QUADERN / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Contestabile il ruolo se dopo l’adesione al “PVC” sono negate le detrazioni Le note di variazione IVA seguono sempre lo split payment / Alfio CISSELLO Con la circolare 15, l’Agenzia chiarisce l’ambito applicativo del meccanismo L’art. 5-bis del DLgs. 218/97 prevede che il contribuente possa prestare adesione ai verbali di constatazione che, di norma, sono redatti al termine della verifica fiscale. Il vantaggio dell’istituto consiste nel fatto che le sole sanzioni previste per la procedura ordinaria di accertamento con adesione (un terzo del minimo) vengono ridotte alla metà per cui, in caso di adesione totale al processo verbale di constatazione, l’entità delle sanzioni è pari a un sesto del minimo. Dal punto di vista procedurale, l’adesione deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla consegna del verbale, mediante comunicazione all’ufficio e alla Guardia di Finanza; poi, entro i 60 giorni successivi alla comunicazione da parte del contribuente, l’ufficio deve [...] / Simonetta LA GRUTTA Con la circolare n. 15 di ieri, 13 aprile 2015, l’Agenzia delle Entrate torna a fornire chiarimenti in materia di split payment, con l’intento di risolvere le difficoltà interpretative che via via gli operatori coinvolti incontrano nell’applicazione delle nuove disposizioni, per le quali, si ricorda, non si è ricevuta ancora la necessaria autorizzazione da Bruxelles. Sotto il profilo soggettivo, la circolare chiarisce che è da ricomprendere nell’ambito di applicazione ogni soggetto pubblico che, in quanto qualificabile come immediata e diretta espressione degli enti della Pubblica Amministrazione, è immedesimabile negli stessi. Tra questi, anche: - i Commissari delegati alla ricostruzione a seguito di eventi calamitosi; - i consorzi di bacino imbrifero montani; - i consorzi universitari costituiti per il perseguimento di finalità istituzionali comuni ai consorziati. Per comprendere se un ente possa qualificarsi come pubblico è necessario accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali che li caratterizzano, quali ad esempio la titolarità di A PAGINA 2 A PAGINA 3 INEVIDENZA CONTABILITÀ Col nuovo falso in bilancio cresce la discrezionalità valutativa del magistrato Agevolata la presentazione delle dichiarazioni di intento in dogana Nella vendita coattiva diritto di rivalsa per l’IVA omessa Nella collocazione degli utili ampia libertà alla controllante ALTRENOTIZIE poteri autoritativi e amministrativi, la potestà di autotutela, l’ingerenza statale. Sulla base di detti parametri devono considerarsi esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 17-ter il CONI e la Banca d’Italia. In caso di incertezza, i fornitori dovranno attenersi alla qualificazione fornita dall’ente committente o cessionario, presupponendo che quest’ultimo abbia tutti gli elementi atti a valutare il proprio profilo soggettivo. Sotto il profilo oggettivo, si ripercorrono i chiarimenti già forniti con la circolare n. 6/2015, fornendo ulteriori esemplificazioni dei casi in cui il meccanismo dello split payment non è applicabile (le operazioni soggette ai regimi monofase di cui all’art. 74 del DPR 633/72, al regime del margine, al regime speciale delle agenzie di viaggio, al regime per le attività di intrattenimento e spettacolo, ecc.). La circolare affronta poi il tema delle note di variazione di cui all’art. 26 del DPR 633/72, chiarendo il comportamento da tenere nel caso in cui il fornitore, ricorrendone [...] / A PAGINA 11 Istruzioni Unioncamere per il deposito dei bilanci 2014 / Silvia LATORRACA Unioncamere ha messo a disposizione sul proprio sito internet, così come ogni anno, il Manuale operativo per il deposito dei bilanci al Registro delle imprese, con specifico riferimento alla campagna bilanci 2015. Le indicazioni di maggior rilievo attengono, evidentemente, al formato elettronico elaborabile XBRL, che, nonostante sia utilizzato in via obbligatoria già a decorrere dai bilanci 2009, è interessato da alcune novità, alla luce della pubblicazione della [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Contestabile il ruolo se dopo l’adesione al “PVC” sono negate le detrazioni Emergono “le falle” dell’adesione ai verbali, istituto deflativo del contenzioso che avviene “al buio” / Alfio CISSELLO L’art. 5-bis del DLgs. 218/97 prevede che il contribuente possa prestare adesione ai verbali di constatazione che, di norma, sono redatti al termine della verifica fiscale. Il vantaggio dell’istituto consiste nel fatto che le sole sanzioni previste per la procedura ordinaria di accertamento con adesione (un terzo del minimo) vengono ridotte alla metà per cui, in caso di adesione totale al processo verbale di constatazione, l’entità delle sanzioni è pari a un sesto del minimo. Dal punto di vista procedurale, l’adesione deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla consegna del verbale, mediante comunicazione all’ufficio e alla Guardia di Finanza; poi, entro i 60 giorni successivi alla comunicazione da parte del contribuente, l’ufficio deve notificare l’atto di definizione dell’accertamento parziale. Si evidenzia che, in ragione della riforma apportata dalla L. 190/2014 (che ha modificato il ravvedimento operoso, consentendolo sino alla notifica dell’atto impositivo espungendo lo “sbarramento temporale” dell’anno e della verifica fiscale), l’adesione in oggetto è destinata a scomparire, in sostanza, dal 2016, essendo fattibile solo più con riferimento ai verbali consegnati entro il 31 dicembre 2015. Come si desume dalla procedura brevemente riportata, l’elemento che distingue l’adesione ai verbali da altri istituti deflativi presenti nell’ordinamento (pensiamo all’accertamento con adesione, alla definizione agevolata delle sanzioni o alla conciliazione giudiziale) è il fatto che la liquidazione degli importi avviene “al buio”, ovvero dopo che il contribuente ha visionato i rilievi della Finanza o delle Entrate inseriti nel “PVC”. È quindi palese come al contribuente, in caso di errori nella liquidazione delle somme, debba essere garantita una tutela giudiziale, pena la violazione dell’art. 24 della Costituzione. Da un lato, l’adesione in esame deve essere integrale e non ammette alcun ripensamento (infatti, l’atto di definizione dell’accertamento, al pari dell’accertamento con adesione, / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 non è impugnabile), dall’altro, l’Ufficio non ha nessuna discrezionalità nella liquidazione degli importi. Quindi, come rilevato da attenta giurisprudenza (Commissione tributaria provinciale di Parma n. 33/2013), i funzionari devono tenere in considerazione non solo i recuperi a tassazione proposti nel verbale, ma anche i costi ivi indicati. Per dare attuazione a tale principio, è stato ritenuto impugnabile, nei limiti esposti, l’atto di definizione dell’accertamento parziale. Lo stesso per le agevolazioni fiscali Dando rilievo al principio, di matrice comunitaria, di prevalenza della sostanza sulla forma, unitamente a quello, affermato più volte dalla Cassazione, di interpretazione restrittiva delle cause di inammissibilità del ricorso (cosa che ben può estendersi al tema delle decadenze e delle preclusioni processuali in generale), deve ritenersi possibile ricorrere contro il ruolo formato a seguito delle rate da adesione ai “PVC” non pagate. La problematica è stata colta dalla Provinciale di Torino (sentenza n. 53/2013). Si ribadisce, in coerenza con quanto esposto, che quando l’Ufficio forma l’atto di definizione dell’accertamento parziale, deve tenere in considerazione le detrazioni d’imposta che spettano al contribuente, così come eventuali regimi agevolativi (nella specie, sembra trattarsi del regime per le nuove attività produttive). Ove ciò non avvenga, stante il carattere non impugnabile dell’atto di definizione dell’accertamento parziale (cosa che, comunque, a nostro avviso va contestualizzata, vista la decisione dei giudici di Parma), l’errata quantificazione delle imposte può essere censurata nel ricorso contro il ruolo, scaturente dal mancato pagamento delle rate da adesione al verbale. / 02 ancora FISCO Le note di variazione IVA seguono sempre lo split payment Con la circolare 15, l’Agenzia chiarisce l’ambito applicativo del meccanismo / Simonetta LA GRUTTA Con la circolare n. 15 di ieri, 13 aprile 2015, l’Agenzia delle Entrate torna a fornire chiarimenti in materia di split payment, con l’intento di risolvere le difficoltà interpretative che via via gli operatori coinvolti incontrano nell’applicazione delle nuove disposizioni, per le quali, si ricorda, non si è ricevuta ancora la necessaria autorizzazione da Bruxelles. Sotto il profilo soggettivo, la circolare chiarisce che è da ricomprendere nell’ambito di applicazione ogni soggetto pubblico che, in quanto qualificabile come immediata e diretta espressione degli enti della Pubblica Amministrazione, è immedesimabile negli stessi. Tra questi, anche: - i Commissari delegati alla ricostruzione a seguito di eventi calamitosi; - i consorzi di bacino imbrifero montani; - i consorzi universitari costituiti per il perseguimento di finalità istituzionali comuni ai consorziati. Per comprendere se un ente possa qualificarsi come pubblico è necessario accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali che li caratterizzano, quali ad esempio la titolarità di poteri autoritativi e amministrativi, la potestà di autotutela, l’ingerenza statale. Sulla base di detti parametri devono considerarsi esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 17-ter il CONI e la Banca d’Italia. In caso di incertezza, i fornitori dovranno attenersi alla qualificazione fornita dall’ente committente o cessionario, presupponendo che quest’ultimo abbia tutti gli elementi atti a valutare il proprio profilo soggettivo. Sotto il profilo oggettivo, si ripercorrono i chiarimenti già forniti con la circolare n. 6/2015, fornendo ulteriori esemplificazioni dei casi in cui il meccanismo dello split payment non è applicabile (le operazioni soggette ai regimi monofase di cui all’art. 74 del DPR 633/72, al regime del margine, al regime speciale delle agenzie di viaggio, al regime per le attività di intrattenimento e spettacolo, ecc.). La circolare affronta poi il tema delle note di variazione di cui all’art. 26 del DPR 633/72, chiarendo il comportamento da tenere nel caso in cui il fornitore, ricorrendone i presupposti, emetta una nota di variazione in aumento o in diminuzione relativa a un’operazione fatturata in precedenza ai sensi dell’art. 17-ter del DPR n. 633/72. In particolare, il fornitore dovrà emettere il documento facendo riferimento alla fattura originaria e indicando che la differenza (positiva o negativa) è anch’essa soggetta al meccanismo della scissione dei pagamenti. La Pubblica Amministrazione, se ha effettuato l’acquisto nella sfera commerciale, includerà la nota di variazione in / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 entrambi i registri e poi in liquidazione IVA, secondo le regole ordinarie. Diversamente, se l’acquisto è stato effettuato nella sfera istituzionale: - in caso di nota di variazione in aumento, la P.A. dovrà provvedere al versamento dell’IVA, così come avvenuto in precedenza per l’IVA afferente alla fattura che è stata rettificata; - in caso di nota di variazione in diminuzione, la P.A. potrà computare la maggiore imposta (ossia il maggior versamento effettuato in precedenza) a scomputo dei successivi versamenti IVA da effettuare per operazioni soggette alla disciplina in parola. Qualora, invece, la nota di variazione sia relativa a operazioni fatturate ante entrata in vigore delle nuove norme, si seguiranno le regole ordinarie. In virtù del fatto che sia le P.A. che i fornitori hanno configurato i sistemi di fatturazione e contabilità in conformità delle norme di cui all’art. 17ter, per cui potrebbe risultare complessa l’emissione e contabilizzazione di una nota credito con le regole ordinarie, il fornitore ha facoltà di applicare anche in quest’ultimo caso la disciplina della scissione dei pagamenti. L’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti anche sulla regolarizzazione delle fatture erroneamente emesse secondo le regole ordinarie. In tema di rimborsi, si specifica che l’effettuazione delle operazioni soggette allo split payment non costituisce un presupposto autonomo ai fini della richiesta di rimborso dell’eccedenza detraibile; tali operazioni, infatti, vanno considerate unitamente alle altre operazioni poste in essere dal fornitore al fine di calcolare la sussistenza del presupposto dell’“aliquota media” di cui all’art. 30, comma 2, lett. a) del DPR 633/72. Se il soggetto passivo non soddisfa tali requisiti, può comunque ottenere il rimborso dell’eccedenza detraibile, qualora ne ricorrano i presupposti, negli altri casi previsti dal citato art. 30. In tal caso, però, il rimborso non potrà essere ammesso all’esecuzione prioritaria, riservata alla sola fattispecie di cui all’art. 30, comma 2, lett. a). Da ultimo, l’Agenzia chiarisce le conseguenze, ai fini dello split payment, dell’ipotesi in cui le pubbliche amministrazioni, prima di pagare i propri fornitori, provvedano a richiedere il DURC e, in presenza di irregolarità, attivino il cosiddetto “intervento sostitutivo”, che consiste nel pagare l’importo dovuto direttamente all’Istituto previdenziale o assicurativo creditore. Per l’Agenzia tale procedimento, sulle fatture soggette al meccanismo dello split payment, va avviato al netto dell’IVA (quindi con riferimento al solo imponibile). / 03 ancora CONTABILITÀ Istruzioni Unioncamere per il deposito dei bilanci 2014 La composizione della pratica di deposito differisce a seconda della data di approvazione del bilancio / Silvia LATORRACA Unioncamere ha messo a disposizione sul proprio sito internet, così come ogni anno, il Manuale operativo per il deposito dei bilanci al Registro delle imprese, con specifico riferimento alla campagna bilanci 2015. Le indicazioni di maggior rilievo attengono, evidentemente, al formato elettronico elaborabile XBRL, che, nonostante sia utilizzato in via obbligatoria già a decorrere dai bilanci 2009, è interessato da alcune novità, alla luce della pubblicazione della nuova tassonomia integrata, capace di codificare in formato elettronico elaborabile l’intero rendiconto, comprensivo della Nota integrativa. Il Manuale conferma che, in relazione ai bilanci relativi ad esercizi chiusi il 31 dicembre 2014 o successivamente, la pratica di deposito si compone secondo modalità differenti a seconda della data di approvazione del bilancio (si veda “Nota integrativa in XBRL a partire dal 3 marzo” del 18 febbraio 2015). I soggetti che depositano un bilancio d’esercizio approvato in data precedente al 3 marzo 2015 non sono obbligati ad utilizzare la nuova tassonomia integrata. Per tali soggetti, la composizione della pratica relativa al bilancio “solare” 2014 è analoga a quella utilizzata in relazione alle precedenti campagne bilanci (esercizi dal 2009 al 2013) e, per la formazione dell’istanza XBRL, deve essere utilizzata la versione 1.10 della tassonomia, rilasciata nel 2011. La pratica dovrà, quindi, contenere: - un file in formato XBRL, contenente il solo prospetto contabile, costituito da Stato patrimoniale e Conto economico; - un file in formato pdf/a-1, contenente la Nota integrativa; - un file in formato pdf/a-1 per ciascun documento che accompagna il bilancio (es. Relazione sulla gestione, Relazione dei sindaci, Relazione di revisione, verbale assembleare). I soggetti che depositano un bilancio d’esercizio approvato a partire dal 3 marzo 2015 sono, invece, obbligati ad utilizzare la nuova tassonomia integrata. In questo caso, la pratica di deposito del bilancio relativo all’esercizio 2014 deve contenere soltanto: - un file in formato XBRL, completo di prospetto contabile (Stato patrimoniale e Conto economico) e Nota integrativa; - un file in formato pdf/a-1 per ciascun documento che accompagna il bilancio. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 Tutti i file che compongono la pratica (compresa l’istanza XBRL) devono essere firmati digitalmente. Il file contenente il prospetto contabile e la Nota integrativa è definito con nome file, senza spazi o altri caratteri speciali, ed è caratterizzato dall’estensione xbrl (durante la sperimentazione, tale file assumeva, invece, l’estensione xml). A seguito dell’apposizione della firma digitale, assume l’estensione xbrl.p7m. Altre utili indicazioni sono state fornite in merito agli strumenti disponibili per la predisposizione dell’istanza. A tal fine, si possono utilizzare i diversi software messi a disposizione, a pagamento, dalle aziende specializzate, avendo cura di verificare che la versione della tassonomia impiegata sia quella corretta. In alternativa, è possibile utilizzare gli strumenti gratuiti messi a disposizione da InfoCamere sul sito webtelemaco.infocamere.it. Con riferimento alla nuova tassonomia integrata, attraverso la pagina dedicata “Strumenti NI”, è possibile accedere ad un foglio di calcolo (a compilazione manuale) per la produzione dell’istanza XBRL, secondo la tassonomia di riferimento. La compilazione può avvenire attraverso l’imputazione manuale dei valori in un apposito file excel oppure tramite la loro importazione da un’istanza XBRL. InfoCamere mette, inoltre, a disposizione un servizio on line, denominato TEBENI, che consente: - di verificare la correttezza formale (rispetto della tassonomia, quadratura delle voci di bilancio, eccetera) dell’istanza XBRL (c.d. validazione), prima del deposito presso il Registro delle imprese; - di convertire l’istanza XBRL in formato html o pdf, in modo da ottenere un formato leggibile del bilancio, nonché di trasformare il solo prospetto contabile in formato csv, utile per la rielaborazione dei dati tramite fogli di calcolo. La visualizzazione può essere richiesta in italiano, inglese, francese e tedesco. Si noti che i controlli eseguiti dal servizio TEBENI sono analoghi ai controlli di base svolti dall’ufficio del Registro delle imprese all’atto del ricevimento dell’istanza, cosicché la preventiva validazione garantisce il buon esito dell’istruttoria camerale. La verifica è, quindi, raccomandata anche agli utenti che utilizzano software gestionali. / 04 ancora IMPRESA Col nuovo falso in bilancio cresce la discrezionalità valutativa del magistrato Il Ddl. ora al vaglio della Camera presenta molti dubbi e poche certezze / Luciano DE ANGELIS L’ultimo testo del Ddl. anticorruzione approvato dal Senato ed ora assegnato alla Commissione Giustizia della Camera interviene anche sul reato di falso in bilancio, prevedendo quanto segue: - due tipologie di reato di false comunicazioni sociali (a seconda della quotazione o meno della società) aventi natura di reato di pericolo e, almeno di regola, punibili ex officio. Le attuali fattispecie sono, invece, di pericolo (art. 2621 c.c.) e di danno (art. 2622 c.c.). Per quest’ultima è, di regola, prevista la punibilità a querela della persona offesa; - la punibilità in capo a chi consapevolmente espone (o concorre ad esporre) “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” ovvero omette fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo alla quale essa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore (nel caso di esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero in società quotate non è necessario che questi siano “rilevanti”); - l’incremento delle sanzioni irrogabili. In particolare, le nuove pene comminabili vengono incrementate e parametrate alla dimensione della società, distinguendo le società ordinarie (reclusione da 1 a 5 anni) da quelle quotate anche in mercato regolamentato di altro paese europeo (reclusione da 3 ad 8 anni); - l’incremento delle quote cui parametrare le sanzioni alle società in conseguenza dei reati commessi nel loro interesse. Con importi che, sostanzialmente, vengono raddoppiati rispetto alle attuali previsioni di cui all’art. 25-ter del DLgs. 231/2001; - la configurazione di “fatti di lieve entità”, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 2621 c.c., valutati tenendo conto della natura e delle dimensioni della società, nonché delle modalità ed effetti della condotta, per i quali è prevista una pena ridotta (reclusione da sei mesi a tre anni). A tale pena soggiacciono anche le società non fallibili, ai sensi dell’art. 1 del RD 267/42. In tal caso, inoltre, il delitto è procedibile “a querela di parte” (entro 3 mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato, ex art. 124 c.p.); - il riconoscimento della “non punibilità per particolare tenuità”, sempre in relazione alla fattispecie di cui all’art. 2621 c.c. In pratica un’esimente per le situazioni previste dal nuovo art. 131-bis c.p., che contempla la non punibilità del fatto nei casi in cui l’offesa venga considerata di scarsa gravità e quando la condotta (in questo caso, in primis, dell’amministratore o degli amministratori) non è abituale. In tale / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 contesto è sottolineata la “centralità” dell’eventuale danno; - l’eliminazione di ogni soglia di non punibilità. Qualora venissero confermate tali novità, si andrebbero a determinare le seguenti particolari situazioni. Non rilevano le valutazioni dei beni La prima sarebbe quella che individua il falso solo in “fatti materiali”, i quali (salvo future diverse interpretazioni della giurisprudenza) dovrebbero attenere solo alla falsificazione quantitativa dei beni (immobilizzati o merce) indicati in bilancio e non alle valutazioni degli stessi. Qualora tale interpretazione venisse confermata, “il falso” non andrebbe a riscontrarsi, quindi, nei casi di valutazioni anche particolarmente differenti rispetto al valore ritenuto “corretto”. Considerando che il bilancio è, per definizione, un documento veritiero e mai vero in senso assoluto proprio perché sempre permeato da valutazioni, tale circostanza potrebbe risultare particolarmente rilevante. Si pensi alla valutazione di rimanenze finali in edilizia a fronte di una crisi sostanziale del mercato, oppure alla mancata svalutazione di crediti sostanzialmente inesigibili. La seconda circostanza attiene alla sostituzione dell’attuale complesso elemento soggettivo (connotato da dolo specifico ed intenzionale) con una locuzione che reca solo l’avverbio “consapevolmente”, con il rischio di considerare sufficiente anche il dolo “eventuale”. Sotto questo profilo non c’è dubbio che, con il paventato nuovo dettato normativo, l’area di potenziale punibilità si estenda considerevolmente, così come cresca incisivamente la “discrezionalità valutativa” concessa al magistrato a seguito dell’abrogazione delle attuali “soglie quantitative”. In altri termini, le “false comunicazioni sociali” potrebbero essere contestate (magari in ambito fallimentare con tutte le aggravanti del caso) con maggior frequenza agli amministratori o al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari; reato nel quale, peraltro, a titolo concorsuale potrebbero essere coinvolti, anche i revisori o i sindaci-revisori, rei di aver avallato quel bilancio con un giudizio positivo. Di scarsa applicabilità risulterebbero, inoltre, gli “sconti” di pena per fatti commessi nelle società non fallibili. Si tratta di società che negli ultimi 3 anni non hanno raggiunto neppure uno dei tre parametri di cui all’art. 1 del RD 267/42 (200 mila euro di fatturato, 300 mila euro di attivo patrimoniale, debiti anche non scaduti superiori a 500 mila euro); dimensioni, invero, piuttosto rare nelle società di capitali, ma / 05 ancora molto più frequenti nelle società di persone. Queste ultime, tuttavia, per l’ampiezza dei poteri di controllo riconosciuti ai soci non amministratori, anche in relazione alla loro responsabilità illimitata, e soprattutto in virtù della assenza di pubblicità dei conti societari (prassi peraltro non condivisibile e sostanzialmente sconosciuta in Europa dove i bilanci delle società di persone sono quasi sempre assoggettati a deposito come avviene, ad esempio, in Francia e Germania), non si imbattono pressoché mai nel falso in bilancio (la sostanziale mancanza di giurisprudenza storica sul tema appare assai significativa). Ne deriva che l’esimente in commento sarebbe di ben rara applicazione nella realtà operativa essendo, nei fatti, sostanzialmente limitata a piccolissime srl, soprattutto in fase di start up. È tuttavia da rilevare, per onestà intellettuale, che la norma in via di introduzione richiede pur sempre la “consapevolezza” della natura falsa dell’informazione esposta, nonché “l’idoneità della condotta ad indurre i terzi in errore”. Tali / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 precisazioni dovrebbero costituire argomentazioni determinanti ai fini della perseguibilità delle sole frodi e non dei meri errori. Ciò senza considerare che le nuove regole sulla responsabilità civile dei giudici per colpa grave potrebbero indurre questi ultimi a contestare il reato solo nei casi di maggior evidenza dello stesso. Tali circostanze mitigano però solo parzialmente i rischi dianzi evidenziati. In conclusione, il nuovo reato di falso in bilancio parrebbe una sorta di “ritorno al passato”, con la novità dell’irrilevanza delle valutazioni (di non semplice comprensione logica), ma anche con crescente indeterminatezza della norma ed incremento della discrezionalità valutativa. Tale situazione potrebbe costituire un ulteriore disincentivo all’imprenditoria nazionale, un ostacolo non di poco conto per la certezza del diritto ed una ulteriore barriera all’entrata per gli imprenditori esteri (purtroppo sempre più rari) che volessero dislocare nel “Bel Paese” un’attività produttiva. / 06 ancora FISCO Agevolata la presentazione delle dichiarazioni di intento in dogana L’Amministrazione finanziaria ammette l’indicazione cumulativa delle importazioni con l’utilizzo del plafond / Emanuele GRECO Con la risoluzione n. 38, pubblicata ieri 13 aprile 2015, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto che è possibile presentare un’unica dichiarazione di intento in dogana con riferimento a più operazioni di importazione, fino a concorrenza del plafond utilizzabile nell’anno di riferimento. L’importatore non è, dunque, tenuto a indicare, nel campo 1 della lettera di intento, il valore dell’operazione alla quale la dichiarazione si riferisce. Potrà essere compilato anche per le importazioni, al pari degli acquisti di beni e servizi da fornitori nazionali, il campo 2 della dichiarazione di intento, ove indicare l’ammontare del plafond che si intende utilizzare per gli acquisti senza applicazione dell’IVA. La soluzione adottata è del tutto aderente al disposto dell’art. 1 comma 1 lett. c) del DL 746/83, novellato dal DLgs. 175/2014, ai sensi del quale “l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’imposta” deve risultare da apposita dichiarazione trasmessa telematicamente all’Agenzia delle Entrate. La suddetta dichiarazione, unitamente alla ricevuta rilasciata dall’Agenzia, deve essere consegnata al fornitore ovvero (ai fini che qui interessano) in Dogana. Tale norma non prevede, dunque, alcuna limitazione all’utilizzo del plafond, nella dichiarazione di intento, al fine di effettuare importazioni senza applicazione dell’IVA. Peraltro, in base alla nuova disciplina di cui all’art. 20 del DLgs. 175/2014, è previsto che l’Agenzia delle Entrate metta a disposizione dell’Agenzia delle Dogane la banca dati delle dichiarazioni d’intento, fornendo così un nuovo strumento per l’attività di controllo. In considerazione del tenore delle norme applicabili e dei rafforzati strumenti di controllo, l’Agenzia delle Entrate ammette che, analogamente a quanto previsto per gli acquisti di beni e servizi da fornitori nazionali, una dichiarazione di intento possa riguardare diverse operazioni doganali di im- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 portazione, fino a concorrenza del plafond da utilizzarsi nell’anno di riferimento. Di conseguenza, come detto, anche per le importazioni potrà essere compilato tanto il campo 1 quanto il campo 2 del modello di dichiarazione d’intento, inserendo in quest’ultimo caso l’importo corrispondente all’ammontare della quota parte del plafond IVA che l’operatore presume di utilizzare per effettuare importazioni nel periodo di riferimento. Il dubbio sorgeva da un risalente intervento di prassi che, come specificato ieri dall’Agenzia delle Entrate, deve ritenersi superato. Con la risoluzione 27 luglio 1985 n. 355235, l’Amministrazione sosteneva che “nel caso di importazioni di beni la dichiarazione d’intento deve essere presentata in dogana per ogni singola operazione specificando il relativo importo”, stante la necessità, all’epoca, di effettuare i dovuti riscontri per ciascuna singola operazione doganale. Nel senso indicato dalla risoluzione n. 355235 sono state predisposte anche le istruzioni alla compilazione del modello di dichiarazione di intento (di cui al provvedimento del 12 dicembre 2014), che, dunque, dovranno essere aggiornate. Le istruzioni al modello dovranno essere aggiornate Va ricordato che l’Agenzia era già intervenuta sul modello di dichiarazione di intento (e sulle relative istruzioni) con il provvedimento n. 19388 dell’11 febbraio 2015. In tale circostanza, era stata prevista, nel campo 1 della dichiarazione, la possibilità di indicare il valore presunto (e non esatto) dell’operazione, vale a dire l’importo massimo del plafond da utilizzare per la specifica operazione. Tale opportunità si riferisce proprio al caso di presentazione della dichiarazione di intento in Dogana, considerato che la base imponibile IVA non è sempre determinabile prima dell’importazione (dovendo includere anche i diritti doganali e le spese di trasporto fino al luogo di destinazione dei beni). / 07 ancora FISCO Nella vendita coattiva diritto di rivalsa per l’IVA omessa Il debitore esecutato può agire nei confronti dell’aggiudicatario, senza dover provare il pagamento del tributo / Michele BANA L’IVA fa parte delle spese che, a norma dell’art. 580 c.p.c., chi intende partecipare all’incanto, compreso il creditore ipotecario, è tenuto a depositare in cancelleria: l’omesso versamento di tale imposta non è idoneo a pregiudicare l’efficacia dell’emissione del decreto di trasferimento, ma comporta il riconoscimento del diritto di rivalsa nei confronti dell’aggiudicatario da parte del debitore esecutato (previa emissione di fattura), il quale non è tenuto a dimostrare di aver provveduto al relativo pagamento. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 7361 depositata ieri, ribadendo, peraltro, il proprio orientamento ormai consolidato: in primo luogo, è stato osservato che la circostanza che un decreto di trasferimento sia stato emesso senza che l’aggiudicatario abbia versato l’IVA già all’atto dell’offerta oppure in sede di pagamento del prezzo non può integrare una ragione di opposizione agli atti contro il decreto di trasferimento (Cass. 13013/2006). È stato, poi, ritenuto corretto l’orientamento del giudice territoriale, fondato sulla Cassazione n. 8859/1995, secondo cui chi agisce non deve fornire al soggetto tenuto alla rivalsa IVA la prova del pagamento dell’imposta, ma soltanto quella dell’obbligo del versamento da parte del richiedente: quest’ultimo è, infatti, il solo obbligato, in via diretta, nei confronti dell’Erario, mentre il destinatario della pretesa è obbligato esclusivamente nei confronti di chi agisce in rivalsa. La decisione in parola è, inoltre, coerente con alcuni consolidati principi giurisprudenziali: - la vendita in sede di esecuzione forzata di un bene compreso in un’azienda deve essere assoggettato all’IVA e all’imposta di registro in misura fissa, in quanto l’art. 2, comma 1 del DPR 633/1972 definisce come cessioni di beni, rientranti nel campo di applicazione dell’IVA, gli atti a titolo oneroso che comportano il trasferimento della proprietà, adottati nell’esercizio d’impresa, senza distinzione tra la natura volontaria o coattiva del trasferimento (Cass. 7258/1997); - il diritto di rivalsa del debitore esecutato contro l’aggiudicatario soggiace al normale regime della rivalsa, che, secondo la previsione dell’art. 18, DPR 633/1972, costruisce l’obbligazione di rivalsa del cessionario come indipendente dal previo pagamento dell’imposta da parte del cedente obbligato sul piano tributario a tale versamento. È stata, inoltre, ritenuta rilevante la circostanza che la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto l’aggiudicatario ob- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 bligato all’autofatturazione nell’ipotesi di inadempimento dell’esecutato (Cass. 20587/2011). In virtù di tali considerazioni, la sentenza della Cassazione in commento è, pertanto, pervenuta alla formulazione di alcuni specifici principi: in tema di espropriazione forzata immobiliare, qualora il trasferimento coattivo dell’immobile espropriato sia soggetto ad IVA ed il decreto di trasferimento all’aggiudicatario venga emesso senza il versamento da parte sua all’atto del pagamento del prezzo della somma dovuta a titolo di IVA, deve escludersi che al debitore esecutato competa il diritto di far vale tale mancato versamento con il rimedio dell’opposizione agli atti contro il decreto. Non è, infatti, pregiudicata la posizione di costui, quale obbligato al pagamento dell’imposta, titolare del diritto di rivalsa a norma dell’art. 18, DPR 633/1972 nei confronti dell’aggiudicatario. È stata, conseguentemente, esaminata l’eventualità che il debitore esecutato abbia proposto opposizione agli atti esecutivi – assumendo l’invalidità del decreto di trasferimento, per essere stato emesso senza il versamento dell’IVA dovuta in relazione alla vendita coattiva dell’immobile, da parte dell’aggiudicatario – ed essa sia stata rigettata con sentenza passata in giudicato, con la motivazione che la sua tutela è affidata alla rivalsa di cui all’art. 18, DPR 633/1972: qualora, successivamente, egli agisca in rivalsa contro l’aggiudicatario, costui non può contestare il diritto di rivalsa adducendo che l’esercizio di essa, in quanto avvenuto senza previo pagamento dell’imposta, inciderebbe sull’ammontare del prezzo di aggiudicazione ormai definito, atteso che ciò – indipendentemente dall’infondatezza in iure dell’assunto – sarebbe in contrasto con l’esclusione dell’incidenza del mancato pagamento dell’imposta sulla correttezza del procedimento esecutivo sancita dal predetto giudicato. La Corte di Cassazione ha, infine, riconosciuto la sussistenza dei presupposti della compensazione tra il credito di rivalsa fatto valere dall’intimata ed il maggior credito vantato dal creditore procedente in cui il ricorrente si era surrogato per effetto di cessione prima dell’aggiudicazione, riconosciuto ed ammesso al passivo del procedimento esecutivo: è stato, infatti, ritenuto determinante il principio del diritto sopravvenuto (Cass. 23573/2013), nonché l’avvenuto accertamento del credito (Cass. 7707/2014). / 08 ancora IMPRESA Nella collocazione degli utili ampia libertà alla controllante Il Tribunale di Milano fornisce interessanti precisazioni in ordine all’ampiezza dei poteri del socio unico in relazione agli utili infragruppo / Maurizio MEOLI In presenza di attività di direzione e coordinamento da parte di un socio unico su più società, ed in mancanza di concreto conflitto di interessi tra le varie articolazioni del gruppo, non può dirsi di per sé “abusiva” la dislocazione degli utili sulla base delle scelte imprenditoriali complessive – come accade, ad esempio, nel caso di scelte contrattuali “infragruppo” che omettano l’attribuzione di compensi per prestazioni in favore di una data società alla quale la beneficiaria, sempre infragruppo, delle prestazioni si limiti a rimborsare i meri costi delle stesse – non determinandosi alcun pregiudizio né per i soci di minoranza delle società eterodirette (non presenti) né per i creditori delle stesse, la cui soddisfazione è comunque assicurata dal rimborso dei costi. Ad affermarlo è il Tribunale di Milano in una sentenza dello scorso anno, ma, a quanto sembra, solo recentemente depositata (24 marzo 2015). Ai sensi dell’art. 2497 comma 1 c.c., “le società e gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società”. Tale disposizione – precisa innanzitutto il Tribunale di Milano – sancisce il carattere di per sé lecito dell’“attività di direzione e coordinamento di società” e disciplina le conseguenze risarcitorie del solo svolgimento abusivo di tale attività; svolgimento abusivo consistente, appunto, nel “dirigere e coordinare” le società controllate in violazione dei principi societari ed imprenditoriali. Rispetto a tale responsabilità, come già sostenuto dal medesimo Tribunale (cfr. Trib. Milano 7 maggio 2014 e 20 dicembre 2013), deve riconoscersi la legittimazione ad esercitare la relativa azione anche alla società eterodiretta (abusata) e non soltanto ai soci ed ai creditori della stessa. Solo l’abuso di direzione e coordinamento è fonte di responsabilità Ad ogni modo, è il solo abuso dell’attività di direzione e coordinamento che viene qualificato come fonte di responsabilità; per il resto l’attività di direzione e coordinamento / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 che si collochi lungo i binari dei “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” è perfettamente lecita. Ne consegue – precisano i giudici milanesi – il seguente corollario: laddove, come “normalmente” accade nella prassi organizzativa di gruppi di imprese, più società, tutte riferibili ad un unico socio che le controlli totalmente detenendone l’intero capitale, siano dal soggetto controllante sostanzialmente deputate a svolgere il ruolo di articolazioni della medesima attività di impresa, con dislocazione degli utili a seconda delle scelte imprenditoriali complessive del gruppo – come accadeva nel caso di specie, dove, sulla base di scelte contrattuali “infragruppo”, si ometteva l’attribuzione di compensi per prestazioni in favore di una data società alla quale la beneficiaria, sempre infragruppo, delle prestazioni si limitava a rimborsare i meri costi delle stesse – tale organizzazione (del gruppo), in quanto non produttiva di perdite in capo alla società eterodiretta, non può di per sé dirsi abusiva. Nessun pregiudizio, infatti, viene a determinarsi né in capo ai soci di minoranza delle società eterodirette (non presenti), né nei confronti dei creditori delle stesse, la cui soddisfazione è comunque assicurata dal rimborso dei costi. D’altra parte, in assenza di un concreto conflitto di interessi tra le varie articolazioni d’impresa – che, seppur dotate di autonoma soggettività, sono tutte interamente riferibili al medesimo soggetto – è possibile ravvisare nella suddetta modalità d’azione un interesse imprenditoriale di allocazione delle risorse da valutarsi come di per sé lecito e non “scorretto”; essendo poi irrilevante che, come accadeva nel caso di specie, la situazione di totale controllo venga successivamente a mutare, con subentro di altri soci in una delle controllate. Infatti, la liceità o meno dell’attività di direzione e coordinamento deve essere valutata in riferimento all’assetto del gruppo nel momento nel quale si colloca il concreto esercizio di tale attività (cfr. al riguardo, seppure relativamente ad un differente contesto normativo, Cass. nn. 3385/2004 e 8472/1998). Chiaramente – conclude comunque la decisione in commento – quanto fino ad ora affermato non può essere inteso nel senso della liceità, nell’ambito della organizzazione infragruppo di società interamente tutte possedute da una stessa capogruppo, di direttive che prevedano il completo “svuotamento” di talune controllate, da abbandonarsi al loro destino una volta che ad esse siano stati imputati – senza / 09 ancora alcun rimborso infragruppo – costi per prestazioni o acquisti delle quali beneficino altre, con pregiudizio per i creditori delle prime. In tal caso, infatti, si ricadrebbe nella scorrettezza della di- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 14 APRILE 2015 rezione unitaria, da valutarsi in riferimento agli interessi esterni al gruppo che possano (o non possano) essere incisi dalle regole organizzative dello stesso gruppo quanto alla allocazione delle risorse infragruppo. / 10 ancora PROFESSIONI Dal CNDCEC le proposte di riforma del Codice Antimafia Nel corso di un’audizione alla Camera, i commercialisti chiedono modifiche anche alla procedura di nomina degli amministratori giudiziari / Savino GALLO Criteri più trasparenti per la nomina dell’amministratore giudiziario, maggiore tutela di tale figura nello svolgimento dell’incarico e una chiara definizione delle competenze affidate all’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Queste alcune delle proposte avanzate dai rappresentanti dei commercialisti italiani dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera, presso la quale si è tenuta ieri un’audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui progetti di legge recanti “Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”. Si tratta di una serie di progetti di legge, riuniti in un testo unificato adottato come base (AC 1138), che mirano ad una riforma organica del Codice Antimafia (DLgs. n. 159/2011), ai quali, nel corso degli ultimi mesi, se ne sono aggiunti altri due: uno di iniziativa governativa, depositato in Senato lo scorso novembre (AS 1687), l’altro presentato alla Camera dalla Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi (AC 2737). Ed è proprio a quest’ultimo disegno di legge, secondo i commercialisti, che bisognerebbe fare riferimento per la riscrittura del Codice e, in particolare, dell’art. 35, riguardante la nomina e la revoca dell’amministratore giudiziario. Riprendendo per grandi linee tale Ddl., infatti, la proposta emendativa presentata dai rappresentanti della categoria prevede l’introduzione di criteri di trasparenza che assicurino la rotazione degli incarichi tra gli amministratori: “Gli emendamenti presentati – spiega Maria Luisa Campise, Consigliera del CNDCEC con delega alle funzioni giudiziarie – fissano criteri per la scelta dell’amministratore giudiziario in via del tutto generale, stabilendo che della loro applicazione concreta nei singoli casi debba essere dato conto in un provvedimento motivato del tribunale che conferisce l’incarico. Si vogliono così evitare criteri e meccanismi di selezione rigidi e inadeguati alle esigenze imprevedibili di ciascuna procedura, ma al contempo rendere trasparenti e verificabili le scelte degli uffici giudiziari”. Sì, dunque, alla trasparenza e alla rotazione delle nomine, ma non al mono-incarico contemplato prima dalle disposizioni contenute nel pacchetto Giustizia 2014 poi dal Ddl. Grasso in materia di corruzione, in base al quale ogni amministratore potrebbe ottenere non più di un incarico per volta. Una disposizione ampiamente criticata dai commercialisti (si veda “Amministratori giudiziari, il CNDCEC contro il mono-incarico” del 14 gennaio), se non altro per il rischio “fuga” dei professionisti da un settore che, a quel punto, diverrebbe molto meno attraente. Regolamento per la determinazione dei compensi atteso da cinque anni A maggior ragione se si considera il mancato arrivo del regolamento per la determinazione dei compensi. A questo proposito, nelle more dell’emanazione del decreto (atteso ormai da 5 anni), i commercialisti propongono di utilizzare le disposizioni contenute nel DM 140/2012, al fine di “applicare in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, un criterio univoco di determinazione dei compensi degli amministratori giudiziari e dei coadiutori dell’Agenzia”. Sempre nell’ottica di una “maggiore valorizzazione” della figura dell’amministratore giudiziario, Campise ha proposto anche di introdurre un termine più ampio, a discrezione del giudice, per la presentazione della prima relazione sulla gestione: “Riteniamo – precisa la Consigliera nazionale – che l’estensione del termine possa consentire all’amministratore una più approfondita valutazione dei fatti, in particolare con riferimento alle prospettive di prosecuzione dell’impresa in sequestro”. Allo stesso tempo, si dovrà migliorare la tutela dell’amministratore, “scongiurando le azioni di responsabilità in suo danno, sovente attivate pretestuosamente al solo fine di danneggiarlo” e concedendo un termine per la sanatoria (senza esporlo a procedimenti anche di natura penale) in caso di irregolarità riscontrate sui beni sequestrati. Quanto, invece, alla gestione dei beni, i commercialisti propongono di lasciarla in capo all’amministratore (sotto il controllo del giudice delegato) per tutta la durata della fase giudiziaria, quindi dal sequestro fino alla confisca definitiva: “Di conseguenza – conclude Campise –, l’Agenzia, le cui sedi secondarie non dovrebbero essere eliminate (come prevede il Ddl. unificato, ndr) bensì potenziate, dovrà occuparsi di amministrare i beni definitivamente confiscati, traghettando la gestione dei medesimi dalla data di definitività alla loro effettiva destinazione agli aventi diritto”. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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