LA STAMPA SABATO 27 DICEMBRE 2014 Primo Piano .3 . GOVERNO:L’OFFENSIVADI FINE ANNO Arrivano le tutele crescenti Ma licenziare sarà più facile Come era Grandi imprese Grandi imprese Prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente di un’azienda con più di 15 persone (fresco o di grande anzianità) poteva essere licenziato per ragioni «economiche» in cambio di un indennità monetaria. Ma: 1) si doveva passare per un giudice; 2) serviva molto più tempo; 3) l’azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, più eventuali incentivi); 4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell’articolo 18. Le statistiche dimostrano che col vecchio sistema comunque il 75% dei lavoratori licenziati se ne andava in cambio di soldi. Dopo la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro attivo continuano a valere le regole della legge Fornero. Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti», è invece facilmente licenziabile: basterà pagare un’indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un tetto di 24 mensilità. Non si passa mai per il giudice, a meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale. Piccole imprese Piccole imprese Per i dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti (se agricole, meno di 5) valevano le regole stabilite da una legge del 1990. Un datore di lavoro poteva così in ogni momento licenziare il suo dipendente. Se il lavoratore non è d’accordo, può chiedere l’intervento di un giudice per verificare se il licenziamento è illegittimo: il giudice condannerà l’azienda a versare una somma tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità. Normalmente le aziende pagano sempre l’indennità per evitare il passaggio dal giudice. Se il licenziamento è discriminatorio c’è la riassunzione. Per tutti i nuovi assunti in una impresa di piccole dimensioni valgono le procedure stabilite per i licenziamenti economici nelle grandi aziende: soltanto che le indennità economiche sono dimezzate. In pratica, si parte da due mesi di stipendio il primo anno, si sale di una mensilità l’anno fino a un massimo indennizzo pari a sei mesi di stipendio del lavoratore. Licenziamenti disciplinari Licenziamenti disciplinari Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esiste oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un’indennizzo dal datore di lavoro, variabile a seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24 mensilità di stipendio. Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la reintegra nel posto di lavoro diventa molto più problematica. Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti. Parliamo di un numero estremamente ridotto di casi, dal punto di vista numerico. In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica. Tuttavia, in caso di licenziamento disciplinare in ogni caso sarà inevitabile un passaggio davanti alla magistratura, che dovrà stabilire chi ha ragione. Licenziamenti discriminatori Licenziamenti discriminatori Se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore oggi viene reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro. In più all’azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata per il lavoratore. In questo caso non cambia nulla. La riforma Renzi però stabilisce che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Si stabilisce che il risarcimento minimo è di cinque mensilità dello stipendio più contributi arretrati. Il lavoratore, se vuole, oltre al risarcimento potrà decidere di andarsene comunque dall’azienda, in cambio di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto esente da contributi. Come sarà Al posto del reintegro arriva un indennizzo che va da due a 24 mensilità La riassunzione sarà possibile soltanto in pochi casi. Ecco cosa cambia ROBERTO GIOVANNINI ROMA ALESSANDRO BIANCHI /REUTERS Furlan (Cisl) Baban (Piccola industria Confindustria) “Funzionerà a patto che assorba tutti i contratti precari” “Giudizio positivo Ma per le piccole imprese cambia poco” ciati in partecipazione: forme che spesso fingono lavori autonomi, ma sono lavori subordinati mal tutelati e mal pagati». E voi chiedete? «Che il nuovo contratto assorba quelli precari, e possa così creare più stabilità nei rapporti di lavoro». Che ne pensate della novità dell’ultim’ora sui licenziamenti collettivi? «All’ultimo minuto c’era il pericolo che le aziende potessero evitare il reintegro deciso dal giudice per i licenziamenti ingiusti disciplinari. Pericolo scongiurato, come pure la motivazione dello scarso rendimento nei licenziamenti economici. Noi della Cisl eravamo contrarissimi. Rimane aperta la que- stione dei licenziamenti collettivi: questo è un tema che può essere migliorato in sede di Commissioni parlamentari. Va invece assolutamente modificato il regime che riguarda il subentro delle imprese negli appalti. Oggi l’impresa che vince l’appalto prende in carico anche i lavoratori, ma deve prenderli come lavoratori assunti con le vecchie regole, non come se partissero da zero». Qualche commentatore dice che bisogna superare il dualismo tra vecchi assunti e nuovi assunti, che non hanno più l’art. 18. «Noi siamo assolutamente contrari, non è una cosa in discussione. Anzi, credo che sia importante che le nuove regole si applichino esclusivamente alle Numero uno doppio regime un po’ di confusione la creerà». Annamaria Furlan è al timone della Cisl bale. Ma fin da ora diciamo che vanno messe in campo tutte le carte perché il lavoro si crea con imprese competitive sul mercato». Cosa cambia per le Piccole? «È bene ricordare oltre il 70% del lavoro è fatto da piccole medie aziende con presenze sindacali più deboli che nelle grandi. Credo che a queste gioveranno più la parte di decontribuzione della finanziaria e lo sgravio Irap che ne favorirà lo sviluppo». Passi in avanti e indietro… nuove assunzioni. Per i lavoratori che già oggi hanno i loro contratti di lavoro devono rimanere in vigore le regole precedenti. Sarebbe certamente ottimale se riuscissimo a uniformare i trattamenti per l’intero mondo del lavoro: ma guardando verso l’alto, non guardando verso il basso. È ovvio che se le nuove regole si applicano attraverso un contratto a tempo indeterminato di cui gode chi oggi è del tutto precario, bisognerebbe chiedere ai precari stessi se la novità per loro è da consi[R. GI.] derarsi positiva». ELEONORA VALLIN PADOVA Giudizio nel complesso positivo per Confindustria che premia velocità e direzione. «Il governo ha chiara l’idea che le imprese vanno sostenute, vedremo se queste azioni stimoleranno fiducia per il mercato» spiega Alberto Baban, presidente della Piccola industria. «Il passo in avanti è stato fatto sui licenziamenti individuali economici, ma non siamo del tutto contenti sui disciplinari. Si apre però uno spiraglio interessante su Aspi, ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi». Confindustria cosa chiede? «Confindustria ha sempre chiesto più flessibilità. Oggi apprezziamo la volontà di mettere in atto tutto e subito». Cosa non funziona? I decreti attuativi sul Jobs Act? «Era meglio fare una riforma per tutti e non solo per sui contratti a tutele crescenti, questo «È una lettura complessa: alla ripresa l’approfondiremo nel dettaglio per metabolizzarla e spalmarla nella situazione glo- Il prossimo step? «Stimolare gli investimenti, chiedersi che fine farà il piano Junker e capire se i soldi della Bce arriveranno alle imprese». Renzi ha dichiarato che ora non «ci sono più alibi per non assumere» «Credo sia una provocazione, ma io ho troppo rispetto per le 200mila aziende che hanno chiuso senza alibi perché sono inciampate in un sistema troppo complicato tra burocrazia, credit crunch, uno stato che non pagava e un mercato complicato. A centinaia non se lo meritavano». LA STAMPA DOMENICA 28 DICEMBRE 2014 Primo Piano .3 . LARIFORMADELLAVORO Non improvvisiamo: questo tema non si impone con la furbizia di un codicillo in una delega sul lavoro privato Con il contratto a tutele crescenti sarà più facile avere un lavoro con garanzie degne, la Cgil fa una guerra d’opposizione Prossimi impegni Il ministro Madia si è detta certa che entro la primavera sarà approvata anche la sua riforma della Pubblica amministrazione I contratti precari delle province sono prorogati di un anno e comunque nessuno degli assunti perderà il posto Marianna Madia Ministro della Pubblica amministrazione STEFANO RELLANDINI /REUTERS Intervista FRANCESCA SCHIANCHI ROMA l Jobs act non si applica ai dipendenti pubblici. E’ sempre stato pensato solo per il lavoro privato». Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, interrompe i pochi giorni di ferie per chiarire che no, la legge delega sul lavoro non si applicherà agli statali, «il governo non ha mai avuto dubbi su questo». E per raccontare cosa la aspetta al rientro. «I Ministro, eppure il senatore di maggioranza Ichino spiega che, così come sono, i decreti del Jobs act si applicano anche ai lavoratori pubblici. «Secondo noi, e secondo i tecnici del governo, la norma, tutta impostata sul lavoro privato, è scritta invece in modo per cui è pacifico che le nuove regole non si applichino ai dipendenti pubblici. Quello che mi lascia perplessa è che Ichino possa pensare Madia: le regole valgono solo per i dipendenti privati Il ministro: nessuna norma sparita. Sì a modifiche su indicazione parlamentare che un tema come questo lo affrontiamo con un comma che entra o esce in una notte». Ichino ha parlato di un comma che escludeva espressamente gli statali, sparito all’ultimo minuto. «Che il comma c’era lo dice lui. Noi non siamo un governo che improvvisa: se vogliamo affrontare questo tema, lo facciamo in una discussione approfondita in Parlamento nella riforma della Pa, non cerchiamo di imporlo con la furbizia di un comma notturno in una delega sul lavoro privato». Scusi, ma questo comma c’era? E’ stato forse al centro di discussioni nella maggioranza, visto che c’è chi vorrebbe estendere la riforma agli statali e chi no? «Nel governo, e quindi nella maggioranza, abbiamo sempre condiviso l’idea che il Jobs act riguarda solo i lavoratori priva- ti. Poi c’è chi, come Scelta civica o Sacconi, vorrebbe più flessibilità anche nel pubblico. Ma eviterei di strumentalizzare la legge delega sul lavoro privato per portare avanti questa posizione». Non sarebbe meglio comunque chiarire nero su bianco nella norma che gli statali sono esclusi? «Ripeto, secondo i nostri tecnici non c’è alcuna ambiguità. Dopodiché, se tecnicamente dovessimo appurare che è meglio specificare, potremmo anche farlo. Ma non ne farei un dibattito da codicillo: il punto è che la volontà politica del governo è quella di non includere nelle nuove regole i lavoratori pubblici». I decreti passeranno dalle Commissioniparlamentariperunparere non vincolante: saranno possibili modifiche? «Perché no? I temi più vengono approfonditi, meglio è. Quello che però questo governo ha chiaro è che nessuno può mettere veti». Modifiche sono possibili anche sui licenziamenti collettivi, criticati da sindacati e minoranza Pd? «La sintesi a cui sono arrivati Renzi e il ministro Poletti mi sembra fatta con equilibrio, per non creare disparità. Vedremo i pareri, se saranno convincenti non sono escluse modifiche». Chi promette battaglia è la Cgil… «La Cgil ha fatto del Jobs act una bandiera di opposizione, è legittimo. Ma con il contratto a tutele crescenti e le misure della legge di stabilità sarà più facile avere un lavoro con garanzie degne: chi oggi si sta opponendo, sono le stesse persone che in questi vent’anni, ponendo continui veti, hanno per- messo che generazioni di giovani perdessero il lavoro senza un giorno di preavviso né un euro di indennità». A lei si rivolgono preoccupati anche i precari delle province… «I contratti precari delle province sono prorogati di un anno». E dopo? «Vedremo, anche rispetto alle funzioni che svolgono: per esempio, chi lavora nei centri per l’impiego, proprio ora che stiamo rilanciando le politiche attive per il lavoro, penso sarà ragionevole confermarlo anche oltre. Quello che posso già garantire è che nessuno degli assunti delle province perderà il posto: saranno ricollocati in comuni, regioni e Stato. Abbiamo bloccato le assunzioni in tutti i livelli di governo proprio per offrire loro una corsia preferenziale». Con il rientro arriverà in porto anche la sua riforma della Pa? «E’ in Commissione affari costituzionali del Senato, conto che venga approvata entro la primavera. Nel frattempo abbiamo chiuso la parte normativa dell’anagrafe unica e dell’identità digitale, le infrastrutture che sono il cuore di una vera rivoluzione della Pa». Che bilancio fa di questi primi dieci mesi di governo? «Positivo perché siamo riusciti a mettere in cantiere molte riforme che entro la primavera saranno tutte approvate, interrompendo una catena di rinvii che dura da anni. E positivo anche perché abbiamo rotto un tabù con l’Europa, dimostrando che essere europeisti non significa sposare il rigore in modo acritico». Commissioni Nuovo Centro Destra Le modifiche proposte Sacconi: il governo ci aveva garantito che si applicava a tutti i tipi di lavoratori ROMA Un ex collega nel governo Berlusconi raccontava l’arte politica del possibile con un detto popolare delle sue parti: «Piuttosto che niente, meglio piuttosto». In questi giorni Maurizio Sacconi ripensa spesso a quella battuta. Il senatore dell’Ncd non è soddisfatto. Anzi non lo è quasi per niente. Ma ha chiaro che quello fatto con il Jobs Act è un grande passo avanti, molto di più di quanto fosse possibile ottenere quando il ministro del Lavoro era lui. «Poiché i nemici di Renzi sono i miei, ci sono ottime ragioni per sostenerlo», diceva qualche giorno fa ad un caro amico. Margini per ottenere modifiche non ce ne sono molte. Renzi è riuscito abilmente a non accorciare troppo la coperta, né di qua, né di là. Ma che succederà nel concreto? E se la modifica dell’articolo 18 Senato Guida la Commissione Lavoro del Senato dovesse risultare insufficiente come quella della riforma Fornero? La sola domanda lo scalda: «La montagna ha partorito il topolino, il rischio dell’imponderabile di fronte al giudi- Giudici Discrezionalità Estensione Sacconi vuole limitare al minimo la discrezionalità del giudice. Due le soluzioni: l’«opting out» o una formulazione più restrittiva del possibile reintegro Secondo l’ex ministro fra le righe delle nuove regole si apre lo spazio a nuovi interventi discrezionali, ad esempio quando si parla del licenziamento disciplinare L’Ncd è contrario alla applicazione delle nuove regole ai soli dipendenti privati. «Nella proposta del governo era previsto che fosse allargato a tutti» ce resta alto, ad esempio nella parte che riguarda il licenziamento disciplinare». Sacconi è convinto che la soluzione trovata non sia in linea con le raccomandazioni europee, e che l’unico modo per superare in maniera chiara la reintegrazione resta il cosiddetto «opting out», il meccanismo che in ogni caso permetterebbe il pagamento di un indennizzo. «Una ipotesi avanzata dal governo per primo», spiega. «A questo punto le strade sono due: o si riparte dall’opting out oppure meglio prevedere la reintegrazione nel solo caso in cui un reato venga considerato insussistente. La formulazione “qualunque fatto” è troppo generica». Sacconi spiega che la reintegrazione così come prevista in Italia esiste solo in Spagna, Francia e Germania. Ma anche quando si finisce di fronte al giudice, quest’ultimo dispone quasi sempre il risarcimento. Infine la questione dell’applicazione della riforma a pubblici e privati che rischia di creare tutelati di serie A e B: «Quando presentammo la nostra proposta fu il governo a dirci che la riforma si sarebbe applicata anche a loro. Cosa è cambiato rispetto ad allora?» Twitter @alexbarbera LA STAMPA LUNEDÌ 29 DICEMBRE 2014 Primo Piano .7 . ILMERCATODELLAVORO Retroscena CARLO BERTINI ROMA entre infuriano le polemiche sul perimetro del Jobs Act limitato ai privati, Matteo Renzi apre sulla possibilità di estendere la riforma del lavoro anche agli statali. Il premier non entra nel merito, dice che deciderà il Parlamento nell’ambito della delega sulla pubblica amministrazione, ma fa capire che nuove regole del lavoro potranno riguardare anche i lavoratori pubblici. Lo dice in un’intervista a QN, in cui affronta vari temi alla vigilia della conferenza stampa di fine anno che terrà oggi a Palazzo Chigi. «Sarà il Parlamento a pronunciarsi» sulla licenziabilità o no degli statali. «Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo». Ma il dibattito già impazza. Chi segue da vicino la delega sul pubblico impiego all’esame della commissione Affari Costituzionali in Senato spiega che sarà in quella sede che si dovrà intervenire con una nuova disciplina per gli statali. Il segnale è che per il governo nulla osta, dunque nessuna pregiudiziale in tal senso. «La posizione del governo è di apertura», conferma Filippo Taddei, consigliere economico del premier. «Tenendo presenti la specificità e il livello di complessità aggiuntiva della pubblica amministrazione, la materia va presa in considerazione e non rinunciamo a farlo». Il premier chiarirà meglio oggi a Palazzo Chigi: quando farà il punto su quanto fatto nel 2014 - lavoro, riforme, semestre europeo, crisi industriali affrontate. E sull’agenda 2015, puntando sulla responsabilità rispetto agli impegni presi, con un occhio particolare alla crescita e alla flessibilità richiesta all’Europa. Un anno che si aprirà con la partita più dura, quella del Quirinale, che andrà in scena in concomitanza con l’ingorgo parlamentare per le riforme M Lecrisi deigiornali delPd Europa «Il Pd ha deciso di proseguire le pubblicazioni di Europa con un’altra redazione». È la denuncia del comitato di redazione del quotidiano postata ieri sul sito nel saluto ai lettori Redazione Da gennaio Europa verrà prodotta nella sede Pd al Nazareno, a opera di giornalisti dell’ufficio stampa del Pd integrati da una minoranza dei redattori che hanno fatto il giornale in questi anni Renzi riapre il fronte “Riforma per gli statali? Decida il Parlamento” E sulla partita del Quirinale proverà a incontrare anche Grillo FABIO CIMAGLIA/LAPRESSE cruciali, quella elettorale e quella costituzionale. Che Renzi conta di portare a casa entro la fine del prossimo mese, ben sapendo che non sarà facile sbloccare le resistenze di chi teme le urne anticipate. Specie dopo aver chiarito di voler concedere il voto sulla clausola di salvaguardia che lega l’entrata Insieme Matteo Renzi con Marianna Madia in vigore dell’Italicum a settembre 2016 solo dopo che saranno votati tutti gli articoli della legge e non prima. E se molti temono che una volta for- Il dibattito nei ministeri Licenziamenti economici e rebus Rai I nodi che mettono in crisi il governo 3,5 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Ad aprire all’eventualità ci ha pensato il premier Matteo Renzi in persona. Rinviando ogni decisione a febbraio in Parlamento, alla discussione della riforma della Pubblica amministrazione. Lì dove gli emendamenti già sono stati depositati e ce ne sono alcuni che prevedono possibilità di licenziamento degli statali. Un’ipotesi che non è contemplata dal Jobs act (la norma si applica solo ai privati, hanno spiegato i ministri Madia e Poletti), ma su cui c’è una riflessione nel governo. Che Renzi non sia contrario per principio, lo dimostra la sua intervista «aperturista» di ieri al QN. Ma anche il ministro competente, la responsabile della Pa Marianna Madia, non è mai stata pregiudizialmente contraria a intervenire con nuove regole nel settore: quando era ancora solo una giovane deputata del Pd, presentò come prima firmataria una proposta di «contratto unico di inserimento formativo», Cuif, una sorta di contratto a tutele crescenti espressamente rivolto anche ai lavoratori pubblici. Anche perché, ragionano al governo, essendo tanti i precari della Pa, introdurre un contratto più flessibile potrebbe essere un modo per offrire loro qual- milioni Sono i dipendenti delle pubbliche amministrazioni a tempo indeterminato in Italia che tutela in più. Il punto su cui però si stanno interrogando è come si potrebbero applicare le stesse regole del Jobs act, data la specificità del rapporto di lavoro pubblico. Nel caso di un ministero o di un comune, per esempio, quando scattano le ragioni «economico-organizzative»? Considerato, tra l’altro, che l’art. 33 del Testo unico per il pubblico impiego prevede già la possibilità della «messa in disponibilità» di un dipendente laddove ci sia bisogno di diminuire il personale, all’80% di stipendio per due anni, in attesa di una ricollocazione altrove o, alla peggio, dell’uscita dall’amministrazione. Ipotesi che però, malizzate le dimissioni di Napolitano la scena politica sarà di fatto paralizzata, il premier invece è fiducioso di sbloccare almeno al Senato la nuova legge elettorale prima di dare la parola ai grandi elettori. Per una partita che Renzi conta di giocare allargando il più possibile la platea degli interlocutori. Tanto che batterà tutte le strade per un’intesa il più ampia possibile, provando ad incontrare quando sarà il momento pure i leader della Lega e dei Cinque Stelle, cioè Salvini e Grillo, sempre che le condizioni lo consentiranno. «Noi cerchiamo il dialogo con tutti coloro che sono disponibili a farlo», spiega Lorenzo Guerini, braccio destro di Renzi per le questioni istituzionali. «Quindi pure con Salvini e Grillo, cercando il più ampio consenso possibile, certo se c’è condivisione di un metodo che prevede il riconoscimento reciproco e un’assunzione di responsabilità comune. Vediamo le dichiarazioni dei prossimi giorni dei Cinque Stelle, poi andremo a vedere le carte, per ora siamo in una fase di studio». Con una postilla significativa che mostra come questo snodo sarà il banco di prova per la durata della legislatura. Perché pur dicendosi fiducioso che la prova sarà superata con onore, Guerini ammette che «un Parlamento che rimettesse in scena il dramma dello scorso aprile 2013 sarebbe delegittimato agli occhi di italiani». spiega il senatore Ichino, non si verifica mai. La domanda che si stanno facendo al ministero è insomma quale sia il perimetro, nel settore pubblico, entro cui si possano eventualmente applicare nuove regole. Un perimetro così difficile da delimitare che ancora ci si interroga se la Rai o altre aziende partecipate saranno già regolate dal Jobs act. E proprio considerare l’efficacia delle nuove norme nel privato sarà utile per valutare se estenderle al pubblico. Come prevede Renzi, sul tema «non mancherà il dibattito»: solo nel Pd, mentre la giovane deputata lettiana Anna Ascani non esita a proporre il nuovo contratto anche per i pubblici, Cesare Damiano si dice contrario «a estendere norme che liberalizzino un’eccessiva possibilità di licenziamento». E Fassina attacca Renzi: «Squallido teatrino di Palazzo su pelle lavoratori pubblici. Grave che premier si lavi le mani».
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