Note ed appunti a margine del disegno di legge concernente “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali (collegato alla legge di stabilità 2014)”. Le presenti note sono presentate dal PolieCo [Consorzio Nazionale per il Riciclaggio dei Beni a Base di Polietilene, istituito ex lege dapprima con l’articolo 48 con il d.l.g. 22/97 e poi confermato con l’articolo 234 del d.l.g. 152/2006 e sue successive modificazioni ed integrazioni] si riferiscono allo Disegno di legge di cui in epigrafe collegato alla “legge di stabilità 2014”, contenete disposizioni in materia ambientale e si limita ad evidenziare alcuni aspetti suscettibili di qualche commento in relazione al mandato istituzionale assegnato al Consorzio stesso. Nell’occasione il Consorzio si permette anche di rammentare come ad oggi non risulterebbe ancora da sottoporre a recepimento la direttiva 2013/2/UE della Commissione, quella del 7 febbraio 2013, recante la modifica dell’Allegato I della direttiva 94/62/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, all’uopo allegando un promemoria in appendice. 1 Art. 9 (Disposizioni per agevolare il ricorso agli “appalti verdi”). La disposizione mira ad introdurre un incentivo per gli operatori economici che partecipano ad appalti pubblici e che sono muniti di registrazione Emas (che certifica la qualità ambientale dell’organizzazione aziendale) o di marchio Ecolabel (che certifica la qualità ecologica di “prodotti”, comprensivi di beni e servizi). Il beneficio è una riduzione del 20% della cauzione a corredo dell’offerta, ai sensi del codice appalti. La disposizione, inoltre, ha lo scopo di introdurre tra i criteri ambientali di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche il criterio -‐ per i contratti che hanno come oggetto beni o servizi -‐ che le prestazioni oggetto del contratto siano dotate di marchio Ecolabel. Inoltre, tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, viene introdotto quello del costo del ciclo di vita dell’opera, prodotto, o servizio, criterio previsto dalla bozza di nuova direttiva comunitaria sugli appalti pubblici. Si ritiene che la norma abbia iniziato a tracciare un percorso che potrebbe essere più coraggiosamente definito. 2 Art. 10 (Applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi) Tra le questioni ambientali più rilevanti che l’Italia deve affrontare, vi sono quelle legate al consumo di energia da fonti non rinnovabili (con la conseguente emissione di Co2) e quelle legate alla produzione di rifiuti. Per entrambe le dette problematiche, rendere obbligatorio il riferimento ai criteri ambientali minimi per gli acquisti pubblici (Green Public Procurement) può contribuire in maniera rilevante alla soluzione, con ricadute positive anche sotto il profilo economico. Sarebbe bene riuscire fin d’ora ad avere maggiori certezze applicative circa i criteri normativo-‐pratici relativamente alle forniture ed agli affidamenti di servizi. Si rammenta come in tal senso si inserisca, anche in termini di individuazione dei beni, il catalogo ufficiale del PolieCo [consorzio, come noto, con riserva di legge in materia di gestione dei beni a base di polietilene]. Si ritiene che l’occasione sia utile per creare un coordinamento funzionale tra norme di origine diversa [contratti pubblici e tutela e gestione ambientale], prevedendo come necessaria una verifica dell’adempimento degli obblighi consortili ambientali in capo alle imprese a cui affidare forniture e servizi. 3 Art. 11 (Accordi di programma e incentivi per l’acquisto dei prodotti derivanti da materiali post consumo) La ratio dello disegno di legge in esame punterebbe ad incentivare l’acquisto di prodotti realizzati con materia derivata dalle raccolte differenziate post – consumo, introducendo incentivi che facilitino il settore del riciclo rispetto al recupero energetico. Si introducono quindi nella nostra legislazione un insieme di principi e di incentivi ai consumatori, alle imprese ed agli enti locali per sostenere l'acquisto di prodotti realizzati con materia derivata dalle raccolte differenziate post -‐ consumo in modo da promuovere il recupero, riciclo e il riutilizzo oltre al recupero energetico, per il quale esistono già numerose forme di incentivo (certificati verdi e bianchi, ecobonus per le ristrutturazioni). L’approccio tuttavia scelto, più che ecumenico, sembra “particolare”: infatti, con l’articolo in parola, lo strumento dell’accordo e contratto di programma mentre è esteso alle imprese che commercializzano prodotti derivanti da materiali post-‐consumo recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani non lo è alle imprese che commercializzano prodotti derivanti da materiali recuperati dalla raccolta dei rifiuti industriali. La dicotomia sulle plastiche pre – consumo e post -‐ consumo è stata peraltro stigmatizzata anche dallo stesso Ministero dell’Ambiente che in sede di gruppi di lavoro sui Criteri Ambientali Minimi ha proposto l’adozione della generica forma delle plastiche riciclate indipendentemente dal circuito che le ha generate. Si consideri comunque che il panorama delle imprese che riciclano è generalmente diviso in due: quelle che riciclano raccolte degli scarti industriali e quelle che riciclano dalle raccolte differenziate. Le imprese che riciclano dalle raccolte degli scarti industriali, a detta degli operatori del settore, rappresentano i tre quarti delle imprese del settore di riciclo [palesemente quindi le più numerose in Italia]. Si tratta solitamente di microimprese, artigianali e industriali, che lavorano per lo più ritirando gli scarti dell'industria che derivano dalla produzione di polimeri o residuali dalla fabbricazione di manufatti e imballaggi. Il riciclo in Italia ha sempre rappresentato, fin dagli anni '60, un'eccellenza a livello europeo, attualmente però risente della congiuntura negativa: ci sono imprese produttrici che chiudono e ciò si riflette in modo negativo sull'industria di trasformazione causando una significativa contrazione dei volumi disponibili anche per l'industria del riciclo, tutto ciò determinando un impoverimento per il mercato nazionale. L'insufficienza dei volumi inoltre crea l'effetto boomerang: i prezzi a cui vengono ceduti questi materiali diventano più alti. Per quanto riguarda invece le imprese che riciclano dalle raccolte differenziate del post-‐ consumo si tratta di un comparto più recente che nasce con l'avvio delle raccolte differenziate in Italia negli 4 anni '90. Questo settore costituisce, sempre a detta degli operatori del settore, un quarto delle imprese del settore del riciclo. Tutto ciò premesso ci si chiede quale tipo di sviluppo si possa avere escludendo i tre quarti degli operatori [e quindi i loro prodotti] del settore: è consequenzialmente richiesto un intervento correttivo volto a recuperare i detti tre quarti delle imprese di settore [e così il contributo ottenibile dal loro lavoro]. 5 Art. 12 (Procedure semplificate di recupero) Si rammenta come insistere sulle procedure semplificate, proprio in ambiti di delicata gestione [tipologie di rifiuti che cessano di esser tali] significa insistere nel non considerare proprio come siano state anche le “procedure semplificate” a creare difetti di tracciabilità dei rifiuti stessi che sarebbe forse il caso di rimediare. 6 Art. 13 (Attività di vigilanza sulla gestione dei rifiuti) Mal si comprende come a fronte della abrogazione dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, non solo si mantenga ma addirittura si ampli la dotazione a favore di una non meglio precisata [anche nelle sue competenze] segreteria tecnica ampliando conseguentemente l’onere a carico dei consorzi di gestione dei rifiuti. Si suggerisce di evitare di appesantire la struttura uscendo sia dalla logica di sopravvivenza dell’Osservatorio che dalla creazione della “nuova” segreteria tecnica, invece riconducendo le diverse competenze nell’ambito istituzionale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. 7 Art. 14 (Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio) Si stabilisce la previsione del raggiungimento di un tasso di raccolta differenziata reputato adeguato alla fine dell’anno 2020. Tale previsione mira a rincorrere le disposizioni europee che non tendono tanto ad individuare obiettivi di raccolta differenziata ma fissano, invece, specifici obiettivi di recupero. Peraltro quanto in proposta si rende necessario per adeguare il dato normativo al dato reale e per evitare che i Comuni incorrano nelle sanzioni correlate al mancato raggiungimento di tali obiettivi negli attuali termini di legge. Tale modifica si rende necessaria anche alla luce dei recenti dati sulla raccolta differenziata dai quali si evince che gli obiettivi previsti dalla normativa vigente non sono stati perseguiti a livello omogeneo sul territorio nazionale. Attualmente la percentuale media nazionale di raccolta differenziata si attesta sul valore del 39,9% (dato preliminare fonte Ispra: Rapporto Rifiuti Urbani, edizione 2013). Con il provvedimento si incentivano i Comuni che raggiungono gli obiettivi prefissi e che verranno premiati con il pagamento di solo il 20% del tributo regionale rispetto ai rifiuti che si conferiscono in discarica. Per i Comuni che non raggiungono gli obiettivi vengono stabilite delle misure addizionali al tributo. Tutto il gettito, tributo e addizionali, vanno in un fondo che le regioni devono utilizzare per incentivare il mercato del riciclo e quindi della green economy. E’ chiaro tuttavia che un più incisivo mutamento di prospettiva tra la raccolta, non più da computarsi, ed il riciclato, il solo da doversi computare, potrebbe comportare una svolta anche di prospettiva nella gestione anche consortile dei rifiuti ed in generale 8 nello sviluppo della green economy. Art. 15 (Consorzio per imballaggi compostabili) L’articolo mira ad inserire nel sistema CONAI un nuovo consorzio appunto riferito agli imballaggi compostabili. Si valuti se sia il caso di avere la creazione di un nuovo consorzio per i soli imballaggi [nel qual caso il PolieCo si sta specularmente attivando per avere nel proprio ambito servizi offerti ai beni compostabili] oppure se non sia il caso di avere maggiori e migliori competenze da assegnare all’attuale consorzio già operante nel settore il CIC. 9 Art. 18 (Modifiche alla disciplina per la gestione degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti) Si segnala l’introduzione di un pericoloso vulnus alla tracciabilità ed al controllo dei flussi dei rifiuti attraverso una norma che surrettiziamente invoca principi concorrenziali. E’ noto come ambiente e concorrenza abbiano da combinarsi [in questo senso la giurisprudenza e la dottrina in materia sono ormai ricche]. Per dirla con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato i consorzi devono avere un ruolo di supervisione della gestione dei rifiuti: in questo caso, se la norma proposta dovesse essere quella infine approvata, anche questo ruolo, che è quello invocato ed auspicato dall’Antitrust, verrebbe meno. Si ha quindi l’impressione che non sia materia di concorrenza ma di politiche ambientali: una approvazione, si ripete, rende opaco il flusso dei rifiuti. Il disegno di legge in questione reca disposizioni degne di valutazione in specie se capaci di incidere anche indirettamente sullo scenario dell’attività del sistema consortile italiano di gestione dei rifiuti. Al momento ci limitiamo a segnalare come gli emendamenti proposti all’articolo 233 del d. lgs n. 152/2006 siano discutibilmente inseriti, ed il piano di dubbio è qui sollevato particolarmente quanto all’opportunità ed alla legittimità. Pur trattandosi di un articolo che riguarda il consorzio di gestione dei rifiuti riferiti ad una particolare categoria di beni, anche la circostanza che vede il consorzio in parola disciplinato in quella parte quarta del d. lgs. 152/2006 dove è poi riposta la disciplina degli altri consorzi di gestione dei rifiuti, rende necessaria una immediata censura di merito. Infatti il danno temuto è riferibile ad una mutazione di disciplina che facilmente potrebbe riverberarsi anche su gli altri consorzi di gestione dei rifiuti, facendone venire meno la funzione istituzionale. La disposizione proposta nel collegato è volta a modificare la norma che disciplina il CONOE principalmente prevedendo la partecipazione delle imprese di raccolta e rigenerazione come facoltativa e non più obbligatoria [così interrompendo il controllo dei flussi dei rifiuti perché si interrompe la “filiera” e la sua conoscibilità]. Tale indicazione corrisponde al pensiero in passato espresso da “uffici” del MATTM competenti per materia, i quali hanno a più riprese espresso il proprio convincimento che ai consorzi di gestione rifiuti debbano partecipare produttori del rifiuto e/o produttori del prodotto e che l’attività di gestione del rifiuto resti invece regolata dalle autorizzazioni/iscrizioni non dovendo essere ulteriormente vincolata da obblighi di partecipazione al consorzio. La disposizione pare inopportuna poiché il consorzio a “filiera perfetta” (ovvero quello che comprende tutti gli operatori sia della filiera del bene/prodotto sia quelli della filiera del rifiuto) garantisce meglio la concorrenza (sotto il profilo della composizione degli interessi in 10 gioco) e realizza il principio della “responsabilità condivisa” (mentre, al contrario, i consorzi monopolizzati da un solo comparto tendono a creare situazioni di conflitto di interessi). In ogni caso la disposizione appare in contrasto con la normativa di riferimento europea [quella della responsabilità condivisa] e non marginalmente [visto che a giustificazione, nel Collegato, si invoca la concorrenza] con quanto detto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. All’uopo si veda pragmaticamente la nota indagine conoscitiva IC26 del luglio 2008 (con precipuo riferimento ai punti 224 e 223, dove il ragionamento vale per ogni consorzio ambientale), ove appunto è dato leggere: Punto 224. Con riferimento all’organizzazione interna al CONAI – che, allo stato, vede gli organi consortili dell’assemblea e del consiglio di amministrazione composti per lo più di rappresentanti delle categorie dei produttori e utilizzatori degli imballaggi – l’Autorità ritiene auspicabile, da un lato, una maggiore rappresentanza dei consumatori(ora consistente in uno solo dei ventinove membri del consiglio di amministrazione, dall’altra l’ingresso di una effettiva rappresentanza anche delle categorie dei recuperatori/riciclatori, nonché l’introduzione di una rappresentanza anche per i soggetti gestori dei servizi di raccolta. Ed ancora punto 226. La medesima soluzione, con l’auspicabile effetto conseguente di innovazione dei processi decisionali, appare peraltro opportuna – per molti versi in maniera ancora più diretta, in particolar modo nel caso di filiere aperte come quelle della plastica – anche nell’ambito degli organismi direttivi e assembleari di tutti i consorzi di filiera. A tale fine, si rileva come la nuova versione dell’art. 223, comma 2, TUA, così come modificato dal d.lgs. n. 4/2008, costituisca un effettivo indirizzo all’ingresso dei rappresentanti delle categorie dei riciclatori e recuperatori nei consigli di amministrazione consortili. Ciò, tuttavia, a patto che il mantenimento della necessità di un “previo accordo con gli altri consorziati”, di cui al comma 1 del medesimo articolo, non vanifichi nei fatti l’apertura rappresentativa in discorso. Tornando quindi al sistema consortile, più nel dettaglio è da mentovare come, fin dal primo cosiddetto decreto Ronchi, in Italia fu creato appunto un sistema sul presupposto che la dimensione pubblico – privato potesse giovare alle politiche ambientali in specie al momento in cui queste avessero dovuto fare i conti con i rifiuti. Al fine di ricostruire il profilo giuridico essenziale, è il contributo dato alla ricostruzione giuridica dell’istituto consortile ambientale di gestione di rifiuti come compiuta magistralmente dal giudice di legittimità [e da dirsi proprio riferita direttamente nel caso di specie al PolieCo ma più ampiamente riferibile come anticipato al sistema] ad essere di peculiare giovamento. Il Giudice di Cassazione, a Sezioni Unite, nel 2006, al fine di risolvere una questione di giurisdizione aveva dovuto, innanzitutto, risolvere il problema della 11 qualificazione della controversia come relativa a pubblici sevizi. E nel far ciò, le dette Sezioni Unite hanno così ritenuto che l’attività affidata dalla legge al Consorzio, pur definito dal D. Lgs. n. 22 del 1997, art. 48, comma 8 come ente privato, sia connotata da indubbi indici rivelatori di tale figura, sia per l’inserimento del soggetto nell’organizzazione amministrativa, sia per l’esercizio di una serie di funzioni di innegabile valenza autoritativa o, comunque, di natura non meramente materiale o tecnica, nel quadro della difesa dell’ambiente, principalmente indirizzata alla riduzione del flusso dei rifiuti di polietilene destinati allo smaltimento, elencate dal D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, art. 48, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE, e 92/62/CEE. Si tratta di attività consistenti nella fornitura di prestazioni di rilevante interesse pubblico alla generalità delle imprese operanti nel ramo, e contrassegnata da una disciplina derogante dal diritto comune, secondo le indicazioni che si traggono dalla giurisprudenza della Corte. Appare con ciò palese come il PolieCo abbia, con la giurisprudenza prodotta, dato quindi il segno giuridico alla ricostruzione “specialissima” dei consorzi, che pur essendo di diritto privato, nell’ordinamento giuridico italiano rivestono un essenziale ruolo pubblico ampiamente loro riconosciuto [ed in qualche modo, addirittura loro imposto]. E’ tuttavia da notarsi come il riconoscimento delle stesse funzioni di pubblico servizio, con l’inserimento nell’organizzazione amministrativa e con l’esercizio di una serie di funzioni di innegabile valenza autoritativa nel quadro della difesa dell’ambiente, collochino i Consorzi anche su un insottraibile crinale di responsabilità tanto nel loro agire quanto nell’eventuale omissione del loro agire. Non appare quindi né utile né legittimo smantellare questo così disegnato sistema giuridico. Tutto ciò premesso, si propone la soppressione dell’articolo 18 qui in parola, magari recuperando con l’articolo 18 nel disegno di legge un diverso contenuto e nell’occasione veder istituzionalizzato il ruolo delle associazioni di categoria per favorire una partecipazione degli utilizzatori al sistema consortile nel suo intero, cosicchè possa essere previsto per tutti i consorzi di gestione ambientale, nessuno escluso, una semplificazione degli obblighi e degli adempimenti altrimenti necessari che ricadono su ogni singolo imprenditore, invece spostandoli collettivamente a carico delle diverse associazioni di categoria. 12 APPENDICE Promemoria Alla luce della nuova direttiva 2013/2/UE della Commissione, quella del 7 febbraio 2013, recante la modifica dell’Allegato I della direttiva 94/62/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, entrata in vigore l’1 marzo 2013, la normativa europea (prevalente su quella domestica) ha definitivamente confermato la fondatezza e l’efficacia del criterio “funzionale” così consentendo, altrettanto definitivamente, di abbandonare anche gli ultimi tentativi fatti da chi abbia voluto attardarsi sul criterio “prognostico”, con ciò consumando un palese errore in diritto. La superiorità giuridica del criterio funzionale rispetto a quello prognostico è stata quindi ora “confermata” dalla nuova direttiva sopra richiamata, la quale ha rivisto e modificato “l’elenco di esempi illustrativi in modo da chiarire ulteriori casi in cui la distinzione tra ciò che è da considerarsi imballaggio e ciò che non lo è rimane imprecisa”. Peraltro la nuova direttiva in parola deve essere intesa quale atto di interpretazione autentica, quindi atta a precisare ora per allora, non modificando minimamente l'articolato della Direttiva "madre", l’articolato di questa ultima; a conferma di ciò, è appena il caso di evidenziare come, nel secondo considerando, la stessa direttiva 2013/2/UE, nel precisare uno degli essenziali intenti che si vorrebbero raggiunti con il nuovo intervento legislativo, così letteralmente si esprima: “Ai fini della certezza del diritto e di un’interpretazione armonizzata della definizione di «imballaggio», occorre rivedere e modificare l’elenco di esempi illustrativi in modo da chiarire ulteriori casi in cui la distinzione tra ciò che è da considerarsi imballaggio e ciò che non lo è rimane imprecisa. La revisione risponde all’auspicio degli Stati membri e degli operatori economici di rafforzare l’applicazione della direttiva e di creare condizioni di parità sul mercato interno”. Stabilito come la nuova direttiva abbia sostanzialmente e formalmente valore chiarificatore ed interpretativo dell’intera disciplina in materia di imballaggi, è necessario anche aggiungere come immediata sia la sua applicabilità ed a sostegno della tesi basti il semplice riferimento alla sentenza [emblematica in argomento] della Corte di Giustizia del 23 aprile 2009 (emessa nelle due cause riunite C -‐ 261/07 e C -‐ 299/07) ove la Corte afferma il principio in base al quale in pendenza del termine concesso agli Stati membri per la trasposizione di una direttiva (ovvero per l’adozione di disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per 13 conformarsi alla medesima direttiva) che nel nostro caso era stato fissato per il 30 settembre 2013, sia gli Stati membri sia i giudici nazionali devono astenersi dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere la realizzazione del risultato (vincolante) perseguito dall’atto emanato dall’istituzione comunitaria. Ciò premesso pur dovendosi già, nell’ordinamento giuridico italiano, attenere a quanto stabilito dalla nuova direttiva “interpretativa” [senza che abbia alcuna rilevanza la pendenza del termine del ricevimento] -‐ sarebbe di utilità anche provvedere al recepimento della direttiva in parola [cioè la direttiva 2013/2/UE della Commissione, del 7 febbraio 2013], al fine di eliminare qualsiasi margine di manovra a chi volesse attardarsi su superate architetture ormai prive di fondamenta giuridicamente spendibili ed al contempo cogliere l’occasione per riposizionare la disciplina sugli imballaggi che in Italia è illegittimamente quadripartita anziché essere, come dovrebbe essere, perché così è nella normativa europea, tripartita [con appunto la conseguente riaffermata previsione dei primari, secondari e terziari come legittimamente originariamente giuridicamente disegnati]. 14
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