagini
aeree come quelle usate per rilevare i fabbricati fantasma) e i
servizi internet come Street View.
Nell’attesa di capire in dettaglio come verrà attuata la revisione degli estimi, il tema dell’invarianza di gettito ex art. 2,
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
comma 3, lettera l) della L. n. 23/2014 rimane un aspetto significativo e poco chiaro dell’intera riforma del Catasto. Infatti se può considerarsi agevole assicurare tale invarianza di
gettito delle singole imposte per lo Stato (IVA, imposta di
registro, imposte sulle successioni e donazioni) e per i Comuni (IMU, TASI), un sistema fiscale così congegnato difficilmente potrà garantire quella maggiore equità prevista
dalla legge delega semplicemente perché (a nostro parere) le
categorie dei contribuenti sono diverse (persone fisiche,
imprese, società, enti) e, nell’ambito di ciascuna di esse, le
posizioni individuali sono autonome e distinte e quindi non
sono sovrapponibili.
La norma in commento ha stabilito il principio di garantire
l’invarianza del gettito delle singole imposte, i cui presupposti e le cui basi imponibili sono influenzati dalle stime di
valori patrimoniali e rendite catastali prevedendo a tal fine,
contestualmente all’efficacia impositiva dei nuovi valori:
- la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzate a evitare
un aggravio del carico fiscale, con particolare riferimento
alle imposte sui trasferimenti (ad esempio imposta di registro) e all’IMU (le cui detrazioni dovranno tener conto delle
condizioni socio-economiche e dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare, come rappresentate nell’ISEE);
- la tutela dell’unico immobile non di lusso.
A parere di chi scrive, si tratterebbe di un principio poco
aderente alla realtà.
Naturalmente di opinione opposta sono il Governo, il MEF e
l’Agenzia delle Entrate che hanno ribadito in più occasioni,
come quella di ieri, che la pressione fiscale sul “mattone”
non aumenterà, in quanto la revisione degli estimi sarà coordinata con la tassazione locale sulla casa, correggendo le
storture degli immobili sottovalutati o sopravvalutati sotto il profilo tributario e tenendo fermo il principio dell’invarianza del gettito delle singole imposte che dovrà essere
necessariamente verificata su base nazionale.
Il precedente con la L. n. 133/1999
Per completezza espositiva si segnala che già l’art. 18 della
L. n. 133/1999, nello stabilire i principi direttivi per la modifica dei criteri di determinazione del redditi delle unità immobiliari, aveva previsto fra l’altro la rideterminazione, a
seguito della revisione degli estimi catastali, delle aliquote
minime e massime dell’ICI in misura tale da “garantire il
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ancora
medesimo gettito complessivo” e la rimodulazione delle
imposte sui trasferimenti, mediante applicazione di valori
ridotti rispetto a quelli di estimo, in modo da evitare
incrementi del gettito complessivo. Quella riforma rimase
sulla carta.
Ora vedremo se l’annunciata uniformità delle imposizioni
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
a livello sia statale che comunale, le cui basi imponibili saranno costituite dai valori patrimoniali e non più dalle rendite catastali rivalutate e capitalizzate, darà luogo a una
maggiore equità per i contribuenti. Così come c’è grande
attesa per la determinazione dei valori delle chiese e dei
fabbricati di interesse storico o artistico.
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ancora
IMPRESA
Punibili come inesistenti anche le fatture
“d’acconto”
Secondo la Cassazione, per la configurazione del delitto di cui all’art. 8 del DLgs.
74/2000 è sufficiente il mero compimento dell’atto
/ Maria Francesca ARTUSI
Un’interessante problematica relativa al delitto di emissione
di fatture inesistenti, di cui all’art. 8 del DLgs. n. 74/2000,
è stata portata all’attenzione della Corte di Cassazione, che si
è pronunciata con sentenza n. 6842 depositata ieri.
Il caso di specie riguardava l’emissione di una fattura da
parte del titolare di una ditta individuale nei confronti di
una società in nome collettivo gestita dal medesimo. L’operazione avrebbe dovuto riguardare la creazione di un resort
di lusso, successivamente non andata a buon fine per l’interruzione dei finanziamenti da parte di una società di leasing. Ma la Corte d’Appello aveva rilevato che al contratto
a cui si riferiva la fattura non era mai stata data esecuzione e
che non è possibile fatturare “acconti” per prestazioni future e incerte.
L’imputato, da parte sua, lamentava il fatto che la Corte territoriale avesse considerato inesistenti le forniture oggetto
della fattura contestata solo perché, successivamente
all’emissione, sarebbero divenute impossibili (o meglio, economicamente insostenibili).
Secondo la tesi della difesa sussisteva, invece, l’astratta
idoneità della struttura ad eseguire la fornitura fatturata,
che non era avvenuta solo per ragioni di cui l’imputato non
aveva alcuna colpa.
I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, respingono tali doglianze proprio perché fondate su elementi meramente fattuali e basate essenzialmente sul rilievo che si
trattasse di una fattura di acconto e che l’emittente non poteva prevedere il futuro fallimento dell’iniziativa commerciale e, conseguentemente, il mancato perfezionamento
delle operazioni riportate in fattura.
A tal fine, la Cassazione fa suo l’orientamento giurisprudenziale di un’altra sentenza in tema di operazioni inesistenti
sulla base di fatture c.d. “d’acconto” (Cass. n. 19907/2010),
che ha dettagliato alcuni principi sul reato di cui all’art. 8 del
DLgs. 74/2000.
L’emissione di fatture per operazioni inesistenti è un delitto
di pericolo astratto, per la configurazione del quale è sufficiente il mero compimento dell’atto (Cass. n. 40172/2006).
Sebbene tale categoria penalistica sia foriera di numerose
criticità sia dal punto di vista dottrinale che dal punto di vista applicativo, il legislatore, data l’importanza di colpire
condotte prodromiche a più gravi reati fiscali, ha scelto di
prevedere l’incriminazione di atti che rimangono punibili
/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2015
anche quando, per qualsiasi motivo, l’evasione non si sia
in concreto verificata.
Per le stesse ragioni, non incide sulla configurabilità della
fattispecie la sussistenza di una finalità ulteriore rispetto
all’evasione delle imposte (Cass. n. 12719/2007); quest’ultima, infatti, non rappresenta elemento costitutivo del reato,
bensì elemento del dolo specifico normativamente richiesto
per la punibilità dell’agente.
Vero è che la disposizione di cui al citato art. 8 prevede
espressamente il fine di consentire a terzi l’evasione delle
imposte sui redditi o sul valore aggiunto; tuttavia, come si è
detto, non è necessario che il terzo consegua effettivamente tale risultato e il dolo dell’emittente è comunque ravvisabile allorché l’autore abbia coscienza e volontà di emettere
fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti idonee a
frodare il Fisco (Cass. nn. 3524/1996, 39359/2008 e
40172/2006).
Non incide la sussistenza di una finalità ulteriore rispetto
all’evasione
La rilevanza di finalità diverse rispetto a quella normativamente richiesta è stata oggetto di ampio dibattito, già durante la vigenza della fattispecie speculare di cui all’art. 4
della L. 516/1982. Parte della giurisprudenza aveva escluso
l’applicabilità di tale delitto allorquando il fine esclusivo
dell’emissione delle fatture fosse diverso da quello tipicamente evasivo (Cass. n. 1714/2005: nel caso di specie si trattava di finanziamento di congressi di partiti politici). Differente è, però, la circostanza in cui l’ulteriore finalità si affianchi e non si sostituisca a quella di evasione.
La Cassazione ribadisce, altresì, che si tratta di reato istantaneo e, in quanto tale, ai fini dell’individuazione del momento consumativo, va tenuto conto del momento
dell’emissione della fattura (Cass. n. 10558/2013).
Dopo aver sintenticamente ripercorso le descritte caratteristiche del delitto di emissione di fatture inesistenti, la sentenza
in commento conferma, dunque, la pronuncia impugnata, ribadendo altresì che l’avvenuta assoluzione dal reato di
truffa – in danno della società finanziaria che avrebbe dovuto sostenere l’operazione in cui si è inserita la fattura contestata – non può avere alcuna correlazione con la condotta
commessa in danno dell’Erario.
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ancora
FISCO
Al varo le causali contributo per i periti
industriali
L’Agenzia delle Entrate li ha istituiti per consentire il versamento dei contributi all’Ente
di Previdenza
/ REDAZIONE
Sono sette le causali contributo che consentiranno di versare all’Ente di Previdenza dei periti industriali e dei periti industriali (EPPI), a partire dal prossimo 23 febbraio, primo e
secondo acconto, saldo ed eventuali contributi scaduti, interessi di mora, sanzioni per il ritardato pagamento o per
omessa, ritardata trasmissione, nonché infedele dichiarazione delle comunicazioni obbligatorie e infine le spese legali a
seguito di procedimento giudiziario. Le ha istituite l’Agenzia
delle Entrate con la ris. n. 19 di ieri, 17 febbraio 2015.
Il sistema dei versamenti unitari e la compensazione previsti dall’art. 17 del DLgs. 9 luglio 1997 n. 241 si applicano
infatti, a seguito del decreto del Ministero dell’Economia e
delle finanze del 10 gennaio 2014, anche all’Ente di Previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati.
La convenzione del 4 febbraio 2015, invece, stipulata tra
l’Agenzia delle Entrate e tale Ente di previdenza, ha regolato il servizio di riscossione, mediante il modello F24, dei
contributi previdenziali e assistenziali dovuti dagli iscritti.
Ora, per consentire in concreto tale versamento, con la ris. n.
19/2015 sono state istituite le causali contributo:
- “E066” denominato “EPPI - I Acconto – art. 8, c. 1, del
Regolamento di previdenza”;
- “E067” denominato “EPPI - II Acconto – art. 8, c. 1, del
Regolamento di previdenza”;
- “E068” denominato “EPPI - Saldo contributivo – art. 8, c.
1, del Regolamento di previdenza”;
- “E069” denominato “EPPI - Contributi scaduti”;
- “E070” denominato “EPPI - Interessi di mora e sanzioni
per il ritardato pagamento dei contributi – art. 10 del Regolamento di previdenza”;
- “E071” denominato “EPPI - Sanzioni per omessa, ritardata trasmissione, nonché infedele dichiarazione delle comunicazioni obbligatorie – art. 11, c. 5, del Regolamento di previdenza”;
- “E072” denominato “EPPI – Spese legali a seguito di procedimento giudiziario”.
Come si è anticipato, saranno operativamente efficaci a decorrere dal 23 febbraio 2015.
Istruzioni per la compilazione del modello F24
Nella compilazione del modello F24, tali causali devono essere indicate nella sezione “Altri enti previdenziali e assicurativi” (secondo riquadro), nel campo “causale contributo”,
in corrispondenza, esclusivamente, delle somme
indicate nella colonna “importi a debito versati”, indicando:
- nel campo “codice ente”, il codice “0009”;
- nel campo “codice sede”, nessun valore;
- nel campo “codice posizione”, nessun valore;
- nel campo “periodo di riferimento: da mm/aaaa a
mm/aaaa”, il mese e l’anno nel quale si effettua il versamento, nel formato “MM/AAAA”.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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