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OKKULTOKRATI POPULOUS CLAP! CLAP! ARABROT GREIL MARCUS LECH KOWALSKI
274
| NOVEMBRE 2014 | EURO 6,00 | MENSILE
POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1, NO / TORINO - N. 10 ANNO 2014
NUMERO:
LA RINASCITA DEL DOCUMENTARIO ROCK
RETROPOLIS: THE KINKS
SPECIALE: NORWAY TO HELL
HOMEWORK EDIZIONI
SCOTT WALKER
& SUNN
JAWBREAKER ARCA GUANO PADANO THE THE EDDA AMEN DUNES TWIN ATLANTIC EMMA TRICCA
MASSARONI PIANOFORTI MAZES PRIMATI THE NEUMANS DENNIS HOPPER ALFRED MORRISSEY
RECENSIONI
Andrea Chimenti
Yuri
Nickolas Butler
Shotgun Lovesongs
Paul Rees
Robert Plant. Una vita
Zona Editrice, 270 pp. - Euro 20,00
Marsilio, pp.320 - euro 18,00
Traduzione di Claudia Durastanti
Arcana, 336 pp. - euro 22,00
Traduzione di Marco Lascialfari
Bantam Press, 352 pp. - £ 20.00
Non dimenticate che venivamo da un posto in cui ti dicevano che non avevi
un futuro, che le tue prospettive di carriera erano pari a zero e che quindi
avresti dovuto accettare qualunque cosa ti capitasse ed esserne felice”.
Basterebbe la bandella, in cui si dice velocemente che Bernard Sumner ha fatto
parte di Joy Division, New Order, Electronic (come se al lettore - britannico in
particolare - servisse spiegarlo) a dare il tono umile e di confessione aperta della
sua autobiografia. La narrazione scorre veloce per 300 pagine, con una lingua
semplice, quasi antiletteraria, cedendo di quando in quando a humour e modi di dire
tipicamente northener e demotici, senza diventare mai bozzettistica o grossolana.
Semplicemente, “Barnie” si racconta. E racconta: la Manchester, anzi la Salford anni
70, povera, monotona e in bianco e nero (“lo slum più grande di tutta l’Inghilterra”).
Il salvataggio dalla tetraggine grazie alla musica e all’avvento del punk con i
Pistols alla Free Trade Hall e ancor di più con i pionieri concittadini Buzzcocks. La
nascita e il successo dei Joy Division; l’epilessia di Ian Curtis e il suo suicidio. Il
traghettamento verso l’elettronica dei New Order e la storia di Blue Monday, il 12”
di maggior successo di sempre che a causa del raffinato packaging di sua eminenza
grafica Peter Saville va in perdita a ogni copia che vende. C’è tutto. Manie e vizi del
produttore Martin Hannett, i motti di spirito di Tony Wilson, l’idealismo del manager,
e socio della Factory, Rob Gretton. E l’esplosione acid, stavolta coloratissima, di
Madchester con le disastrose vicende finanziarie e criminali dell’Haçienda. Una
storia raccontata già molte volte da molte angolazioni diverse, da altri protagonisti,
si può obiettare. Vero, ma l’understatement di Sumner aggiunge una dimensione
umana e priva di stizza (al contrario dell’ex compagno di strada Peter Hook, cui viene
attribuita una rivalità unilaterale). Segnato dal senso d’impotenza di fronte al grand
mal il ricordo di Curtis, con una chicca in appendice: la trascrizione di una seduta
d’ipnosi tentata come terapia, in cui il cantante dei JD rivisitò le sue vite precedenti!
Daniele Cianfriglia
106 | rumoremag.com
Tutto è già scritto. Quando cogliamo un
segno che sembra darci una risposta, in
realtà quel segno non è nulla di per sé,
ma il nostro inconscio lo utilizza per farci
apprendere una verità che è già
dentro di noi
Quando non ho nessun posto dove
andare, torno qui. Torno qui e ritrovo
la mia voce come qualcosa che mi è
scivolato dalle tasche. E ogni volta che
ritorno sono circondato da persone che
mi amano, che si occupano di me.
Lì in quella stanza c’erano anche dei
fantasmi. Quello del suo primogenito,
quello del suo migliore amico e di tutti
quelli che aveva perso lungo la strada.
Per tutti loro voleva essere il Dio Dorato
un’ultima volta.
Ci si trova all’interno di una visione che integra la comune accezione del romanzo
nel fantasy fiabesco, dove anzitutto quest’ultimo diviene codice morale e alchemico
per la svolta. I segni di Carroll, Andersen, Ende, Tolkien o White, sono echi naturali
e rintracciano nella poetica del nostro una collocazione personale: il minore privo
di memoria e votato al silenzio Yuri e il ragazzo guerriero Ruan agiscono in due
dimensioni parallele che via via si assottigliano, quella reale/materiale del primo
e quella magica o mentale/interiore del secondo. Entrambe le identità vivono
una minaccia mortale, ma è nel laccio verso la voce secreta, oltre che nella fede
verso la resilientia, l’insperata trasmutazione all’oro e alla luce. Difatti, se i mostri
che minacciano l’equilibrio di Varsta sono vittime del loro male (i Goysh, sorta di
mutazione carpenteriana del Frankenstein di Shelley), quelli del piano reale, gestori
del traffico illegale di organi e responsabili dello sfruttamento di bambini e donne, lo
scelgono scientemente e sono uno spaccato esplicito sull’orrore della società umana
contemporanea. Ecco dunque che Yuri diviene simbolo di resistenza, suggerisce
una riattivazione titanica del diamante interiore onde modificare il cosiddetto
reale (ma pure viceversa, come un tarocco). Leggetelo ai vostri bambini, ai vostri
nipoti, soprattutto al bambino esile che bussa ancora con forza all’interno di voi.
Shotgun Lovesongs è l’arcano che si rivela, la forza motrice carsica che sottende
al senso della vita, il bisogno ineludibile di immergersi nel liquido amniotico delle
proprie radici. Il fallimento e la resurrezione. L’esordio di Nickolas Butler è un romanzo
riuscito e commovente, che narra da prospettive diverse il ritorno a casa compiuto
da tre dei quattro protagonisti ambientato nell’immobilità sonnolenta di Little
Wing, stereotipata provincia del Midwest, Wisconsin per la precisione. Un romanzo
innervato da subliminali ma soverchianti dosi di pentagramma (uno dei protagonisti,
Lee, è ispirato alla figura di Justin Vernon, fondatore e leader della band Bon Iver,
amico d’infanzia dell’autore). Un romanzo di formazione, un inno all’amicizia, ai
giorni che non tornano più, alle occasioni perdute o quelle realizzate a caro prezzo;
è l’inverno che gela le canzoni, che rimangono immote a testimoniare le vite che si
radicalizzano, che cercano di trovare una ragione, di riscattarsi e ritrovare la verginità
perduta. Un esordio che convince, grazie anche alla delicata traduzione di Claudia
Durastanti, su come l’amicizia possa compiere percorsi tortuosi, aggrovigliandosi
attorno alle nostre esistenze; finendo per morire apparentemente per poi rinascere
e continuare nell’eternità delle storie che si raccontano affidandosi a tramonti
sfavillanti di cieco romanticismo, accompagnati da una sbilenca chitarra acustica.
Mancava una biografia di Robert Plant, e questo è il momento ideale per ripercorrere
la vicenda artistica e umana del frontman dei Led Zeppelin, visto che il Nostro è
lungi dall’essere un sopravvissuto e dunque i rischi agiografici e museali sono
potenzialmente attutiti: sempre curioso e inquieto, negli ultimi anni Plant, tra
la rievocazione sul palco di un passato leggendario e un album in proprio o una
collaborazione, non è mai stato così immerso nel presente e benvoluto da critica e
pubblico. Tuttavia il problema di questo libro, al di là di occasionali svarioni in sede
di traduzione e di qualche sciatteria sparsa (imperdonabile il breve passaggio su
Sandy Danny), è una struttura troppo spesso compilatoria e piattamente cronologica,
nella quale la musica, così come la natura di appassionato ed eclettico collezionista
di Plant (il suo entusiasmo per i Tinariwen e il blues africano, per dire, risolto in
poche righe), viene spesso data per scontata. Ci si sofferma maggiormente sulle
ombre di un passato che molto ha dato e altrettanto ha preso, sugli entusiasmi
e sulla volubilità del personaggio, certo, ma lo si fa sempre con uno sguardo un
po’ asettico, forse perché Plant non ha partecipato attivamente alla stesura del
libro. Eppure dal materiale della ricerca, una vicenda di per sé inevitabilmente
affascinante, chi scrive pensa che l’autore potesse trarre qualcosa di più.
Stefano Morelli
Domenico Mungo
Alessandro Besselva Averame
Francesca Ferrari
When I’m Gone.
Michael Stipe
Two Times Intro
Andrea Campanella
Piero Umiliani
- In parole e musica
Pacini Editore, 138 pp. - Euro 14,00
Quarup, 128 pp - Euro 19,90
Traduzione di Flora Misitano
Auditorium, 125 pp. - Euro 16,00
Phil Ochs e l’utopia della speranza.
La frase:
La frase:
La frase:
La frase:
BERNARD SUMNER
Chapter and Verse [New Order, Joy Division and me]
Ottobre 2014
La frase:
In viaggio con Patti Smith
La frase:
A New York esisteva un mondo - di cui
oggi non resta quasi nulla se non qualche
grande disco con la copertina invecchiata
negli anni, un album di fotografie in
bianco e nero e qualche nostalgico
- un mondo racchiuso nei confini di
un quartiere: il Greenwich Village
Il binomio Dylan-Patti fu fenomenale.
C’era un’ovvia ammirazione reciproca, ma
quello che avrebbe potuto essere grande,
si rivelò addirittura trascendentale.
Io mi sedevo a fianco al palco, o
dietro le quinte, con la macchina
fotografica, guardavo e scattavo
Guarda che Rota quando ha bisogno di
fare della musica jazz non la fa lui, ma
si rivolge a un certo giovane musicista,
che io conosco, secondo me molto
bravo, che si chiama Umiliani
Viene in mente il folkie protagonista dell’ultimo film dei Cohen. L’inizio peraltro è
simile: un folk singer ambizioso, il fuoco della gioventù che lo spinge a coniugare
arte e impegno sociale. Infine, una carriera che non si decide a ingranare. Sullo
sfondo la scena del Greenwich Village e l’epopea del folk revival, che nel caso
dei Cohen viene fotografata un minuto prima dell’arrivo di Dylan e dello stesso
Ochs (anche se Davis dorme sul divano di Jim e Jean, esattamente come Phil),
mentre il libro in questione mette in scena campioni e personaggi minori di
quell’incredibile ecosistema. Erano gli anni in cui si aspirava a cambiare il mondo
una canzone alla volta, un tempo e un luogo in cui non si provava nemmeno a
tenere separati musica e utopia. In quel fermento il giovane Phil Ochs si tuffò
con una bruciante passione, che aveva ereditato insieme alle radici gallesi, con
uno stile personale meno raffinato di quello di Dylan (eterno compagno e rivale,
la cui ombra finirà per condizionare molte delle sue scelte), che univa cronaca e
sarcasmo e grazie alla quale scrisse alcuni dei più lucidi inni di quella stagione.
Francesca Ferrari è abile a unire i punti di una vita complicata, spesso
sacrificata al ruolo di singing journalist, riuscendo nell’impresa di trasformare
la storia una vita votata alla sconfitta, in un racconto da leggersi d’un fiato.
Scarpe, gambe, mani, visi sfocati, camerini improvvisati, teatri ancora vuoti, musicisti
seduti a terra, chitarre acustiche, occhi chiusi, sorrisi in bianco e nero. Michael Stipe
ci racconta per immagini la famiglia allargata del circo rock, evocando l’autunno
freddo e i retroscena del “tornare a stare bene”. Nei primi anni 90 la poetessa del
proto-punk Patti Smith ha perso in rapida successione il marito Fred “Sonic” Smith,
il fratello Todd e lo storico tastierista Richard Sohl. I suoi due figli sono ancora
piccoli e lei è fuori dalle scene oramai dal 1979. A farle tornare la voglia di calcare
un palco è il vecchio amico Bob Dylan che nel dicembre del 1995 la convince a
intraprendere assieme il Paradise Lost Tour per una decina di concerti nella East
Coast. Si crea subito una speciale magia, un misto di elettricità e tenerezza, che
viene catturata dalle foto discrete, volutamente amatoriali, del leader dei REM
e ben descritta dalle parole di amici importanti come William Burroughs, Tom
Verlaine, Thurston Moore, Kim Gordon, Lenny Kaye, Jem Cohen, Oliver Ray, ecc.
Non c’è bisogno che insista ulteriormente sulla bontà di questo libro, posso solo
ribadire la grande cura editoriale che Quarup ha riservato all’ottava uscita della bella
collana Badlands: copertina cartonata, rilegatura in filo refe, formato orizzontale
24,8x17 a mo’ di catalogo d’arte. Di più non si poteva fare, oggettivamente.
Diciamolo subito, Piero Umiliani non è stato solo l’artefice di storiche schegge sonore come
le sigle di “90° minuto” o “La domenica sportiva”. E neppure solo il paladino di quella che
per un buon decennio è stata la stagione get-in-the-groove della cocktail o lounge music.
Posto che le creazioni più semplici provengono dall’artigianato più attento ai dettagli,
occorre specificare che lo stile-Umiliani parte dall’influenza di Duke Ellington, e che dunque
è ben nobile il retroterra culturale del musicista toscano, contrappuntista diplomato.
Tale è il punto di partenza delle pagine scritte da Andrea Campanella,
dense di interrogativi risolti, di aneddoti interessanti legati alla stesura
di brani celebri e meno celebri. E di personaggi più o meno decisivi, nella
biografia di uno dei compositori leggeri di maggior pregio in circolazione.
Due sembrano i tratti più notevoli evidenziati dal curatore nel seguire l’evoluzione stilistica
di Umiliani: il fervore collaborativo con musicisti di ogni estrazione - da Chet Baker al
Balletto di Bronzo - e l’interesse per l’elettronica di avanguardia (ma anche per dischi
come Oxygéne di Jean-Michel Jarre). Molto interessanti al riguardo le testimonianze
di varie generazioni di musicisti come Enrico Intra o Paolo Fresu. Tutto questo e
molto altro ancora, per tacere de I Soliti Ignoti, con relativa colonna sonora, che una
valutazione partigiana considera il primo film italiano da salvare su un’isola deserta.
Diego Ballani
Manuel Graziani
Fabio Striani
La frase:
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