QUADERN / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Agenti all’estero al “nodo” stabile organizzazione Visto per la compensazione anche senza copertura delle sanzioni dirette / Gianluca ODETTO Nei contesti societari con un certo grado di internazionalizzazione è frequente l’utilizzo di strutture site negli Stati esteri che provvedono alle funzioni di vendita per conto della casa madre (agenti, rappresentanti ecc.). Strutturare correttamente i rapporti tra casa madre e agente estero è di fondamentale importanza, al fine di evitare che quest’ultimo possa essere ritenuto, a seguito di accertamento, stabile organizzazione della casa madre stessa. La questione si pone, naturalmente, sia nel caso in cui l’impresa italiana operi all’estero con strutture deputate all’attività di intermediazione, sia in quello nel quale società estere operano in Italia per mezzo di un intermediario che ne cura la parte commerciale: in entrambi i casi si può fare riferimento ai principi dell’art. 5, paragrafi 5 e 6, del modello OCSE di [...] A PAGINA 2 La polizza assicurativa obbligatoria potrà anche non contenere l’estensione della garanzia alle somme dovute in sede di controllo formale / Savino GALLO Il visto di conformità sui modelli di dichiarazione per le compensazioni dei crediti tributari di importo superiore ai 15 mila euro potrà essere rilasciato dagli intermediari abilitati anche se titolari di una polizza assicurativa che non copre il rischio delle sanzioni dirette irrogate nei loro confronti. È quanto emerge dall’incontro, tenutosi lo scorso martedì, tra il Presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi (accompagnato nell’occasione dal Consigliere nazionale delegato alla fiscalità, Luigi Mandolesi), il Viceministro all’Economia, Luigi Casero, e la Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. Al centro della riunione le criticità prodotte dall’art. 6 del DLgs. 175/2014, che ha modificato le condizioni minime della polizza assicurativa necessaria per poter ottenere l’abilitazione al rilascio dei visti di conformità, prevedendo un aumento del massimale minimo a 3 milioni di euro e l’estensione della copertura assicurativa anche al rischio sanzioni dirette. Estensione che, però, diverse compagnie hanno deciso momenta- INEVIDENZA Deducibili le perdite rilevate a seguito di transazione col debitore Giro di vite sull’utilizzabilità del PVC nel processo penale Incostituzionalità “affrettata” per la soglia dell’omesso versamento di ritenute Commissioni censuarie con competenze sulla revisione del sistema estimativo neamente di non rilasciare, forti di alcune circolari dell’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) e di un quadro normativo che prevede un vincolo di “non assicurabilità” per tale tipologia di sanzioni. Il problema, considerato che viene modificata la norma base in materia di garanzie (art. 22 del DM 164/1999), si pone sia per il rilascio del visto di conformità sul 730 precompilato che per quello sui modelli di dichiarazione (IVA, IRAP, UNICO) per le compensazioni tributarie, ancorché il quadro delle responsabilità sia completamente differente. Se, infatti, per il 730 precompilato, il professionista risponde anche dell’imposta e delle sanzioni dovute dal contribuente, nel caso di visto infedele sui modelli di dichiarazione per le compensazioni tributarie permane il vecchio regime di responsabilità, con imposte e sanzioni imputate al contribuente e una sanzione amministrativa di 258 euro in capo al professionista. Una differenza che, anche in [...] A PAGINA 3 FISCO Competenza dei ricavi in base alla sentenza se l’appalto è contestato / Alessandro BORGOGLIO In caso di contratto d’appalto e di contestazione, da parte del committente, dei lavori ultimati, ai fini della corretta imputazione dei ricavi occorre avere riguardo al periodo d’imposta in cui passa in giudicato la sentenza che riconosce definitivamente il credito dell’appaltatore. È quanto stabilito dalla Cassazione, con la sentenza n. 3204 di ieri. L’art. 109, comma 2 del TUIR dispone che, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, i corrispettivi [...] A PAGINA 4 ancora IL CASO DEL GIORNO Agenti all’estero al “nodo” stabile organizzazione Rischi di contestazione se l’intermediario non è indipendente dalla casa madre sotto il profilo economico / Gianluca ODETTO Nei contesti societari con un certo grado di internazionalizzazione è frequente l’utilizzo di strutture site negli Stati esteri che provvedono alle funzioni di vendita per conto della casa madre (agenti, rappresentanti ecc.). Strutturare correttamente i rapporti tra casa madre e agente estero è di fondamentale importanza, al fine di evitare che quest’ultimo possa essere ritenuto, a seguito di accertamento, stabile organizzazione della casa madre stessa. La questione si pone, naturalmente, sia nel caso in cui l’impresa italiana operi all’estero con strutture deputate all’attività di intermediazione, sia in quello nel quale società estere operano in Italia per mezzo di un intermediario che ne cura la parte commerciale: in entrambi i casi si può fare riferimento ai principi dell’art. 5, paragrafi 5 e 6, del modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni (normalmente recepiti nelle Convenzioni siglate dall’Italia), mentre nel secondo, oltre alle previsioni dell’art. 162 del TUIR – che contiene regole di fatto allineate a quelle dell’OCSE – va attentamente valutata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha invece più volte espresso principi molto penalizzanti. Il principio di fondo è quello per cui rappresenta stabile organizzazione quel soggetto che opera per conto della casa madre estera e ha il potere di concludere contratti in nome dell’impresa rappresentata (c.d. “agente dipendente”). Se, ad una prima analisi, il principio va interpretato nel senso per cui l’accertamento della sussistenza della stabile organizzazione è legato all’attribuzione all’agente del potere di rappresentanza, in realtà la prassi OCSE ha da tempo elaborato una linea interpretativa secondo la quale ciò che conta non è tanto il fatto che l’agente concluda materialmente il contratto, bensì il fatto che egli conduca le trattative, scelga nell’ambito dell’autonomia concessagli le clausole che più ritiene opportune, per poi “girare” alla casa madre estera i contratti per la relativa sottoscrizione. Come già evidenziato, la Corte di Cassazione italiana è spesso andata oltre questi principi, stabilendo ad esempio che al potere di concludere contratti può essere parificata la mera partecipazione alle trattative con i terzi, o anche a singole fasi di esse (sentenze nn. 3367, 3368 e 3369 del 7 marzo 2002, con principi ripresi da pronunce successive), oppure la partecipazione alle trattative anche se non è stato attribuito dalla casa madre il potere di rappresentanza (sentenza n. 8488 del 9 aprile 2010). Seguire tale giurisprudenza (che, va ribadito, riguarda solo le / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 strutture che operano in Italia per conto di imprese estere) porterebbe alla conclusione paradossale per cui l’unico modo di evitare i rischi di S.O. sarebbe quella di avvalersi di figure più simili a meri procacciatori di affari che a figure più “evolute” quali agenti, rappresentanti, commissionari ecc.. Giurisprudenza italiana particolarmente rigorosa Normalmente tali problematiche sono bypassate ricorrendo alla figura del c.d. “agente indipendente”, ovvero all’intermediario (persona fisica o – più spesso – persona giuridica) che, pur avendo il potere di concludere i contratti in nome della casa madre, è dotato di una piena indipendenza da questa, in special modo sotto il profilo economico. Elementi utili per la valutazione dell’indipendenza sono: - la mancanza di controlli da parte della casa madre sull’agente e di istruzioni in merito alle modalità di esecuzione della prestazione; - la rilevanza specifica delle qualità professionali dell’agente quali motivi che hanno determinato la scelta del mandante di avvalersi delle sue prestazioni; - il numero di committenti rappresentati dall’agente. Questo ultimo aspetto è spesso di importanza cruciale. In termini generali, se è vero che esiste un nesso tra numero di mandati e indipendenza (è, infatti, realistico che un agente con quindici mandati sia più indipendente di un agente che di mandati ne ha due), in realtà è possibile sostenere che anche un agente che, per ipotesi, conclude contratti con un numero estremamente ristretto di committenti (nell’ipotesi estrema, anche con un unico committente) può essere indipendente, a condizione di sopportare il rischio economico dell’attività: un tipico sintomo dell’assenza di indipendenza è, ad esempio, rappresentato dalla tendenziale commisurazione delle provvigioni in modo tale da coprire le spese dell’agente, mentre tra parti indipendenti l’agente dovrebbe tenere a proprio carico il rischio di perdita, così come beneficiare dei profitti. L’agente estero può realisticamente rientrare tra quelli “indipendenti” anche nel caso in cui alcuni amministratori della casa madre siano presenti nel suo consiglio di amministrazione. In questo caso occorre però fissare limiti precisi ai poteri, per evitare che tale commistione possa andare ad inficiare il requisito dell’indipendenza. / 02 ancora FISCO Visto per la compensazione anche senza copertura delle sanzioni dirette La polizza assicurativa obbligatoria potrà anche non contenere l’estensione della garanzia alle somme dovute in sede di controllo formale / Savino GALLO Il visto di conformità sui modelli di dichiarazione per le compensazioni dei crediti tributari di importo superiore ai 15 mila euro potrà essere rilasciato dagli intermediari abilitati anche se titolari di una polizza assicurativa che non copre il rischio delle sanzioni dirette irrogate nei loro confronti. È quanto emerge dall’incontro, tenutosi lo scorso martedì, tra il Presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi (accompagnato nell’occasione dal Consigliere nazionale delegato alla fiscalità, Luigi Mandolesi), il Viceministro all’Economia, Luigi Casero, e la Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. Al centro della riunione le criticità prodotte dall’art. 6 del DLgs. 175/2014, che ha modificato le condizioni minime della polizza assicurativa necessaria per poter ottenere l’abilitazione al rilascio dei visti di conformità, prevedendo un aumento del massimale minimo a 3 milioni di euro e l’estensione della copertura assicurativa anche al rischio sanzioni dirette. Estensione che, però, diverse compagnie hanno deciso momentaneamente di non rilasciare, forti di alcune circolari dell’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) e di un quadro normativo che prevede un vincolo di “non assicurabilità” per tale tipologia di sanzioni. Il problema, considerato che viene modificata la norma base in materia di garanzie (art. 22 del DM 164/1999), si pone sia per il rilascio del visto di conformità sul 730 precompilato che per quello sui modelli di dichiarazione (IVA, IRAP, UNICO) per le compensazioni tributarie, ancorché il quadro delle responsabilità sia completamente differente. Se, infatti, per il 730 precompilato, il professionista risponde anche dell’imposta e delle sanzioni dovute dal contribuente, nel caso di visto infedele sui modelli di dichiarazione per le compensazioni tributarie permane il vecchio regime di responsabilità, con imposte e sanzioni imputate al contribuente e una sanzione amministrativa di 258 euro in capo al professionista. Una differenza che, anche in considerazione delle diverse tempistiche di presentazione (con le compensazioni si comincia a febbraio, mentre per il 730 precompilato se ne ri- / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 parlerà a luglio), ha permesso a MEF e Agenzia delle Entrate di suddividere le due fattispecie ed iniziare a risolvere la questione più impellente, relativa alle compensazioni tributarie. Nel corso della riunione, si legge nel comunicato congiunto CNDCEC-MEF-Entrate, diffuso ieri, “è stata prospettata la soluzione di consentire ai professionisti che intendano rilasciare il visto soltanto ai fini della compensazione dei crediti tributari di adeguare la polizza al nuovo massimale minimo di 3 milioni di euro, senza necessità di estendere la garanzia alle somme dovute in sede di controllo formale. Per tale soluzione il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha preannunciato un chiarimento di prassi amministrativa”. A breve, dunque, dovrebbe arrivare una circolare delle Entrate chiamata ad ufficializzare la soluzione prospettata, ponendo così rimedio ad una disciplina che, evidentemente, andava a penalizzare l’intermediario non interessato alla gestione dei 730, costretto all’estensione della garanzia assicurativa pur non avendo altri rischi da coprire (si veda “Polizze per visto di conformità con massimale da aggiornare” del 25 novembre 2014). Quanto, invece, alla copertura assicurativa in materia di 730 precompilato, tutto rimandato ad un tavolo tecnico che il Viceministro all’Economia Casero si preoccuperà di istituire, e di cui faranno parte non solo istituzioni e commercialisti, ma anche i rappresentanti delle compagnie assicurative. “Se il 730 precompilato deve funzionare – commenta il Presidente Longobardi – è bene che la sperimentazione non venga fatta sui commercialisti-cavie. Così come per la Certificazione Unica, anche nel caso dei visti di conformità per le compensazioni tributarie, l’Amministrazione finanziaria ha compreso e condiviso le ragioni dei commercialisti. Il nostro augurio è che anche le compagnie assicurative possano rendersi conto della necessità di trovare una soluzione. Siamo fiduciosi, perché da MEF ed Entrate è arrivata un’apertura importante, a riprova di quanto sia proficuo il dialogo costante con le istituzioni”. / 03 ancora FISCO Competenza dei ricavi in base alla sentenza se l’appalto è contestato Si guarda al periodo d’imposta in cui passa in giudicato la pronuncia che riconosce definitivamente il credito dell’appaltatore / Alessandro BORGOGLIO In caso di contratto d’appalto e di contestazione, da parte del committente, dei lavori ultimati, ai fini della corretta imputazione dei ricavi occorre avere riguardo al periodo d’imposta in cui passa in giudicato la sentenza che riconosce definitivamente il credito dell’appaltatore. È quanto stabilito dalla Cassazione, con la sentenza n. 3204 di ieri. L’art. 109, comma 2 del TUIR dispone che, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate. Per quanto concerne, poi, il contratto di appalto, ai sensi dell’articolo 1665 c.c., esso si considera ultimato il giorno in cui è intervenuta l’accettazione dell’opera da parte del committente. In base a tale articolo, inoltre, il collaudo coincide col momento in cui matura per l’appaltatore il diritto al corrispettivo. La Cassazione ha ripetutamente ribadito, in proposito, che concorrono alla formazione del reddito d’impresa, in un periodo determinato, esclusivamente i ricavi per i corrispettivi dei lavori ultimati, ovverosia di quelli in ordine ai quali sia intervenuta l’accettazione del committente, derivante dalla positiva esecuzione del collaudo o conseguente all’espressione, per “facta concludentia”, di una volontà incompatibile con la mancata accettazione (c.d. accettazione tacita), secondo quanto stabilito nell’art. 1665, commi 2 e 3 c.c. (cfr. Cass. nn. 26664/2009, 4297/2010 e 10818/2010). Del resto, anche l’Amministrazione Finanziaria si è pronunciata in tal senso, affermando, con la circolare n. 98/2000 (§ 1.5.2), che l’appalto, ai fini della configurazione del criterio di competenza, inteso in senso giuridico, può considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui è intervenuta l’accettazione dell’opera da parte del committente, nel quale si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo, ai sensi dell’art. 1665 c.c. In seguito, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 133/2005, riguardante l’esercizio di competenza dei corrispettivi relativi ad appalti pubblici, ha chiarito che l’esercizio di competenza corrisponde a quello in cui l’opera oggetto del contratto si considera consegnata. Il momento della / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 consegna coincide con l’emissione del certificato di collaudo e la successiva delibera della stazione appaltante sulla sua ammissibilità. In tale momento, sussistono tutti i requisiti (ultimazione dei lavori, consegna delle opere, certezza e determinabilità dei ricavi) per far concorrere il corrispettivo pattuito per l’opera completata alla determinazione del reddito d’impresa. Posto, quindi, che l’accettazione da parte del committente coincide generalmente con l’esito positivo del collaudo dell’opera realizzata, si è rivelata particolarmente interessante la sentenza n. 16823/2014, con cui la Suprema Corte ha precisato che, se il contratto di appalto non si conclude con il collaudo dell’opera, ma con ulteriori prestazioni, ad esempio, di assistenza sull’opera positivamente collaudata, allora il periodo d’imposta rilevante ai fini del principio di competenza è quello in cui terminano tali ultime prestazioni contrattualmente previste e non quello in cui è intervenuto precedentemente il collaudo. La sentenza di ieri aggiunge un ulteriore punto fermo alla questione della corretta imputazione dei componenti positivi di reddito derivanti da contratti d’appalto, poiché con essa è stato esaminato il particolare caso in cui il committente non accetta in alcun modo le prestazioni eseguite dall’appaltatore, ma anzi le contesta giudizialmente. Secondo l’appaltatore, i suoi ricavi andavano imputati all’esercizio in cui l’appalto era stato ultimato (non era previsto il collaudo, trattandosi di un servizio per il Comune) o, al più, al periodo d’imposta in cui il Tribunale aveva riconosciuto il suo credito. Confermata la tesi del Fisco La Cassazione, invece, confermando la tesi del Fisco, ha stabilito che, in questo caso, i ricavi andavano imputati al periodo d’imposta nel quale essi erano divenuti, in mancanza di un’accettazione spontanea da parte del committente, certi e definiti, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza d’appello, che, appunto, aveva definitivamente riconosciuto la spettanza del suo credito. / 04 ancora FISCO Deducibili le perdite rilevate a seguito di transazione col debitore Secondo Assonime, con essa vengono estinti tutti i flussi finanziari relativi al credito / Luca FORNERO A partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita su crediti in ipotesi diverse dalle procedure concorsuali, sussistono altresì in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili. È questo l’effetto dell’art. 1 comma 160 lett. b) della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014), che ha modificato l’art. 101 comma 5 del TUIR. In precedenza, la deducibilità automatica della perdita conseguente alla cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi (c.d. “derecognition”) era consentita soltanto ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali. Con specifico riferimento ai soggetti che applicano i principi contabili interni, la circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2014 (§ 1.1) ha precisato che la presunzione di ricorrenza degli elementi certi e precisi introdotta dalla L. 147/2013 sussiste nelle ipotesi di cancellazione dei crediti dal bilancio contemplate dal nuovo OIC 15. In base a tale principio contabile (§ 57-62), la società cancella il credito dal bilancio quando, in alternativa: - i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono; - la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito. Per valutare l’avvenuto trasferimento dei rischi, si tiene conto di tutte le clausole contrattuali, quali, a titolo meramente esemplificativo: - gli obblighi di riacquisto al verificarsi di certi eventi; - l’esistenza di commissioni, di franchigie e di penali dovute per il mancato pagamento. Sempre l’OIC 15, nell’appendice C, riepiloga le fattispecie che comportano la cancellazione del credito dal bilancio (e la conseguente deducibilità della perdita ai fini fiscali), tra le quali non figura, però, la transazione. Si ritiene che tale evenienza non possa comportare l’indeducibilità della perdita subita sul credito oggetto di transazione. Innanzitutto, come ribadito dal medesimo OIC 15, l’elenco contenuto nell’appendice C assume carattere non esaustivo. Nulla vieta, quindi, che anche la transazione possa legittimare la deducibilità della perdita, ove ricorrano le condizioni stabilite dal principio contabile, sopra ricordate. Dello stesso avviso è la circ. Assonime 18/2014 (§ 2.2), che riconduce la transazione (unitamente alla rinuncia e alla prescrizione) tra gli eventi che comportano l’estinzione di tutti i flussi fi/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 nanziari relativi al credito e, dunque, giustificano la cancellazione del credito dal bilancio e la conseguente deducibilità della perdita. In secondo luogo, è lo stesso OIC 15, in un punto diverso dall’appendice C (e, segnatamente, all’interno del § 16), a ricondurre tra le perdite su crediti “realizzate” anche quelle derivanti da transazione. Prima della modifica normativa, la circ. Agenzia delle Entrate 26/2013 (§ 3.2) aveva chiarito che la transazione, motivata dalle difficoltà finanziarie del debitore, per risultare rilevante avrebbe dovuto comportare la riduzione definitiva del debito o degli interessi originariamente stabiliti. In tale ipotesi, le condizioni di deducibilità della perdita avrebbero dovuto ritenersi soddisfatte quando, nello stesso tempo: - il creditore e il debitore non fossero parte dello stesso gruppo (secondo la circ. Assonime 18/2014, § 2.1, nota 4, peraltro, le operazioni infragruppo andrebbero censurate solo quando si risolvono in un arbitraggio tra regimi di tassazione diversi); - la difficoltà finanziaria del debitore risultasse documentata (ad es., dall’istanza di ristrutturazione presentata dal debitore oppure dalla presenza di debiti insoluti anche verso terzi). Resta, infine, da valutare la portata di un altro chiarimento reso dalla circ. Agenzia Entrate n. 26/2013 (§ 3.2) prima delle modifiche apportate dalla L. 147/2013. In particolare, l’Agenzia, riprendendo una risposta resa a una videoconferenza del 23 settembre 2010, ha affermato che, se la transazione trae origine da una lite sulla fornitura, “il relativo onere non costituisce una perdita su crediti ma una sopravvenienza passiva”. Secondo Assonime (circ. 18/2014, § 2.1, in nota), l’impostazione dell’Agenzia non pare condivisa dal nuovo documento OIC 15 (§ 16), che qualifica come perdite su crediti anche quelle derivanti da un riconoscimento giudiziale inferiore al valore del credito. Inoltre, sempre ad avviso di Assonime, nel caso di specie la linea di confine non appare sempre netta, atteso che la lite potrebbe essere instaurata anche da un debitore in difficoltà finanziaria ai soli fini dilatori. Si dovrebbe quindi ritenere che: - se la transazione prevede specifiche concessioni con accoglimento parziale delle pretese del debitore, si tratterebbe di sopravvenuta insussistenza del credito; - in tutti gli altri casi, si tratterebbe di perdita su crediti. / 05 ancora FISCO Giro di vite sull’utilizzabilità del PVC nel processo penale Per la Cassazione, modalità dell’art. 220 disp. att. coord. c.p.p da seguire quando emergono indizi di reato e non solo quando ne emerga la prova / Vincenzo PACILEO Con la sentenza n. 4919/2015, la Cassazione torna su un tema cruciale per la prova dei reati tributari. L’attività ispettiva degli organi deputati all’accertamento in materia tributaria, come la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate, ha carattere amministrativo, con una duplice conseguenza. Da una parte, l’accertamento non soggiace alle regole del contraddittorio stabilite dal codice di procedura penale, in particolare per quanto riguarda la garanzia del diritto di difesa. Dall’altra, il processo verbale di constatazione (PVC), che sintetizza l’esito dell’accertamento e può contenere – è il caso che ci interessa – rilievi di ordine penale, può essere utilizzato non solo come base investigativa, ma costituisce elemento di prova documentale direttamente trasfondibile nel giudizio ai sensi dell’art. 234 c.p.p. (come ricorda la stessa sentenza in commento). Da ciò la capitale importanza del PVC nel processo penale, anche per la sua immediata capacità esplicativa. Si pensi a un procedimento di una certa complessità per frodi carosello (spesso con risvolti extranazionali) o a ipotesi di infedele dichiarazione per esterovestizione. In tali casi il giudice, potendo compulsare direttamente il PVC, può farsi un’idea chiara della base fattuale e argomentativa su cui si articola la contestazione, ben più di quella che potrebbe trarre dalla testimonianza degli operanti. La giurisprudenza non dimentica, però, il contenuto precettivo dell’art. 220 disp. att. coord. c.p.p., secondo cui “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice” di procedura penale. Nella vicenda in questione l’amministratore di una società era tratto a giudizio per violazione dell’art. 4 del DLgs. n. 74/2000 in relazione alla vendita parzialmente in nero di immobili. La prova si basava sul PVC, che tra l’altro si fondava sulle dichiarazioni degli acquirenti degli immobili e sulla documentazione acquisita relativamente alle compravendite. Il motivo d’impugnazione con cui l’appellante deduceva l’inutilizzabilità del PVC per violazione dell’art. 220 cit. era respinto dal giudice di secondo grado, osservando che, stante la punibilità del reato addebitato per effetto del superamento della soglia di evasione stabilita dalle legge, era / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 solo all’esito del complessivo accertamento che potevano dirsi emersi indizi di reato; così “salvando” il PVC. La Cassazione ha censurato questa interpretazione, ritenendola di fatto abrogatrice della norma invocata. In primo luogo, infatti, gli “indizi di reato” menzionati dall’art. 220 cit. non corrispondono alla “prova” del reato, nella specie dello sforamento della soglia, essendo sufficiente la “concreta probabilità che la soglia possa essere superata”. Il che, secondo la Corte, è quanto era avvenuto nella specie e perciò disponeva l’annullamento della sentenza appellata. L’interpretazione della Cassazione appare sul punto più restrittiva della giurisprudenza precedente, secondo cui a fare scattare l’applicabilità dell’art. 220 cit. concorre anche soltanto “la mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa” (SS.UU. n. 45477/2001, ripresa sul punto da Cass. n. 27682/2014). Qual è, allora, l’effetto della violazione della norma processuale? La sentenza in commento evoca il vizio di inutilizzabilità del PVC, citando la decisione n. 38393/2010, come tale sempre rilevabile dal giudice. Altra giurisprudenza propende, invece, per la nullità di ordine generale di cui all’art. 178 lett. c) c.p.p., la cui rilevabilità è, invece, costretta entro precisi limiti temporali di decadenza. Ciò comporta che se l’eccezione non è stata sollevata tempestivamente, il vizio resta sanato e il PVC è utilizzabile. In ogni caso, il giudice dovrebbe stabilire da quale momento emergevano gli indizi di reato al fine di dichiarare la inutilizzabilità o la nullità soltanto delle attività compiute successivamente senza il rispetto delle regole del c.p.p. È difficile che l’emersione degli indizi di reato coincida già con l’avvio dell’accertamento, sicché almeno parte del PVC potrebbe salvarsi. Difficile, ma non impossibile. Si pensi all’accertamento dell’emissione di fatture false da parte dell’Agenzia delle Entrate di Torino con segnalazione all’omologo ufficio di Roma relativamente all’utilizzatore. Quando quest’ultimo ufficio avvia l’accertamento emergono già indizi del reato di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000. Va ancora notato che il perimetro entro cui agisce la regola fissata dall’art. 220 cit. è quello contornato dallo svolgimento di specifiche attività ispettive o di vigilanza. Tale non è da considerare il mero accertamento documentale effettuato sulla base della documentazione già in possesso dell’ente accertatore (nella specie INPS: cfr. Cass. n. 27682/2014). / 06 ancora IMPRESA Incostituzionalità “affrettata” per la soglia dell’omesso versamento di ritenute Discutibile la posizione secondo cui quanto deciso dalla Consulta per l’omesso versamento IVA dovrebbe operare fin da ora anche per l’art. 10-bis / Ciro SANTORIELLO Con la sentenza n. 80/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 10-ter del DLgs. n. 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, puniva l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta a 103.921,38 euro. La decisione del giudice delle leggi era fondata su un raffronto fra il reato di all’art. 10-ter e quello di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del medesimo decreto, osservando come tale ultima fattispecie fosse evidentemente più grave di quella di omesso versamento dell’IVA, posto che nel delitto disciplinato dall’art. 10-ter il soggetto agente presenta regolarmente la dichiarazione fiscale, rendendo manifesto il proprio debito, senza poi versare il dovuto, mentre nel caso di cui all’art. 4 il contribuente occulta, nella dichiarazione, gli elementi positivi di reddito o indica falsamente elementi passivi fittizi così da trarre in inganno l’Amministrazione circa l’importo del tributo dovuto. Stante questo rapporto fra le fattispecie di omesso versamento dell’IVA e di dichiarazione infedele, era irragionevole, secondo la Corte, che per il delitto di cui all’art. 4 citato fosse prevista una soglia di punibilità maggiore rispetto a quella richiesta – almeno per un certo periodo temporale, fino cioè alla riforma del DL n. 138/2011, conv. L. n. 148/2011, che ha innalzato la suddetta soglia equiparandola a quella prevista per il delitto di cui all’art. 4 – per il reato di mancato versamento dell’IVA, il che equivale a dire che il reato meno grave era punito più severamente di quello più grave: da qui, la citata decisione della Consulta di equiparare, mediante la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 10-ter, le soglie di punibilità dei due reati. Dopo tale pronuncia di incostituzionalità, da più parti si è avanzata la tesi secondo cui medesima conclusione dovrebbe essere assunta con riferimento all’art. 10-bis del medesimo decreto n. 74 (cfr., tra le altre, Trib. Milano 18 dicembre 2013, App. Milano 19 giugno 2014 e Trib. Verona 25 luglio 2014), facendosi ricorso alle stesse argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale nella decisione n. 80/2014; giacché, prima della modifica introdotta dal DL n. 138/2011, era trattato più benevolmente il contribuente che avesse omesso di presentare la relativa dichiarazione o avesse presentato una dichiarazione infedele rispetto a chi avesse presentato la predetta dichiarazione IVA e poi non versato l’imposta dovuta. E ciò in quanto la soglia di punibilità prevista per / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 i delitti di cui agli artt. 4 e 5 del DLgs. n. 74/2000 era più alta rispetto a quella fissata per il reato di cui all’art. 10-bis. Di recente, peraltro, una decisione di merito, piuttosto che denunciare alla Consulta la disposizione di cui all’art. 10-bis, sulla scorta delle riflessioni formulate dalla stessa Corte costituzionale con riferimento all’art. 10-ter, ha ritenuto che il dictum della decisione n. 80/2014 – che ha determinato, a mezzo della dichiarazione di incostituzionalità della disposizione, un innalzamento della soglia di punibilità dell’art. 10-ter – dovrebbe ritenersi fin da ora, e quindi senza che necessiti un ulteriore intervento del giudice costituzionale, operante anche con riferimento al reato di omesso versamento delle ritenute, con la conseguenza di dover assolvere direttamente il contribuente che abbia commesso tale fatto prima della riforma del 2011 senza superare l’importo di 103.921,38 euro (Trib. Asti 9 febbraio 2015 n. 653). Questa decisione non convince. A prescindere dal fatto che la soluzione accolta comporta un’evidente (e presumibilmente inammissibile) forzatura del potere ermeneutico del giudice ordinario, non pare che con riferimento all’art. 10bis possano formularsi le riflessioni che hanno condotto alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 10-ter. Soglia di punibilità scelta dal legislatore senza profili d’irragionevolezza Come sostenuto dalla Cassazione – che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa all’art. 10-bis del DLgs. n. 74/2000 nella parte in cui tale disposizione sanziona il mancato versamento delle ritenute d’imposta per un ammontare superiore a 50.000 euro di imposta, in quanto la soglia di punibilità prescelta dal legislatore non presenta alcun profilo di irragionevolezza, né è corretto richiamare, per contestarsi la violazione del principio di uguaglianza, quanto previsto da altre fattispecie di reato in materia tributaria, come gli artt. 10-ter e 4 del DLgs. n. 74/2000, trattandosi di tributi aventi natura diversa e di condotte di differente disvalore (Cass. n. 52038/2014) – nessuna analogia può instaurarsi fra l’art. 10-bis e la sorte riservata dalla Corte costituzionale all’art. 10–ter. Mentre infatti tale ultima disposizione punisce l’omesso versamento degli acconti IVA e, quindi, è incongruo punire tale condotta, che presuppone che il contribuente abbia presentato apposita dichiarazione all’Erario, in maniera più severa rispetto a chi non presenta la dichiarazione IVA o la presen/ 07 ancora ti mendace, secondo quanto prevedono gli artt. 4 e 5 del DLgs. n. 74/2000, per cui i tre illeciti – di omesso versamento dell’acconto IVA, di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele – devono avere tutti la medesima soglia di punibilità, un’analoga conclusione non è necessaria con riferimento all’art. 10-bis, non essendo la condotta di omesso versamento delle ritenute certificate punita da altra disposizione, posto che non vi è sanzione penale né in / EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2015 caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, né in caso di mancato rilascio della certificazione dell’avvenuto versamento. In sostanza, essendo la condotta di mancato versamento di tali ritenute punita esclusivamente dall’art. 10-bis, il legislatore è libero di fissare sul punto qualsiasi soglia di punibilità ritenga opportuna. / 08 ancora FISCO Commissioni censuarie con competenze sulla revisione del sistema estimativo L’Agenzia delle Entrate ha fornito le prime indicazioni sugli adempimenti per l’insediamento dei nuovi organismi ridisegnati dal DLgs. n. 198/2014 / Arianna ZENI Con la circolare n. 3 di ieri, 18 febbraio 2015, l’Agenzia delle Entrate ha illustrato i tratti più significativi delle “nuove” commissioni censuarie ed ha fornito le prime indicazioni operative sugli adempimenti che devono essere effettuati per l’insediamento delle stesse. Le commissioni censuarie sono organismi che, svolgendo funzioni sostanzialmente amministrative, coadiuvano l’Amministrazione finanziaria nell’ambito dei procedimenti di determinazione delle tariffe d’estimo del Catasto terreni e del Catasto edilizio urbano. Nel contesto di una generale revisione della disciplina del sistema estimativo del Catasto dei fabbricati, infatti, l’art. 2, comma 3, lett. a) della L. n. 23/2014 ha delegato il Governo a ridefinire le competenze e il funzionamento delle commissioni censuarie provinciali e della commissione censuaria centrale. In attuazione di tale delega è stato approvato il DLgs. n. 198/2014 recante “Composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie, a norma dell’articolo 2, comma 3, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23” con il quale la disciplina di detti organismi è stata completamente rivista. Tra le altre cose, il DLgs. n. 198 ha ridefinito la composizione delle sezioni, le modalità di designazione e di nomina dei componenti delle sezioni, le funzioni di segreteria sia delle commissioni censuarie locali (che attualmente sono 106) sia della commissione censuaria centrale con sede a Roma. In seguito alle novità contenute nel DLgs. n. 198/2014, alle due sezioni competenti, rispettivamente, in materia di Catasto terreni e di Catasto edilizio urbano, si aggiunge una terza sezione specializzata in materia di riforma del sistema estimativo del Catasto fabbricati. Uno dei cambiamenti di tale “nuovo” sistema riguarda l’estensione ai Comuni e alle organizzazioni maggiormente rappresentative (che saranno individuate da un apposito DM ai sensi dell’art. 15 comma 1 lett. a) e comma 2 del DLgs. n. 198/2014) operanti nel settore immobiliare della possibilità di ricorrere contro le decisioni delle commissioni censuarie locali in merito ai prospetti delle qualità e classi dei terreni, ai quadri di qualificazione e di classificazione delle unità immobiliari urbane, nonché ai rispettivi prospetti tariffari. In relazione alla composizione delle sezioni delle Commissioni censuarie locali, l’art. 3 comma 1 del DLgs. n. 198/2014 dispone che ciascuna sia composta da 6 membri effettivi e 6 supplenti, di cui: - 2 due effettivi e 2 supplenti, scelti fra quelli designati dall’ufficio dell’Agenzia territorialmente competente; - uno effettivo ed uno supplente, scelti fra quelli designati dall’ANCI; - 3 effettivi e 3 supplenti, scelti fra quelli designati dal Prefetto. Le sezioni della commissione censuaria locale di Trento e di quella di Bolzano sono integrate con un componente effettivo e uno supplente scelto fra quelli designati dalle rispettive Province autonome fra i propri dipendenti di ruolo. Indicati i requisiti per la nomina dei componenti effettivi e supplenti Il citato decreto, oltre a fissare le regole per la designazione e la scelta dei componenti effettivi e supplenti, individua i requisiti per la nomina, i motivi di incompatibilità, le cause di decadenza dall’incarico, oltre alla durata dello stesso. Le commissioni censuarie, sia quelle locali che quella centrale, possono, ai fini istruttori, richiedere dati, informazioni e chiarimenti agli uffici dell’Agenzia delle Entrate ed ai Comuni. Rimaniamo ora in attesa di conoscere il contenuto del decreto sui criteri estimativi che dovrebbe essere portato al vaglio del Consiglio dei Ministri di domani. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
© Copyright 2024 Paperzz