Non dualità della Vita be della morte

6/4/2014
Buddismo e Società - Numero 161
Buddismo e Società n.161 - novembre dicembre 2013
Speciale
Dedicarsi alla missione di kosen-rufu consapevoli
della non dualità di vita e morte
il Corso europeo di studio 2013
Lezione sul capitolo del Sutra del Loto Durata della vita del Tathagata
Il sedicesimo capitolo del Sutra del Loto, Durata della vita del Tathagata (giapp. Juryo), è
una scrittura buddista estremamente importante dal punto di vista filosofico. Daisaku Ikeda
spiega, a tale proposito: «Il fatto di vivere: questo è il più grande mistero. Vivere non solo è
il mistero più grande, ma è anche l'enigma e il romanzo della vita. Il capitolo Durata della
vita del Tathagata risponde alle domande sul mistero della vita: qual è il nostro aspetto
originale, perché viviamo, da dove veniamo, dove andiamo. Anche se la nostra esistenza è
colma di ricchezze materiali e di divertimenti, se distogliamo lo sguardo da queste domande
fondamentali non possiamo ottenere la vera felicità e un profondo senso di appagamento.
Il sedicesimo capitolo del Sutra del Loto Durata della vita del Tathagata risponde a queste
domande fondamentali, [...] e chiarisce perfettamente la risposta alle domande sulla vita
che si trovano all'origine di tutti i sutra e più in generale di tutti i sistemi di pensiero,
filosofici e religiosi» (cfr. I capitoli Hoben e Juryo, Esperia, seconda edizione ottobre 2005,
p. 97).
E continua: «Juryo significa "misurare la durata della vita". Questo capitolo rivela che la
lunghezza della vita del Budda è infinita» (cfr. Ibidem, p. 103).
Come sapete, il Sutra del Loto ha la forma di un dialogo tra Shakyamuni e i suoi discepoli.
Seguendo lo svolgimento di questi dialoghi all'interno del capitolo Durata della vita del
Tathagata, approfondiremo insieme i concetti dell'aspetto originale della nostra vita e della
vita eterna così come vengono spiegati da Ikeda.
Nel capitolo precedente, Emergere dalla terra, numerosi bodhisattva meravigliosi
emergono dalla terra del mondo di saha: sono i Bodhisattva della Terra. Uno dei discepoli
presenti, Maitreya, si stupisce del fatto che sono così numerosi e magnifici, perciò chiede a
Shakyamuni come e quando abbia potuto allenare tutti questi bodhisattva.
Dopo questa domanda inizia l'esposizione del capitolo Durata della vita del Tathagata:
«Ascoltate attentamente il segreto e i poteri sovrannaturali del Tathagata. Gli dèi, gli
uomini e gli asura di tutti i mondi credono che l'attuale Budda Shakyamuni, dopo aver
lasciato il palazzo degli Shakya, si sia seduto nel luogo dell'Illuminazione non lontano dalla
città di Gaya e là abbia conseguito l'anuttara-samyak-sambodhi. Invece, uomini devoti,
sono trascorsi innumerevoli, infinite centinaia di migliaia di miriadi di milioni di nayuta di
kalpa da quando ho realmente conseguito la Buddità.
Immaginate che qualcuno riduca in polvere cinquecento, mille, diecimila, un milione,
nayuta, asamkhya di mille milioni di mondi, e che poi, muovendo verso oriente, lasci cadere
una particella di polvere ogni volta che abbia superato cinquecento, mille, diecimila, un
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milione, nayuta, asamkhya di mille milioni di mondi. [...] Immaginate che tutti questi mondi,
sia quelli che hanno ricevuto una particella di polvere sia quelli che non l'hanno ricevuta,
vengano a loro volta ridotti in polvere. Supponete che ogni particella rappresenti un kalpa.
Il tempo trascorso da quando io ho conseguito la Buddità supera questo numero di cento,
mille, diecimila, un milione, nayuta, asamkhya di kalpa» (SDL, 296-297).
Il fatto importante affermato in questo passo è che Shakyamuni non si era illuminato per la
prima volta in quella vita ma aveva conseguito la Buddità in un'epoca precedente a un
tempo remotissimo definito gohyaku-jintengo. Per descriverlo il sutra ci fa prima
immaginare di lasciare cadere, una alla volta, una quantità di particelle di polvere così
grande da far girare la testa, mettendoci un enorme impegno. Ma poi dice che sia i mondi
che hanno ricevuto una particella di polvere sia quelli che non l'hanno ricevuta vengono
ridotti in polvere, e ogni particella che se ne ottiene rappresenta un kalpa. Come a voler
dire che lo sforzo iniziale di aver lasciato cadere le particelle di polvere sia completamente
insignificante. Questo esempio ci fa intuire come non serva utilizzare l'asse temporale per
risalire a tale remotissimo passato.
Shakyamuni continua: «Così, da quando ho conseguito la Buddità a oggi, è trascorso un
tempo estremamente lungo. La mia vita dura da un incalcolabile numero di asamkhya di
kalpa e durante tutto questo periodo io sono sempre vissuto qui e la mia vita non si è mai
estinta. Uomini devoti, in origine ho praticato la via del bodhisattva e la durata della vita
che ho acquisito allora non si è ancora esaurita; anzi durerà per un periodo di tempo
doppio di quello trascorso fino a ora» (SDL, 298).
Qui Shakyamuni non parla solo della durata della sua vita passata, ma anche di quella
futura: era diventato Budda ancora prima di gohyaku-jintengo e nel futuro sarà Budda per
un periodo lungo più del doppio di gohyaku-jintengo. Quale era l'intenzione di Shakyamuni
nel farci riflettere sull'idea di un periodo di tempo così incredibilmente lungo sia nel passato
che nel futuro? Probabilmente voleva farci capire che la vita è senza inizio né fine.
L'eternità della vita
Il Sutra del Loto spesso non ci fornisce semplicemente le risposte, bensì ci aiuta ad aprire
gli occhi per poterle afferrare da soli. È come quando dobbiamo recarci in un luogo
sconosciuto, se riusciamo ad arrivarci autonomamente, anche sbagliando strada, la volta
successiva sicuramente ricorderemo bene come andarci. Ma se veniamo trasportati in
macchina da qualcun altro, arrivandoci senza fatica, quando dovremo tornarvi per conto
nostro probabilmente non ricorderemo bene la strada.
Se il Sutra del Loto avesse insegnato subito il fatto che la vita è senza inizio né fine, le
persone probabilmente avrebbero compreso questo concetto in maniera superficiale.
Invece facendoci pensare a un periodo di tempo molto lungo, al limite della nostra
immaginazione, e dicendoci che Shakyamuni era Budda già da prima, riusciamo a capire
che quando parliamo dell'aspetto originale della nostra vita non abbiamo a che fare con un
asse temporale limitato. Così possiamo arrivare da soli al concetto di "senza inizio e senza
fine", cioè "originariamente sempre esistito nel passato e nel futuro".
Se paragonata al grande universo, l'esistenza di un essere umano è piccola come un
granello di polvere; ma il Sutra del Loto, pur basando lo svolgimento dei suoi racconti su
una scala universale, insegna che una singola vita è preziosa quanto l'universo stesso. Il
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Sutra del Loto è una scrittura mistica, e il capitolo Durata della vita del Tathagata ne è il
fulcro e l'essenza. Sottolinea Daisaku Ikeda: «Nichiren scrisse: "Se dovesse mancare
questo capitolo Durata della vita del Tathagata, tutti i numerosi sutra sarebbero come cieli
senza né sole né luna, come paesi senza sovrano, come montagne e fiumi senza gemme e
come uomini senza spirito" (L'apertura degli occhi, RSND, 1, 230). Studiando questo
capitolo approfondiamo la comprensione della natura della vita e del nostro io. Senza
questa comprensione la nostra vita sarebbe sempre avvolta dall'oscurità, dall'illusione e
dalla sofferenza. Vivremmo veramente in un mondo oscuro, "senza né sole né luna". Il
capitolo Durata della vita del Tathagata fa sorgere il sole della speranza nella nostra vita,
permette di realizzare la rivoluzione umana» (La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, vol.
3, pp. 73-74).
Perché comprendere la vera natura del nostro io ci permette di realizzare la nostra
rivoluzione umana? Sensei prosegue: «Per cambiare il mondo bisogna prima modificare
noi stessi. E la prima cosa da cambiare, in quanto membri della comunità umana, è la
nostra visione dell'esistenza, della vita e della morte, del nostro io. Il capitolo Durata della
vita del Tathagata del Sutra del Loto offre linee guida fondamentali riguardo alla vita e alla
morte. [...] Credo che se supponiamo che la nostra esistenza sia solo quella attuale e che
termini qui non possiamo condurre delle vite vere e profonde. Se non crediamo
nell'eternità della vita e pensiamo che non vi sia niente oltre questa esistenza, la nostra
vita sarà sempre superficiale e incerta» (cfr. Ibidem, p. 74).
Se sempre più persone potessero vivere con la convinzione dell'eternità della vita e con il
pensiero che ognuno di noi è un'esistenza preziosissima, il mondo cambierebbe
radicalmente e diventerebbe un luogo ideale. Chengsi Wei, direttore del quotidiano Ming
Pao di Hong Kong, nella prefazione all'edizione cinese de La saggezza del Sutra del Loto
esprime così le sue aspettative verso il Buddismo: «Qual è il valore e il significato della
vita? Qual è l'origine della vita? Qual è il suo scopo? Qual è il posto degli esseri umani
nell'immensità dell'universo? Queste sono alcune delle domande che ci siamo sempre posti
e alle quali si è cercato di trovare una risposta... Tra le varie religioni e sistemi filosofici il
Buddismo, con la sua profonda intuizione della natura dell'esistenza umana, è come un
maestoso albero che si innalza solitario su una foresta, guidando la gente verso una
profonda comprensione. Il Buddismo non si limita al concetto di un "salvatore". Insegna ad
avere fiducia in se stessi perché ognuno ha il potere di liberarsi dalle sofferenze di nascita
e morte. Il Buddismo ha la capacità di dare serenità alla mente e di cambiare l'esistenza
degli esseri umani. Qui risiede la causa fondamentale della crescente popolarità del
Buddismo oggi, sia in occidente che in oriente» (Ibidem, p. 75).
E il presidente Ikeda commenta: «Chengsi Wei ha toccato i punti essenziali del Buddismo:
migliorare noi stessi con determinazione e tenacia, senza dipendere da niente e da
nessuno, prendere l'iniziativa senza basarci sugli altri. Non abbiamo bisogno delle simpatie
o del sentimentalismo altrui, dobbiamo alzarci e avanzare anche se nessuno ci incoraggia.
Prendiamoci la responsabilità, con fermezza e gioia, di cambiare noi stessi, il nostro
ambiente, la società e il paese. Questo insegna il principio di ichinen sanzen, o tremila
regni in un singolo istante di vita, non è astratta teoria. Non è il modo di vivere di chi si
appoggia sempre a qualche cosa, tuttavia non è nemmeno l'egocentrica presunzione di
essere superiori agli altri. Credere nella grande forza vitale che è in noi significa credere
nella grande forza vitale che è in tutti, apprezzare la nostra vita significa apprezzare la vita
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degli altri. Il Buddismo insegna che dobbiamo far tesoro delle vite altrui tanto quanto
facciamo tesoro delle nostre» (cfr. Ibidem, p. 75).
Come afferma Chengsi Wei, il Buddismo non è un credo che induce ad aspettarsi di essere
salvati da qualcuno. Il potere di salvare se stessi esiste in ogni singola vita, che si può
paragonare a un palazzo reale. Il Sutra del Loto insegna ad aprire la porta di questa reggia
con le proprie forze per manifestare quel potere.
Per imparare a tirare fuori tale potere è veramente importante l'esistenza di un maestro.
Shakyamuni desiderava che tutti potessero manifestare la condizione vitale di Budda che
lui aveva potuto ottenere, e perciò insegnò che tutte le persone hanno tale potenzialità.
Credere nell'insegnamento del maestro, studiare il cammino del maestro e seguire il
maestro. Facendo così i discepoli prendono coscienza della loro vera natura e riescono a
ricordare la determinazione e il voto che, in quanto entità della vita eterna, incisero nel
profondo del cuore. È nel portare avanti tale voto che possono manifestare il potere
originale della vita, riuscendo così a raggiungere la stessa condizione vitale del maestro.
Maestro e discepolo possono differire nella personalità, nel carattere, nell'esperienza o nel
ruolo sociale. Nonostante queste diversità, tra loro non c'è nessuna distinzione riguardo
alla condizione vitale, la dignità, la sacralità e la ricchezza della vita. Questo è il concetto di
"non dualità di maestro e discepolo". Si può dire che il Budda è un essere umano migliore.
Maestro e discepolo fanno fiorire insieme la loro umanità nel modo migliore.
Perché il Buddismo si è estinto in India?
Durante i dialoghi su La Saggezza del Sutra del Loto Ikeda ha toccato l'argomento del
perché il Buddismo si sia estinto in India, spiegando che ciò avvenne a causa della
divinizzazione e della sacralizzazione di Shakyamuni, che lo resero qualcosa di lontano
dagli esseri umani del mondo reale: «Fondamentalmente il Buddismo è un insegnamento
su come devono vivere gli esseri umani che è stato trasmesso dal maestro ai discepoli. La
relazione tra maestro e discepolo si forma quando ci sono persone che desiderano seguire
la via giusta nella vita e ricercano un maestro, e questi risponde al loro profondo desiderio.
Ma se il Budda in quanto maestro cessa di essere un uomo e diventa un "dio", la strada di
maestro e discepolo non può più esistere» (Ibidem, p. 76).
Scrive ancora Ikeda: «Quando "l'uomo Shakyamuni" fu dimenticato, il Buddismo cessò di
essere un insegnamento per vivere nel modo migliore. La strada di maestro e discepolo
scomparve e il Buddismo declinò e divenne autoritario» (Ibidem, p. 77).
Dopo la morte di Shakyamuni i suoi seguaci, sopportando la solitudine e il dolore per la
separazione, raccolsero i sutra per trasmettere gli insegnamenti del loro maestro alle
generazioni future. Si dice che iniziarono subito dopo la sua morte e continuarono per
alcune centinaia di anni. Si pensa che attraverso questo lavoro anche il Sutra del Loto fu
completato, circa cinquecento anni dopo la morte del Budda.
Se paragoniamo il Sutra del Loto agli altri sutra, risultano evidenti le differenze nella
definizione di Budda e nella descrizione della relazione tra il Budda e i comuni mortali. Il
Sutra del Loto si basa sull'uomo Shakyamuni realmente vissuto, mentre quello
rappresentato negli altri sutra è un Budda immaginario, lontano dalla realtà. Possiamo dire
che il Sutra del Loto è stato formulato con lo scopo di abbattere l'autoritarismo e la
divinizzazione nel Buddismo e per ritrovare la strada di maestro e discepolo. Perciò il
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Daishonin continuò a mettere il Sutra del Loto al primo posto in assoluto e ammonì le altre
scuole buddiste. La sua fu una lotta per umanizzare il Buddismo.
Hosshaku kempon
Approfondiamo ora il concetto di hosshaku kempon. Prima del capitolo Durata della vita del
Tathagata Shakyamuni ha il ruolo di shijo-shokaku, un Budda che si è illuminato per la
prima volta nella vita attuale. Tuttavia, quando arriva al capitolo Durata della vita, dichiara
che in realtà non si è illuminato per la prima volta in questa vita ma è sempre stato Budda
sin dall'infinito passato e ha istruito e convertito innumerevoli esseri comuni; rivela così il
concetto di kuon-jitsujo, il conseguimento della Buddità in un passato incalcolabilmente
lontano. Questa trasformazione è lo hosshaku kempon, abbandonare il transitorio e
rivelare l'originale: prima stava mostrando il suo stato transitorio (shaku) - nel ruolo di
shijo-shokaku - poi manifesta la vera entità, il conseguimento della Buddità in un passato
incalcolabilmente lontano.
Per verificare questo fatto leggiamo insieme la parte iniziale del Jigage, che recitiamo tutti i
giorni:
«Da quando ho conseguito la Buddità
il numero di kalpa che sono trascorsi
è incalcolabile: centinaia, migliaia, miriadi,
milioni, miliardi, asamkhya.
Io ho predicato costantemente la Legge,
istruendo e convertendo innumerevoli milioni di esseri viventi,
facendoli entrare nella via del Budda;
tutto questo per kalpa innumerevoli.
Per salvare gli esseri viventi,
uso l'espediente di mostrare il mio nirvana
ma in verità non mi estinguo.
Sono sempre qui a predicare la Legge» (SDL, 301-302).
Shakyamuni in realtà ha predicato costantemente la Legge istruendo e convertendo milioni
e milioni di esseri viventi dall'infinito passato. Inoltre per salvarli usa l'espediente di
mostrare il suo nirvana, ma in verità è sempre nel mondo di saha a predicare la Legge. Qui
viene rivelato che la sua natura originale è la natura di Budda senza inizio né fine, e che
per un Budda il mondo malvagio di saha è il vero palcoscenico dove svolgere un ruolo
importante e attivo.
Dunque, a questo punto può sorgere un dubbio. Se è così importante "l'uomo
Shakyamuni", forse il Budda di shijo-shokaku, che si è illuminato per la prima volta in
questa vita, potrebbe sembrare più vicino agli esseri umani del mondo reale. Mentre invece
il Budda di kuon-ganjo, che ha conseguito la Buddità in un passato incalcolabilmente
lontano rivelando la sua entità originale tramite lohosshaku kempon, potrebbe sembrare
più distante.
Ma in un famoso episodio della parte finale della vita di Shakyamuni, il discepolo Ananda
gli chiese: «Dopo la morte del Budda, in che cosa possiamo avere fiducia per continuare la
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nostra pratica?». E Shakyamuni rispose: «Fate in modo che la Legge sia il vostro
riferimento».
Poiché dopo la morte di Shakyamuni non si poteva più ricevere l'insegnamento
direttamente dal Budda, egli esortò a prendere come maestra l'unità della Legge eterna e
del Budda eterno, che lui stesso considerava sua maestra. A tale proposito, Ikeda spiega:
«Con le parole "Sono sempre qui a predicare la Legge" Shakyamuni rivela il corpo del
Budda eterno, [...] il Budda di kuon-ganjo, il tempo senza inizio né fine. L'unità della Legge
eterna e del Budda eterno alla quale Shakyamuni si illuminò è la vita eterna alla quale tutti i
Budda si illuminano. Tutti i Budda di passato, presente e futuro si illuminano prendendo
come maestro il Budda di kuon-ganjo [cioè, come insegna Nichiren], il Tathagata di Nammyoho-renge-kyo. Toda disse: "La vita del Daishonin e le nostre vite sono senza inizio né
fine, esistono da kuon-ganjo. L'universo stesso è una grande entità di vita". Esso è esistito
dal tempo senza inizio come l'eterna entità di infinita compassione. Abbracciando questa
eterna entità come suo maestro, Shakyamuni si illuminò come essere umano e comprese
che tutti i Budda ottengono la Buddità attraverso questo "Budda eterno" che incarna l'unità
di persona e Legge» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, p. 81).
In altre parole, questo significa che ricercando e praticando sinceramente la Legge noi
possiamo incontrare il Budda che è «sempre qui a predicare la Legge». Ikeda afferma
infatti che la Legge e la persona (Budda) sono inseparabili. La vita dell'universo ha sia
l'aspetto di "persona" sia l'aspetto di "Legge", e questi sono uniti. Un brano del Gosho Il
conseguimento della Buddità in questa esistenza che abbiamo già studiato dice: «... [se]
pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica ma un
insegnamento inferiore» (RSND, 1, 3).
Anche riguardo al significato di hosshaku kempon (abbandonare il transitorio e rivelare
l'originale), è sbagliato pensare che il transitorio sia umano e l'originale superumano.
"Transitorio" si riferisce all'aspetto fisico e alle circostanze, "originale" rappresenta
l'interiorità e l'essenza. Perciò dovremmo basarci sul transitorio cercando di farne
risplendere l'originale, come dice Ikeda: «Refutare (abbandonare, n.d.r.) significa aprire.
"Aprire il transitorio" è, per esempio, come rimuovere le nuvole che coprono il sole.
Quando le nuvole sono scomparse appare la reale entità, il sole splendente. Se il cielo è
oscurato dalle nuvole, non cerchiamo il sole altrove, il sole sta sempre nel cielo perché lì
risiede la sua reale entità» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, pag. 89).
Per tornare alla centralità di Shakyamuni come essere umano non abbiamo altro modo che
avvicinarci al concetto dell'unità della Legge eterna e del Budda eterno, che spiega
l'essenza degli esseri umani. Ma come possiamo farlo in concreto? Questo è il punto più
importante, che però nel capitolo Durata della vita non viene espresso in modo diretto. «Fu
precisamente per questa ragione - spiega Ikeda - che il Daishonin iscrisse il Gohonzon.
Niente potrebbe essere più reale e concreto. Il Daishonin rese possibile per noi persone
comuni dell'Ultimo giorno della Legge di diventare un tutt'uno con il "Budda che è sempre
qui a predicare la Legge". [...] Recitando la mistica Legge davanti al Gohonzon e
dedicandoci alla sua propagazione, noi comuni mortali dell'Ultimo giorno della Legge
possiamo manifestare nella nostra vita il Budda che "è sempre qui a predicare la Legge".
Toda commentando le parole del sutra "Da allora ho sempre dimorato qui nel mondo di
saha, predicando la Legge, istruendo e convertendo", spiegava: "L'universo è il Gohonzon;
la vita di Nam-myoho-renge-kyo esiste sin dal lontano passato insieme all'universo". Diceva
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anche: "Quando preghiamo il Gohonzon e la vita del Gohonzon entra in noi, poiché Nammyoho-renge-kyo è la nostra vita, il potere del Gohonzon sgorga naturalmente in noi.
Allora possiamo giudicare senza errore le cose del mondo"» (Ibidem, pp. 89-90).
Quanto è importante, profondo e significativo il fatto che il Daishonin abbia iscritto il
Gohonzon.
Poi Ikeda prosegue: «Il Budda del capitolo Durata della vita è il Budda originariamente
presente in tutti gli esseri dei dieci mondi. Questo Budda è dotato da sempre di tutti i dieci
mondi: Shakyamuni non "divenne" un Budda a un certo momento, né i nove mondi
cessarono di esistere al momento dell'Illuminazione.
I dieci mondi sono chiamati anche i dieci mondi dei dharma. Mondo dei dharma indica
l'universo, la totalità dei fenomeni. L'universo, espresso come i dieci mondi, è una grande
entità di vita, un grande Budda dalla vita senza inizio e senza fine che agisce
ininterrottamente con compassione.
Per questa ragione tutti gli esseri, in qualunque dei dieci mondi si trovino, sono una cosa
sola con questo Budda. Quando noi diveniamo consapevoli che le nostre vite sono una
cosa sola con la grande ed eterna vita dell'universo, siamo Budda. Lo scopo del Buddismo
è quello di permettere a tutte le persone di risvegliarsi a questa consapevolezza. Ma gli
esseri umani soffrono perché a causa della loro ristrettezza mentale sono attaccati al
proprio piccolo io. Il Sutra del Loto ci aiuta a rompere il guscio di questa illusione e a far
sorgere nei nostri cuori il sole della grande vita di kuon-ganjo [il tempo senza inizio].
Poiché il Budda di cui stiamo parlando è il Budda che possiede sin dall'origine i dieci
mondi, la "vera identità" rivelata nel capitolo Durata della vita non è solo la vera identità di
Shakyamuni, è la vera identità di tutti gli esseri dei dieci mondi. L'io della frase "sono
trascorsi innumerevoli [...] kalpa da quando io ho realmente conseguito la Buddità"
letteralmente indica Shakyamuni, ma implicitamente sta per tutti gli esseri dei dieci mondi.
Perciò, noi senza alcun dubbio siamo il Budda eterno» (Ibidem, pp. 101-102).
Lo hosshaku kempon (abbandonare il transitorio e rivelare l'originale) che leggiamo nel
capitolo Durata della vita non riguarda solo Shakyamuni, ma è lo hosshaku kempon di tutti
gli esseri viventi dei dieci mondi. Chi ha concretizzato questa teoria dando la possibilità di
metterla in pratica è stato Nichiren Daishonin iscrivendo il Gohonzon di Nam-myoho-rengekyo. Perciò quando noi, tutti i giorni, recitiamo Gongyo e Daimoku portando avanti la lotta
con le realtà della vita, facciamo sgorgare attimo dopo attimo la forza della "vita eterna"
che è inerente alla vita di ciascuno di noi per poi ripartire con coraggio verso la
realizzazione di kosen-rufu: questa non è altro che la cerimonia di hosshaku kempon che
realizziamo ogni volta che recitiamo Daimoku davanti al Gohonzon.
Se riuscissimo a far comprendere al livello del cuore e a trasmettere a più persone
possibile per osmosi il fatto che la vita è eterna, come si trasformerebbe la nostra società?
Il presidente Ikeda esprime le sue intuizioni nella seguente citazione: «Quando
comprendiamo che la vita di tutte le persone è eterna, comprendiamo quale crimine sia
produrre armi nucleari e altri ordigni di distruzione di massa. La comprensione che la vita
dura eternamente ci spinge a imparare ad andare d'accordo, a incoraggiarci e assisterci
l'un l'altro, a unire le nostre forze per costruire vite pacifiche e felici. Sapendo che ogni
forma di vita possiede la natura di Budda, diviene impensabile uccidere un essere umano e
anche distruggere sconsideratamente l'ambiente che possiede anch'esso la natura di
Budda. Questo è lo spirito che insegna il Sutra del Loto» (Ibidem, p. 103).
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Come abbiamo detto all'inizio, la base della rivoluzione umana si trova nel cambiare il modo
di vedere la vita e l'essere umano. In questo modo, allora, sia l'ambiente circostante che
l'intera società potranno trasformare il loro karma. Per fare proprio il concetto di eternità
della vita non basta fermarsi a un livello teorico ma bisogna attingere alla forza
fondamentale per realizzare un grande cambiamento nella società reale.
La vita e la morte
Cosa accade all'essere umano quando muore? Come si dovrebbe interpretare la morte?
Sicuramente questo è un argomento che interessa tutti. Ikeda a tale proposito cita le
parole del suo maestro: «Josei Toda diceva spesso che dopo la morte la nostra vita si
fonde con l'universo. Non c'è bisogno di ricorrere all'esistenza dell'anima, è la vita, come
entità di corpo e mente, che ritorna all'universo. L'universo stesso è una grande entità
vivente, un vasto oceano che dà vita a tutte le cose, le alimenta, sostiene la loro attività e
quando muoiono le riaccoglie tutte nelle sue braccia così che possano attingere nuova
energia. Esiste un grande oceano pieno di vita, in perenne movimento e trasformazione
attraverso il ritmico alternarsi di nascita e morte, e in esso le nostre vite sono come onde:
la comparsa di un'onda è vita, la sua scomparsa è morte. Questo ritmo si ripete in eterno»
(Ibidem, pp. 216-217). Perciò noi siamo sempre, sia nella vita che nella morte, per
l'eternità, un tutt'uno con la grande ed eterna vita.
Inoltre nel capitolo Durata della vita viene spiegato quanto segue: «Tutto ciò che predico è
vero, non falso. Perché faccio questo? Il Tathagata percepisce il vero aspetto del triplice
mondo esattamente com'è. Non vi è nascita né morte, non vi è esistenza in questo mondo
né estinzione. Non è reale né illusorio, non è così né diverso. Non è così come viene
percepito da coloro che vi dimorano. Il Tathagata vede chiaramente tutte queste cose,
senza il minimo errore» (SDL, 298).
Dal punto di vista del Budda non vi è alcuna differenza tra coloro che sono in vita e coloro
che sono morti. Perciò dice che in questo mondo «non vi è né nascita né morte».
Nella parte del Jigage abbiamo letto quanto segue:
«Per salvare gli esseri viventi,
uso l'espediente di mostrare il mio nirvana
ma in verità non mi estinguo.
Sono sempre qui a predicare la Legge»
(SDL, 301-302).
Perché il Budda usa l'espediente di mostrare il suo nirvana? Nel capitolo Durata della vita
leggiamo: «Perché se il Budda rimanesse a lungo nel mondo le persone di scarse virtù non
sarebbero in grado di piantare buone radici e, vivendo in miseria e in povertà,
svilupperebbero l'attaccamento ai cinque desideri e cadrebbero preda di pensieri e
immagini illusorie. Se vedessero che il Tathagata è sempre presente nel mondo e non
conosce estinzione, diverrebbero arroganti ed egoiste, oppure si scoraggerebbero e
diverrebbero negligenti. Non potrebbero capire quanto sia difficile incontrare il Budda e
non si avvicinerebbero a lui con rispetto e deferenza» (SDL, 298).
Se il Budda rimanesse sempre nel mondo, le persone pensando di poterlo incontrare
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facilmente finirebbero col lasciarsi influenzare dall'arroganza e dall'egoismo e non
arriverebbero a desiderare di portare avanti con serietà la pratica buddista. Qui i punti
fondamentali sono il rispetto e la deferenza, cioè l'intenzione di rispettare e mostrare
deferenza verso il Budda sempre.
Inoltre nel capitolo Durata della vita si legge:
«Desiderano con tutto il cuore vedere il Budda
anche a costo della vita,
allora io e l'assemblea dei monaci
appariamo insieme sul sacro Picco dell'Aquila»
(SDL, 302).
Non sono parole mistiche e meravigliose? Quando le persone desiderano con tutto il cuore
vedere il Budda, anche a costo della vita, allora il Budda e i suoi discepoli appaiono nel
luogo dove viene predicato il Sutra del Loto.
Scrive il presidente Ikeda: «Riguardo all'espressione "con tutto il cuore", che si traduce
anche "con unica mente", il Daishonin spiega: "Con un'unica mente desiderano vedere il
Budda" può essere letto così: osservare il Budda con un'unica mente, concentrare la
propria mente sul vedere il Budda e quando si guarda la propria mente, percepire che
essa è il Budda" (Lettera a Gijo-bo, RSND, 1, 345). In altre parole, la mente di una persona
comune che ricerca il Budda diventa la mente del Budda.
La cosa più importante è il cuore. È possibile comprendere il Buddismo solo con uno spirito
di ricerca puro che venga dal profondo del cuore, cioè senza arroganza. Se pensiamo che
possiamo incontrare il Gohonzon solo una volta ogni cento milioni o dieci miliardi di anni,
tutte le volte che recitiamo Gongyo proveremo una profonda emozione. La Buddità
inerente (koshin no bukkai) al Budda dell'Ultimo giorno della Legge Nichiren Daishonin è
espressa nella frase: "Desiderano con tutto il cuore vedere il Budda anche a costo della
vita". Dobbiamo comprendere il profondo significato di questa frase. Quando parla di
conseguire la Buddità Nichiren sottolinea che tutto dipende dal "cuore", da una fede
basata sullo spirito di "vedere il Budda anche a costo della vita". Senza questo "cuore",
non c'è Buddismo.
Per far sorgere negli esseri umani lo spirito di dedicarsi al conseguimento della Buddità
anche a costo della vita, il Budda lascia questo mondo. Questo è l'espediente della morte
(hoben gen nehan)» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, p. 241).
Cosa significa "vedere il Budda"? «Ricercare il Budda con tutte le proprie forze e senza
pensare ad altro. Lottare anima e corpo per la realizzazione di kosen-rufu. Questa
dedizione a costo della vita è in realtà "il Budda". Il Budda è il maestro di kosen-rufu.
Questo passo si può leggere come la quintessenza della non dualità di maestro e
discepolo, cioè il discepolo che si avvicina alla grandiosa condizione vitale del maestro.
Naturalmente "a costo della vita" non vuol dire trascurare la propria vita. Al contrario,
significa far brillare al massimo la propria esistenza. Per fare ciò è necessario rompere il
guscio del piccolo io, dell'ego e della codardia e agire per propagareampiamente la grande
Legge» (D. Ikeda, La nostra grande strada della vittoria, in "Riflessioni a margine", Seikyo
Shimbun, 21 gennaio 2011).
Per noi il maestro fondamentale di kosen-rufu è Nichiren Daishonin. I primi tre presidenti
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della Soka Gakkai hanno interpretato e sviluppato in termini moderni i suoi insegnamenti, e
in particolare Daisaku Ikeda ha aperto la strada al movimento di kosen-rufu su scala
mondiale.
Non vi è alcun dubbio che nelle vite di tutti i compagni di fede della SGI brilli la grande
condizione vitale del Budda, poiché a costo della loro stessa vita ricercano il maestro di
kosen-rufu e con il desiderio di rispondere alle aspettative del maestro lottano con tutte le
loro forze. Il Daishonin asserisce ciò.
E riguardo alla vita e alla morte insegna inoltre: «Considerare la nascita e la morte con
repulsione e cercare di sfuggirvi è chiamato illusione, o un punto di vista dell'Illuminazione
acquisita. Vedere e capire la natura originariamente intrinseca della nascita e della morte è
chiamato risveglio, o Illuminazione originale. Ora quando Nichiren e i suoi seguaci recitano
Nam-myoho-renge-kyo, realizzano la natura originariamente intrinseca della nascita e della
morte e la natura originariamente intrinseca del flusso e del riflusso» (Raccolta degli
insegnamenti orali, BS, 117, 45).
Nel capitolo Durata della vita del Tathagata abbiamo letto che dal punto di vista del Budda
non ci sono né nascita né morte, ma nella realtà ci sono entrambe, e forse il fatto di
asserire che non ci siano potrebbe sembrare una sorta di repulsione verso il concetto di
vita e morte. Tuttavia l'espressione «la natura originariamente intrinseca della nascita e
della morte» indica qualcosa di gioioso e pieno di freschezza e va interpretato nel senso
che possiamo vivere in modo piacevole la vita e la morte per quello che sono, recitando
Nam-myoho-renge-kyo fino alla fine, basandoci sulla vita eterna.
Anche il passo successivo ha lo stesso significato: «Attraversando il ciclo di nascita e
morte si percorre la propria strada sulla terra della natura del Dharma, o Illuminazione, che
è intrinseca in noi» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 111, 46).
C'è la vita e c'è la morte. La vita prosegue lungo l'orbita del mondo di Buddità e nello
stesso tempo si diverte nell'ammirare il panorama sia della vita che della morte. Ikeda
afferma: «È come viaggiare su una bella autostrada in una comoda macchina» (La
saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, p. 246).
Il Daishonin inoltre incoraggia con le seguenti parole la madre di Nanjo Tokimitsu, che da
poco aveva perso il marito: «Finché era in vita egli era un Budda vivente e ora è un Budda
defunto. Si è Budda sia nella vita sia nella morte. Questa è la profonda dottrina del
conseguimento della Buddità nella forma presente» (L'inferno è la Terra della luce
tranquilla, RSND, 1, 403). Se si vive fino alla fine per la Legge mistica «si è Budda sia nella
vita sia nella morte». Di conseguenza si prova gioia nella vita e nella morte.
Nel passo che segue inoltre il Daishonin dichiara che finché si mantiene una forte fede non
si ha motivo di affliggersi per la morte imminente di una persona cara: «Se dovesse salire
adesso al Picco dell'Aquila, si sentirebbe felice come se fosse sorto il sole illuminando le
dieci direzioni e si chiederebbe come una morte prematura possa essere così gioiosa» (La
buona medicina per tutti i mali, RSND, 1, 834).
Forse qualcuno potrebbe pensare che sia eccessivo arrivare ad affermare: «Che bello,
sono morto prematuramente». Ma quando una persona muore mantenendo la fede nella
Legge mistica arriva veramente a pensare ciò e quindi il Daishonin ci incoraggia
affermando che la morte è davvero un'esperienza radiosa e pura.
E una vita che ha portato a termine la propria missione in questa esistenza potrà «ottenere
senza impedimenti il supremo livello di rinascita, la rinascita nella Terra della luce
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tranquilla. Allora nello spazio di un istante si ritornerà al sogno dei nove mondi, il regno di
nascita e morte, si farà sì che il proprio corpo pervada le terre dell'intero regno dei
fenomeni nelle dieci direzioni, che la propria mente entri nel corpo di tutti gli esseri
senzienti, incoraggiandoli dall'interno, conducendoli e guidandoli dall'esterno, con l'interno
e l'esterno che rispondono l'uno all'altro, e causa interna e causa esterna che funzionano
in armonia; in tal modo si utilizzerà la pietà e la compassione dei propri poteri
sovrannaturali liberamente esercitati per elargire ampiamente agli esseri viventi benefici
incontrastati» (La dichiarazione unanime dei Budda delle tre esistenze sulla classificazione
degli insegnamenti e su quali di questi devono essere abbandonati e quali devono essere
adottati, WND, 2, 860).
Il Daishonin afferma che chi mantiene la fede fino alla fine e muore con la condizione vitale
di Buddità rinascerà liberamente sul nuovo palcoscenico della sua missione per kosenrufu.
Il Budda Soka Gakkai
Nel mese di gennaio del 1998, al compimento dei suoi settant'anni, Ikeda descrisse nella
prima puntata della serie Le riflessioni a margine della Nuova rivoluzione umana il suo stato
d'animo: «Un mese prima del mio trentesimo compleanno ho appuntato nel mio diario: "Non
mi rimane altro che lavorare e andare avanti con tutte le mie forze accanto al presidente
Toda. Sono giunto alla conclusione che se sono quello che sono è solo grazie al mio
mentore". Quando ero giovane ero talmente malato che i dottori mi dissero che non avrei
superato i trent'anni. Il mio maestro Josei Toda mostrò una grande apprensione per me, mi
incoraggiava e mi guidava costantemente con compassione e forza. Ho passato giorni e
notti nell'incessante lotta di propagazione del Buddismo di Nichiren.
Quando le forze mi abbandonavano per la salute cagionevole o perché ero esausto, Toda
mi diceva: "Stai combattendo contro i tre ostacoli e i quattro demoni. Porta il dolore e la
sofferenza direttamente davanti al Gohonzon e lotta per superare ogni ostacolo". E poi mi
diceva anche: "Vivi la tua vita e forgia la tua fede in modo che tu possa andare incontro
alla morte con dignità e contegno in qualsiasi momento". La sua voce, la voce di un padre
severo ma affettuoso, penetrava in profondità. In un'altra occasione mi disse: "Ti darò la
mia vita! Vivi, vivi al posto mio, vivi a lungo!".
In questa vita, grazie alla forza vitale che mi è stata trasmessa dal mio maestro, ho trionfato
sul mio destino, ho abbattuto i demoni della malattia e ho raggiunto l'età di trent'anni.
Entusiasta, ho riportato nel mio diario ogni decade trascorsa, accanto ai progetti e agli
obiettivi dei decenni futuri.
Fino ai dieci anni: infanzia come figlio di un umile coltivatore di alghe; fino ai vent'anni:
presa di coscienza e lotta contro la malattia; fino ai trent'anni: studio e pratica del
Buddismo, massimi sforzi per abbattere i demoni della malattia; entro i quarant'anni:
perfezionamento della pratica e dello studio degli insegnamenti di Nichiren Daishonin; entro
i cinquant'anni: una chiara affermazione nella società;
entro i sessant'anni: completamento delle basi per il movimento di kosen-rufu in Giappone.
Ma il mio diario non dice niente dopo i sessant'anni di età, non ho mai pensato di vivere
oltre. Nell'autunno del mio cinquantasettesimo anno (qualche mese prima di compiere
cinquantotto anni, l'età in cui morì Toda) mi ammalai improvvisamente e fui ricoverato in
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ospedale. Se Toda fosse vivo oggi avrebbe novantotto anni. Sono profondamente convinto
che io sono arrivato a vedere questo settantesimo anno perché Toda ha condiviso parte
della sua forza vitale con me.
Victor Hugo cominciò a scrivere il suo grande romanzo Quatrevingt-treize (Novantatré)
all'età di settant'anni. Circa alla stessa età, Lev Tolstoj cominciava a pensare al suo
capolavoro, Resurrezione. A settant'anni appena compiuti, fondata la Soka Gakkai,
Tsunesaburo Makiguchi cominciò la pubblicazione del giornale Kachi Sozo (Creazione di
valore), aprendo la strada a discussioni e dibattiti per la propagazione degli insegnamenti
di Nichiren Daishonin.
Ora, con lo pseudonimo Ho Goku, mi sto impegnando personalmente a scrivere l'ottavo
volume de La nuova rivoluzione umana, che apparirà in versione ridotta nelle serie del
Seikyo Shimbun. Se avessi continuato a scrivere quello che avrei realizzato dopo i
sessant'anni, leggeremmo così: fino ai settant'anni: l'affermazione dei principi per un nuovo
umanesimo;
fino agli ottant'anni: il completamento delle basi per kosen-rufu nel mondo.
Da qui in poi, in accordo con la Legge mistica e la natura immortale e senza tempo della
vita secondo quanto esposto dal Buddismo, sono determinato a guidare kosen-rufu per
tutta l'eternità» (NR, 371, 10).
Ma cosa significa «sono determinato a guidare kosen-rufu per tutta l'eternità»?
Significa che la filosofia e le azioni di Ikeda diverranno gli obiettivi dell'umanità, e il
Buddismo di Nichiren Daishonin abbraccerà e nutrirà per sempre il genere umano. Vuol
dire che i successori si assumeranno la responsabilità di kosen-rufu e continueranno per
l'infinito futuro a propagare questo movimento in tutto il mondo.
«Guidare kosen-rufu per tutta l'eternità»: Sensei spiega che ciò non riguarda solo lui, e nel
brano che segue riporta l'interpretazione di Toda della figura del Tathagata Re Suono
Maestoso che compare nel Sutra del Loto: «Il Daishonin afferma: "Se la compassione di
Nichiren è veramente grande e onnicomprensiva, Nam-myoho-renge-kyo si diffonderà per
diecimila anni e più, per tutta l'eternità" (Ripagare i debiti di gratitudine, RSND, 1, 658).
Dobbiamo propagare ampiamente l'eterna e indistruttibile Legge mistica in tutta
Jambudvipa per salvare gli esseri viventi dell'Ultimo giorno della Legge fino all'infinito
futuro!
La Soka Gakkai è apparsa coraggiosamente nell'epoca attuale colma di conflitti e
sofferenze poiché ha fatto proprio il grande voto, la nobile missione legata all'intento e alle
volontà del Budda.
Un giorno il maestro Toda mi parlò della "gloria Soka": "Nelle future scritture buddiste la
Gakkai verrà menzionata come Budda Soka Gakkai". Sentii tutto il mio corpo pervaso
dall'emozione.
Nel capitolo Il Bodhisattva Mai Sprezzante del Sutra del Loto appare un Budda di nome
Tathagata Re Suono Maestoso. Questo Budda non si presentò solo una volta, infatti dopo
la scomparsa del primo Tathagata Re Suono Maestoso, anche il Budda che apparve
successivamente si chiamò Tathagata Re Suono Maestoso. E "questo processo continuò
finché uno dopo l'altro non furono apparsi ventimila milioni di Budda, tutti con lo stesso
nome" (SDL, 354). Ciò significa che ventimila milioni di Budda, tutti con lo stesso nome di
Tathagata Re Suono Maestoso, hanno salvato gli esseri viventi per un tempo lunghissimo.
Il mio maestro intuì con perspicacia che questo Tathagata Re Suono Maestoso poteva
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essere interpretato come un'organizzazione, un sangha armonioso.
La lunghezza della vita di un essere umano è limitata. Ma se lo spirito fondamentale di
lottare per la realizzazione di kosen-rufu viene tramandato dal maestro al discepolo e così
via, cioè trasmesso attraverso le attività di un'organizzazione, ciò significa mantenere la
forza vitale del Budda in modo permanente per continuare a salvare le persone.
La nostra Soka Gakkai possiede la luce della compassione per dare coraggio e speranza e
squarciare così le tenebre della sofferenza che attanaglia le persone; il ruggito del leone
per sconfiggere decisamente il male e affermare la giustizia; la fede che permette di
trasformare il karma e costruire la propria e l'altrui felicità.
Inoltre possiede l'armoniosa unità di itai doshin che vince sulle persecuzioni dei tre ostacoli
e dei quattro demoni, e il castello indistruttibile di maestro e discepolo. Non c'è alcun
dubbio che nella Soka Gakkai basata sulla relazione maestro-discepolo scorra senza
interruzione, attraverso i tre tempi di passato, presente e futuro, la linfa dell'eredità del
conseguimento della Buddità.
Perciò il maestro Toda affermò che sarebbe stato naturale, nelle scritture buddiste future,
dare l'appellativo di Budda alla Soka Gakkai, l'organizzazione armoniosa che porta avanti
kosen-rufu secondo la diretta volontà del Budda. La Soka Gakkai ha una nobile missione e
una forza grandiosa.
Il Daishonin scrisse a un suo discepolo di dire a Brahma e Shakra, in caso di morte: "Sono
discepolo del prete Nichiren, il primo devoto del Sutra del Loto del Giappone"
(Incoraggiamento a una persona malata, RSND, 1, 72).
Anche noi, come diretti discepoli di Nichiren Daishonin e discepoli della grandiosa Soka
Gakkai continuiamo a lottare per tutta la vita, anzi per tutti i tre tempi di passato, presente e
futuro. Guidiamo il nostro movimento colmi di gioia!» (Guidiamo il nostro movimento colmi di
gioia nei tre tempi di passato, presente e futuro, in "Riflessioni a margine", Seikyo
Shimbun, 10 maggio 2006).
Perciò «guidare kosen-rufu per tutta l'eternità» non riguarda solamente Ikeda, che infatti
scrive che i protagonisti siamo noi, «discepoli della grandiosa Soka Gakkai». Quindi tutti
noi compagni di fede della SGI, insieme al nostro maestro, siamo coloro che guidano il
movimento di kosen-rufu per i tre tempi di passato, presente e futuro. Noi siamo il Budda
eterno chiamato Soka Gakkai.
Qual è lo spirito del capitolo Durata della vita del Tathagata? Il presidente Ikeda scrive:
«Dobbiamo vivere le nostre esistenze con la ferma convinzione dell'eternità della vita.
Attraverso la nostra vittoria in questa vita noi diamo prova concreta dell'eternità della vita.
Questo è l'insegnamento del Sutra del Loto e del capitolo Durata della vita. Qualsiasi cosa
accada noi dobbiamo vivere, dobbiamo continuare a vivere» (cfr. La saggezza del Sutra
del Loto, vol. 3).
Qui Sensei afferma che l'eternità della vita è «vivere, continuare a vivere». Qualsiasi cosa
accada, dobbiamo "continuare a vivere" per kosen-rufu. Non solo in questa vita ma anche
nelle prossime esistenze, continuare a vivere insieme alla Legge mistica e al maestro. La
forza, la gioia, la purezza, in altri termini la fede e le azioni conseguenti, sono la prova che
stiamo avanzando lungo l'orbita dell'eternità della vita.
Cosa posso fare?
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Il capitolo Durata della vita del Tathagata si conclude così:
«Questo è il mio pensiero costante:
come posso far sì che tutti gli esseri viventi
accedano alla via suprema
e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda?» (SDL, 305).
Quando si parla del Budda si tende a pensare che sia un essere che ha compreso tutto fin
dall'inizio, ma non è così. Egli ha sempre questo tipo di pensieri: «Cosa posso fare affinché
quella persona possa essere felice?», «Come posso fare affinché questo amico possa
ottenere la vittoria?». Perciò possiamo affermare che il Budda è colui che si preoccupa
senza sosta.
Voi membri della Soka Gakkai ogni giorno vi preoccupate, pregate e continuate a sfidarvi
per il bene dei compagni di fede, dei successori, del quartiere e di kosen-rufu
domandandovi: «Come posso fare?», «Cosa posso fare?». Questo vostro comportamento
quotidiano esprime il vero aspetto della condizione vitale del Budda rivelato nel capitolo
Durata della vita del Tathagata.
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