LETTERA APERTA Un impianto che brucia biomasse nel P.I.P. di Petrona-La Torre? Verso la fine della trasmissione di Tele Iride “Malacoda” del 5 novembre u.s. dedicata alle vicende e prospettive della Pianvallico spa, il Sindaco di Scarperia e S.Piero nonché Presidente dell’ Unione Montana Federico Ignesti, incalzato dal portavoce della Lista Civica Idea 2.0 Simone Peruzzi, ha finalmente detto il nome dell’impresa che, andato deserto il Bando per l’assegnazione dei lotti del PIP di Petrona-La Torre, ha presentato manifestazione d’interesse, la Ditta RENOVO, senza aggiungere altro. Avvertita da mio marito che stava seguendo la trasmissione, andiamo subito a guardare sul Web per vedere di che si tratta e, amara sorpresa, dal sito della Ditta (http://www.renovospa.it) apprendiamo che fa impianti che bruciano biomassa nell’ambito di un progetto denominato ”Energia a Km.0” che “…si è guadagnato il fattivo coinvolgimento, la collaborazione e l’endorsement di soggetti rappresentativi del mondo Cooperativo e del Terzo Settore…nonché della cultura ambientalista come Legambiente”. L’inconfondibile cigno verde campeggia infatti in bella vista. Tento un approfondimento sul cigno e trovo un articolo sul blog sgonfiailbiogas che mi lascia allibita. Anche gli altri “Partner” indicati in apposita pagina del sito di RENOVO forse meriterebbero un’analisi più approfondita, ma proseguo oltre. Sono sconcertata che possano aver premeditato zitti zitti un insediamento di un impianto classificabile insalubre di Ia classe in un posto del genere e quando oramai dappertutto gli impianti di Renovo che bruciano biomasse sono fatte oggetto da parte della popolazione e di associazioni ambientaliste, di vivaci e fondate contestazioni che spaccano anche le maggioranze nei Consigli Comunali. L’obiezione più di fondo è che non c’è bisogno di nuovi impianti di produzione di energia elettrica, per di più inquinanti, essendo in Italia la potenza già installata doppia del fabbisogno. Cerco di capire qualcosa di più, e interpello un ex collega del Consiglio Comunale di S.Piero, che ha seguito con più attenzione le vicende della Società partecipata Pianvallico, che mi dà la dritta giusta: andare a guardare nella Nota Integrativa al Bilancio 2013 della Società Pianvallico presentato nell’Assemblea dei Soci del 5 maggio 2014 . E infatti a pg.10 della Nota si legge di manifestazioni d’interesse per i lotti del PIP già formalizzate o in corso di formalizzazione ma si nomina unicamente la Renovo “In particolare si fa riferimento alla trattativa con RENOVO spa per la realizzazione di un impianto di cogenerazione a biomasse vegetali e per la produzione di pellet. Tale insediamento che avrà la necessità di un lotto di circa il 50% dell’area disponibile, insieme ai lotti che saranno ceduti alle aziende che si sono aggiudicate la realizzazione dei lavori per le opere di urbanizzazione primaria, consentono di poter affermare che l’operazione del PIP è economicamente sostenibile.” Apprendiamo quindi non solo che è prevista, anzi, forse già formalizzata, ma anche che occuperà una buona metà dell’intero PIP ( 6.500 mq), e soprattutto che su questa unica offerta punta la Società Pianvallico per salvare le penne, come dire che è irrinunciabile. Leggendo queste righe mi ricordo che il Programma del Centro Sinistra Scarperia e San Piero per le ultime elezioni amministrative, quattro paginette stente, piene di errori e quanto ai contenuti praticamente un indice (oggetto per queste sue caratteristiche di un gustoso articolo di G. Marrani su Il Galletto “Curiosità elettorali”) , stranamente però si diffondeva sugli impianti a biomassa e sulla produzione di pellet “ Il territotrio (sic) comunale del Comune di Scarperia e S.Piero è per 2/3 boscato. I boschi potrebbero essere trasformati da aree soggette ad abbandono ad una vera risorsa. La Biomassa presente può consentire di alimentare piccoli impianti cogenerativi che consentirebbero la riduzione della Co2 e nel contempo un’opportunità di sviluppo per le imprese agricole forestali del territorio” e subito sotto arriva il pellet:” Si potrebbe pensare addirittura di favorire l’insediamento di attività di produzione di legno lamellare da costruzione e pellet locale, che andrebbe ad alimentare gli impianti a GPL presenti sul territorio rurale che in termini di costo incidono pesantemente sulle (sic) territorio rurale”. Ergo, non solo è vero che i nostri Amministratori vogliono permettere l’insediamento di un impianto a bio masse, ma hanno preparato il terreno per tempo, e a noi cittadini lo diranno quando i giochi ormai sono fatti, tanto c’era nel programma elettorale, quando ci avete votato non lo avete letto? E’ la solita storia, ma la partecipazione dei cittadini non può essere scambiata con la post-informazione su scelte già prese! Tutto ciò mi ricorda tanto la vicenda dell’incredibile lettera di richiesta del precedente Sindaco di Vaglia all’ Assessore Provinciale all’Ambiente, anch’egli ex Sindaco di Vaglia per 10 anni, di avere una discarica di rifiuti speciali anche per Eternit a Paterno, a fini di “ripristino ambientale”. Poi si è saputo che il tutto era stato deciso nelle segrete stanze della politica , tenendo accuratamente all’oscuro i cittadini che solo per caso, scoppiato lo scandalo dei rifiuti tossici , si sono accorti che la richiesta era stata fatta e recepita da ben quattro anni e già inclusa nel Piano Interprovinciale dei rifiuti, senza più possibilità di fare osservazioni. E si sono giustamente infuriati. Stabilito che il sospetto è più che fondato cerco di capire quali sono i rischi e scopro uno scenario estremamente allarmante: tra i tanti indico il sito del massimo esperto di bio masse sul versante sanitario e ambientale, il dott. Federico Valerio, S.S. Chimica ambientale dell’istituto Nazionale della Ricerca sul Cancro di Genova, che fa una completa disamina di tutte le criticità, evidenziando che le biomasse usate come combustibile, anche dopo la depurazione dei fumi prodotti, provocano l’immissione nell’ambiente di numerosi micro e macro inquinanti cioè polveri sottili e ultra sottili, ossidi di azoto, idrocarburi policiclici aromatici e diossine, pericolosi per la salute della popolazione esposta. Non solo, ma una legislazione carente stabilisce per gli impianti a biomassa di definire solo l’impatto dei fumi di scarico, con relazione per di più a cura dell’azienda costruttrice e non anche tutti gli altri impatti e interazioni con la zona circostante, ad es. gli scarichi dei camion che portano le biomasse da bruciare o portano via le ceneri o le sommatorie con le emissioni delle altre attività produttive presenti in zona. Da notare che già ora in zona c’è almeno una attività produttiva le cui emissioni, per il tipo di materie prime impiegate sottoposte a combustione, possono generare PCB e diossine fortemente nocive per la salute umana. Inoltre le emissioni prodotte dalla centrale e dal traffico dei camion formano ozono e polveri fini e ultrafini di origine secondaria , ovvero inquinanti pericolosi che si formano in atmosfera, a distanza dalla fonte, per reazioni chimiche e fotochimiche degli inquinanti primari, ossidi di azoto e idrocarburi. Su questo c’è anche uno studio di docenti e ricercatori dell’Università de L’Aquila che si concentra sulla sottostima degli effetti inquinanti delle emissioni delle centrali a biomasse, in particolare per i diossidi di azoto. Ora nella zona di Petrona - la Torre ci sono fabbriche, negozi, abitazioni, attività di ristorazione, coltivazioni agricole, ma non credo si conosca il livello delle emissioni attualmente presenti, cosa accadrebbe alla salute di chi ci vive e lavora se si aggiungesse un simile carico di inquinanti? Ma, consultando il VADEMECUM per i Comitati contro le centrali a biomasse prodotto dal Comitato di Manziana (RM), vero e proprio manuale di controinformazione e intervento, scopro un altro aspetto ancora più preoccupante: l’approvvigionamento di queste centrali a combustione che sono sempre accese, richiede grandi quantità di biomassa legnosa ed è stato calcolato che un impianto da 1 MW come questo, acceso tutto l’anno 24 ore su 24 ha un fabbisogno orario di 1800 kg che moltiplicati per le 8.000 ore operative annue assomma a 14.400 ton. annue. La disponibilità sul territorio di biomassa legnosa è limitata, come si fa a rispettare il limite massimo del raggio di 70 Km per l’approvvigionamento, specie se poi proliferano in zona altre centrali a biomasse? Le locali potature urbane e degli alberi da frutto e lungo i fossi danno una quantità irrisoria e quanto ai boschi, non si potano, si tagliano e ciò può avvenire ogni 18 anni. Per questo, come si osserva nel Vademecum citato a pg.15, le biomasse intese come materiale prodotto da piante e destinato alla combustione non si possono considerare fonte totalmente rinnovabile: si può parlare infatti di fonti rinnovabili solo se nel territorio di origine e nel tempo di utilizzo quanto consumato si ripristina. Infatti se taglio un bosco e brucio la legna, il bosco non si rigenera nel tempo di utilizzo per la combustione della legna. Posso usare solo il surplus dell’attività forestale. Ancora più complesso il discorso se le biomasse provengono da colture agricole dedicate. Se poi si pensa di utilizzare materiale legnoso non costituito da legna vergine peggio ancora, sia dal punto di vista ambientale che di spreco di una risorsa preziosa. Le imprese del settore legno-arredo hanno infatti reagito a quella che ritengono una concorrenza sleale nell’approvvigionamento di materia prima e seconda con la campagna “Non bruciamo il made in Italy” che ha occupato una intera pagina del Sole 24 ore. Nello specifico della nostra zona, nell’arco di ben meno di 70 km. c’è a Calenzano dal 2010 il più grande impianto della Toscana a combustione di Biomasse di legno vergine, da ben 6.5 MW gestito da Biogenera srl, società costituita nel 2005 tra Comune di Calenzano(45%) Consiag(45%) e Quadrifoglio (10%), il quale, partito da una ipotesi di fabbisogno molto sottostimato (10.000 tonnellate annue, di cui 2.500 da potature Quadrifoglio, 1.500 potature locali di ulivo, 1.000 da pulizia torrenti, 5.000 da tagli boschivi) da reperire per di più nell’arco di 50 km, ben presto modificò il raggio in 70 km. Così, a quanto osservarono i Comitati locali, dai boschi e uliveti di Calenzano si passò all’ipotesi delle zone limitrofe, del Mugello, del Casentino, fino a progettare l’allestimento di circa 100 ettari di terreno da destinare ad alberi! Altri dubbi comparvero nel commento titolato “ basta con le bugie sulle biomasse” sul quotidiano on-line del Corriere Fiorentino in occasione dell’inaugurazione. A Vicchio c’è dal 2012 un piccolo impianto Comunale a biomasse da 880 kW termici connesso ad una minirete di teleriscaldamento per 12 utenze pubbliche, con biomassa forestale proveniente per il 50% dal territorio Comunale e restante 50% entro 70 km., che ha il pregio di essere pubblico e finalizzato ad uso pubblico e non di profitto. Infine un impianto a biomasse è previsto nel Comune di Borgo. Quanti concorrenti famelici di masse legnose già si vanno a sovrapporre in questo raggio di 70 km! Se si permette la proliferazione di centrali della imprenditorialità privata, allettate dai generosi contributi pubblici, finisce che ben presto gli impianti cominciano ad acquistare la biomassa legnosa da fuori (vanificando -con l’inquinamento generato dal lungo trasporto- il risparmio di Co2), oppure a bruciare ALTRO. E questo altro può anche essere, detto brutalmente, immondizia: infatti, secondo la Direttiva Europea 2009/28 CE (cfr.art.2 lettera e) pg.12) si intende per “biomassa“ la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, compresa la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Il Decreto Ministeriale del 6 Luglio 2012 definisce quali materiali possono essere conferiti negli impianti a bio masse (vedi tabella 6.A nell’Allegato 2 punto 6.5 “Rifiuti a valle della raccolta differenziata per i quali è ammesso il calcolo forfettario dell’energia imputabile alla biomassa (51%) se usate entro certi limiti di quantità“ ) : c’è veramente di tutto, compreso plastica e gomma, scarti vari di cuoio conciato contenente cromo, pitture e vernici di scarto, fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane, rifiuti combustibili, rifiuti inorganici , perfino pneumatici fuori uso, parte di rifiuti urbani e simili non compostata, parte di rifiuti animali e vegetali non compostata, compost fuori specifica, e infine, voce onnicomprensiva, “altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti.”. Cosa ci sia di BIO in tutto ciò lascio giudicare: il termine biomassa fa pensare a qualcosa di biologico e naturale, invece comprende rifiuti, abilmente nascosti sotto una terminologia accattivante quanto fuorviante. E’ un po’come per gli inceneritori, in tutto il mondo si chiamano così, per quello che sono, solo in Italia da un certo momento in poi, direi da quando sono cominciate le contestazioni, si chiamano “termovalorizzatori” ipocrisia linguistica prontamente stigmatizzata dai Comitati , che li hanno rinominati “termo- cancro-valorizzatori”. Conclusione: dietro l’etichetta BIO , chi promuove questo tipo di impianti a biomasse ha spesso le carte in regola per partecipare al ricchissimo business del trattamento dei rifiuti. Ora, tornando all’ambito locale, cerchiamo di capire quale potrebbe essere l’interconnessione con l’impianto di compostaggio di Faltona di Publiambiente, in funzione dal novembre 2012 con una capacità produttiva di 35.000 t/a che produce compost in grande quantità perché vi confluisce la raccolta del verde e dell’organico dei Comuni del Mugello serviti da Publiambiente e a quanto sembra anche della Valdisieve serviti da AER. Sulla qualità e sugli effettivi sbocchi del prodotto sono stati sollevati dubbi in quanto il compost, non essendo basato a monte su di un serrato porta a porta che differenzi perfettamente l’umido, avrebbe impurità, micro particelle di plastica e presenza di elementi chimici tali da ostacolarne la collocazione se non come materiale di copertura da discarica, con difficoltà anche ad essere distribuito gratuitamente ai privati . La smentita di Publiambiente è stata categorica, ma siccome è noto a tutti che per lo meno nei Comuni del Mugello non c’è la raccolta porta a porta che differenzi perfettamente l’umido, si continua a temere che possa finire con l’essere classificato come “compost fuori specifica” e rientrante quindi nel materiale conferibile negli impianti a biomassa, come sopra ricordato. Quali prospettive di sbocco potrebbe allora avere e come non pensare che ci possa essere un progetto di chiudere il ciclo dei rifiuti del verde e dell’organico anche con l’incenerimento negli impianti a biomassa? Con un triplo danno a carico della comunità e dell’ambiente: aumento delle emissioni di diossina per via delle particelle di plastica e di altri inquinanti dovuti alla natura “fuori specifica” del compost,, mancata restituzione dell’humus all’ambiente, produzione di ceneri tossiche che non si sa come smaltire. Mi sembra quindi pienamente condivisibile la conclusione del Vademecum a pg.15 “a chi servono queste Centrali?“ Servono agli imprenditori che realizzano l’opera per beneficiare di generosi incentivi statali previsti per le “fonti rinnovabili” (anche se non si può parlare veramente di rinnovabili). Senza incentivi statali verrebbe meno la ragione economica principale di questa attività. In ogni caso è possibile ritenere che la generalizzata propensione alle centrali a biomassa e a biogas, oggetto di iniziative di promozione tramite enti, istituzioni, società di consulenza rientra anche in una più generale prospettiva di riutilizzo di queste Centrali per il trattamento dei rifiuti. Infatti la frazione organica (FORSU) è equiparata alle biomasse con decreto ministeriale. Facile prevedere che una volta costruite queste centrali, invece di essere alimentate con biomasse agricole, di cui l’Italia non dispone, e che hanno un costo sempre maggiore, potranno essere alimentate con FORSU, il cui costo di smaltimento è già una prima fonte di redditività che l’imprenditore può acquisire tramite questa impiantistica . Il conferimento della FORSU vale da 80 a 110 €/t , il verde circa 60€/t e i fanghi da depurazione circa 90€/t. Il costo di un impianto anaerobico alimentato a FORSU si ammortizza dopo circa 5 anni di attività. CONCLUSIONE: i cittadini pagano quindi più volte: con i soldi per gli incentivi, con le tasse per lo smaltimento dei rifiuti e con la salute”. Spero con questa mia lettera di sollevare l’interesse della popolazione , dei Comitati e delle Associazioni che già si occupano di Ambiente, Rifiuti, Salute così che insieme si riesca a esigere dalle Amministrazioni locali preposte e dalla Società Pianvallico spa anzitutto il quadro preciso della situazione : la manifestazione d’interesse della Renovo per i lotti del PIP è in corso di formalizzazione, è già formalizzata o addirittura c’è già stato un preliminare di vendita ? E poi spero si possano raccogliere adesioni per organizzare un incontro di riflessione collettiva su questa vicenda, xche è necessario che la popolazione si riappropri del controllo del proprio territorio e della propria salute. Scarperia e S.Piero, 21 Novembre 2014 Alessandra Alleva Per contatti : [email protected]
© Copyright 2024 Paperzz