G It Diabetol Metab 2014;34:233-239 Attività Diabetologica e Metabolica in Italia Organizzazione di un’attività ambulatoriale dedicata alla nefropatia diabetica: l’esperienza di Bergamo R. Trevisan, A.R. Dodesini, A. Corsi, C. Scaranna, G. Lepore USC Malattie Endocrine, Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo Corrispondenza: dott. Roberto Trevisan, USC Malattie Endocrine, Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, piazza OMS, 24127 Bergamo e-mail: [email protected] G It Diabetol Metab 2014;34:233-239 Pervenuto in Redazione il 12-10-2014 Accettato per la pubblicazione il 15-10-2014 Parole chiave: nefropatia diabetica, proteinuria, blocco del sistema renina-angiotensina, velocità di filtrazione glomerulare Key words: diabetic nephropathy, proteinuria, inhibition of renin-angiotensin system, glomerular filtration rate RIASSUNTO Circa il 40% dei pazienti affetti da diabete sono a rischio di sviluppare una malattia renale cronica. La presenza di nefropatia diabetica, caratterizzata da proteinuria, ipertensione e rapido declino della funzione renale, espone il paziente diabetico non solo a un elevato rischio di insufficienza renale terminale, ma anche di precoce morbilità e mortalità cardiovascolare. Negli ultimi anni è stato dimostrato che terapie mirate alla riduzione della proteinuria sono in grado di ridurre la perdita di funzione renale. Per tale motivo è stata iniziata un’attività ambulatoriale basata su un protocollo di trattamento intensivo e multimodale della nefropatia diabetica proteinurica, basato innanzitutto sul blocco del sistema renina-angiotensina, anche con terapia di combinazione. I risultati di tale attività hanno dimostrato che un approccio intensivo multifattoriale è in grado di rallentare in modo efficace la progressione del danno renale in quasi il 50% dei pazienti diabetici con proteinuria. Nonostante l’uso combinato di farmaci che bloccano il sistema renina-angiotensina sia stato scoraggiato recentemente anche dall’EMA, in base al risultato di alcuni trial, noi riteniamo che, se usata con attenzione nei casi appropriati, la terapia col doppio blocco sia a tutt’oggi un modo adeguato per ridurre la proteinuria nella nefropatia diabetica e rallentare la progressione del danno renale. SUMMARY An outpatient organization for diabetic nephropathy: the Bergamo scheme Approximately 40% of diabetic patients are at risk of renal disease during the course of the diabetes. Diabetic nephropathy, involving proteinuria, hypertension and fast decline of renal function, is associated not only with a high risk of end-stage renal disease, but also with increased morbidity and mortality from cardiovascular disease. In the last two decades it has become clear that treatment aimed at reducing proteinuria can slow the progression of renal damage. We started an outpatient scheme based on a multimodal intervention protocol to target proteinuria using combination therapy to inhibit the renin-angiotensin system. The results indicated that a multifactorial intervention can significantly slow the decline of renal function in almost 50% of diabetic patients with clinical proteinuria. Although the EMA has discouraged the use of a combination with a drug inhibiting the reninangiotensin system because of the risk of adverse events, we still believe that, when applied appropriately, a therapy based on dual blockade of the renin-angiotensin system is the best approach to reduce proteinuria and slow renal disease progression in diabetic patients with overt diabetic nephropathy. Le malattie croniche del rene rappresentano un problema di salute pubblica che interessa globalmente Paesi industrializ- 234 R. Trevisan et al. zati e Paesi in via di sviluppo(1). Negli ultimi 30 anni si è assistito a un cambiamento importante nelle cause principali di disabilità e morte non più dovute a carenze alimentari e malattie infettive ma a malattie croniche non comunicabili, tra cui prevalgono le malattie cardiovascolari. La crescita progressiva della prevalenza delle malattie renali croniche è parte di questi cambiamenti. Si stima infatti che nel mondo le malattie del rene e delle vie urinarie contribuiscano a circa 830.000 morti ogni anno(1). Le malattie renali croniche sono strettamente legate alla malattia cardiovascolare, all’ipertensione e al diabete(2). Va considerato che il 40% dei pazienti con diabete di tipo 2 svilupperà una malattia renale cronica. La perdita progressiva della funzione renale porta all’insufficienza renale terminale che richiede terapia sostitutiva con la dialisi o il trapianto. Si calcola che il numero dei pazienti in trattamento dialitico nel mondo raggiunga i 2 milioni, con un costo complessivo superiore a mille miliardi di dollari per il decennio 2000-2010(3). Molto meno si sa della malattia renale cronica nelle sue fasi più precoci, quando i sintomi sono modesti o addirittura assenti. Secondo un’analisi epidemiologica americana, l’11% della popolazione degli Stati Uniti ha una malattia renale cronica(4). Estrapolando questi dati alla popolazione mondiale, si stima che alcune centinaia di milioni di soggetti siano affetti da una malattia cronica del rene. Una percentuale rilevante di questi progredirà verso l’insufficienza renale terminale e dovrà iniziare la terapia sostitutiva con la dialisi o il trapianto. Con l’aumentare del numero dei pazienti, i costi per il trattamento sostitutivo della funzione renale diventeranno proibitivi, non solo per i Paesi in via di sviluppo. L’impatto delle malattie renali croniche non è solo limitato alla richiesta di terapia sostitutiva, ma ha aspetti più generali sulla salute dei pazienti. Infatti, i pazienti con malattia renale cronica non sono solo a rischio di progredire verso l’insufficienza renale terminale, ma soprattutto a rischio di malattie cardiovascolari(2). E questo è spesso la causa di morte prima che i pazienti abbiano bisogno della terapia sostitutiva dialitica. Quindi l’obiettivo è di arrestare la progressione o addirittura promuovere la remissione della malattia renale cronica per evitare l’insufficienza renale terminale e ridurre la morbilità e mortalità cardiovascolare(5). Studi pionieristici agli inizi degli anni ’80 hanno mostrato che la terapia antipertensiva può rallentare la velocità di riduzione del filtrato glomerulare (GFR) nel tempo in pazienti affetti da nefropatia diabetica(6). Sulla base di queste evidenze, l’ipertensione arteriosa è andata progressivamente identificandosi come un importante determinante della progressione del danno renale e la riduzione della pressione arteriosa come l’intervento terapeutico più efficace nel rallentare l’evoluzione delle nefropatie croniche. Ben presto, però, si è osservato che, oltre all’ipertensione arteriosa, anche l’aumentata escrezione di proteine nelle urine si associa invariabilmente a un più rapido deterioramento della funzione renale nel tempo. In particolare, quando la proteinuria è severa, superiore cioè ai 3 grammi nelle 24 ore, l’evoluzione verso l’uremia terminale si può verificare nell’arco di mesi(7). Negli anni ’90, poi, lo studio “Ramipril Efficacy In Nephropathy” (REIN) ha dimostrato che la riduzione della proteinuria predice una più lenta riduzione del GFR nel tempo e un ridotto rischio di progressione verso l’uremia terminale a lungo termine(8). Il fatto che questo effetto fosse indipendente dal controllo pressorio confermava in modo convincente che la riduzione della proteinuria potesse di per sé esercitare un effetto renoprotettivo specifico. Diversi studi in pazienti con nefropatia diabetica hanno quindi dimostrato che i trattamenti renoprotettivi possono rallentare la progressiva riduzione del GFR nel tempo nella misura in cui sono in grado di ridurre la perdita di proteine nelle urine(9,10). Si è visto inoltre che la velocità con cui la funzione renale si deteriora nel tempo dipende in gran misura dai livelli di proteinuria ottenuti con il trattamento, per cui la progressione più lenta si riscontra nei pazienti in cui la proteinuria residua si riduce di più(11). Queste osservazioni confermano che la proteinuria dovrebbe essere considerata come un target specifico del trattamento che dovrebbe quindi essere finalizzato a ridurre il più possibile la proteinuria allo scopo di prevenire o rallentare la progressione del danno renale. I farmaci che interrompono il sistema renina-angiotensina, come gli ACE-inibitori o gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (sartani), sono particolarmente efficaci nel ridurre la proteinuria. La normalizzazione della proteinuria è però difficilmente raggiungibile quando questi farmaci vengono utilizzati singolarmente e alle dosi raccomandate semplicemente per il controllo della pressione arteriosa. In realtà, dosi più elevate di quelle “antipertensive” possono esercitare un superiore effetto antiproteinurico e questo effetto è anche maggiore se il trattamento con ACE-inibitori o sartani viene associato a una dieta iposodica e/o a terapia diuretica(12). Inoltre l’effetto antiproteinurico degli ACE-inibitori e dei sartani è, come minimo, additivo e i due farmaci utilizzati in combinazione sono in grado di ridurre la proteinuria più efficacemente degli stessi farmaci usati singolarmente, anche senza che questo si associ a un’ulteriore riduzione della pressione arteriosa(13). Ci sono quindi diverse opzioni per ridurre la proteinuria, considerata come un obiettivo cardine di qualsiasi trattamento renoprotettivo. L’uso integrato di diversi trattamenti contro un obiettivo comune, come la replicazione incontrollata di cellule somatiche o virus, ha permesso di migliorare drammaticamente la prognosi di gravi malattie quali il cancro e l’AIDS. Per analogia, un intervento multimodale che impieghi tutti gli strumenti disponibili per ridurre la proteinuria appare essere un approccio razionale per ottimizzare l’effetto renoprotettivo in pazienti con malattie renali croniche progressive(14). Per valutare se questo approccio si potesse applicare nella pratica clinica di tutti i giorni per prevenire l’evoluzione verso l’uremia terminale in pazienti affetti da nefropatie proteinuriche particolarmente severe, a Bergamo nell’Unità di Nefrologia si è quindi formalizzato a partire dal 2000 questo approccio in un protocollo di intervento standardizzato denominato “Remission Clinic”(14), che è stato implementato attraverso un supporto informatico dedicato ed è stato quindi applicato a tutti i pazienti riferiti all’ambulatorio di nefrologia per nefropatie croniche associate a una proteinuria severa e refrattaria al trattamento. Questo protocollo era finalizzato a normalizzare la proteinuria e a ottenere un controllo ottimale della pressione arteriosa, della dislipidemia e dell’iperglicemia (nei diabetici). In una Organizzazione di un’attività ambulatoriale dedicata alla nefropatia diabetica: l’esperienza di Bergamo prima fase si è verificato se l’inizio della “Remission Clinic” era in grado di modificare l’andamento della proteinuria e del filtrato glomerulare. In un secondo tempo, nell’ambito di uno studio prospettico matched-cohort, l’andamento dei pazienti inclusi nella “Remission Clinic” è stato confrontato con quello di pazienti di riferimento in terapia antipertensiva convenzionale(15). L’obiettivo di quest’analisi era triplice: 1. vedere se questo approccio si potesse applicare nella pratica clinica di tutti i giorni; 2. verificare la possibilità di normalizzare l’escrezione urinaria di proteine in pazienti con proteinuria severa refrattaria alle terapie convenzionali; 3. testare formalmente l’ipotesi che la normalizzazione della proteinuria può arrestare l’evoluzione del danno renale anche nelle forme più severe di nefropatia cronica. Secondariamente si voleva valutare se la natura della nefropatia potesse influenzare la risposta al trattamento e quali fattori potessero spiegare la diversa evoluzione dei vari sottogruppi considerati. Mentre durante la terapia convenzionale la proteinuria continuava a salire e il GFR si riduceva progressivamente, dopo l’ingresso nella “Remission Clinic” la proteinuria si riduceva progressivamente in tutti i pazienti fino a stabilizzarsi attorno al grammo nelle 24 ore nell’arco di 4 o 5 anni e la velocità di riduzione del GFR rallentava di quasi 5 volte(15). Quando l’andamento dei pazienti della “Remission Clinic” è stato confrontato con quello dei pazienti di riferimento, si è visto che un approccio polifarmacologico finalizzato a ridurre il più possibile le proteine urinarie era in grado di rallentare la velocità di riduzione del filtrato glomerulare nel tempo di circa 3 volte e di ridurre il rischio di uremia terminale di quasi nove volte rispetto al trattamento convenzionale con un singolo ACEinibitore somministrato a dosi finalizzate semplicemente al controllo della pressione arteriosa. Nell’arco di 7 anni solo 2 pazienti della “Remission Clinic” sono progrediti verso l’uremia terminale a fronte di 17 pazienti di riferimento in terapia conservativa, e questa differenza era altamente significativa(15). Il migliore andamento dei pazienti della “Remission Clinic” si associava a un miglior controllo della pressione arteriosa, a livelli di colesterolo tendenzialmente più bassi e soprattutto a una riduzione della proteinuria chiaramente molto più consistente che nei pazienti di riferimento. Le analisi multivariate confermavano che la riduzione della proteinuria era un predittore indipendente della più lenta riduzione del filtrato glomerulare e del ridotto rischio di progressione verso l’uremia terminale dopo l’ingresso nella “Remission Clinic”, e questo valore predittivo era altamente significativo anche quando le analisi venivano aggiustate per i livelli di controllo pressorio durante il periodo di osservazione. Per contro, il diverso andamento delle due coorti non poteva essere spiegato da una diversa distribuzione dei fattori di rischio in quanto le caratteristiche dei due gruppi al basale erano assolutamente paragonabili. In 26 dei 56 pazienti della “Remission Clinic” si è ottenuta una regressione o remissione della nefropatia (proteinuria < 0,3 g/24 ore o compresa tra 0,3 e 1 g/24 ore con GFR in miglioramento o stabile)(15). Al contrario solo 6 dei 56 pazienti di riferimento avevano ottenuto una regressione o remissione della nefropatia ed erano perciò protetti dalla progressione verso l’uremia terminale. È interessante notare che nei pazienti con 235 proteinuria inferiore al grammo nelle 24 ore il GFR si riduceva nel tempo a una velocità inferiore a quella che si osserva nei soggetti adulti sani semplicemente in virtù dell’invecchiamento fisiologico del rene. Per contro, il calo del GFR era di 5-6 volte più rapido nei pazienti con proteinuria residua superiore al grammo nelle 24 ore. Cosa ancora più importante, nessuno dei soggetti con proteinuria residua inferiore al grammo nelle 24 ore è morto o è progredito verso l’uremia terminale durante il periodo di osservazione, mentre tutti gli eventi cardiovascolari fatali (n = 5) o non fatali (n = 2) e i casi di progressione verso l’uremia terminale (n = 19) si sono osservati solo nei soggetti nei quali la proteinuria residua era persistentemente superiore al grammo nelle 24 ore. Il trattamento polifarmacologico era sicuro e molto ben tollerato in tutti i pazienti e l’incidenza di iperpotassiemia era molto bassa e comunque paragonabile nei pazienti della “Remission Clinic” e nei pazienti di riferimento in terapia convenzionale(15). In sintesi è stato dimostrato che un trattamento polifarmacologico, sequenziale e standardizzato finalizzato a normalizzare la proteinuria è sicuro e ben tollerato e può essere efficacemente applicato nella pratica clinica di tutti i giorni. Con questo approccio la proteinuria più severa può essere normalizzata, anche nei casi refrattari al trattamento convenzionale. In altre parole la normalizzazione della proteinuria si rifletteva in una stabilizzazione della funzione renale e in un’efficace prevenzione dell’uremia terminale. È interessante notare che simili risultati sono stati ottenuti anche nel diabete di tipo 2 con microalbuminuria nello studio Steno-2(16). L’ambulatorio “Nefropatia Diabetica” Alla luce di dati ottenuti dalla “Remission Clinic” nel trattamento delle malattie renali croniche proteinuriche, è stata istituita anche nell’Unità di Diabetologia un’attività dedicata a implementare la stessa strategia multimodale nella nefropatia diabetica (in stretta collaborazione con l’Unità di Nefrologia). Identificazione dei pazienti con nefropatia diabetica proteinurica Prima di tutto, bisogna ricordare che la diagnosi di nefropatia diabetica è una diagnosi di esclusione(1). Prima di porre diagnosi di nefropatia diabetica in un paziente diabetico con macroalbuminuria (AER > 300 mg/24 ore) o con proteinuria (> 0,5 g/24 ore) è necessario escludere possibili altre cause. I pazienti identificati con macroalbuminuria e con proteinuria vengono avviati a un day service, una procedura ambulatoriale complessa che permette di eseguire in un solo giorno tutti gli accertamenti necessari a un preciso inquadramento del paziente. Il day service viene eseguito in un’area dedicata dove in circa 3 ore vengono eseguiti tutti gli accertamenti. Per una diagnosi accurata vengono presi in esame i seguenti elementi: 236 – – – – – – – – R. Trevisan et al. albuminuria e protenuria nelle 24 ore vengono ripetute nel nostro laboratorio per confermare la presenza di nefropatia proteinurica: riteniamo importante l’esecuzione della proteinuria totale perché nelle sindromi nefrosiche la presenza di proteinuria non selettiva porta a notevole differenza tra albuminuria e proteinuria. La presenza di proteinuria > 1 g/24 ore è un elemento importante nell’identificazione dei pazienti ad alto rischio di veloce progressione del danno renale e che verranno poi avviati a un trattamento multimodale; sedimento urinario: tipicamente nella nefropatia diabetica l’ematuria è assente. La presenza di microematuria persistente deve far pensare a una possibile forma glomerulonefritica; urinocoltura: se positiva, il paziente viene trattato in base ai dati dell’antibiogramma e viene nuovamente determinata l’entità dell’albuminuria e della proteinuria; ecografia renale: tipicamente nella nefropatia diabetica sono presenti reni di dimensioni normali o aumentate. La presenza di reni piccoli o di anomalie delle vie urinarie deve far pensare ad altre patologie; fundus oculi mediante retinografia. In assenza di retinopatia in un diabetico di tipo 2, c’è evidenza che in una rilevante proporzione dei casi (fino al 50%) non si tratti di nefropatia diabetica. In questo caso viene consultato il collega nefrologo per valutare se procedere a una biopsia renale per una diagnosi alternativa; va inoltre sempre esclusa la presenza di malattie sistemiche (per es. LES, amiloidosi, mieloma) che possono associarsi a sindrome nefrosica; infine è molto importante l’anamnesi clinico-strumentale del paziente diabetico: la comparsa improvvisa di proteinuria, soprattutto in assenza di retinopatia, deve far pensare ad altre cause di proteinuria. La diagnosi di nefropatia diabetica è improbabile anche quando la durata del diabete è breve (< 10 anni); valutazione del metabolismo calcio-fosforo: PTH, calce- mia, fosforemia, vitamina D per l’identificazione precoce di un iperparatiroidismo secondario. – determinazione del sodio e del potassio sierici e della crasi ematica. Esami essenziali per evidenziare l’eventuale presenza di una anemia secondaria alla malattia renale. Con tutti questi elementi a disposizione il paziente viene classificato in base all’entità della proteinuria e in base alla velocità di filtrazione glomerulare calcolata (eGFR) secondo quanto suggerito dalle linee guida internazionali(17). A titolo di esempio, un diabetico di tipo 2 con proteinuria pari a 1,2 g/24 ore e eGFR pari a 55 ml/min/1,73 m2 viene avviato al follow-up successivo con la seguente diagnosi: malattia renale cronica, stadio IIIa con proteinuria > 1 g/24 ore secondaria a nefropatia diabetica conclamata. Avvio del trattamento multifattoriale Prima visita Alla luce dei dati derivanti dall’efficacia del trattamento della proteinuria con farmaci inibenti il sistema renina-angiotensina, la nefrologia di Bergamo ha adottato dal 2000 un protocollo per il trattamento delle nefropatie proteinuriche illustrato nella figura 1. L’obiettivo della strategia terapeutica è quello di ottenere la riduzione della proteinuria sotto gli 0,5 g/24 ore. Oltre al controllo pressorio ottimale, la strategia terapeutica prevede di ridurre la proteinuria mediante l’utilizzo del doppio blocco renina-angiotensina con un progressivo aumento dei dosaggi sia dell’ACE-inibitore sia dell’antagonista recettoriale dell’angiotensina II. Particolare attenzione è posta nell’evitare la comparsa di iperpotassiemia. Inoltre, in accordo con i dati dello studio Steno-2, il paziente viene trattato con dose adeguata di statina e con antiaggregante. Alla prima visita, si inizia pertanto con la seguente terapia: – ACE-inibitore (ramipril 5 mg), 1 cp; Il protocollo per i diabetici di tipo 2 con proteinuria Obiettivo: riduzione della proteinuria < 0,5 g/24 ore ASA + statina Diuretico (furosemide se creatinina > 1,5 mg/dl) ACE-inibitore +B ARB + AR (se(se PrProt ot > >11gg/24 /24 oore) re) Ca-antagonisti, beta-bloccanti, alfa-bloccanti se PS > 130 Controllare K+: se > 5 mEq/L, aumentare diuretico e ridurre blocco RAS Controllare creatinina: se > 30%, considerare riduzione blocco RAS Figura 1 Rappresentazione schematica del protocollo applicato nell’ambulatorio dedicato alla nefropatia diabetica. Organizzazione di un’attività ambulatoriale dedicata alla nefropatia diabetica: l’esperienza di Bergamo – – atorvastatina 20 mg, 1 cp; acido acetilsalicilico 100 mg, 1 cp; dieta iposodica (illustrata dalla dietista), ipocalorica (se indicato dal BMI); la terapia del diabete viene accuratamente rivista (in particolare per evitare l’uso inappropriato di farmaci orali in base alla eGFR) con lo scopo di ottenere il miglior controllo possibile; in caso di anemia e/o di alterazioni del metabolismo calciofosforo viene consultato il collega nefrologo per le indicazioni terapeutiche appropriate. Controlli ambulatoriali successivi I controlli ambulatoriali hanno la finalità di valutare il grado di risposta alla terapia iniziale. Il paziente si presenta con i dati dell’autocontrollo domiciliare della glicemia e della pressione arteriosa e con i seguenti esami: emoglobina glicata, creatinina, esame urine completo, proteinuria e albuminuria delle 24 ore, sodiemia, potassiemia, emocromo, profilo lipidico, emocromo. Una prima valutazione ambulatoriale avviene, di norma, entro 3 mesi. Controlli più frequenti possono essere programmati in relazione ai singoli casi. L’intensificazione della terapia avviene nel seguente modo: – nel caso la proteinuria sia ancora superiore a 1 g/24 ore, la dose di ramipril viene aumentata a 10 mg, 1 cp/die; – nel caso la pressione arteriosa sia superiore a 130/80 mmHg viene aggiunto un diuretico tiazidico (che potenzia l’azione dell’ACE-inibitore). Se la creatinina supera 1,5 mg/dl, viene invece aggiunto un diuretico dell’ansa (furosemide 25 mg, 1 cp). I tiazidici sono inefficaci alla presenza di insufficienza renale cronica severa; – nel caso il colesterolo LDL sia superiore a 100 mg/dl, la terapia con atorvastatina viene intensificata; – viene intensificata la terapia per il diabete, se indicato. Al successivo controllo, di norma dopo 3 mesi, se la proteinuria permane > 1 g/24 ore si aggiunge all’ACE-inibitore una dose ridotta di sartanico (in genere valsartan 40 mg/die o irbesartan 150 mg/die). Al paziente viene data una impegnativa per la determinazione della potassiemia da effettuare dopo 15 gg. Il dato viene trasmesso al nostro centro e se il potassio risulta > 5,5 mEq/L, il doppio blocco viene sospeso. Se il potassio risulta > 5, ma < 5,5 mEq/L si prende in considerazione il potenziamento del diuretico che contribuisce al controllo della potassiemia. Al successivo controllo se la proteinuria permane > 1 g/die in assenza di iperpotassiemia e di netto peggioramento della funzione renale, si incrementa il dosaggio del sartanico. Se la creatinina plasmatica aumenta più del 30%, oltre a sospendere il doppio blocco, si valuta se eseguire un ecocolordoppler dei vasi renali per valutare l’eventuale presenza di stenosi delle arterie renali. Nel caso la pressione arteriosa non sia ben controllata, si inserisce in terapia un altro antipertensivo (un calcio-antagonista o un beta-bloccante). Il doppio blocco, ai successivi controlli, viene mantenuto se non ci sono avventi avversi (iperpotassiemia o peggioramento rapido della funzione renale) e se la proteinuria si riduce rispetto al controllo precedente. Nello stesso tempo viene potenziata la terapia antipertensiva con altri farmaci se indicato da valori pressori ancora elevati. I risultati dell’attività dedicata alla nefropatia diabetica Allo scopo di valutare l’efficacia dell’intervento strutturato multifattoriale (basato sull’inibizione spinta del sistema reninaangiotensina, associata a terapia ipolipemizzante e ipoglicemizzante) sulla velocità di progressione della nefropatia diabetica abbiamo valutato i risultati di 285 diabetici di tipo 2 (68 donne, 217 maschi) (età 63 ± 9 anni, BMI 30 ± 4 kg/m2, creatinina 1,3 ± 0,05 mg/dl, eGFR 71 ± 31) con nefropatia diabetica conclamata (proteinuria > 0,5 g/die). Il follow-up medio è stato di 4,2 anni (range 2-10). La velocità di declino (delta) del GFR stimato (eGFR, formula MDRD) è stata determinata mediante regressione lineare di tutti i valori disponibili. Il doppio blocco del sistema renina-angiotensina era attuato nel 63% della popolazione. Negli altri è stato sospeso nel corso del follow-up per effetti collaterali (iperpotassiemia, rapido peggioramento della funzione renale o per mancata riduzione della proteinuria). Tutti i parametri considerati sono migliorati durante il followup. La pressione arteriosa da 148/83 ± 2/1 mmHg si è ridotta a 137/75 ± 2/1, la proteinuria da 1,5 a 1 g/die, l’HbA1c da 8,4 ± 0,2 a 7,6 ± 0,1%), il colesterolo totale da 212 ± 4 a 177 ± 4 mg/dl e i trigliceridi da 218 ± 15 a 189 ± 12 mg/dl. La velocità di decadimento del eGFR è stata suddivisa in 4 categorie: 1. regressione: eGFR > 0 ml/min/anno; 2. remissione: eGFR compreso tra –2 e 0 ml/min/anno; 3. progressione: eGFR compreso tra –2 e –10 ml/min/anno; 4. progressione rapida: eGFR > 10 ml/min/anno. La figura 2 illustra la distribuzione dei valori della velocità di Distribuzione della velocità di perdita di funzione renale (misurata con variazione del eGFR) in 285 diabetici di tipo 2 con nefropatia diabetica proteinurica 80 60 Frequenza (n di pazienti) – – – 237 40 20 0 -20 -10 0 10 ∆GFR (ml/min/anno) 20 Figura 2 Distribuzione dei valori di perdita di funzione renale (determinata come variazione annuale della velocità di perdita di filtrazione glomerulare stimata). 238 R. Trevisan et al. Distribuzione percentuale dei 285 diabetici di tipo 2 con nefropatia diabetica in base al grado di perdita di funzione renale durante il follow-up 50 40 45,1% % 30 20 10 0 Progressione Progressione Remissione Regressione rapida Figura 3 Distribuzione percentuale dei 285 pazienti con diabete di tipo 2 seguiti secondo il protocollo per la nefropatia diabetica in base alla velocità di perdita annuale di funzione renale. La velocità di decadimento del eGFR è stata suddivisa in 4 categorie: 1. Regressione: variazione eGFR > 0 ml/min/anno; 2. Remissione: variazione eGFR compreso tra –2 e 0 ml/min/anno; 3. Progressione: variazione eGFR compreso tra –2 e –10 ml/min/anno; 4. Progressione rapida: variazione eGFR > 10 ml/min/anno. perdita di funzione renale nella nostra popolazione. Il 45% della nostra popolazione di diabetici di tipo 2 con proteinuria ha dimostrato un’ottima risposta al trattamento con una perdita di filtrato annuale < 2 ml/min/anno, simile a quello della popolazione generale non diabetica con età superiore ai 60 anni (Figg. 2 e 3). Solo una minima percentuale (il 2%) ha dimostrato una perdita rapida di funzione renale (> 10 ml/min/anno), mentre la maggior parte (52%) ha dimostrato una perdita di filtrato compresa tra –2 e –10 ml/min/anno con una media pari a –3,9 ± 0,4 ml/min/anno, un valore migliore rispetto a dati storici di questa categoria di pazienti che dimostravano in media valori di caduta della funzione renale > 5 ml/min/anno (Fig. 3). In conclusione i nostri dati confermano che un intervento terapeutico multifattoriale e intensivo è in grado di ottenere la remissione della nefropatia nel 45% dei diabetici di tipo 2 con nefropatia diabetica proteinurica. La riduzione della proteinuria si conferma l’obiettivo principale per rallentare la progressione del danno renale nel diabete nefropatico. Conclusioni: opportunità e criticità di un approccio multifattoriale alla nefropatia diabetica proteinurica Nonostante i risultati importanti ottenuti grazie al nostro protocollo, in questo ultimi anni numerosi studi (in particolare ONTARGET, ALTITUDE, VA NEPHRON-D e la metanalisi di Makani)(18-21) hanno messo in dubbio l’efficacia del doppio blocco del sistema renina-angiotensina. In particolare, in tutti questi studi si è osservato un netto aumento degli avventi avversi (soprattutto iperpotassiemia e rapido peggioramento della funzione renale) nei pazienti trattati col doppio blocco. Alla luce di questi dati il 23 maggio 2014 l’EMA (Europena Medicines Agency) ha inviato a tutti i sanitari la raccomandazione di evitare l’uso combinato di farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina. In particolare il doppio blocco non è raccomandato a pazienti con problemi renali dovuti al diabete (nefropatia diabetica). Viene inoltre specificato che quando si ritiene assolutamente necessaria la combinazione di questi medicinali (doppio blocco), questa deve essere effettuata sotto la supervisione di uno specialista con un attento monitoraggio della funzione renale, dei fluidi, dell’equilibrio salino e della pressione sanguigna. Noi, in pieno accordo con i colleghi della nostra unità di Nefrologia, riteniamo l’interpretazione dei risultati degli studi ONTARGET, ALTITUDE e VA NEPHRON-D così come della metanalisi di Makani su efficacia e tollerabilità del doppio blocco del sistema renina-angiotensina sicuramente un po’ più articolata rispetto a quella che emerge dal documento del CHMP (Committee for Medicinal Products for Human Use). L’efficacia o meno di questo approccio terapeutico dipende dalla tipologia di pazienti cui si fa riferimento (per esempio con o senza proteinuria, scompenso cardiaco o malattia ischemica del rene) e dalle modalità con cui il doppio blocco viene applicato (con dosi fisse e massimali come nei trial menzionati oppure con un approccio response driven nel quale la combinazione e il dosaggio dei farmaci sono guidati dalla risposta del paziente in termini di riduzione della proteinuria e della pressione e/o aumento della creatinina e del potassio, come nella nostra attività ambulatoriale). In altre parole, il doppio blocco può essere lo strumento più efficacie nelle nostre mani per prevenire la progressione delle nefropatie proteinuriche verso la dialisi o per ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni dei pazienti con scompenso cardiaco e disfunzione sistolica, così come può essere solo fonte di eventi avversi se utilizzato in pazienti senza proteinuria, con ipertensione arteriosa non complicata o con malattia ischemica del rene (come nello studio ONTARGET, per esempio). L’attento monitoraggio del paziente è inoltre cruciale per massimizzare i benefici e prevenire i possibili effetti collaterali di questo approccio terapeutico. Tali aspetti sono stati recentemente ribaditi da Ruggenenti et al.(22). Pertanto siamo assolutamente d’accordo che il doppio blocco non vada assolutamente applicato nei numerosi pazienti diabetici con insufficienza renale cronica, ma senza proteinuria. In conclusione, la terapia con il doppio blocco è a tutt’oggi un modo adeguato per ridurre la proteinuria nella nefropatia diabetica. Da un punto di vista clinico, noi suggeriamo di iniziare il trattamento del paziente con nefropatia diabetica (con proteinuria > 1 g/24 ore) con un ACE-inibitore. Il dosaggio del farmaco va gradualmente massimizzato in modo tale da raggiungere il massimo effetto sulla proteinuria. Nel caso la proteinuria permanga superiore al grammo nelle 24 ore, si inizia il doppio blocco iniziando con una bassa dose del secondo farmaco inibitore del RAS. Funzione renale e potassiemia vanno attentamente monitorate nelle settimane successive. Il dosaggio del farmaco può essere aumentato se la proteinu- Organizzazione di un’attività ambulatoriale dedicata alla nefropatia diabetica: l’esperienza di Bergamo ria non si riduce al di sotto del grammo/die. Nel caso in cui invece il doppio-blocco non riduca la proteinuria o produca effetti avversi (aumento della potassiemia o netto peggioramento della funzione renale) consigliamo la sospensione del doppio blocco. In questo caso sono maggiori i rischi che i possibili benefici del trattamento. È evidente che nella pratica clinica il doppio blocco deve essere ottenuto con gradualità, attuando uno stretto controllo della potassiemia, il cui incremento rappresenta ancora uno dei principali problemi pratici di questa strategia terapeutica. L’obiettivo deve essere sempre quello di ridurre il più possibile l’entità della proteinuria. Rimane invece ancora inesplorato quale sia il trattamento adeguato per i diabetici che presentano insufficienza renale cronica (eGFR < 60 ml/min) in assenza di albuminuria significativa. Questa categoria di pazienti è molto numerosa(23) e sicuramente sono necessari studi prospettici per identificare sia il loro effettivo rischio di progressione verso l’insufficienza renale terminale sia per identificare il modo per stabilizzare la loro funzione renale. Conflitto di interessi Nessuno. Bibliografia 1. Dirks J, Remuzzi G, Horton S, Schieppati A, Rizvi SAH. In: Jamison DT, Breman JG, Measham AR, Alleyne G, Claeson M, Evans DB et al., eds. Disease control priorities in developing countries. New York: Oxford University Press and the World Bank 2006, pp. 695-706. 2. Fox CS, Matsushita K, Woodward M, Bilo HJ, Chalmers J, Heerspink HJ et al.; Chronic Kidney Disease Prognosis Consortium. Associations of kidney disease measures with mortality and endstage renal disease in individuals with and without diabetes: a meta-analysis. Lancet 2012;380:1662-73. 3. Lysaght, M. Maintenance dialysis population dynamics: current trends and long term implications. 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