La morte con lo sguardo del Budda

30/7/2014
Buddismo e Società - Numero 165
Buddismo e Società n.165 - luglio agosto 2014
Principi fondamentali
La morte con lo sguardo del Budda
di Lodovico Prola
La vita delle persone che si sono dedicate alla Legge mistica risplende dello stato di Buddità anche dopo la
morte
La vita e la morte sono i grandi misteri della nostra esistenza. Perché veniamo al mondo? Che
cos'è la vita? Perché moriamo? La nostra esistenza è eterna? Cosa succede dopo la morte? Per
quanto molti esseri umani facciano finta di non badare a simili questioni, sono domande a cui è
impossibile sottrarci.
«Perciò prima di tutto dovrei studiare ciò che riguarda il momento della morte e poi tutto il resto»
(L'importanza del momento della morte, RSND, 2, 714). Così rifletteva il giovane Nichiren
Daishonin quando studiava gli insegnamenti buddisti.
In effetti, il modo con cui consideriamo la morte inevitabilmente orienta il nostro modo di vivere. A
volte di fronte a una malattia, nostra o di una persona cara, o in uno di quei momenti in cui
vediamo la morte da vicino, riconsideriamo la nostra vita da un'altra prospettiva. Molte cose che
fino a ieri erano importanti e occupavano gran parte della nostra realtà, diventano di poco conto.
Altre cose al contrario, come gli affetti o gli amici, assumono una decisa priorità. Molto
probabilmente le religioni sono nate proprio per rispondere a quelle domande che ogni essere
umano si pone nel corso della propria esistenza. Il Buddismo offre risposte straordinarie a questi
quesiti. Afferma innanzitutto senza mezzi termini che siamo venuti al mondo per essere felici, per
godere di questa vita sostenendo la vita. E assicura che la morte in questa prospettiva assume
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anch'essa una funzione, un ruolo, un significato.
Quello che proponiamo qui è una raccolta ragionata di scritti di Daisaku Ikeda che affrontano il
tema della morte da diverse angolazioni.
Il ritmo dell'esistenza
«Il Daishonin afferma che la Legge mistica (giapp. myoho) incarna le due fasi di vita e morte,
spiegando che "myo significa morte, ho vita". Aggiunge che la vita e tutti i fenomeni sono soggetti
alle due fasi di vita e morte e attraversano vita e morte come funzioni della Legge mistica. Spiega
inoltre che nascita e morte fanno intrinsecamente parte della vita, cercando così di impedire alle
persone di cadere nell'errore di aborrire la vita e la morte, o di nutrire un forte attaccamento nei
confronti dell'una o dell'altra. La Legge mistica è la Legge eterna e infinita dell'universo che
comprende le due fasi di vita e morte. In altre parole, le due fasi di vita e morte sono di per sé il
ritmo della Legge eterna e appaiono come la vita e la morte di innumerevoli entità viventi, come il
sorgere e l'estinguersi di tutti i fenomeni, come tutti i tipi differenti di cause ed effetti in ogni sorta di
dimensione, come l'armonia e il dinamismo dell'universo nella sua interezza.
Questa concezione di vita e morte come funzioni della Legge mistica è di fondamentale importanza
per la nostra vita perché la vera felicità si può trovare soltanto nel vivere in accordo con questo
grande ritmo di vita e morte. (Daisaku Ikeda, L'eredità della Legge fondamentale della vita,
Lezioni sugli scritti di Nichiren Daishonin, Esperia, p. 11).
Vincere la sofferenza
«Secondo il principio buddista dell'origine dipendente, una delle verità a cui Shakyamuni si era
illuminato, le sofferenze di invecchiamento e morte sorgono dall'oscurità innata o ignoranza che
esiste dentro ogni individuo e il Budda insegna che, estinguendo tale ottenebramento interiore,
queste sofferenze possono essere superate. La saggezza o comprensione profonda che permise a
Shakyamuni di conseguire l'Illuminazione rappresenta la saggezza per vincere le illusioni e la
sofferenza rispetto alla morte» (Ibidem, pp. 7-8).
«Finché non ci si libera dalla sofferenza della morte non si può godere di vera felicità, e a nulla
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valgono i ragionamenti e le teorie intellettuali. La vita e la morte costituiscono il grande ed eterno
ritmo dell'universo stesso. Quando riusciamo a cogliere il sé più grande dentro di noi che è parte di
questo ritmo e sentiamo nella profondità del nostro essere che questo ritmo è la pulsazione
fondamentale che sostiene la nostra vita, allora possiamo superare la sofferenza della morte. La
strada per la liberazione interiore consiste nel recitare Nam-myoho-renge-kyo e nell'insegnare agli
altri a fare lo stesso» (Ibidem, p. 10).
La durata della vita
«La morte è una certezza, perciò quello che conta non è se la nostra vita è lunga o breve, ma se,
da vivi abbiamo formato un legame con la Legge mistica, l'eterno elisir per tutti i mali della vita.
Quando ci sforziamo costantemente di rivelare la nostra natura buddica e di abbracciare gli altri
con la compassione di un bodhisattva, qualunque cosa ci capiti di dover affrontare nella vita
diventa il carburante per la nostra Illuminazione. Le disgrazie allora non sono mai semplici
disgrazie, e anche una vita breve può essere fruttuosa quanto una lunga. Grazie alla fede,
possiamo trovare un importante significato in qualunque evento, buono o cattivo che sia. [...] Il
Sutra del Nirvana dice: "Bodhisattva, non dovete temere gli elefanti impazziti. Ma i cattivi amici,
sono loro che dovete temere! Se venite uccisi da un elefante impazzito, non cadrete nei cattivi
sentieri. Ma se un cattivo amico vi porta alla morte, certamente cadrete in uno di essi". Questo vuol
dire che finché viviamo in questo mondo non possiamo evitare la sofferenza, ma anche se un
incidente imprevisto - simbolizzato nel Sutra del Nirvana dall'elefante impazzito - dovesse causare
la nostra morte, non cadremmo nei cattivi sentieri. Se invece veniamo sviati dalle cattive influenze
e smettiamo di cercare di migliorare la nostra vita e di aiutare gli altri, abbandonando così la strada
per la Buddità, secondo il Sutra cadremo in uno dei tre cattivi sentieri (Inferno, Avidità e Animalità).
Il Buddismo perciò distingue tra la morte del corpo e la morte dello spirito, intesa come la rinuncia
a percorrere il sentiero verso l'illuminazione. Nella concezione buddista, alla luce dell'eternità della
vita, la morte fisica non ha un rapporto diretto con la felicità. Purché si porti avanti la pratica
buddista per l'intera vita, infatti, è possibile ridurre al minimo la durata del periodo di esistenza
intermedia e rinascere quasi immediatamente in questo mondo, continuando a percorrere il
sentiero della pratica buddista. In poche parole, dal punto di vista del Buddismo, quel che è
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davvero terribile non è la cessazione della vita fisica, ma l'abbandono della ricerca della Legge nel
proprio cuore» (Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, Esperia, pp. 109-111).
Come affrontare la morte
«Nei termini di vita e morte, l'essenza della fede nella Legge mistica è avere l'atteggiamento che
"adesso è l'ultimo momento della propria vita". [...] Pertanto è cruciale perseverare nella fede per
tutta la durata della nostra esistenza in questo mondo. Rimanere saldi e corretti nella fede fino
all'ultimo istante rappresenta di per sé il conseguimento della Buddità in questa esistenza. In quel
momento la morte non segnerà la fine della vita, ma il suo completamento e l'inizio di una nuova e
ancor più profonda esistenza. Una morte simile sarà del tutto libera da qualsiasi paura o angoscia.
Così saremo nuovamente in grado di provare gioia sia nella vita sia nella morte» (L'eredità della
Legge fondamentale della vita, op. cit., pp. 13-14).
La relazione con i defunti
«In quel regno universale di Buddità che chiamiamo Pura terra del Picco dell'aquila è anche
possibile "incontrare" o entrare in contatto, a un livello profondo di vita eterna, con quanti non
abbiamo potuto più incontrare in questa esistenza, come i maestri e i discepoli, i compagni di fede,
e la famiglia nel regno della Legge mistica. Questo è il funzionamento meraviglioso della vita.
Scrivendo dal Monte Minobu all'anziana monaca laica di Ko, che stava nell'isola di Sado e non
riuscì più ad incontrare di persona, il Daishonin le assicura che maestro e discepola si riuniranno
nella Pura terra del Picco dell'aquila: "Ogni volta che senti la mia mancanza, guarda il sole che
sorge [al mattino] e la luna che sorge la sera. In qualsiasi momento io sarò riflesso nel sole e nella
luna. Nella prossima vita incontriamoci nella Pura terra del Picco dell'aquila" (Lettera alla monaca
laica di Ko, RSND, 1, 530). E in una lettera alla monaca laica Konichi, che aveva perso il suo
amatissimo figlio Yashiro, scrive: "La santa Konichi [...] per il grande amore verso suo figlio è
diventata una praticante del Sutra del Loto. Senza ombra di dubbio sia la madre sia il figlio
andranno nella pura terra del Picco dell'aquila. In quel momento, che grande gioia proveranno
nell'incontrarsi! Che grande gioia!" (Risposta alla santa Konichi, RSND, 1, 906). Allo stesso modo
in una lettera alla monaca laica di Ueno (madre di Nanjo Tokimitsu) il cui figlio Goro era morto
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improvvisamente, scrive: "Eppure c'è un modo per incontrarlo presto. Con il Budda Shakyamuni
come tua guida, puoi andare a incontrarlo nella pura terra del Picco dell'aquila. Il Sutra afferma:
'Fra coloro che ascoltano la Legge, nemmeno uno mancherà di conseguire la Buddità' (SDL, 51).
Questo significa che può accadere di mirare la terra e mancarla, può accadere che il sole e la luna
precipitino al suolo, che ci sia un tempo in cui le maree cesseranno di fluire e rifluire o persino che
i fiori non si trasformino in frutti con l'estate, ma non potrà mai accadere che una donna che recita
Nam-myoho-renge-kyo non si riunisca al suo adorato figlio. Dedicati, dedicati con costanza alla
fede, perché accada presto!" (Gosho del sakè raffinato, RSND, 1, 968)» (Daisaku Ikeda, Il Gosho
e le basi della fede, Esperia, vol, 2, pp. 117-118).
«Grazie a una devota pratica del Buddismo è possibile creare con i propri cari un legame che
trascende la vita e la morte. A questo proposito Nichiren scrisse: «Coloro che praticano questo
sutra [il Sutra del Loto] [...] si ritroveranno assieme sul Picco dell'aquila. Inoltre, dal momento che il
tuo defunto padre credeva come te nel Sutra del Loto, sicuramente rinascerete insieme nel
medesimo luogo nella prossima vita" (GZ, 1508-1509). Il noto studioso buddista Vasubandhu
afferma che i morti non possono cambiare il proprio karma durante l'esistenza intermedia, ma
Nichiren insegna che le preghiere offerte dai vivi possono alleviare le sofferenze dei morti e
influenzare le condizioni della loro rinascita. Secondo Nichiren, ciò avviene perché le preghiere
che si basano sullo stato di Buddità trascendono la vita e la morte e raggiungono i defunti
mettendoli in grado di entrare in una condizione gioiosa» (I misteri di nascitae morte, op. cit., pp.
101-102).
«Il Buddismo insegna che la vita e la morte sono indivisibili. Perciò, quando i figli di una persona
deceduta conducono una vita vittoriosa e piena di speranza, significa che anche il defunto ha
trionfato. Osservando che il marito deceduto stava probabilmente provando lo struggente
desiderio di avere notizie dei figli ancora piccoli, Nichiren Daishonin incoraggia la monaca laica
Myoshin: "Poiché reciti continuamente il Daimoku del Sutra del Loto, il carattere myo si trasformerà
in un messaggero che si recherà da tuo marito [...] che riferirà nell'altro mondo tutto ciò che accade
in questo mondo di saha" (Risposta alla monaca laica Myoshin, RSND, 1, 826). Proprio come le
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onde invisibili della radio e della luce possono raggiungere la luna e le stelle, una forte decisione
basata sulla Legge mistica supera istantaneamente vastissime distanze. E non si limita al
presente, ma può raggiungere la vita di coloro che sono morti. Ecco perché, anche se siamo
fisicamente separati dai nostri cari, i nostri cuori sono sempre uniti a loro.
Spero che tutti quelli che hanno perso una persona cara vivano la loro vita con forza e ottimismo,
fermamente convinti che grazie al potere della Legge mistica il deceduto rinascerà presto vicino a
loro» (Daisaku Ikeda, Gioia nella vita, gioia nella morte, Esperia, p. 149).
La morte di coloro che hanno vissuto per kosen-rufu
«Il Daishonin descrive lo stato vitale che sperimentano dopo la morte coloro che hanno lavorato
duramente per kosen-rufu, dicendo: "Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino
all'ultimo istante della vita e, quando giungerà quel momento, ammira! Quando salirai sulla vetta
della perfetta Illuminazione e guarderai attentamente in ognuna delle quattro direzioni, con tua
grande meraviglia vedrai che l'intero regno dei fenomeni è la Terra della Luce Tranquilla: il terreno
è fatto di lapislazzuli, gli otto sentieri sono delimitati da cordoni dorati, dal cielo piovono quattro tipi
di fiori e una musica risuona nell'aria. Tutti i Budda e i bodhisattva si dilettano carezzati dalle
brezze di eternità, felicità, vero io e purezza. Si avvicina rapidamente il momento in cui anche noi
saremo enumerati nella loro schiera" (Lettera a Shimoyama, RSND, 1, 675).
Le persone che hanno dedicato la loro vita alla Legge mistica dopo la morte godranno di uno stato
eterno di eternità, felicità, vero io e purezza. Anche Toda era solito dire: "Se porti avanti la tua fede
con sincerità, la vita stessa sarà gioiosa e sperimenterai senza alcun dubbio uno stato di felicità
assoluta". Superiamo allegramente tutte le sfide che incontriamo sulla nostra strada mentre
miriamo alla grande cima della vittoria della nostra vita e di kosen-rufu. Non c'è esistenza più
gioiosa né regime di salute migliore» (Ibidem, p. 129).
«La vita delle persone che si sono dedicate a sostenere la Legge mistica risplende dello stato
vitale della Buddità non solo in questa esistenza, ma anche dopo la morte. Incoraggiando la madre
di Nanjo Tokimitsu in seguito alla morte del marito, il Daishonin scrive: "Finché era in vita egli era
un Budda vivente e ora è un Budda defunto. Si è Budda sia nella vita sia nella morte" (L'inferno è
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la Terra della Luce Tranquilla, RSND, 1, 403). La morte è una fase in cui ci si ricarica, per
prepararsi a una nuova vita. È una specie di sonno. Se vi addormentate come Budda, vi
risveglierete nella nuova vita come un Budda. Non c'è tristezza o miseria nell'eterno viaggio di
coloro che sono deceduti. La loro vita è piena di speranza e così è la loro morte. Secondo gli scritti
del Daishonin, rinasceranno presto vicino a noi, con una nuova vita» (Ibidem, pp. 78-79).
«Il Daishonin mandò il seguente incoraggiamento (il Gosho che studiamo in questo mese, n.d.r.)
alla madre di Nanjo Tokimitsu quando perse l'amatissimo figlio Shichiro Goro, il fratello minore di
Tokimitsu: "Credendo in questo splendido sutra il defunto Shichiro Goro conseguì la Buddità. E
oggi, nel quarantanovesimo giorno dalla sua morte, tutti i Budda sono sicuramente radunati intorno
a lui nella pura terra del Picco dell'aquila, lo fanno sedere sul palmo delle loro mani, gli carezzano
la testa, lo abbracciano e ne gioiscono. Quanto lo ameranno! Così come si ama la luna appena
sorta o i fiori appena sbocciati" (Risposta alla madre di Ueno, RSND, 1, 954). La vita del figlio
deceduto, assicura il Daishonin, si è fusa con la Buddità dell'universo, dove è accolta, protetta e
curata da tutti i Budda. Poiché ha conseguito un tale stato vitale, non c'è motivo di preoccuparsi
per lui. È questo il vero significato di assaporare la gioia sia nella vita sia nella morte.
Data questa certezza, le famiglie dei defunti dovrebbero continuare a condurre la loro vita con
forza, ottimismo e coraggio. Dovrebbero diventare felici, nonostante il dolore. Vivere in questo
modo è la riprova del conseguimento della Buddità dei loro cari e invia loro onde di gioia.
Tutti coloro che hanno dedicato la propria vita a kosen-rufu sono certi di morire di una morte
magnifica e serena, come il tramonto che si inabissa glorioso dietro l'orizzonte» (Ibidem, pp. 7980).
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