QUADERN / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Nello scostamento da “redditometro” contano le perdite d’impresa Il mancato superamento dei ricavi minimi “blocca” il credito IVA / Alfio CISSELLO Per la Cassazione, ai fini del diniego del rimborso del credito, non spetta al Fisco la dimostrazione dell’intento elusivo Nella versione dell’art. 38 del DPR 600/73 antecedente alle modifiche del DL 78/2010, l’accertamento da “redditometro” avrebbe potuto essere effettuato solo se tra dichiarato ed accertato fosse stato presente uno scostamento del quarto, almeno per due annualità. Ora, lo scostamento deve essere del quinto e può sussistere anche solo per un anno. Un tema che ci ha impegnato diverse volte riguarda le modalità con cui bisogna computare lo scostamento. Tra l’altro, una delle questioni che si è posta concerne la delineazione del c.d. “punto di partenza” (il dichiarato o l’accertamento) su cui operare il confronto del quarto o del quinto, per il quale si veda “Redditometro, per lo scostamento conta il reddito complessivo dichiarato” [...] / Luisa CORSO e Gianluca ODETTO La disciplina sulle società non operative riconnette le limitazioni all’utilizzo del credito IVA alla mera sussistenza dei presupposti ivi indicati, ovvero al mancato superamento del c.d. test dei ricavi, non gravando sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’intento “elusivo” perseguito da parte della società e spettando, invece, al contribuente la dimostrazione delle situazioni oggettive che hanno impedito l’effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA. Sulla base di tale assunto, la Corte di Cassazione, con sentenza 14 aprile 2015 n. 7534, ha quindi accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la pronuncia con cui la C.T. Reg. Bari aveva annullato il diniego di rimborso del credito IVA per l’anno 2006, diniego motivato dall’applicazione dell’art. 30 comma 4 della L. 724/94. Tale norma prevede, per le società non operative, il “blocco” della compensazione in F24 e del rimborso del credito IVA, nonché il divieto della cessione del credito stesso a terzi, per il periodo d’imposta con riferimento al quale il credito IVA viene esposto in dichiarazione; il A PAGINA 2 A PAGINA 3 INEVIDENZA CONTABILITÀ Lo scorporo dei terreni produce sempre componenti di reddito straordinarie Autorizzazione al “bollo virtuale” senza soglia minima di importo Confiscabile il valore corrispondente al vantaggio ricavato in via diretta dal reato Rilevabile d’ufficio la “sterilizzazione” dei dati e documenti non esibiti A Salerno il 53° Congresso nazionale dell’UNGDCEC ALTRENOTIZIE successivo comma 4-bis dispone inoltre che, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo, ovvero non hanno consentito di effettuare le suddette operazioni rilevanti ai fini IVA, la società interessata possa richiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive in parola, mediante interpello ai sensi dell’art. 37-bis comma 8 del DPR 600/73. Per la Suprema Corte, dal tenore letterale della norma risulta evidente come l’Agenzia delle Entrate non sia gravata dell’onere di provare l’intento elusivo ai fini del diniego del rimborso del credito IVA, atteso che la disposizione stessa riconnette direttamente alla qualità di società non operativa il suddetto effetto preclusivo. Inoltre, sempre in ragione della chiara lettera della norma, sarebbe spettato alla parte contribuente la dimostrazione delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei redditi utili a [...] / A PAGINA 11 Verso il Rendiconto finanziario come parte integrante del bilancio / Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE Il Dipartimento del Tesoro ha avviato la consultazione pubblica fino al 24 aprile sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 2013/34/UE che modifica la sezione IX del codice civile per la redazione del bilancio da parte delle società di capitali. Il recepimento di tale direttiva comporterà nuovi adempimenti, come la redazione del Rendiconto finanziario, ma anche semplificazioni, con l’introduzione di una specifica disciplina per le cosiddette “ [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Nello scostamento da “redditometro” contano le perdite d’impresa Non sussiste lo scostamento se il contribuente ha compensato le perdite degli anni pregressi / Alfio CISSELLO Nella versione dell’art. 38 del DPR 600/73 antecedente alle modifiche del DL 78/2010, l’accertamento da “redditometro” avrebbe potuto essere effettuato solo se tra dichiarato ed accertato fosse stato presente uno scostamento del quarto, almeno per due annualità. Ora, lo scostamento deve essere del quinto e può sussistere anche solo per un anno. Un tema che ci ha impegnato diverse volte riguarda le modalità con cui bisogna computare lo scostamento. Tra l’altro, una delle questioni che si è posta concerne la delineazione del c.d. “punto di partenza” (il dichiarato o l’accertamento) su cui operare il confronto del quarto o del quinto, per il quale si veda “Redditometro, per lo scostamento conta il reddito complessivo dichiarato” del 21 agosto 2013. Premesso tanto, sono molteplici i fattori che possono “influenzare” l’entità del reddito imponibile che va a confluire nel quadro RN. Bisogna al riguardo adottare un’interpretazione teleologica, dando valenza all’intenzione del legislatore, che ha inteso porre “un paletto” all’accertamento sintetico quando la discordanza tra il reddito accertabile e quello dichiarato (quindi effettivamente posseduto) non è significativa. Così, la giurisprudenza ha sancito che bisogna prendere in considerazione le quote di ammortamento (C.T. Prov. Caltanissetta n. 762/2014), i redditi soggetti a tassazione separata indicati nel quadro RM (C.T. Prov. Novara n. 39/2011), e che il confronto va eseguito al lordo della c.d. “detassazione Tremonti” (C.T. Prov. Cuneo n. 21/2009). / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 In altre parole, gli uffici finanziari non devono limitarsi a considerare ciò che emerge dal quadro RN, siccome possono avere un enorme rilievo anche gli altri quadri della dichiarazione dei redditi. Bisogna valutare il reale “reddito finanziario” La Commissione tributaria provinciale di Alessandria (sentenza n. 167/2014) si è occupata di una fattispecie molto interessante: il reddito d’impresa compensato con le perdite pregresse. I giudici sanciscono che è necessario prendere in considerazione il reddito prodotto nell’anno, non avendo rilievo la circostanza che il contribuente abbia compensato il reddito d’impresa con le perdite pregresse. Ragionare diversamente postula, in sostanza, “che il contribuente, per poter evitare l’accertamento sintetico, debba o rinunziare alla compensazione delle perdite ovvero, per potersi portare in compensazione le perdite, dichiarare più di quanto effettivamente prodotto”. Inoltre, “le perdite sono un elemento accidentale che non influisce – se non contabilmente – sulla produzione reddituale dell’esercizio in quanto riferite ad esercizi precedenti”. Valorizzando, come anticipato, la ratio legis sottesa alla necessità dello scostamento, i verificatori dovrebbero esaminare pure i redditi posseduti che, per le più varie ragioni, non confluiscono nella dichiarazione, come alcuni redditi soggetti a tassazione separata. / 02 ancora FISCO Il mancato superamento dei ricavi minimi “blocca” il credito IVA Per la Cassazione, ai fini del diniego del rimborso del credito, non spetta al Fisco la dimostrazione dell’intento elusivo / Luisa CORSO e Gianluca ODETTO La disciplina sulle società non operative riconnette le limitazioni all’utilizzo del credito IVA alla mera sussistenza dei presupposti ivi indicati, ovvero al mancato superamento del c.d. test dei ricavi, non gravando sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’intento “elusivo” perseguito da parte della società e spettando, invece, al contribuente la dimostrazione delle situazioni oggettive che hanno impedito l’effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA. Sulla base di tale assunto, la Corte di Cassazione, con sentenza 14 aprile 2015 n. 7534, ha quindi accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la pronuncia con cui la C.T. Reg. Bari aveva annullato il diniego di rimborso del credito IVA per l’anno 2006, diniego motivato dall’applicazione dell’art. 30 comma 4 della L. 724/94. Tale norma prevede, per le società non operative, il “blocco” della compensazione in F24 e del rimborso del credito IVA, nonché il divieto della cessione del credito stesso a terzi, per il periodo d’imposta con riferimento al quale il credito IVA viene esposto in dichiarazione; il successivo comma 4-bis dispone inoltre che, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo, ovvero non hanno consentito di effettuare le suddette operazioni rilevanti ai fini IVA, la società interessata possa richiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive in parola, mediante interpello ai sensi dell’art. 37-bis comma 8 del DPR 600/73. Per la Suprema Corte, dal tenore letterale della norma risulta evidente come l’Agenzia delle Entrate non sia gravata dell’onere di provare l’intento elusivo ai fini del diniego del rimborso del credito IVA, atteso che la disposizione stessa riconnette direttamente alla qualità di società non operativa il suddetto effetto preclusivo. Inoltre, sempre in ragione della chiara lettera della norma, sarebbe spettato alla parte contribuente la dimostrazione delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei redditi utili a ottenere la disapplicazione. Va peraltro rilevato come, nel caso di specie, la società contribuente avesse presentato, dopo l’esito del giudizio di primo grado, un’ulteriore istanza di disapplicazione in relazio- / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 ne al periodo di imposta 2006, alla base della quale non è chiaro quali fossero gli elementi prospettati. La C.T. Reg. Bari – sottolinea la Suprema Corte – non ha in realtà reso alcuna motivazione in merito essendosi limitata ad affermare, in termini puramente apodittici, l’avvenuta allegazione e dimostrazione delle necessarie “situazioni oggettive”, senza fornire alcuna specificazione e così eludendo l’obbligo di indicazione dell’iter logico seguito per pervenire alla propria determinazione. In base a quanto argomentato, la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ritiene che la violazione dell’art. 30 comma 4 della L. 724/94 e dell’art. 37-bis del DPR 600/73, nella parte in cui grava il contribuente dell’onere di fornire una nitida dimostrazione delle ragioni di fondatezza dell’istanza di disapplicazione, costituisca ragione sufficiente per la cassazione della pronuncia impugnata, mentre rinvia ai giudici di merito la questione per l’esame del materiale istruttorio acquisito. La pronuncia non considera i profili di contrasto col diritto comunitario La sentenza sembra, quindi, “spalancare le porte” al diniego delle richieste di rimborso, laddove l’istanza di disapplicazione venga respinta, essendo sufficiente il mero scostamento dai ricavi minimi presunti per poter inibire un diritto altrimenti spettante. In questo contesto, la pronuncia non considera né gli evidenti profili di contrasto con il diritto comunitario (il diritto alla detrazione e al rimborso dell’imposta non può, infatti, essere subordinato ad obblighi strumentali – l’interpello – che possono risultare sproporzionati rispetto agli scopi a fronte dei quali essi sono preordinati), né quanto previsto dalla giurisprudenza nazionale su normative che prevedono forme di “catastizzazione” dei redditi (in materia di studi di settore, infatti, è stato previsto un principio generale per cui l’accertamento non può fondarsi su un mero criterio matematico, ma deve al contrario prendere in considerazione fatti ulteriori che esprimano la capacità reddituale dell’impresa). / 03 ancora CONTABILITÀ Verso il Rendiconto finanziario come parte integrante del bilancio Sono in consultazione gli schemi dei DLgs. di attuazione della direttiva 2013/34/UE, che modifica i bilanci delle società di capitali / Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE Il Dipartimento del Tesoro ha avviato la consultazione pubblica fino al 24 aprile sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 2013/34/UE che modifica la sezione IX del codice civile per la redazione del bilancio da parte delle società di capitali. Il recepimento di tale direttiva comporterà nuovi adempimenti, come la redazione del Rendiconto finanziario, ma anche semplificazioni, con l’introduzione di una specifica disciplina per le cosiddette “micro-imprese”. Le novità sono numerose e riguardano temi quali gli schemi di bilancio, i criteri di valutazione, la Nota integrativa e i documenti che compongono il bilancio. Questi ultimi, secondo l’art. 2423 c.c., salgono a quattro, in quanto oltre allo Stato patrimoniale, al Conto economico e alla Nota integrativa, diventa parte integrante del bilancio anche il Rendiconto finanziario (la cui redazione, però, non è richiesta per le società che redigono il bilancio in forma abbreviata). Negli schemi di bilancio scompaiono le azioni proprie, poiché in caso di acquisto di azioni proprie sarà necessario iscriverle a riduzione del patrimonio netto, in una specifica voce del passivo con segno negativo. Nello schema di Stato patrimoniale previsto dall’art. 2424 si riportano tra le voci delle immobilizzazioni immateriali, al numero 2), i soli costi di sviluppo anziché costi di ricerca, sviluppo e pubblicità. Con riferimento, invece, al Conto economico è eliminata l’area dei proventi e oneri straordinari, in linea con la prassi internazionale. Nella proposta si prevede l’abrogazione dell’indicazione in calce allo Stato patrimoniale delle “garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d’ordine”. Di tale informativa è però richiesta l’indicazione nella Nota integrativa. Si prevede invece per la prima volta negli schemi di bilancio l’indicazione degli strumenti finanziari derivati e la riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi. / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 Per quanto riguarda i criteri di valutazione, l’art. 2426 c.c. modificato prevede che il periodo massimo di ammortamento dell’avviamento non possa superare i dieci esercizi e disciplina gli strumenti finanziari derivati. Con riferimento alla redazione della Nota integrativa si prevede che le informazioni relative alle voci dello Stato patrimoniale e del Conto economico siano presentate secondo l’ordine in cui le relative voci sono indicate nello Stato patrimoniale e nel Conto economico. Introdotta la categoria delle micro-imprese Una delle maggiori novità riguarda l’introduzione della categoria delle micro-imprese con il nuovo art. 2435-ter del codice civile. Si tratta delle società di cui all’art. 2435-bis che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: - totale dell’attivo dello Stato patrimoniale: 175.000 euro; - ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro; - dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità. Gli schemi di bilancio di tali imprese devono essere redatti secondo quanto previsto dall’art. 2435-bis, ovvero quelli in forma abbreviata, prevedendo inoltre alcune esenzioni. Ad esempio, sono esonerate dalla redazione del Rendiconto finanziario e anche della Nota integrativa, a condizione che in calce allo Stato patrimoniale risultino le informazioni previste dal primo comma, dell’art. 2427, numeri 9) e 16) e della relazione sulla gestione, se in calce allo Stato patrimoniale risultino le informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell’art. 2428. Le novità sopra esposte, che entreranno, comunque, in vigore per i bilanci 2016, (non si tratta di una elencazione esaustiva) costituiscono naturalmente soltanto la proposta del documento in consultazione, ciò nonostante, si tratta certamente di novità significative che richiederanno successivi approfondimenti e avranno un impatto importante sulla redazione del bilancio. Tali documenti e le modalità per inviare le osservazioni sono reperibili nella sezione del Dipartimento del Tesoro dedicata alla consultazioni pubbliche. / 04 ancora CONTABILITÀ Lo scorporo dei terreni produce sempre componenti di reddito straordinarie A prescindere dalla soluzione contabile adottata per lo scorporo, occorre fornire adeguata informativa in Nota integrativa / Silvia LATORRACA Come già evidenziato in più occasioni su Eutekne.info, tra le novità introdotte a seguito dell’aggiornamento dei principi contabili nazionali, assume particolare rilevo il trattamento dei terreni su cui insistono fabbricati. L’individuazione del corretto comportamento da adottare ai fini della redazione del bilancio 2014 risulta complessa, alla luce della mancanza di indicazioni di natura transitoria, che possano guidare il redattore nell’applicazione del nuovo OIC 16, nonché alla luce della molteplicità delle fattispecie riscontrabili nella pratica professionale e dei trattamenti contabili adottati fino all’esercizio 2013. Posto che i dubbi nascono per i terreni acquisiti prima dell’esercizio 2014, la situazione che può verificarsi con maggiore frequenza è quella per cui la società ha rilevato, in passato, il terreno unitamente al fabbricato e ha ammortizzato il valore complessivo dell’immobile. In presenza di costi di ripristino/bonifica da sostenere, il comportamento descritto risultava corretto, in quanto la precedente versione del principio contabile 16 consentiva di derogare alla regola generale di non “ammortizzabilità” dei terreni. Detto questo, si ritiene che l’adeguamento al dettato del nuovo OIC 16 debba essere configurato come un cambiamento di principio contabile. Ai fini che qui interessano, si noti che, secondo il documento OIC 29, gli effetti dei cambiamenti di principi contabili sono rilevati retroattivamente, salvo il caso in cui ciò non sia possibile oppure risulti eccessivamente oneroso. L’applicazione retroattiva implica che il nuovo principio sia applicato anche ai fatti e alle operazioni avvenuti in esercizi precedenti a quello in cui interviene il cambiamento, cioè come se il nuovo principio fosse stato sempre applicato. Infine, ad avviso dell’OIC 29, gli effetti reddituali conseguenti ad un cambiamento di principio contabile devono essere rilevati nell’area straordinaria del Conto economico. Dal punto di vista operativo, dopo aver scorporato il valore del terreno dal relativo fabbricato, occorre stornare il fondo ammortamento per la quota relativa al terreno e rilevare un fondo per oneri di ripristino/bonifica. A tal riguardo, in dottrina sono state prospettate due diverse soluzioni. La prima prevede che lo storno del fondo ammortamento sia rilevato in contropartita ad un provento straordinario. Parimenti, a fronte del fondo accantonamento, dovrebbe essere rilevato un onere straordinario. La seconda impostazione prevede che lo storno del fondo ammortamento sia rilevato in contropartita diretta con il / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 fondo accantonamento, senza alcuna rilevazione di componenti di reddito. In questa fattispecie, occorrerà, naturalmente, verificare che l’ammontare del fondo di ripristino/bonifica sia congruo, cioè rappresenti la miglior stima dei “costi che si presume di sostenere in relazione alla situazione esistente, tenendo anche conto degli eventuali sviluppi tecnici e legislativi futuri, di cui si ha conoscenza alla data di bilancio”, ed eventualmente procedere alla sua integrazione o rettifica sulla base delle disposizioni contenute nel nuovo OIC 31. A tal fine, si consideri che le eventuali rettifiche che emergono dall’aggiornamento della congruità dei fondi costituiscono cambiamenti di stime, i cui effetti sono rilevati nel Conto economico, di regola, come componenti ordinarie. Tuttavia, l’OIC 29 stabilisce che, nei casi in cui un cambiamento di principio contabile comporti contestualmente anche un cambiamento di stima, poiché il cambiamento di stima è diretta conseguenza del cambiamento di principio e poiché è difficile, se non impossibile, distinguere tra i due effetti, la rettifica complessiva è rilevata come un cambiamento di principio contabile. Conseguentemente, i relativi effetti reddituali dovrebbero, anche in questo caso, essere rilevati tra i proventi e gli oneri straordinari. A prescindere dall’impostazione contabile utilizzata, occorre, poi, fornire in Nota integrativa l’informativa richiesta dall’OIC 29 per i cambiamenti di principi contabili. Altra ipotesi che può verificarsi per i terreni acquisiti prima dell’esercizio 2014 (in vero con minore frequenza, per lo meno per i fabbricati “cielo-terra”) è quella per cui la società ha, in passato, rilevato il terreno unitamente al fabbricato e ha ammortizzato il valore complessivo dell’immobile, pur in assenza di costi di ripristino/bonifica del sito. Tale comportamento risulta essere errato anche in relazione alla precedente versione del principio contabile 16 (si veda “Fabbricati sempre separati dai terreni” del 10 luglio 2014). In tale ipotesi, occorrerebbe correggere l’errore contabile applicando le regole previste dall’OIC 29 e fornendo adeguata informativa in Nota integrativa. Peraltro, anche in questo caso, gli effetti reddituali dovrebbero essere rilevati nell’area straordinaria del Conto economico. Operativamente, ai fini della correzione dell’errore, occorre scorporare il valore del terreno dal relativo fabbricato e stornare il fondo ammortamento per la quota relativa al terreno rilevando in contropartita una sopravvenienza attiva, da classificare nella voce E.20. / 05 ancora FISCO Autorizzazione al “bollo virtuale” senza soglia minima di importo La circ. 16/2015 illustra le modalità di liquidazione, le sanzioni e le modalità di presentazione della domanda / Anita MAURO La concessione dell’autorizzazione al pagamento dell’imposta di bollo in modo virtuale deve essere valutata, dagli uffici competenti al rilascio, verificando l’affidabilità e la capacità economica del richiedente, nonché la quantità di atti e documenti da assoggettare ad imposta e l’entità del tributo; non esiste, tuttavia, una “soglia minima” al di sotto della quale l’autorizzazione non possa essere rilasciata. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, nella circ. n. 16 di ieri, ove ha illustrato la disciplina dell’imposta di bollo assolta in modo virtuale, esaminando la competenza al rilascio dell’autorizzazione ed alla liquidazione dell’imposta; il procedimento autorizzativo; le modalità di liquidazione; i criteri per lo scomputo dell’acconto e le modalità di determinazione delle sanzioni. L’imposta di bollo “virtuale”, peraltro, è stata oggetto di recenti novità, volte ad una maggiore “automatizzazione” nella lavorazione dell’imposta, consistenti, tra il resto, nell’approvazione (operata dal provv. 14 novembre 2014) del modello di dichiarazione dell’imposta di bollo virtuale (da presentare esclusivamente per via telematica dal 1° gennaio 2015) e nell’estensione della modalità di versamento mediante F24 (cfr. provv. 3 febbraio 2015) con la relativa approvazione del codici tributo (cfr. la ris. Agenzia delle Entrate n. 12/2015). Per taluni atti – ricorda l’Agenzia delle Entrate – l’imposta di bollo può essere corrisposta (anziché mediante il “contrassegno telematico”) mediante “pagamento in modo virtuale”. Quest’ultimo è disciplinato dall’art. 15 del DPR 642/72, che consente ai soggetti interessati di richiedere l’autorizzazione a tale modalità di pagamento dell’imposta di bollo. La domanda contiene l’indicazione del numero presuntivo degli atti e documenti che potranno essere emessi e ricevuti dall’ente durante l’anno. Su tale base, l’imposta di bollo viene liquidata provvisoriamente dall’ufficio che, poi, in seguito all’indicazione (da presentare entro la fine di gennaio di ogni anno) del numero esatto di operazioni effettuate dall’ente nell’anno precedente, procede alla liquidazione definitiva ed al riconoscimento degli importi residui a debito o credito. A scanso di equivoci, l’Agenzia precisa che le modalità di pagamento poco sopra illustrate non si applicano nelle ipotesi regolamentate dal DM 17 giugno 2014, in tema di assolvimento dell’imposta di bollo sui documenti informatici, ipotesi nella quale non è richiesta alcuna preventiva autorizzazione ed il versamento è effettuato mediante F24 in / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 un’unica soluzione entro 120 giorni dalla chiusura del’esercizio (si veda “Pronto il codice tributo per l’imposta di bollo su documenti informatici” del 3 dicembre 2014). Tornando al “bollo virtuale”, quindi, l’Agenzia individua i soggetti competenti al rilascio dell’autorizzazione, chiarendo che: - le Direzioni provinciali delle Entrate sono competenti in via generale sia al rilascio dell’autorizzazione che alla liquidazione dell’imposta assolta in modo virtuale; - le Direzioni regionali delle Entrate sono delegate ad adottare il provvedimento di autorizzazione al pagamento in modo virtuale dell’imposta di bollo per gli uffici ed enti statali, nonché per le Camere di Commercio (in tali casi, la liquidazione dell’imposta resta, però, di competenza delle Direzioni provinciali). Per quanto concerne la competenza territoriale, essa spetta alla Direzione provinciale nel cui ambito ha il domicilio fiscale il contribuente. In caso di variazione del domicilio, vale la regola generale secondo cui essa ha effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si è verificato (art. 58 del DPR 600/73). In breve: è competente la Direzione provinciale del “nuovo” domicilio, solo se la richiesta di autorizzazione è presentata a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui è stato effettuato il cambio. Ove la richiesta di autorizzazione sia presentata prima del sessantesimo giorno dalla variazione, sarà competente, per l’autorizzazione, la Direzione provinciale del “vecchio” domicilio, mentre per la liquidazione sarà competente la Direzione provinciale del “nuovo” domicilio. Infatti, l’autorizzazione conserva efficacia anche se le successive attività di liquidazione sono poste in essere da un altro ufficio. In caso di impresa estera non residente, la competenza è determinata sulla base del domicilio fiscale in Italia del rappresentante fiscale. La domanda per l’ottenimento dell’autorizzazione al pagamento dell’imposta di bollo virtuale deve essere: - presentata con istanza prodotta in bollo (salve le esenzioni di cui all’art. 16 della Tabella allegato B, al DPR 642/72); - corredata dalla dichiarazione contenente il numero presuntivo degli atti che saranno emessi o ricevuti nell’anno solare e la descrizione della loro tipologia. L’istanza di autorizzazione e la dichiarazione sono sottoscritte: - dal contribuente, se persona fisica; - dal rappresentante legale della società o dell’ente nonché / 06 ancora dal rappresentante fiscale del soggetto non residente. Entrambi i documenti possono essere consegnate all’Ufficio competente o trasmesse con raccomandata A/R. L’autorizzazione al pagamento in modo virtuale è rilasciata previa verifica: - degli atti e dei documenti per cui è ammissibile il pagamento “virtuale” (cfr. DM 7 giugno 1973; DM 25 luglio 1975; DM 31 ottobre 1981; DM 10 febbraio 1988; DM 24 maggio 2012); - di alcuni requisiti di idoneità del soggetto e di rilevanza dell’attività svolta. In relazione a questo ultimo aspetto della verifica, l’Agenzia precisa che, contrariamente a quanto affermato, in passato, dalla C.M. 49/87, non esiste una “soglia minima” al di sotto della quale l’autorizzazione non possa essere concessa (soglia individuata, nel precedente documento, in 5 milioni di lire annui). Gli uffici competenti al rilascio devono verificare, caso per caso, l’affidabilità e la capacità economica del richiedente, nonché l’entità del tributo e la quantità di / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 atti da assoggettare ad imposta, al fine di valutare l’utilità per il contribuente, all’utilizzo del bollo virtuale, ma non “assume di per sé rilevanza la determinazione di una soglia minima degli importi del tributo da versare”. L’autorizzazione è rilasciata a tempo indeterminato e può essere revocata, con atto notificato all’interessato. Similmente – precisa l’Agenzia – deve essere notificato anche il provvedimento di diniego (totale o parziale) dell’autorizzazione. Entrambi gli atti (revoca o diniego dell’autorizzazione) sono impugnabili davanti al giudice tributario ex art. 19 comma 1 del DLgs. 546/92. L’autorizzazione può anche essere oggetto di rinuncia da parte dell’interessato, da presentare mediante apposita comunicazione, unitamente alla dichiarazione degli atti e documenti emessi nel periodo compreso tra il primo gennaio e la data in cui ha effetto la rinuncia. Dal 1° giugno 2016, la rinuncia potrà essere effettuata nell’ambito del modello dichiarativo opportunamente integrato. / 07 ancora IMPRESA Confiscabile il valore corrispondente al vantaggio ricavato in via diretta dal reato Se il reato è insito nella cessione del bene, il profitto confiscabile coincide con l’unico vantaggio derivato da esso e non con l’intero corrispettivo ottenuto / Maria Francesca ARTUSI I criteri per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni di una società sono sempre più frequentemente oggetto delle pronunce dei giudici di legittimità. In particolare la Cassazione, nella sentenza n. 15249 depositata ieri, è chiamata a pronunciarsi su un caso relativo alla contestazione del reato di associazione a delinquere finalizzata al compimento di una serie indeterminata di delitti di frode in commercio di ingenti proporzioni nel settore delle importazioni extracomunitarie ed intracomunitarie di prodotti agroalimentari. La condotta criminosa è rappresentata dall’immissione sul mercato di prodotti definiti “biologici” privi dei relativi requisiti richiesti per tale qualificazione, nonché dalla violazione della normativa relativa ai prodotti c.d. “convenzionali” (id est non biologici) tramite la creazione di imprese produttrici in Paesi terzi affiancate da organismi di controllo fittizi o compiacenti; e dunque assume altresì una connotazione di transnazionalità ai sensi della L. 146/2006. La società “imputata” sarebbe non solo lo strumento attraverso cui il presidente e amministratore delegato è stato in grado di realizzare, insieme ad altri concorrenti, il sistema descritto, ma anche il principale beneficiario degli introiti derivanti da tale commercio illecito. Per tali ragioni il giudice di prime cure ha disposto il sequestro preventivo preordinato alla confisca per equivalente (artt. 19 e 53 del DLgs. 231/2001) del profitto derivante dai reati contestati. Il nodo problematico posto all’attenzione della Cassazione riguarda, tuttavia, la quantificazione di tale profitto. Non essendo rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della relativa nozione né tanto meno una specificazione del tipo di “profitto lordo” o “profitto netto”, nel linguaggio penalistico il termine ha assunto un significato oggettivamente più ampio rispetto a quello economico o aziendalistico: non è stato, cioè, mai inteso come espressione di una grandezza residuale o come reddito di esercizio, determinato attraverso il confronto tra componenti positive e negative del reddito (in particolare si vedano SS.UU. n. 10208/2008 e n. 26654/2008). Non identificandosi con l’utile di impresa o con il reddito di esercizio, esso rappresenta, invece, il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato (cfr. SS.UU. n. 9149/1996 e n. 29951/2004), a cui, dunque, va attribuito il significato di / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale” (cfr. SS.UU. n. 29952/2004). Da accertare la diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente Altro principio consolidato è che il profitto del reato presuppone l’accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente. Tali approdi interpretativi, maturati con riferimento alla confisca di cui all’art. 240 c.p., possono valere anche per il profitto confiscabile a norma dell’art. 19 del DLgs. 231/2001. Con una proposizione un po’ enigmatica, la sentenza in commento precisa che allorquando il corrispettivo costituisca il compenso di un’attività che, ancorché acquisita illecitamente, non inficia la regolarità della prestazione sinallagmatica resa al terzo, di esso Non potrà tenersi conto ai fini della quantificazione del profitto del reato. La Cassazione pare qui sottintendere quella distinzione prevalentemente dottrinale tra “reato contratto” e “reato in contratto”, in forza della quale vi è l’esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile). Quando, dunque, come nel caso di specie, il reato è insito nella stessa cessione del bene, il profitto coincide con il concreto e unico vantaggio conseguito con la perpetrazione del reato. Ciò comporta che, laddove il prodotto venga venduto come “biologico” invece che come “convenzionale”, la misura del valore dei beni da confiscare è data, non dall’intero corrispettivo ottenuto, bensì dalla sola differenza fraudolentemente ottenuta tra quest’ultimo (come documentato nelle fatture di vendita) e quello che sarebbe stato ottenuto se gli stessi prodotti fossero stati ceduti con la qualificazione corretta (cioè “convenzionali”). Tuttavia, anche tenuto conto della presunta organicità del sistema criminoso posto in essere dalla citata società, la somma confiscabile così individuata non può essere quantificata al netto dei costi sostenuti scorporando l’IVA e le spese relative alle operazioni di importazione, trasporto e commercio della merce. / 08 ancora FISCO Rilevabile d’ufficio la “sterilizzazione” dei dati e documenti non esibiti Per la Cassazione l’Ufficio può sollevare la problematica pure in appello, non è violato il divieto di nuove eccezioni / Giovambattista PALUMBO La Cassazione, con la sentenza n. 7232 del 10 aprile 2015, in tema di inutilizzabilità in giudizio dei documenti non prodotti in sede di verifica, ha affermato la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione. I documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario, dei quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’Amministrazione finanziaria, non possono dunque essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza di una espressa eccezione in tal senso sollevata dall’amministrazione resistente. L’eccezione è rilevabile d’ufficio, anche considerato, concludono i giudici di legittimità, che la perentorietà della formulazione della norma induce ad escludere che la sancita preclusione sia rilevabile solo ad iniziativa di parte. Come confermato dalla giurisprudenza della Cassazione, la mancata risposta ad inviti di esibizione o produzione di documenti da parte dell’Amministrazione finanziaria costituisce preclusione ad una successiva produzione in fase giudiziaria (come sorta di sanzione indiretta alle tecniche di ostacolo dell’azione accertativa). Un caso tipico può essere per esempio rappresentato dai questionari per indagini finanziarie. Laddove infatti l’Ufficio chieda al contribuente di fornire giustificazioni in ordine a specifici e circostanziati movimenti bancari “sospetti” e la richiesta non abbia alcun esito, non può poi il medesimo contribuente, in sede processuale, cercare di fornire la documentazione giustificativa, che sarà considerata inutilizzabile. L’indirizzo è peraltro conforme all’orientamento della Corte Costituzionale, la quale, investita sub specie di violazione del principio della capacità contributiva (“perché la... decadenza dalla facoltà di produrre documenti in giudizio impedirebbe l’accertamento della effettiva situazione patrimoniale del contribuente e, pertanto, sarebbe causa di imposizione fiscale eccedente la capacità contributiva del medesimo contribuente”), con ordinanza del 7 giugno 2007 n. 181, ha già escluso qualsiasi vizio di costituzionalità della norma in riferimento all’art. 53 Cost., comma 1, chiarendo che “la preclusione prevista dalla norma censurata, risolvendosi in un divieto di allegazione in giudizio dei dati e dei documenti non forniti in risposta all’invito dell’amministrazione finanziaria, opera sul piano esclusivamente processuale ed è perciò inidonea a menomare il principio di capacità contributiva”. Secondo la Cassazione, tuttavia (si vedano anche le decisio/ EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 ni del 22 febbraio 2008 n. 4605 e del 14 ottobre 2009 n. 21768), l’inutilizzabilità deve essere contenuta entro limiti rigorosi, che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, trovando applicazione solo quando si sia in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte della Amministrazione e di un rifiuto, o di un occultamento da parte del contribuente. In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che poi si “materializzano” nel corso del giudizio. Ciò costituisce quindi una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità. Inutilizzabilità del resto temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione. Oltre a ciò, se il contribuente non risponde, l’ufficio è peraltro anche legittimato a ricorrere all’accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 39, lettera d-bis) del DPR n. 600/73. In caso dunque di mancata indicazione dei documenti richiesti dall’Ufficio e potenzialmente idonei a superare le contestazioni avanzate in sede di accertamento, le giustificazioni addotte poi in contenzioso devono essere considerate mere circostanze soggettive non potute conoscere dall’Ufficio. Negli inviti degli Uffici, del resto, risulta spesso evidenziato come “le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri di registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa ai sensi dell’art. 32 del DPR 600/73 …”. E come ancora affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 12262 del 25 maggio 2007, è da ritenersi che il comportamento omissivo del contribuente impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’ufficio, valga di per sé solo a ingenerare un più che giustificato sospetto sull’attendibilità di quelle scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate. Nel caso in cui, pertanto, il ricorrente non provi che il mancato adempimento alle richieste dell’ufficio sia esclusivamente dovuto a causa a lui non imputabile, o comunque non sia dovuto a sua negligenza, i documenti prodotti non potranno essere presi in considerazione ai fini del giudizio. / 09 ancora PROFESSIONI A Salerno il 53° Congresso nazionale dell’UNGDCEC Al centro dell’evento che si aprirà domani il ruolo del commercialista nel diritto penale dell’economia / Savino GALLO Da un lato, l’analisi dell’attività professionale in tutto ciò che concerne i rapporti con il tribunale, dall’ausilio all’organo giudicante all’amministrazione dei beni sequestrati, passando per la consulenza aziendale in materia di procedure concorsuali o modelli organizzativi 231. Dall’altro, le proposte concrete, finalizzate a rilanciare la figura del commercialista non più solo come soggetto preposto alla tutela del pubblico interesse, ma come vero e proprio “presidio di legalità”. Ci sarà spazio per tutto questo nel corso del 53° Congresso nazionale dell’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, che si aprirà domani (ore 15) a Salerno (Grand Hotel Salerno, Lungomare Tafuri 1). Un evento, al quale prenderanno parte oltre mille rappresentanti della categoria, che l’Associazione guidata da Fazio Segantini ha voluto dedicare a “La centralità del dottore commercialista nel diritto penale dell’economia” “Perché in una società dove l’illegalità è divenuta dilagante – spiega il numero uno dell’associazione – il diritto penale non dovrebbe servire solo per reprimere, ex post, i reati commessi. L’azione di contrasto delle condotte delittuose dovrebbe avere anche dei connotati di prevenzione, incentivando i comportamenti corretti. In questo contesto, diventa fondamentale non solo il ruolo dei soggetti preposti alla vigilanza e al controllo, ma anche il contributo delle professioni a vario titolo coinvolte”. Tra queste, ovviamente, anche quella dei commercialisti che, tra consulenze tecniche, partecipazioni ad organi di controllo e amministrazioni giudiziarie, “possono rivendicare a giusto titolo un ruolo centrale nel complesso sistema di prevenzione degli illeciti penali”. Il contributo, però, “non vuole rimanere qualcosa di astratto”, sostanziandosi in proposte migliorative per i diversi ambiti di attività. / EUTEKNEINFO / MERCOLEDÌ, 15 APRILE 2015 L’Unione, infatti, ha individuato 5 macro-aree (amministrazione giudiziaria, collegio sindacale, altri incarichi giudiziari, rapporti col Fisco, antiriciclaggio), realizzando per ognuna di esse una serie di proposte pensate per “tutelare l’interesse generale e non solo quello della categoria”. Certo, ci sono rivendicazioni di carattere sindacale, come ad esempio la rimodulazione degli obblighi antiriciclaggio in capo ai professionisti (su cui, peraltro, c’è stata più di un’apertura anche da parte dell’Esecutivo), ma anche proposte finalizzate a rafforzare il controllo sulle attività poste in essere da aziende che collaborano con la Pubblica Amministrazione. In particolare, l’Unione chiede di “introdurre l’obbligo di istituire il collegio sindacale per tutte quelle imprese che partecipano ad appalti pubblici per importi superiori al milione di euro”. Tutte le proposte verranno illustrate nel dettaglio nel corso della seconda giornata del Congresso, che si articolerà in quattro sessioni di lavoro (più una serie di workshop paralleli): due al mattino, dedicate al ruolo del dottore commercialista negli incarichi giudiziari e nell’impresa; e due al pomeriggio, durante le quali si parlerà di prevenzione dei reati di riciclaggio e corruzione e del necessario “equilibrismo” del professionista tra la tutela dell’interesse pubblico e il rapporto con il cliente. La prima giornata di lavori, invece, si aprirà con i saluti istituzionali del Presidente della locale sezione dell’Unione, Sergio Cairone, e del Presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi, che precederanno la relazione dello stesso Segantini. A seguire, il dibattito sul “Ruolo dell’amministratore giudiziario tra dinamiche aziendali e tutela degli interessi pubblici”, a cui prenderanno parte rappresentanti della categoria, docenti universitari ed esponenti delle istituzioni. / 10 ancora LETTERE ll tempo per valutare la mediazione su un rimborso è una formalità inutile Caro Direttore, per deflazionare il contenzioso tributario il legislatore ha inventato l’istituto della mediazione obbligatoria con l’art. 17-bis del DLgs. 546/92, che impone un intervalllo di 90 giorni a favore dell’Agenzia per valutare la proposta di mediazione avanzata dal contribuente prima di iscrivere a ruolo il ricorso in Commissione tributaria. Procedimento ragionevole se riferito ad atti di opposizione a rettifiche o accertamenti, in cui possono essere formulate eccezioni e documentazioni nuove; procedimento certamente inutile e fastidioso quando l’atto impugnato è un diniego espresso di rimborso di imposte! Sostanzialmente: un contribuente chiede il rimborso di un’imposta; l’Agenzia, esaminata la pratica, afferma espressamente, con un atto formale, che il rimborso non spetta; il contribuente impugna con un ricorso il rifiuto espresso e quell’Agenzia, sempre quella, scrive che deve esserle concesso il tempo per esaminare la proposta di mediazione su quel rimborso che ha negato mesi prima! Un inutile differimento dei tempi d’incardinazione della vertenza processuale! Premesso che potrebbe comunque procedere in autotutela, sembra che sia un nuovo tipo di gioco dei quattro cantoni, dove si ripetono passi rituali e inutili, e tutto questo sotto la proclamata supremazia della semplificazione. Essendo un rimborso, poi, non vi è neppure il contentino della riduzione delle sanzioni! Pare un’ennesima perdita di tempo, che non considera l’art.10 dello Statuto del Contribuente: “I rapporti [...] sono improntati alla collaborazione ed alla buona fede” ma spera di far desistere il ricorrente, sfiancato dalle formalità inutili. Eppure i contribuenti resistono e vincono quasi la metà delle vertenze! Alberto Arrigoni Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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