ATTI DELLA CONFERENZA A PIU’ VOCI DEI CITTADINI SUI PROBLEMI PIU’ URGENTI DI ROMA E DEL SUO CENTRO STORICO E SULLE POSSIBILI SOLUZIONI ROMA-‐ CAMPIDOGLIO -‐ SALA DEL CARROCCIO 23 GIUGNO 2014 8 domande per ... 8 risposte LATTANZI GELSOMINI ANNIBALDI VIVALDI LOCHE MANCINELLI SCOTTI SARTOGO PIRAS SCANDURRA LILLI PALLOTTINO BIANCHI GIANGRANDE Perché questa Conferenza a più voci, perché questo libro Il Coordinamento Residenti Città Storica raccoglie associazioni e comitati del vasto ambito urbano caratterizzato da presenze archeologiche, architettoniche e paesistiche di grande rilievo ma anche da problemi gravi che minacciano con aggressività sempre più spudorata sia l’ambiente-‐Città che la salute psico-‐fisica dei suoi residenti. Questa Conferenza nasce con l’intento di raccogliere intorno all’iniziativa del CRCS i migliori sforzi, elaborazioni, proposte maturate all’interno della vasta rete di associazioni con le quali lavoriamo da anni. Le risorse umane dei cittadini, le loro esperienze e competenze, rappresentano una risorsa preziosa che una Amministrazione accorta non può ignorare o sottovalutare. Da questa Conferenza a più voci e da questo libro noi ci aspettiamo una risposta da parte del Sindaco e degli Assessori rispetto alla richiesta di una maggiore trasparenza e di una più marcata volontà politica di risolvere tutte le situazioni drammatiche ed altamente problematiche che noi denunciamo. In pratica, con le nostre relazioni e con le sintesi qui proposte noi vogliamo dire: "Queste sono le situazioni critiche analizzate, questo è il quadro normativo, questi sono i possibili strumenti da adottare per iniziare a risolvere strutturalmente le problematicità analizzate e da noi esposte. Chiediamo risposte a queste nostre domande, che sono le domande che i cittadini si pongono.” Questa Conferenza a più voci è quindi una tribuna dove far parlare delle persone che si occupano professionalmente e nelle associazioni di queste tematiche gravi ed emblematiche riguardanti la città. Gaia Pallottino Paolo Gelsomini Riferimenti: [email protected] Gaia Pallottino (presid. CRCS) cell. 3393199516 Paolo Gelsomini (segr. CRCS) cell. 3293791374 2 INDICE 1. La pressione dei locali di somministrazione, dei camion bar, delle bancarelle, degli artisti di strada, con il corollario dell’abuso di alcol e della movida selvaggia Cristina Lattanzi CRCS 2. La pressione dell'inquinamento acustico e la necessità di un regolamento Silvia Annibaldi, Paolo Gelsomini, Alessia Vivaldi CRCS 3. Lo stato del verde a Roma Paola Loche CARTEINREGOLA Cristiana Mancinelli Scotti RESPIRO VERDE LEGALBERI. 4. La pressione del traffico e le problematiche della mobilità da risolvere Vittorio Sartogo C.A.L.M.A. 5. Il problema insoluto della produzione, della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti Massimo Piras ZERO WASTE LAZIO 6. Lo stato di crisi dell'archeologia, il suo rapporto con l'urbanistica anche alla luce del dibattito sul Parco archeologico e del caso via Giulia Enzo Scandurra docente universitario Manlio Lilli archeologo – FORUM SALVIAMO IL PAESAGGIO 7. I beni comuni e la vendita del patrimonio culturale e simbolico Gaia Pallottino CRCS 8. Trasparenza e partecipazione davvero Anna Maria Bianchi CARTEINREGOLA Alessandro Giangrande docente universitario 3 1. La pressione dei locali di somministrazione, dei camion bar, delle bancarelle, degli artisti di strada, con il corollario dell’abuso di alcol e della movida selvaggia 4 La pressione dei locali di somministrazione, dei camion bar, delle bancarelle, degli artisti di strada, con il corollario dell'abuso di alcol e della movida Cristina Lattanzi Coordinamento Residenti Città Storica QUALCHE PREMESSA In una città oberata da una ventina di miliardi di debito (più o meno quanti hanno causato il default dell’intera Grecia), con quel che ne consegue, e che a livello cittadino deve risolvere molte situazioni gravissimei, ha senso che in una rassegna di problemi, ai quali i residenti della Città Storica richiedono all’amministrazione risposte e soluzioni urgenti, compaiano fenomeni che potrebbero apparire a prima vista quasi frivoli, ascrivibili piuttosto alla tipicità e al folklore locale, come i tavolini all’aperto e i dehors di bar e ristoranti, le bancarelle di souvenir, le lenzuolate di borse taroccate, i banchetti di caldarroste, qualche bicchiere di troppo, il baccano della movida? Ebbene, noi residenti riteniamo che sì, per parlare dei problemi di Roma ha senso cominciare proprio dall’immagine che Roma offre di sé al mondo e descriverla attraverso gli occhi e il cuore di chi Roma la vive proprio nella parte più antica e identitaria. Ed è opportuno cominciare dalle istanze di decoro e vivibilità, perché la mancanza di decoro dei luoghi di vita e di lavoro e le violazioni costanti e non represse delle regole minime di convivenza civile offrono d’impatto l’immagine e l’essenza della comunità cittadina. Quelle che possono apparire “piccole” illegalità rappresentano peraltro manifestazioni di problematiche più gravi: - un’illegalità diffusa rafforzata dalla sostanziale impunità di chi non rispetta le regole; un’amministrazione spesso incapace di gestire problemi appena appena complessi e troppo cedevole di fronte agli interessi di pochi a discapito dell’interesse pubblico; - la mancanza di trasparenza; - la mancanza di volontà politica di contrastare realmente le cause di fenomeni ben conosciuti e sempre più dilaganti, la cui soluzione richiede però di andare contro qualche lobby; - i fenomeni di vera e propria corruzione. Abbiamo quindi costruito questo incontro come occasione per dialogare con franchezza con gli amministratori della città a partire proprio da questi temi. E siamo pronti a respingere l’approccio dei benaltristi di turno, che certamente si faranno avanti, come al solito, per rinfacciare l’inadeguatezza e l’egoismo dei residenti che “non vogliono i tavolini sotto casa loro”, così come – secondo i casi – non vogliono sotto casa i buchi dei parcheggi PUP di cui non sentono alcuna necessità e i cantieri eterni di una metro di assai dubbia utilità. Residenti affetti da sindrome nimby, insomma. Da sempre i residenti del CRCS hanno dimostrato – al contrario – di NON essere pregiudizialmente contro i tavolini, contro gli ambulanti e le attività commerciali; di essere invece - contro gli abusi e la mancanza di regole e di sanzioni efficaci; - contro il dilagare delle attività di somministrazione e dei negozi di souvenir di Roma made in Cina che sostituiscono i negozi di vicinato e le botteghe storiche; contro gli arredi indecorosi; contro i cartelloni che deturpano il paesaggio urbano e che violano le norme per la sicurezza stradale; contro quelle forme di occupazione degli spazi pubblici e di promozione delle attività commerciali che degradano la città e impediscono la libera fruizione dei beni culturali; contro il baccano costante e i fenomeni da baraccone dei falsi artisti di strada. 5 Non solo, quindi, noi intendiamo contrapporre a quella che siamo costretti a vivere in queste condizioni una Roma diversa e proporre uno sviluppo diverso da quello che ci viene costantemente narrato, in un’apoteosi di luoghi comuni, a proposito della città con il centro storico più bello del mondo: più turisti + più shopping + più tavolini + più “vita” = più “sviluppo” . Ma è questo lo sviluppo? Chiediamo anche agli amministratori capitolini di rendere conto ai cittadini delle conseguenze di “idea di città” da loro prospettata (che fino a prova contraria sono degrado, invivibilità, impoverimento e collasso di una città la cui parte più preziosa è ridotta ad uno sterminato suk), frutto di scelte politiche sbagliate e di incapacità regolatoria e amministrativa, a cui bisogna finalmente mettere fine. LA SITUAZIONE ATTUALE La presenza di tutte le forme possibili di commercio su strada (banchi e bancarelle, apette, chioschi, urtisti, caldarrostari, banchetti di merce taroccata ecc ecc) è sempre più estesa ed aggressiva, con innumerevoli postazioni a ridosso delle aree monumentali e dei tessuti più delicati e frequentati del centro storico. Eclatante la situazione dei camion bar, appostati nei pressi di tutti i principali monumenti. Per la gran parte si tratta di forme sfacciate di abusivismo totale, oppure di banchi e camioncini che pur essendo “autorizzati” occupano due/tre volte lo spazio consentito ed espongono la merce in maniera non regolare. Un’analisi non superficiale di tale fenomeno dimostra che si è in presenza NON di attività “di libero commercio” in un libero mercato contraddistinto da regole bensì del risultato di strategie pianificate tese al completo controllo del territorio più pregiato della città ai fini dell’occupazione, di sempre maggiore estensione, del suolo pubblico più pregiato da parte delle relative organizzazioni, siano esse “regolari” siano esse sommerse o addirittura criminali. Si tratta ormai di migliaia e migliaia di postazioni in tutta Roma, che si riproducono sempre più numerose come cellule di un organismo impazzito, con decine di migliaia di addetti extracomunitari perfettamente organizzati e addestrati. Siamo in presenza di un fenomeno di cui non esiste lontanamente l’eguale in qualsiasi altra città europea e che a Roma sta distruggendo l’intero settore del commercio di numerose categorie di prodotti e insieme sta causando il degrado dei luoghi più belli e preziosi della città, dei quali nessuno è risparmiatoii. Gran parte di questo tipo di commercio, comunemente definito a “effetto suk”, prospera in violazione delle normative fiscali e costituisce una concorrenza sleale per il resto delle attività commerciali. Tale situazione del commercio su strada è accompagnata dall’aumento esponenziale e incontrollato delle OSP di bar e ristoranti – sia abusive sia c.d. regolari - che hanno conquistato la maggior parte delle vie e delle piazze, anche nei luoghi più tutelati e vincolati della città (c.d. “tavolino selvaggio”). E’ un dato di fatto che, malgrado i ricorrenti tentativi di regolamentazione, tavolini e dehors continuino ad occupare grandi parti delle piazze di Roma, ostacolando la fruibilità delle stesse, la visione dei monumenti e delle prospettive architettoniche con arredi che hanno trasformato siti tra i più belli al mondo in sgargianti mense a cielo aperto. Non c’è piazza strada o stradina del centro storico al riparo da ombrelloni e arredi di pessimo gusto. Riguardo a questo fenomeno, timida e nel complesso inadeguata è risultata essere l’azione di tutela della Soprintendenza e faticosa ed inefficace la collaborazione tra Stato, Regione e Comune; mentre la congerie di norme regolatorie di livello statale, regionale e comunale (certamente da rivedere) da un lato appesantisce le incombenze delle imprese, dall’altro favorisce le scappatoie dei “furbi” e le possibilità di abuso e irregolarità varie, che non trovano in pratica sanzioni efficaci. A sua volta la crescita esponenziale del commercio su strada e la concentrazione delle attività di ristorazione legate al turismo di massa, allo svago e al divertimento (pub, discobar ecc), che hanno sostituito le attività tradizionali, ha trasformato il centro storico in una sorta di sterminato lunapark, favorendo il fenomeno della degenerazione della movidaiii nei rioni del Centro e in molte altre zone della Città Storica. A causa della mancata regolamentazione degli orari di apertura dei locali e dell’assenza di misure efficaci di contenimento dell’abuso di alcol, a sua volta la movida interferisce pesantemente con le funzioni di residenzialità e con la fruizione dei beni culturali iv. 6 DIAGNOSI, PROPOSTE, RICHIESTE Non abbiamo certo bisogno di descrivere oltre e di dimostrare questa situazione del Centro Storico, con il suo contorno di spazzatura e degrado ambientale, documentata ormai da anni da migliaia di foto, video e articoli di stampa. E’ giudizio unanime che ciò che accade nelle nostre strade, sotto le nostre finestre, accanto ai monumenti simbolo di Roma è gravissimo e intollerabile v . Tuttavia gli interessi che sono dietro a tali fenomeni sono evidentemente di dimensioni tali da ostacolare e impedire, finora, interventi efficaci e perfino le possibili limitazioni del danno. Avevamo quindi letto con interesse quanto era scritto nel programma del Sindaco Marino, proprio a proposito del rilancio delle attività produttive in una Roma che intende essere “vita”. Nel capitolo “una città che attrae” si leggeva il titolo ripartire dal commercio, dall’artigianato [e dall’agricoltura] e dalla necessità di rivedere la relativa normativavi . Noi siamo completamente d’accordo su tale necessità e, lo diciamo subito, vogliamo partecipare a tale revisione. Innumerevoli sono già state le proposte in merito del CRCS e del Laboratorio Carteinregola cui il CRCS aderisce. Per brevità ricordiamo solo il documento riassuntivo con il quale sono state presentate le nostre proposte di indirizzo programmatico all’assessore Leonori nel novembre 2013, con il seguente indice di temi da affrontare: 1) T.U. sul commercio che, relativamente al Centro Storico, contenga regolamenti e norme per: - attività di somministrazione - orari degli esercizi - vendita alcolici - occupazione suolo pubblico - tutela delle attività tradizionali (botteghe storiche, ecc) - tutela del decoro 2) difesa e incremento dei PMO; OSP e canoni concessori 3) trasparenza e open data sul commercio a livello municipale 4) regolamentazione del commercio su strada e per il rilancio dei mercati rionali 5) provvedimenti per la movida e suo decentramento 6) medie e grandi strutture di vendita nel centro e trasformazioni urbanistiche collegate 7) piano Regolatore degli Impianti pubblicitari e tariffe affissioni. Nella stessa direzione vanno le regole proposte da Carteinregola in relazione alle competenze della Regione per superare le criticità attuali determinate a cascata dalla vigente normativa regionale (come il principio della c.d. equivalenza delle postazioni del commercio su strada, la regolazione degli orari, l’abuso di alcol, il rumore) su quelle comunali. Tutte le nostre proposte sono sempre state nella direzione di recuperare la vivibilità (intesa come complesso di funzioni, servizi, infrastrutture e tutele che migliorano la qualità della vita sia dei residenti sia di chi lavora e frequenta il centro storico) del contesto cittadino. Abbiamo sempre ribadito che al centro della questione Centro Storico c’è l’obbligo di tutelare i beni culturali, avendo anche presente che tutte le vie e le piazze sono beni culturali ope legis. “VIVERE A ROMA DOVRA’ ESSERE UN SOGNO COME PER MOLTI GIOVANI E’ OGGI UN SOGNO VIVERE A BERLINO, PARIGI O LONDRA…….” Lo diceva il Sindaco Marino da candidato. Un obiettivo fantastico, che esprime la volontà di fare del Centro Storico un incubatore di creatività! Puntare sul recupero/integrazione della funzione culturale del C.S. in modo da farne un volano di sviluppo economico, investimenti e resa economica ben maggiore dell’attuale fatto di turismo non qualificato, c.d. mordi e fuggi, vero e proprio “consumo di massa” dei luoghi storici e dei monumenti. Invece la città ancora non ha saputo ancora utilizzare le vecchie e le nuove norme statali varate per poter spostare postazioni di commercio su strada e altre situazioni incompatibili con il decoro e la fruizione dei monumenti e degli altri beni culturali. Ora, non ci possono essere mezze misure nell’affrontare il problema di ridare al Centro Storico di Roma la sua dignità. Tutti i tempi a disposizione sono scaduti. 7 Vogliamo trasparenza e tempi certi per cambiare la situazione. Ma anche volontà politica e coerenza, discontinuità con il passato e coraggio, sostenibilità e coesistenza pacifica di tutte le attività e le funzioni che interessano il centro storico e non solo. E le funzione più importanti per un centro storico, quelle che rappresentano l’anima del Luogo sono la residenzialità, le botteghe di vicinato, gli artigiani, i luoghi di cultura e d’arte. Ma sono proprio queste funzioni, queste attività e questi luoghi che stanno soffrendo di più, a vantaggio di un’invasione sregolata e prepotente di commerci legali e spesso illegali. Quando sarà invertita la tendenza? i quali: - incremento della disoccupazione disparità sociali e ampie sacche di miseria aumento degli episodi di violenza e vandalismo fenomeni di criminalità di stampo camorristico/mafioso sistema dei trasporti e mobilità al collasso espansione urbanistica fuori controllo emergenza rifiuti e inquinamenti vari ii Per valutare adeguatamente la situazione occorre tenere presente quanto segue: fatta eccezione per i camion bar (che rappresentano un fenomeno a se’ stante, come noto ascrivibile prevalentemente alla presenza di un monopolio cittadino delle licenze) e tranne casi ormai rarissimi di operatori ambulanti “tradizionali” qualificati (gli unici in grado di rifornirsi presso i pochi grossisti “tradizionali” ancora esistenti, per lo più al di fuori del territorio laziale), la grandissima parte del commercio su strada oggi si rifornisce/viene rifornito attraverso depositi più o meno regolari (ma talvolta decisamente clandestini e sconosciuti al fisco); i titolari delle licenze utilizzano personale extracomunitario non qualificato, pagato poco e/o in nero; la merce, per la gran parte, se non tutta, è comprata senza fattura e venduta senza scontrino; si tratta per lo più di merce esclusivamente di importazione, di basso costo e di scarsissima qualità quando non pericolosa quanto a materiali, coloranti, componenti ecc. Il numero rilevantissimo di punti vendita, tutti in posizione strategica, assorbe percentuali rilevantissime di mercato. Gli effetti di tutto ciò sono: i negozi di vicinato non possono reggere la concorrenza sleale e chiudono o vengono rilevati da extracomunitari per vendervi merce di importazione di scarsissimo valore, al di fuori dalle regole di mercato, e spesso si tratta di attività di copertura per tutt’altri traffici; per mancanza di clienti (ossia dei negozi “tradizionali”) è stato distrutto l’intero sistema produttivo di piccole e medie imprese italiane di interi settori merceologici; migliaia di dipendenti dei negozi di vicinato (commessi, magazzinieri) hanno perso o stanno per perdere il lavoro. La scomparsa dei negozi di vicinato crea il degrado di intere vie e piazze. Ad essi in centro storico si sostituiscono bar, gelaterie e vendite di paccottiglie. iii mala-movida è l’efficace denominazione che ha assunto in tutta Italia: v. coordinamento nazionale malamovida facebook e www.manoiquandosidorme.com del coordinamento nazionale antimovida selvaggia. iv E’ possibile, anzi dovuto, regolamentare gli orari di apertura delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, bar pub e altri locali del genere. E’ infatti assolutamente falso quanto si sente spesso sostenere al riguardo, ossia che la liberalizzazione degli orari di apertura di tutte le attività commerciali a seguito delle direttive operata dalle normative nazionali non consenta alcuna regolamentazione: già dal 2011 il Ministero dello Sviluppo Economico emanava la circolare esplicativa n. 3644/C con cui precisava che“provvedimenti finalizzati a limitare gli orari di apertura notturna delle attività di somministrazione di alimenti e bevande possono continuare ad essere adottati potendosi legittimamente sostenere che trattasi di vincoli necessari ad evitare danno alla sicurezza e indispensabili per la protezione della salute umana, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale, espressamente richiamati come limiti ammissibili all’attività privata dall’art. 3 comma 1 del D.L. 13.08.2011 convertito con L. 148/2011”. In attesa di rivedere le leggi regionali in materia di commercio la Regione Lazio con nota del 29.12.2011 indirizzata ai comuni e municipi ribadiva tale argomento, affermando che era possibile dare luogo a limitazione degli orari con provvedimenti motivati da esigenze di tutela della salute dei cittadini, di sicurezza pubblica e di salvaguardia dei beni culturali. Inoltre il Piano di azione per la riduzione del consumo dannoso di alcol dell’Organizzazione Mondiale della Sanità detta prescrizioni per limitare l’abuso del consumo dannoso di alcol tra cui l’obbligo dei Comuni di adottare dei provvedimenti per ridurre e contenere gli orari e la vendita di bevande alcoliche, in particolare in aree dove si sviluppa un’economia basata su attività notturne e si generano alti livelli di fastidi e molestie legati al consumo di alcol. 8 v Sono di diverso avviso solo alcuni esponenti delle categorie direttamente interessate allo status quo: alcune associazioni degli esercenti di bar e ristoranti, alcune associazioni di ambulanti, alcuni rappresentanti di sedicenti artisti di strada e coloro che, nascondendosi dietro la rivendicazione del diritto dei giovani al divertimento, voglio urlare ballare e sballarsi fino all’alba senza preoccuparsi di impedire il riposo dei residenti e di imbrattare la città. Certamente una minoranza. vi - “Le attuali norme regolamentari sul commercio e sull’artigianato, comprensive di quelle sulla tutela delle attività del Centro Storico, così come quelle sulla semplificazione amministrativa e sulla gestione dei rifiuti urbani si sono dimostrate nel tempo non solo incapaci di raggiungere gli obiettivi, ma hanno spesso rappresentato un freno alla crescita del tessuto produttivo ed un freno ai processi di modernizzazione e semplificazione della città, oltre che un inutile e dannoso aggravio dei costi d’impresa. La profonda revisione del regolamento sul commercio in aree pubbliche, quello sulla tutela delle attività del centro storico, il regolamento di occupazione sul suolo pubblico, quello sulle insegne, le norme sullo Sportello Unico ed il regolamento sui rifiuti saranno i primi provvedimenti da adottare per semplificare, ridurre gli oneri delle imprese e dare maggiori certezze all’esercizio d’impresa. 9 2. La pressione dell'inquinamento acustico e la necessità di un regolamento 10 La pressione dell’inquinamento acustico e la necessità di un regolamento Silvia Annibaldi, Paolo Gelsomini, Alessia Vivaldi Coordinamento Residenti Città Storica IL PROBLEMA INSOLUTO DEL RUMORE AMBIENTALE Proprio in questi giorni il Coordinamento Residenti Città Storica, sta collaborando alla campagna “Spegni il rumore accendi il divertimento” promossa da Legambiente Lazio e, contemporaneamente, sta proseguendo con molte altre associazioni romane alla raccolta di 5000 firme per una delibera di iniziativa popolare per un regolamento acustico comunale che il Comune di Roma Capitale non ha mai avuto nella sua organicità e sistematicità concettuale e normativa come strumento di prevenzione, gestione, sanzione e risanamento acustico territoriale e locale. In effetti, così come si parla di ciclo dei rifiuti si dovrebbe parlare di ciclo del rumore, intendendo con ciò un percorso del rumore dal suo generarsi, al suo sommarsi con altri rumori ambientali fino al suo esito finale che, come succede in una discarica inquinante, arriva a determinare danni ambientali gravissimi ed attacchi all’equilibrio psico-fisico delle persone. Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nell'Unione Europea nove cittadini su dieci sono esposti a rumori superiori ai 65 decibel (dB), un livello questo che disturba il sonno e il riposo. In Italia, il 45% degli abitanti deve sopportare quotidianamente un livello di inquinamento acustico compreso tra i 70 e i 75 decibel, che mette a rischio l'udito, l'apparato cardio-circolatorio e aumenta il rischio di infarto. Recenti studi confermano inoltre i danni causati dall'inquinamento acustico al sistema immunitario e ormonale. Sempre per quanto riguarda l’Italia, secondo il database NOISE, i dati sono disponibili per le città di Firenze, Milano e Roma, per un totale di 4,2 milioni di abitanti. Il 65% dei cittadini di queste tre città, oltre 2,7 milioni di persone, sono esposti a livelli di rumore superiori alla soglia diurna di 55 dB, percentuale che scende al 18% (740mila persone) per la soglia notturna di 50 dB. Eclatante il risultato del Lazio, ricavato dai dati ambientali dell’Annuario ISTAT 2009, dove ben il 47% delle famiglie interpellate dichiara la presenza di problemi relativi al rumore nella zona in cui abita. Da uno studio svolto dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “La Sapienza” di Roma, tenendo conto che la soglia del dolore si colloca per l’orecchio umano intorno ai 120 dB si evincono gli effetti deleteri che il rumore può avere sull’uomo. Solo fino a 35 decibel di pressione sonora corrispondenti alle onde del mare mosso non c’è nessun danno. Tra i 35 ed i 65 dB corrispondenti a passaggio auto a bassa velocità e a conversazione normale si possono cominciare ad avere fastidi e disturbi nel sonno. Intorno ai 70 dB corrispondenti a strade di traffico intenso o conversazioni a voce alta, si possono cominciare ad avere tachicardia, palpitazioni, aumento della pressione arteriosa. A 90 – 100 dB corrispondenti a passaggio di traffico pesante e di treni in superficie si ha nel tempo una diminuzione dell’acuità visiva e un restringimento del campo visivo. Una tromba di automobile si aggira sui 120 dB e la pressione esercitata sull’orecchio umano dal frastuono di una discoteca può arrivare in casi gravi fino a 110 dB. A questo livello stiamo a disturbi gravi ed irreversibili. IL QUADRO NORMATIVO Il Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Roma disciplina al Capo II l’ordine e la quiete pubblica facendo riferimento al T.U. di P.S. 18 giugno 1931 n. 773 e al relativo Regolamento per l’esecuzione contenuto nel Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635. Essendo un regolamento di Polizia Urbana si limita a sanzionare grida, schiamazzi, abuso di mezzi acustici, attività rumorose moleste, apparecchiature disturbanti. L’attuale contesto normativo di settore che impone a Roma Capitale l’adozione del regolamento in epigrafe, è il seguente: -Legge Quadro sull’Inquinamento Acustico n.447 del 1995; -D.P.C.M. del 14.11.97 contenente la “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”; 11 -D.P.C.M. del 16.03.98 contenete la “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell'inquinamento acustico”; -Legge Regione Lazio n.18 del 2001: “Disposizioni in materia di inquinamento acustico per la pianificazione ed il risanamento del territorio”; -Delibera C.C. del Comune di Roma n.60 del 2002, “Piano di Zonizzazione Acustica del territorio del Comune di Roma. Approvazione in attuazione della legge n. 447/95. Classificazione acustica del territorio comunale”; contenente, inoltre, le “Norme tecniche di attuazione” del Piano di Zonizzazione Acustica; -Delibera C.C. del Comune di Roma n.12 del 2004, "Piano di Zonizzazione del territorio del Comune di Roma. Adozione definitiva in attuazione della legge regionale 3 agosto 2001, n. 18 e della legge quadro n. 447/95. Classificazione Acustica del territorio Comunale."; -Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 194, contenente “Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale". I RITARDI E LE INSUFFICIENZE NELLA LOTTA AI RUMORI AMBIENTALI L’Amministrazione Comunale di Roma Capitale è in gravissimo ritardo nell’attuazione dei principi, norme e direttive contenute nelle disposizioni sopra richiamate, nonché nell’adozione di uno strumento regolamentare che governi la complessa materia e le problematiche connesse al rumore ambientale ed all’inquinamento acustico. E’ importante ribadire come detta questione sia stata finora completamente sottovalutata dall’amministrazione, se non del tutto ignorata, giacché considerata –riduttivamente- e delimitata nell’ambito del controllo dell’ordine pubblico (fenomeno della movida) o del traffico, mentre in realtà tutta la normativa comunitaria, nazionale e regionale si fonda sui principi di tutela dell’ambiente di vita e di lavoro, e di tutela della salute dei cittadini, come interessi prioritari e costituzionalmente garantiti, non suscettibili di compromissione alcuna. Infatti, le finalità sia della Legge Quadro 447/95, sia del DLgs.vo 194/2005 reso in attuazione della Direttiva comunitaria 2002/49/CE, sono indirizzati verso il conseguimento di “un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente ed uno degli obiettivi da perseguire in tale contesto è la protezione dall’inquinamento acustico” (cfr Direttiva Comunitaria citata). Pertanto, in questa prospettiva ed in questo senso è improntata ed indirizzata la ratio dello strumento attuativo oggetto della proposta di delibera di iniziativa popolare condotta dal CRCS. In tema di inquinamento acustico l’operato delle amministrazioni cittadine che si sono succedute dal 2002 e fino ad oggi, è stato del tutto insufficiente. Allo stato attuale mancano del tutto: - i piani comunali di risanamento acustico previsti dalla Legge Quadro 447/95 e dal Piano di Zonizzazione Acustica di cui alla delibera C.C. 60/2002; - la mappatura acustica e le mappe acustiche strategiche previste dal DLgs.vo 194/2005 (con Delibera n.663/2007 la Giunta della Regione Lazio ha indicato il Comune di Roma come ente delegato agli adempimenti previsti dal DLgs.vo 194/2005 e dalla Direttiva Comunitaria del 2002); - i piani d’azione conseguenti della mappatura pure previsti dal DLgs.vo 194/2005; - i piani e le azioni per il monitoraggio dei livelli di inquinamento acustico; - l’aggiornamento dello strumento attuativo della Zonizzazione Acustica; - le norme, i procedimenti e le sanzioni, a livello comunale, per il governo del rumore ambientale, per la prevenzione dell’inquinamento acustico e per la repressione dei fenomeni dannosi. Ed in particolare, è proprio la mancata redazione ed adozione dei piani d’azione e di quanto altro previsto dalla Direttiva Comunitaria 2002/49/CE e dal DLgs.vo 194/2005, che ha determinato l’apertura di un procedimento d’infrazione presso la UE (articoli 258 e 260 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea - art. 14, lett. c, della legge 24 dicembre 2012, n. 234) n.2022/2013 del 24.04.2013. Il “Rapporto sulla gestione dell’inquinamento acustico nelle aree metropolitane”, reso dall’APAT Dipartimento Stato dell’Ambiente e Metrologia Ambientale, Servizio Agenti Fisici, ha certificato che lo stato di attuazione della normativa per la città di Roma è fermo al 2004. 12 LA MOVIDA, L’IMPLICAZIONE DEI LOCALI DI SOMMINISTRAZIONE, IL TRAFFICO Una particolare attenzione nella redazione del testo di delibera di iniziativa popolare per un regolamento sul rumore ambientale, è stata posta in relazione all’inquinamento acustico derivato dal cosiddetto fenomeno della “movida” che si svolge in alcuni ambiti territoriali ben definiti, sia nel centro che in altre aree della città comunque limitrofe al centro storico. Infatti, l’elevatissima concentrazione di attività commerciali dedicate alla ristorazione ed al divertimento notturno, nonché la mancanza di regolamentazione sugli orari di apertura dei detti locali che si protrae per tutta la notte senza soluzione di continuità, comporta nelle zone interessate un abnorme aumento del traffico veicolare e della frequentazione antropica tali che il livello di attenzione delle emissioni acustiche come definito dal DCPM del 1997 e che segnala l’emergere di gravi rischi per la salute, viene sistematicamente superato. I monitoraggi eseguiti dall’Arpa Lazio su richiesta del Municipio Centro Storico negli anni 2008, 2009 e 2010, hanno rilevato nei rioni del centro cittadino valori fra i 70 e gli 80 db nelle ore dalle 22.00 alle 03.00 della notte, livelli che avrebbero dovuto imporre l’emissione da parte del Sindaco o dell’amministrazione comunale, di provvedimenti urgenti e contingibili a tutela della salute della collettività e che però sono stati sempre omessi. L’assoluta mancanza di controlli e di un regime sanzionatorio valido ed efficace con riguardo alle emissioni acustiche dei locali che svolgono intrattenimento musicale o spettacolo dal vivo, nonché sulle discoteche e su tutte le attività di intrattenimento che si svolgono all’aperto nel periodo estivo e primaverile, hanno aggravato la situazione già precaria. Eppure, è principio ormai pacifico e ribadito da numerosi pronunciamenti giurisprudenziali, nonché dalla Circolare 06.09.2004 “Interpretazione in materia di inquinamento acustico” del Ministero dell’ambiente” (GU n.217 del 15.09.2004), quello secondo il quale i limiti acustici si applicano alle attività e comportamenti connessi alle attività commerciali, fra i quali vanno inclusi gli avventori dei locali, in specie laddove la particolare concentrazione degli stessi in una via con più locali, diviene fonte di inquinamento acustico da riconoscere come soggetta alle norme sul rumore. In realtà, l’amministrazione comunale non ha mai attuato politiche di decentramento delle attività legate al divertimento ed alla ristorazione –che ben potevano far parte di piani di risanamento acustico previsti dalla normativa vigente e mai adottati- né ha posto in essere provvedimenti di regolazione degli orari dei apertura degli esercizi commerciali, pure attuabili e legittimi secondo l’indicazione che veniva dalla Circolare Esplicativa del Ministero dello Sviluppo Economico n.3644/C del 2011: “provvedimenti finalizzati a limitari gli orari di apertura notturna delle attività di somministrazione di alimenti e bevande possono continuare ad essere adottati potendosi legittimamente sostenere che trattasi di vincoli necessari ad evitare danno alla sicurezza, e indispensabili per la protezione della salute umana, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale, espressamente richiamati come limiti ammissibili all’attività privata dall’Art.3 comma 1 del D.L.13.08.2011 convertito in Legge n.148/2011”. Ed ancora, il sistema di limitazione della circolazione veicolare in specie nelle ore notturne, da attuare con isole pedonali e Zone Traffico Limitato, è stato finora del tutto insufficiente ed il nuovo Piano Generale del Traffico Urbano che sta per essere varato, pur immettendo novità come le isole ambientali e la ridefinizione delle ZTL presenta soluzioni che potrebbero essere vanificate da scelte discutibili fatte a monte sulle reti di viabilità principale e sui parcheggi, scelte che di fatto hanno poca rilevanza sia sull’aumento di trasporto pubblico che sulla diminuzione di trasporto privato in tutta la città ed in particolare nel suo centro storico che dovrebbe essere gradualmente pedonalizzato. GLI ARTISTI DI STRADA Sta per andare alla discussione dell’Assemblea capitolina una nuova delibera che disciplina l’arte di strada attualmente regolata dalla delibera 24/2012. Senza entrare nel merito dei contenuti di questa bozza di delibera, vorremmo far notare che i limiti sonori imposti dalla zonizzazione acustica del Comune verrebbero superati da qualsiasi strumento a fiato o a percussione amplificato. 13 Una delibera di questa materia dovrebbe predisporre tutti gli strumenti necessari per un controllo severo sulle caratteristiche tecniche degli amplificatori (watt) e sulle emissioni sonore (decibel) in conformità alla normativa vigente. Per questo delicato compito l’ARPA è assolutamente insufficiente ed occorre pensare ad un coinvolgimento diretto e responsabile di altri soggetti. Occorre inoltre un parere obbligatorio del Dipartimento Ambiente in relazione alla tutela dell’inquinamento acustico ed alla normativa di settore, giacché alcuni articoli della proposta di delibera sul regolamento dell’arte in strada contengono disposizioni relative all’uso di strumenti e orari per emissioni acustiche; Infatti, l’eventuale superamento dei livelli previsti dalla zonizzazione acustica del Comune di Roma e dei livelli di attenzione così come definiti dall’Art.2, comma 1, lettera g della Legge 447/95, i cui valori sono fissati dall’Art.6, lettera a) del DCPM 14.11.97, è inteso dalle suddette norme come un grave potenziale rischio per la salute umana o per l'ambiente, obbligando il Sindaco ad attuare i provvedimenti urgenti e contingibili di cui all’Art.50 comma 3 della Legge 267/2000, nonché ai sensi dell’Art.6 comma 2 del DPCM 14.11.97, a predisporre i piani di risanamento acustico, poiché la tutela della salute dei cittadini –costituzionalmente garantita- è prioritaria rispetto ad ogni altro interesse o considerazione. IL MOTIVO DELLA NOSTRA RACCOLTA FIRME PER UNA DELIBERA DI INIZIATIVA POPOLARE SULLA GESTIONE E PREVENZIONE DEL RUMORE AMBIENTALE Vogliamo che Roma Capitale si doti finalmente di un regolamento acustico che sia in grado di andare oltre la semplice zonizzazione acustica che fissa i limiti dei decibel diurni e notturni per ogni zona a seconda della sua caratteristica funzionale mutuata dalla destinazione d’uso assegnata dal Piano Regolatore Generale. Andare oltre la zonizzazione vuol dire disegnare le mappe acustiche, cioè le rappresentazioni di dati relativi ad una situazione di rumore esistente o prevista in una zona, relativa ad una determinata sorgente, in funzione di un descrittore acustico che indichi il superamento di pertinenti valori limite vigenti, il numero di persone esposte in una determinata area o il numero di abitazioni esposte a determinati valori di un descrittore acustico in una certa zona. Dopo la rappresentazione delle situazioni reali dei rumori e della individuazione delle cause occorre predisporre dei piani di risanamento acustico che possono coinvolgere soggetti sia pubblici che privati. Questa è la strada per arrivare ad applicare finalmente delle norme che non si fermino alle semplici sanzioni ma che arrivino ad eliminare le cause stesse della produzione di rumori al di sopra delle soglie consentite. I gestori di pub e discoteche, i proprietari di officine, i rappresentanti di aziende di servizio, i responsabili dei cantieri temporanei e mobili, debbono sentirsi coinvolti in prima persona nella gestione del rumore ambientale. 14 3. Lo stato del verde a Roma 15 Verde Urbano Paola Loche Botanico- Carteinregola Il sistema ambientale di Roma occupa 86.000 ettari di territorio, poco più del 67% della superficie dell’intero territorio comunale. E’ un patrimonio immenso di vegetazione naturale, seminaturale e di impianto artificiale rappresentato dalle aree naturali protette, dal verde urbano, dalle aree golenali e dalle aree agricole. Nel cosiddetto verde urbano sono inclusi lembi residui di superfici agricole, spazi naturali, incolti, alberate, viali, giardini e parchi di ville, ville comunali, orti, aree ripariali, boschetti, aree boscate di superficie spesso limitata e frammentata, fasce di rispetto stradali e ferroviarie, sponde di corsi d’acqua, incolti, e così via. Tali superfici comprendono spazi aperti a componente naturale di grado più o meno elevato e rappresentano una vera e propria risorsa multifunzionale per la città e per i suoi abitanti All’interno del G.R.A., sono presenti numerosi habitat naturali, che determinano, per la città, una grande ricchezza floristica e vegetazionale, nonostante le difficili condizioni di vita dovute a numerosi fattori limitanti quali: • clima cittadino più caldo e secco rispetto alla campagna circostante; • abbassamento della falda idrica; • alterazione dei suoli originari per la realizzazione dei fabbricati; • inquinamento di aria, acqua, suolo e grande produzione di rifiuti solidi. Gli habitat presenti, sebbene diffusi in tutta l’area urbana, si distribuiscono lungo un asse preferenziale, un corridoio ecologico, in direzione SE-NW che dal parco dell’Appia Antica prosegue con le aree archeologiche del centro e culmina con i lembi di boschi di Valle dell’Inferno e dell’Insugherata. Lo spessore di tale asse si riduce procedendo dal G.R.A. verso il centro della città dando luogo a due cunei verdi con l’apice rivolto verso il centro. La presenza di lembi residui di boschi sopravvissuti alla espansione edilizia per motivi storici e morfologici valorizza e caratterizza la città dal punto di vista vegetazionale. Le entità vegetali censite nell’area urbana sono circa 1300 e costituiscono più di un quinto della flora nazionale. L’elevato numero di specie è strettamente correlato ai numerosi habitat presenti nella città. FORME DI TUTELA E DI GESTIONE Le disposizioni applicabili alla tutela e gestione del verde urbano in genere sono definite dalle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori generali o dagli altri strumenti urbanistici attuativi del piano regolatore, nonché dai regolamenti edilizi. Gli aspetti relativi alla realizzazione e manutenzione del verde sono, peraltro, soltanto incidentalmente affrontati. Mancano sempre le norme di carattere botanico-agronomico-forestale, le regole per l’elaborazione progettuale degli interventi e le disposizioni per la tutela del patrimonio verde esistente in occasione degli interventi di ristrutturazioni, demolizioni, scavi, nuove urbanizzazioni, realizzazioni di aree verdi e relative manutenzioni. Il verde urbano ha assunto nel corso dei secoli una valenza qualitativamente e quantitativamente diversa, ma è sempre rimasto elemento importantissimo nelle strategie di sviluppo urbano di piccole e grandi città: a partire dagli orti di sostentamento entro le mura di cinta, passando per gli spazi verdi ornamentali privati tipici dei parchi e giardini, 16 fino al verde pubblico con funzione architettonica, estetica , sociale e di miglioramento ambientale. Nel nostro Paese lo sviluppo delle aree urbane non è sempre stato organico e rispettoso di quelli che oggi sono definiti “standard della qualità della vita” e scarsa è stata l'attenzione nei confronti del verde dal punto di vista quantitativo oltre che qualitativo. Verso la metà del secolo scorso iniziò a strutturarsi la disciplina della composizione urbanistica e il verde urbano entrò ufficialmente fra i suoi elementi costitutivi. L'approccio funzionalistico ha acquistato sempre più importanza rispetto all'approccio estetico nella definizione del ruolo che il verde deve assumere nel disegno dell'ambiente urbano. In molti casi, il rispetto dello standard è stato garantito destinando a verde pubblico le aree più periferiche e meno appetibili. Sia il verde urbano che quello periurbano sono stati spesso utilizzati come spazi in attesa di edificazione senza l’attribuzione di valori propri. Il verde non può più essere concepito come il non costruito, perchè considerato "aspetto residuale" della progettazione urbana. La casualità degli interventi sul verde può essere superata solo con l’adozione di atti e norme specifiche che consentano di promuovere il coordinamento unitario dell’azione amministrativa nei vari settori della gestione del verde. Per migliorare le condizioni del verde urbano l’amministrazione dovrebbe assumere una serie di iniziative organiche e strumenti con valenza urbanistica assimilabili con la redazione di un Piano per il Verde urbano. Il piano del verde è uno strumento di pianificazione integrativo al PRG che consente di determinare un programma organico di interventi per quanto concerne lo sviluppo quantitativo e qualitativo del Verde Urbano, oltre che la sua manutenzione e gestione, in relazione agli obiettivi e alle esigenze specifici dell’area urbana. Il piano del verde deve prevedere il rispetto di tutte le normative esistenti: • Nazionale (lg. 10/2013) • Normativa regionale (bioedilizia-L.R. 27.05.2008 n.6, gestione delle risorse forestali, PTPR) • Standard urbanistici e normative edilizie • Codice dei beni culturali e del paesaggio a tutela degli alberi monumentali - decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42 e successive modifiche d. lgs. 24 marzo 2006, n. 156, d. lgs. 24 marzo 2006, n. 157, d. lgs. 26 marzo 2008, n. 62, d. lgs. 26 marzo2008, n. 63. • Norme in materia di risparmio energetico - decreto legislativo n. 311/2006 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 192/2005) progettazione di aree verdi ad elevata capacità di mitigazione dell’inquinamento dell’aria, valutazione del potenziale risparmio energetico fornito dal verde urbano • Norme sulle distanze per gli alberi contenute nel codice civile La normativa che a vario titolo interessa il verde, in ambito urbano e periurbano è allo stato attuale complessa e assai frammentata. Un discorso particolare meritano parchi e giardini di antica costituzione, sia pubblici che privati, assoggettati al vincolo paesistico e storico-artistico, il cui principale strumento legislativo di tutela è attualmente il Codice dei beni culturali e del paesaggio che contempla quanto già sancito dalle precedenti leggi di tutela (L. 1.6.1939 n.1089 Tutela delle cose di interesse storico e artistico, L. 29.6.1939 n.1497 Protezione delle bellezze 17 naturali e il relativo regolamento di attuazione, L. 4.8.1985 n. 431 Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale). A tutt’ora, però, sono molti i parchi e i giardini, annessi spesso a ville storiche sottoposti a vincoli, a tutela paesistica e storico artistica che però spesso risentono di scarsa manutenzione e di gestione non adeguata. Negli indirizzi generali di pianificazione devono essere previsti: • Progettazione e valorizzazione delle aree verdi e di pertinenza. Tra l’altro tutti gli interventi devono prevedere la progettazione delle opere a verde come parte integrante del progetto edilizio. Deve essere privilegiato, inoltre, l’uso della vegetazione ai fini del risparmio energetico e della riduzione degli effetti negativi del clima (riduzione dell’effetto isola di calore negli spazi urbani) e dell’inquinamento atmosferico ed acustico (orientamento, barriere verdi, raffrescamento, ombreggiamento, ecc..). Devono essere perseguiti: • la conservazione e valorizzazione di vegetazione di pregio, architetture verdi, ecc.; • l’utilizzo di specie autoctone idonee alle condizioni pedoclimatiche locali; • la protezione della vegetazione e in particolare degli alberi e dell’apparato radicale; • la permeabilità del terreno all’acqua e all’ossigeno; • un sistema di irrigazione idoneo; • la manutenzione post- impianto; • la protezione degli alberi presenti in cantiere, computando eventuali oneri per eventuale sostituzione delle piante danneggiate. Nel Piano del Verde devono essere compresi i seguenti elementi fondamentali: • il censimento del patrimonio verde, organizzato in un sistema informativo, • il Piano di gestione, • il Piano di riqualificazione • il Piano per le nuove realizzazioni. • il Regolamento del verde che norma sotto il profilo tecnico e procedurale la gestione del verde pubblico e privato SITUAZIONE ATTUALE DEL VERDE URBANO In analogia a quanto riscontrato a livello nazionale anche nel territorio della città di Roma, la situazione del verde urbano è piuttosto complessa, articolata e caratterizzata dai seguenti elementi: • assenza di un quadro di informazioni adeguate in merito a quantità e qualità del verde pubblico e privato; • presenza di aree naturali in zone limitrofe alle città e necessità di garantire un collegamento tra le aree verdi urbane e quelle extraurbane; • presenza di zone di espansione edilizia in cui, all’interno dei nuovi quartieri, sono stati inglobati lembi di paesaggio agro-forestale determinando una compenetrazione tra diversi tipi di uso del suolo, urbano e rurale e necessità di guidare un processo di riqualificazione di questi spazi; 18 • presenza rilevante di elementi di paesaggio storico e relativa necessità di tutela e conservazione; • sviluppo progressivo di una cultura ambientale nell’utenza, sempre più consapevole dell’importanza del verde urbano per migliorare le condizioni della qualità della vita; • mancanza di un dialogo efficiente tra pubblica amministrazione ed utenti; • mancanza di politiche rivolte alla qualificazione degli spazi verdi sia pubblici che privati. Una strategia di manutenzione del verde urbano e periurbano non deve essere priva del processo di partecipazione da parte della cittadinanza sulle politiche perseguite. Su questo aspetto è necessario fare grandi investimenti. L’assunzione di precise responsabilità da parte dei diversi organi decisionali pubblici (Stato, Regione, Provincia, Città metropolitana e Municipi) è determinante e improrogabile per potere finalmente conseguire una politica seria per il verde urbano. 19 Dai diritti fondamentali del verde alla sua reale gestione e manutenzione Cristiana Mancinelli Scotti Respiro Verde Legalberi Stralcio da “Il regolamento del verde e del paesaggio urbano di Roma” (a cura del coordinamento dei comitati e delle associazioni per il Regolamento del Verde e del Paesaggio Urbano della Città di Roma) Art. 4.1. - I diritti fondamentali del verde: La vegetazione – in ogni sua manifestazione – è elemento essenziale per la mitigazione dell’inquinamento atmosferico e acustico, per la difesa del suolo, per la conservazione della biodiversità, per miglioramento dell’estetica e del paesaggio urbano, per lo sviluppo della cultura storico-sociale e ambientale e per le funzioni ricreative e sportive offerte. Deve essere rispettata come ogni altro organismo vivente, e quindi deve essere: a) salvaguardata come elemento d’identità del territorio locale e come fattore determinante per la qualità della vita degli abitanti; b) conosciuta, censita e monitorata nel suo sviluppo e mantenuta quanto più possibile integra; c) considerata nelle scelte di trasformazione territoriale; d) incrementata nel rispetto delle specie che caratterizzano il contesto locale, siano esse autoctone o naturalizzate; e) curata con le migliori tecniche fitosanitarie disponibili. Del deterioramento di Parchi e Ville Storiche e di Beni Culturali e Ambientali Da troppo tempo ormai, i parchi e le ville storiche sono utilizzati per permettere ingenti profitti a iniziative private; il Parco del Celio è un caso eclatante, con la cosiddetta “estate romana” per lo più svuotata del senso cui mirava Renato Nicolini. Villa Borghese è utilizzata spesso per ospitare grandi eventi invasivi come è successo ai tempi della Giunta Alemanno per i Mondiali di Calcio e un Concorso Ippico che non è più quello storico, ma si è trasformato in una grande fiera commerciale. Per questa Villa in particolare, ogni decisione per gli eventi è potere del gabinetto del sindaco. Questi eventi sono decisi spesso senza rispettare le conferenze dei servizi e sono variamente ignorati i pareri della sovrintendenza comunale e purtroppo le sovrintendenze statali non intervengono a proibirli. Sappiamo infatti che la soprintendenza per Roma e la direzione regionale del MIBACT potrebbero impedire questa situazione di continuo degrado e in alcuni casi addirittura di deterioramento del verde e delle strutture. Data la mancanza di volontà o di possibilità di intervenire in questo campo, si verifica l'assurda situazione di scarico delle responsabilità. Che significa questo ? Che i nostri beni culturali subiscono dei danni? Ma non solo. Pensiamo sempre in termini di oggetti e materia, mentre anche questi delicatissimi beni culturali sono abitati da esseri viventi quali alberi, animali, insetti, erbe: quale grado di resilienza possono avere questi luoghi speciali, macro dispensatori di ossigeno, stoccatori di carbonio, assorbitori di acqua dopo questi veri e propri assalti alla baionetta? Pertanto è necessario che il Sindaco intervenga e stabilisca che sia redatto un regolamento particolare per le ville e i parchi storici che, con la consulenza di altissimi livelli di competenze, magari disinteressate, non preveda più deroghe di nessun tipo: finalmente si potrà intervenire con piani di tutela e restauro che riportino questi meravigliosi siti al loro valore originario. 20 La sottrazione delle “utilità” di questi beni collettivi ha un costo enorme per la cittadinanza che nessuno vuole calcolare e, quando sentiamo dire che non ci sono i soldi, ci chiediamo perché allora si possa sostenere una costosissima operazione portando la Metro C a Piazza Venezia senza nemmeno tentare di pensare a una alternativa, stremando comunque aspetti fondanti del paesaggio storico, ricco di capitale naturale funzionale e indispensabile per il benessere sociale e per la salute dei cittadini. Dell’impermeabilizzazione delle superfici naturali dei condomini della città di Roma. Questione da considerarsi di pari gravità se non maggiore : è stato citato un aspetto del nostro verde e paesaggio che merita addirittura un regolamento a sé stante ed è sotto gli occhi di tutti; questo secondo e purtroppo misconosciuto argomento è completamente disatteso anche dai piani regolatori della città. Si tratta dell’impermeabilizzazione delle aree verdi all’interno di condomini privati. Il capo 4.3 dell’articolo 4 già enunciato, “Diritti fondamentali del verde”, recita : “L'escavazione in profondità, la modifica delle quote, la costipazione e l'impermeabilizzazione delle superfici naturali non pavimentate di estensione maggiore di 50 mq costituiscono modificazioni dei luoghi e come tali sono soggette a preventiva autorizzazione amministrativa e a conseguente mitigazione dell’impatto ambientale”. Pare incredibile, ma l’impermeabilizzazione del suolo, qui definito superficie naturale, nei condomini privati della nostra città in questo momento non è regolamentata in alcun modo. Come è possibile che anche qui la città sia in continua perdita ? Perdiamo milioni di centimetri quadrati di preziosissimo suolo senza che nemmeno lo si sappia, e questo suolo lo stesso valore di bene collettivo per le sue qualità fondamentali. E’ questo un gravissimo e sottovalutato aspetto della mancanza di un Regolamento del Verde e del Paeaggio in una capitale come Roma, funestata da una cementificazione selvaggia. In questo caso, l’impermeabilizzazione del suolo di giardini privati e in condomini è lasciata alla discrezione del privato e ci dà la misura dell’urgenza di un Regolamento del Verde e del Paesaggio per Roma che vogliamo al più presto in vigore. Nella bozza di regolamento del 2011, giunta precedente, 27 misere pagine a fronte di un regolamento del verde di Viareggio di 30, si lasciava libertà di impermeabilizzare fino a 70mq ! Come un appartamento per tre persone ! Alcuni emendamenti su questa bozza elaborati del gruppo di lavoro di tecnici e competenze organizzato da reti di cittadini sono stati presi in considerazione durante le Commissioni Ambiente preposte e nella nuova bozza è stato accettato di abbassare questa soglia a 50 mq. Ma alla luce dei disastri causati dalle bombe d’acqua che si stanno abbattendo sulla nostra città, al disfacimento di equilibri climatici ormai compromessi e a una pesante trasformazione anche dei suoli, si dovrà tutelare a tutti i costi la permeabilità del suolo rimasto della città, e per questo capo del regolamento non si potranno superare i 30mq di pavimentazione di suolo, oltre i quali il permesso deve essere obbligatorio. Moltiplichiamo 50mq per dodicimila condomini con superfici naturali e scopriamo il risultato : 600.000mq impermeabilizzati. Non è accettabile. Della responsabilizzazione dei privati e della salvaguardia del territorio Negli ultimi anni da molte parti del mondo politico e scientifico si avverte la necessità di una maggiore responsabilizzazione dei privati cittadini nella corretta localizzazione dei manufatti da inserire nel territorio. A tal fine si auspica l'introduzione di prescrizioni assicurative a salvaguardia dei beni e degli strumenti di servizio presenti nelle aree a maggior rischio. Questo tipo di approccio a un problema tanto gravoso potrebbe portare, 21 oltre che a un'effettiva mitigazione delle condizioni di rischio che attualmente si registrano nel nostro paese, anche ad un recupero da parte delle comunità locali della coscienza civile e ambientale, che porti ogni privato cittadino ad acquisire la consapevolezza dei naturali processi che guidano l'evoluzione del territorio, requisito fondamentale per convivere correttamente anche con condizioni di rischio e per rendere efficace qualsiasi politica in favore dell'ambiente. Domanda La domanda è la seguente: ci ritroviamo con un debito sempre maggiore per una qualità della vita peggiore, abbiamo un tesoro che una volta distrutto nessuno ci restituirà, migliaia di alberi perduti e biodiversità di ogni specie cancellata, migliaia di metri quadri di suolo compromesso, aumento delle zone a rischio, anche nel territorio urbanizzato, per dissesto idrogeologico. Quando prenderà, Signor Sindaco, la decisione di tutelare il verde e il suolo fra i più importanti del mondo ? 22 4. La pressione del traffico e le problematiche della mobilità da risolvere 23 La pressione del traffico e le problematiche della mobilità da risolvere Vittorio Sartogo Coordinamento Associazioni Lazio Mobilità Alternativa (C.A.L.M.A.) LA FOTOGRAFIA DELLA MOBILITA’ OGGI Che la mobilità soffochi ormai il centro della città e tutta Roma è un dato di fatto unanimemente riconosciuto. Addirittura è diventato un tema ricorrente negli interventi degli organismi degli operatori economici, per i riflessi negativi che riverbera sulla “competitività” della città. Del resto, nel recente Piano generale del traffico urbano si certifica che la congestione annualmente produce la perdita di 125 milioni di ore, per un costo di 1 miliardo e mezzo di euro, cui si aggiunge un costo sociale degli incidenti pari a 2 miliardi di euro. In queste indicazioni sono poi evitate quelle riguardanti la corrosione dei monumenti, ovvero la distruzione della nostra storia e di un inestimabile patrimonio dell’umanità. Tra piogge acide, ossidi di zolfo e di azoto, polveri sottili, la corrosione raggiunge ormai i 5,7/6,3 millesimi di millimetro all’anno, vicinissima agli 8 millesimi previsti dalla Unione Europea come “accettabili”. Quale cinismo e incultura appaia nel dire “accettabile” la corrosione, ciascuno può giudicare. Cosicché addirittura l’ACI, l’associazione degli automobilisti, in un suo documento, presentato l’anno scorso al nuovo Parlamento e al Governo, chiedeva “più metro, bus e tram per rinunciare all’auto in città”. Ovviamente con una buona dose di ambiguità, perché ne seguiva la richiesta di una maggiore concorrenza nel settore, ritenuta la medicina in grado di curare un “sistema di trasporto pubblico obsoleto e inefficiente, i cui ricavi coprono solo il 30% dei costi e in cui l’età media dei bus è di 10 anni, a scapito dell’ambiente, della sicurezza stradale e del comfort dei passeggeri”. Dati che per Roma risultano ancora più gravi di questa media nazionale, stante la corruzione e il clientelismo che si sommano all’inefficienza e ne rendono intollerabile il peso, impedendo di fatto che le persone riducano in modo significativo l’utilizzo dell’auto (peraltro diminuito a seguito della crisi economica). L’uso del trasporto pubblico resta fermo al 27% dei viaggi, pur essendo aumentato considerevolmente il pendolarismo, cioè la dispersione della città nell’hinterland, e pur in presenza della diminuzione complessiva degli spostamenti. LE CONTRADDIZIONI TRA PIANO E REALTA’ NEL CENTRO STORICO La situazione è indubbiamente migliore nel centro storico, parte privilegiata del trasporto pubblico, anche se gli spostamenti in uscita dall’area racchiusa dall’anello ferroviario, nell’ora di punta del mattino, restano effettuati ancora per il 48% con l’auto e per il 9 % con le moto, ovvero la maggioranza degli spostamenti dei residenti usa il mezzo privato, mentre in entrata questa percentuale si contrae all’incirca al 40%. Ma la situazione è destinata a peggiorare se teniamo presenti le errate decisioni del Comune riguardanti i pullman turistici e la soppressione, recentissima, di 17 linee, specie periferiche e notturne, per circa 3,5 milioni di km. E’ significativa, a proposito di contraddizioni che si riflettono negativamente sulle politiche del trasporto, l’incoerenza presente negli intenti indicati nel PGTU citato. L’obiettivo principale nel centro storico si dichiara essere la massima riduzione del traffico veicolare privato sia di attraversamento che di destinazione, nonché l’uso quasi esclusivo di mobilità pedonale, ciclabile e del TPL. Da raggiungersi con azioni quali l’istituzione di ZTL passeggeri e merci su tutta la zona attraverso varchi elettronici; la sosta tariffata integrale (a valore elevato);l’individuazione di itinerari pedonali e ciclabili; l’articolazione in isole ambientali; l’individuazione di zone a emissione 0; parcheggi sostitutivi della sosta su strada ai margini del centro storico medesimo (?); la riduzione del traffico moto veicolare. Ognuna di queste azioni che potrebbe essere condivisibile in sé, lo diventa meno quando risulta, per esempio, che “la tariffazione della sosta rappresenta uno dei principali 24 strumenti di regolazione e gestione della domanda di spostamento nelle zone servite dal trasporto pubblico”; anzi che “per tutta l’area centrale e semicentrale (prima e seconda zona PGTU) la regolazione della domanda avviene attraverso il sistema di tariffazione della sosta su strada”. O quando si scopre che per i ciclomotori ci si limita alla futura elaborazione di un piano per il riordino dell’offerta di sosta in tutto il territorio comunale e d’enforcement per il rispetto delle regole da parte di motocicli in sosta d’intralcio. Campa cavallo ! è il meno che si possa commentare. Per non dire che le isole ambientali, giustamente definite come ambiti a “misura d’uomo”, vengono poi interpretate come aree pedonali o poco più. UN DISEGNO COMPLESSIVO SULLA MOBILITA’ DI PERSONE E MERCI Sullo stato del trasporto pubblico e sulla disastrosa via crucis quotidiana di tanti cittadini, nel PGTU si dicono le cose che in questi casi si dicono immancabilmente per prefigurare un futuro appena decente, ma non si accenna neppure allo stato delle aziende, ai debiti accumulati per cattive gestioni, per clientele e corruzioni, né al fatto che proprio l’assenza di politiche della mobilità, ovvero l’assenza di un disegno complessivo della mobilità delle persone e delle merci, determina il caos che vediamo sulle strade e l’impossibilità per i bus soprattutto, ma per le stesse metro e le tratte ferroviarie di determinare un qualche sollievo. La velocità e puntualità di un bus è direttamente proporzionale a ciò che trova sulla strada, diretta conseguenza di scelte sbagliate di politiche della mobilità e dell’urbanistica. La mancanza di un piano approda allora al placebo della “liberalizzazione” e dell’aumento del costo dei biglietti, con effetti sempre più incerti e di corta durata. Peraltro, l’urbanizzazione selvaggia è insieme madre e figlia di infrastrutture squilibrate. Lo sanno, bisogna dargliene atto, gli estensori del PGTU, quando scrivono che “ la pianificazione del territorio, delle infrastrutture e dei servizi di trasporto è una prerogativa specifica dell’Amministrazione Pubblica che per definizione opera con la finalità di massimizzare il beneficio collettivo. Le valutazioni trasportistiche – scrivono ancora dovrebbero essere prerogativa dell’Amministrazione Capitolina (i dati per le necessarie simulazioni sono infatti disponibili solo presso l’Agenzia della mobilità)” Fa malinconia quel “dovrebbero essere”, ma almeno siamo consapevoli che qui sta il punto nodale: riportare le decisioni al dibattito pubblico, nello spazio pubblico che deve essere ricostruito. LA RICOSTRUZIONE DI UNO SPAZIO PUBBLICO DI DISCUSSIONE SUL DEBITO Cominciando con la discussione pubblica sul debito del Comune e delle aziende partecipate, tra cui il Gruppo Atac. In questi giorni, in previsione della scadenza del 4 luglio prossimo, data entro cui il Governo deve approvare il piano di rientro predisposto dal Comune di Roma, veniamo a sapere qualcosa sul dissesto del bilancio comunale, senza però che si sia aperto un discorso trasparente su come si sia formate questo immane buco (oltre 22 miliardi complessivamente) e come si voglia porvi rimedio. Anzi, a leggere la relazione dell’Organismo di revisione economica e finanziaria sul rendiconto 2013 del Comune di Roma (aprile 2014) ci si imbatte in frasi inquietanti come questa. “LOref di Roma Capitale non è in grado allo stato di riferire sui livelli di indebitamento dell’Ente Roma Capitale, ex artt.202,203,204 e 207 del TUEL, occorre una seria verifica e ricognizione dei livelli effettivi del debito in essere correlato con il costo dell’indebitamento sia diretto che di quello conseguito in forza di accolli di debito derivanti da operazioni con società partecipate di cui si parlerà diffusamente nel paragrafo, ecc. ecc.…”(pag.38). L’analisi dell’Organo di controllo è impietosa nel mettere a nudo espedienti contabili che sembrano limitati a posticipare quello che va inteso come un assai rilevante disastro delle finanze capitoline, che incombe pesantemente sulle politiche sociali possibili, e tra queste sul trasporto pubblico e in generale sulle iniziative per migliorare l’attuale situazione intollerabile della mobilità, o anche solo della circolazione. Non per caso nel PGTU non vi 25 è alcun cenno alle risorse finanziarie necessarie per dar vita alle sia pure limitate azioni suggerite. Mentre nel cosiddetto piano di rientro – sganciato appunto da un argomentato dibattito nel merito – campeggia l’ostinazione a elargire soldi per le cosiddette incompiute, tra le quali primeggia la volontà di continuare in quell’opera mangia soldi e poco utile, nonché disastrosa per la qualità del paesaggio romano che è la metro C nel tratto da San Giovanni a Piazza Venezia. La legge cosiddetta “salva Roma” chiede di adottare modelli innovativi per la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale anche ricorrendo alla liberalizzazione; di procedere a fusioni di partecipate che svolgono funzioni omogenee e alla dismissione o messa in liquidazione di quelle che non risultino avere un fine sociale, di valorizzare e dismettere quote di patrimonio immobiliare, di verificare i costi unitari di fornitura dei servizi pubblici per portarli a livelli standard. Dove non sembra che sia propriamente una grande innovazione cedere a privati dei beni comuni, quando ci si dovrebbe invece cimentare finalmente nell’attuazione della nostra Costituzione che prevede che lavoratori e utenti di una azienda, produttrice di un determinato servizio, la possano condurre. Secondo la lista inviata dal Sindaco al Governo, rispondendo all’input negativo di segnalare le opere pubbliche bloccate, omologate come effetto di inefficienza e burocrazia, sembrano esserci 16 grandi opere (supercantieri li definisce la stampa) senza che vi sia una meditata ricognizione sull’impatto ambientale e il peso urbanistico complessivo di esse e nessuna valutazione sul fatto che alcune condizioneranno, se realizzate, la possibilità stessa di alternative più efficaci. Com’è noto il passaggio al tram, alla bici, il gusto di potersi muovere a piedi sarà impossibile se non si fermerà il flusso imponente dei pullman turistici e i movimenti delle auto e moto alimentato da molte di tali supposte priorità. NUOVE FORME DI MOBILITA’ SOSTENIBILE Perciò il dibattito e le analisi debbono spostarsi da questo ambito a quello più proprio della valutazione delle iniziative che altre capitali europee prendono per la riduzione drastica dell’uso delle auto e per dar vita a forme di mobilità sostenibile. Una maggiore attenzione dovrebbe essere posta sia ai differenti modelli di organizzazione urbana che alla struttura del trasporto pubblico, per tener conto di specifiche condizioni. Nel nostro caso esse sono il peso del pendolarismo e del turismo e lo studio delle discontinuità in atto nei comportamenti di consumo della città e della mobilità. Insomma, la priorità deve tornare ad essere l’abitare la città, di cui il circolare è corollario, ribaltando l’impostazione corrente, ossia la priorità della circolazione ad ogni costo, che conduce agli esiti tragici cui stiamo assistendo. Prima la morte della città che si disperde nell’hinterland, poi la morte della stessa automobile che si immobilizza nella congestione, infine i costi per cui si lavora buona parte del tempo per potersela pagare. Ovvero per poter andare a lavorare. In questo senso anche le isole ambientali tornerebbero ad essere veramente a misura di persona, modellate sulle attività umane e non semplicemente una nicchia accerchiata da strade di grande scorrimento o, come si dice eufemisticamente, da maglie di rete viaria principale. NUOVE FORME DI COORDINAMENTO NELLA GESTIONE DI UNA MOBILITA’ SOSTENIBILE E’ possibile e urgente intervenire subito, prefigurando quel disegno complessivo di cui c’è grandissimo bisogno. Intanto decidendo che i mezzi Atac, Cotral, FS e Ferrovie concesse,ecc. si coordinino, integrino i percorsi e le rispettive informazioni agli utenti, in modo da avviare la costruzione di un sistema integrato, a rete, a ragnatela; che vi sia un sistema di infomobilità comune e diffuso e conseguentemente tariffe unitarie con adeguate agevolazioni ed esenzioni; che le stazioni ferroviarie e metropolitane diventino nodi dell’intermodalità e si amplino le ore di trasporto delle bici; che i pullman si fermino all’esterno del Gra nei nodi di scambio. Analogamente, all’interno dei Gra e nel Centro 26 della città interventi immediati possono essere la dissuasione della sosta alle fermate dei bus, l’accessibilità ai mezzi pubblici; la continuità da capolinea a capolinea delle corsie preferenziali; la liberazione dei marciapiedi; il disegno di percorsi ciclabili dove le strade lo permettono e in occasione della loro manutenzione; la realizzazione di parcheggi per biciclette nei condomini, davanti alle scuole, ai servizi pubblici, nelle strade commerciali, l’avvio di car pooling e sharing seri e ben impostati con facilitazioni e incentivi. Nel medio periodo si potrà migliorare l’offerta su ferro, e lo stato dei bus, ampliare le corsie preferenziali, dare attuazione integrale al Piano della ciclabilità, curare orari e modalità di viaggio attenti alla differenza di genere e alle difficoltà di muoversi di tante persone, riordinare il sistema taxi per farne elemento flessibile e terminale del trasporto pubblico, organizzare la distribuzione delle merci di notte. E iniziare la progettazione partecipata di importanti strutture di base come la tramvia sul lungotevere di sinistra o il nodo di San Giovanni. Le idee ci sono e sono note, l’amministrazione comunale ha la responsabilità di darvi seguito 27 5. Il problema insoluto della produzione, della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti 28 Il problema insoluto della produzione, della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti dal “sistema Malagrotta” al traguardo Rifiuti Zero 2020 Massimo Piras Presidente Ass. Zero Waste Lazio PREMESSA Tuttora vige nel Lazio la Legge regionale n. 27/1998, una normativa superata dal Dl Lgs. n. 36/2003 e dal T.U. ambiente n. 152/2006, che testimonia l’illegittimità in cui opera da anni la Regione Lazio e l’anomalia giuridica con cui è stato costruito l’attuale Piano Rifiuti Regionale che fa riferimento alle norme nazionali e non a quelle regionali, che dovrebbero essere il quadro normativo di riferimento al Piano rifiuti regionale stesso a cui RomaCapitale apporta circa il 60% in termini di produzione annua di rifiuti urbani ed assimilati. Negli ultimi anni si riscontrano infatti i seguenti passaggi istituzionali: Ø La decadenza del Piano rifiuti Marrazzo e dello stesso ex presidente di centrosinistra che, dopo proclamazione della fine del commissariamento decennale del Lazio, lascia una situazione di raccolta differenziata pari al 15%, Ø La ascesa al potere della giunta di centrodestra di Renata Polverini che, dopo due anni di inerzia totale sulla gestione della discarica di Malagrotta e nonostante i proclamati annunci a favore della raccolta differenziata, si limita ad emettere uno studio preliminare con annessa ordinanza per l’individuazione di tre discariche in sostituzione della ripetutamente annunciata chiusura di quella di Malagrotta, individuando aree nei Comuni di Fiumicino, Riano, Roma Mun8 – Corcolle; Ø La approvazione nel 2011 del nuovo Piano rifiuti regionale della giunta Polverini, elaborato nella prima parte come progetto di riallineamento alla gerarchia europea in vigore anche se privo di specifiche linee guida industriali e finanziarie, stabilisce finalmente che la tipologia di raccolta dei rifiuti a Roma e nei Comuni laziali della fascia A (sopra i 30mila abitanti) è quella di tipo “domiciliare” o “porta a porta” supportata da Ecocentri a servizio dei rifiuti ingombranti ed urbani pericolosi non previsti in forma domiciliare; Ø La stipula nel 2012 del cosiddetto “Patto per Roma” tra il ministro Clini, il commissario straordinario Sottile, il sindaco Alemanno, il presidente della provincia Zingaretti e la presidente della regione Polverini in cui si fissano risorse aggiuntive da parte del Ministero ambiente (pari a circa 10 milioni euro/annui sino al 2016), risorse messa a disposizione dal CONAI per il ritiro di materiali differenziati (pari ad almeno 30milioni di euro/annui) legate al raggiungimento degli obiettivi R.D. del 30% al 2012 – 40% al 2013 – 50% al 2014 – 60% al 2015 e 65% al 2016. Ø L’elezione del sindaco Ignazio Marino nel 2013, che eredita una situazione di cronica emergenza, dovuta a molti fattori diversi che si sono intrecciati perversamente nel tempo, e che ne condiziona per oltre un anno l’attività amministrativa nel settore tra cui i principali sono: a) il nodo irrisolto con la C.E. per la presenza della megadiscarica di Malagrotta e di un “sistema” monopolistico bloccato dalla gestione di Cerroni e co. sulla raccolta e conferimento di rifiuti “talquale” per alimentare la filiera TMB x produrre CDR – Inceneritori di Colleferro e S. Vittore - discarica di Malagrotta, lasciando la raccolta differenziata a livelli sotto il 15% sia a Roma che nel Lazio con decine di società collegate (Pontina Ambiente per la discarica di Albano laziale / Eco Italia 87 per la discarica di Guidonia / Ecoambiente srl per la discarica di Borgo Montello LT / Ecologia Viterbo per la discarica di Viterbo); b) mancato avvio di una profonda operazione di risanamento aziendale di AMA Spa, che oggi presenta una situazione pre-fallimentare accumulata nel tempo con un bilancio pesantissimo in termini di esposizione bancaria per investimenti sbagliati e strategie di management fallite, una dotazione di personale molto esuberante a seguito di decenni di 29 assunzioni clientelari, una cronica mancanza di impiantistica dedicata al trattamento dei rifiuti indifferenziati e specialmente al recupero della frazione organica con il ricorso perenne agli impianti del CO.LA.RI di Cerroni od a gare di appalto esterne a costi proibitivi; c) la assoluta dipendenza politica delle giunte precedenti dalle esigenze e dai piani del “sistema” Cerroni, che ha di fatto gestito tutte le scelte industriali ed impiantistiche di Roma legandole ai suoi interessi, e la assenza del ruolo di indirizzo politico della giunta capitolina nelle scelte imprenditoriali di AMA Spa. Si è assistito negli ultimi anni alla sperimentazione di sistemi di raccolta del tutto contraddittori, con l’effetto di far apparire la Raccolta differenziata come una pratica difficile ed inutile sino a far rimpiangere il pessimo cassonetto, in cui AMA ha sperimentato ben sei diverse modalità di gestione per la raccolta differenziata, scelte su cui ha pesato l’ipoteca lasciata dalla precedente gestione con l’acquisto di 45mila nuovi cassonetti stradali e di decine di autocompattatori a caricamento laterale. Di contro anche la cosiddetta società civile nel tempo ha fatto le sue mosse: Ø la vertenza aperta dagli amici del Comitato Malagrotta che con fasi alterne a visto numerosissime iniziative sia di protesta pacifica e determinata che azioni molto significative nell’attivare le procedure di infrazione presso la C.E. e la Corte di giustizia europea che hanno portato dopo anni al risultato della condanna e delle relative sanzioni al governo italiano per la plateale illegalità nel conferimento di rifiuti “talquali” su una superfice di circa 240 ettari di ex cave di sabbia della Valle Galeria dagli anni 60 sino alla sua chiusura finale alla fine del 2013 ad opera della giunta Marino; Ø l’avvio nel 2007 del progetto “sperimentale” di raccolta “porta a porta” in tre quartieri di Roma (Decima – Colli Aniene – Massimina) che consegue un successo forse inaspettato per AMA spa e che costringe al suo allargamento nel 2009 ad altri tre quartieri di (Trastevere – Villagio Olimpico – Torrino) ma che complessivamente ha interessato solo 70.000 abitanti su 2,5 milioni totali = il 2,8 % delle utenze con oltre il 65% di obiettivo di differenziazione raggiunta in pochi mesi; Ø Il lavoro partito nel 2011 di elaborazione di una Delibera di iniziativa popolare denominata “Roma verso Rifiuti Zero” con un documento allegato di Linee guida elaborato da Zero Waste Lazio e l’organizzazione di un Comitato promotore Diamocidafare che ha supportato una Campagna di sei mesi di raccolta firme in tutta la città conclusa con il deposito della Delibera a giugno 2012 in Campidoglio con oltre undicimila firme di romani. Ø la istituzione ad ottobre 2013 del Tavolo tecnico di confronto con la delegazione guidata da Zero Waste Lazio e quella di RomaCapitale guidata dall’assessore ambiente e rifiuti Estella Marino, con il risultato di approvare ad aprile 2014 una bozza condivisa di Delibera di giunta municipale che ha raccolto lo spirito e gli obiettivi della Delibera di iniziativa popolare pur aggiornandone le normative, le tempistiche e concordando limitate modifiche al testo depositato. LA SITUAZIONE ATTUALE A ROMA Il progetto sperimentale di R.D. porta a porta finalmente stà passando da progetto di nicchia, che ha visto dal 2007 impegnati pochi quartieri pur avendo conseguito ottimi risultati, ad una fase nuova derivata dalla firma nel 2012 del cosiddetto “Patto per Roma”. Un atto che stanzia risorse aggiuntive per Roma ed insieme fissa il raggiungimento degli obiettivi di RD, prevedendo quello del 65% al 2016, e sulla base del quale è stato predisposto uno studio di fattibilità, redatto dal Dipartimento Ambiente / AMA Spa / CONAI. Tale progetto però prevede la suddivisione in 155 Zone Territoriali Ottimali, i cui i criteri sono oggi incompatibili con gli obiettivi della Delibera “Roma verso Rifiuti Zero” e debbono essere oggetto di profonda revisione, dal momento che si è stabilito che il sistema di raccolta generalizzato a regime nel 2020 debba essere quello domiciliare o “porta a porta”. E’ evidente quindi che oggi permane ancora, nonostante i continui aggiornamenti da parte della giunta Marino, la previsione preponderante del sistema di raccolta stradale è ancora prevista per il 60% circa degli utenti mentre il sistema domiciliare è rimasto limitato ad un 40% degli utenti. Si sottolinea come tali 30 previsioni fossero già in contrasto nel 2012 con quelle del Piano di gestione regionale dei rifiuti vigente, laddove al punto 9.3.1. della sezione Rifiuti urbani si prevede per Roma la esclusiva tipologia di “raccolta domiciliare”. Il sindaco Ignazio Marino ha preso un impegno in campagna elettorale per sostenere il percorso Rifiuti Zero e lo stesso impegno è riconfermato dal lavoro del suo assessore all’ambiente Estella Marino nel tavolo tecnico di confronto con Zero Waste Lazio a supporto delle “Linee guida” allegate alla delibera stessa. Tale impegno potrebbe vedere finalmente una larghissima maggioranza se non l’unanimità dell’Aula Capitolina votare per questo percorso di “rivoluzione pacifica”, visto che anche il precedente sindaco Gianni Alemanno e la sua maggioranza si erano già impegnati pubblicamente ad aderire alla Strategia Rifiuti Zero durante la presenza a Roma nel 2011 di Jack Macy - responsabile commerciale della città di S. Francisco U.S.A. Ricordiamo che la città di S. Francisco oggi ha raggiunto circa l’80% di R.D. con un bacino di 6 milioni di abitanti compreso l’hinterland – metropoli in cui le metodiche di R.D. porta a porta sono applicate sia ai grattacieli che alle villette a schiera, a conferma dalla flessibile attuabilità del sistema in ambito metropolitano, in cui sono state adottate le tecnologie impiantistiche di selezione e trattamento “a freddo” dei rifiuti sia della frazione secca che di quella umida. Ritenuto che Roma Capitale ed AMA siano orientate verso una scelta alternativa convinta di riconversione dell’attuale ciclo di gestione dei rifiuti, anche per la dicotomia tra il contenuto del Piano regionale ed i programmi attuali dell’AMA, e tenendo presente che oggi Roma produce 1,87milioni di tonnellate annue di rifiuti urbani e rifiuti speciali assimilati agli urbani si debbono affrontare i seguenti nodi: 1. La situazione dell’impiantistica di selezione di AMA Spa per il riciclo di multimateriale stradale differenziato è tuttora del tutto inadeguata rispetto perfino alla situazione attuale. Sono in esercizio soltanto due impianti di selezione per il riciclo del multimateriale (uno a Rocca Cencia da 100 ton/gg e l’altro a via Laurentina – Pomezia 70 ton/gg), quindi con una capacità complessiva dichiarata di circa 60mila ton/anno contro le oltre 500mila ton/anno teoriche di frazione secca differenziata, in base ad un annunciato 40% di R.D a fine 2013. Quasi tutto il quantitativo di questi materiali differenziati ed ingombranti infatti viene affidata in sub-appalto ad una catena di piattaforme private convenzionate con i Consorzi di riciclo con ulteriori costi che gravano sul bilancio interno. 2. Stessa situazione rispetto all’impiantistica per il trattamento del rifiuto indifferenziato con produzione C.D.R., in quanto sono attualmente in esercizio due impianti AMA (uno a Rocca Cencia e l’altro a via Salaria entrambi con capacità dichiarata da 750 ton/gg) che risultano autorizzati a trattare sino a 468mila ton/anno. Tenendo conto che alla capacità specifica di AMA si aggiungano anche i due impianti di Co.La.Ri. a Malagrotta per un totale autorizzato di 467mila ton/anno, si arriva a determinare una capacità totale per Roma pari a 935mila ton/anno che sembra sia pari ai rifiuti indifferenziati “talquale” da trattare pari a circa un milione di ton/anno. L’inserimento nella Delibera “Roma verso Rifiuti Zero” dell’attuazione del principio di “recupero di materia” pone oggi il tema impellente di iniziare la riconversione di questi impianti per interrompere con la necessaria gradualità la produzione di CDR destinata all’incenerimento che è incompatibile con la direzione indicata e con l’obiettivo di tutelare la salute e l’ambiente attraverso trattamenti “a freddo”. La piena attivazione di tali impianti di trattamento del “talquale”, contestuale alla loro riconversione “leggera” per trasformare le linee di lavorazione della frazione secca da linee di produzione del CDR in linee per il recupero di materiali, assume centralità nella strategia a breve termine per garantire la minimizzazione degli impatti dello smaltimento, dato che ricordiamo che il CDR rappresenta solo un terzo mentre i due terzi dei rifiuti trattati finiscono comunque in discarica come scarti o Frazione Organica Stabilizzata. 3. Ultimo annoso capitolo è quello dell’impiantistica di compostaggio per la frazione umida, che è oltre un terzo del totale dei rifiuti urbani, di cui Roma produce oggi oltre 200mila ton/anno con la prospettiva a regime di oltre il doppio. Se questi impianti dovessero trattare la 31 frazione umida differenziata e la frazione verde e stando al solo dato di R.D. del 2013 dovremmo avere impianti oggi per almeno 200mila ton/anno compresa la dichiarata raccolta dell’umido avviata dall’anno scorso presso bar e ristoranti. A fronte di questa quantità abbiamo un solo impianto di compostaggio in esercizio, quello di Maccarese (Fiumicino) per una capacità autorizzata di appena 31mila ton/anno !!! Quindi oggi è trattato solo il 15% della frazione organica differenziata mentre il resto viene avviato con costi salati di trasporto e trattamento in Emilia ed in Veneto. In altre parole si tratta di potenziare notevolmente un rapporto con le aziende-Piattaforme CONAI esistenti a Roma e nel Lazio o nelle regioni limitrofe al fine di programmare un flusso di materiali riciclabili che configurino un’attività commerciale che al raggiungimento dell’obiettivo del 65% di R.D. a regime avrebbe, solo per la città di Roma, una portata di circa 3.000 ton/giorno pari ad 1 milione di ton/anno, da movimentare e da commercializzare, con introiti quantificabili in circa 70 €/ton in media cioè circa 60 milioni di euro annui di ricavi (Dati Accordo ANCI-CONAI 2014). Si dimostra facilmente che con la riconversione della raccolta dei rifiuti urbani da modalità stradale al porta a porta si consegue come effetto immediato una Riduzione della quantità di rifiuti speciali abusivamente conferiti (inerti da ristrutturazione, imballaggi di attività commerciali, scarti di lavorazione artigianale, ecc.) normalmente oscillanti tra il 13% ed il 25% del R.U. totale. Prudenzialmente abbiamo inserito nel diagramma di flusso sottostante il valore minimo del 13%, oltre un 2% aggiuntivo derivato dalle buone pratiche connesse all’avvio della campagna di sensibilizzazione che precede l’avvio del porta a porta stesso (riduzione di imballaggi, bottiglie in plastica, pannolini usa e getta, organico compostato in casa, etc.). Il valore della Riduzione da buone pratiche è del tutto prudenziale, potendo conseguire valori oscillanti tra il 10 ed il 15% in fase di piena applicazione di un apposito programma di Riduzione attiva che rappresenta un punto fondamentale del presente Piano. LA FASE TRANSITORIA DI RICONVERSIONE Premesso che a Roma si è sperimentata da sette anni ed accertata la validità del sistema porta a porta in quartieri con diverse tipologie edilizie e con connotazioni urbane sia centrali che periferiche, con risultati in genere mai al di sotto del 65% di R.D., siamo quindi oggi nella condizione oggettiva di attuare l’estensione generalizzata di questa modalità all’intera area urbana e suburbana di Roma Capitale secondo un preciso cronoprogramma che consolidi una R.D. 65% al 2016 per puntare al 75% al 2020. In questa fase parliamo ovviamente di riconversione del Servizio di raccolta e dell’annessa filiera di riciclo/recupero come missione primaria e fondamentale sui cui AMA debba e possa investire risorse economiche e sintetizzando per punti occorre investire sui seguenti capitoli: 1. La costruzione della rete infrastrutturale impiantistica mancante, 2. L’adeguamento di struttura e parco macchine al nuovo servizio di raccolta p.a.p., 3. L’addestramento professionale del personale utilizzato nella raccolta p.a.p., 4. Una campagna informativa e mediatica all’altezza della svolta epocale esposta. IL TRAGUARDO RIFIUTI ZERO AL 2020 Il percorso che stimiamo possa avvenire nell’arco complessivo di sette anni, a partire dall’avvio della fase transitoria nel 2013, avverrà con step successivi di avanzamento che possano consolidare a regime un risultato di R.D. pari anche all’80% come quello conseguito a S. Francisco (USA), attraverso una scelta che oggi appare inevitabile per chiudere definitivamente la gestione del puro “smaltimento” dei rifiuti ed aprire la fase delle nuove opportunità legate alla minimizzazione della produzione di rifiuti urbani ed insieme alla massimizzazione del recupero/riciclo. I correlati scenari di nuove attività imprenditoriali ed occupazionali ad impatto zero sono oggi una scelta di cui oggi Roma Capitale ed il Lazio non possono più ignorare la necessità ed il peso sociale, economico ed ambientale per l’intera comunità capitolina e regionale. 32 IL DIAGRAMMA DI FLUSSO A REGIME RD 80% NEL 2020 Il percorso indicato è previsto sia connotato con una vera partecipazione popolare permanente, in cui l’istituzione degli Osservatori Rifiuti Zero Municipali e di un Osservatorio Rifiuti Zero Centrale possano costruire un continuo confronto alla pari tra l’Amm.ne comunale ed i cittadini organizzati ed attivi in cui ogni parte si avvarrà di esperti e consulenti di supporto al superamento delle criticità ed all’inserimento delle innovazioni che possano dare un impulso ad una radicale trasformazione verso la sostenibilità. IL CONTROPIANO RIFIUTI ROMA RD 80% R.U. 100% 1.590.000 t/anno – 15% riduzione = 1.350.000 t/anno R.D. 80% Imballaggi + Umido 570.000 + 530.000 = 1.100.000 R.U.R. 20% 270.000 TMB Stabilizzazione Aerobica F.O.S. 125.000 SECCO 125.000 UMIDO 125.000 Sovvallo 8% Perdite 20.000 BIOMETANO Digestione Anaerobica / Compostaggio Aerobico FORSU 530.000 RICICLO PULITO 570.000 Stabilizzato per Bonifiche - 25.000 RICICLO SPORCO 125.000 Altri Consorzi 125.000 Consorzi CONAI 570.000 PERDITE 35% - 500.000 t/a (Di materia e acque reflue) Discarica 4% 50.000 RECUPERO TOTALE 58 % - Discarica 70.000 t/a 780.000 t/a COMPOST 130.000 / 265.000 DISCARICA 5% IMPEGNO FINALE DEL SINDACO MARINO L’impegno che chiediamo pertanto oggi al Sindaco Ignazio Marino ed alla sua Giunta è quello di approvare con urgenza la Delibera di giunta concordata al Tavolo tecnico con Zero Waste Lazio, iscriverla con priorità all’ordine dei lavori dell’Aula Capitolina e procedere all’istituzione degli organismi di partecipazione popolare previsti. Vogliamo sapere quali sono gli impegni temporali che il Sindaco si assume su questo percorso? A nostro avviso debbono essere prima della pausa estiva, e vogliamo sapere se il Sindaco è d’accordo che si stabiliscano subito una serie di iniziativa pubbliche che annuncino le fasi di approvazione degli atti amministrativi, che si mettano a disposizione il personale tecnico ed amministrativo necessario presso l’Assessorato all’ambiente e rifiuti e che si pianifichino subito soprattutto gli atti relativi alla concreta attuazione della Delibera “Roma verso Rifiuti Zero”. 33 6. Lo stato di crisi dell'archeologia, il suo rapporto con l'urbanistica anche alla luce del dibattito sul Parco archeologico e del caso via Giulia 34 Archeologia e urbanistica, un rapporto fecondo che può produrre inedite sinergie rinnovative per Roma Enzo Scandurra Docente universitario PREMESSA: DUE O TRE COSE INTORNO AL SINDACO Che cosa mi aspetto dal Sindaco Marino e dalla sua Giunta? E cosa vorrei che facesse? Cercherò di porre le domande così come è nello spirito del convegno. Ma prima una premessa indispensabile e mi si scusi la schematicità con la quale la espongo dovuta al limite di righe (e di tempo) assegnatomi. Marino ha sconfitto, a Roma, i suoi sfidanti per quella sua aria di estraneo ai fatti: un chirurgo prestato alla politica, uno che ha studiato negli Stati Uniti. Refrattario alle consorterie del Pd romano, egli è apparso addirittura “ingenuo” come il principe Myskin, “un uomo positivamente buono”, per usare direttamente l’espressione di Dostoevskij (da notare che in russo l’espressione prekrasnyi (tradotto in “buono”) indica lo splendore della bellezza). Da più parti (e anche dalla sua stessa parte politica) si chiede a Marino di essere più concreto, più comunicativo con i romani e più deciso a perseguire e, conseguentemente, a mostrare i segni del rinnovamento che invece fanno fatica a emergere anche quando ci sono. Qualcuno propone (e anche tenta) di metterlo sotto tutela. Tuttavia proprio questa sua estraneità al condominio della gretta politica romana è stata la principale caratteristica che ha conquistato gli indolenti e disincantati romani. Ora questa sua caratteristica rischia di trasformarsi in un deficit pericoloso che fa di lui facile preda di chi, da destra quanto da sinistra, intende attaccarlo. Io non chiederò mai a Marino di “tradire se stesso”, di normalizzarsi allo standard politico. Quella di Marino è una virtù che in politica viene considerata una debolezza, proprio come quegli uomini che dimostrando una sensibilità acuta, finiscono per essere bollati come “femminucce” (con tanto di buon servito al sesso femminile). A Marino chiederei al contrario proprio di far diventare un’arma potente questa sua “inadeguatezza” senza inseguire il canto delle sirene della politica politichese. Roma ha bisogno anche di sognare, di sperare, di credere che questa sua storica indolenza possa avere un sussulto, una smentita. Non un illusionistico orizzonte di finta modernità, ma uno scatto di orgoglio per essere all’altezza di se stessa. E Marino può fare questo se riuscisse a rivolgersi direttamente ai romani, cercare di parlarne la lingua, intercettare le loro speranze e le attese che qualcuno possa risollevarli da questo oblio passato che ancora produce una ingannevole rendita (come i finti centurioni romani davanti il Colosseo). SULLA SEPARAZIONE DELL’ARCHEOLOGIA DALL’URBANISTICA Fatta questa premessa entro nel merito del tema che mi è stato assegnato, quello del rapporto tra lo stato di crisi dell’archeologia e l’urbanistica (che pure gode tutt’altro che di buona salute) Provo a fare una semplificazione. L’archeologia corrisponde alla memoria di una civiltà o di una città, le tracce sedimentate, la storia evolutiva, i segni, le testimonianze, i successi 35 così come i fallimenti. Possiamo assumere l’urbanistica come invece il presente di questa città, ciò che noi vorremmo fosse. Se tale semplificazione mi è concessa e se essa regge, allora il rapporto tra le due discipline diventa il rapporto che lega passato e presente. Comincerò dunque dalla memoria, dal passato e dal lascito che ci perviene ai nostri giorni. Per farlo utilizzo sin da subito alcune affermazioni del noto antropologo Ernesto De Martino, tratte dal suo libro “La fine del mondo”.” […] il mondo è familiare perché la famiglia culturale umana vi ha lasciato tracce di sé, vi documenta la sua storia. Il mondo è la storia vivente degli altri in noi, e non importa se questa vita si muove in noi ora come abitudine […]. Quando l’uomo esperisce davvero il limite del suo mondo e si affaccia sul nulla perché non sa più trascenderlo (il campanile di Marcellinara), quando l’ordine delle sue memorie culturali si dilegua, è il mondo che sprofonda” (pp. 528/9). E’ un’affermazione efficace a rappresentare l’importanza del “passato storico” (senza concedere nulla alla retorica del “passato”) e il ruolo che l’archeologia può svolgere nei confronti dell’urbanistica ad evitare quella che De Martino chiama apocalisse, ovvero il “vuoto della storia”. Il “Progetto Fori” elaborato dall’Assessore Caudo, ad esempio, ha una straordinaria spinta propulsiva volta ad affrontare i problemi del presente (spazio pubblico, traffico, stare insieme) attraverso il recupero della memoria storica (i passaggi, la centralità dell’area, ecc.). Qui archeologia e urbanistica possono incontrarsi e generare forme inedite di rinascimento urbano conferendo senso a quelle soluzioni che si riallacciano al “mondo domestico”. Il passato perduto costituisce in tal senso una indispensabile fonte di informazione che illumina il presente, fornisce i punti di riferimento urbanistico cui orientare il progetto, ovvero “per promuovere la prassi umana nel presente”. In tal senso questo passato inerte ci consente un doppio movimento: orientare la prassi urbanistica a segni che hanno organizzato il mondo domestico e “liberare” questa memoria racchiusa in ognuno degli abitanti della città anche quando essi ne sono depositari inconsapevoli. Al contrario, la separazione tra archeologia e urbanistica costituisce la perdita di questo sfondo che ha una valenza collettiva e il rischio dello sradicamento del mondo nuovo senza più riferimenti. Marcello Massenzio nel suo saggio su De Martino afferma: “Noi possiamo sostenere, a differenza del vecchio pastore di Marcellinara, l’esperienza dello spaesamento, purché questa sia temporanea, a condizione che il viaggio che ci conduce fuori dall’orizzonte consueto comporti il momento del ritorno (all’universo) che ci è familiare, al patrimonio simbolico che fonda la domesticità del nostro mondo” (Roma, io aggiungo). Queste riflessioni di (e su) De Martino dovrebbero metterci in guardia da facili suggestioni urbane come la celebrazione di eventi straordinari, l’imitazione di effimeri modelli internazionali, la distrazione simbolica prodotta da illusionistiche architetture che celebrano solo se stesse, e tanti altri canti di sirene come ad esempio quelle straordinarie fantasticherie urbane che vanno sotto il nome di smart cities così tecnologicamente seducenti che le stesse persone appaiono antiquate. La domanda che pongo è la seguente: vuole il Sindaco Marino dare seguito al Progetto Fori così come ci è stato (avaramente) illustrato in convegni quasi clandestini dall’assessorato alla Rigenerazione Urbana? Vuole il Sindaco avviare una discussione pubblica di tutta la città su questo cambiamento che segnerebbe una inversione di tendenza rispetto alla prassi (internazionale) di inseguire i miti e i riti del cambiamento continuo e della santa Innovazione che producono quella che De Martino chiama apocalissi e fine del mondo familiare e domestico? 36 La tela del patrimonio archeologico tra memoria collettiva ed urbanistica contemporanea Manlio Lilli Archeologo – FORUM Salviamo il Paesaggio Era il 1975 quando Alberto Moravia pubblicava “Contro Roma”, una raccolta di saggi di intellettuali scandalizzati dalle condizioni nelle quali si trovava la Città. Solo un anno prima il Vicariato aveva promosso un convegno sui mali di Roma che non passò certo inosservato. Da quella stagione sono trascorsi quasi quarant’anni. Nei quali la città si è allargata verso l’esterno, ma anche condensata, saturando tanti spazi al suo interno. Scoprendo parti, anche considerevoli, delle sue fasi più antiche. Urbanistica e archeologia, dopo decenni di lotte fratricide, hanno iniziato a confrontarsi. Purtroppo, troppo spesso, in maniera sbagliata. Forse anche perché ognuna delle due parti ha ritenuto di inseguire il modello “migliore” per la città. Gli uni convinti che Roma sarebbe potuta crescere, svilupparsi, soltanto attraverso nuove costruzioni. Ovunque. Gli altri certi che la città non potesse rinunciare a nessuna delle sue parti più antiche. Per questi motivi Roma continua ad essere una città “sbagliata”, utilizzando la celebre definizione di Insolera. Una città urbanisticamente disordinata, nella quale l’archeologia continua ad essere una questione marginale. Nella quale i monumenti, le piccole e grandi aree archeologiche, sono quasi “funghi pittoreschi”, fossili avulsi dal contesto. Spazi che quasi naturalmente, considerate le sistemazioni nelle quali si offrono, appaiono votati al degrado. Su questo Patrimonio agiscono, con competenze diverse, non sempre in perfetta condivisione, attori differenti. Le due Soprintendenze archeologiche, quella Statale e quella Comunale, l’Amministrazione comunale e quindi quelle municipali. Dalle loro politiche evidentemente dipendono, in vario modo, le sorti di Monumenti ed aree archeologiche. Il loro ruolo all’interno della Città. Dei due elementi che contribuiscono alla definizione non solo spaziale della Città, cioè urbanistica e archeologia, solo la prima si presenta con accezioni differenti, nei diversi quadranti. Fino a mutare, anche radicalmente, spostandosi dal Centro alle Periferie. Se il dissennato consumo di suolo ha potuto realizzarsi quasi senza contrasto al difuori della città storica, anzi si è sviluppato progressivamente di più allontanandosi dal centro, al suo interno si è necessariamente contenuto. PARCO ARCHEOLOGICO CENTRALE E METRO C Così di fronte ad un’urbanistica “variabile”, c’è stata, direi c’è, un’archeologia “costante”. Cioè sempre relegata ad un ruolo secondario. Di contorno. Che continua ad avere. Nonostante il progetto del parco archeologico nell’area centrale. Progetto che ha avuto il merito di riaccendere i riflettori su una questione antica. Ma in realtà mai affrontata. Uno dei temi, il tema, di Marino in campagna elettorale diventato uno dei progetti del nuovo sindaco. E del nuovo assessore alla Cultura Barca. A Luglio e poi ad Agosto ed anche a Settembre le cronache romane anche dei maggiori quotidiani nazionali hanno contribuito a dare il giusto risalto alla questione. Che continua ad articolarsi in una serie di successive pedonalizzazioni. E sull’intenzione di smantellamento della fettuccia di via dei Fori imperiali. Sfortunatamente con l’aggiunta della Metro C. Dei cantieri in via Sannio, piazzale Ipponio, largo Celimontana e via dei Fori imperiali. Cantieri invasivi che a dispetto delle rassicurazioni, hanno provocato l’abbattimento di numerosi alberi, la distruzione almeno del belvedere Cederna. Oltre che la messa in pericolo di tanti monumenti antichi. Dalle mura aureliane al tempio di Venere e Roma. Dalle sostruzioni del tempio di Claudio alla Basilica di Massenzio. Ora, in attesa che si chiarisca quale sia il progetto del parco 37 archeologico, che cosa preveda la sua realizzazione e quali siano le modalità con le quali si pensa di portarlo a compimento, rimane incerta la sorte dei resti evidenziati nei sondaggi preventivi. A partire da quelli rilevati nei cantieri di via La Spezia e di piazza San Giovanni. MONUMENTI LIMITROFI AL PARCO ARCHEOLOGICO CENTRALE Segnalo a questo proposito come le attenzioni che si promettono per i Fori, non sembrino riguardare le aree immediatamente vicine. Per le quali sarebbero indispensabili interventi di vario impegno. In alcuni casi improcrastinabili. Come nel caso della Meta Sudans, la monumentale fontana di età flavia di forma conica i cui resti sono visibili tra il Colosseo e l’arco di Costantino. Monumento di straordinaria rilevanza ma sostanzialmente ignoto a turisti e passanti. Mancando perfino di un cartello che ne fornisca almeno le formazioni primarie. Come nel caso delle Terme di Tito, i cui resti sono visibili lungo la scarpata, affacciata su via dei Fori imperiali, che dall’altezza della fermata della metro B raggiunge piazza del Colosseo trovano nel piazzale del Colosseo. Anche qui manca qualsiasi tipo di indicazione sulla loro esistenza. Non solo. Il loro stato di conservazione è quanto mai precario. Continui sono i distacchi di muratura delle strutture ed il loro scivolamento verso il marciapiede. L’impressione è che la gran parte dei monumenti si trovi in un limbo infinito, nel quale si oscilla tra l’”invisibilità” e il suo connubio con l’abbandono e il degrado. Non poche volte causato da una assoluta mancanza di decoro. Il timore è che a poter salvare l’uno piuttosto che l’altro sia l’intervento speciale, piuttosto che una politica complessiva nella quale si sono stabilite priorità. Si sono programmate scadenze. E’ sufficiente dilatare il campo di osservazione, “uscendo” appena dal perimetro del più grande parco archeologico del mondo, per verificare lo stato di conservazione del Patrimonio archeologico romano. I resti delle terme di Traiano e il cantiere della Domus aurea al Colle Oppio, sono luogo di sosta di senza tetto. E’ stato documentato più volte anche negli ultimi mesi. Il parco che “lega” i monumenti, ormai da anni è un luogo di abbandono. Gli importanti lavori di restauro che riguardano parti dell’impianto termale e la residenza neroniana, per la quale come ha dichiarato il ministro Franceschini sono necessari ulteriori 31 milioni di euro, restituiranno ambiti antichi sofferenti. Ma di certo non contribuiranno a sanare quel vuoto esistente. Soprattutto non potranno offrire quel senso d’insieme, necessario anche alla comprensione dei monumenti, che manca. Che continua a mancare. L’ex assessore Barca agli inizi dello scorso marzo presentò un progetto che riguardava anche quest’area del Colle Oppio. L’idea centrale era quella di (ri)creare una sorta di Grand Tour. Il Grande Programma europeo Roma Grand Tour. Con l’obiettivo di “ricucire, ricomporre e riunificare la tela del Patrimonio archeologico di Roma Capitale in un percorso unitario di fruizione e di conoscenza”. Un progetto che prevedeva, oltre a due siti periferici, otto centrali. Parco del Celio, Colle Oppio, Tor de Conti, Mercati di Traiano, Campidoglio, Teatro Marcello, via dei Cerchi e Circo Massimo. L’elemento qualificante per la Barca? Il fatto che ogni luogo avrebbe simboleggiato un tema. Così il Campidoglio la vita pubblica, il teatro di Marcello l’arte, il Colle Oppio il benessere, il Celio gli stili di vita, i Mercati di Traiano il progresso e il Circo Massimo il tempo libero. Non credo che quello fosse l’approccio migliore a problemi anche contrapposti tra loro. Sono convinto che i simboli finiscano per produrre l’effetto opposto rispetto a quello sperato. Non identificazione, ma genericità. Confusione. In ogni caso sarebbe utile sapere se quel progetto è ancora in itinere. 38 I CASI DEL CIRCO MASSIMO E DELL’ANTIQUARIUM COMUNALE DEL CELIO Quel che è certo è che tra gli otto luoghi scelti dall’ex assessore alla Cultura, almeno due presentano caratteri di così evidente urgenza da sembrare improcrastinabile un intervento risolutore. Il primo luogo sul quale sembra doveroso un intervento è il Celio. Più propriamente il vecchio Antiquarium, abbandonato nel 1939 a seguito delle lesioni provocate dalla realizzazione dei lavori della Metro B. Recentissimamente il Sovrintendente comunale ai Beni Culturali, Presicce, ha parlato di un progetto da 25 milioni di euro per la struttura pericolante intorno alla quale anche quest’anno si svolgerà “All’ombra del Colosseo”, uno degli eventi dell’Estate Romana. L’ambizione di recuperare quell’edificio per farne ”una sorta di terrazza sovrastante ad una delle zone più importanti del centro”, legittima. La necessità di strapparlo al degrado, un’urgenza. Sapere quanto il progetto di riutilizzo sia avanzato, utile. Il secondo è costituito dal Circo Massimo che continua ad essere per almeno due terzi del suo ingombro uno spazio “per tutto”. Per concerti. Per festeggiare vittorie sportive. Per eventi di ogni tipo. Oltre che per fare footing, passeggiare, giocare a pallone. Insomma uno spazio multifunzionale nel senso deteriore dell’accezione, del quale sembra essersi quasi persa l’”antichità”. A meno che non si raggiunga l’estremità dell’invaso, verso la Fao. Definirne la funzione, recuperandone quella originaria, è un’operazione che necessita di attenzione. Comunque un’operazione da farsi. In ogni caso la sensazione è che Roma sia ancora incapace di legare il tessuto urbano con i tanti buchi del presente come del passato. Dall’area sacra di Largo Argentina ai resti del cd. Auditorium di Adriano in Piazza Venezia. LA QUESTIONE “BUCHI” Inizio con quello di Piazza Venezia, come lo definì il sindaco Alemanno. Il buco, realizzato nell’ambito dei lavori per la Metro C, che ha permesso la scoperta dei resti del cd. Auditorium di Adriano. Resti di grandissima rilevanza. A lungo rimasti invisibili, perimetrati da una recinzione che non lasciava quasi vedere dentro. A lungo, anche questi, rimasti senza alcuna indicazione. Nel novembre del 2013 la Soprintendenza archeologica ha bandito un concorso di idee che prevedeva la valorizzazione e la fruizione dell’area. Sembrava l’avvio di un esito finalmente felice. Invece il 25 febbraio la sospensione del procedimento. E’ così che l’area archeologica continua ad essere un buco. Da un buco all’altro. Da Piazza Venezia a piazza della Moretta. Dove tra via Giulia e il Liceo Virgilio, nel 2009, nell’ambito della risistemazione del “buco”, nel corso delle indagini preliminari alla realizzazione di un parcheggio multipiano interrato, con annessi albergo, ristorante e un “urban center”, si rinvengono gli stabula augustei. “Una scoperta importantissima per la topografia di Roma”, come affermarono dalla Soprintendenza archeologica di Roma. Tanto importanti da comportare la loro musealizzazione e quindi una modifica al progetto. Sembra che si stia scrivendo una nuova storia nella quale il nuovo non debba comportare l’obliterazione dell’antico. Non è così. In un‘intervista al Corsera del 1 giugno il direttore generale del Mibac, Federica Galloni dichiara che “il rinterro è necessario per proteggere i resti, qualsiasi cosa si realizzi sopra”. Mancando le risorse necessarie, sembra l’unica soluzione praticabile. Dunque area di sosta più piccola e resti rinterrati. In attesa di una progettazione condivisa degli spazi pubblici. Il dubbio che non si tratti della soluzione migliore per la città esiste. Le risposte a questi quesiti, alcuni tra i tanti a dire il vero, avranno il merito di fare chiarezza. Di rassicurare e rasserenare. Di far capire che la Città non può fare a meno del suo patrimonio storico-archeologico. Non vuole rassegnarsi alla conservazione di tanti 39 “buchi”. Come recita lo slogan sulla recinzione del cantiere di via della Moretta, le scelte che si faranno serviranno “Per fare Roma più bella”. Per riuscire a farlo ascolterà chi ha idee. Franco Purini teorizza che “le città sono individui portatori di un’intenzione”. In fondo quel che si chiede oggi, con questo incontro a più voci, è proprio questo. A prescindere dalle singole criticità. Dalle domande e dalle risposte. Capire quale sia questa intenzione. 40 7. I beni comuni e la vendita del patrimonio culturale e simbolico 41 I Beni Comuni e la vendita del patrimonio culturale e simbolico Gaia Pallottino Coordinamento Residenti Città Storica 1- Da alcuni anni a Roma, come del resto in tutta Italia, associazioni, comitati, gruppi di cittadini hanno cominciato ad occupare spazi o immobili non utilizzati o del tutto abbandonati prevalentemente pubblici, ma anche privati, per farne luoghi di attività sociale e culturale, luoghi di incontro, formazione, crescita della persona. Tanto che questi luoghi con il portato delle attività che vi si svolgono sono stati definiti beni comuni, cioè beni di tutti o meglio ancora beni della comunità, che di essi fruisce. 1.1- Questi beni comuni sono spesso edifici e spazi di rilevante interesse paesaggistico e culturale, facenti parte dunque del nostro immenso patrimonio artistico e culturale, che purtroppo la cosa pubblica non sembra in grado di tutelare e rendere disponibile a tutti i cittadini. L’occupazione e l’uso dei beni comuni ha in molti casi sottratto tali spazi e tali edifici alla alienazione e alla speculazione. 1.2- Gli esempi sono numerosi, tra tutti quello che ha goduto di ampia visibilità anche a livello internazionale per il grande interesse delle attività che vi si realizzano, è stato il Teatro Valle Occupato. 1.3 - Tuttavia, nonostante la Costituzione con l’art. 9 prescriva che la Repubblica tuteli il patrimonio storico e artistico della nazione e quindi quel patrimonio sia di tutti gli italiani, le occupazioni e l’uso pubblico dei beni comuni non sono affatto unanimemente accettati, ma anzi sono fortemente avversati soprattutto dai gruppi economici e finanziari che vi vorrebbero realizzare attività speculative e comunque dai difensori ad oltranza della sacralità della proprietà privata. 1.4- Il Teatro Valle Occupato ha tentato di risolvere il problema della propria legittimità, creando una fondazione, attraverso un’operazione di azionariato popolare, che però non è stata riconosciuta dalla Prefettura. Ci si domanda sommessamente quale uso migliore di quello fatto dagli attuali occupanti, vi si potrebbe realizzare e quali progetti ci siano nella mente di chi osteggia il progetto della fondazione. 2- Di attività speculative la città è costellata. Scompaiono scuole, ospedali, teatri, sale cinematografiche, caserme, aree sportive sostituite da sale da gioco, centri commerciali, alberghi, ristoranti, residenze di lusso. L’ultimo in ordine di tempo a soccombere e stato lo storico Collegio Nazzareno, fondato nel 600 da San Giuseppe Calasanzio, diventerà il Grand Hotel Nazareno, a cinque stelle. Siamo in attesa di conoscere il destino del cinema Airone opera di architettura razionalista situato in via Lidia, o come verrà “valorizzato” dall’archistar Jean Nouvel l’edificio su via dei Cerchi ceduto dal Comune alle sorelle Fendi. 2.1- Destinazioni tutte rivolte ad un pubblico con grandi disponibilità economiche, restringendo progressivamente gli spazi a disposizione di coloro che tali disponibilità non hanno e accentuando le distanza tra i più ricchi e i più poveri . 2.2- All’enormità di questa trasformazione la grande stampa non presta alcuna attenzione o addirittura plaude in nome di un pessimo concetto di sviluppo e modernizzazione, gli organi di tutela reagiscono debolmente o non reagiscono affatto e pochi intellettuali scrivono appelli tristissimi, che nessuno legge più. 3- Questi ultimi sono stati anni in cui sono fioriti censimenti di ogni genere, da parte degli enti locali per fare ricognizioni dei loro beni, di cui non sembravano avere piena conoscenza, con la finalità di privatizzare e censimenti dei beni in abbandono da parte del fronte favorevole al loro riuso pubblico, sociale e culturale. 4- Mentre del patrimonio del comune di Roma è molto difficile avere una informazione completa e in rete, è molto interessante una recente iniziativa del comune di Milano, che ha pubblicato online una mappa degli immobili privati in abbandono con il proposito di destinarli ad uso pubblico. 4.1- Sembra una scelta rivoluzionaria quella di riportare nella mano pubblica una porzione di proprietà privata, tanto siamo abituati alla possibilità di privatizzare e non a quella di pubblicizzare i beni e questo nonostante la nostra Costituzione dia prevalenza alla proprietà pubblica e dunque 42 collettiva e con l’art,42 ponga limiti precisi alla proprietà privata: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale…..”. 4.2- Per chiarire meglio il limite alla proprietà privata indicato dalla Costituzione italiana è estremamente utile la lettura di “Territorio bene comune degli italiani”, scritto da Paolo Maddalena, vice Presidente emerito della Corte Costituzionale. In che senso il territorio è da considerarsi bene comune e quindi proprietà del popolo sovrano? Nel senso che i valori naturalistici, storici e artistici di quel paesaggio devono essere conservati per il godimento di tutti (anche delle future generazioni) e quindi il titolo di proprietà non può includere il diritto di compromettere quei valori, per esempio attraverso l’edificazione.. 4.3- Quel diritto può eventualmente essere acquisito per rispondere ad altri bisogni della comunità. Oggi si arriva invece ad affermare addirittura l’esistenza di “diritti edificatori” rispetto a bisogni abitativi ipotizzati nel passato, ma non più esistenti e su di essi si costruisce una dottrina urbanistica mai approvata da alcun parlamento, che a Roma sta producendo distruzione di valori culturali e paesaggistici, crescita mostruosa della città e voragini nelle casse del Comune. 4.4- Così come il titolo di proprietà di un pezzo di territorio non contiene il diritto di edificazione, nello stesso modo il titolo di proprietà di un immobile non contiene il diritto di cambiarne la destinazione d’uso e magari di distruggere un’opera architettonica di rilevante interesse, come si vorrebbe fare con il Cinema America, i cui proprietari vorrebbero trasformarlo in residenze di lusso. 5- Al disastroso deficit del bilancio del comune, si parla ormai di 22 miliardi di euro, non si riesce a reagire che con ulteriori progetti di privatizzazione, nonostante sia evidente che anche a livello di Stato centrale, la grande stagione delle privatizzazioni, come si è espressa pesino la Corte dei Conti, ha portato più vantaggi nelle tasche dei privati che non nelle casse dello Stato e non hanno minimamente ridotto il disavanzo pubblico. Si è creata tra l’altro l’anomala e assai dubbia mutazione della Cassa Depositi e Prestiti, che dal suo ruolo di ente pubblico si è trasformata in società privatistica al servizio della grande finanza e non svolge più il ruolo di sostegno degli enti locali con mutui a tasso agevolato per i loro investimenti. I primi risultati li cominciamo a vedere nel progetto della Caserma di via Guido Reni, dove il bilancio tra il vantaggio pubblico e quello del privato sembra tutto a vantaggio del secondo, 6- Per fortuna nella nostra città ci sono anche i cittadini. Della loro azione parleranno gli ultimi due relatori. 6.1- Io vorrei invece ricordare due iniziative che ritengo molto importanti una è il nuovo Osservatorio civico sul bilancio della città, importante perché svela alla popolazione l’entità del deficit e la sua composizione, ma anche e soprattutto perché si pone nell’ottica di trovare soluzioni, che vadano nella direzione dell’interesse dei cittadini e non nella direzione dell’interesse di pochi speculatori. 6.2- La seconda iniziativa è la campagna deL ”Liberiamo Roma”, campagna che vede ricomposta la vasta, ma spesso frantumata, galassia delle associazioni e dei comitati, che a Roma sono impegnati nella difesa dei beni comuni e lottano contro le privatizzazioni. La campagna è finalizzata alla presentazione in Consiglio comunale di quattro delibere di iniziativa popolare per l’acqua pubblica, per la scuola pubblica, per una finanza sociale (diverse regole per il Patto di stabilità e la Cassa Depositi e Prestiti) e per il recupero a fini sociali e culturali del patrimonio immobiliare pubblico e privato abbandonato della città. Non c’è dubbio che queste quattro delibere sono ispirate da un’idea di città totalmente diversa da quella attuale, più equa, rispettosa del passato e capace di futuro. 7- Ci piacerebbe molto discutere con il Sindaco Marino sui beni comuni e sulla progressiva alienazione del patrimonio culturale e artistico di Roma, ma intanto ci permettiamo di suggerirgli di dare un segnale forte, adoperandosi per sciogliere i nodi che impediscono il riconoscimento della Fondazione Teatro Valle bene comune, perché questa esperienza, che arricchisce la nostra città, non vada dispersa. 43 8. Trasparenza e partecipazione davvero 44 Trasparenza, davvero. Anna Maria Bianchi Carteinregola La trasparenza è solo una questione di volontà. E di coraggio. A un anno di distanza dall’insediamento della nuova giunta, noi cittadini possiamo cominciare a fare un primo bilancio: sappiamo che ha ereditato dalle precedenti amministrazioni una montagna di debiti accumulati in decenni di cattiva amministrazione. E che oggi l’ingrato compito di chiedere sacrifici, aumentare le tasse e diminuire i servizi ai cittadini è affidato a chi non ha alcuna responsabilità sulle scelte pregresse. Per questo non saremo troppo pignoli con il Sindaco Marino e i suoi assessori riguardo ai tanti punti (pro)messi nel suo programma che sono e rimarranno sulla carta ancora a lungo (o per sempre). Ma vogliamo invece chiedere conto di quelle due parole che da anni sono diventate il mantra di tutte le campagne elettorali dei politici di centro, di destra e di sinistra, che con modalità altrettanto bipartisan, dopo le elezioni sono sempre state riposte nel cassetto: trasparenza e partecipazione. Cominciamo dalla trasparenza, cioè il dovere di chi governa di mettere a disposizione dei cittadini tutte le informazioni che riguardano il funzionamento della città e le decisioni che vengono prese. Nella difficile situazione che viviamo oggi e che dovremo affrontare tutti insieme – cittadini e amministrazione – le chiacchiere stanno a zero: la trasparenza è la principale cartina di tornasole della coerenza, della buona fede e anche del coraggio di chi chiede fiducia alla cittadinanza. L’impresa può sembrare titanica, vista la gigantesca macchina amministrativa di Roma Capitale, il numero di aziende partecipate, la mole di beni pubblici suddivisi in un labirinto di competenze, eppure è anche molto semplice: trasformare la Capitale in un ristorante con la cucina "a vista", dove chiunque può constatare cosa si sta cucinando e con quali ingredienti. Tutto deve essere “messo in chiaro”, on line, e consultabile da tutti, rispettando solo i vincoli imposti dalle normative che proteggono la privacy (peraltro troppo spesso invocate a sproposito). E la trasparenza non "costa": l’unico sforzo che potrebbe richiedere un minimo investimento è predisporre le informazioni utilizzando un sistema di consultazione semplice e intuitivo e soprattutto usare un linguaggio accessibile a tutti. Quanto alle priorità, il tema più urgente è sicuramente il bilancio: tutti i cittadini romani che dovranno rinunciare a qualcosa - denaro per le tasse, servizi, beni pubblici - devono essere messi al corrente della situazione economica in cui si trova il Comune (il debito straordinario e quello ordinario) delle soluzioni per riportarla sotto controllo e delle relative ricadute sulla città. E le scelte, soprattutto quelle più difficili, dovrebbero essere prese dopo aver coinvolto nel dibattito tutta la città (1). Se tutto questo fosse stato fatto dalle precedenti amministrazioni, forse non ci troveremmo al punto in cui siamo. La vigilanza dei cittadini, dei comitati e delle associazioni, avrebbe impedito la degenerazione che ha ormai investito ogni ganglio del tessuto della città, con le spartizioni, le clientele, il sistematico aggiramento delle regole, la totale mancanza di controlli. Invece in questi anni la società civile che si è occupata di questioni legate all’interesse pubblico (2)prendendo permessi dal lavoro per fare accessi agli atti (che spesso poi venivano negati), pagando i ricorsi di tasca propria, impiegando buona parte del proprio tempo libero per studiare, segnalare, diffondere, l’ha fatto in pressoché totale solitudine, elemosinando informazioni di straforo, 45 senza alcun appoggio della politica al governo e all’opposizione, anche perché, diciamocelo, a Roma da un bel po’ di tempo non esiste più un’opposizione, né di destra né di sinistra. Ce ne siamo accorti quando abbiamo fatto per quattro mesi il presidio in Campidoglio contro le delibere urbanistiche, delibere che sono state attribuite ad Alemanno ma che erano un po’ di tutti, anche quelle peggiori. Ripensandoci oggi, proprio a causa della scarsità di informazioni, le abbiamo messe tutte in un unico calderone, come se fossero tutte uguali, quelle che rispondevano solo al profitto privato e quelle che invece potevano avere qualche interesse pubblico. Ma già procurarcele, leggerle, interpretarle, è stata un’impresa, perché abbiamo dovuto lavorare da soli, potento contare solo sull’aiuto di pochi consiglieri un po’ “cani sciolti”, e l'abbiamo caparbiamente tentata per portare la luce tante manovre oscure, diventando noi stessi canale di informazione verso i comitati, i giornalisti e cittadini. E' stato un grande successo, che ci ha indicato la strada. E oggi le cose sono migliorate, anche se sotto molti aspetti non abbastanza. Le proposte che vanno in Assemblea Capitolina, gli argomenti che si discutono nelle commissioni – peraltro pubbliche – non sono accessibili ai cittadini, se non nel titolo. La maggior parte dei progetti che riguardano trasformazioni urbane (non solo urbanistica ma mobilità, lavori pubblici, ambiente) vengono portati avanti nella totale ignoranza della maggior parte della popolazione, che se ne accorge quando arrivano le ruspe sotto casa… La gestione dell’enorme patrimonio capitolino fatto di ville, appartamenti, locali, terreni, strutture nei parchi, impianti sportivi, è sparpagliata tra diversi dipartimenti comunali (o uffici municipali), che troppo spesso in questi anni non si sono accorti che i privati a cui erano dati in concessione o in comodato a prezzi risibili non ne avevano diritto, o non fornivano i servizi promessi alla collettività, o avevano titoli scaduti, o si dedicavano ad attività commerciali non contemplate, o ancora – molto spesso – non pagavano da tempo i canoni dovuti al Comune. Uno sperpero colossale di risorse pubbliche che avrebbe potuto e potrebbe essere evitato se ogni cittadino potesse verificare direttamente se il privato che occupa un bene pubblico nel suo quartiere ne ha titolo e se rispetta l’accordo sottoscritto con il Comune. Ultimamente abbiamo visto dei segnali promettenti, come le informazioni sui beni comunali messe man mano on line dall’Assessorato al Patrimonio (3) e le Conferenze urbanistiche nei Municipi promosse dall’Assessorato alla Trasformazione Urbana(4), che sta finalizzando anche una mappa dei beni pubblici (5). Ma c’è da fare ancora tanta strada. Molte richieste di informazioni legate alla trasparenza avanzate all’amministrazione da associazioni e comitati per le partecipate AMA e ATAC, che contribuiscono in maniera consistente al "buco" di Roma Capitale, non hanno avuto alcun seguito, tanto da spingerli a promuovere un ricorso al TAR. Il nuovo Piano Urbano Parcheggi, che nel programma del Sindaco avrebbe dovuto essere rivisto “insieme ai cittadini e ai comitati” “per ripensare i criteri di localizzazione, di gestione nonché degli effetti di riqualificazione che devono rispondere alle esigenze effettive della collettività e dell’accessibilità garantita al trasporto pubblico” , in un anno è stato esaminato e dibattuto solo nelle segrete stanze dell’Assessorato alla Mobilità e delle Commissioni, con una interlocuzione esclusiva con gli operatori economici del settore. Il Regolamento del Verde è ancora fermo, e non sappiamo se e quando l’Assessorato all'Ambiente intenda sentire anche le associazioni e i comitati che da tempo si battono per la sua adozione. Certo, sappiamo bene quali resistenze debba affrontare nella Capitale chi vuole cominciare a fare sul serio, portando alla luce del sole quello che si è sempre contrattato negli uffici e nell’aula. Ecco perché parliamo di coraggio. Il Sindaco Marino e tutti gli amministratori di buona volontà hanno davanti adesso due strade: portare fino in fondo il percorso intrapreso, dandogli ulteriore impulso, o, per l’ennesima volta, fare un po’ di scena e continuare come prima. 46 Noi cittadini lo capiremo facilmente: basterà vedere quali informazioni cominceranno finalmente ad essere condivise. (1) Recentemente è stato presentato l'Osservatorio Civico per Roma, dedicato specificamente al bilancio della Capitale, a cui aderisce Carteinregola http://www.osservatoriobilancioroma.it/ (2) in netto contrasto con la leggenda metropolitana dei comitati viitime della sindrome “Nimby” (NIMBY, acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile") (3) Patrimonio in trasparenza http://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?contentId=NEW514123&jp_pagecode=newsview.wp &ahew=contentId:jp_pagecode Canoni di locazione e affittohttp://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?contentId=NEW514179&jp_pagecode=newsview.wp&ahew =contentId:jp_pagecode (4) Conferenza Urbanistica Cittadina L’Assessorato alla Trasformazione Urbana ha deciso di convocare una conferenza urbanistica cittadina nella quale discutere del futuro del territorio della nostra città e delle opportunità che la rigenerazione urbana offre nella costruzione di un nuovo modello di città. La conferenza urbanistica cittadina, che si terrà alla fine del 2014, è preceduta da 15 conferenze urbanistiche municipali che si concluderanno in autunno dello stesso anno...http://www.urbanistica.comune.roma.it/conf-urb.html (5) la mappa dovrebbe essere presentata e messa on line a fine mese 47 Verso le linee guida per la partecipazione: una proposta per Roma Alessandro Giangrande Docente universitario - Carteinregola La trasparenza - intesa sia come diritto di accesso all’informazione sia come chiarezza e comprensibilità dell’informazione stessa - è un requisito irrinunciabile della partecipazione. In un processo che vuole essere trasparente tutti i partecipanti dovranno dunque essere messi nella condizione di conoscere in dettaglio il tema da trattare e l’ambito al quale esso si riferisce. Quando necessario, si dovranno informare i partecipanti sull’efficacia e sui limiti dei metodi che saranno impiegati per facilitare l’interazione e mettere ordine alla discussione, nonché sui modi in cui questi potranno essere utilizzati. Infine, prima ancora di cercare di risolverli, occorrerà rendere chiari e comprensibili i conflitti che dovessero emergere nel confronto delle visoni e delle preferenze individuali, riferendoli a una base accettata di conoscenza: la stessa che sarà poi perfezionata e trasformata collettivamente in azione. Le linee guida per la partecipazione sono state elaborate dal gruppo di lavoro “partecipazione” di carteinregola, composto da una decina di persone. In esse si fissano i principi ai quali Roma Capitale e i suoi Municipi potranno fare riferimento per redigere gli specifici regolamenti che disciplinano la partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano il governo dei rispettivi ambiti territoriali. Il documento si articola in una premessa che spiega le ragioni per le quali la partecipazione è necessaria e in alcune sezioni dove si fissano i principi e se ne delineano le possibili attuazioni. Allo stato attuale il documento è all’esame delle associazioni e dei comitati di Carteinregola, che potranno ancora apportare gli eventuali miglioramenti. Il gruppo di lavoro ha deciso di presentarle in quest’occasione, sia pure in una versione ridotta in cui le attuazioni non sono riportate (per la loro lettura si rimanda al documento finale che sarà pubblicato e diffuso a breve), nella speranza di stimolare una discussione dalla quale possano scaturire ulteriori suggerimenti utili per migliorarle. LE LINEE GUIDA PER LA PARTECIPAZIONE PREMESSA L'Italia è "ammalata" di un uso del potere piegato a interessi particolari e sprezzante dell'interesse generale. Questa distorsione, che ha origine lontane, si è radicata profondamente nella società italiana e non ha risparmiato alcun settore fino a trasformarsi in uno dei tratti più evidenti della cultura nazionale. Uno degli effetti perversi della crisi della democrazia rappresentativa è una certa solitudine del potere politico che, unita all'opacità dei processi decisionali, ha favorito una sistematica diffusione di fenomeni di corruzione. Classi dirigenti e popolo si sono trovati per molti anni nella condizione di poter considerare l'interesse della collettività e la dimensione pubblica dei problemi come un aspetto residuale, destinato comunque a soccombere di fronte ai mille interessi privati in competizione tra loro. I circuiti democratici indirizzati alla formazione delle scelte politiche e quelli amministrativi destinati alla loro attuazione sono stati progressivamente depauperati del significato che a 48 essi aveva impresso la Costituzione repubblicana che aveva messo l'utilità sociale e l'interesse della collettività al primo posto, facendo inoltre della partecipazione uno dei principi fondanti del nuovo stato. L'art. 3, dopo aver sancito l'uguaglianza e la pari dignità sociale dei cittadini, impone infatti alla Repubblica di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Al forte disagio e senso d'impotenza causato dalla grave situazione di degrado morale e della politica in cui versa oggi il nostro paese, si accompagna una sfiducia sempre più diffusa nei confronti della democrazia rappresentativa. Sono ormai numerosi coloro che considerano questa forma di governo intrinsecamente inadeguata a perseguire l'interesse generale e ne auspicano la sostituzione con forme alternative (democrazia diretta, democrazia partecipativa ecc). Il principio di maggioranza numerica su cui si fonda la democrazia rappresentativa presuppone l'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini: una condizione, questa, che è utopica o quantomeno lungi dall'essere realizzata a causa delle forti differenze culturali, sociali, economiche ecc. che ancora esistono nella nostra società. Nei principi costituzionali sono spesso indicate restrizioni del principio di rappresentanza al fine d'introdurre elementi di competenza nell'organizzazione della società. Nella Costituzione italiana al popolo - diversamente da quello che molti pensano - non è concessa l'ultima parola, né attraverso le elezioni né con la populistica acclamazione. In essa si parla sì di sovranità del popolo, ma di una sovranità che non si esercita in totale libertà, bensì, come recita la Carta, "nelle forme e nei limiti della Costituzione". Del resto cosa può voler dire popolo? La somma degli individui che ci forniscono il valore statistico della popolazione di un paese? oppure quel 50 o 60% di coloro che sono andati a votare nelle ultime elezioni ma che magari non voteranno nelle prossime? In pratica è stato inventato il governo eletto dal popolo e ci si accorge che ormai quasi la metà del popolo se ne infischia di andare a eleggere chi lo dovrebbe governare. Si sono inventati i partiti politici, e gli iscritti a questi tendono ad azzerarsi. I loro dirigenti (tranne lodevoli eccezioni) si differenziano sempre meno gli uni dagli altri, mentre i loro rapporti con la popolazione non sono quelli dell'insegnamento reciproco, ma quelli dello slogan gridato. L'ambiguità dell'idea di sovranità popolare induce spesso molti componenti del potere politico a fare scelte in maniera numerica, cioè né competente né responsabile. Tutto ciò sembra indicare che il principio di competenza dovrebbe essere introdotto in sempre maggiore misura nelle istituzioni che si pensava potessero reggersi solo sul principio di maggioranza. Queste considerazioni sono pertinenti anche per i processi partecipativi messi in atto per decidere in merito a politiche urbane, piani, progetti ecc. Anche in questi processi il principio di maggioranza numerica è spesso assunto in modo acritico e il principio di competenza non viene quasi mai considerato. Ciò non significa che in un processo si debba abbandonare del tutto il principio di rappresentanza per passare a un sistema di scelta e di decisione basato sulla competenza.: occorre piuttosto contemperare questi due principi, avendo bene in mente che il principio di rappresentanza presuppone l'uguaglianza dei partecipanti, mentre il principio di competenza, se malamente inteso e applicato, può comportare derive tecnocratiche. L'equilibrio migliore fra i due principi si ottiene se si tiene conto che le competenze attivabili sono anche quelle dei cittadini comuni che non possono essere sostituiti da esperti e tecnici. 49 Un processo di partecipazione, dove entrambi questi saperi hanno diritto di cittadinanza, dovrebbe allora identificarsi con un processo di costituzione di un contesto pubblico, dove si genera una popolazione che si raggruppa intorno a un particolare problema di cui condivide una conoscenza comune che viene perfezionata e trasformata in azione. In questo processo si riconosce che la razionalità non è un requisito del solo esperto che ne dovrebbe custodire i canoni e le applicazioni. Si tratta sempre di una razionalità di processo, che coinvolge molteplici attori e strutture entro giochi evolutivi in interazione, sperimentazione e apprendimento reciproco nei quali gli attori istituzionali e i cittadini mettono in comune le loro conoscenze/competenze, realizzando di fatto quella condizione di eguaglianza sostanziale che è il soffio ispiratore che spinge una comunità a ricercare forme più giuste e più libere del vivere insieme e relazioni più sostenibili tra gli esseri umani. Questo modo di operare riduce sensibilmente la tradizionale distanza tra istituzione e cittadino, ne migliora i rapporti e rende più efficiente ed efficace il processo di scelta e di decisione. Nell'idea di partecipazione che sottostà alle linee guida ogni cittadino è considerato un protagonista attivo dotato di diritti, responsabilità e competenze (nel senso più ampio sopra specificato); la collettività non è vista come un'entità astratta, ma come il punto d'incontro di molti individui nella dimensione pubblica, dove si svolgono le diverse fasi del processo - dal progetto alla decisione, dall'attuazione alla verifica di efficacia. I PRINCIPI Principio 1: E' compito dell'amministrazione pubblica creare le condizioni che favoriscono e danno continuità e stabilità alla partecipazione Principio 2: L'amministrazione pubblica ha il dovere di attivare gli organismi del processo partecipativo. L'amministrazione s'impegna formalmente ad approvare e attuare gli esiti del processo: qualora venissero a mancare le condizioni necessarie, dovrà giustificare pubblicamente le ragioni della mancata approvazione/attuazione Principio 3: Tutti possono proporre di attivare un processo partecipativo Principio 4: La partecipazione è un processo di costituzione di un “contesto pubblico” dove interagiscono i diversi soggetti territoriali interessati Principio 5: L'interazione tra i partecipanti non esaurisce tutte le attività del processo partecipativo Principio 6: La partecipazione, per essere effettiva, deve basarsi sia sulla pubblicità di atti e documenti, sulla loro accessibilità, sulla disponibilità di informazioni; sia su percorsi di apprendimento finalizzati a mettere tutti i partecipanti nella condizione di utilizzare correttamente gli strumenti metodologici nelle diverse fasi del processo progettuale, nonché nella valutazione civica delle decisioni, degli atti e del funzionamento dei servizi Principio 7: Le problematiche di cui si occupa un processo partecipativo riguardano ogni materia di cui è competente l'amministrazione locale, fissata da leggi nazionali o imposta da regolamenti locali Principio 8: Il processo partecipativo non si ferma all'elaborazione di piani, progetti ecc., ma sollecita gli organi di governo dell'amministrazione ad approvarli e realizzarli nei tempi stabiliti; inoltre verifica che gli effetti generati da essi sul contesto, una volta attuati, siano congruenti con quelli prefigurati nelle proposte dei cittadini che le avevano avanzate (monitoraggio) Principio 9: Ai processi partecipativi attivati da Roma Capitale possono partecipare tutti i cittadini interessati ai possibili esiti della proposta. 50 CONSIDERAZIONI FINALI Il vero rischio di fallimento di un processo partecipativo può dipendere da tre cause principali. • L'amministrazione pubblica potrebbe preferire di non adottare un regolamento per la partecipazione e continuare a esercitare il proprio potere discrezionale al chiuso degli uffici, piuttosto che in un contesto partecipativo aperto a tutti; • I soggetti organizzati (associazioni, comitati) potrebbero preferire per la partecipazione norme meno definite, ancorché apparentemente molto assertive, per potere continuare a praticare una contrattazione con l'amministrazione pubblica sui temi di proprio interesse ed esercitare un potere di pressione di tipo lobbistico nel nome di cittadini che peraltro non possono accedere alla contrattazione; • Il disinteresse dei cittadini, che appaiono ormai sfiduciati per la difficoltà di farsi ascoltare dai soggetti dicono di rappresentarli (amministrazione pubblica, comitati, ecc.) e che sono spaventati dalla tecnicità dei processi partecipativi, da loro erroneamente ritenuti strumenti che sono praticabili solo dagli addetti ai lavori Un regolamento della partecipazione dovrebbe servire anche a scongiurare questi rischi. UNA DOMANDA ALL’AMMINISTRAZIONE L’amministrazione, nel predisporre i nuovi regolamenti per la partecipazione, farà riferimento alle linee guida illustrate sinteticamente nel presente documento? in particolare, quale rilevanza avranno la trasparenza - requisito irrinunciabile di ogni forma di partecipazione - nonché i nove principi ai quali, secondo le linee guida, ogni regolamento dovrebbe ispirarsi? 51
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