QUADERN / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Riscatto immobili in leasing, accertamento in base al valore normale “negato” L’impiego di personale non implica sempre l’assoggettamento ad IRAP / Marco MARANI C’è autonoma organizzazione solo se l’apporto del lavoratore eccede il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività Il tecnicismo proprio dei contratti di leasing, associato ai complessi meccanismi della fiscalità specialistica, sta dando luogo a nuove iniziative da parte di alcuni organi accertatori. È ben noto l’orientamento degli uffici finanziari, supportato da una certa giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 22793/2010, 22143/2013 e 4115/2014), di contestare, in ipotesi di trasferimenti immobiliari, ricavi non dichiarati in capo alla società cedente sulla base del (maggior) valore venale accertato ai fini delle imposte d’atto (si veda “Se cade l’accertamento sul registro viene meno anche la plusvalenza IRPEF” del 14 ottobre 2014). Sulla scorta di tale filone interpretativo, alcuni uffici delle Entrate stanno procedendo, in ipotesi di riscatto (alla scadenza o anticipato) di immobili [...] / Luca FORNERO Con le sentenze 1544 e 1545 depositate ieri, 27 gennaio 2015, la Corte di Cassazione aggiunge due ulteriori tasselli al tema della rilevanza del personale e delle prestazioni di terzi ai fini della configurabilità di un’autonoma organizzazione. In particolare, i giudici confermano la posizione delle ultime sentenze maggiormente favorevoli al contribuente (si veda “IRAP professionisti, «excursus» della Cassazione sull’impiego di personale” del 20 dicembre 2014). Con la prima pronuncia, viene, infatti, ribadito che la circostanza di avvalersi, in modo non occasionale, di lavoro altrui non può essere considerata di per sé sola – secondo un giudizio aprioristico che prescinda da qualunque valutazione di contesto e da qualunque apprezzamento di fatto in ordine al contenuto ed alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa – manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo IRAP. Occorre cioè verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, “un contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professio- A PAGINA 2 A PAGINA 4 INEVIDENZA PROFESSIONI Per i requisiti del nuovo regime per gli autonomi conta l’accertamento definitivo Da inizio anno, imposte di registrazione dei contratti di locazione solo con F24 Crisi da sovraindebitamento, istituito il registro degli Organismi di composizione Responsabilità 231, inammissibile la costituzione di parte civile ALTRENOTIZIE nista (ossia, per il suo contenuto, o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa, fornisca al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività), oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una semplice agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla Corte con riferimento all’impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile. Pertanto, non è possibile sostenere che, per un medico, la collaborazione di un “inserviente part time” è di per se stessa sufficiente ad integrare il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, a prescindere dal concreto contenuto qualitativo e quantitativo delle relative prestazioni. In tale ottica, spetta al giudice di merito accertare, con un giudizio di fatto censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di [...] / A PAGINA 10 Ingorgo fiscale, anche i commercialisti pronti allo sciopero / Savino GALLO Dopo i Consulenti del lavoro, che due giorni fa hanno indetto il primo sciopero nazionale di categoria per la settimana del 7-14 marzo, anche i commercialisti pensano alla possibilità di incrociare le braccia in segno di protesta contro gli ultimi provvedimenti normativi in materia fiscale. A breve, infatti, è previsto un incontro tra i rappresentanti delle sette sigle sindacali facenti parte del coordinamento unitario (ADC, AIDC, ANC, ANDOC, [...] A PAGINA 7 ancora IL CASO DEL GIORNO Riscatto immobili in leasing, accertamento in base al valore normale “negato” Inoltre, va respinta l’idea per cui la definizione di un accertamento ai fini delle ipocatastali abbia efficacia automatica ai fini delle imposte sul reddito / Marco MARANI Il tecnicismo proprio dei contratti di leasing, associato ai complessi meccanismi della fiscalità specialistica, sta dando luogo a nuove iniziative da parte di alcuni organi accertatori. È ben noto l’orientamento degli uffici finanziari, supportato da una certa giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 22793/2010, 22143/2013 e 4115/2014), di contestare, in ipotesi di trasferimenti immobiliari, ricavi non dichiarati in capo alla società cedente sulla base del (maggior) valore venale accertato ai fini delle imposte d’atto (si veda “Se cade l’accertamento sul registro viene meno anche la plusvalenza IRPEF” del 14 ottobre 2014). Sulla scorta di tale filone interpretativo, alcuni uffici delle Entrate stanno procedendo, in ipotesi di riscatto (alla scadenza o anticipato) di immobili concessi in leasing, a rettificare la base imponibile ai fini delle imposte ipotecaria e catastale sulla base dei valori desunti dall’OMI, per poi estenderne gli effetti anche ai fini delle imposte sui redditi. Dalla lettura degli atti di accertamento emerge il duplice errore in cui incorrono gli uffici: una prima volta nell’utilizzare ai fini delle imposte d’atto le stime dell’OMI; una seconda volta nel non accorgersi di esser di fronte ad una fattispecie, quella della cessione per riscatto dei beni concessi in leasing, che si fonda su una struttura contrattuale in cui non è tecnicamente possibile che possano determinarsi per le società di leasing cedenti dei maggiori ricavi. Vediamone i motivi. Va in primo luogo sottolineata l’assoluta irrilevanza delle risultanze dell’OMI per determinare le imposte ipotecaria e catastale. Sul punto non dovrebbe esserci discussione, in quanto la stessa Agenzia ha indicato come calcolare la base imponibile ai fini delle imposte d’atto in ipotesi di riscatto di immobili in leasing. Ci riferiamo alla circ. n. 12/2007, ove l’Agenzia ha chiarito che la base imponibile va “individuata nel prezzo di riscatto del bene aumentato dei canoni, depurati dalla componente finanziaria. In tale ammontare si può, infatti, ravvisare l’effettivo valore di scambio attribuibile all’immobile, tenuto conto dei vincoli contrattuali che gravano su di esso”. Interpretazione confermata poi nella ris. n. 24/2008 e nella successiva nota prot. n. 2010/128760, che hanno negato la possibilità di liquidare le imposte d’atto sulla base di un valore venale inferiore rispetto al valore “figurativo” suggerito, confermando di fatto l’obbligo di attenersi alle indicazioni contenute nella circ. n. 12 in ipotesi di riscatto di immobili in leasing. Atteso che, a quanto risulta, la circ. n. 12/2007 viene pedis/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 sequamente rispettata, gli accertamenti basati sulle stime OMI si pongono in contrasto con le indicazioni fornite a livello centrale. Andando oltre, contestazioni del genere operate ai fini delle imposte sui redditi si pongono in contrasto con la struttura del contratto di leasing e sui relativi riflessi contabili/fiscali. I contratti di leasing hanno natura finanziaria, rappresentando una modalità tecnica per finanziare l’acquisto di beni (immobili nel caso di specie) da parte dell’utilizzatore. Gli interessi attivi impliciti nei canoni rappresentano l’unico elemento di reddito che la società di leasing può conseguire dal contratto, in quanto i rischi e i benefici (ivi incluse le oscillazioni nel valore del bene finanziato in vigenza di contratto) attinenti il bene riguardano il solo utilizzatore. La proprietà del bene viene trasferita dalla società di leasing all’utilizzatore solo al termine del contratto di leasing al prezzo che risulta predeterminato sin dalla data di stipula del contratto. Il prezzo, evidentemente, non rifletterà il valore di mercato del bene (ed è per questo motivo che l’Agenzia ha dettato le istruzioni ai fini delle imposte d’atto), coincidendo con il corrispettivo per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, contrattualmente prestabilito alla data di stipula del contratto. In sintesi, ponendo in essere la società di leasing un’operazione avente carattere finanziario, è estranea alla struttura e alla natura del contratto la possibilità di produrre “maggiori ricavi” per effetto dell’esercizio del diritto di opzione da parte dell’utilizzatore. Ciò, a maggior ragione, quando l’effetto traslativo è stato voluto e previsto dalle parti sin dalla stipula del contratto di leasing, ad un prezzo predeterminato ab origine. Per effetto dei vincoli derivanti dal contratto di leasing, gli immobili non possono che essere trasferiti al prezzo di riscatto contrattualmente stabilito alla data di stipula del contratto, che pertanto rappresenta l’unico valore determinabile in sede di riscatto. Alcuni uffici dell’Agenzia dovrebbero rivedere la propria posizione In aggiunta a quanto sopra vanno rimarcate, e ciò anche al di fuori delle particolarità del leasing, le differenze esistenti tra i criteri che governano la base imponibile ai fini delle impo/ 02 ancora ste sui redditi e ai fini delle imposte ipotecaria e catastale. Ai fini delle imposte d’atto si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre con riferimento alle imposte dirette, i ricavi o le plusvalenze vanno calcolate in funzione del prezzo di cessione convenuto dalle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale. Considerata la diversità dei presupposti nei due comparti impositivi, va respinta l’idea per cui la definizione di un accertamento ai fini delle imposte ipotecaria e catastale abbia / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 un’automatica efficacia ai fini delle imposte sul reddito. Quanto detto trova conferma in un recente pronunciamento della Suprema Corte (Cass. n. 24054/2014), che ha correttamente annullato un accertamento ai fini del reddito d’impresa emesso unicamente sulla base dei valori accertati ai fini delle imposte d’atto. Ci si augura così che alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate rivedano la loro posizione, evitando un contenzioso tributario che non pare meritevole di esser avviato. / 03 ancora FISCO L’impiego di personale non implica sempre l’assoggettamento ad IRAP C’è autonoma organizzazione solo se l’apporto del lavoratore eccede il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività / Luca FORNERO Con le sentenze 1544 e 1545 depositate ieri, 27 gennaio 2015, la Corte di Cassazione aggiunge due ulteriori tasselli al tema della rilevanza del personale e delle prestazioni di terzi ai fini della configurabilità di un’autonoma organizzazione. In particolare, i giudici confermano la posizione delle ultime sentenze maggiormente favorevoli al contribuente (si veda “IRAP professionisti, «excursus» della Cassazione sull’impiego di personale” del 20 dicembre 2014). Con la prima pronuncia, viene, infatti, ribadito che la circostanza di avvalersi, in modo non occasionale, di lavoro altrui non può essere considerata di per sé sola – secondo un giudizio aprioristico che prescinda da qualunque valutazione di contesto e da qualunque apprezzamento di fatto in ordine al contenuto ed alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa – manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo IRAP. Occorre cioè verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, “un contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professionista (ossia, per il suo contenuto, o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa, fornisca al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività), oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una semplice agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla Corte con riferimento all’impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile. Pertanto, non è possibile sostenere che, per un medico, la collaborazione di un “inserviente part time” è di per se stessa sufficiente ad integrare il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, a prescindere dal concreto contenuto qualitativo e quantitativo delle relative prestazioni. In tale ottica, spetta al giudice di merito accertare, con un giudizio di fatto censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale. Con la seconda sentenza (riguardante la modella Bianca Balti), i giudici di legittimità hanno affermato che non integra il presupposto impositivo IRAP la circostanza di avvalersi della collaborazione di un’agenzia, prestata in forza di un mandato senza rappresentanza a titolo oneroso, per lo / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 svolgimento di incombenze afferenti la propria professione, quali la promozione e la stipula di contratti per lo sfruttamento dell’immagine. Nel caso di specie, l’agenzia forniva servizi in totale autonomia rispetto alla contribuente, l’oggetto dei quali non incideva sul contenuto intrinseco dell’attività di quest’ultima. Anche in seguito alle pronunce in commento, la strada che il legislatore dovrà percorrere nel delineare la nozione di autonoma organizzazione in attuazione della L. 23/2014 (delega per la riforma fiscale) appare ormai tracciata. È infatti possibile affermare che, sia con riferimento all’impiego di personale, sia riguardo all’utilizzo di beni strumentali, occorre valutare il concreto apporto di tali fattori produttivi all’attività del contribuente. Così, andrà stabilito che il valore dei beni strumentali (mobili e immobili) adoperati non risulta significativo se non ne viene contestualmente accertata la necessità, o meno, per l’esercizio della specifica attività professionale, trattandosi di un parametro che è influenzato da molte variabili. Tale assunto è particolarmente evidente nel caso dei medici. Ad esempio, riguardo ad essi, l’ordinanza n. 2967 del 10 febbraio 2014 ha confermato la decisione di secondo grado che ha giudicato non dovuta l’IRAP nell’ipotesi dell’utilizzo di due studi. Infatti, secondo i giudici di legittimità, si tratta soltanto di uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell’attività (si veda “Escluso da IRAP il medico di base con due studi” dell’11 febbraio 2014). Analoghe posizioni si rinvengono nella giurisprudenza di merito: la C.T. Reg. Roma, con la sentenza 28 gennaio 2010 n. 102/58/10, ha sostenuto che, ai fini dell’assoggettamento ad IRAP, non rileva “una struttura tecnica strettamente dipendente dalla figura del professionista (medico), che la gestisce siccome connessa al normale esercizio della sua attività (...)”. Dello stesso tenore è la sentenza della C.T. Reg. Venezia-Mestre 26 marzo 2013 n. 36/29/13, che ha considerato escluso da IRAP un medico oculista, nonostante l’utilizzo, da parte sua, di beni strumentali di valore elevato (si veda “Ai fini IRAP, il bene «costoso ma indispensabile» non conta” del 17 aprile 2013). Ad avviso dei giudici, infatti, il contribuente, per via dell’attività esercitata, non può che utilizzare macchinari e strumentazione assai costosi, atteso che, senza di essi, l’attività non potrebbe essere efficacemente svolta. In altri termini, per il medico in questione, si tratta di strumentazione strettamente necessaria. / 04 ancora FISCO Per i requisiti del nuovo regime per gli autonomi conta l’accertamento definitivo La L. 190/2014 ha ripreso la norma sul regime di vantaggio, che può compromettere il recupero di alcune annualità / Alfio CISSELLO e Paola RIVETTI La legge di stabilità 2015, dopo aver effettuato un generico rinvio alla disciplina relativa a imposte dirette, IVA e IRAP, individua all’art. 1 comma 74 un particolare trattamento sanzionatorio applicabile in caso di infedele indicazione dei dati attestanti i requisiti e le condizioni per poter fruire del nuovo regime agevolato per gli autonomi, nonché le condizioni per la riduzione di un terzo del reddito imponibile. In particolare il riferimento è: - ai requisiti d’accesso, ossia al limite di ricavi/compensi, di spese per lavoro dipendente, di spese per beni strumentali e al possesso di redditi di lavoro dipendente e assimilato, nell’annualità precedente; - alle cause di esclusione, riguardanti la fruizione di regimi speciali IVA e di determinazione forfetaria del reddito, la residenza in Italia o in un Paese UE/SEE, il compimento di cessioni di particolari beni ed il possesso di partecipazioni in società di persone o srl trasparenti; - per la riduzione del reddito imponibile di un terzo nel primo triennio di attività, alla novità dell’attività intrapresa rispetto ad una precedente d’impresa o lavoro autonomo, alla mera continuazione di una precedente attività di lavoro dipendente o autonomo, alla prosecuzione di un’attività svolta in precedenza da altro soggetto. L’infedele attestazione di uno dei sopra citati elementi comporta l’incremento delle ordinarie sanzioni di cui al DLgs. 471/97 del 10% se il maggiore reddito accertato supera del 10% quello dichiarato. Una disposizione assai simile è contenuta nell’art. 1 comma 114 della L. 244/2007, abrogato dalla L. 190/2014, sul regime di vantaggio (attualmente ancora fruibile dai soggetti che lo utilizzavano nel 2014). Inoltre, in caso di perdita di uno o più dei requisiti di accesso o di verifica di una causa di esclusione, la cessazione del regime opera a decorrere dall’anno successivo, a seguito di accertamento divenuto definitivo. Premesso ciò, dall’art. 1 comma 74 della L. 190/2014 deriva che, se, a seguito di un accertamento in merito all’anno antecedente a quello in cui il contribuente fruisce del regime / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 fiscale agevolato, vengono meno, “a cascata”, i requisiti per beneficiarne, esso cessa di avere applicazione a decorrere dall’anno successivo a quello in cui sono venuti meno i requisiti a seguito di accertamento definitivo. In tal caso, non ci sarebbero i presupposti per l’applicazione della norma sanzionatoria specifica di cui alla L. 190/2014 medesima. Ipotizziamo un contribuente che, verificati i requisiti di accesso al regime in merito all’anno 2015, fruisca del regime nel 2016. Pesanti conseguenze per il disconoscimento Ove, nel marzo 2017 sia notificato un accertamento (non impugnato) sull’anno 2015 con cui, a causa dei maggiori ricavi determinati, venga meno la possibilità di beneficiare del regime per l’annualità successiva, per l’anno 2016 l’accesso a tale regime sarebbe inibito. Nel caso in cui l’atto venisse impugnato, il carattere definitivo dell’accertamento si concretizzerebbe nel momento di formazione del giudicato. Se l’inapplicabilità del regime, nell’esempio precedente, si verificasse in applicazione di una sentenza passata in giudicato nel 2023, i termini di decadenza per l’accertamento ex art. 43 del DPR 600/73 sull’anno 2016 sarebbero ormai decorsi, e l’eventuale fruizione indebita del regime non sarebbe più contestabile. Qualora, invece, siano stati infedelmente attestati i requisiti per godere del regime, le sanzioni minime e massime del DLgs. 471/97 sono elevate del 10%, a condizione che il maggior reddito accertato superi del 10% il dichiarato. Si badi bene: tutte le sanzioni applicabili e non solo quelle per dichiarazione infedele soggiacciono all’aumento del 10% (quindi, gli uffici, ferma restando la necessità di applicare l’art. 12 del DLgs. 472/97 in tema di concorso formale e continuazione, potranno irrogare una sanzione dal 100% al 200% dell’IVA maggiorata del 10% per ogni fatturazione/registrazione irregolare, ai sensi dell’art. 6 del DLgs. 471/97). / 05 ancora FISCO Da inizio anno, imposte di registrazione dei contratti di locazione solo con F24 Il 31 dicembre 2014 è scaduto il periodo transitorio in cui il vecchio F23 si poteva utilizzare in alternativa al nuovo modello F24 Elide / Antonio PICCOLO A decorrere dal 1° gennaio 2015, le somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili devono essere versate esclusivamente mediante utilizzo del modello “F24 Elide”, essendo scaduto il periodo transitorio (31 dicembre 2014) durante il quale era possibile scegliere tra il vecchio (modello F23) e il nuovo modello (F24 Elide). Come si ricorderà, in applicazione della lett. h-ter) del comma 2 dell’art. 17 del DLgs. n. 241/1997 e sue modificazioni, il Ministro dell’Economia e delle finanze, con decreto 8 novembre 2011, ha esteso le modalità di versamento unitario stabilite dallo stesso art. 17 ai pagamenti anche dell’imposta di registro di cui al DPR n. 131/1986 (TUR). L’art. 2 del medesimo DM 8 novembre 2011 ha altresì previsto che le modalità e i termini per l’attuazione, anche progressiva, delle relative disposizioni sono definite con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate per i tributi e le altre entrate di sua competenza. Nell’ottica di razionalizzazione delle modalità di pagamento il modello F24 garantisce una maggiore efficienza nella gestione del sistema e rappresenta un ulteriore progresso verso la semplificazione degli adempimenti fiscali dei contribuenti che già utilizzano lo stesso modello F24 per il versamento di numerosi tributi, sia erariali che locali. L’Agenzia delle Entrate, con provvedimento 3 gennaio 2014 (prot. 2013/554), ha ufficializzato l’estensione delle modalità di versamento unitario, con modello F24, alle somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili. In particolare, è stato disposto che, a partire dal 1° febbraio 2014, l’imposta di registro, i tributi speciali e compensi, l’imposta di bollo, le relative sanzioni e interessi, connesse alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili devono essere versate tramite il modello “F24 versamenti con elementi identificativi” (F24 Elide), approvato con provvedimento direttoriale 7 agosto 2009, come modificato dal provvedimento direttoriale 29 marzo 2010. Tale nuovo modello deve essere utilizzato da tutti i contribuenti, titolari o non titolari di numero di partita IVA. Per evitare di disorientare i soggetti interessati e per consentire agli intermediari di disporre del tempo necessario per l’adeguamento delle relative procedure, fino al 31 dicembre / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 2014 era possibile utilizzare il vecchio modello F23, in alternativa al nuovo modello F24 Elide, per il pagamento dei tributi in questione. A partire dal 1° gennaio 2015, invece, detti versamenti devono essere effettuati esclusivamente con il modello F24 Elide. Si ricorda che i versamenti richiesti a seguito di atti emessi dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate vanno eseguiti esclusivamente con il tipo di modello di pagamento allegato o indicato nell’atto stesso. Tutti i contribuenti devono utilizzare il nuovo modello Ai fini della compilazione del nuovo modello l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 14/2014, ha istituito i codici tributo da “1500” a “1510”, relativi all’imposta di registro (per prima registrazione, per annualità successive, per cessioni, risoluzioni e proroghe del contratto), all’imposta di bollo, ai tributi speciali e compensi, oltre che a sanzioni e interessi da ravvedimento per tardiva prima registrazione e tardivo versamento di annualità e adempimenti successivi. Inoltre, per consentire la corretta identificazione nel modello F24 Elide del soggetto quale “controparte” del contratto, è stato istituito il codice identificativo “63”, denominato “Controparte”. Infine, per consentire il versamento delle somme dovute a seguito degli avvisi di liquidazione dell’imposta e irrogazione delle sanzioni, emessi dagli Uffici, la medesima risoluzione ha istituito altresì i seguenti codici tributo (da utilizzare esclusivamente nel modello F24 Elide): - “A135”, denominato “Locazione e affitto di beni immobili – Imposta di registro – Avviso di liquidazione dell’impostaIrrogazione delle sanzioni”; - “A136”, denominato “Locazione e affitto di beni immobili – Imposta di bollo – Avviso di liquidazione dell’imposta-Irrogazione delle sanzioni”; - “A137”, denominato “Locazione e affitto di beni immobili – Sanzioni – Avviso di liquidazione dell’imposta-Irrogazione delle sanzioni”; - “A138”, denominato “Locazione e affitto di beni immobili – Interessi – Avviso di liquidazione dell’impostaIrrogazione delle sanzioni”. / 06 ancora PROFESSIONI Ingorgo fiscale, anche i commercialisti pronti allo sciopero Le associazioni sindacali pensano a una forma di protesta “forte”. A breve l’incontro per decidere il da farsi / Savino GALLO Dopo i Consulenti del lavoro, che due giorni fa hanno indetto il primo sciopero nazionale di categoria per la settimana del 7-14 marzo, anche i commercialisti pensano alla possibilità di incrociare le braccia in segno di protesta contro gli ultimi provvedimenti normativi in materia fiscale. A breve, infatti, è previsto un incontro tra i rappresentanti delle sette sigle sindacali facenti parte del coordinamento unitario (ADC, AIDC, ANC, ANDOC, UNGDCEC, UNICO, UNAGRACO), che dovrebbero proseguire il discorso già intavolato, la settimana scorsa, al Congresso napoletano dell’ADC. Proprio in quella sede, le associazioni di categoria si erano ritrovate per discutere, tra l’altro, della possibilità di organizzare una qualche forma di protesta “forte”, viste le “tante richieste che arrivano dalla base e dalle sezioni territoriali”. A confermarlo è Giuseppe Diretto, Presidente dell’UNAGRACO, che sottolinea come i commercialisti stiano ragionando sul da farsi: “D’altronde – spiega –, motivazioni ne abbiamo tantissime. Dalle mancate semplificazioni alla responsabilità dei professionisti in materia di 730 precompilato. La decisione, però, deve passare per il coordinamento sindacale. In più, vorremmo coinvolgere anche il Consiglio nazionale, considerato che, essendo il primo sciopero, si tratterà di un evento importante per la categoria”. Consiglio nazionale che, di recente, si era espresso tramite un comunicato stampa sul rischio “ingorgo fiscale” (si veda “Scadenze, il CNDCEC: «Alto il rischio ingorgo»” del 22 gennaio) e che, ieri, è stato chiamato ad intervenire anche dall’ODCEC di Torino. Tramite un’istanza, l’Ordine presieduto da Aldo Milanese ha ricordato il “diluvio di adempimenti” che ha colpito i professionisti, a cui sono state affiancate norme, come quella sul 730 precompilato, che “rappresentano delle vere e proprie forzature giuridiche”. Per questo, l’Ordine piemontese chiede al Consiglio nazionale di “porre in essere ogni azione necessaria a persuadere gli interlocutori istituzionali circa la gravità della situazione”. Il problema, secondo Roberta Dell’Apa, non è il singolo provvedimento, ma il complessivo “modo di legiferare”, / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 che finisce sempre per penalizzare i professionisti: “Protestare solo per l’introduzione della Certificazione Unica – aggiunge la Presidente dell’AIDC – significherebbe sminuire le difficoltà con cui i commercialisti devono fare i conti. La Certificazione Unica è un’imposizione non condivisa e mal strutturata, che si inserisce in un contesto di scadenze che non trovano un’armonizzazione. Ma sono tanti i provvedimenti che lasciano sconcertati. Penso, ad esempio, alle novità in materia di dichiarazioni d’intento. C’era davvero bisogno di introdurle in questo momento? Ancora una volta, si nota lo scollamento tra i diversi soggetti che costituiscono la figura del legislatore”. I presupposti per una qualunque forma di protesta, dunque, “ci sono tutti”. Non resta che scegliere quale. L’Unione Giovani, ad esempio, starebbe valutando anche la possibilità di organizzare una manifestazione di piazza: “Noi – sottolinea Fazio Segantini, numero uno dell’UNGDCEC – saremmo più per una protesta vibrante, in modo da far sentire la nostra voce. Ma ci stiamo confrontando con il coordinamento per capire se, oltre a questo tipo di manifestazione, si possa poi procedere anche con uno sciopero. Perché davvero non se ne può più di interventi normativi che non tengono minimamente conto delle conseguenze che producono. Si naviga a vista, senza avere il coraggio di fermarsi e ripensare per intero un sistema fiscale vecchio più di trent’anni”. “Ce la stanno mettendo tutta per convincerci ad indire lo sciopero”, commenta Domenico Posca, Presidente di UNICO, “dai provvedimenti in materia di IMU, fino alla mazzata finale arrivata con la legge di stabilità, che ha introdotto il nuovo regime agevolato per le partite IVA. Una situazione divenuta ormai insostenibile. Per questo, siamo pronti ad utilizzare il codice di autoregolamentazione”. Un codice approvato meno di 6 mesi fa (si veda “Anche i commercialisti potranno scioperare” del 1° agosto 2014) che, a breve, potrebbe trovare la sua prima applicazione pratica. / 07 ancora PROFESSIONI Crisi da sovraindebitamento, istituito il registro degli Organismi di composizione Pubblicato finalmente in Gazzetta, entra in vigore oggi l’atteso decreto che definisce i requisiti d’iscrizione / Michele BANA Nella Gazzetta Ufficiale n. 21 di ieri, è stato finalmente pubblicato il decreto 24 settembre 2014 n. 202, in vigore da oggi, che regolamenta i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento (OCC) di cui all’art. 15 della L. 3/2012, istituto presso il Ministero della Giustizia. In particolare, il provvedimento ha definito le modalità di iscrizione, la formazione dell’elenco e la sua revisione periodica, la sospensione e la cancellazione dei singoli organismi, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. L’art. 3, comma 3 del decreto definisce il contenuto del registro, costituito, in primo luogo, dalla sezione A, formata dalle seguenti componenti: - gli organismi di diritto iscritti, su semplice domanda, a norma del successivo art. 4, comma 2 del DM 202/2014, ovvero gli organismi di conciliazione costituiti presso le Camere di Commercio e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai, anche quando sono associati tra loro; - l’elenco dei gestori della crisi, ovvero le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la prestazione inerente alla conduzione delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore. Il registro si compone, inoltre, di una sezione B, nella quale sono iscritti, a domanda, gli organismi costituiti da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e istituzioni universitarie pubbliche, nonché l’elenco dei gestori della crisi. Per quanto concerne il procedimento di accesso all’elenco, è stabilito che il responsabile del registro approva il modello della domanda per l’iscrizione, da pubblicarsi sul sito del Ministero, con l’indicazione di atti e documenti idonei a comprovare il possesso dei suddetti requisiti, di cui l’istanza deve essere corredata; la domanda può essere sottoscritta anche mediante firma digitale e può essere trasmessa – unitamente agli allegati – via posta elettronica certificata (art. 5, commi 1 e 2 del DM 202/2014). Il procedimento di iscrizione deve concludersi entro 30 giorni dalla data di ricevimento della domanda: la richiesta / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 di integrazione della stessa o di propri allegati è ammessa una sola volta, e sospende il predetto termine, per un periodo non superiore a 30 giorni. La mancata adozione del provvedimento d’iscrizione entro la citata tempistica equivale a un atto di diniego all’inclusione nel registro: diversamente, nel caso di esito positivo, lo stesso è comunicato al richiedente, con il numero d’ordine attribuito, che deve essere, poi, menzionato negli atti, nella corrispondenza e nelle forme di pubblicità. È, inoltre, posto a carico del responsabile della tenuta del registro – il direttore generale della giustizia civile, ovvero una persona con qualifica dirigenziale o un magistrato dallo stesso delegati – il compito di verificare l’assenza di cause di ineleggibilità e decadenza di cui all’art. 2382 c.c., nonché della sussistenza dei requisiti di qualificazione professionale dei gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B, che consistono, in primo luogo, nel possesso di una laurea magistrale o di un titolo equipollente, in materie economiche o giuridiche. È poi richiesta una specifica formazione acquisita partecipando a corsi di perfezionamento di durata non inferiore a 200 ore, nell’ambito disciplinare della crisi d’impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, con gli insegnamenti riguardanti almeno le seguenti discipline: diritto civile, commerciale, fallimentare e dell’esecuzione civile, economia aziendale, diritto tributario e previdenziale (art. 4, comma 5 del DM 202/2014). In ordine all’obbligo di specifico aggiornamento biennale (art. 4, comma 5, lett. d) e 6 del decreto), è previsto l’esonero, sino al 27 gennaio 2018, per i professionisti appartenenti agli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai. Tuttavia, è necessario che documentino di essere stati nominati – in almeno quattro procedure – curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari oppure per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento o del liquidatore del patrimonio del debitore a norma dell’art. 15 della L. 3/2012. A tal fine, sono cumulabili le nomine relative a differenti tipologie di procedure e rilevano anche quelle precedenti al 28 gennaio 2015 (art. 19 del DM 202/2014). / 08 ancora IMPRESA Responsabilità 231, inammissibile la costituzione di parte civile Si consolida l’orientamento già espresso nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale / Maria Francesca ARTUSI La Cassazione, con la sentenza n. 3786 depositata ieri, conferma l’orientamento, nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità da reato dell’ente, sulla non ammissibilità della costituzione di parte civile, atteso che l’istituto non è previsto dal DLgs. 231/2001 e l’omissione corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore. A seguito di un infortunio sul lavoro occorso al dipendente di una srl, veniva iniziato un procedimento per l’addebito della responsabilità all’ente ai sensi del DLgs. 231/2001, terminato con la comminazione della sanzione amministrativa di 300 quote del valore di 300 euro ciascuna, nonché la sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi per la durata di tre mesi. Avverso la sentenza di appello proponevano ricorso per Cassazione sia la persona fisica imputata di omicidio colposo, sia la persona giuridica; quest’ultima, in particolare, censurando la decisione nella parte in cui ha ritenuto ammissibile la costituzione delle parti civili per la rivendicazione dei danni asseritamente subiti, in contrasto con l’orientamento su tale punto venutosi consolidando nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Effettivamente l’argomento dell’ammissibilità di costituzione di parte civile nell’ambito del procedimento avverso gli enti viene ormai ritenuto definitivamente risolto dopo che si sono pronunciate in senso negativo prima la Cassazione, con la decisione n. 22512 depositata il 22 gennaio 2011, e poi la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 12 luglio 2012 n. C-79/11. Tuttavia, l’esistenza stessa della pronuncia della Corte d’Appello qui impugnata dà atto della permanenza, sebbene minoritaria, di un contrasto sul punto. Contrasto che può assumere rilevanza anche in considerazione della precisazione per cui la Corte di Giustizia non ha asserito che nel procedimento verso l’ente non può essere consentita la costituzione di parte civile, ma unicamente che il sistema normativo contenuto nel DLgs. 231/2001 non sarebbe comunque in contrasto con la normativa comunitaria: è infatti sufficiente che l’ordinamento nazionale consenta alla vittima di costituirsi parte civile contro la persona fisica autrice del reato mentre non è imposto allo Stato di assicurare alla vittima la possibilità di ottenere tale risarcimento anche dall’ente responsabile. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, affronta, dunque, preliminarmente la censura sollevata dalla / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2015 società, facendo proprie le motivazioni illustrate dalla citata Cassazione del 2011. In particolare, tale pronuncia asseriva che nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità da reato dell’ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l’istituto non è previsto dal DLgs. 231/2001 e l’omissione non rappresenta una lacuna normativa, bensì corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore. La parte civile non è, infatti, menzionata nella sezione II del capo III del citato decreto dedicata ai soggetti del procedimento a carico dell’ente; né è dato trovare alcun cenno a tale proposito nella disciplina relativa alle varie fasi del processo come previste dal DLgs. 231/2001. La disciplina in esame contiene importanti riferimenti alle indagini preliminari, all’udienza preliminare, ai procedimenti speciali, alle impugnazioni, e alle disposizioni sulla sentenza, ma, a differenza codice di procedura penale, tali istituti non prevedono specifiche disposizioni sulla parte civile e sulla persona offesa. Peraltro – aggiunge la Cassazione – la normativa sulla responsabilità degli enti contiene alcuni dati specifici ed espressi che confermano la volontà di escludere questo soggetto dal processo. In tale prospettiva viene letto l’art. 27 del decreto che, nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell’ente, la limita all’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare alcuna menzione alle obbligazioni civili potenzialmente derivanti dall’illecito commesso. Altrettanto significativo, nel supportare la tesi fatta propria dalla Cassazione nella sentenza depositata ieri, viene ritenuto l’art. 54 del DLgs. 231/2001 che regolamenta il sequestro conservativo. A differenza dell’omologo istituto di cui all’art. 316 c.p.p. – che equipara la tutela, da un lato, del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario e, dall’altro, delle obbligazioni civili derivanti da reato – la disposizione in materia di persone giuridiche limita la misura cautelare reale in oggetto al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria (oltre che le spese processuali e le somme di cui è creditore l’erario), tanto è vero che solo il Pubblico Ministero è legittimato alla richiesta di tale sequestro. Da tutte queste considerazioni discende, per i giudici di legittimità, la consapevolezza della scelta del legislatore nel non prendere in considerazione la possibilità della costituzione della parte civile nel processo avverso gli enti. / 09 ancora FISCO Principio d’irretroattività delle norme tributarie “rinforzato” A quasi 15 anni dall’entrata in vigore della L. 212/2000, l’AIDC propone un nuovo Statuto dei diritti del contribuente / REDAZIONE Estendere il principio d’irretroattività delle norme tributarie anche agli effetti indotti dalle norme interpretative, stabilendo che esse, per il passato, non possono imporre maggiori oneri a carico dei contribuenti e rendere pubblici i modelli di dichiarazione, le istruzioni, i software applicativi e di controllo, compresi gli studi di settore, entro e non oltre i 120 giorni antecedenti il pagamento dei tributi: sono queste due delle proposte dell’AIDC, che ieri, nel corso di un incontro alla presenza della presidente Roberta Dell’Apa, del componente del Comitato scientifico dell’associazione ed estensore dei documenti Alessandro Savorana e del docente di diritto tributario all’Università di Genova, “padre” del primo Statuto, Gianni Marongiu, ha presentato una riscrittura dello Statuto dei diritti del contribuente. Come si legge nel comunicato stampa, negli ormai quasi 15 anni dall’entrata in vigore della L. 212/2000 le continue deroghe ne hanno svuotato il contenuto e il significato stesso: per questo motivo il Comitato scientifico nazionale di AIDC, con la supervisione di Marongiu, ha elaborato un nuovo testo – inviato alle più alte cariche dello Stato con richiesta di audizione – che prevede interventi significativi sulla legge e una modifica all’art. 53 Cost., affinché lo Statuto possa assumere rango costituzionale. Nel dettaglio, oltre alle modifiche già citate, contenute rispettivamente negli artt. 3 e 6-bis del testo, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili propone di: - rendere possibile la deroga allo Statuto solo in casi eccezionali e per motivi imperativi di interesse pubblico, a salvaguardia dell’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio dello Stato (art. 1); - stabilire che la norma sull’abuso del diritto debba trovare riscontro nello Statuto del contribuente, definendo in particolare che non c’è elusione se la normativa consente al contribuente di scegliere l’operazione meno onerosa sotto il profilo fiscale, poiché egli ha il diritto di fare tale scelta all’interno di regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario (art. 4-bis); - introdurre il principio del “diritto a una buona ammini- strazione”, che deriva dalla Carta fondamentale dell’Unione europea: i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di controbattere, in modo che si possa configurare il rispetto del contraddittorio. Si chiede che sia inoltre sancito il divieto di porre a carico del contribuente l’inversione dell’onere della prova (art. 5-bis); - garantire il riconoscimento della buona fede del contribuente: se quest’ultimo si è attenuto correttamente alle indicazioni dell’Amministrazione finanziaria, essa non può successivamente pretendere imposte, sanzioni o interessi per aver modificato il proprio orientamento. Lo stesso principio deve valere se il comportamento del contribuente è dovuto a ritardi, omissioni o errori da parte dell’Amministrazione (art. 10); - stabilire il principio della non applicabilità delle sanzioni allorché la violazione si traduca in un comportamento, anche omissivo, che però non dà luogo ad alcun debito d’imposta, quindi senza che vi sia un concreto danno per l’Erario (art. 10); - inserire una nuova disposizione per il rispetto del principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria: le sanzioni in caso di inosservanza delle norme tributarie, pur assolutamente necessarie come misure di lotta all’evasione e alla frode fiscale, devono essere proporzionate alla gravità della violazione commessa dal contribuente (art. 10-bis); - rendere la procedura di interpello “unica” estendendola anche alla disapplicazione di norme antielusive o antiabuso, così da farvi rientrare tutte le fattispecie che interessano il rapporto tributario, stabilendo contestualmente che la risposta dell’Amministrazione finanziaria all’interpello debba rientrare a pieno titolo tra gli atti impugnabili (art. 11). Al riguardo, si ricorda che, già in occasione del II Congresso, nel 2010, allo scopo di compiere una generale revisione dell’impianto e della struttura stessa dello Statuto, il CNDCEC aveva predisposto un articolato normativo che attribuiva rango di legge costituzionale ad alcune norme statutarie (da ultimo, si veda “Con lo Statuto del contribuente, il Congresso entra nel vivo” del 21 ottobre 2010). Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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