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GAA 6600 LOCARNO –– N. 43
43
Copia in omaggio (in edicola Fr. 2.– / € 1,35)
In edicola Fr. 2.– / € 1,35
Anno XVI • Numero 43
La partita
La gara
Il torneo
La Svizzera
prima fatica
poi strapazza
la Lituania
Tina Maze
torna regina
nello slalom
di Levi
C’è da battere
Nole Djokovic
per il titolo
del Masters
A PAGINA 14
A PAGINA 15
A PAGINA 15
Reuters
Reuters
Domenica
16 novembre 2014
L’allarme
Dai laghi ticinesi al Po
mezzo secolo di paura
Settimanale di attualità, politica, sport e cultura
www.caffe.ch
[email protected]
TORREFAZIONE
DI CAFFÈ
MAZZETTA, RAVANI, ROCCHI e PARIANI ALLE PAGINE 34 e 35
TEL 091 791 22 26
FAX 091 791 01 90
www.caffe-carlito.com
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L’EDITORIALE
CONDANNATI
AD UN ETERNO
PRESENTE
Meteo
di Binaghi:
“La prossima
traversata
del lago
sarà da
Lugano
a Locarno”.
Dall’edilizia alla logistica, la lessibilità
sta rendendo il lavoro più precario
Operai
in bilico
CARRION, PIANCA e SPIGNESI ALLE PAGINE 2 e 3
La salute Berna interessata a una sanità sempre più low cost
Lo scandalo
Quell’incredibile
rete societaria
che ha inguaiato
Enderlin e Ginta
Per curarci andremo all’estero,
si spende meno e ci si diverte
GUENZI, MORO e ZANTONELLI ALLE PAGINE 18 e 19
www.bricofaidate.ch
Ti-Press
Il pizzino
C
ome costretti a vivere un
eterno presente. Con un
passato lontano e scolorito
e un futuro così incerto da farci
temere ogni sguardo in avanti. Ci
si sente così. Il dibattito politico
in Ticino, se tale può dirsi, è fatto
di scaramucce, sgambetti, sterili
confronti... Denominatore comune - ma meglio sarebbe dire ciò
che più balza alle orecchie - altro
non è da qualche anno che una
nenia su quanto “chiudersi” a ciò
che ci sta intorno e quanto poco
“dischiudersi” a una società sempre più interconnessa.
Tutto, ma proprio tutto sembra essere impregnato di “protezionismo” nella difesa di un passato le cui ricchezze - che siano
di questo cantone o comuni all’intero Paese - non potranno riproporsi né ora né mai così come
le ha conosciute e vissute l’intera
nazione. Il mondo cambia. Fermarlo per scendere non è possibile.
E tutto, ma proprio tutto sembra essere attraversato da un insano quanto irrealistico desiderio
di isolamento, che proprio per
questo rende incerto il futuro costringendoci in una sorta di eterno presente. Qui è oggi. Un presente fatto di un populismo che
cavalca le ansie e le paure di
ognuno, spingendo a riversare
sugli stranieri, l’Europa, l’Italia, i
frontalieri, i profughi, persino i
bimbi ecuadoriani... frustrazioni
e rancori, fallimenti personali e
sconfitte collettive.
Ma ne siamo certi - sarà perché la speranza talvolta si traveste da persuasione - c’è una fetta
consistente di cittadini silenziosa
e profonda che alla condanna di
“questo” presente non si rassegna. All’idea di un Ticino, di una
Svizzera isolata da tutto e da tutti
- anelata da una politica fanatica
e gretta ideologicamente - non si
vuole arrendere. Fra questi,
quelle centinaia, ormai poco meno di duemila in poche settimane, che hanno firmato un manifesto, un appello per una Svizzera
capace di difendere la propria
identità mettendosi alla pari di
quel mondo - politico, economico, culturale - che gli ruota attorno. E con il quale deve interagire.
Parla proprio di questo il manifesto che un gruppo eterogeneo di personalità svizzere va
pubblicando sui media (oggi sul
Caffè). Un appello per un dibattito nuovo sui tratti salienti di questa nazione e sulla conseguente
necessità di confrontarsi con
l’Europa. Un appello perché la
politica, alla domanda di cambiamento che la realtà impone, non
risponda con ignavia e ottusità.
Non si può più sottrarsi al dovere
della progettualità, delle soluzioni realmente praticabili (che non
sono frutto di quel miope populismo a cui questi tempi ci hanno
abituati) per uscire da un presente che lascia ormai poco spazio
alla speranza.
SPIGNESI A PAGINA 4
MANNO
BARBENGO
BARBENGO
BIASCA
CADENAZZO
LUGANO-PREGASSONA
LOSONE
MENDRISIO
MENDRISIO-EX FERRAZZINI
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
2 PRIMO PIANO
3
Il degrado del lavoro
La “febbre gialla” ora contagia le aziende del cantone
L’economista
L’opinione di Christian Marazzi
“È la caricatura
del modello
tipico cinese”
Dai cantieri edili al commercio alla logistica, il vento della nuova precarietà investe il mondo del lavoro
“Salari da fame
e ultra
flessibilità
alla Luxury di
Sant’Antonino.”
Dopo l’ultima
clamorosa
denuncia,si
riapre il dibattito
su condizioni di
lavoro capestro
STEFANO PIANCA
I
n Ticino stanno attecchendo modalità
di lavoro, o meglio di sfruttamento,
alla cinese? Dopo i casi nell’edilizia
segnalati dal sindacato Ocst, sicuramente sì, per Unia, che ha denunciato
una situazione da “moderno campo di lavoro” nei tre centri logistici di Luxury a Stabio, Bioggio e Sant’Antonino, per i quali si
parla di “precariato, ultra flessibilità e massima produttività”. Che tra gli operai della
Luxury si respiri un certo malessere, lo conferma al Caffè Stefano Rizzi, direttore della
Divisione dell’economia del Dipartimento
delle finanze e dell’economia (Dfe): “Prima
di queste denunce pubbliche abbiamo avuto delle segnalazioni cui abbiamo dato seguito con le verifiche del caso. Luxory è evidentemente un’azienda interessante, ma
ciò non significa che possa muoversi al di
fuori delle regolamentazioni”.
Secondo Unia ai 300 magazzinieri (per lo
più frontalieri, compresi molti interinali, dipendenti in affitto) l’azienda - appartenente
alla multinazionale francese del lusso Kering - richiederebbe prestazioni in aperta
violazione della Legge federale sul lavoro,
nonché dello stesso contratto collettivo di
lavoro (Ccl) in vigore da inizio anno. Le ac-
L’azienda ribatte: “Operiamo
nel pieno rispetto delle leggi
e pure del contratto collettivo”
cuse alla Gucci (come ancora viene chiamata la società) non si limitano solo ai salari
da fame (che Unia calcola tra i 2’300 e i
2’700 franchi, ma per l’Ocst sarebbero in
media di 3’700), ma riguardano anche la
gestione dei dipendenti: operai tenuti sulla
corda e informati tramite sms serali se, dove e quanto lavoreranno l’indomani; nonché un’inquietante selezione degli interina-
li: inizierebbero, magari in 50, a confezionare pacchi, ma solo i 30 più performanti
fanno giornata piena. E il nome dei più produttivi appaiono su un tabellone gigante.
L’azienda, tuttavia, respinge ogni addebito:
“Le società ticinesi Lgi (Luxury Goods International) e Lgl (Luxury Goods Logistics)
non solo operano nel pieno rispetto delle
leggi svizzere applicabili, ma hanno aderito
al Ccl TicinoModa”.
“Azienda interessante”, secondo la definizione di Rizzi può anche voler dire che
Luxury Goods International figurerebbe
tra i primi contribuenti del cantone, con
grandi benefici per i comuni che la ospitano: non è un caso che Cadempino (dove Lgi
Sa ha i suoi nuovi uffici), nonché Bioggio e
Sant’Antonino, dove ci sono i centri logistici, siano accumunati da moltiplicatori dal
53 al 65 per cento. Basta per turarsi il naso? Certo questa, presunta, avvisaglia di
estrema flessibilizzazione, sul modello
asiatico, spaventa perché non si vuole che
che contagi altre imprese. Ed è una giusta
attenzione, osserva Rizzi: “Perché da noi
esiste già un mercato del lavoro molto
flessibile, che è un atout della piazza economica svizzera. Ma questo sistema molto
liberale - che permette e prevede anche la
flessibilità, essendoci delle reti sociali che
funzionano, - si deve muovere all’interno
della legislazione in vigore”.
Il Ticino, insomma, non deve diventare
una giungla per i diritti dei lavoratori: “Nel
caso di Luxury - sottolinea il direttore della
Divisione dell’economia - si tratta di capire
se ci si sta muovendo ancora nell’ambito di
pratiche sostenibili ai sensi della legge. Ma
anche se viene rispettato quanto previsto
per la pianificazione del lavoro”. Resta il
dubbio che la chiamata al lavoro con un
sms alle 21 rientri nella legge. “A prima vista non sembra molto aderente” osserva
Rizzi che sulla selezione degli interinali alza le mani: “Se questo aspetto rientra nei
contratti collettivi stipulati andrebbe chie-
sto alla commissione paritetica”. Di sicuro
sulla vicenda sono entrati in conflitto anche i sindacati, da un lato Ocst (che, assieme a Sic, ha sottoscritto il Ccl con TicinoModa), dall’altro Unia che usa l’artiglieria
pesante. In mezzo Luxury, che come sottolinea Christian Vitta, sindaco di Sant’Anto-
Bellinzona: “Le condizioni
di impiego devono restare
dentro la legislazione prevista”
nino e candidato plr al Governo, non è arrivata da un latro pianeta: “L’azienda è presente in Ticino dal 1996 ed è una realtà
importante dal profilo fiscale, per il Cantone ma anche per i Comuni dove opera. Si è
sviluppata negli anni ed è conosciuta da
tutti, dallo Stato ai sindacati, al mondo
economico”. Alle denunce Vitta preferisce
il dialogo, perché “si tratta di intavolare di-
scussioni nell’ambito del partenariato sociale, che è qualcosa che ha fatto la fortuna
del nostro Paese. Se ci sono aspetti del
mercato del lavoro che possono essere migliorati nell’interesse del dipendente è giusto che lo si faccia. Ma è importante che
sindacati e datori di lavoro discutano”.
Quanto alla tendenza, più in generale,
delle aziende a flessibilizzare, Vitta non nasconde che vi siano dei pericoli: “In un periodo di difficoltà economica, come l’attuale, bisogna fare attenzione affinché non ci
sia eccessiva pressione e che questa spinta
a pretendere di più non porti a un deterioramento del mercato del lavoro. Se riusciamo a creare delle condizioni di lavoro favorevoli, che dovrebbero esserci tenuto conto
del Ccl, esistono percorsi formativi con un
attestato federale di addetto o impiegato di
logistica che possono rappresentare degli
sbocchi professionali interessanti”.
[email protected]
Q@StefanoPianca
GIORGIO CARRION
C
IL SINDACO E IL DIRETTORE
Sopra, il sindaco Christian Vitta,
41 anni; Stefano Rizzi, 38 anni,
capo della Divisione economia
I fatti
I CONTRATTI
A inizio settimana l’Ocst
denuncia irregolarità
nell’edilizia, con operai
assunti a metà tempo,
ma lavorando
regolarmente da mesi al
100% e con un salario di
2’000 franchi al mese.
1
I PRECARI
Una ditta edile italiana
portava in Ticino operai
ospitati in un capannone
industriale in condizioni
precarie. I lavoratori
operavano in due cantieri
uno a Cadenazzo e l’altro
a Cadempino.
2
IN REPARTO
Il settore logistica della Luxury
di Sant’Antonino; sopra nella
colonna a destra, l’economista
Christian Marazzi, 63 anni
LA LOGISTICA
Unia denuncia la
situazione alla Luxury
Good, con una
organizzazione del lavoro
“ultra flessibile” e turni
comunicati via sms.
L’azienda replica: “È tutto
in regola”.
3
I sindacati
I SEGRETARI
Enrico Borelli, 45 anni,
segretario di Unia e
Meinrado Robbiano,
63 anni, segretario
dell’Ocst
L’analisi di Enrico Borelli, segretario di Unia, e di Meinrado Robbiani, responsabile dell’Ocst
“Dobbiamo battere
l’‘asiatizzazione’,
oggi è una priorità”
C
olpo su colpo. L’Unia ha sollevato il caso della Luxury Good,
ha risposto alle critiche, e ha
rilanciato le sue accuse. Ora Enrico
Borelli, segretario del sindacato, va
oltre: “Quella delle nuove forme di
lavoro, dei nuovi contratti, della deregolamentazione è la vera sfida davanti alla quale si trova oggi il sindacato. E non solo in Ticino, ma ovunque. Perché non possiamo essere
condannati a questa forma di ‘asiatizzazione’, dove i diritti sono sempre più labili e il lavoro e il profitto
vengono prima della persona. Bisogna porre dei paletti, regole, norme”.
Per Borelli quanto sta accadendo non
è tuttavia un caso, “oggi stiamo
scontando gli effetti negativi di
trent’anni di politiche liberiste in cui
si è cercato il profitto sempre e comunque, a tutti costi, annullando
tutte le conquiste fatte con fatica dai
lavoratori”. Un concetto sul quale si
trova d’accordo Meinrado Robbiani,
segretario dell’Ocst: “La tendenza va
in questa direzione. Da un paio di decenni la crescita della competizione e
della concorrenza sempre più spinta,
portata all’estremo, hanno generato
questi modelli di produzione che
prevedono una flessibilità che si traduce in molti casi in precarierà. Una
precarietà che a sua volta genera
controindicazioni sul sociale, nell’annullamento del confine tra vita privata e lavoro. Uno stress continuo,
ripetuto, che alla fine è infruttuoso
perché porta anche a cali di produttività”.
Le nuove figure sono quelle di lavoratori infelici, con una qualità della
vita in calo, con salari sempre meno
attrattivi, con un sistematico demansionamento. “Sono effetti - dice ancora Borelli - che non si riscontrano
soltanto in Ticino, ma che sono globali e che attraversano in profondità
tutti i settori dell’economia. Questa
politica ha innanzitutto abolito un
valore centrale, che stava alla base
dei rapporti tra lavoratore e impresa:
la certezza”. Certezza di stipendi, di
una pensione, di orari, di mansioni,
di contratti, di adeguamenti salariali.
Insieme a questo, per i sindacati, si è
davanti a una lenta ma progressiva
erosione dei diritti. “Uno sfilacciamento - nota il segretario di Unia che ha avuto ripercussioni sociali,
perché è saltato un altro valore,
quello della solidarietà tra lavoratori,
che invece sono stati messi uno contro l’altro, continuamente sotto pressione, con crisi personali, ricorsi a
cure, stati d’ansia e altre malattie. Il
lavoro non ha più il volto umano”.
E con questi scenari bisognerà fare i conti. “Perché - avverte Robbiani
- io credo che non vi sarà, che non vi
può essere un ritorno al passato. E in
questo senso spetta al sindacato cogliere la sfida e individuare regole
condivise che riescano in qualche
modo a immunizzare il lavoratore
dalle scorie negative di questi processi”. D’altronde le aziende per reggere la spinta di un mercato sempre
più imprevedibile, per non perdere
commesse importanti che vanno a
cercare spingendosi sempre più lontano, devono essere pronte in qualsiasi momento a incentivare la produzione e a dare risposte in termini
di ordinativi. “Questo è vero, ed è aggiunge Meinrado Robbiani - quello
che sta accadendo. E sino ad un certo
punto si può anche capire. Quello
che non si capisce è invece il richiamo generalizzato,
subdolo perché
spesso non è affatto necessario
ma diventa uno
strumento per risparmiare sui costi di lavoro e ottenere profitti più
alti, a strumenti
come il lavoro suchiamata, interinale, o a forme
contrattuali che
alla lunga generano precariato,
come sta avvenendo nel commercio”. Nuove forme, nuovi strumenti
di lavoro che come dice Borelli, hanno creato “un ordine disordinato”.
m.sp.
Le imprese Il futuro visto da Franco Ambrosetti della Camera di commercio e Stefano Modenini dell’Aiti
“L’elasticità nelle mansioni
è un’esigenza produttiva,
non se ne può fare a meno”
D
IL COMMERCIO
Secondo l’Ocst
nel commercio
il precariato
sta aumentanto
all’altra parte della barricata, dove vengono prese
le decisioni, dove si detta
la produzione, dove a fine anno
si devono fare i conti con entrate
e uscite, le nuove forme di lavoro, l’eccesso di flessibilità,
emersi anche recentemente in
Ticino, come alla Luxury Good,
vengono ancora osservate con
un certo sospetto. “È vero che la
flessibilità è già una realtà in
molti settori. Ma questo - spiega
Stefano Modenini, direttore Aiti,
l’associazione delle industrie ticinesi - non vuol dire ci si trovi
sempre davanti a distorsioni o
irregolarità. Spesso la flessibilità
è una esigenza precisa. Perché ci
sono aziende, come quelle della
moda e della logistica, che hanno necessità di rispondere rapidamente agli ordini che arrivano
da tutto il mondo 24 ore su 24, e
dunque devono distribuire i
tempi di produzione anche all’ultimo minuto”. Fusi orari, la
caduta delle barriere, la concorrenza sempre più spinta, hanno
creato una economia “interattiva” un po’ sul modello Amazon,
di cui si è molto parlato negli ultimi tempi.
Per Franco Ambrosetti, presidente della Camera di commercio, “la flessibilità è diventata la parola d’ordine di questo
nuovo secolo, dove l’organizzazione del lavoro si allinea sempre più velocemente alle esi-
genze di un mercato globalizzato. E questo porta chiaramente
a una estensione dei turni di lavoro, a un modo meno rigido di
produrre. All’interno di questo
processo, tuttavia, secondo me
debbono essere fatti salvi i diritti dei lavoratori, che vanno garantiti sempre e ovunque”.
Diritti sui quali batte anche
Modenini, che tuttavia non si
sente di “trarre conclusioni, sul
caso specifico della Luxury. Detto questo per principio io credo
che serva equilibrio, perché da
una parte è vero che ci sono necessità di mercato alle quali le
aziende devono adattarsi, ma
dall’altra ci sono norme precise
che dicono dove si può arrivare,
che tracciano confini definiti. E
ci sono legittime esigenze del lavoratore che ha anche una sua
vita privata”. Queste forme di
lavoro, tuttavia, per il direttore
di Aiti,in Ticino non sono ancora
molto diffuse: “Nell’industria resistono modelli ormai collaudati
con due, tre turni di lavoro regolati dai contratti sottoscritti fra
le parti”.
Franco Ambrosetti che ha visto crescere il tessuto industriale ticinese negli ultimi decenni,
non si scandalizza “se un lavoratore e il datore di lavoro si mettono insieme per concordare
turni, orari, mansioni e salario. È
un fatto normale che crea una
certa dinamicità. Ma in questo
processo è importante il ruolo
dello Stato. Perché deve assistere con precise norme il cambiamento. Se è vero che non esiste
più il posto di lavoro fisso, a vita,
si deve però tutelare la persona,
l’individuo. Mi spiego. Se un lavoratore perde l’impiego lo Stato deve riuscire a creare le condizioni, con una riqualificazione,
con corsi di aggiornamento, per
una sua ricollocazione. Questo è
il valore che tutti dobbiamo rispettare”.
m.sp.
I MANAGER
Franco Ambrosetti, 73
anni, presidente della
Camera di commercio e
Stefano Modenini, 50 anni,
direttore di Aiti
asi come Gucci devono
essere affrontati politicamente, non solo sindacalmente”. L’economista
Christian Marazzi di scenari
del mondo del lavoro scrive da
tempo e al Caffè denuncia il
disegno ‘scellerato’, come lo
definisce, della precarizzazione.
Come giudica i fatti denunciati da Unia?
“Sono relazioni industriali
che minano la coesione sociale, creano divisioni tra i lavoratori e la popolazione, generano xenofobia e rischiano di
aumentare la conflittualità. Un
errore grave da parte di chi
crede di conquistare così più
competitività. Alla lunga non
paga”.
Siamo di fronte all’affermazione del ‘modello produttivo
cinese’:
flessibilità
estrema, alta
produttività?
“Quello a
cui stiamo assistendo è solo
una caricatura
di quel modello. Certamente ci
sono aree dell’imprenditoria
europea e svizzera che guardano più ad Oriente che ad Occidente, praticando l’abuso e
la precarizzazione esasperata
dei rapporti di produzione.
Una visione miope”.
Un modello che rischia di affermarsi. Le conseguenze?
“Ci sono le condizioni per
opporsi a pratiche come quelle
applicate in Gucci, perché nel
nostro Paese e in Europa c’è
ancora vivo il senso dell’ingiustizia subìta. Il problema è che
una parte dell’economia sta
applicando il metodo scientifico della divisione e individualizzazione, che rende difficile
la negoziazione tra le parti.
Vedo, però, prevalere un sindacalismo sociale di tipo nuovo che coalizza soggetti separati e lontani tra loro. Le manifestazioni dei giorni scorsi in
Italia sono una novità da studiare e verificare in futuro”.
Il sindacato storico sembra
non riuscire più a rappresentare l’atomismo sociale:
soprattutto le giovani generazioni e certe forme di precariato nel terziario, che non
riesce ad intercettare…
“Vero, ma siamo anche di
fronte ad un salto del concetto
stesso di rappresentanza sindacale. Nel prossimo futuro
vedremo affermarsi coalizioni
di tipo nuovo, un sindacalismo
sociale, appunto che cementa
spinte diverse, provenienti da
lotte e bisogni apparentemente distanti: lotte per la casa,
diritti degli immigrati (e dei
frontalieri), disoccupazione,
diritti delle donne.”
Torniamo al caso Gucci e ai
frontalieri. Cosa dovrebbe
fare la sinistra ticinese?
“Il caso Gucci ci ricorda ancora una volta come la questione dei frontalieri sia mal
posta. Come il caso dimostra,
il problema è delle imprese che
assumono frontalieri sottopagati, generando squilibri sociali e danneggiando i lavoratori
svizzeri. La sinistra dovrebbe
fare di più su questo: rilanciando in forme più convincenti e
complessive la battaglia per il
salario minimo, che è stato percepito come un ‘favore’ ai frontalieri. I fatti dimostrano che
scatenare una guerra fra poveri
non giova a nessuno, prima di
tutto agli svizzeri”.
[email protected]
Il suo Football Club Lugano
va a gonfie vele sul campo e
anche da dietro la scrivania
arrivano notizie positive: l’ok
all’uso dello stadio di
Cornaredo in caso di
promozione e l’impegno del
municipio per il nuovo stadio
Zanini chi? Da incaricato di
rifare il programma dei Verdi
a “semplice militante”. Il
coordinatore del movimento
Sergio Savoia non riconosce
più Claudio Zanini, il suo
“Casaleggio”, nella bufera
per un caso di corruzione.
OFFERTI DA
Piazza Muraccio, Locarno
Tel. 091 751 72 31
Fax 091 751 15 73
Sergio
Savoia
5
Il caso. L’inchiesta italiana sul legale ticinese arrestato mesi
fa in Italia si allarga alla Svizzera.E dopo le perquisizioni a Lugano emergono
nuovi sospetti su una ragnatela di società.Mentre si cerca un milione
Il caso. Mentre il prete indiano rimandato nella propria diocesi,
si confida con il Caffè e dice: “La fede è stata scossa ferocemente”...
“Mancano sacerdoti
e oggi le comunità
devono raggrupparsi”
Quell’incredibile rete societaria
che ha inguaiato Enderlin e Ginta
Chi sono
MAURO SPIGNESI
di Enderlin. All’appello manNonostante l’avvocato ita- per quell’episodio, fra Enderlin
Fermata e interrogata nei
cherebbe un milione di franchi. liano di Enderlin abbia smenti- e la cantante. Dalla notizie fil- giorni scorsi, Ginta Biku, non
Soldi che sarebbero stati affi- to la notizia, fonti d’inchiesta trate, alcune telefonate ed sms ha evidentemente convinto gli
dati, stando a quanto riportato riferite dalla stampa italiana, proverebbero gli stretti contat- inquirenti della propria estredal Corriere del Ticino di ieri, nei mesi scorsi hanno raccon- ti fra i due in relazione a quel neita agli affari di Enderlin. A
sabato, al professionista.
tato di un fermo in dogana, a sequestro in dogana. Un seque- insospettire gli investigatori
Indagare tra l’intreccio so- Chiasso, di Ginta Biku. Con sé stro che Ginta Biku evidente- sarebbe stato soprattutto il suo
cietario di Enderlin non è certo avrebbe avuto diamanti e gio- mente non s’aspettava, dato tenore di vita. Lusso e frequensemplice per gli inquirenti. ielli per un valore di seicento- che aveva nascosto quei gioielli ti soggiorni all’estero. Con quaQuasi centocinquanta società. mila euro. Stando alla Guardia e quei diamanti, sempre stando li soldi? Evidentemente i soMolte di queste lasciate dopo di finanza, citata sempre dai alle notizie di stampa riportate, spetti sono stati ritenuti fondal’arresto lo scorso 22 maggio giornali italiani, sarebbero in una borsa che teneva in vista ti, dato che il giudice dei provin Liguria. Quali fossero i rap- emersi stretti collegamenti, automobile.
vedimenti coercitivi Edy Meli,
porti d’affari tra Enderlin e le
due persone arrestate in Ticino LE SOCIETÀ Alcune società dove il nome di Enderlin compare, o è comparso come membro, amministratore o liquidatore
nei giorni scorsi, l’ex socio e la
bella Ginta, non è ancora dato
sapere. È proprio su questi legami che gli inqurenti stanno
Agidi Sa
Tukutela Sa
lavorando coordinati dal procuratore pubblico Andrea Minesso che ha ereditato il dossier
dalla dimissionaria
Natalia Ferrara MiTimeservices Sa
Res. Belmonte Sa
cocci.
Ginta Biku in
passato è stata più
volte accostata alla
figura di Enderlin.
Gioielli d’Italia Sa
Berinal Sa
In alcuni ambienti
luganesi da tempo
non è un segreto.
D’altra parte la cantante lituana è per esempio subentrata,
stando al Registro di commerAil Servizi Sa
Green Mountains Sa
cio, a Davide Enderlin nel ruolo
di amministratrice di una società che si occupa del commercio di abbigliamento. Ed
anche in Italia, la biondissima
Biku sembra abbia affiancato il
legale luganese in alcune affaDavide Enderlin
Ti Transport
Gsi Banqueting &
Davide Enderlin
ri. Quelli della “Scree, Services
Consulenze SA
& Taxi Sa
Restaurant Sa
Holding SA
Brodcasting Tecnologies”, una
ditta che si occupava di segnali
Fonte: Moneyhouse.ch, Zefix
tv.
La polemica
Medodi didattici poco ortodossi riaprono la discussione sull’impegno degli insegnanti confrontati con una società profondamente cambiata
Ti-Press
DAVIDE ENDERLIN
Davide Enderlin, 42 anni,
consulente finanziario e
legale ed ex consigliere
comunale plrt a Lugano.
Era stato arrestato lo
scorso 22 maggio dalla
Guardia di finanza di
Genova con l'accusa di
riciclaggio.
Alle ultime elezioni comunali a Lugano, nelle liste del
Plrt, si era presentato così: “Mi
chiamo Davide Enderlin e sono
attivo nel settore della consulenza alle aziende come imprenditore. Di alcune di queste
sono attivo proprio come azionista”. E poi, quando erano cominciati i suoi guai con la giustizia, per il fallimento della Ed.
Im Suisse, di cui era presidente, si era difeso: “Io sono in 142
società, ne sono fallite due...”.
Ed è proprio attorno a queste
società che ruota il filone ticinese dell’inchiesta che ha portato nei giorni scorsi ad una
perquisizione negli uffici luganesi di Enderlin (da mesi a Como dopo il carcere in Liguria
con l’accusa di riciclaggio) e
all’arresto di un suo ex socio e
di Gintare Kubiliute. Un’affascinante ragazza lituana, più
conosciuta in Ticino (dove risiede da anni) come Ginta Biku.
Un nome d’arte. Una cantante
che si definisce “elektropop” e
che lo scorso anno è pure stata
testimonial di Estival Jazz a Lugano.
Indagando sul fallimento
della Pramac Suisse di Riazzino, di cui Enderlin era presidente, gli inquirenti hanno evidentemente “intercettato” un
nuovo filone di indagine. Un’inchiesta scaturita - così parrebbe stando ad alcune indiscrezioni per ora non confermate
ufficialmente - dalle denunce
di due clienti dello studio di
consulenza finanziaria e legale
Ti-Press
GINTA BIKU
Ginta Biku, 27 anni, è una
giovane cantautrice di
origine lituana. Ex Miss
Muretto, nel 2002, è stata
anche l'immagine di questa
edizione di Estival Jazz.
Considerata da alcuni un
astro nascente nel
panorama musicale, vive
da molti anni a Lugano.
questa settimana ha confermato l’arresto della cantante lituana. Il pericolo, come sempre
accade in questi casi, è quello
di evitare un inquinamento
delle prove e, forse soprattutto,
il pericolo di fuga all’estero.
Ginta Biku ha, per la sua attività artistica, diversi contatti
fuori dalla Svizzera. Ha iniziato
la carriera artistica giovanissima nei concorsi per miss. Sulla
sua pagina Facebook l’ultimo
post risale allo scorso 27 agosto. Accompagnato da fotografie e da un video, si presenta
uno degli ultimi sui lavori artistici. In estate, quando Enderlin era da poco finito in carcere
a Genova, sul social network
aveva annunciato l’apertura di
un sito. Giorni prima aveva postato un’immagine tratta dai
canali Mediaset. La sua partecipazione ad un festival romano, il Coca Cola Summer Festival. Dunque, un profilo Facebook molto popolare, soprattutto
per le avvincenti fotografie.
Una pagina seguita da oltre dodicimila persone.
Sulla sospetta rete societaria in cui è rimasta “impigliata”
la giovane artista, probabilmente potrà fare luce lo stesso
Enderlin. Il cui obbligo di dimora a Como scadrà fra pochi
giorni. Il 22 di novembre. A
questo punto il legale potrebbe
tornare in Ticino e affiancare le
sue dichiarazioni a quelle dell’ex socio. Ammesso che il consulente finanziario luganese
abbia interesse a tornare in
Svizzera
[email protected]
STEFANO PIANCA
Il sacerdozio in Ticino? Per i preti extraeuropei può avere il sapore della Terra promessa, per quelli locali ricorda forse più il deserto dei Tartari. Negli scorsi giorni, nella crisi cronica delle vocazioni, si è riparlato del fenomeno dei sacerdoti che dai Paesi più poveri
sognano una lettera dalla Curia di Lugano.
Ma dal sogno si può cadere in tentazione, come dimostra il caso di don Clement Selvorious. Per poter restare alla guida delle sette
parrocchie della Valle di Muggio, assunta da
pochi mesi, questo presbitero originario dell’India ha “taroccato” i documenti con cui il
suo vescovo di Kannur gli avrebbe concesso
di restare in Ticino. Scoperto, ha dovuto far
rientro a casa. Contattato dal Caffè, don Clement, rompe “il silenzio”, mantenuto sottolinea “per il bene della Chiesa”. “Ringrazio - ci
scrive in un’ email - tutte le persone della valle e non, che continuamente mi sostengono e
mi mandano il loro riconoscimento e la loro
vicinanza. Confido nella loro comprensione e
nella loro preghiera perché non venga intaccata la fede, già scossa dagli avvenimenti interni all’istituzione, sferrati ferocemente. La
gentilezza dovrebbe diventare il modo naturale della vita, non l’eccezione”.
Senza gettar la croce addosso a nessuno,
anche don Gianfranco Feliciani dice la sua:
“Abbiamo pochi preti, per cui il rischio è che
invece di puntare a un vero scambio fraterno
di Chiese, si insinui sotto sotto uno sfruttamento reciproco - commenta l’arciprete di
Chiasso -. Perché c’è bisogno di coprire le
parrocchie e si è un po’ con l’acqua alla gola...”. E allora bisogna risalire fino alla sorgente, a quel seminario diocesano San Carlo
di Breganzona che rappresenta il vivaio della
Diocesi, per chiedere al rettore, don Willy Volonté, cosa si può fare per rimediare alla magra. “Va richiamata innanzitutto la libertà
dell’individuo - spiega don Volonté -. Perché
non posso ovviamente forzare nessuno. Da
rettore sono però convinto che il Signore
chiami ancora le persone. Ma nella
confusione in cui siamo immersi è
difficile far passare il concetto della
donazione totale di sé per una causa”. Difficile, ma non impossibile:
“Credo che ci siano in giro tante
persone che vorrebbero seguire
Cristo, ma vanno accompagnate
nel loro cammino. Certo che se
riusciamo a fare questo lavoro,
avremo meno bisogno di reperire
altrove dei sacerdoti. Anche se, a
mio avviso, una certa qual presenza di preti da fuori può aiutare ad
allargare gli orizzonti”.
Dopodiché la chiamata, rievocando con rispetto un celebre
spot, quando arriva arriva. Messa
così sarebbe troppo semplicistico:
“Perché la vocazione - spiega il rettore
del Lucino - non è ripiegata su se stessa, ma la persona deve capire che nel
sacerdozio la propria vita è per gli altri. Io sono ottimista, anche se non
possiamo pensare di tornare al clero
numeroso di cinquant’anni fa. Ma
questo non è neanche un male”. Attualmente al San Carlo sono una
dozzina i seminaristi, tra cui tre ticinesi. “Uno del Mendrisiotto e due
dal Locarnese”, precisa il rettore.
Troppo pochi per sostiture il clero
che invecchia: “È fuor di dubbio.
Ma pensiamo ancora che ogni piccola parrocchia debba avere il
suo parroco? Non è più il tempo.
La difficoltà mette in moto la
creatività e la solidarietà tra le
persone. Bisogna superare il
campanilismo e raggruppare le
piccole comunità. Non si può
pretendere che certi villaggi,
che si svuotano, abbiano tutti
un loro parroco”.
[email protected]
Q@StefanoPianca
ocesi di Luga
no
Attualità
4
un cactus a...
Vescovile, Di
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
una rosa a...
Angelo
Renzetti
Fonte: Curia
rosa
&
cactus
“Ora non demonizziamo gli insegnanti”
I pareri
La crisi delle vocazioni
“Il celibato?
Non è questo
il problema”
Davanti all’evidenza che la
tonaca è sempre più corta per
garantire la copertura delle parrocchie ticinesi, si apre un bivio: “È chiaro che se si tratta
semplicemente di attribuire
Le parrocchie
un prete per ogni campaniin Ticino nel 2014
le, bisogna andare a cercarli in mezzo mondo” osserva don Italo Molinaro,
46 anni, parroco di Melide. Ma forse l’epoca del
sacerdote “factotum” sta
tramontando: “Potremmo
di cui
chiederci che cosa ci sta
dicendo il Signore con
queste poche vocazioni.
Forse significa che la
Chiesa, le comunità e la diocesi dovrebbero riflettere su
un’altra organizzazione interna.
Assistite
Con parroco o
Magari valorizzando altri tipi di
amministratore
figure, per uscire da questa siparrocchiale
tuazione di parrocchie preteresidente
centriche”. La stessa disciplina
del celibato andrebbe forse allentata, come si sostiene da più
parti. “Certo, ma non bisogna illudersi che risolva il problema
I preti in Ticino nel 2014
dei pochi sacerdoti. Andrebbero
piuttosto riscoperti i carismi di
ogni battezzato” dice don Italo.
Altri tempi erano quelli in
cui studiava da prete don Giuseppe Pessina, 85 anni, cappeldi cui
lano dell’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio: “Eravamo
un’ottantina, compreso il ginnasio, perché si iniziava a 14
anni. Ma quelli che poi arrivavano a studiare teologia al seminario erano di meno. Circa
due terzi si perdevano lungo
Preti
Preti
il percorso. La mia classe, la
diocesiani,
extra-diocesiani,
più numerosa, contava una
di cui
di cui
dozzina di seminaristi. Tanto
che nel 1953, al momento
dell’ordinazione, eravamo
in dieci e il vescovo Jelmini
non sapeva quasi dove
149 26
36 10
metterci. Oggi i ragazzi
non sono più abituati a
residenti non
attivi
a riposo
prendersi subito le rein
residenti
nel
o con attività
sponsabilità della vita. Ciò
diocesi
in
ministero indipendente
diocesi
accade anche col matrimonio”.
255
101
154
221
175
46
)(Î PgXÉmXΔ )(Î gŁ0ÀÀgXÉ0” )(Î Få¨Îî
L’appello del ministro dell’Educazione dopo i casi di Collina d’Oro e Bellinzona
GLI ESPERTI
A sinistra il
titolare
del Decs,
53 anni;
a destra l’ex
direttore
della
Divisione
scuola,
anni 67
Manuele Bertoli
Senza minimizzare, penso non
sia il caso di enfatizzare rari
episodi comunque inaccettabili
Diego Erba
Se un allievo prendeva un
ceffone e se ne lamentava a
casa ne prendeva altri due
Ti-Press
Il ceffone allo scolaro c’è
sempre stato. Tempo fa non faceva rumore. Non faceva notizia. Oggi, per fortuna, è inaccettabile per chiunque, anche
se i genitori tendono a schierarsi a prescindere dalla parte
dei figli. Non sminiscono affatto i recenti casi che hanno visto
due insegnanti, a Collina d’oro
e a Bellinzona, finire sotto inchiesta per aver “alzato le mani” coi loro allievi, ma il ministro dell’Educazione Manuele
Bertoli e l’ex direttore della Divisione della scuola Diego Erba
invitano a non demonizzare i
docenti, spostando l’attenzione
sulla rarità del fenomeno, e anche sulla trasparenza del sistema che non fa sconti neanche
alle eccezioni.
“Tra istituti cantonali e comunali ci sono cinquemila docenti, e nonostante qualche lacuna e carenza sono rarissimi i
casi in cui gli insegnati passano
ad incontrollabili vie di fatto dice Bertoli -. Capisco che questi episodi fanno notizia, come
fa più rumore un’albero che cade che un intero bosco che cresce, ma non demonizziamo gli
insegnanti per favore. Anzi,
rallegriamoci del fatto che anche questi episodi vengono alla
luce, a dimostrazione dell’attenzione verso certi comportamenti non più accettabili”.
“Non più” è un termine giusto, perché - come sottolinea lo
stesso Bertoli, “è ovvio che il
contesto è cambiato rispetto a
decenni fa, è cambiato un mondo”. E se allora ceffoni e bac-
chettate sulle dita sembravano
rientrare a pieno titolo nelle
abitudini didattiche, adesso
certi comportamenti sono impensabili. Indipendentemente
dello stress cui sono sottoposti
i docenti, e al di là delle carenze educative, se non della complicità, dei genitori di oggi coi
figli rispetto al passato. “Comunque non ho difficoltà a ricordare che fatti di questo tipo
sono sempre accaduti, ma semplicemente anni fa non si venivano a sapere - conferma Diego
Erba -. Se un allievo pigliava un
ceffone in classe dal docente e
tornava a casa lamentandose-
ne, rischiava che i genitori gliene rifilassero altri due di ceffoni. Quella di insegnante è una
professione impegnativa, lo è
sempre stata e oggi probabilmente lo è di più. Soprattutto
nel rapporto diretto con gli studenti, visto che oggi sono venuti a mancare alcuni riferimenti, come la famiglia, spesso
poco presente quando non assente dal punto di vista educativo”.
Qualsiasi sia l’ atteggiamento dei genitori, e per quanto indisciplinati possano essere
gli allievi, ricorrere alle maniere forti oggi appare intollerabile. Soprattutto se certe prevaricazioni - e dal caso del docente
di Montagnola trapelano punizioni corporali, mortificazioni
verbali e fisiche come prassi
quotidiana - avvengono nei
confronti di bambini delle elementari. “Ma è chiaro che un
docente deve assolutamente
riuscire a frenarsi, a controllare
determinate reazioni - aggiunge Erba -. Possiamo anche considerare la provocazione di uno
scolaro come una sorta di ‘rischio professionale’, ma fare il
docente significa pure saper
non reagire. Anche perché oggi, giustamente, nessun fatto
del genere passa sotto silenzio.
E vero anche che su cinquemila
insegnanti sono comunque una
piccolissima parte quelli che
sbagliano, ma pure questi rari
casi non contribuiscono a creare una buona immagina della
scuola”.
Il ministro Bertoli non intende affatto minimizzare questi pochi episodi, ma nello stesso tempo ricorda che non è il
caso di enfatizzare oltre misura
certe situazioni. “Che non sono
minimamente paragonabili con
ben altre violenze scolastiche avverte ricordando soprusi,
emersi in altri Paesi con tanto
di videocamere nascoste -. Poi
posso prendere in considerazione tutto, incluso il fatto che
decenni fa un genitore si schierava sistematicamente con l’insegnante e oggi, se non sistematicamente, sta sempre dalla
parte del figlio”. Resta il fatto
per il ministro che certi comportamenti da parte di un docente sono inaccettabili per
tutti, a partire dal sistema scolastico stesso: “Ripeto, possono
esserci rari casi, ed è bene che
siano segnalati ed evidenziati,
ma non trasformiamola in una
caccia alle streghe per favore”.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
6 ATTUALITÀ
La storia
Tanja Bisacca. Da ragazza
voleva fare l’infermiera. Originaria
di San Gallo, a 16 anni incontra
Andrea e la sua vita cambia. Ora è
moglie, mamma e gestisce da sola
un’azienda agricola in Ticino. Ma la
sua grande passione è la gastronomia. La sua abilità
in cucina l’ha portata alla popolare trasmissione tv
“Landfrauenküche”, per la migliore cuoca contadina
“Contadina full-time,
MasterChef in tivù
e per i balli proibiti...”
D
Ti-Press
FATICA QUOTIDIANA
Tutti i giorni Tanja si occupa
di 11 mucche nutrici
Pinzgauer e dei loro vitellini.
Inoltre, c’è da fare il fieno, la
vigna… La figlia Larissa già
l’aiuta un poco. Un domani
forse prenderà lei in mano le
redini dell’azienda agricola.
Alla mamma, infatti, ripete
spesso: “Da grande voglio
diventare come te”
PATRIZIA GUENZI
Le tappe
all’antipasto al dessert esclusivamente sapori ticinesi. Dapprima, una carrellata di affettati, a
seguire polenta e coniglio, con
cavolini di Bruxelles caramellati
e castagne. Per finire, sorbetto
d’uva fatto in casa, amaretto e
torta di pane. Questo è uno dei
piatti forti di Tanja Bisacca, 37
anni, di Dongio, moglie, mamma di due figli e contadina col
chiodo fisso della cucina. Una
grande passione che l’ha portata, lo scorso gennaio, a iscriversi
alla trasmissione “Landfrauenküche”, una sorta di MasterChef, in onda sulla tv svizzero
tedesca, a superare le selezioni
e, dieci mesi dopo, entrare nel
gruppo delle finaliste che si son
sfidate lo scorso 8 novembre in
diretta tv per il titolo di “miglior
cuoca contadina dell’anno”.
Non è riuscita a vincere, ma resta la soddisfazione.
Rientrata in Ticino, Tanja ha
ripreso l’impegnativo tran tran
quotidiano. Giornate pesanti,
tra casa, famiglia e azienda
agricola. Nel poco tempo libero
sperimenta nuove ricette e si concede
qualche frivolezza,
Facebook e i film
d’amore. Così, tra i
vari post si scopre
un’altra Tanja, romantica e sognatrice. “Mucche e vitelli
sono il mio lavoro,
che mi impegna full
time, poi ho la passione per la cucina
e... i balli proibiti mi
fanno sognare”, confessa. Come darle
torto. Il riferimento è
a Dirty Dancing che,
a quasi trent’anni
dalla sua uscita, è
ancora in grado di
provocare brividi.
Nella sequenza che ha postato
su Fb, Tanja scrive: “troppo bello questo film”.
Dai sogni alla realtà, Tanja
ripensa ancora alla serata finale
di “Landfrauenküche” e al titolo
sfuggitole all’ultimo momento.
“Sono arrivata quarta, ma mi
sono comunque portata a casa
un buono acquisto di un grande
magazzino del valore di mille
franchi. Non male, fanno sem-
L’INFANZIA
Tanja nasce a San
Gallo, dove
frequenta le scuole.
A 16 anni arriva in
Ticino come
ragazza alla pari
per imparare
l’italiano e...
Ti-Press
Ti-Press
L’AMORE
L’incontro con
Andrea, il marito,
avviene a soli 16
anni. Un colpo di
fulmine. Torna a
San Gallo, finisce
gli studi e due anni
dopo le nozze
pre comodo”, dice, lasciando
emergere il suo lato pratico e
concreto. “È stata una bellissima esperienza - aggiunge -, si è
creato un bel gruppo di donne
ed è stata l’occasione per girare
la Svizzera. Per sette settimane
siamo state ospiti, a turno, a casa di una e dell’altra. Concorrenti e giudici allo stesso tempo.
Nella finale, ovviamente, i giudici erano esterni”.
Nata e cresciuta a San Gallo,
da ragazza Tanja sognava di fare
tutt’altro. Forse l’infermiera,
non certo la contadina in una
valle ticinese a occuparsi di
LA FATTORIA
L’azienda agricola
in un primo tempo
la manda avanti il
marito, ma nel
2004 si impiega alle
Autolinee Bleniesi.
Così Tanja prende
in mano lei le redini
GLI ANIMALI
Nella fattoria Tanja
alleva undici
mucche fattrici più i
vitellini. Oltre a
vedere la carne,
si occupa anche
del fieno
e della vigna
mucche e vitellini, balle di fieno
e vigna. Ma galeotto è stato l’incontro con Andrea, oggi suo
marito. Nel 1993, a soli 16 anni,
Tanja arriva in Ticino per fare la
ragazza alla pari. E incontra Andrea. “Amore a prima vista racconta -. Finito lo stage torno
a San Gallo per terminare gli
studi e due anni dopo mi stabilisco definitivamente a Dongio.
Nel 1999 ci sposiamo”. Intanto,
il marito, con il diploma federale
in agricoltura, ha già rilevato
l’attività dello zio Riccardo,
un’azienda rurale. All’epoca era
una fattoria con capre e bovine
LA TELEVISIONE
Durante la sfida
gastronomica
televisiva, per 7
settimane è stata in
giro per la Svizzera
con le altre donne
che partecipavano
alla gara
e decide di intensificare la produzione di latte con le razze
brune svizzere. “Nello stesso
anno acquistiamo un terreno e
nel 1995 costruiamo la nuova
stalla, che ingloberà la vecchia,
una struttura moderna a basso
costo”. Ma arrivare a fine mese
è dura. La coppia vorrebbe tanto metter su famiglia, ma prima
deve consolidare la situazione
economica dell’azienda agricola.
Tanti ripensamenti, dubbi,
possibili soluzioni… Alla fine
Tanja e Andrea arrivano a una
decisione che dovrebbe contri-
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LE PAROLE
DEL 2013
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vari
SAPORI
E MITI
Cenni
Moro
FATTORIA, FAMIGLIA
E MANICARETTI
Tanja Bisacca, 37
anni, è mamma e
contadina a tempo
pieno. Si occupa
di Larissa, 9 anni,
Sandro, 5, del
marito Andrea e
della casa. La sua
grande passione
è la cucina
buire a dar loro più sicurezza.
“Mio marito trova lavoro alle
Autolinee Bleniesi come conducente di bus e quindi io, che lavoravo part time in un supermercato, mi licenzio e mi butto
al cento per cento nell’attività di
famiglia”. Ma i cambiamenti
non sono finiti. “Nel 2006, dopo
un’accurata riflessione, decidiamo di non più produrre latte,
ma di puntare sull’allevamento
di mucche nutrici Pinzgauer”.
Intanto Tanja resta incinta di
Larissa, oggi 9 anni, e Sandro
arriverà quattro anni dopo.
Per la coppia inizia un periodo con molte meno preoccupazioni finanziarie. Sebbene le ore
di lavoro siano tante e la fatica a
fine giornata lascia spazio a ben
pochi svaghi. La casa, i vitelli, i
bimbi, la vigna, il fieno… “Faccio tutto io - sottolinea orgogliosa Tanja -. Ma mi piace perché
sono completamente indipendente”. Indipendente, certo, ma
con ben poco tempo libero.
Qualche mezz’ora, che trascorre ai fornelli. “Mi piace la cucina
ticinese, adoro sperimentare
nuove ricette, imparare piatti
diversi”, spiega. Di tanto in tanto una capatina su Facebook,
dove c’è spazio anche per l’”altra” Tanja. Tra un post sul raduno annuale delle donne contadine, sui bus delle Autolinee Bleniesi o di lei indaffarata nella
stalla, pure una sequenza di
Dirty Dancing. E poi due tramonti e un’immagine del sito di
salute e benessere Open Your
Mind, in cui una donna nuda, di
spalle, abbraccia un uomo.
Insomma, qualche sogno ad
occhi aperti per alleggerire il
peso della quotidianità. “Ma
non pensate che cambierei la
mia vita. Mai - sottolinea -. Tuttavia, il mio lato femminile mica
posso soffocarlo. E su è più evidente. È sbagliato pensare che
noi contadine dobbiamo per forza essere sciatte e poco curate.
Regolarmente vado dal parrucchiere e dall’estetista”. Femminile e pure ironica Tanja, che
sempre su Fb con disincanto
commenta l’avvicinarsi degli
“anta”: “Una volta pensavo che
dopo i 40 anni sarei stata vecchia e giudiziosa; oggi so che a
40 anni non sarò né vecchia né
giudiziosa”. [email protected]
Q@PatriziaGuenzi
Politica
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
I VERTICI
Il sindaco Borradori, 55 anni,
e il municipale Michele Foletti,
48 anni, alla testa del dicastero
Finanze, entrambi leghisti
Ferita dai debiti
Lugano pensa
anche a licenziare
IL
PUNTO
CATHERINE
BELLINI
La sfinge
federale
è tornata
silenziosa
Dai socialisti ai liberali dure critiche
“all’eccessivo ottimismo del passato”
La Lugano effervescente degli anni
passati presenta il conto. Ed è un conto
pesante. Colpa del troppo ottimismo
del passato, dicono liberali e socialisti.
Intanto, la città che ha chiesto al Cantone uno sconto di 10 milioni sul contributo di solidarietà intercomunale, taglia i servizi e gli stipendi ai propri dipendenti. Misura che colpisce i redditi
medio-alti. Ma non basterà. Si affaccia
così l’ipotesi di ridurre una macchina
amministrativa di oltre 2.300 persone.
Ti-Press
I NUMERI DELLA CRISI
CLEMENTE MAZZETTA
Roberto Badaracco
In rapporto alle altre
città, la nostra
amministrazione
comunale è da
considerare gonfiata
Ti-Press
Raoul Ghisletta
Si è peccato di
eccessivo ottimismo
in passato, bastava
avere più attenzione
per i dati reali
Ti-Press
Attilio Bignasca
Vedremo se avranno il
coraggio di tagliare. Non
si possono più portare
avanti i progetti culturali
approvati nel 2009
Ti-Press
Ti-Press
Forse non basterà tagliare
del 5% gli stipendi, seppur solo
a chi guadagna più di 150 mila
franchi. O abolire gli scatti automatici, o i contributi famigliari. Misure di risparmio per
1,2 milioni. Il dissesto finanziario di Lugano è così profondo che si parla esplicitamente
di tagliare servizi e ridurre il
personale. “Lugano ha più di
2300 dipendenti – ricorda Roberto Badaracco, capogruppo
del Plrt –; per rapporto alle altre città è considerata un’amministrazione gonfiata”.
Nell’arco di questo primo
anno e mezzo di “governo leghista” c’è già stata, per mancate sostituzioni, una riduzione di 170 unità dell’organico.
“Ma anche con 2100 collaboratori la situazione resta critica –
precisa Badaracco –. Non si
tratta più di non sostituire i
partenti o ridurre le retribuzioni, cosa che crea solo malcontento. Prima o poi il municipio
dovrà prendere in considerazione l’ipotesi di qualche licenziamento”.
Stando alle dichiarazioni
del sindaco Marco Borradori il
rischio è per ora sospeso. Ma la
situazione finanziaria è delicata. Non basterà ridurre gli stipendi ai 27 alti funzionari, con
tagli anche di 7 mila franchi.
Ogni giorno che passa Lugano
deve pagare 61 mila franchi di
interessi passivi. Oltre 22 milioni l’anno. E mentre il gettito
fiscale delle banche continua a
calare a deficit si aggiunge
deficit. Meno 35 milioni nel
2012, meno 51 nel 2013,
meno 37,5 nel 2014.
Meno 30 milioni nel
2015. Un preventivo “lacrime e sangue” che il municipio sta discutendo da tempo e
che slitterà a gennaio.
Anche perché
sul tavolo c’è la richiesta di uno
sconto di 10 milioni presentata dalla
Città al ministro delle Istituzioni Norman
Gobbi. Una riduzione
sul sistema di solidarietà tra i Comuni, che
nel 2014 ha comportato per Lugano un
esborso di 28 milioni.
Oltre a ciò i vari dicasteri hanno messo sulla carta misure per ridurre la spesa di un’altra decina di milioni.
“Vedremo se avranno il
le entrate fiscali”. In effetti i
di Lugano costano
35 mio dipendenti
2012
192 milioni, gli interessi 22,
contro 234 milioni di entrate
50 mio
2013
fiscali di quest’anno. Un miDisavanzi
poi il debito con le ban37 mio* liardo
2014
che. E da Bignasca arriva
* Preventivati
un’indicazione sul “grasso che
cola” da tagliare: “Che finiscano il Lac, ma che lo gestiscano
con volontari, non con nuove
Manovra
assunzioni a colpi di 150 mila
Personale
finanziaria
franchi l’una”. Il centro cultudipendenti
mio
rale continuerà ad essere motiRisparmi per 34
Costo: 192 milioni
vo di contrasto. “Non è pensamilioni per contenere
di franchi (40%
bile portare avanti un proil deficit a 30 milioni
delle spese totali)
gramma di iniziative culturali
approvato nel 2009”, aggiunge
Bignasca che conferma al Caffé
203 mio
2013
Gettito
il ricorso sul contributo a Finzi
fiscale
Pasca.
2014 234 mio*
L’attuale situazione ha però
* Preventivati
dei responsabili. “La situazione di oggi è frutto di un ecces55 mio
2005
so di ottimismo passato, di chi
Gettito
fiscale
pensato di gestire la città
13 mio ha
2013
banche
senza valutare che le entrate
fiscali delle banche potevano
diminuire”, dice Raoul Ghisletta del Ps, presidente del Consicoraggio di tagliare - afferma chi alla compagnia teatrale di glio comunale. “I dati di tenAttilio Bignasca, capogruppo Finzi Pasca -. Ormai a Lugano denza avrebbero dovuto considella Lega, inviperito per il fi- il costo per il personale, più gli gliare aggiustamenti, invece
nanziamento di 750mila fran- interessi, si mangia quasi tutte gli investimenti, le aggregazioni attuate senza alcun intervento sul moltiplicatore hanno
peggiorato la situazione”. MiIl “City manager”
sure che si rendono necessari
in tempi brevi. “Faremo delle
proposte - aggiunge Ghisletta . Un aumento del moltiplicatore non è da scartare a priori”.
Tenuto basso in passato, alzato
nel 2014 all’80%, “tecnicamente” dovrebbe salire al 93%
per garantire il pareggio. ProÈ stato in malattia per burnout diverse setti- spettiva contro cui si battono
mane, poi Mauro De Lorenzi, segretario generale Lega e Plrt. Lo dice senza giri
di Lugano ha ripreso il lavoro. Ma oggi in piena cri- di parole Badaracco: “E’ ora di
si finanziaria, di tagli e risparmi anche sulle buste tagliare le uscite. Ci opporrepaga del personale, la poltrona, la funzione e lo sti- mo ad un nuovo aumento. Da
pendio, del city manager sono di quelli che scotta- anni si dovevano contenere le
no. Una busta paga di circa 230mila franchi annui, uscite entro livelli accettabili.
non passa di certo inosservata in un Comune chia- Con aumenti a colpi di 10, 20
mato a risparmiare su tutto. E soprattutto costret- milioni l’anno in tutti i dicasteto a ripensare un apparato amministrativo gonfia- ri, si è passati dai circa 200 mito anche dalle aggregazioni comunali.
lioni di spesa corrente dei priTra i costi più insostenibili che la Città deve af- mi anni 2000 ai 480 di oggi.
frontare ci sono, difatti, anche quelli per il perso- Con la crisi tutti i nodi sono arnale, pari al 40% delle spese totali. I 2.318 dipen- rivati al pettine”. Il Plrt ha
denti costano a Lugano ben 192 milioni di franchi chiesto di ridurre le spese corannui, mentre le entrate fiscali, nel 2013, sono renti del 5% e di mantenere gli
state di soli 203 milioni. Uno scarto che squilibria investimenti sotto i 65 milioni,
percolosamente le finanze comunali. Inevitabile selezionandoli secondo un rigiper il municipio intervenire per ridurre questi co- do criterio di priorità. “Credo
sti. A cominciare dall’alto, dalla retribuzione del sia arrivato il momento di vensegretario generale che verrà sostanziosamente dere qualche proprietà comuMAURO
rivista. Ma col city manager ci sono pure altri pro- nale per far fronte agli investiDE LORENZI blemi. Tutti gli riconoscono un grande amore per menti necessari”, conclude BaSegretario
Lugano, capacità di visione sul futuro e il coraggio daracco. Però prima c’è da digenerale
di scelte anche impopolari. Ma sono tutti altrettan- scutere della nuova tassa sui
di Lugano
to concordi nell’imputargli un carattere non facile rifiuti, che avrà un gettito di 9
con il personale e una scarsa abilità nel fare gioco milioni. Un’altra grana per la
di squadra, il che ha avrebbe già creato degli attriti Lega.
con gli altri funzionari.
[email protected]
l.d.a.
Q@clem_mazzetta
34
7
2.318
Una super poltrona
da ridimensionare
Non sarà la prima volta
che la Svizzera penderà dalle
sue labbra. Osservandone
ogni sussulto, interpretandone ognuna delle frasi che
pronunceranno. La prima
volta era successo nel dicembre del 2007. Al telefono, un
consigliere nazionale socialista pareva aver compreso
che avrebbe detto di sì. Al
contrario di Ueli Maurer, allora presidente dell’Udc - il
partito della signora - a chi
era sembrato che avrebbe
detto di no. Lei, il giorno della sua elezione in Consiglio
federale al posto di Christoph
Blocher, non disse né sì né
no. Avrete di certo riconosciuto la nostra sfinge nazionale: Eveline WidmerSchlumpf.
Dopo la soluzione di un
complotto degno di un film
poliziesco, la grigionese all’epoca ministro delle Finanze nel suo cantone - ha
mantenuto la suspence, chiedendo un giorno di riflessione. Conosciamo il seguito
della storia. Ha detto sì alla
nomina, poi si è fatta espellere dal suo partito. Lei e tutta la sua sezione cantonale
per aver osato perpetrare un
crimine di lesa maestà: prendere il posto del
capo supremo
Christoph Blocher.
Ed eccola
ricominciare.
Eppure tutto
sembrava
filare liscio
come l’olio.
La direzione
del Pbd, partito creato
espressamente per lei e per i
dissidenti dall’Udc, lavorava
mano nella mano con il Ppd
alla creazione di un grande
centro-destra in vista delle
elezioni federali dell’autunno
2015. Un’unione che - a corto termine - permetterebbe
di conservare lo statu quo in
Consiglio federale, e - a lungo termine - di puntare al recupero del secondo seggio
dei democristiani. Una strategia sostenuta anche dal
partito socialista, che farà di
tutto per impedire il ritorno
di quella che la stampa germanofona chiama “la banda
dei quattro”, ossia due Plr e
due Udc in governo. In seno
al Ppd i mugugni sono palpabili. Si dichiara che, a questo
punto, la rielezione della ministra delle Finanze non è più
sacrosanta.
Visibilmente, la base del
Pbd non ha avuto alcuna voglia di annegare nella massa
di un’unione. Il partito grigionese, in modo particolare,
è contrario. E, allora, tutti si
perdono in congetture. Perché, da abile politica, Eveline
Widmer-Schlumpf non ha
fatto valere il proprio ascendente sul suo piccolo partito
per assicurarsi il seggio governativo il prossimo anno?
Ha forse l’intenzione di rassegnare le dimissioni proprio
in quel periodo? O, ancora, si
rende conto che quelli che
l’hanno eletta finora continueranno a farlo per evitare
uno scivolamento a destra
del governo? Come Christian
Levrat, che ha già dichiarato
che la grigionese non ha certo demeritato con il suo lavoro?
Mistero. Come di consueto, la sfinge federale rimane
silenziosa.
L’impossibile, realizzato.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
10 POLITICA
Le strategie
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
Economia
11
Ti-Press
I
NUMERI
LORETTA
NAPOLEONI
Area liberale e Udf hanno scelto
i candidati per il Consiglio di Stato.
Nell’Udc è partita una corsa a sei
La guerra all’Isis
costa agli Usa
otto milioni
ogni giorno
Ti-Press/elaborazione Cer
La nuova destra in doppiopetto
punta a modernizzare lo Stato
torno al nostro programma un confronto con
un’area di destra netta, ben definita, senza
alibi, che possa attrarre anche chi la pensa
come noi ma attualmente è ingabbiato dentro altri partiti”. L’idea attorno alla quale sta
nascendo il nuovo polo liberal-conservatore
è la modernizzazione dello Stato e portare
avanti la battaglia per le grandi riforme che
non sono mai state fatte. “A cominciare dal
maggioritario, per poi passare al fisco, alla
sottrazione di regole inutili che bloccano
l’economia e la dinamicità del mercato”, pre-
cisa Morisoli che riporta il discorso sul “Libro
bianco” del Ticino, uno scenario di sviluppo
che doveva avere come arco temporale di riferimento proprio il 2015. “E guarda caso dice il presidente di Area liberale - il prossimo anno ci saranno le elezioni, ma se si riguarda a quel programma si capisce come
poco o nulla è stato fatto. In queste ultime legislature si è pensato più a gestire il potere
che a governare. Per carità non mi scandalizza gestire il potere, ma il problema è che poi
bisogna anche governare per mandare avan-
ti il Paese, per farlo crescere”. La nuova formazione della destra in doppiopetto, rispetto
alla Lega barricadera, punta ad ottenere un
seggio in governo, un obiettivo ambizioso e
conteso pure da altri partiti. Più realisticamente Udc, Area Liberale e Unione democratica federale, credono di poter mettere insieme otto gran consiglieri. Ma nessuno all’interno della coalizione si illude: “Sarà una
battaglia dura, ci saranno - conclude Morisoli
- sorprese con le alleanze. E colpi di scena
dell’ultima ora”.
m.sp.
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Sulla base dell’analisi
dei costi e benefici, l’intervento armato statunitense nel Medio Oriente
ed in Afghanistan contro i
gruppi armati del fondamentalismo islamico costa
troppo. Durante i cento
giorni dall’inizio dell’offensiva aerea statunitense
contro lo Stato islamico la
spesa giornaliera è stata
di 8 milioni di dollari, e
cioè più di 300 mila dollari l’ora. In Afghanistan,
invece, Washington spende circa 200 milioni di
dollari al giorno. Ciò significa che dal 2001
l’esborso totale è stato di
1.500 miliardi di dollari,
equivalente ad un po’ meno del 5 per cento dell’economia mondiale.
I risultati sono per ora
scarsissimi: 800 attacchi
aerei contro postazioni
dello Stato islamico in
Iraq ed in Siria non ne
hanno distrutto l’esercito
né sono stati sufficienti a
riconquistare i territori
che l’Isis controlla. Al
contrario, l’entrata in scena degli americani ha dato
nuovo impeto al reclutamento ed un numero crescente di
musulmani continua a voler entrare a far parte
dell’esercito dello Stato islamico.
Viene
spontaneo
chiedersi
se questa è la strategia
migliore per annientare il
nuovo nemico. Con tutti
questi soldi si poteva sollevare dalla povertà l’Africa musulmana, iniziare a
risolvere il problema dell’immigrazione clandestina, insomma fare qualcosa di positivo che rilanciasse l’immagine degli
Stati Uniti agli occhi dei
musulmani e del mondo.
Invece questo fiume di
denaro alimenta l’industria bellica in una guerra
che ormai appare infinita
e finanzia l’ennesimo conflitto per procura americana.
Secondo il Defense
News, una pubblicazione
autorevole nel campo militare, questa settimana il
presidente Barack Obama
ha chiesto al Congresso
ulteriori 5,6 miliardi di
dollari per addestrare ed
armare i militari iracheni,
utilizzare aerei militari sopra la Siria e l’Iraq e trasportare truppe e materiale bellico nella regione
in questione. Pochi giorni
prima il Congresso aveva
accettato di raddoppiare il
numero dei soldati americani in Iraq con il ruolo di
“consulenti”, un termine
usato duranti la guerra in
Vietnam. Così il numero
delle truppe è salito a
3.100. Se la storia è nostra maestra allora è probabile che la spesa militare continui a crescere, se
poi si dovesse arrivare alla decisione di rimandare
le truppe nel Medio
Oriente i costi sarebbero
proibitivi: a secondo del
numero dei soldati si parla di una spesa che oscilla
tra i 1.100 ed i 1.800 miliardi di dollari al mese.
Più trasparenza per gli affitti
ma crescono gli alloggi vuoti
La crisi delle banche genera un’offerta immobiliare enorme
mentre Berna prepara nuove regole per tutelare gli inquilini
VARIAZIONE DEL NUMERO DI ABITAZIONI SFITTE IN SVIZZERA
Variazione nelle
superfici sfitte di proprietà
Variazione nelle
superfici sfitte in affitto
Indice delle disponibilità
abitative (scala destra)
10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0-2.000 -4.000 -6.000 -8.000 -
2001
2003
Indice delle disponibilità abitative (scala destra) e aumento degli alloggi sfitti (scala sinistra)
2005
2007
2009
2011
2013
-
1.5%
1.2%
0.9%
0.6%
0.3%
0.0%
-0.3%
-0.6%
-0.9%
-1.2%
Fonte: Ufficio federale di statistica, Credit Suisse
GIORGIO CARRION
Entro il 2015 il dipartimento federale dell’Economia presenterà la modifica dell’attuale diritto di locazione per rendere più trasparente il mercato degli affitti. La decisione del
Consiglio federale ha immediatamente acceso il dibattito
sulle possibili novità, perché
interviene su un mercato - gli
immobili sfitti - che mostra segni di sofferenza anche in Ticino. “Lo sfitto, già oggi considerevole, aumenterà”, prevede Gianluigi Piazzini, presidente della Catef, l’associazione della proprietà fondiaria:
“Appartamenti in condominio,
che gli operatori avevano inizialmente indirizzato alla proprietà, saranno riorientati
sull’affitto a causa della congiuntura sfavorevole”.
Secondo il monitor immobiliare di Credit Suisse, le superfici sfitte degli uffici, in
particolare, dovrebbero crescere il prossimo anno da
480mila a 650mila metri quadrati. Ma il fenomeno riguarda
anche le abitazioni residenziali. A determinare questo surplus di offerta, soprattutto il
pesante ridimensionamento
della piazza finanziaria. “Ci
troveremo di fronte ad un
cambiamento strutturale della
domanda con conseguente
sfitto cronico per diversi anni”, prevede Piazzini.
Berna vuole rendere più
trasparente il mercato degli
affitti. Lo scorso ottobre il
Consiglio federale, visti i risultati della procedura di consultazione sulla modifica del diritto di locazione nel Codice
delle obbligazioni, ha deciso di
mettere mano al problema. Ha
suscitato reazioni controverse
l’estensione su tutto il territorio nazionale dell’obbligo di
comunicare la pigione precedente. Tale obbligo è attualmente in vigore nei Cantoni di
Ginevra, Vaud, Neuchâtel, Friburgo, Nidvaldo, Zugo e Zurigo.
“La strada per ottenere la
dichiarazione obbligatoria dell’affitto precedente, in modo
da poterlo contestare se eccessivo, è ancora tutta in salita”,
afferma Marina Carobbio Guscetti, presidente dell’Asi,
l’Associazione svizzera degli
inquilini, e consigliera nazionale ps: “Gli ambienti immobiliari, hanno già espresso la loro contrarietà a un provvedimento che permetterebbe di
avere più trasparenza sugli affitti al momento del cambio di
inquilino e di esercitare anche
un effetto preventivo nei confronti degli aumenti di affitto
ingiustificati”. Il messaggio
non avrà, perciò, vita facile.
I sostenitori della trasparenza si aspettano un effetto
frenante sulle pigioni. Le voci
contrarie, come quella di Hans
Egloff, consigliere nazionale
udc e presidente della Federazione svizzero tedesca dei proprietari di abitazioni, invece,
criticano il maggior dispendio
amministrativo causato ai locatori e chiedono un metodo
più agile e semplice per aumentare le pigioni.
Le proposte avanzate du-
rante la procedura di consultazione prevedono che, nel caso
di un cambiamento di locatario, il proprietario comunichi
mediante un modulo la pigione precedente al nuovo inquilino e giustifichi eventuali aumenti. Inoltre, sono anche
previsti dei dispositivi per tutelare gli inquilini nei casi di
aumenti di pigione o di adeguamenti degli importi in acconto per le spese accessorie e
per i cosiddetti accordi a scalare. In tal modo l’inquilino dovrebbe essere al riparo, o
quantomeno più tutelato, da
eventuali aumenti di pigione
inaspettati poco dopo la stipulazione del contratto di locazione.
Ma qualcosa si sta muovrndo anche a Bellinzona. Il
Piano cantonale dell’alloggio,
che dovrebbe oltre all’analisi
dare anche degli stimoli concreti all’intervento del Cantone, sembra in dirittura d’arrivo.
La modifica del diritto di
locazione fa parte di varie misure che il Consiglio federale
sta esaminando per migliorare
il mercato della locazione. Tutto ciò è in linea con il tema “Libera circolazione delle persone e mercato dell’alloggio”, affrontato dal Consiglio federale
nel maggio 2014, e col dialogo
avviato allo scopo tra Confederazione, Cantoni e città.
[email protected]
L’intervista Il mercato visto da Fabio Bossi, delegato alle relazioni economiche regionali della Bns
“Dall’Italia è giunta
una forte richiesta,
si tratta di spin-off”
“Il ridimensionamento delle attività bancarie pesa sul
mercato degli immobili sfitti”. L’osservazione è di Fabio
Bossi, delegato alle relazioni economiche regionali della
Banca nazionale svizzera, molto attento all’evoluzione del
settore abitativo.
Qual è la tendenza dei canoni di locazione?
“I tassi d’interesse di riferimento molto bassi stanno caratterizzando il mercato immobiliare degli ultimi anni. Nei
mesi recenti si è quindi assistito a un’evoluzione relativamente moderata dei canoni di locazione già esistenti e a un
aumento meno sostenuto che in passato dei canoni di locazione offerti sul mercato. A corto termine questa tendenza
non dovrebbe subire mutamenti importanti”.
Le superfici commerciali sfitte sono in aumento anche
Ti-Press
A
rea liberale ha praticamente scelto. A correre
per il Consiglio di Stato sarà
Paolo Pamini. Il giovane economista deve sciogliere le ultime
riserve, ma ormai siamo davvero ai dettagli.
E anche all’Unione democratica federale ha il
suo candidato per il governo, Edo Pellegrini.
Solo l’Udc è all’ultimo sprint per comporre il
puzzle della nuova alleanza “La destra”. In
corsa, salvo sorprese dell’ultima ora, una rosa attualmente di sei nomi: Pierre Rusconi,
Marco Chiesa, Gabriele Pinoja, Piero Marchesi, Lara Filippini e l’attuale capogruppo in
Gran Consiglio Orlando Del Don. A metà della prossima settimana il Comitato cantonale
sceglierà ufficialmente i tre nomi. “L’accordo
- spiega Sergio Morisoli presidente di Area
Liberale - è che ogni gruppo proceda autonomamente nella scelta dei candidati. Tre spettano all’Udc, uno a noi e uno all’Udf”. Stresso criterio anche per la formazione di candidati in Gran Consiglio. “Ma noi non vogliamo
creare uno schieramento tradizionale, rigido.
Ed è per questo - precisa Morisoli - che non
ne abbiamo mai fatto una questione di nomi.
La nostra idea è di creare un’alleanza politica
salda, omogenea, non forzata, perché poggia
le fondamenta su un’area ideologica ben precisa, con valori di riferimento condivisi. Valori che poi sono quelli liberali e conservatori,
NUOVA
due facce della stessa medaglia”.
ALLEANZA
La nuova destra nasce tuttavia su un falSergio Morisoli, limento, quello di un’altra alleanza: tra Udc e
50 anni,
Lega. Senza questo divorzio, senza la scelta
presidente di
netta dell’Udc, non si sarebbe mai aperto un
Area liberale e
nuovo scenario politico in vista dell’appuntaPierre Rusconi, mento di aprile. “Ma non solo. Perché noi 65 anni,
aggiunge Morisoli - vogliamo continuare
dell’Udc
questo dialogo oltre il voto, far crescere at-
in Ticino. Che scenario si prepara?
“Il fenomeno che più sembra incidere in Ticino sulla disponibilità di superfici sfitte, è quello del ridimensionamento delle attività bancarie e la loro concentrazione in un minor numero di edifici. Sul mercato sono gli stabili in periferia, più moderni e accessibili, ad avere la meglio, mentre
quelli storici in centro città, più costosi e meno flessibili infrastrutturalmente, risultano relativamente meno appetibili”.
Secondo il monitor immobiliare di Cs le superfici sfitte
degli uffici dovrebbero crescere il prossimo anno da
480mila a 650mila metri quadrati.
“A compensare parzialmente il bisogno di spazi del settore bancario vi è la domanda esercitata da un gran numero
d’imprenditori italiani, interessati a dare avvio in Ticino a
una nuova attività imprenditoriale, spesso uno spin-off delle loro attività italiane. Il saldo nei prossimi anni potrebbe
tuttavia portare a un aumento delle superfici sfitte”.
Le domande di costruzione lasciano ipotizzare che, anche nel 2015, dovrebbe giungere sul mercato un numero
elevato di abitazioni.
“Alla luce di quanto osservato in passato, si può ragionevolmente ipotizzare che l’elevato numero di domande di
costruzione pervenute e rilasciate nel corso del 2014, preannunci che il livello della costruzione rimarrà molto alto e
sostenuto anche il prossimo anno”.
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
12 ECONOMIA
I trasporti
I PORTI E LA LORO DISTANZA
Le distanze
703 km
Basilea-Rotterdam
607 km
Basilea-Anversa
725 km
Basilea-Marsiglia
478 km
Basilea-Genova
549 km
Basilea-La Spezia
924 km
Ginevra-Rotterdam
828 km
Ginevra-Anversa
461 km
Ginevra-Marsiglia
380 km
Ginevra-Genova
455 km
Ginevra-La Spezia
Rotterdam
m
La Svizzera ripensa
i trasporti via mare
e guarda verso sud
Sono i giorni che potenzialmente si
potrebbero risparmiare nel viaggio
verso l’Asia attraversando il canale di
Suez partendo da porti mediterranei.
8.000
Sono i container che potranno presto
essere caricati sulle navi in partenza
sul Mediterraneo, la metà rispetto a
quelli caricabili a Rotterdam.
12
I milioni di container che ogni anno
raggiungono o partono da Rotterdam
con la Svizzera quale origine o meta.
Altri 10 milioni viaggiano su Anversa.
P
Marsiglia
Genova
La Spezia
6 km
7-10
er “ripensare” un accesso al
mare e ai suoi complessi sistemi
di trasporto delle merci, la Svizzera potrebbe presto guardare
verso Sud. Attualmente per i
container elvetici che viaggiano sulle navi i grandi porti di riferimento sono Rotterdam e Anversa. Ma le potenzialità della nuova rete ferroviaria dopo l’apertura
di Alptransit e i miglioramenti di varie
strutture portuali, ad esempio, a La Spezia, Genova-Savona o anche a Gioia Tauro
potrebbero indurre a modificare, almeno
in parte, la geografia dei trasporti merce
via mare. “Il grande sviluppo del mercato
nel Sud Est asiatico rende il canale di
Suez la miglior strada tra Europa ed Asia
- osserva il professor Remigio Ratti,
esperto di economia dei trasporti -. La
Rotterdam
Anversa
Genova
La Spezia
Marsiglia
Basilea
Ginevra
236
MASSIMO SCHIRA
I numeri
Anversa
3k
8
53
Container trasbordati all’anno, milioni
1210864202008 2009 2010 2011 2012
Canale
di Suez
Il progetto di sviluppo
del Mediterraneo
permette di risparmiare
tempo verso i mercati
asiatici rispetto ai porti
del Nord Europa
Fonte: Iaph, www.luftlinie.org
tendenza attuale porta ad usare navi più
grandi, ma comincia ad essere convincente anche un potenziale risparmio tra i
7 e i 10 giorni nei tempi di trasporto rispetto all’utilizzo dei grandi porti del
Nord. A Savona, ad esempio, sono stati
fatti importanti lavori per permettere a
navi con grande pescaggio di entrare in
porto e altri miglioramenti sono in corso”.
L’obiettivo potrebbe quindi essere
quello di rilanciare le quotazioni del Mediterraneo come via privilegiata o, almeno, più concorrenziale. “Anche utilizzando navi più piccole rispetto alle enormi
imbarcazioni da 16mila container che
partono dal Nord, il risparmio di tempo è
interessante - aggiunge Ratti -. Anche
con 8mila container, che restano molti.
Soprattutto se sarà possibile scaricare le
navi velocemente e approfittare, come
nel caso della Svizzera, di un collegamen-
to ferroviario rapido ed efficiente”. Per
questo, spiega l’esperto, è a buon punto
un sistema di tracciatura elettronica delle
merci in collaborazione con le autorità
doganali. Un sistema che permetterà di
smistare i container in maniera molto celere. Evidentemente, a dover essere convinti della bontà del progetto sono in primo luogo le aziende che oggi utilizzano in
prevalenza trasporti via mare.
Ma l’opportunità di ottimizzare questo particolare settore della logistica è già
ora giudicata interessante. “Dipende
molto dalle scelte dei grandi attori a livello mondiale - conferma Ratti -. Dagli armatori fino alle aziende che richiedono il
trasporto. In Svizzera, ad esempio, si tratterebbe di coinvolgere i grandi distributori come Migros e Coop. Migros, del resto, si è già detta possibilista rispetto all’opportunità di importare da Sud invece
che da Nord”. Oltre alle scelte aziendali,
serve però anche il sostegno politico.
Che, per ora, secondo Ratti, non si è visto:
“La Berna federale o non vede l’opportunità che si apre, oppure non crede al progetto”. Un ulteriore aspetto interessante
per la Svizzera che potrebbe emergere da
questo cambiamento di orizzonte nei trasporti marittimi è legato al traffico su
strada. Oggi anche molte merci che servono il Nord Italia sono importate attraverso i porti di Rotterdam e Anversa. E
attraversano le Alpi sui camion.
“Circa il 40% del traffico pesante attuale è da ricondurre all’attività dei porti
del Nord Europa – conclude Ratti –, perché anche le aziende italiane si affidano
ad essi per efficienza e abitudine. Con
uno spostamento verso Sud si vedrebbe
un certo riequilibrio”. [email protected]
Q@MassimoSchira
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13
Mondo
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
LE
MAPPE
LUIGI
BONANATE
Il terrorismo.
I leader jihadisti
annunciano
un programma
di espansione
che punta dritto
a colpire alle spalle
l’Occidente
Stati Uniti, Russia e Cina
non ci avevano forse ancora
fatto caso. Ma sono associati
in uno stesso mercato comune asiatico (Asean) e tocca loro dimostrare un certo
spirito di cooperazione, del
tipo di quello sviluppatosi
per tanti anni nella comunità economica europea. E
mentre gli Usa sono sempre
lì, sul primo gradino del potere internazionale (non
chiediamoci se lo gestiscano
bene o no), Russia e Cina
sono in corsa per la conquista del secondo posto in
graduatoria. La Russia-exUrss l’ha occupato per 40
anni, l’ha perduto ai tempi
di Gorbaciov e ora Putin
vorrebbe riprenderselo. Ma
nel frattempo la Cina è straordinariamente cresciuta,
avendo travestito il suo cosiddetto comunismo in capitalismo da “tigri asiatiche”,
quelle che dalla fine del secolo scorso lanciarono le
economie dei paesi emergenti. E oggi la Cina (anche
se ha le sue contraddizioni)
è molto più ricca e potente
della Russia, la quale però
pretende il suo vecchio posto di antagonista, se non
altro perché è ancora la seconda potenza
militare mondiale.
Questi
due concorrenti
fanno
politiche ben diverse. Putin sta
cercando di ricostituire la
grande potenza passata, e
sbocconcella le periferie dell’ex-Urss (Georgia, Ossezia,
Crimea, Ukraina), occhieggiando a Bielorussia, Azerbaigian, Kazakistan, e così
via: non c’è dubbio che il
suolo (e sotto-suolo, ricco
com’è in quelle regioni) dia
(ancora) potere e potenza.
Ma la Cina, i cui confini (salvo qualche sfrangiatura a
Sud, che per ora però resta
un problema di politica interna) sono chiari e precisi,
continua a crescere (indiscriminatamente, e causando livelli di inquinamento
mai visti) e a porsi per la
prima volta nella sua storia
addirittura come possibile
futura prima potenza mondiale.
E gli Stati Uniti? Con
quale dei due competitori
preferiranno misurarsi? Oppure c’è il rischio che Cina e
Russia si alleino contro la
vecchia superpotenza azzoppata? In questa vicenda
c’è certo un “terzo incomodo”: e se, in questa girandola, toccasse esserlo proprio
agli Usa? Non siamo abituati
a pensare a un’ipotesi di
questo tipo, ma il mondo sta
tanto cambiando che sarebbe prudente incominciare a
riflettervi. In fondo, il primo
segnale di incomprensione,
gli Usa lo diedero dopo la
caduta dell’Urss, dimostrandosi incapaci di inventare
nuovi principi di ordine internazionale. Ne discese una
crescente anarchia, che si
tradusse in eventi che non
abbiamo saputo ricollegare
l’uno all’altro: 11 settembre;
crisi finanziaria; crisi delle
“primavere arabe”; guerra
civile in Siria; guerra del Califfato in Iraq... attenzione!
Reuters
Nuove sfide
e alleanze
fra la Cina
e la Russia
Pronta la“valuta”dello Stato islamico
Riparte la lotta Usa al terrore e Al Baghdadi mostra le prime monete
Il Califfo dell’Isis punta all’Europa, ma punta
anche a creare una moneta propria. Abu Bakr alBaghdadi, vuole davvero mettere le basi, anche
economiche, al nuovo Stato islamico. E vuol farlo
partendo dai territori conquiLA stati in Iraq e Siria. Le prime
SETTIM immagini delle monete, non
sa quanto vere o false,
ANA si
hanno cominciato a girare ieri, sabato, sul web. Accanto
la spiegazione, dove si sostiene che il “dinaro islamico” avrà inizialmente tre versioni, in altrettante
leghe: oro, argento e bronzo. E che verrà messo
in circolazione con un obiettivo non soltanto economico, ma anche culturale: “Per consentire ai
credenti di sfidare il tirannico sistema monetario
creato dalle economie occidentali per schiavizzare
i musulmani”.
Nei primi disegni apparsi su internet, le monete coniate dal Califfato riportano la mezzaluna
islamica, un logo tradizionale, accanto alla quale
ci sono poi altre varianti. Si va da una mappa del
globo, al profilo della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme, sino a insegne tribali, come lance e
scudi, che riportano alle origini. Secondo alcune
interpretazioni apparse nei giornali online, le monete con il simbolo dei sette fasci di grano - ripre-
Le strategie
Obiettivo Europa
per le minacce
del Califfo dell’Isis
GUIDO OLIMPIO
da Washington
Un audio per ribattere alle voci che
lo davano per morto. Un messaggio per
indicare la strategia d’attacco. È questa
la doppia lettura del discorso di 17 minuti diffuso sul web da Abu Bakr al Baghdadi, ovvero il Califfo dell’Isis.
Nel suo sermone il leader indica la
strada ai suoi seguaci. Quelli che combattono sul doppio fronte Siria-Iraq ma
anche agli altri, i mujaheddin periferici,
unitisi di recente al movimento con un
atto di fedeltà. E aggiunge poi la lista degli avversari da incalzare, una lista lunga
in quanto coinvolge gli stati regionali e,
ovviamente, i “crociati”, con la consueta
minaccia finale: “Arriveremo a Roma”.
Il piano del Califfo si muove lungo
una linea con tre punti fondamentali. Il
primo è il controllo del territorio conquistato: l’Isis ci sta riuscendo in parte, anche se ora deve resistere alla controffensiva. Il secondo è la gestione sociale, ab-
bastanza complicata. Deve governare la
popolazione sottomessa, provvedere alle
necessità, raccogliere consensi e, al tempo stesso, stroncare chi contesta. Quindi
c’è l’espansione, con l’adesione al Califfato di altri gruppi, in Egitto, Yemen, Algeria, Libia, con un pensiero anche al Pakistan.
Per al Baghdadi gli attacchi devono
prendere di mira innanzitutto il nemico
vicino, ossia i regimi arabi. E segnala in
modo diretto l’Arabia Saudita, subito
dopo i generali egiziani. È questa la priorità, perché mettendo in difficoltà i Paesi
amici di Washington è possibile reclutare altre forze con le quali puntare al nemico lontano, ossia gli occidentali.
Nel suo intervento il leader insiste
sulla debolezza degli Usa, e in più generale della coalizione. È chiaro che il target numero uno resta l’America, ma non
è facile raggiungerla. L’unica risorsa sono i militanti ispirati in modo remoto,
elementi che non fanno parte di alcuna
struttura eversiva ma si riconoscono co-
so dal Corano - sarebbe il segno religioso, mentre
la mappa del globo un simbolo della sfida lanciata
da Al-Baghdadi alla conquista di nuovi territori.
Ora resta da vedere dove il Califfato prenderà la
materia prima per realizzare le nuove monete,
ma soprattutto dove e in che tempi le metterà in
circolazione.
Nel frattempo sempre ieri, sabato, il generale
Martin Dempsey, l’ufficiale americano più alto in
grado, è atterrato a Baghdad. Nella sua visita, peraltro non annunciata, Dempsey discuterà con le
autorità irachene la prosecuzione della campagna
contro l’Isis. La notizia è stata data dall’agenzia
irachena Nina. Dempsey, capo di stato maggiore
interforze, è a Baghdad dopo l’annuncio del presidente Barack Obama sull’invio di altri 1.500
consiglieri militari americani in Iraq.
I SOLDI
ISLAMICI
Le nuove monete
diffuse dall’Isis
e rilanciate dalla Cnn
che veranno coniate
in oro, argento
e bronzo
munque nel disegno. Molto più a rischio
gli europei. Come la Gran Bretagna e la
Francia. Entrambe partecipano ai raid,
sono al fianco di Washington, ma hanno
al loro interno ambienti che simpatizzano con l’Isis. Ci sono infine centinaia di
jihadisti che sono partiti da qui e possono sempre tornare. Anche se sarebbe un
errore considerali tutti come dei potenziali terroristi.
La mappa dei bersagli si estende,
inevitabilmente, alla Germania. Sono
tanti i tedeschi che si battono agli ordini
del Califfo, sono molti gli integralisti violenti rimasti all’interno dei confini. Dunque ci sono le condizioni di rischio: lo
sanno bene i servizi di sicurezza che
hanno moltiplicato l’attività di interdizione in collaborazione con i partner dell’Unione Europea. Situazione simile nei
Paesi del Nord. Olanda, Norvegia, Danimarca e Belgio non sono immuni da pericoli. Qui hanno operato vecchi network
islamisti, quindi c’è una “tradizione” che
può essere rinverdita dai volontari anda-
ti a combattere in Iraq o in Siria. In fondo c’è l’Italia. Ha dato meno in termini di
numeri alla causa dell’Isis e delle frange
estreme, però ospita il Vaticano e la sua
capitale è Roma, spesso citata dalla propaganda estremista.
È evidente che un eventuale attacco
avrebbe un grande impatto e confermerebbe quanto predicato dal Califfo in
quest’ultimo anno. Anche se va sottolineato che il termine “Roma” ha un significato non solo geografico e viene usato
dai jihadisti per indicare l’intero schieramento “crociato”.
Fino ad oggi, come confermano le parole di al Baghdadi, l’interesse principale
del movimento è la vasta area del Medio
Oriente. Le fondamenta del Califfato non
sono ancora stabili, la risposta della coalizione crea problemi, gli avversari stanno prendendo le misure migliorando la
loro intelligence. Le difficoltà incontrare
dai mujaheddin nell’assalto alla cittadina curda di Kobane ne sono una prova. È
una fase delicata che impone ai leader jihadisti delle iniziative accorte per non
bruciare quanto ottenuto in un quadro
piuttosto instabile.
Tutto questo non esclude che l’Isis
possa tentare la mossa aggirante, il colpo ad effetto, colpendo alle spalle l’Occidente. Non bisogna pensare a grandi
progetti. Bastano anche i “piccoli tagli”,
come gli ideologi qaedisti hanno spesso
definito una serie di attacchi minori ma
ravvicinati. Anche Osama si era convinto di ciò. Perché costano poco, non richiedono grande logistica e danno il senso di un’offensiva globale anche se magari si tratta di episodi scollegati. Per
farli non serve un esercito di militanti
super addestrati, ma basta un pugno di
uomini determinati.
– Phil Hansen, artista multimediale –
«Solo chi pensa diverso
cambia il mondo.»
MAZDA CX-5.
Chi l’ha detto che un artista deve avere la mano ferma? Accettando il suo handicap, un tremore
della mano che è andato costantemente peggiorando nel corso degli anni, Phil Hansen ha scoperto
nuove vie di fare arte, ispirando milioni di persone.
Con lo stesso approccio – fare le cose in modo diverso per farle meglio – abbiamo sviluppato la tecnologia SKYACTIV, applicata ad esempio nella Mazda CX-5. Il risultato? Una vettura completamente inedita che in fatto di consumi
e prestazioni non scende a compromessi. Lo illustra per esempio il motore diesel SKYACTIV-D 150 che, con un consumo
di soli 4,6 l per 100 km1, offre la bellezza di 150 CV, un’entusiasmante coppia di 380 Nm e il più puro piacere di guida. Il primo
motore di serie al mondo con un rapporto di compressione di 14:1.
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1
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La tendenza
Il caso
Sesso e amore
Barbuto piace,
ma il pelo
deve essere
sempre curato
L’ottavo giorno,
quello perso
per “sfogliare”
lo smartphone
Sessualmente
soddisfatto,
resto però
un cacciatore
SALEMI A PAGINA 25
A PAGINA 21
ROSSI A PAGINA 22
traparentesi
ilcaffè
16 novembre 2014
PASSIONI | BENESSERE | SPORT
Animali
Il bull terrier
salottiero
e palestrato
BOLTRI A PAGINA 22
In futuro
potremmo
essere obbligati
ad andare
all’estero per
farci curare.
Perché costa
meno. Un’idea
su cui sta
lavorando
anche Berna
Il della
mondo
sanità
low cost
PER COMINCIARE
L
a concorrenza, si sa, da tempo ha
infranto tutti i confini. Anche per
la sanità. E presto potremmo doverci curare all’estero. Per interventi particolari, operazioni complicate o solo per una lunga riabilitazione, Francia, Germania, Italia, Spagna o anche Paesi più lontani potrebbero rivelarsi molto
più economici rispetto alla Svizzera.
segue a pagina 18
ELISABETTA MORO
PATRIZIA GUENZI
COMING OUT
H
a fatto coming out. Ufficialmente. Senza alcun imbarazzo,
Tim Cook, 53 anni, amministratore delegato di Apple dal
2011, ha dichiarato di essere gay tramite una lettera pubblica inviata al sito Businessweek. Già, facile per lui, avrete pensato.
Infatti, se Cook non fosse ai vertici di un’azienda con una posizione
dominante sul mercato, con un’immagine fresca e che piace soprattutto ai giovani… bè, forse non sarebbe passata così inosservata la
sua esternazione. Perché se il travaglio interiore nel decidere di fare
coming out è uguale per tutti, non lo sono invece le conseguenze.
Provate un po’ a immaginare in un piccolo luogo di lavoro un impiegato qualsiasi che ad un certo punto grida forte e chiaro le sue inclinazioni sessuali. Inclinazioni giudicate, dalla maggior parte delle
persone, ancora “poco normali”, o per lo meno da tenere per sé. Infatti, ha confessato Cook nella sua lettera aperta, “è stata dura e difficile, a volte, ma mi ha dato il coraggio di essere me stesso, di seguire la mia strada e di superare le avversità e il bigottismo”.
Bigottismo ancora molto limitante per chi desidera semplicemente coniugare altrimenti l’amore. In questo senso, i Paesi nordici sono più avanti. E, in generale, ovviamente, le città rispetto ai
paesi o alle province. Ma la strada è ancora lunga. Tuttavia, spianarne un tratto spetta a tutti noi.
PATRIZIA GUENZI
La comedy noir del Caffè
Malafinanza, malapolitica
e torbide passioni
in un racconto
di ventitré puntate
di Anonymous
Con una graphic novel
di Marco Scuto
A PAGINA 48
L
a vita è una malattia trasmessa
sessualmente. È un motto di spirito che circola molto fra i medici.
Peccato che oggi in tanti lo prendano alla lettera e soprattutto che
si fermino alla prima parte, senza
apprezzare la seconda come meriterebbe. Così molti finiscono
per medicalizzare la propria esistenza. Passando da una diagnostica preventiva all’altra, da uno
specialista all’altro, da una clinica
all’altra.
segue a pagina 19
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
18
ilcaffètraparentesi 19
Per la cataratta vadoaIstanbul,risparmio e mi diverto
Ecco la mappa mondiale della sanità low cost, un’alternativa che interessa pure Berna
PATRIZIA GUENZI
Dalla Romandia a Parigi
La scorsa domenica il Caffè ha
pubblicato un servizio sulla sanità
francese, che attira sempre più
pazienti dalla Svizzera romanda
La salute. In futuro,
gli svizzeri potrebbero
doversi curare in un altro
Paese. Per interventi
chirurgici, trattamenti
particolari e riabilitazione
L
a concorrenza da tempo ha
infranto tutti i confini. Anche per la sanità. E presto
potremmo doverci curare
all’estero. Per interventi
particolari, patologie complicate o
per una lunga riabilitazione, Francia,
Germania, Italia, Spagna o Paesi più
lontani potrebbero rivelarsi molto
più economici rispetto alla Svizzera.
Già ora, ad esempio per la chirurgia
estetica, si vola in Brasile, patria del
famosissimo chirurgo Ivo Pitanguy,
per approfittare delle tecniche più
innovative. Ovviamente, prima di
salire sull’aereo sempre meglio assicurarsi di finire in mani capaci e in
strutture altamente professionali per
evitare complicazioni, dovute soprattutto a soggiorni medici troppo
veloci.
Però attenzione, anche, a non condurre una vita da malati, costante-
Da Basilea si può andare
a Lörrach e la cassa
malati rimborsa i costi
mente sotto controllo medico, per
poi morire sani, come avverte l’antropologa Moro (vedi pagina accanto).Comunque sia, ci si prepara ad un
futuro sanitario low cost. Sempre più
lontano da casa. Anche Berna se ne
Rio de Janeiro
In Brasile, patria del
chirurgo Pitanguy, si va
soprattutto per la
chirurgia estetica
Budapest
Da anni si va in
Ungheria e in Polonia,
per risparmiare sulle
cure dentistiche
tra gli isituti di cura - sottolinea Olivio Lama, di SantéSuisse Ticino (associazione mantello delle casse malati) -. Ma la concorrenza non è solo
cantonale o nazionale, può benissimo essere pure internazionale”.
Se i costi per la sanità continuano
a lievitare qualcosa bisognerà pur fare per invertire la tendenza. Da anni
si ripete che spendiamo cifre da capogiro. Basta dire che uno svizzero,
in media, sborsa mensilmente oltre
700 franchi per la salute. Benvenga,
allora, la mappa della sanità low cost,
anche se oltrefrontiera.
I primi a spingerci su un aereo
per assicurarci cure meno costose,
vale la pena ricordarlo, sono stati i
dentisti. Destinazione Ungheria o
Polonia per un innesto osseo, una
protesi, una ricostruzione o un complicato intervento chirurgico orale.
Da lì in poi, molti Paesi sono diventati meta del turismo terapeutico, con
risparmi sino all’85%. Se all’inizio in
Spagna e India sono in
pole position per la
medicina riproduttiva
Turchia si andava per hammam e
spa-hotel - servizi che continuano ad
allettare -, ora l’offerta si è estesa anche a cure mediche che attirano oltre
100mila stranieri l’anno, con l’oftalmologia che la fa da padrona. I prin-
Ankara
Liechtenstein
Da qualche anno le casse
malati pagano ai pazienti
del Canton San Gallo
le cure in Liechtenstein
sta interessando. Il Consiglio federale, infatti, lo scorso 15 ottobre ha deciso di mettere in consultazione un
progetto di legge che consentirà di
rafforzare la cooperazione transfrontaliera per le cure medico-sanitarie.
Merito del successo di due iniziative pilota nelle regioni di BasileaLörrach (in Germania) e a cavallo fra
il canton San Gallo e il Liechtenstein
dove, già dal 2006, le casse malati si
fanno carico dei trattamenti forniti
all’estero.Ginevra è invece interesssata ad un accordo con la Francia.
Naturalmente, le casse malati sono
ben contente di risparmiare. “Il Drg,
ovvero le tariffe fissate secondo forfait per caso, è stato introdotto proprio per creare maggior concorrenza
Lörrach
Il Baden-Württemberg
offre ottime strutture e
bravi medici che
attraggono pazienti
anche dalla
Cofederazione.
Ma in Germania si va
anche per i denti, il primo
esame viene fatturato
meno della metà rispetto
alla Svizzera0
cipali centri sono a Istanbul, Ankara
e Smirne; l’operazione di eccellenza
è la correzione col laser della miopia.
Neanche 1000 franchi per un intervento su entrambi gli occhi, tre notti
in hotel all inclusive. Molto richieste
anche blefaroplastica e cataratta.
Spagna e India, invece, sono in pole
position per la medicina riproduttiva.
Secondo la Società europea di
embriologia e riproduzione umana,
tra il 35 e il 40% degli interventi di
riproduzione assistita transfrontaliera in Europa vengono fatti in Spagna,
circa 35mila casi l’anno.
Per la maternità surrogata meglio l’India, si spende un quarto rispetto agli Usa. Cliniche specializzate per l’ ”utero in affitto” offrono i lo-
ro servizi a partire da 20mila euro.
Per dare un taglio ai chili di troppo si
va in Messico: dalla dieta alle cure
per il diabete, ma anche interventi di
chirurgia bariatrica a metà prezzo rispetto alle tariffe americane. A Bangkok, invece, cambio di sesso economico e discreto: dai 2 agli 8mila euro. Se desiderate solo un check up
generale staccate un biglietto per la
Malesia. A partire da 500 euro, nelle
cliniche dell’ex colonia britannica si
trovano pacchetti completi, con tanto di escursioni a Kuala Lumpur o relax su spiagge da sogno. Tanto per
unire all’utile anche un po’ di dilettevole.
[email protected]
Q@PatriziaGuenzi
Kuala Lumpur
Oltre 100mila pazienti stranieri l’anno vanno
ad Ankara, Istanbul e Smirne per cure
mediche, oftalmologia su tutte
Bangkok
Da qualche anno la Malesia, oltre a
spiagge da sogno, offre strutture
efficienti per i check up
In Thailandia si va per gli
interventi di cambio di
sesso. Paese
economico e discreto
Le mete
della salute
a basso costo
Lione
Ginevra vorrebbe inviare i
pazienti nella vicina
regione del Rodano per
risparmiare sui
costi sanitari
Cancun
Mumbai
Barcellona
L’India per la maternità
surrogata è una meta molto
frequentata, si spende un
quarto rispetto agli Usa
Spagna (e India) sono in
pole position per gli
interventi di medicina
riproduttiva
In Svizzera
Chirurgia ricostruttiva,
cuore e riabilitazione
il tris elvetico che vince
L
In Ticino
Esistono ottime strutture
anche in Ticino con
professionisti di fama,
Cardiocentro e Iosi
ne sono un esempio
Cosa e dove
1
Trentamila pazienti stranieri arrivano ogni anno nella Confederazione e spendono oltre 1 miliardo
e punte di eccellenza sanitarie svizzere si
trovano soprattutto in quelle città o regioni dove c’è un ospedale universitario: Losanna, Ginevra, Basilea, Berna, Zurigo o un noto nosocomio come a San Gallo. Qui, numerosi
pazienti stranieri, ogni anno approdano per
avere un secondo parere medico o per curare
patologie cardiologiche-tumorali, ma anche
per sottoporsi a interventi di ortopedia o di chirurgia viscerale. Punte di eccellenza che si trovano pure in Ticino dove, tra il 4 e il 6% dei pazienti che fanno capo ad un ospedale pubblico
o a una clinica privata, arrivano dall’estero.
“Non dimentichiamo il Cardiocentro e lo Iosi ricorda il dottor Sebastiano Martinoli, chirurgo
alla Clinica Moncucco di Lugano -. L’Istituto
oncologico di Bellinzona e il dottor Franco Cavalli sono conosciuti a livello mondiale”.
Secondo uno studio del Gottlieb Duttweiler
Institut, 30mila pazienti stranieri vengono
ogni anno in Svizzera per sottoporsi a cure mediche e spendono oltre un miliardo di franchi
per i trattamenti (850 milioni nel 2010). L’Associazione degli ospedali svizzeri, che rappre-
senta 370 istituti pubblici e privati, stima tra
l’1-2% il tasso di pazienti che arriva da oltrefrontiera. Per tornare al Ticino, basta pensare
al centro di riabilitazione Hildebrand, di Brissago, meta privilegiata di pazienti stranieri facoltosi che non badono a spese pur di risollevarsi dai postumi di un ictus o di un grave incidente.
Altro nome eccellente della sanità elvetica
è l’Hirslanden Private Hospital Group, il più
importante nella Confederazione con numerosi
centri sia nella Svizzera tedesca che francese, e
che punta ad un aumento annuo del 10% della
presenza straniera per i prossimi cinque anni.
Forte della sua collaborazione con cliniche in
Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Pazienti, questi ultimi, che spesso scelgono la
Svizzera per trattamenti di chirurgia estetica o
ricostruttiva dopo un cancro al seno o un incidente. Una richiesta legata sì alla fama di un
Paese altamente specializzato, ma anche alla
sua discrezione. I pazienti arrivano persino
dalla Cina, stando ai dati di Swiss Health, piattaforma creata nel 2008 per promuovere i ser-
PER VISTA E PALPEBRE
vizi medici all’estero. Sebbene spesso, più che
dal singolo ospedale o clinica, gli stranieri siano richiamati dalla fama del chirurgo che vi
opera. Soprattutto per la chirurgia plastica a
pesare è la notorietà del medico. Discrezione,
professionalità e buone strutture sono la carta
vincente della sanità elvetica, conosciuta in
tutto il mondo per la qualità dei suoi servizi.
“In testa ci sono Ginevra, Berna, Zurigo, per le
patologie cardiache - precisa Martinoli -. Zurigo, da sempre è un grande nome per la chirurgia cardiaca, da qualche anno si è imposto pure
per la chirurgia cardiaca infantile, grazie al lavoro del dottor René Prêtre. Ma anche San Gallo gode di una buona tradizione nella chirurgia
ortopedica e viscerale”. Un business, quello
della salute, che già l’ex ministro federale della
sanità, Pascal Chouchepin, molto lungimirante
in alcune sue visioni, anni fa propose di incentivare. In sostanza, gli ospedali svizzeri avrebbero dovuto aprirsi di più al “turismo sanitario” per bloccare sul nascere la concorrenza
delle nuove cliniche di lusso a cinque stelle
realizzate in Brasile, a Dubai e Singapore, specializzate in diverse terapie.
La domanda nel settore della chirurgia sta
progredendo di pari passo con quella relativa ai
servizi di medicina generica. Sempre secondo
Swiss Health, negli ultimi anni sono in forte
crescita i pazienti provenienti da Russia, Cina o
dai Paesi dell’ex Urss, dove la classe media ha
sempre più disponibilità economica. L’entusiasmo dei cinesi sarebbe in particolare dovuto ai
trattamenti offerti da cliniche di lusso, come la
Clinique la Prairie di Montreux, che usano cellule animali. La terapia più richiesta è quella
“rivitalizzante”, con la somministrazione per
via orale, sull’arco di due giorni, di una soluzione di sostanze biologicamente attive estratte dal fegato di giovani agnelli.
p.g.
L’oftalmologia attira oltre 100mila
stranieri l’anno. I centri più
importanti, Istanbul, Ankara e
Smirne. L’operazione di eccellenza
è la correzione a laser della
miopia, oltre alla blefaroplastica.
2
3
4
MI RIFACCIO GLUTEI E SENO
Glutei da urlo, da rialzare e
rimodellare, appunto, alla
brasiliana, ma anche nuovi metodi
che permettono di fare il lifting
senza bisturi, in ambulatorio.
CHECK UP A 360 GRADI
Le cliniche malesi offrono
pacchetti all inclusive. Una miriade
di esami, oltre a gite turistiche. A
partire da 500 euro, la metà
rispetto alla vicina Singapore.
Keystone
DALL’ARABIA
A BERNA
Nei centri
Hirslanden arrivano
pazienti dall’Arabia
e dagli Emirati
Arabi Uniti
Il Messico è una meta
ambita per la chirurgia
bariatrica, costa la metà
rispetto agli Usa
CAMBIO SESSO E SPENDO POCO
Da uomo a donna e viceversa.
Non solo interventi sui genitali,
ma anche altre esigenze di tipo
estetico. Pacchetti viaggio
acquistabili online per Bangkok
La specialità
In Francia,Germania e Thailandia
per corone,otturazioni e dentiere
P
arrebbe soprattutto una questione
di denti. O meglio di dentisti troppo
cari, per le tasche delle classi medie
e medio basse svizzere. Cos’ha detto il
dottor Marc Schwing, di Allonzier-LaCaille, in Savoia, che ha parecchi pazienti
di Ginevra e dintorni? Di essere sorpreso
dal cattivo stato dei denti di molti degli
svizzeri che si presentano al suo studio.
Un discorso analogo lo potrebbero fare
molti suoi colleghi tedeschi, che operano
a ridosso del confine con il nostro Paese,
curando carie o sostituendo corone di
gente che viene da Basilea, Zurigo, San
Gallo e, a volte, fin da Berna. Anche perché, rimanendo in Germania, l’esame clinico che si fa la prima volta ad un nuovo
paziente, viene fatturato poco più di 33
franchi, mentre in Svizzera si può arrivare sino a 74. Se, poi, una volta fatta la visita, si passa alla soluzione dei problemi
allora sono dolori non per la bocca ma per
per il portafoglio.
Ad esempio, secondo una comparazione del Blick, per un’otturazione in Germania possono bastare 65 franchi, mentre al di qua della frontiera si arriva a circa 200. Se, invece, si tratta della sostituzione di una corona, ecco allora che a Zurigo e Basilea si fa in fretta a toccare i
2000 franchi, contro i circa 450 che vengono fatturati dall’altra parte del confine.
“Attenzione, è possibile che quei 450
Le degenze
Tra il 2002
e il 2009 le
degenze di
occidentali
in ospedali
thailandesi
aumentate
da 620mila
a 1.45
milioni
franchi si riferiscano ad un lavoro da laboratorio appaltato in Estremo Oriente”,
avverte Alex Weber, della Società Svizzera di Odontostomatologia. E, a proposito
di Estremo Oriente, vale la pena spendere qualche parola, pure, sulla tentazione,
invalsa ormai anche negli svizzeri, di
usufruire delle strutture mediche della
Thailandia, Singapore, Corea del Sud e
altri Paesi. Tra il 2002 e il 2009, il numero
delle degenze di occidentali, negli ospedali thailandesi, è passato da 620 mila a
1,45 milioni.
“Al Sukhumvit Hospital di Bangkok il
40% degli interventi è effettuato su pazienti stranieri”, ha dichiarato il direttore
marketing del nosocomio, Nicolas Leloup,
non a caso un francese. “Il turismo sanitario in Asia continuerà a crescere in modo esplosivo”, afferma il direttore esecutivo dello stesso ospedale, Paul Keckley.
In effetti le strutture sanitarie locali non
hanno nulla da invidiare a quelle occidentali, le cure sono assai meno care e, soprattutto, la convalescenza si può trascorrere su una spiaggia assolata. Il fenomeno, per quanto riguarda gli svizzeri “è
ancora da ritenersi marginale”, se paragonato ad americani, francesi e australiani, secondo quanto scrive la Rivista medica svizzera che, però, ritiene inevitabile
che finisca con l’attecchire anche da noi.
f.z.
L’analisi
Vivremo
da malati
per poter...
morire sani
ELISABETTA MORO
Docente di antropologia
culturale
L
a vita è una malattia trasmessa sessualmente. È
un motto di spirito che
circola molto fra i medici. Peccato che oggi in tanti lo
prendano alla lettera e
soprattutto che si fermino alla prima parte, senza apprezzare
la seconda come
meriterebbe. Così
molti finiscono
per medicalizzare la propria
esistenza.
Passando da
una diagnostica preventiva all’altra, da uno specialista
all’altro, da una clinica all’altra.
E da un po’ di tempo si va diffondendo una sorta di turismo
terapeutico. Che, beninteso,
non ha niente a che fare con i
viaggi della speranza. Ma serve
semplicemente a placare la
paura di ammalarsi. E soprattutto di invecchiare.
L’età, infatti, viene ormai percepita come una patologia insidiosa, da combattere colpo su
colpo. E quello che una volta si
chiamava il naturale corso del
tempo, viene considerato un
subdolo effetto dell’ossidazione. Trasformando gli antiossidanti in veri e propri salvavita.
Insomma, corriamo a grandi
passi verso una vera e propria
ipocondria collettiva. E questa
sì che è una vera e propria epidemia sociale. Un bacillo contagioso, come diceva Giorgio Gaber, che si propaga in maniera
direttamente proporzionale alla
crescita dell’insicurezza globale. E che ci fa sentire tutti più
fragili. Esposti a qualunque
contagio, vero o presunto. Col
risultato di rinchiuderci in una
sorta di cittadella immunitaria.
È il male della modernità.
Lo aveva già capito Molière che
nel 1673 fa del suo Malato immaginario il progenitore di tutti
gli ipocondriaci. Nonché la vittima predestinata di quella che
oggi si chiama “disease mongering”, vale a dire quel marketing della salute che prima
produce i farmaci e poi inventa
la malattia adatta. Che è un po’
come costruire il traforo e poi
metterci sopra la montagna.
Proprio come fanno il dottor
Purgone e il dottor Olezzo, i
due medici imbonitori che spillano denaro ad Argante, il protagonista della commedia di
Molière. Con la differenza che
dal malato immaginario siamo
passati all’immaginario malato.
Che tocca un po’ tutti. Colpa
anche di una società efficientista che ci chiede di rimanere
per sempre giovani, scattanti e
performanti. E che ha esasperato il motto prevenire è meglio che curare, finendo per
trasformare la vita in una terapia intensiva.
Così sembriamo tanti personaggi della commedia di Jules
Romains, “Il trionfo della medicina”, dove un certo dottor
Knock, in combutta con il farmacista del luogo, trasforma
un intero paese in una grande
clinica, convincendo tutti gli
abitanti di avere qualcosa che
non va. Il suo motto è “la popolazione è sana solo perché non
sa di essere malata”. È l’inizio
di quello che il grande psichiatra Thomas Szasz definiva lo
Stato Terapeutico, ossia un modello di società in cui qualsiasi
cosa diventa malattia da curare. Dalla grassezza all’ipercinetismo infantile. Dalla tristezza
alla gravidanza. Finendo per vivere da malati per morire sani.
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 21
In Svizzera
Il trend.Quotidianamente
passiamo in media oltre tre ore
a consultare il nostro cellulare.
Per scaricare posta, twittare,
postare, inviare e-mail e messaggi
Una gioventù
iperconnessa
che dà l’addio
a tv e giornali
A
Quell’ottavo giorno
guadagnato o perso
sullo smartphone
Usi e abusi
I ragazzi
Un esperimento negli
Usa su 200 ragazzi, che
erano stati privati del
loro telefonino, ha
accertato una crisi
da astinenza
La frequenza
Una ricerca inglese ha
stimato che in media si
consulta il telefonino
1.500 volte la settimana,
12 volte ogni ora
per 214 volte al giorno
La mattina
In Svizzera, tra gli utenti
più giovani, quelli sotto i
30 anni, ben il 19%
guarda subito il
telefonino appena aperti
gli occhi la mattina
C’
è perfino un
app (Moment)
che ci dice
quanto siamo
dipendenti dello smartphone, il telefono “intelligente” che ci rende sempre
meno indipendenti. Fra chiamate, chat, sms, mail, post, applicazioni e giochi ormai si passa più tempo con lo smartphone
in mano che a fare qualsiasi altra cosa. In media 3 ore e 16
minuti al giorno, rubando tempo al sonno, ai pasti, al lavoro,
al tempo libero. Una giornata in
più ogni settimana
È quanto emerge da un’indagine condotta in Inghilterra
pubblicata dal quotidiano britannico Daily Mail. “Per me è
un giorno risparmiato - nota
Paolo Attivissimo, divulgatore
scientifico esperto in nuove
tecnologie -. Siccome molto del
mio lavoro viaggia online e invece di telefonare, parlare, fissare appuntamenti, aspettare,
Paolo Attivissimo:
“Per chi lavora sul
web si apre un mondo
di possibilità che fa
risparmiare tempo”
Mauro Croce : “La
dipendenza delle
nuove tecnologie fra
i giovani ha anche
aspetti preoccupanti”
mi basta inviare un sms, smisto documenti, ricevo risposte
e guadagno tempo”. Un giorno
in più. L’ottavo giorno, appunto. “Certo che se uno si perde
via giocherellando sullo smartphone, fotografando sciocchezze e inviandole agli amici
ruba tempo dedicato alla socialità. In questo caso, forse, è un
giorno perso”, aggiunge Attivissimo.
Tutto dipende dalla modalità d’utilizzo. “La dipendenza
dalle nuove tecnologie, dalla
necessità di essere sempre
connessi, ma anche dai giochini presenti sullo smartphone,
sta assumendo fra i giovani dimensioni preoccupanti, pur
non essendo riconosciuta come
dipendenza vera e propria dalla
comunità scientifica - sostiene
Mauro Croce, psicologo esperto
in dipendenze -. Un esperimento condotto negli Usa su
200 ragazzi a cui era stato
chiesto di rinunciare all’uso
dello smartphone per un giorno, dopo 24 ore ha rintracciato
comportamenti tipici di chi è in
astinenza: la paura di non essere connessi con la propria rete
di amicizie, di essere esclusi”.
Nel dettaglio, stando all’indagine consultiamo il telefonino
1500 volte la settimana, 214 al
giorno: tolte le ore del sonno,
circa dodici volte all’ora. Il picco è alle 7.31 del mattino, ap-
pena svegli. Da un’indagine
analoga di Comparis.ch, nel
2013 in Svizzera due possessori di smartphone su tre controllano i messaggi prima ancora
di arrivare al lavoro. Uno su
dieci si informa sulle ultime
novità addirittura dal letto, ancora prima di alzarsi. Un uso
che è inversamente proporzionale all’età.
In Svizzera, tra gli utenti
più giovani, infatti, il 19% sotto
i 30 anni guarda il proprio
smartphone appena aperti gli
occhi la mattina. A partire dai
50 anni questa percentuale
scende al 4%. “Per chi cresce
con i social network, twitter,
wordzap, facebook, linkedin,
instagram - aggiunge Attivissimo -, sono ormai una modalità
normale di socializzazione. Gli
adulti invece, che hanno già
una loro rete di relazione precedente possono scegliere se
entrare nei social network o
meno”.
c.m.
ddio vecchio telefono. Solo l’1% dei
giovani fra i 12 e i
19 anni ha un “normale
telefonino”. Il resto, la
quasi totalità, secondo
una recente ricerca dell’Università di scienze applicate di Zurigo (studio
James), possiede uno
smartphone utilizzato soprattutto
per ascoltare
la musica o
navigare in internet.
Solo quattro anni fa appena il 16% dei giovani navigava in rete con il cellulare. Ora è un’abitudine
generalizzata. “È ormai
una tendenza si è più connessi, ma si comunica di
meno, visto che altri scopi, per giocare, leggere
notizie, perdere tempo”,
commenta Davide Gai
esperto in tecnologie della
comunicazione. Addio telefonate dunque, calate
dall’80% del 2010 al 71%
di oggi, ma addio anche
ai giornali di carta, anche
se gratuiti. Solo il 35% degli intervistati dichiara di
leggere la free press contro il 49% nel 2012. I giovani sempre più spesso le
notizie se le vanno a cercare sui giornali online:
quasi un terzo segue le
novità su portali di news
in internet. “Ormai i giornali stanno emigrando sul
web - aggiunge Gai mentre la maggior vittima di questo fenomeno è
la tv generalista, che sempre meno persone guardano”.
Lo studio evidenzia
inoltre che la quasi totalità (99%) delle economie
domestiche in cui vivono i
ragazzi ha a disposizione
un computer con accesso
a internet. La durata di
navigazione quotidiana
nel corso della settimana
è di circa due ore. E cosa
fannno i ragazzi su internet con il loro smartphone? Diverso il comportamento fra maschi e donne, ovviamente. I primi si
divertono con videogiochi
o guardano film, in particolare (il 43%) video porno o erotici. Le donne, invece, ascoltano spesso la
musica o fanno foto.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
22 LE RUBRICHE
ilcaffètraparentesi
Animali.
BenEssere. La pillolina blu potrebbe avere
un effetto positivo sulle patologie di cuore e ventricoli
Il bull terrier
vive bene
in salotto
e in palestra
Insufficienza cardiaca
tamponata dal viagra
CRISTINA GAVIRAGHI
I
n fondo, all’inizio, era stato studiato
per questo: per far bene al cuore. Il sildenafil, meglio conosciuto con il nome
commerciale di “viagra” e con quello popolare di “pillola blu”, è il farmaco più noto per il trattamento della disfunzione
erettile, ma all’inizio fu sperimentato per
la cura dell’angina pectoris, il dolore al
petto causato da patologie coronariche. I
risultati per questo scopo si rivelarono
modesti, ma, durante la sperimentazione, emerse che uno dei suoi “effetti collaterali” era di migliorare le erezioni maschili. Da qui in poi la storia è nota.
Un gruppo di ricercatori dell’università
La Sapienza di Roma, però, ha riproposto
un possibile utilizzo del viagra per chi
soffre di alcune patologie cardiache. Sulla
rivista Bmc Medicine, gli esperti hanno
analizzato 24 studi sugli effetti del sildenafil sulla funzionalità cardiaca in 1622
pazienti. “I dati raccolti - spiega Andrea
Isidoro, principale autore della ricerca -,
mostrano come una prolungata assunzione di questo farmaco abbia un effetto positivo su forma e dimensioni del cuore di
chi soffre d’ipertrofia ventricolare sinistra
e migliori le performance cardiache”.
Il sildenafil inibisce la fosfodiesterasi
5, un enzima particolarmente presente
nella muscolatura liscia che ostacola il rilassamento muscolare. È questa sua capacità che fa distendere i corpi cavernosi
del pene consentendo un’erezione più
consistente e duratura. In campo cardiologico, l’azione di questo farmaco migliora il flusso sanguigno nel cuore, favorisce
il suo rilassamento durante la fase diasto-
lica, cioè dopo la contrazione, consentendo un corretto riempimento del ventricolo e rendendo la gittata cardiaca più efficiente. Il tutto con un effetto positivo su
forma e dimensione del cuore di chi ne
presenta ispessimenti anomali e sulla sua
funzionalità in chi soffre d’insufficienza
cardiaca. “Il farmaco è sicuro e ben tollerato anche negli anziani e andrebbe testato, per verificarne l’efficacia in questi
pazienti, in studi ampi e dedicati”, conclude Isidoro.
Ci sarebbe, però, un altro metodo per
consentire un corretto afflusso di sangue
al cuore: mantenere in salute le sue valvole. Tenere sotto controllo il livello di
zuccheri nel sangue. Già anni fa era stata
evidenziata una correlazione tra diabete
e calcificazione della valvola aortica,
condizione che ne provoca un irrigidi-
mento e una ridotta funzionalità. Alcuni
ricercatori statunitensi, sul Journal of
the Royal Society Interface, hanno cercato di spiegare le basi cellulari del fenomeno. Studiando in laboratorio le valvole
cardiache dei suini, in particolare quella
aortica, in presenza di diverse concentrazioni di glucosio, gli esperti hanno
evidenziato che le valvole, per funzionare correttamente, hanno bisogno della
giusta quantità di nutrienti.
Un eccessivo livello di glucosio
avrebbe effetti negativi sul metabolismo
delle cellule interstiziali, quelle che, producendo le sostanze extracellulari, sono
responsabili della struttura valvolare.
Troppo zucchero causerebbe un rallentamento della loro attività con conseguente indurimento e riduzione del flusso
sanguigno al cuore.
D
“Soddisfatto,sì,
ma cacciatore”
Cerchi la novità
con sua moglie
H
o trentatré anni, sono
sposato da tre e sto con
mia moglie da sette anni. Abbiamo sempre avuto una
buona vita di coppia, anche sessuale. Mia moglie è molto soddisfatta di me, sento che ha
proprio piacere nel fare l’amore
e anche a me piace molto.
Intimamente ho però sempre avuto (a volte di più, a volte
di meno) il desiderio di avere
avventure con altre donne. Forse per il gusto di provare nuove
emozioni, ma anche per soddisfare il mio animo di cacciatore.
Mi considero un bel ragazzo e
so che nel mio piccolo posso
piacere. A volte riesco a fermare questi miei istinti masturbandomi e ci sono sempre riuscito tranne una sola volta in
cui ho tradito mia moglie. Ora
però, dopo questa prima esperienza, vorrei riprovare ma non
so bene come comportarmi. Infatti non mi va di andare a caccia di altre donne. Vorrei che se
dovesse capitare, che capiti
quasi per caso come la prima e
ultima volta (per ora). Ho anche
pensato di andare con una
escort. Non so davvero come
muovermi, nel senso che non è
un grosso problema perché mi
sento comunque soddisfatto,
però vorrei ogni tanto assaggiare il gusto del proibito.
La risposta
di Linda Rossi
G
razie per darmi lo spunto
di parlare della voglia di
trasgredire dell’uomo felicemente sposato. È un fenomeno alquanto diffuso ma, a dipendenza della persona, questo
comportamento assume connotazioni diverse. In lei c’è la voglia di provare nuove emozioni
e di soddisfare il suo istinto di
maschio cacciatore. In tutti questi anni di matrimonio ha “sgarrato” una sola volta e questo
sembra averle dato la voglia di
ripetere l’esperienza. Però, con-
La moda.
LINDA D’ADDIO
P
E
gregio dottore, avvicinandosi il Natale, e con esso il
carico di doni, dopo lunghe
discussioni abbiamo deciso di
regalaci un nuovo compagno di
vita. La scelta, ovviamente preceduta dalle solite discussioni
sui pro e i contro di una razza rispetto ad un’altra, è caduta sul
bull terrier. Putroppo, esprimendo la nostra intenzione agli amici, ne sono venute fuori opinioni
totalmente discordanti ed opposte tra loro. Quindi eccoci qua a
chiedere il suo imparziale parere
su questa particolare razza, oltre
a qualche consiglio sulla sua gestione quotidiana.
La risposta
di Stefano Boltri
Sesso e amore.
La lettera
La lettera
traddicendosi direi, sostiene di
non voler andare a caccia di altre donne, ma vorrebbe che capitasse per caso. Anche il pensiero di andare con una escort
annulla nuovamente l’istinto
cacciatore, poiché, in questo caso, basta pagare. Se una saltuaria esperienza adulterina si giustifica con il piacere che le può
La maglia antigelo
è extralarge e calda
esi sostanziosi, lavorazioni nordiche, colli
altissimi, misure over e cappelli, sciarpe e
guanti termici. È la nuova grande tendenza del knitwear, un trend che consente di sfidare le temperature più rigide e di prepararsi al
grande freddo, coccolati dal calore e dalla morbidezza della maglia. Quelle 2014/15 sono talmente larghe, lunghe e pesanti da fungere da
capospalla e riparano come un cappotto. I colli
sono alti, spesso altissimi, doppi, tripli, lavorati
a coste inglesi o a trecce e coprono anche le
spalle con un doppio strato di lana rendendo assolutamente superflua qualsiasi altra protezione, sciarpa, cappuccio o scaldacollo.
Così i grandi marchi hanno interpretato
questa nuova stagione fredda della maglia
giocando con le proporzioni, con i filati, con
le lavorazioni, con i dettagli, una sorta di
terapia “antifrozen” e “cocoon”, perfetta
per le alte quote e per i climi nordici, ma
da sfoggiare soprattutto in città. Abbinata alla pelliccia o ai tessuti tecnici e
termici, così l’hanno proposta griffe e
marchi tecnici per modelli in grado di
sfidare le temperature più rigide.
Colli di pelo ma anche inserti di pelliccia e parti in materiali trapuntati e
high tech.
Il marchio Herno abbina la maglia al
piumino in molti nuovi modelli. Calvin
Klein propone una maglia girocollo con il
davanti in pelliccia. Malo punta su un
supertermico maxipull lavorato a trecce con collo di pelliccia. Idem per il
maxipull lavorato a trecce di Laura
Biagiotti. È rivestito di maglia lavorata a coste inglesi il piumino zip-
pato di Elisabetta Franchi. Le proporzioni della
nuova maglia grossa sono sempre più spesso
over, over nelle larghezze e extra anche nelle
lunghezze. Dai maglioni a coste inglesi e a motivi irlandesi ai cappotti e giacconi ultrapesanti
e extralarge, tante interpretazioni per uno stile
comodo e caldo. Trecce e motivi irlandesi o jacquard le conferiscono quel sapore d’antan che
ricorda le maglie lavorate ai ferri dalle nostre
nonne che si indossavano anche negli ambienti
chiusi, ai tempi non molto riscaldati.
È maxi il pull a trecce bicolore bianco e azzurro con collo dolcevita di Tommy Hilfiger.
Proporzioni over per la maglia mélange con
collo a scialle di Sisley. Misura extralarge per
il pull girocollo con trecce e frange di &
Other Stories. Largo il cardigan con tasche
e collo scialle di Gazél, larga la maglia di
lana con collo alto Zara, il kimono in cashmere di Cruciani, il cardigan a trecce di
Manila Grace, quasi un cappotto. Copre
anche le spalle il collo alto e largo della
maglia over di The Row, con pantaloni
ampi in maglia coordinati.
Infine gli accessori, dai tradizionali
cappelli con il pompon alle sciarpe lavorate lunghissime fino ai poncho alle
mantelle, senza dimenticare guanti e
calzettoni a coste in lana grossa stile alta
quota. È lunghissima la sciarpa mélange di Gazél e anche quella di Relish.
Jacquard e a righe il berretto colorato
con pompon di Polo Ralph Lauren che
propone anche i calzettoni di lana
grossa a coste infilati negli scarponcini. Look country per berretti e
mantella di Tommy Hilfiger.
apportare il “gusto del proibito”, abbinabile alla ricerca di
provare nuove emozioni, allora
mi verrebbe da dirle che questo
può essere vissuto nel sup felice
rapporto di coppia.
Ad esempio evitando la solita routine, tanto nefasta per due
amanti. Certo che ci vuole un
po’ di inventiva e di coraggio nel
proporre alla propria donna
nuove fantasie erotiche, nuovi
scenari o giochi di ruolo. L’idea
di cercare fuori dalla propria
coppia un “plus” denota, a mio
avviso, un’incapacità nel saper
rinnovare la relazione che, se
trascurata perché data per
scontata, va progressivamente spegnendosi.
Se si vanno a cercare
nuove emozioni che la
trasgressione le procurerebbe, ci si abitua a trovare l’adrenalina all’esterno
e non all’interno della
propria coppia. Oltre
che renderla consapevole di quello che
può rappresentare il
suo bisogno di
uscire dai soliti binari, seppur questi
siano solidi e perfettamente funzionanti, la rendo
attenta anche al fatto che, visto
soprattutto che gli uomini sono
distratti, un giorno potrebbe
farsi beccare dalla sua amata
moglie. Allora sarebbero davvero guai perché una volta forse
si può perdonare e poi superare,
la seconda però lei è spacciato e
allora credo che per entrambi
saranno dolori. A lei quindi decidere come muoversi.
evo ammettere che con
il passare del tempo le
mie idee nei confronti
di questa razza sono notevolmente mutate. Si dice che il
bull terrier sia un cane che si
odia o si ama, ed in effetti la
mia diffidenza nei suoi confronti si è decisamente trasformata in simpatia. Fisicamente
ha l’aspetto di un vero atleta,
con un corpo muscoloso ed un
muso dall’aspetto inconfondibile.
La storia di questa razza
non si perde nella notte dei
tempi, ma, anzi, è piuttosto recente. Si può farla risalire alla
fine del diciottesimo secolo,
grazie a James Hinks che attraverso vari incroci tra bull
dog e white english terrrier
riuscì a stabilizzare i caratteri
di questa razza. Questi cani
dall’aspetto così particolare furono subito apprezzati tanto
che già nel 1887 esisteva un
club dedicato alla razza che fu
ufficialmente riconosciuta nel
1933.
Tra i suoi caratteri tipici
dominano equilibrio e grinta,
generando cani adatti sia ad
una vita cittadina, sia ad una
esistenza più rustica. Il bull
terrrier necessita sia il riposo
che un adeguato esercizio fisico. È indispensabile che il proprietario lo segua e gli permetta di compiere una attività fisica equilibrata e corretta ed è
altrettanto indispensabile che
il nostro “bull” abbia a
disposizione un luogo
tranquillo e sicuro dove
riposare indisturbato.
La razza è decisamente
rustica e raramente va
incontro a malattie; una
particolare attenzione va
però dedicata ai soggetti di colore bianco
perchè sembrano più
delicati rispetto a
quelli con mantello
di altro colore, soprattutto per quanto
riguarda allergie e
dermatiti a volte difficili da
gestire.
Il momento dell’ingresso di
un cane in casa è sempre delicato ed è importante conoscere
i tempi giusti di socializzazione. La bestiola, infatti, dovrà
vedere nella nuova famiglia
un punto di riferimento, altrimenti la sua esuberanza, forza
e spirito di indipendenza non
saranno mai gestiti in modo
corretto.
Scrivi a LINDA ROSSI
psicoterapeuta e sessuologa
Scrivi a STEFANO BOLTRI
veterinario del Caffè
Posta: Linda Rossi – Il Caffè
Via Luini 19 - 6600 Locarno
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 23
Gli stili. Dai vecchi teloni dei camion ai tessuti
biodegradabili di oggi. L’ultima novità a 21 anni
dall’inizio della storia di Markus e Daniel Freitag
Noë Flum - Freitag
L’arte del riciclo bio
diventa un business
D
alla finestra della loro casa vedevano
lunghe file di camion coperti da teloni
coloratissimi. Un arcobaleno in movimento. Giorno e notte. Un’immagine
che li ha accompagnati negli anni. Sino a quando, e siamo nel 1993, i fratelli Daniel e
Markus Freitag hanno costruito le prime borse per
uso personale. Oggi producono anche tessuti biodegradabili.
Appassionati di moto,
volevano una sacca reModa ecosostenibile
sistente, impermeabile
ed ecologica. E il materiale scelto non poteva
che essere quello che li
aveva accompagnati
sin dall’infanzia: i teloni dei camion. Un anno
dopo in un laboratorio
artigianale è nato il
marchio che con 300
mila pezzi realizzati
LA CLASSICA
F-ABRIC
LE DIVISE
all’anno, nella moda
La classica “Dragnet”,
I tessuti F-abric sono la
Stella McCartney ha
oggi è forse il più legaseconda
borsa
dei
nuova
linea
di
Freitag.
creato le divise della
to alla Svizzera. Un’icofratelli Freitag dopo la
Riciclabili in 3 mesi in
nazionale olimpica
na rossocrociata dal“Topcat”, è la più
un sistema particolare
inglese tutte realizzare
l’inconfondibile design
venduta in assoluto
di compostaggio
in poliestere riciclato
conosciuta in tutto il
mondo, compreso il Giappone dove l’anno scorso all’Hebdo – che si occupano soltanto della scelta
sono stati aperti due negozi. Una storia industriale della materia prima. Girano tra le aree di sosta delche è diventata, vent’anni dopo, un libro appena le dogane svizzere, cercano i teloni particolari, con
uscito “Freitag – L’affaire dans le sac” (edizioni scritte e marchi fantasiosi, chiedono i numeri di
Helvetiq). Ma mentre tutti conoscono le borse di telefono delle aziende ai conducenti. E poi comintela riciclata, rigorosamente fatte a mano una per cia la trattativa per l’acquisto”. Ma alcuni colori
una, pochi sanno come sono nate e come si è pro- sono più difficili da reperire, come il rosa che esigressivamente sviluppato questo prodotto che re- ste soltanto in una azienda di trasporti tedesca.
sta ancora a livello artigianale. “Abbiamo quattro Ogni anno sezionano quasi 400 tonnellate di teloni
dipendenti – hanno raccontato i fratelli Freitag consunti di autocarri, 36mila camere d’aria di ruo-
I FRATELLI
Daniel e Markus Freitag hanno
costruito le prime borse per
uso personale. L’ultima
frontiera dei due fratelli si
chiama tessuto riciclabile
GLI ABITI
Si chiama Venette
Waste la rivoluzionaria
azienda della stilista
Rossana Diana. Tutti
abiti in tessuti riciclati
LE BALLERINE
Anche Gucci ha una
linea di ballerine ecofriendly, Green Marola,
in bio-plastica, materiale
biodegradabile
te di biciclette usate, 220 mila cinture di sicurezza
d’auto, 1200 metri quadri di airbag che diventano
pezzi di design.
Tutto all’insegna del riciclo, perché chi acquista le
loro borse ha una forte sensibilità ambientale e
ama “il consumo responsabile”. E l’idea di regalare una seconda vita ai materiali usati, di “ricontestualizzarli”, come amano dire i due imprenditori,
ha ormai conquistato i mercati. Anche nell’insediare un nuovo negozio, come hanno raccontato i
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Freitag, c’è un criterio preciso: “Non si sceglie la
strada alla moda, o la più importante, ma quella
più adatta al nostro prodotto”. Figli di un’assistente sociale e di un pubblicitario titolare di una piccola agenzia a Zurigo, Daniel e Markus Freitag
hanno sempre fatto squadra. Identiche passioni,
identiche idee, entrambi hanno due figli. E insieme danno il via libera ai nuovi modelli dopo una
serie di prove su computer. “Anche se – ricordano
– uno dei nostri modelli di successo è stato disegnato prima su un tovagliolo di carta. Diamo molta
importanza all’intuizione”. Intuizione che li aveva
portati a creare il primo modello F 13 Top Cat, finito al Museum of Modern Art a New York e nel
Museum für Gestaltung a Zurigo.
L’ultima frontiera dei due fratelli si chiama tessuto riciclabile. Con questo materiale è stata realizzata una nuova linea di pantaloni, magliette e
borse. “In realtà noi eravamo solo alla ricerca di
abiti da lavoro per i nostri collaboratori”, raccontano Markus e Daniel. I tessuti sono realizzati con fibre vegetali liberiane lino e canapa. Ed ecco i pantaloni biodegradabili, filo delle cuciture incluso.
Persino i bottoni a pressione si possono svitare e
dunque riutilizzare.
m.sp.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
24
Le auto.
Sportività,spazio
e funzionalità
sono i punti forti
dell’intrigante
Skoda Octavia
Rs in versione
Station Wagon
Tra i vigneti sul Lemano
con un’auto su di giri
S
portività, spazio e funzionalità sono un trio
perfetto che ben si sposa con la meta nel
Canton Vaud che vi proponiamo. In questa
regione vi aspettano splendidi vigneti a terrazza,
dei pittoreschi villaggi e un magnifico lago dal colore blu intenso. E la Skoda Octavia Rs Station
Wagon benzina, con sistema start-stop, (ottenibile anche come berlina e con un motore turbodiesel da 184 cavalli) merita, anche in questa graffiante versione un voto positivo.
Il nostro viaggio da Caslano nel canton Vaud,
nella regione del Lavaux tra Montreux e Losanna,
è un itinerario che ognuno di noi dovrebbe fare.
Infatti, si tratta di una delle destinazione in Svizzera che appartiene al patrimonio dell’Unesco.
Percorrere i 30 chilometri attraverso cui si estende la regione viticola sul lago Lemano è anche un
eccellente sistema per provare la Rs in un lungo
percorso in salita e ricco di curve. Lo sterzo progressivo è preciso, il telaio sportivo con assale posteriore multibracci, il cambio Dsg, a doppia frizione e 6 marce sono eccellenti e i 220 cavalli di
potenza permettono il passaggio calibrato a qualsiasi velocità e sempre con una brillante accelerazione. Con una giornata di sole i vigneti terrazzati sono la testimonianza di uno straordinario
esempio di un utilizzo costruttivo del suolo da
parte dell’uomo, con un panorama tra i più belli
al mondo. Pensate che già nell’11° secolo i monaci cistercensi e benedettini avevano iniziato a
produrre vino. La regione, ricca di attrattive culturali e gastronomiche, comprende 14 comuni
che offrono altri gustosi prodotti alimentari come
La scheda
Skoda Octavia Combi RS
Motore
4 cilindri benzina
Cilindrata (ccm)
1994 cc
Cambio
DSG a 6 marce
CV
220 CV
Coppia max. 350 Nm a 1500 g/min
0-100 km/h (s)
6,8
Velocità massima (km/h)
248
Consumi (l/100 km)
ca 7
Prezzo (base)
39’900.–
formaggi, pane, salumi e salsicce e sei zone viticole con coltivazione controllata: Lutry, Villette,
Saint-Saphorin, Epesses, Dezaley e Chardonne.
La destinazione e la vettura, con un bagagliaio dal volume variabile da 590 a 1.740 litri, sono
un chiaro invito per spostarsi comodamente anche con famiglia e bagagli per alcuni giorni. Ulteriori ripostigli, sostegni e ganci permettono di
mantenere all’interno del bagagliaio e nell’abitacolo un ordine pratico. Il sistema di infotainment
a bordo è intuitivo e facile da usare. Lo potete
scegliere secondo le vostre esigenze e disponibi-
L’ampio bagagliaio e i suoi 220
cavalli costituiscono le migliori
carte da giocare per la “combi”
lità, anche con uno schermo tattile da 8 pollici e
altrettanti altoparlanti.
La Skoda Rs Combi è un veicolo anche per distratti. Una speciale protezione evita il rifornimento con il carburante sbagliato. La versione
della nostra prova su strada è stata arricchita da
alcuni accessori supplementari che aumentano il
costo della Rs Combi, di circa 3’000 franchi, a
42’930 franchi. Inoltre, per la prima volta su questo modello, troviamo airbag per le ginocchia e,
in opzione, airbag laterali posteriori per un totale
di nove. Al rientro a Caslano e sempre valutando
il rapporto prezzo- prestazioni non vi sono dubbi:
la più veloce Octavia di serie di tutti i tempi fa sicuramente gola a molti papà!
s.p.
Con la sua Pulsar
anche Nissan
colma un vuoto
STEFANO PESCIA
L’
Speciale
motori
domenica 23 novembre
UN INSERTO DI 16 PAGINE
ultima cinque porte arrivata nella gamma Nissan
colma un vuoto di prodotto rientrando nel segmento
C. Disegnata e pianificata per
l’Europa è costruita nello stabilimento Nissan di Barcellona. La
Pulsar, con la sua lunghezza di
4.35 m, è stata progettata per
rivolgersi ai possessori di un’auto del segmento D che scelgono
il downsizing. Nel mirino clienti
non mancano le famiglie che
necessitano di una vettura più
spaziosa, rispetto a un modello
di segmento B e le giovani famiglie che in un’automobile ricercano flessibilità, sicurezza, spazio e tecnologia, a un prezzo
equilibrato.
Confrontando la vettura con
i suoi diretti concorrenti uno dei
puinti di forza è indubbiamente
lo spazio. Infatti, i suoi 69,2 cm
per le gambe dei passegeri dietro sono un primato di categoria,
come pure il suo passo di 2,70
m. Completa la pratica configurazione della compatta vettura
un bagagliaio che offre una
grande capacità di base (385 litri). Se lo spazio di carico non
basta, è sufficiente abbattere i
sedili posteriori per ottenere
1.395 litri di capacità.
Il modello, che si colloca tra
la Juke e il Qashqai e divide con
quest’ultimo Suv diversi componenti, è disponibile in tre allestimenti (Visia, Acenta e Tekna),
con prezzi base che variano da
20’990 a 30’190 franchi. Tre sono pure i motori a quattro cilindri, tutti con turbocompressore.
Fino a fine anno, saranno proposti il benzina 1,2 litri da 115 cavalli o la sesta generazione del
motore dCi di 1,5 l il turbodiesel
da 110 Cv, abbinati con un cambio manuale a 6 marce o uno automatico Xtronic. Il prossimo
anno la gamma di propulsori
verrà ampliata con l’aggiunta di
un potente benzina turbocompresso da 1,6 l e 190 Cv. Rispettando la tendenza generale dei
modelli compatti la nuova Pulsar è dotata di una serie di tecnologie che generalmente sono
presenti nelle vetture di categoria superiore. Tra queste rientrano l’apprezzato sistema Safety Shield con le tecnologie Moving Object Detection, Lane Departure Warning e Blind Spot
Warning. Il rivoluzionario sistema Around View Monitor di
Nissan introduce un’ulteriore
tecnologia avanzata nel settore,
come il sistema NissanConnect,
di ultima generazione, che assicura un’integrazione ideale con
gli smartphone e funzioni complete di navigazione satellitare.
Tutti i modelli sono provvisti
di climatizzatore, Advanced
Drive-Assist Display da 5” e alzacristalli elettrici per tutti i finestrini. Completano le dotazioni di serie il sistema di monitoraggio della pressione degli
pneumatici, i sei airbag e il sistema Stop & Start. All’interno
dell’abitacolo si evidenzia, in
particolare la parte centrale del-
la console. La medesima sembra sospesa sul profilo principale e ospita il sistema di infotainment NissanConnect, oltre ai
comandi dell’impianto di riscaldamento e ventilazione. Incastonata in una cornice color nero lucido, l’intera unità è stata
progettata all’insegna della
massima chiarezza e intuitività
e presenta un display da 5,8”
con semplici comandi. E quando
inserite la retromarcia nessun
problema.
Per risolvere la formazione
di sporcizia dell’obiettivo della
telecamera posteriore, la Pulsar
è equipaggiata con un avanzato
sistema di “lavaggio e asciugatura”, completamente automatico. Sfruttando un software
all’avanguardia per l’elaborazione delle immagini, in grado
di analizzare oltre 15 milioni di
pixel al secondo, il sistema rileva l’eventuale oscuramento della lente e aziona un getto d’acqua per eliminare la sporcizia.
[email protected]
LA BMW
La nuova generazione della
X6 Si presenta con una più
ampia dotazione di serie,
tre motori TwinPower Turbo,
cambio automatico
a 8 rapporti e trazione
integrale intelligente.
LA VOLKSWAGEN
La nuova Polo Gti con
il motore 1.8 Tsi 192 Cv,
ha 12 Cv in più rispetto
alla versione precedente.
Arriverà a febbraio 2015
da 27’300 franchi (cambio
manuale) e 29’100 franchi
(con cambio Dsg).
LA MERCEDES
La nuova station-wagon
della Classe è cresciuta
nel passo (2.84 m),
in lunghezza (4.70 m),
in larghezza (1.81 m)
e capacità di carico
(da 490 a 1.510 litri).
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 25
La tendenza. Il maschio ispido
piace. Il pelo che nasconde attrae.
Cambia i connotati e serve pure
a promuovere una raccolta fondi
La barba
ROSALINA SALEMI
F
a introverso, hipster,
intellettuale con uno
stile di vita fuori dalle
regole. Fa ecosostenibile. La barba cambia i
connotati. Nasconde il
brufolo di passaggio, il
segno d’espressione, il
rossore (anche in tempi
sfacciati come i nostri,
esiste la timidezza). Se
tinta, occulta l’età. Il
passaparola va avanti
da mesi, e ormai è una
gara a chi la esibisce più arruffata, più talebana, biblica e voluminosa. Ma è soprattutto a novembre, anzi a “movembre”,
che il pelo sul viso di molti ricompare. “Mo” sta per moustache e “Movember” è la campagna mondiale che invita gli uomini a farsi crescere baffi, e barba, per
tutto il mese allo scopo
di promuovere il dialogo e la raccolta fondi
per i programmi di salute maschile.
Intanto, anche personaggi di casa nostra si son fatti prendere dalla moda, da qualche mese Giorgio Pellanda, direttore generale dell’Ente ospedaliero cantonale, ha ceduto al
fascino delle guance ruvide. Come lo scrittore Andrea
Fazioli. In buona compagnia, con vip del calibro di Di Caprio, che
sfoggia una siepe degna dei Padri Fondatori
(i maligni dicono che gli
serve a mimetizzare il
doppio mento), o Shia
Le Beouf, con un cespuglio che gli dà finalmente un’aria
adulta. Mentre Liam Hemsworth è bellissimo anche con le
guance pettinabili alla Wolverine, e sul perfettino Adrian Brody
funziona il look selvaggio. A
Bradley Cooper e Zac
Efron il barbone permette di far risaltare
ancora meglio l’azzurro
degli occhi.
Non è un dettaglio
trascurabile come potrebbe sembrare. Al
contrario. Di fronte allo
sgretolamento delle
certezze, gli uomini reagiscono
enfatizzando alcuni tratti virili:
la barba, i baffi, un look da rude
boscaiolo. Si sentono mancare
sotto i piedi il terreno, un tempo
solido, dell’identità personale e
sociale, come spiegano
nel saggio appena uscito da Rizzoli “Il maschio è inutile” il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani e il giornalista Federico Taddia.
Alcuni, esagerando,
si rivolgono alle cliniche Low T per testosterone (fenomeno diffusissimo negli Usa). Ci provano, gli uomini a
sopravvivere al tempo, alle donne e a se stessi, ma poi finiscono
Un mento villoso
fa introverso,hipster
ed ecosostenibile
Noti barbuti
KEVIN
COSTNER, 59 ANNI
1
Già fascinoso di suo, non aveva
proprio bisogno di altro. Eppure
anche l’attore statunitense ha
ceduto al mento peloso.
GIORGIO
PELLANDA
2
Il direttore generale dell’Ente
ospedaliero cantonale sfoggia una
barba brizzolata. Ben poco spazio
al viso, in parte coperto dai capelli
TOMASO
TRUSSARDI, 31 ANNI
3
All’affascinante neo marito della
bella Michelle Hunziker la barba
sta proprio bene. Senza, ci sa
tanto che perderebbe molto.
ANDREA
FAZIOLI
4
Autore di numerosi romanzi,
anche lo scrittore ticinese ha da
un po’ ceduto al fascino della
barba, anche se non molto lunga
CONCHITA
WURST, 25 ANNI
5
Donna o uomo che sia, si
definisce gender-neutral, la barba,
che porta molto bene, alimenta di
proposito un’ambigua incertezza.
con l’impantanarsi nella scelta
degli oli da barba per renderla
meno ispida e nell’attrezzatura
necessaria per avere un’aria da
street style e non da homeless:
pettinini, spazzole, balsami, (vedi articolo a lato). Il look hipsterecosostenibile richiede un’accurata manutenzione. D’altro canto, come sostiene Mark Simpson, inventore della parola
“metrosexual”: “Se la barba ras-
Autostima
Per l’inventore della
parola “metrosexual”
se aiuta l’autostima,
perché no?
sicura e migliora l’autostima,
perché no?”. La moda dilaga, in
Europa la vendita di rasoi è scesa del 16%, il dibattito infuria da
un blog all’altro. Come piacciono i maschi? Lisci o ruvidi? Per
ora Gli “i like” sono alla pari, ma
c’è una leggera preferenza per
gli ispidi, accarezzabili come
grossi cuccioli. “Che barba,
amore mio” è diventato un [email protected]
plimento.
La cura
Tutti i consigli per un look perfetto
“Acqua,
shampoo
e pettine,
ma prima...”
S
i fa presto sa dire barba. Già, sembra facile
farsi crescere i peli sul
mento e guance. Basta non
radersi per qualche giorno.
Invece… “Prima di tutto occorre assicurarsi di avere la
pelle del viso completamente integra - avverte Rosi
Campisi, titolare dell’omonimo salone a Minusio, che si
prende cura pure di scalpi e
visi maschili -. Se ci sono
brufoli, escoriazioni o ferite
dovute a precedenti rasature
meglio evitare”.
E questo è solo l’inizio.
Una volta presa la decisione
di farsi crescere la barba, bisogna poi essere pronti ad
un impegno quotidiano, lavorando con acqua, shampoo
e pettine. Altrimenti l’effetto
sarà subito di disordine e poca pulizia. “E allora, innanzitutto - riprende Campisi -,
tutte le mattine la barba va
lavata con acqua, sotto la
doccia va benissimo. La sera
invece, sciacquarla con un
po’ di shampoo neutro, per
togliere lo sporco che durante il giorno si è depositato,
dai resti di cibo alla polvere”.
Ma non è finita. Per chi non
ha la fortuna di avere una
barba dal colore omogeneo
l’impegno prosegue. “Quanto i peli tendono al giallo o al
rossiccio, una volta la settimana occorre fare uno
shampoo, molto leggero, con
pigmenti argentati per riportare il colore al giusto tono”,
spiega Campisi. Quotidianamente, poi, la barba va pettinata. In tutte le direzioni per
evitare che i peli si incastrino
o che si formino rose antiestetiche. Insomma, ci vuole
una cura costante.
E veniamo alla nota dolente: come
regolarla?
“Questo è un lavoro da professionisti. Fondamentale
sapere usare la macchinetta,
dando lo spessore più adatto.
Senza dimenticare i contorni
della bocca, che vanno liberati dai peli”, risponde Campisi che tiene per la conclusione il suggerimento, forse,
più importante: “Assicuratevi di avere un viso adatto,
portare la barba è molto difficile”.
p.g.
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
26
G
li spinaci non li
mangia, il pesce
non gli piace, non
parliamo poi del
minestrone o di tutte le cose buone e sane che i nutrizionisti consigliano. I bambini
hanno un’attrazione perversa
per il cibo spazzatura, dall’hotdog all’hamburger superfarcito.
Fosse per loro, vivrebbero di
pizza, patatine fritte (meglio ancora pata-pizza) e dolci. Le madri fanno una fatica pazzesca a
mettere nel menù gli spinaci e la
zucca, i legumi e il merluzzo, e
in più sono terrorizzate. A parte
i dati allarmanti dell’Ocse sull’aumento dei bambini obesi in
Europa (più che raddoppiati)
uno studio dell’Università di
Helsinki attribuisce l’iperattività e l’aggressività in aumento
agli additivi alimentari, a coloranti, conservanti e ormoni. Che
fare? Marco Bianchi, lo chefscienziato e maestro di “nutraceutica” che ha inventato piatti
saporiti e leggeri come la frittata
senza uova avverte: “Attenzione, mangiar sano non deve essere un sacrificio, altrimenti è la
fine. E se avete un bimbo sovrappeso, la dieta si deve trasformare in un gioco, in un divertimento”. Facile a dirsi…
Carmela Cipriani, figlia del
leggendario Arrigo dell’Harry’s
Bar di Venezia, ha messo assieme ricette e poesiole in una serie di libri (il più famoso è “Pappe da favola”). Ma il colpo di genio l’ha avuto Sonia Peronaci,
star di “Giallo Zafferano” il sito
dove senza far tanto spettacolo,
vedi davvero come si cucina (un
milione di visitatori al giorno,
settemila blogger). Ha raccolto
in un volume, “Guarda che buono!” appena uscito da Mondado-
I bambini. Un libro spiega
come educare i più piccoli a menù
più sani,equilibrati e...fantasiosi
Mummie di verza,
farfalle di lonza...
l’altro cibo piace
ri, cento ricette dall’antipasto al
dessert, frutto della battaglia
quotidiana con le tre figlie. “So
bene quanto sia difficile far
mangiare ai bambini qualcosa
che non rientri per forza nella
maledetta triade della goduria,
cioè cibi unti, fritti o dolci - spiega -. Ecco il risultato dei miei
sforzi. Anni per elaborare trucchi e non vedere più quel fastidioso rimestare nel piatto con la
solita domanda inorridita: che
cos’èèè?…”. Insomma, è riuscita a mettere assieme bimbi e cavoli. Le mamme accorte vanno
all’attacco con le caramelle di
pasta, un buon sistema far pas-
GIRASOLI
DI SPINACI
Ecco come far
mangiare verdura
ai bimbi. Antipasto
di difficoltà media,
con molte varianti
per il ripieno.
Il successo è
garantito.
PAGURI
E CONCHIGLIE
Ricetta un po’
complicata, ma di
sicuro effetto: cono
di pasta morbida
che si può farcire
a piacimento, con
formaggi e
mousse varie.
Le ricette
VELIERO
PIRATESCO
Carote, patate,
edamer,
prosciutto... Una
ricetta di media
difficoltà, pronta
in una trentina di
minuti, dopo una
cottura di 10 min.
Partecipa al concorso
.
.
.
n
o
c
e gioca
Belinda Bencic
Partecipate al concorso e vincete uno degli 8 inviti
esclusivi al Cornèrcard Belinda Tennis Talents. Con
un po’ di fortuna infatti, i giovani dai 12 ai 16 anni
(nati tra il 1998 e il 2002) potrebbero essere estratti
per incontrare Belinda Bencic e allenarsi seguendo le
sue dritte. Belinda è testa di serie della classiica
mondiale nella categoria juniores nonché vincitrice
del Grande Slam di Parigi e Wimbledon - sempre
nella categoria juniores - e astro nascente della WTA.
IL PROGRAMMA DI DOMENICA 30 NOVEMBRE
AL CENTRO SPORTIVO SWISS TENNIS, BIENNE
alle 8.30 arrivo, caffè
dalle 9.00 alle 12.00 Training con Belinda e
altri membri della squadra giovani
dalle 12.30 alle 13.30 pausa e piccolo
pranzo, ine dell’evento.
Per partecipare al concorso basta spedire una email a
[email protected] entro lunedì 24 novembre 2014 con indicato
nome e cognome del partecipante, la data di nascita e l’indirizzo. I vincitori
saranno informati immediatamente, sempre via email
In collaborazione con
ilcaffè
sare inosservati (nella sfoglia)
spinaci e carote e addirittura il
salmone (nel ripieno). Risultato
garantito, grazie alla forma: chi
resiste alle caramelle?
Con una leggera salsina al
formaggio, non solo decorativa,
anche i più schizzinosi divorano
il pesce. Le farfalle fluo diventano rosse con la barbabietola, la
vellutata di verdure è più buona
dentro il piatto-cestino che si
mangia, i broccoli frullati diventano un giardino dove volano
farfalle di lonza, e un tenero
coccodrillo di pasta brisée (si
può comprare già pronta, da tagliare a strisce) con il merluzzo
nella pancia susciterà grande
entusiasmo. Deliziose anche le
mummie di asparagi chiuse nelle loro bende di sfoglia, e il frushi, sushi di frutta e riso.
Insomma, c’è tutto ciò che i
pargoli si rifiutano normalmente di assaggiare presentato nella
forma più astuta: carote travestite da fiorellini, erbette mascherate da praticello con bruchi di polpette, melanzane che
sembrano mini-pizze, una tarantola di pane che nasconde la
salsa tonnata, un frullato di polpo in crosta che si chiama “In
fondo al mar”. “Bè - confessa
Peronaci -, sono un genio del
male, un’artista della truffa. Nei
cupkes salati sono riuscita a infilare di tutto, dal pesce alla carne trita. Fatelo anche voi!”. r.s.
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 27
QUANDO INIZIA IL NATALE
La curiosità. Il conto
alla rovescia per l’evento
invernale inizia già in estate.
Lo prova uno studio inglese
Settimana d’inizio
La festa di Natale
è stata anticipata
in pieno agosto
2007
11 Novembre
2008
12 Ottobre
2009
30 Agosto
2010
3 Ottobre
2011
11 Settembre
2012
19 Agosto
2013
25 Agosto
LA RICERCA
Si basa su un algoritmo matematico
che ha filtrato tutte le ricerche fatte
sul web e le relative a parole chiave
come “regali natalizi”, “christmas gift”
È stato pubblicato dalla
Royal Statistic Society
EZIO ROCCHI BALBI
U
na vita in perenne
anticipo. Anticipiamo le Feste, i preparativi per il matrimonio, le partenze estive, le fioriture, i trailer dei film che arriveranno
nelle sale la stagione successiva, i parti... Ormai non ci stupiamo più se Natale cade di
Ferragosto, con tanto di vetrine pressoché perennemente
addobbate e luminarie mai
staccate dalle vie cittadine. Insomma, tutto è anticipato. Ad
eccezione, forse, dello stipendio.
Per quanto riguarda l’idea
che già in estate ci si preoccupi di strenne, regali e acquisti
natalizi, ora abbiamo la certezza che non si tratta solo di una
nostra sensazione: c’è un rigoroso studio matematico che lo
certifica, attestando che il
count down del Natale quest’anno è iniziato esattamente
il 25 agosto. Pubblicato dalla
britannica Royal Statistical Society lo studio ha fruttato al
suo autore, il giovane matematico irlandese Nathan Cunningham, la medaglia d’argento nel concorso indetto dalla
rivista scientifica “Siginficance”. Cunningham, infatti, ha
matematicamente dimostrato
che, nel giro di un lustro, il
mercato del Natale è stato progressivamente anticipato di
tre mesi. Nel 2007, infatti, il
conto alla rovescia per gli
aquisti dicembrini iniziava circa a metà novembre.
Difficile spiegare il particolare algoritmo utilizzato dall’esperto che, tra l’altro, l’aveva elaborato inizialmente per
raggruppare dei dati sul polline fossile in distinti periodi
climatici, ma la fonte non poteva essere che il web. È evidente che passiamo una quantità sempre maggiore della nostra vita online, per cui è altrettanto chiaro che la Rete rifletta il sentimento prevalente
della società verso particolari
idee e costumi. Fattore questo
ampiamente sfruttato dalle
società di marketing e pubblicità (e non a caso il business di
social network e motori di ricerca è così redditizio) che non
fanno altro che anticipare i nostri interessi e desideri con annunci su misura per la nostra
attività su internet, certi di
ottenere l’impatto desiderato.
Ormai ci sembra naturale,
anche se non abbiamo ancora
capito perché, che gli stilisti
presentino la loro collezione
primavera-estate nei mesi più
freddi, almeno un’anno prima,
e che le partite di calcio vengano spalmate anticipatamente nel corso della settimana.
Naturale, quindi, che si inizi
ad aspettare il Natale sempre
prima; inevitabilmente arriverà, meglio dunque non farsi
Utilizzando un modello di base con
limiti di clustering “algorithm1”
è stato calcolato in quale giorno dei
mesi precedenti, la festività con la
frequenza di ricerche delle parole
chiave ha avuto un’impennata
Gli anticipi
GLI ESODI INTELLIGENTI
Questa impennata segnala quando la
percezione dello spirito natalizio è
più diffusa tra utenti e consumatori
Fonte: Rss/Significance
Anticipiamo la partenza
delle ferie perché sia
intelligente. Come tutti.
Poi anticipiamo il rientro
per non rimanere
imbottigliati in autostrada.
Come tutti
1
LE STAGIONI DI UNA VOLTA
Alla prima giornata di
freddo autunnale
parliamo d’“inverno
anticipato”, e i primi
tepori primaverili segnano
un’“estate anticipata”.
Sì, non ci sono più le
stagioni di una volta
2
LE NOZZE PREMATRIMONIALI
Ci si sposa sempre più
tardi, ma le nozze
vengono organizzate
come un vertice del G8
fissando date, location,
menù, partecipazioni e
bomboniere con mesi,
se non anni, d’anticipo
3
LA FRUTTA CONTRONATURA
A colpi di primizie non
abbiamo la più pallida
idea della stagionalità.
Infiliamo nel carrello della
spesa le fragole in
inverno e in piena estate
pretendiamo cachi e
castagne contronatura
4
I SALDI IN SALDO
Le svendite anticipano le
promozioni, le liquidazioni
anticipano i saldi. Le
vetrine delle località
estive propongono la
nuova linea autunnoinverno e gli stilisti i
costumi mentre nevica
5
cogliere impreparati.
Ma la nostra maniaa di anticipazione sembra proprio
un’ansia da prestazione, al
punto d’estenderla al clima vi-
I viaggi
S
sto che un calo autunnale delle
temperature “anticipa l’inverno” e bastano i primi caldi per
paarlare di “anticipo d’estate”.
Così un po’ della magia di
una nascita se n’è andata con
le ecografie, i risultati elettorali vengono anticipati dagli
exit poll e pazienza se i media,
nella smania, ci anticipano fat-
ti e nomine che non avverranno nella realtà. A proposito:
buona Pasqua!
[email protected]
Q@EzioRocchiBalbi
Come e perchè pianificando a novembre le vacanze di primavera si ottengono prezzi migliori
e prenoti prima hai di
più e paghi meno. Ecco
perché anche per le vacanze si anticipa. Quelle classiche, soprattutto, Natale, Pasqua, Carnevale e estate. Ad
agosto, quindi, si pensa concretamente già a quelle natalizie, a novembre a quelle pasquali. Lo conferma un’esperta, Gaby Malacrida, portavoce
per il Ticino di Hotelplan Svizzera e Italia. “Certo, abbiamo
già prenotazioni per la prossima Pasqua e lo scorso agosto
molti nostri clienti hanno pianificato le vacanze natalizie.
Ormai si sa, per i periodi di alta stagione bisogna attivarsi
con largo anticipo. Soprattutto
se si è interessati ad una determinata destinazione, albergo o offerta o si hanno esigenze particolari. Capita, ad
esempio, per mete come le
Maldive o le Mauritius”.
Altro che last minute! A
Macché last minute
già ci si organizza
per le ferie pasquali
farla da padrone è il first minute, solo così si possono
strappare condizioni migliori
in tutte quelle strutture turistiche disponibili a concedere
agevolazioni e sconti a chi
prenota le proprie vacanze
con un certo anticipo. “In questo modo, con un operatore
svizzero o italiano un pacchetto vacanze con volo charter ha
lo stesso prezzo di un last minute”, sottolinea Malacrida.
Inoltre, anticipando, c’è più
scelta nelle mete e si risparmia sul volo di linea. “Non solo - riprende Malacrida -, si
possono confrontare le diverse strutture e assicurarsi anche condizioni migliori; per
una famiglia significa, ad
esempio, poter scegliere di alloggiare in un bungalov invece che dover prendere due camere che ovviamente sono più
costose”. Stesso discorso vale
per le crociere. C’è chi arriva
ad organizzare il viaggio un
anno prima, pur di garantirsi
la tal cabina e il tal servizio a
bordo. “Un’abitudine tipica
dei crocieristi appassionati nota Malacrida -, che sanno
bene quanto sia importante
anticipare”.
Ma dove andranno i fortunati che hanno già prenotato
la loro vacanza natalizia? “Per
il lungo raggio c’è l’Oceano
Indiano, le Mauritius in testa
seguite dalle Maldive - risponde la portavoce di Hotelplan ; stiamo vendendo bene una
destinazione un po’ diversa,
Capodano a New York. È tornata la richiesta per la Thailandia. Nel medio raggio, invece, Abu Dhabi, che da un
po’ piace di più rispetto a Dubai, più adatto allo shopping.
In recupero, il Mar Rosso,
Marsa Alam e Berenice che
superano Sharm el Sheik”.
Continuando a sognare, le città più visitate nelle prossime
festività saranno Parigi, New
York, Londra, Vienna, Abu
Dhabi e Dubai, Berlino, Barcellona, Amburgo, Monaco e
Lisbona.
p.g.
Pagina a cura di
AutoPostale Svizzera SA
LEGUIDE
GLIITINERARI
Informazioni e prenotazioni:
AutoPostale Svizzera SA
Regione Ticino - Viaggi e Vacanze - 6501 Bellinzona
Tel. +41 (0)58 448 53 53 - fax +41 (0)58 667 69 24
[email protected] - www.autopostale.ch
La gita Si rinnova l’appuntamento con la fiera
Il programma
degli “Oh bej! Oh bej!” e con le vie dello shopping
Milano
Natale fa rima
con mercatini
8 dicembre 2014
Chf 65.– per persona
Partenza
08.00 Biasca Ffs,
08.00 Locarno Ffs,
08.30 Bellinzona Ffs,
09.00 Lugano Ffs
(lato buffet),
09.20 Mendrisio Ffs,
09.30 Chiasso Ffs
tradizione e shopping
Che Natale è senza le bancarelle degli
“Oh bej! Oh bej!”? La pensano così
molti milanesi, ma non solo loro. Sono
sempre più numerosi i visitatori che arrivano da fuori città per quello che è un
evento unico nel suo genere, che sa coniugare tradizione e modernità, voglia di
shopping con occasioni allettanti. Non
resta, dunque, che calarsi nella magica
atmosfera del Natale milanese, tra le
bancarelle che propongono di tutto: oggetti di artigianato di qualsiasi tipologia
e molte leccornie, croccanti alle nocciole o alle mandorle, torroni e dolciumi,
ma soprattutto i firòn: castagne affumicate al forno, bagnate col vino bianco e
infilate in lunghi spaghi, un piatto tipico,
insieme a castagnaccio e mostarde.
Più attuali e molto richiesti sono, anche,
i brigidini all’anice e i krapfen. Tutte
prelibatezze da assaggiare, anzi da gustare.
La fiera degli “Oh bej! Oh bej!” è aperta
con orario continuato (8.30-21) fino
all’8 dicembre. Negli oltre 25mila metri
quadrati di esposizione si daranno appuntamento - secondo i dati forniti dagli
organizzatori - 58 rigattieri, 20 fioristi,
30 artigiani, 60 mestieranti, 22 venditori di stampe e libri, 8 maestri del ferro
battuto, rame e ottone, 18 giocattolai,
23 commercianti di dolci, oltre a 10 tra-
alla centralissima piazza dedicata a
Sant’Ambrogio - patrono di Milano - e
nelle vie adiacenti, ma dal 2006 il nuovo
e definitivo spostamento l’ha portata in
piazza Castello. Immutato, però, resta il
dizionali venditori di caldarroste, 10 di
Firunatt e 4 produttori di miele e affini.
Un tempo il mercatino si svolgeva in
piazza dei Mercanti, mentre dal 1886 la
manifestazione è stata trasferita intorno
richiamo all’ingresso in città dell’inviato
papale Giannetto Castiglione. Era il
1510 e il diplomatico distribuì ai bambini milanesi i pacchi dono che arrivavano
da Roma. Enorme fu lo stupore e unani-
Un Capodanno da favola a Vienna
Il programma
Vienna
29 dicembre 2014 –
3 gennaio 2015
Chf 1’350.- per persona
in camera doppia
Un Capodanno da favola, dove si può recitare
il ruolo di principe o di dama. Insomma, si
può essere protagonisti di un’esperienza indimenticabile grazie al viaggio organizzato
da AutoPostale nei luoghi più belli dell’Austria dal 29 dicembre 2014 al 3 gennaio
2015.
Prima tappa a Innsbruck per vedere il celebre
Goldenes Dachl, il tettuccio d’oro, restaurato
e diventato famoso per le sue 2.675 tegole a
scaglie di rame dorate. Verrebbe voglia di
stare sempre a Innsbruck ma Vienna attende
con i suoi numerosi e accoglienti caffè dove
assaporare i dolci austriaci e vivere la magica
atmosfera della capitale. Da ammirare sono il
duomo di Santo Stefano, la chiesa di San
Pietro e i cortili interni dell’Hofburg. Una cena
al ristorante, allora, è ciò che rende l’ultima
sera dell’anno 2014 davvero indimenticabile.
Non può mancare, inoltre, la visita alla perla
viennese per eccellenza, cioè il castello di
Schönbrunn, capolavoro dell'arte barocca.
Dopo Vienna il programma prevede Salisburgo, la patria di Wolfgang Amadeus Mozart in
un contesto di assoluta bellezza, tanto che il
nucleo storico è stato inserito nel patrimonio
dell’Unesco ed è dominato dalla fortezza dell'Hohensalzburg, un vero gioiello architettonico. Sembra di sentir risuonare la musica
del genio di Mozart quando si passeggia per
la città, davvero coinvolgente. Come tutto
questo itinerario austriaco.
me l’esclamazione “Oh bej! Oh bej”,
che significa “Oh belli! Oh belli!”. Da
quel giorno la fiera non ha più cambiato
nome ed è rimasto identico lo spirito di
festa che la trasforma in un appuntamento da non mancare tra quelli che
propone il Natale milanese.
Sono tante, infatti, le iniziative che hanno come palcoscenico privilegiato il
centro storico. Anche sotto lo sguardo
della Madonnina verranno posizionate
un centinaio di bancarelle ricolme di
idee-regalo tra il duomo e la piazza, sul
lato della Rinascente. Poi tutto intorno
sarà un fiorire di occasioni, così da ricreare una specie di expo nel cuore di
Milano, tra boutique alla moda e negozi
che propongono originali creazioni natalizie. Via Montenapoleone, naturalmente, è il faro in tema di classe e di
raffinatezza. Qui ci sono le grandi marche e i turisti-clienti arrivano da tutto il
mondo. Dunque, moda e tradizione nel
menù dell’8 dicembre di AutoPostale, il
modo migliore per avvicinarsi al periodo
più bello dell’anno tra mercatini, shopping e atmosfera di festa.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 29
La società. La spesa per il tempo libero sta superando
quella per il cibo. La vacanza non coincide più col meritato
riposo.Ormai è un’opportunità da consumare.Voracemente
Viaggiare
1,09
I miliardi di
turisti mondiali
in viaggio in un
intero anno. Un
record di
viaggiatori che
si è raggiunto
nel 2013
9,5%
La percentuale
del Pil globale
generato dal
settore “Travel
& Tourism”,
che entro fine
2014 crescerà
del 4,3%
+27%
È la previsione
di crescita dei
voli aerei
prevista nel
2014. Si stima
che i check-in
saranno circa
tre miliardi
EZIO ROCCHI BALBI
N
el Vecchio Continente solo
Norvegia e Islanda hanno un
costo della vita più caro della
Confederazione, ma questo
non impedisce affatto agli
svizzeri - crisi o non crisi - di mantenere
il loro elevato stile di vita all’insegna del
“vogliamo tutto e, meglio ancora, se subito”. E non si parla certo di spese essenziali, ma per lo più di quelle all’insegna
dell’edonismo o, se vogliamo, del giusto
indennizzo alla fatica spesa nel lavorare
tutto l’anno. E il termometro dei viaggi è
uno dei più indicativi nel capire come sia
cambiata la mentalità: prima si andava in
vacanza dopo un anno di lavoro, oggi si
lavora programmando subito la prossima, irrinunciabile partenza. La spesa per
il “tempo libero” sta superando, nel paniere rossocrociato, quella degli alimentari. Quasi tredici miliardi all’anno bruciati sull’altare dei viaggi. E basta scorrere le cifre della Statistica svizzera del
turismo dell’Ust per constatare che quasi nove elvetici su dieci (praticamente
tutti) si concedono almeno un viaggio
con pernottamento ogni anno. Per un to-
Vogliamo tutto
e possibilmente
meglio se subito
tale che supera i venti milioni di viaggi
annuali, 64 per cento dei quali effettuati
all’estero.
Ma la fuga dal tran tran quotidiano, al
netto della valutazione che mai, come oggi, si è avuta la possibilità di viaggiare
verso qualsiasi punto del pianeta, non è
certo appannaggio dei soli svizzeri. Il
“voglio tutto e subito” in materia di vacanze ha le dimensioni di una pandemia
globale. Giusto lo scorso anno, infatti, il
numero delle persone che si son concesse
almeno un viaggetto hanno abbondantemente superato il miliardo. E se si vuole
attribuire al dato un valore più significativo basterà dire che il settore “Travel &
Tourism” rappresenta il 9,5 per cento del
Pil mondiale!
E guai a parlare di “consumismo”, un
termine abbondantemente demonizzato
per anni, anche se il viaggio ormai è un
oggetto, da consumare il più voracemen-
Acquistare
te possibile. “Infatti il viaggiare oggi è un
consumismo esistenziale - commenta
l’antropologo Matteo Vegetti, docente
all’Accademia di Mendrisio -. La stessa
vacanza, poi, non coincide più col periodo
di meritato riposo di una volta, e men che
meno col concetto romantico dello scrittore e viaggiatore Bruce Chatwin, che sosteneva che da un vero viaggio non si torna mai come prima. Oggi invece si ritorna
tali e quali, identici, non si accumula nessuna esperienza se non dei ‘selfie’ per gli
amici. Nel nostro viaggiare vedo un sintomo di inquietudine esistenziale, una sorta di insofferenza nello stare in un posto,
in una società che non ti riserva alcun
mutamento. Facciamo viaggi da depliant
come forma di fuga da una realtà che,
evidentemente, non ci piace”.
Un lusso che, grazie alle offerte low
cost, oggi è accessibile a tutti. In particolare agli svizzeri, che pure da sempre sono i migliori turisti in assoluto. Anche se
una quindicina d’anni fa una settimana
all’estero rappresentava meno di un terzo
dei viaggi rossocrociati; oggi invece la
percentuale è aumentata del 45%
[email protected]
Q@EzioRocchiBalbi
7,5
Le giornate
in media che
ogni anno gli
europei
“spendono”, per
fare shopping
nei Paesi
occidentali
8,9
I miliardi di
franchi che i
consumatori
svizzeri hanno
speso nel 2012
per gli acquisti
effettuati
all’estero
3,8
I miliardi di
franchi spesi
dagli svizzeri
per altri
soggiorni,
come le
vacanze,
nel 2012
Ti-Press
12,9
Sono i milioni
di cittadini
confederati che
ogni anno
fanno almeno
un viaggio
all’estero con
pernottamenti
86,5%
Della
popolazione
residente in
Svizzera ha
fatto nel 2012
almeno un
viaggio con
pernottamento
Gli acquisti Le uscite delle famiglie per gli alimentari sono diminuite del 9 per cento, e sono aumentate enormemente quelle edonistiche
8,9%
Desiderio d’evasione e di shopping in trasferta
La percentuale
delle uscite
degli svizzeri
destinata alle
spese
alimentari; la
media europea
è del 10%
S
e solo dieci anni fa la spesa per i prodotti alimentari rappresentava quasi il dieci per cento delle
uscite delle famiglie svizzere, oggi quella percentuale è diminuita all’8,9 per cento.E nonostante
prezzi, qualità e varietà dei prodotti non sia diminuita. Anzi. Lo stesso Ufficio federale di statistica, nel rilevare questi dati, forse si rende conto che il tradizionale “paniere” - usato per stimare la spesa per i consumi finali delle economie domestiche - non tiene
conto delle cambiate abitudine consumistiche, all’insegna del “tutto e subito” che ultimamente hanno
modificato le abitudini rossocrociate. Il portale Pmi
della Confederazione, ad esempio, segnala che in un
anno sono stati spesi 5,1 miliardi di franchi negli acquisti transfrontalieri, tra turismo per la spesa e lo
shopping online. Cioè circa il 5 per cento della cifra
del commercio al dettaglio in Svizzera. E certo non
per beni di prima necessità. “Se la regola economica
diceva che la domanda genera l’offerta, certo oggi non
è più così: è l’eccesso di offerta che al contrario fa nascere la domanda - commenta il sociologo Luca Bertossa, responsabile scientifico delle inchieste federali
Ch-X fra i giovani -. C’è un ritorno massiccio al consumismo, quasi a confermare la teoria che quello che ti
manca nella socializzazione lo vai a cercare in qualcosa d’altro. Una tendenza, tra l’altro, che smentisce
molti studi, come quelli che vogliono la ricerca di beni
immateriali una volta soddisfatta quella dei beni materiali. Invece non è stato così e questo eccesso di
consumismo sarà pure ‘esistenziale’, ma io vedo un
edonismo spinto e un forte crollo di valori”.
Una voglia d’evasione che fa il paio con quella di
viaggiare. Così, come indica l’istituto di ricerche di
mercato GfK di Hergiswil, negli 8,9 miliardi spesi all’estero dagli svizzeri oltre agli alimentari spiccano
abbigliamento e cosmetici acquistati in vacanza. Secondo Gfk, le spese fatte in maniera “spontanea” durante i viaggi all’estero degli elvetici, in un anno ammontano a 3,8 miliardi.
5%
La percentuale
degli acquisti
degli svizzeri
all’estero è il
5% dell’intero
fatturato al
dettaglio
elvetico
Fonti: Unwto, Brandwatch,
Travel&Tourism 2014, GfK, Ust
6°CONCERTO
PER L’INFANZIA
Dal 23 novembre…
Sabato 22 novembre 2014
alle 20.30
Palazzetto Fevi Locarno
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Libreria Voltapagina (Lugano) / Mandrake Jazz & Comix (Lugano)
Music City Soldini (Locarno) / By Pinguis (Bellinzona) / Eco Libro (Biasca)
Tutti i posti sono a sedere ma non numerati.
Tel. Info: 079 444 27 94
I fatti non sono più
un rompicapo
Il ricavato del concerto sarà totalmente devoluto all’Associazione famiglie
diurne del Mendrisiotto, all’Associazione Ticinese Famiglie Afidatarie, all’Associazione Progetto Genitori e a Pro Juventute Svizzera italiana, per la promozione di azioni e progetti indirizzati all’infanzia e all’adolescenza in Ticino.
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Malafinanza,
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Anonymous, online su
caffe.ch/comedy
Con una
graphic novel
di Marco Scuto
Debiti
a causa
del gioco
d'azzardo?
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 31
Il fenomeno. Che cosa sarebbe la televisione senza
i gialli e senza i noir? Sarebbe un’altra cosa. Intanto,
la scoperta del colpevole è diventata una mania collettiva
Il delitto paga e in tivù vince il“real crime”
ALESSANDRA COMAZZI
I
l delitto non paga? Paga, paga, almeno in tv. Principio catartico:
guardiamo tutti questi crimini, inventati ma anche no, e poi stiamo
meglio. Il “crime” fa tendenza. E
come capita non soltanto alla televisione, il fenomeno è ormai globale. Serie
nate in Inghilterra sono riproposte dagli
americani e poi esportate, ma esportano anche i sudamericani, gli italiani fanno qualcosa ma se la tengono, gli svizzeri si pensano tendenzialmente immuni da soverchie trame gialle ma una bella fiction non se la negano, gli scandinavi si allargano.
Le serie trasmigrano, si spostano: dalle
reti satellitari a quelle generaliste, da
Rai e Mediaset al digitale terrestre. Possiamo dimenticarci l’idea del palinsesto
inamovibile. Il palinsesto è liquido, e
quando credi di esserti innamorato di
un telefilm-crime su un certo canale,
dopo poche settimane te lo trovi da
un’altra parte, con le puntate che vanno
e che vengono, gente invecchiata te la
riscopri giovane. Per questo i nativi digitali, i ragazzi nati dopo gli anni ‘90,
difficilmente il loro “crime” favorito lo
seguono in televisione: bensì lo scaricano e lo guardano al computer.
Al genere sono dedicati canali interi,
apposite sezioni. Tutte le piattaforme
hanno le loro reti “crime” che si rivolgono ai tanti appassionati del giallo e del
poliziesco, coloro i quali credono che i
telefilm di genere siano uno dei pochi
motivi per cui valga ancora la pena avere il televisore. Rappresentando anzi lo
“specifico televisivo” per eccellenza.
Giallo, noir, “action”, filoni nei quali gli
americani eccellono, e per forza, con
quello che ci investono. Ma che spesso
trovano buone soddisfazioni pure tra gli
europei. “Chase”, ad esempio, prodotta
da Jerry Bruckheimer, propone una
squadra a caccia dei più pericolosi latitanti d’America; “Law and Order: Los
Angeles” è il quinto spin-off, derivazione, di “Law & Order”, una delle più prolifiche tra le serie Usa, ideata e prodotta
da Dick Wolf: i suoi lavori hanno sempre, alla fine, il lupo che ulula.
Il concetto di base, il poliziotto che indaga e il giudice che decide le sorti del
colpevole, è stato cucinato in salse diverse, geografiche, tematiche. Come
“Law and Order Criminal Intent”, analisi più psicologiche; o “Law and Order
Unità Vittime Speciali”, specificamente
dedicato ai reati di stampo sessuale. La
realtà come sempre offre ricchi spunti.
Che cosa sarebbe la tv senza i gialli
e senza i noir? Sarebbe un’altra cosa.
Talvolta la scoperta del colpevole vero,
non di fiction, diventa un’ossessione,
una mania collettiva.
Lo si può vedere nei tanti programmi dedicati ai casi veri: precursori in
Italia furono “Telefono giallo” di Corrado Augias, e per i casi di persone scomparse, “Chi l’ha visto?” che dura ancora; ma anche Bruno Vespa con i suoi
plastici non ha certo mai disdegnato di
titillare il voyeurismo del pubblico. Ci
sono poi casi che appassionano particolarmente e animano le trasmissioni
di giornalismo romanzato: l’ultimo è
quello dell’italiana Elena Ceste. Scomparsa in gennaio, qualche settimana fa
è stato ritrovato il corpo, marito indagato. Il pubblico si è appassionato, anche gli abbottonatissimi magistrati che
seguono la vicenda, e che non parlano
in nessun programma nemmeno sono
tortura, non sanno spiegarsi il perché.
Insomma, una bella ricostruzione
gialla è sempre gradita, tanto che History, internazionale canale di storia,
propone rivisitazioni di fatti sanguinosi, di quelli che colpiscono l’immaginario collettivo. Se Vespa non ci avesse
inondato di puntate, il caso di Amanda
Knox avrebbe potuto avere il suo fascino? Ma più interessanti sono le vicende meno note o più lontane. Le troupe
hanno avuto accesso agli archivi giudiziari. Ci sono interviste esclusive a
personaggi chiave dei processi, ad avvocati e giudici, ai familiari delle vittime. Ci sono le ricostruzioni.
L’impressione è che si presentano
dati oggettivi. Ma la realtà sa essere
lontana dalla nostra percezione.
SULLA SCENA DEL CRIMINE VIRTUALE
Nel mosaico di foto alcune delle
trasmissioni tv considerate “cult” del
genere. In senso antiorario da sinistra:
Skeet Ulrich è il protagonista di “Law &
Order: Los Angeles” dell’americana Nbc,
“Chi l’ha visto” con Federica Sciarelli, la
serie “Cold Case- Delitti irrisolti” durata sette
stagioni, “Quarto Grado” con Gianluigi
Nuzzi affiancato da Alessandra Viero su
Rete 4 e “Telefono Giallo” di Corrado Augias
andato in onda su Rai Tre dall’‘87 al ‘92
In Svizzera
La fiction
Notte noir, il thriller di
Andrea Fazioli e Marco
Pagani, ha avviato la
stagione della fiction
made in Comano
Negli Stati Uniti
Anche le Web Series di Rsi
inaugurate con un thriller
Quando i fan si ribellarono
“Ora rivogliamo Cold Case!”
S
uando, era il 2010, la Cbs voleva chiudere “Cold Case”, i
fan si ribellarono, invadendo la casa produttrice di mail di
protesta. Ma il pubblico non può niente contro una simile
decisione, e in fondo è anche giusto che a un certo punto si chiuda. Trattasi di una delle serie più trasversali, andando in onda su
Rai, su Mediaset e su Sky: è dedicata ai casi irrisolti (i casi freddi)
riportati agli onori delle cronache e delle indagini da qualche fatto nuovo. Il telefilm, tuttora assai trasmesso, è strepitoso, ma costosissimo. In controtendenza con quello che capita di solito (anche a “Csi”, anche al vecchio “Dr House”, che infatti ha chiuso
pure lui) è migliorato di stagione in stagione. Se si possono paragonare le grandi alle piccole cose, il fenomeno ricorda il primo
miracolo di Gesù, alle nozze di Cana, la trasformazione dell’acqua
in vino. E pure buono. Tanto che il maestro di tavola dice: “Tutti servono da
principio il vino buono e, quando sono
un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino
buono”.
“Cold Case” non ha naturalmente
nulla di miracoloso, è soltanto realizzato e recitato (da Kathryn Morris, Danny
Pino, John Finn, attori peraltro sconosciuti) con molta professionalità. Ogni
puntata costa come un film intero. Ci
sono un doppio cast, una doppia ricostruzione di interni e di esterni, un profluvio di registi, autori, attori & tecnici.
La serie si svolge a Philadelphia, in una sezione della polizia che
indaga su casi irrisolti: spesso lo spunto di cronaca è reale. E fin
qui, niente di che. Però poi la realizzazione è grandiosa. Allora, gli
agenti decidono di riaprire un caso. Che può risalire alla fine della
guerra. O al ‘68. O al ‘99. O all’83 o al ‘75. Si interrogano i protagonisti ancora vivi; ma contemporaneamente le loro immagini
si spostano ai tempi in cui si sono svolti i fatti. Magari 30 anni prima. E dunque due di tutto: attori, costumi, ambientazione. Ogni
episodio si chiude con un grande brano rock.
a.c.
e il futuro della Srg Ssr ha gà in cantiere la “colonizzazione”
dello spazio online, producendo e proponendo contenuti appositamente studiati per il web e un nuovo pubblico di nativi
digitali, ormai assuefatti dalla visione in streaming, i primi avamposti non potevano che essere all’insegna del giallo.
Non è un caso infatti, che la tivù di Comano abbia inaugurato
le sue “Web Series” con gli otto episodi originali, prodotti esclusivamente per la rete, di “Notte Noir”, un thriller di grande impatto.
E in contemporanea sul canale più seguito in Svizzera sui devices
mobili: YouTube. Come non è un caso che il noir, scritto da Andrea
Fazioli e Marco Pagani, sia risultato uno dei due vincitori ticinesi
(l’altro è “Fakebook” di Chris Guidotti e Alessandro Maccagni) nel
concorso nazionale promosso nel 2013 dalla Srg Ssr per promuovere ed incentivare la produzione di opere
espressamente realizzate per il web. Contest che ha visto la partecipazione di ben
180 concorrenti, e solo sei di questi selezionati.
La Rsi, comunque, per il suo debutto
nella direzione digitale della fiction, oltre
al genere “crime” ha premiato anche quello stile poco amante del particolare evidente, nitido e a tutto schermo, che è proprio
del giallo. “In realtà stiamo esplorando
nuove piste, perche?si tratta di produrre in
modo diverso, con un formato, un linguaggio e un taglio diverso - ricorda Gabriella
De Gara, responsabile della produzione fiction Rsi -. Ma quel requisito un po’ ‘sporco’ che caratterizza la fiction per il web non deve trarre in inganno; se il prodotto è buono
può trovare collocazione anche nel palinsesto televisivo”. Niente a
che vedere coi B-movies, sia chiaro, ma è comunque significativo
che il genere “crime”, dopo aver imperversato al box office del cinema e sul piccolo schermo, punti al pubblico più giovane della tivù online. Come del resto ha sottolineato Roger de Weck, direttore
generale Srg Ssr: “Con Notte Noir si apre una nuova stagione attenta, come mai prima d’ora, al web”.
e.r.b.
Q
La professionalità
La serie non ha
naturalmente nulla
di miracoloso, è soltanto
realizzata e recitata
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eccessivo del consumatore. Valevole per clienti privati fi no al 31.12.2014 o fi no a revoca.
Lo studio
L’incontro
Dal Verbano
al grande Po
mezzo secolo
di devastazioni
La Svizzera
è il Paese
dell’ottimismo
e della fiducia
Marco Solari:
“La mia lotta
contro il kitsch
nel turismo”
ALLE PAGINE 34 e 35
A PAGINA 45
PIANCA A PAGINA 46
Supsi.ch
Le alluvioni
travirgolette
ilcaffè
16 novembre 2014
SOCIETÀ | TENDENZE | PROTAGONISTI
Una settimana
una parola.
Oltre il cibo
Un’obiezione
alimentare
chiamata“vegan”
MORO A PAGINA 36
Sanità pubblica
Privatizzazioni,
esternalizzazioni,
liberalizzazioni.
Organici ridotti
pure nei settori
più bisognosi
di personale,
gli ospedali.
Gli attacchi
alle attività statali
si moltiplicano
N
egli ultimi vent’anni il servizio pubblico è stato oggetto di attacchi di
ogni genere: ci sono state privatizzazioni, esternalizzazioni, liberalizzazioni, riduzioni di effettivi, anche nei
settori bisognosi di più personale, come nella sanità. L’obiettivo non è più la fornitura ai cittadini
di un servizio pubblico di qualità, bensì la realizzazione di profitti, da distribuire agli azionisti delle nuove società che hanno sostituito l’ente pubblico. Il motore di quella che potrebbe essere considerata una crociata contro il servizio pubblico
sono i gruppi economici e finanziari, alla ricerca
di nuove possibilità di guadagno. Essi hanno po-
Beltraminelli, direttore del Dss,
e Pellanda, dell’Ente ospedaliero,
non difendono il ruolo dello Stato
tuto contare sulla complicità della maggioranza
delle autorità politiche, sia a livello nazionale che
locale. Vediamo tre esempi di quanto successo e
sta succedendo.
Gli ospedali ticinesi. Prima del 1982, quando
è stato istituito l’Ente ospedaliero cantonale
(Eoc), la medicina ospedaliera nel nostro cantone
era assicurata da una dozzina di ospedali privati.
Il Civico apparteneva al Comune di Lugano. La
qualità era scarsa, la situazione fallimentare. Molti ticinesi dovevano farsi curare oltr’Alpe. In questi anni l’Eoc ha fatto un lavoro enorme. Oggi la
qualità è ottima, gli ospedali dell’Ente garantiscono prossimità, una medicina altamente specializzata e sono addirittura in grado di fare da supporto alla Facoltà di medicina. Si tratta di un modello
vincente, da difendere e da consolidare.
Il nuovo direttore del Dipartimento della sanità e della socialità, e di conseguenza il Consiglio
Corbis
GRAZIANO PESTONI
presidente Unione
sindacale Ticino e Moesa
di Stato, nonché la nuova dirigenza dell’Eoc, hanno però deciso un cambiamento di rotta. La nuova
pianificazione ospedaliera, attualmente in discussione in Gran Consiglio, prevede la cessione ai
privati di importanti settori, crea doppioni, maggiori costi. La salute diventa una merce. A trarne
profitto non saranno i cittadini e i pazienti ticinesi, bensì soltanto i gruppi speculativi, come la Genolier, la quale si sta accaparrando cliniche e alberghi in tutta la Svizzera. La vendita della clinica
di Moncucco rientra in questo quadro. In un cantone in cui le cliniche private costituiscono una
percentuale particolarmente elevata di posti letto
e pone di conseguenza non pochi problemi per la
messa in atto di un sistema efficace e razionale, la
vendita della Moncucco avrebbe dovuto essere
l’occasione per l’Eoc di aumentare la presenza
pubblica sul territorio. Ma probabilmente non finirà così, non solo perché le lobby del privato sono potenti, ma anche perché, osiamo immaginare, l’Eoc non ha fatto il necessario per acquistare
la clinica. Il ministro Paolo Beltraminelli e Giorgio
Pellanda, rispettivamente presidente e direttore
dell’Eoc, non sono grandi difensori del servizio
pubblico: basti pensare che tutti e due erano in
prima fila a combattere la cassa malati unica, utilizzando qualsiasi argomento, anche il più infondato.
Il servizio pubblico si può minacciare anche
indirettamente, ossia riducendo le risorse a sua
disposizione. In questi ultimi decenni, è stata ridotta l’imposizione fiscale ai detentori di sostanze
e redditi elevati. Oltre all’aspetto poco sociale di
queste decisioni, le stesse hanno ridotto le entrate e sono all’origine di importanti disavanzi nelle
finanze pubbliche. La nuova situazione è servita
da pretesto per molte misure di risparmio, in particolare nelle funzione pubblica, in cui sono stati,
ad esempio, ridotti gli effettivi, anche nei settori
in cui sarebbe stato necessario un aumento, come
nella sanità. La recente adozione del moltiplicatore cantonale da parte del Gran Consiglio, nella
forma in cui è stato fatta, rientra in questa politica. Invece di servire per adeguare le entrate in
funzione dei bisogni, sarà uno strumento per la
diminuzione delle entrate. Infatti, per ridurre la
fiscalità è necessaria la maggioranza semplice del
Gran Consiglio, ma per aumentarla ci vuole una
maggioranza dei 2/3. Sarà possibile quindi ridurre la fiscalità, ma quasi impossibile aumentarla. E
se mancheranno risorse finanziarie, la maggioranza del Governo tenterà, come ha già fatto nel
passato, di ridurre ulteriormente le prestazioni
dell’ente pubblico.
Il lavoro delle istituzioni può essere
minacciato indirettamente,
riducendone le risorse a disposizione
Un terzo esempio lo offre il Consiglio federale.
Proprio in questo momento sono in corso trattative, che avrebbero dovuto rimanere segrete, per
concretizzare un accordo internazionale con Usa,
Canada, Australia, Giappone e Unione europea,
un accordo conosciuto con la sigla inglese Tisa
(Accordo sul commercio dei servizi). Questo accordo prevede, ad esempio, che un settore privatizzato non può più essere gestito dall’ente pubblico, nemmeno se dovesse essere dimostrato che
la privatizzazione ha dato risultati disastrosi.
Qualora le autorità volessero comunque cambiare, la ri-nazionalizzazione sarebbe oggetto di pesanti penalità.
Difendere il servizio pubblico significa difendere prestazioni adeguate, diritti, qualità di vita.
Il suo smantellamento è utile solo agli azionisti
delle aziende privatizzate, che possono aumentare i loro guadagni.
DOMENICA
LIBERO D’AGOSTINO
NON PERDIAMO
FINZI PASCA
A
Lugano la Lega di Attilio
Bignasca è pronta a silurare con un ricorso, e magari anche con un referendum, il
contributo della Città alla Compagnia di Daniele Finzi Pasca.
Non si sta parlando di milioni,
ma di 750mila franchi, sull’arco
di tre anni, per il lavoro di un
grande artista, famoso in tutto il
mondo, che dovrebbe diventare
il punto di forza del Lac, il nuovo
grande centro culturale. È grazie
anche alle opportunità offerte
dal Lac se Finzi Pasca ha deciso
di restare in Ticino e di non trasferire in Canada la sua compagnia come aveva pensato di fare.
Per il regista questi sono stati
anni di grandi successi internazionali, dalle Olimpiadi di Torino
a Sochi, e il suo nome è ormai
celebrato ovunque per la coinvolgente creatività. Sarebbe un
peccato non solo per Lugano ma
per tutto il Ticino, perderlo. C’è
solo da augurarsi che Finzi Pasca
da quell’estroso e geniale artista
quale è, sappia guardare con intelligente distacco alle miserie
della politichetta leghista.
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
34
IL POLESINE
L’alluvione
del Polesine
iniziata il 14
novembre
del 1951
Dal TicinoalPolesine scorremezzo secolo di devastazione
Fiumi che straripano,argini che si sgretolano,laghi che esondano. E la colpa non sempre è dell’uomo
Le alluvioni.
La soglia limite
di 196 metri sul
livello del mare
è stata superata
dal Verbano venti
volte negli ultimi
cent’anni.
Un fenomeno
ciclico ogni
cinque anni
EZIO ROCCHI BALBI
P
ioggia, acqua. Tanta, troppa acqua. Fiumi che straripano, argini
che si sgretolano, laghi che esondano. E forse è solo una coincidenza che proprio come oggi negli
stessi giorni di novembre e quelli successivi, sessantatre anni fa, nel 1951, l’“onda
del Po” diventò sinonimo di morte. Ci furono 88 vittime e migliaia di persone persero
tutto. La tragica piena del Polesine. Le precipitazioni, allora come ora, coinvolsero
tutto il bacino padano. Negli stessi giorni
un’inondazione investiva il Ticino. Anche
allora la stagione autunnale era stata caratterizzata da piogge superiori alla norma,
coinvolgendo come centri di maggiore precipitazione le Prealpi lombarde, soprattutto
nella zona del Piemonte compresa tra Ticino e Dora Baltea.
Il fiume Ticino e il Lago Maggiore vivono in simbiosi, si accompagnano nel loro al-
ternarsi di straripamenti e conseguenti
esondazioni. A volte ci si mette pure la
Maggia con effetti terribili. Del resto le alluvioni sono da sempre un fenomeno ciclico
nella storia ticinese, anche prima dei mutamenti climatici denunciati solo negli ultimi
anni.
Bisogna risalire al lontano 1872
per ritrovare quote idrometriche vicine a quelle recenti
Solo per rinfrescare la memoria basta ricordare la prima piena del Verbano considerata “del secolo”, quella del 1993.
Quell’anno il livello del lago Maggiore superò i 197 metri sul livello del mare, e per
rientrare nel “rango” delle esondazioni bisogna superare i 196 metri. Quota abbondantemente superata, infatti, già il 13 novembre scorso. Quasi vent’anni fa, però, la
portata secolare dell’evento era più che
giustificata: bisognava risalire al lontano
1872 per ritrovare quote idrometriche del
Verbano vicine a quelle raggiunte dall’alluvione del ‘93. Alluvione “del secolo”, quindi, nel cantone, ma a che a memoria d’uomo - oltre agli immaginabili danni economici e strutturali, s’intende - registra solo
tre persone finite con la loro auto nel fiume
Brenno, per le frane provocate dal maltempo.
Il record d’esondazione era comunque
più giustificato, anche se nel secolo precedente per ben una ventina di volte il Verbano era uscito dal suo alveo, superando i
196 metri. Praticamente un’esondazione
ogni cinque anni, come nei 100 anni precedenti (anche se per gli esperti di idrologia i dati del livello d’acqua raggiunto sono attendibili solo a partire dal 1868),cosa
che fa seriamente dubitare che la “mano
dell’uomo”, con le sue costruzioni, la cementificazione, sia la sola e principale artefice della devastazione prodotta dagli
elementi naturali.
Un record, comunque destinato a durare ben poco visto che il 18 ottobre del 2000
il Verbano vide bene di alzare l’asticella del
suo straripare a 197,55 metri. Anche in
quel caso pioggia, acqua, troppa acqua.
Prolungate piogge torrenziali provocarono
un rigonfiamento pauroso di tutti i corsi fluviali, destinati a riversarsi nel lago Maggiore, provocandone l’inevitabile esondazione.
La superficie d’acqua si innalzò di parecchi metri, allagando Locarno, Ascona e
tutto il piano di Magadino. A salvare letteralmente la situazione, visto che le piogge
dopo una settimana continuavano incessanti a cadere, fu il repentino abbassamento delle temperature e solo il limite delle
nevicate, diminuì la portata dell’acqua a
valle. E guarda caso, anche questa volta
lungo l’asse Ticino-Verbano a farne le spese
è il fiume Po. Diciannove i morti per l’alluvione, 18 i dispersi, quasi 40 mila gli sfollati. Il “grande fiume” nel Piacentino supera
addirittura i livelli del 1951, 10 metri e 50
contro i 10,25 che avevano devastato il Polesine.
Era sempre novembre, invece, quello di
due anni fa, quando il Verbano superò il limite fatidico dei 196 metri. Per l’esattezza
196,27 frutto di un classico e intenso episo-
Nelle vallate del versante sud
alpino in poche ore caddero
circa 600 litri per metro cubo
dio alluvionale, dopo un settembre freddo e
piovoso, cui aveva fatto seguito un ottobre
tutto sommato mite e con poca pioggia.
Danni economici e materiali ingenti visto
che alla voce “ripristino da danni della natura” il Gran Consiglio stanziò in tempi record (nel luglio successivo) un credito che
superò i diciotto milioni di franchi.
Ma senza scomodare l’esuberanza delle
acque del Verbano, Meteo Svizzera certifica
che la peggiore delle alluvioni che sconvolse il Ticino (e la vicina Italia del Nord) si verificò inattesa nella notte tra il 7 e l’8 agosto
del 1978. In pieno Festival del cinema, e
dopo alcune belle giornate estive, con un
clima caldo-afoso. Un’intensa perturbazione temporalesca improvvisamente innalzò
con prepotenza il calore e l’umidità ristagnanti, e un autentico diluvio colpì il Ticino,
la Val Vigezzo e i Grigioni italiani. Nelle vallate del versante sud alpino in poche ore si
accumularono circa 600 litri per metro cubo e la Maggia “esplose” al ritmo di quasi
quattro milioni di litri d’acqua al secondo. E
con la Maggia strariparono molti altri corsi
fluviali, fiume Ticino compreso, portando
morte e distruzione. Il mattino dopo presentò uno scenario devastante. In una notte
persero la vita cinque persone solo nel Locarnese e i danni ammontarono a oltre 200
milioni di franchi.
[email protected]
Q@EzioRocchiBalbi
Il racconto
Quell’acqua del Po
“che fa i disastri”
LAURA PARIANI
Scrittrice
S
L’ALLUVIONE
E LA PIENA
Gli effetti della
devastante
alluvione
dell’agosto 1978
nel Locarnese;
a destra le piene
storiche del Po
nell’illustrazione
realizzata
da Emanuele
La Medica
per il Caffè
L’emergenza Scongiurati i pericoli maggiori, dopo i ripetuti allarmi la meteo ritorna verso la normalità
L’ingegneria
Sette giorni di timori
sotto la furia
di precipitazioni
con intensità record
La pioggia,la legna,il fango
una terribile pressione
sulle dighe nelle vallate
Per evitare pericoli il comando di
Luino ha deciso di chiudere la caserma e trasferirsi armi e bagagli nelle
scuole elementari, chiuse anch’esse
per il cattivo tempo. Una settimana
pazzesca, dunque. Siamo di fronte a
precipitazioni eccezionali. Con piogge che in questo mese di novembre
si situano tra i 300 e i 450 litri per
metro quadro, con punte altissime in
Vallemaggia e Centovalli. Tre volte
le medie abituali.
E con frane un po’ ovunque. A
Brissago una famiglia è stata fatta
evacuare dalla sua abitazione per
uno smottamento. Scoscendimenti
anche nel Mendrisiotto con frane a
Seseglio, a Novazzano, tra Riva San
Vitale e Brusino, tra Melano e Rovio.
Il Ceresio è uscito a Lugano, allagando i marciapiedi in vari tratti, specialmente nella zona tra l’imbarcadero e il Parco Ciani. Lidi, campeggi
sono finiti sott’acqua a Melano, Capolago, Riva San Vitale e Brusino.
il livello del Lago di Lugano, anche
se solo di 5 centimetri. Ciononostante i livelli dei due laghi rimangono
molto elevati. Il lago di Lugano sino,
ieri, sabato, è stato poco sotto il grado di pericolo 5 (pericolo molto forte).
Tenuto conto delle precipitazioni
in corso i livelli dei due laghi stanno
però salendo di nuovo. Il lago Maggiore dovrebbe raggiungere il livello
massimo entro oggi, domenica,
mentre quello Lugano dovrebbe superare il picco raggiunto settimana
scorsa (271,57 metri).
Sono aumentati anche i livelli
dei fiumi, con la
Maggia e il Ticino
di poco al di sotto
del grado di pericolo 2. Un’eccezione è costituita
dal fiume Tresa,
la cui portata resterà elevata per
far defluire acqua
dal lago di Lugano. Per i fiumi minori sono possibili picchi di portata
elevati a causa
dell'intensificazione temporanea
delle precipitazioni.
Superata la preoccupazione per
le esondazioni, resta qualche timore
per possibili frane, soprattutto nelle
zone più investite dalle copiose piogge di queste ultime settimane.
c.m.
L
Ti-Press
A
rriverà il sole, ma solo a metà
settimana, a spazzare via nuvole e preoccupazioni. Tutto
in sette giorni. Doppia esondazione,
evacuazione della clinica Santa
Chiara a Locarno in poche ore. Intervento esemplare della protezione civile, quasi un’esercitazione di routine. Con la posa delle passerelle auto-galleggianti nel quartier Nuovo di
Locarno. Una “meraviglia” tecnica
guardata con ammirazione dai frontalieri che a Verbania sono alle prese
con la stessa situazione, ma con minor mezzi.
Apprezzate anche in quel di Luino, il cui lungolago è andato praticamente sott’acqua. La città di Piero
Chiara, proprio nel giorno dell’alluvione ha vissuto una storia paradossale: la chiusura della caserma dei
pompieri. L’edificio, ormai vetusto,
sorge a pochi metri dal fiume Tresa,
che riceve l’acqua dal lago Ceresio
per immetterla nel lago Maggiore,.
Molti gli interventi per gli scantinati
allagati. Invasa gran parte del Quartier nuovo a Locarno e il Lungolago.
Poi dopo la pausa di venerdì, e
un leggero deflusso - in uscita dal lago, a Sesto Calende, in territorio italiano,sono state abbassate completamente le paratie - proprio in questo fine settimana la nuova esondazione che ha riportato tutto al livello
di partenza.
Le previsioni meteo danno bel
tempo per metà settimana prossima
e tranquillizzano. Mancato pericolo,
dunque, dopo una settimana pazzesca. Tutta colpa di
un tempo bizzoso
con cui si fa sempre più fatica a
convivere. E che
necessita l’intervento intelligente
e
previdente
dell’uomo. Tutto
perché a partire
dall’inizio di novembre, spiegano i meteorologi,
il versante sudalpino si è trovato
quasi costantemente sotto l'influsso di correnti sudoccidentali
umide che hanno portato a delle
prolungate situazioni di sbarramento, causando abbondanti piogge.
In seguito al miglioramento del
tempo a metà settimana, il livello del
Lago Maggiore era sceso di oltre 15
centimetri così come è calato anche
LA PAURA
Anche il Ceresio (qui
sopra) in questi giorni è
esondato, come il
Verbano (a sinistra). La
diga della Verzasca
sotto la pressione
dell’acqua (a destra)
e dighe sono numerose
nelle valli e il Ticino, e il
loro “lavoro” l’hanno
sempre ben fatto. La prima,
inaugurata quasi cento anni fa,
nel 1920, ad essere edificata è
stata quella del Lago Ritom, in
Leventina. Nel secondo dopoguerra, altre sono spuntate come funghi, tutte dal 1947 al
1970. In termini di volume le
più grandi sono quelle del Luzzone, con un bacino di 107 milioni di metri cubi d’acqua, della Verzasca, 85,5 milioni, e del
Sambuco, 63 milioni.
Queste opere d’ingegneria
vengono periodicamente “testate” - oltre che dai servizi di
manutenzione - soprattutto
dalla natura, con le precipitazioni che ingrossano laghi e
fiumi alimentando la pressione
dell’acqua. Come sta avvendendo in questi giorni. E come
è successo in altre circostanze,
quando, ad esempio, il lago artificiale di Vogorno si è talmente ingrossato da far tracimare
la diga della Verzasca.
Le opere idrauliche di sbarramento concepite per reggere eventi eccezionali
Una tracimazione minima,
incomparabile con le immagini
scolpite nella memoria della
tragedia del Vajont, in Italia,
quando, nell’ottobre del 1963,
la diga del grande bacino
idroelettrico collassò per una
frana causando la morte di
duemila persone.
Situazione completamente
diversa quella di Vogorno, dove la diga è assolutamente sicura: malgrado le piogge continuino ad cadere copiose, lo
specchio d’acqua non desta alcuna preoccupazione. Anche
perché l’acqua in questi giorni
è tracimata solo di 200 metri
cubi al secondo; un ottavo della quantità che la diga può sopportare prima di andare in crisi. Sono infatti 1.600 i metri
cubi calcolati per il lavoro massimo degli “sfioratori”, gli
strumenti di scarico della diga.
Una situazione di quasi
normalità, se pensiamo che
episodi del genere, stando ai
dati statistici, si verificano mediamente anche due o tre volte
all’anno. L’eccezionalità è semmai legata alla frequenza ravvicinata delle piogge di forte
intensità, che da un paio di settimane si abbattono sulla regione.
Nessun
pericolo,
quindi, di
ripetere
una situazione assolutamente eccezionale
come
quella dell’agosto
1978,
quando
una massa
di detriti
legnosi riempì la diga di Palagnedra e il bacino artificiale
tracimò. La responsabilità fu
da addebitare all’inattesa mole
di materiale che andò a depositarsi contro le pareti, ma la
struttura della diga aveva comunque retto bene nonostante
una situazione del tutto particolare, con precipitazioni abnormi, di forte intensità e concentrate in un periodo molto
breve.Ma anche in altre circostanze le dighe furono messe a
dura prova in questi ultimi decenni. In particolare nell’esondazione “storica” del 1993,
quando le continue piogge fecero salire a livelli record il Lago Maggiore.
In quell’autunno tutti gli
sbarramenti reagirono bene,
mentre la superficie lacustre
del Verbano
aveva superava i 197
metri sul livello
del
mare. Allo
stesso modo
confermarono la loro affidabilità
anche nell’esondazione del 2000,
quando si
superò
di
nuovo il livello storico
raggiunto pochi anni prima. La
pressione provocata dalle copiose precipitazione sui laghetti artificiali e sulle pareti
delle dighe preoccupò, ma la
loro sicurezza venne confermata senza imprevisti.
o.r.
e abitate vicino a un fiume o un lago, sapete bene
che la presenza dell’acqua dà un tocco particolare
alla luce delle vostre giornate. D’estate fin dall’alba
la luminosità parte dal brillio delle onde, maturando al
culmine del giorno; poi, a partire dall’autunno, con la cortina della pioggia o il calare delle brume, le rive si perdono in una lontananza vaga: ombre, profili abitati dal silenzio e dalla solitudine. La gente che abita vicino all’acqua sa a memoria questi cambiamenti di atmosfera, ci è
in qualche modo preparata. O perlomeno io lo sono dato
che, avendo cambiato casa di frequente negli anni del
precariato a scuola, ho abitato molto spesso in posti in riva all’acqua: sul Ticino sia nel Turbighese che presso il
ponte della Becca di Pavia; sul Po a San Rocco al Porto,
presso Piacenza; infine adesso sul lago d’Orta.
Il Po l’ho conosciuto nel Piacentino ascoltando soprattutto i racconti del vecchio Aìdo, che aveva campato la vita in riva al fiume, ricavando tutto il necessario dal Po,
pesce e legna; ché, quando poi veniva la piena, autunno
o primavera che fosse, si rallegrava come di una vendemmia: con la barca affrontava le grosse piante trascinate
dalla corrente, le allacciava con una specie di lazo, a mo’
dei gauchos argentini, eppoi, vogando a tutta forza, le tirava a riva. Sosteneva che ciò che la piena regalava gli
bastava per una stagione di sbevazzi all’osteria. Ma questa era “la piena normale”. Diversa era l’alluvione, con la
campana a martello, che lungo l’argine maestro segnalava l’emergenza e faceva scappare la gente... “Ma perché
continuare a vivere qui, visto che è pericoloso?” chiedevo
io. E lui immancabilmente borbottava nel suo dialetto
qualcosa che si potrebbe tradurre così: “Non si ama il fiume, ma non se ne può fare a meno”.
Non posso dimenticare l’Aido e i suoi racconti di “acqua che fa disastri”, forse perché sono nata nel novembre
del 1951, il giorno in cui per l’onda di piena venne dato
l’ordine di evacuare Rovigo, Adria, Cavarzere... Più di ottanta vittime, centottantamila sfollati senzatetto. E mio
padre, giovane sindaco cattolico, non indugiò a mettersi
a disposizione, in prima persona, della macchina dei soccorsi in nome di una solidarietà umana, non filtrata né
mediata da apparati burocratici. Ma - e mia madre non
glielo perdonò - era così impegnato nell’organizzazione
dei soccorsi, che non solo non poté assistere alla nascita
della sua prima figlia, ma ne venne a conoscenza molto troppo - tardi...
Dunque per me, in un certo senso, ogni piena è una
sorta di balzo all’indietro di decenni, fino alle origini.
Così adesso ascolto con un certo timore lo scrosciare
della pioggia. Ché il copione di questi giorni lo conosco a
memoria: piove a dirotto, il livello dell’acqua si alza, fossi
e canali esondano, le zone golenali si allagano, le strade
vengono interrotte, col batticuore si tengono sotto osservazione gli argini sperando che il maltempo la smetta e
che tutto torni alla normalità. Ma, come diceva mia nonna: “Tempo, culo e sciòr fan quel che voglion lòr”. La
pioggia non cessa e allora i paesi rivieraschi rischiano
grosso: di pressa si corre a distribuire sacchi di sabbia alle
case più vicine all’acqua, si smontano e si traslocano ai
piani alti cucine e attrezzature di bar e negozi, per evitare
i danni che l’acqua provocherebbe agli impianti; oppure
ci si trasferisce dagli amici. L’imperativo è salvare il salvabile. Ma soprattutto... si aspetta con rassegnazione
l’inevitabile. Da quanti giorni viviano con l’occhio alle
previsioni meteo? “Stato di allerta: il Po ha raggiunto i
6,50 metri”, “Record: è stata la giornata più piovosa degli
ultimi quindici anni”, “Il Po sta raggiungendo i 7 metri e
mezzo sopra lo zero idrometrico”. Centimetri di pioggia,
monitoraggio delle arginature, non si parla d’altro.
Dalla finestra guardo la frana che spezza in due la
montagna dall’altra parte del lago; le papere che nuotano
senza paura nella piazza allagata; i cigni che si lasciano
galleggiare davanti alla porta, con il collo piegato come se
fossero damine malate; i curiosi che approfittano per fare
un giro in canoa tra le vie, fotografando la situazione col
telefonino. E penso al percorso che l’acqua sta facendo:
dal lago d’Orta all’emissario Nigoglia, che sfocia nello
Strona, che va a finire nel Toce, che sbocca nel Lago Maggiore che s’incanala nel Ticino, che finisce, sursum corda,
nel Po. Siamo tutti sulla stessa barca, mi vien da dire. E,
fin dai tempi dell’arca del vecchio Noè, questa è la frase
che il genere umano si è abituato a ripetere con più frequenza
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
36
Oltre il cibo.
Niente carne,
latte,miele
e uova. Per chi
trova crudele
usare e abusare
degli animali
La storia
IL TERMINE
La parola veganismo è
un’italianizzazione dell’inglese
“veganism”, derivante da “vegan”,
neologismo ideato nel 1944 dal
britannico Donald Watson.
ELISABETTA MORO
V
egani non si nasce, ma si diventa. È quel
che ha fatto Bill Clinton, neoconvertito al nuovo
credo nutrizionale. Zero carne, latte, uova e miele. Una
scelta radicale, maturata dopo alcuni disturbi al cuore. E soprattutto dopo la lettura di The China Study di Colin e Thomas Campbell. La bibbia del veganismo. Un libro che, nonostante venga
considerato dalla maggior parte degli scienziati datato e approssimativo, è diventato un best seller. E quel che più conta ha spostato
il baricentro di questa corrente di pensiero alimentare verso il salutismo, mentre originariamente si trattava di un’obiezione di coscienza animalista. Come dire che si può diventare vegani per due
Vegan
food
Una scelta più che radicale
di un’obiezione di coscienza
ragioni diametralmente opposte. O per amore o per terrore
degli animali.
Quando nel 1944 Donald Watson e Elsie Shringley si staccarono, come la
costola di Adamo, dalla Vegetarian Society di Londra, la più antica
società filovegetariana dell’Occidente, lo fecero per dire che è crudele usare le altre specie per riempire i nostri frigoriferi. Ma è crudele anche rubare il miele alle api che faticosamente si preparano
all’inverno stoccandolo negli alveari. E lo è altrettanto costringere
le mucche a produrre ettolitri di latte non destinati ai vitellini che
hanno partorito, come vuole la natura. E così via ragionando. Perciò un vegano doc non indossa scarpe di pelle, maglioni di lana o
altri capi di origine animale.
Il nome vegan nasce da un ragionamento elementare di Watson, che ha incollato l’inizio e la fine della parola vegetarian. Insomma l’alfa e l’omega della teoria matrice per chiudere, anche
simbolicamente, il cerchio del ragionamento.
Questi rinuncianti contemporanei sono gli eredi inconsapevoli
dei boskoi, gli eremiti e anacoreti dei primi secoli dell’era cristiana
che manifestavano il loro afflato solidale verso gli animali, condividendo il loro cibo. Frutti, bacche, erbe. Ma oggi si può contare
anche sull’aiuto dell’industria alimentare che, fiutato il business,
si è buttata sul vegan junk food. Merendine, snack, salse, gelati,
biscotti, fish & chips e hotdogs. Apprezzatissimi dai teenagers.
Così è possibile ravvedersi senza rinunciare totalmente alle
vecchie, cattive abitudini. E transitare senza traumi dal cruento
onnivorismo al mansueto veganismo. Insomma dalla dieta di Caino a quella di Abele.
I PRECEDENTI
I rappresentanti della pura cucina
vegana sarebbero i “Jainisti”
dell’India, religiosi iper-pacifisti,
che fin dal VI secolo a.C. piuttosto
di uccidere un animale
preferirevano morire di fame.
L’ETICA
Già dagli inizi del 1900 l’etica del
consumo di prodotti lattierocaseari era stata oggetto di forti
dibattiti all’interno del movimento
vegetariano più radicale.
I NUMERI
Si stima che nel mondo vegani e
vegetariani siano circa un miliardo.
In Europa è la Germania il Paese
più “veg” (7 milioni di persone);
in Svizzera circa nove su cento.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
37
La cultura. La Svizzera spicca
nella difesa del patrimonio artistico.
L’Onu le affida il compito di custodire
opere in pericolo in tutto il mondo
I SITI DA TUTELARE
L’inventario dei beni culturali in Svizzera
La Confederazione
diventa il“caveau”
dei beni culturali
B
eni culturali inestimabili esistono da
sampre. La loro salvaguardia, invece, è
un’esigenza disciplinata molto tempo dopo. È solo
dal 1954, infatti, che l’Unesco
(l’organizzazione delle Nazioni
unite per l’educazione, la scienza e la cultura) ha introdotto delle raccomandazioni internazionali per il loro riconoscimento.
Da quel momento la Confederazione si è preoccupata di catalogare rigorosamente i valori
da proteggere sul
territorio nazionale. E nel 2009 - data dell’ultimo censimento del proprio “patrimonio”
- l’inventario contava oltre 3.000
beni, disseminati
in tutto il Paese.
Dal piccolo Museo
Onsernonese di
Isorno, al Castello
di Allaman nel
canton Vaud, via via fino alla casa comunale di Weinfelden, nel
canton Turgovia.
La Svizzera si è dimostrata
così diligente che l’Unesco ne ha
fatto una delle nazioni che ospiteranno una sede per la protezione dei beni in pericolo provenienti da tutto il
mondo. Un “caveau” ideale per la
Bellezza, sicuro e
in grado d’offrire
tutta l’attenzione
che questi beni
inestimabili meritano. Un luogo in
grado di proteggere le opere minacciate da guerre,
eventi naturali o
conflitti culturali
su tutta la Terra.
Con il coinvolgimento del
Dipartimento militare e quello
della Protezione della popolazione e dei beni culturali è stata individuata una “caverna” nei
pressi di Affoltern am Albis, nel
Canton Zurigo, finora adibita a
magazzino militare. E sarà lì,
dopo l’ok del Consiglio federale,
che le opere d’arte
minacciate potrebbero trovare rifugio. Un’iniziativa
che fa della Svizzera un Paese pioniere in questo
campo. “E non solo
perché potremo
ospitare, in un futuro non lontano
opere importanti
grazie alla sicurezza e alla competenza che abbiamo dimostratoconferma al Caffè Rino Büchel,
caposezione per la Protezione
dei beni culturali a Berna -, ma
anche perché la nostra struttura
è basata su una fitta rete di collaborazioni specifiche in ogni
Gli esempi
L’inventario nazionale dei beni
culturali meritevoli di tutela è stato
aggiornato per l’ultima volta nel 2009
e comprende attualmente 3202 “oggetti” suddivisi in tutta la Confederazione. L’idea di creare registri nazionali di questo tipo nasce dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1954 l’Onu - attraverso l’Unesco
- ha iniziato l’opera di promozione
della tutela.
LA STATUA DI ROUSSEAU
A Ginevra, il monumento
dedicato all’illustre
pensatore e filosofo
svizzero di fine
Settecento rappresenta
uno dei simboli della città
affacciata sul Lemano
1
LA MADONNA DEL SASSO
Il santuario mariano
affacciato su Locarno è
inserito a pieno titolo nel
registro nazionale delle
opere da tutelare. Sia per
le sue origini nel ‘500, sia
per i beni che contiene
tra affreschi e libri
2
IL VIADOTTO LANDWASSER
A poca distanza dalla
stazione di Filisur sulla
ferrovia dell’Albula, uno
spettacolare viadotto in
pietra a sei archi
attraversa, curvando, la
stretta gola del torrente
Landwasser, nei Grigioni
3
ambito”. Basta pensare che nel
progetto sono stati coinvolti non
meno di una decina di istituzioni, tra cui le Guardie di frontiera,
l’Ufficio federale della cultura e
la stessa Unesco. Perché la Svizzera non è un esempio solo per
la sua capacità di organizzazione, e collaborazione tra le sue
diverse strutture, ma anche e
soprattuto con quelle internazionali. “Abbiamo la fortuna di
Fonte: Ufficio federale della protezione della popolazione UFPP
avere un’ottima reputazione
all’estero, e questo ci apre molte
porte - ricorda Büchel -. Gli apprezzamenti dell’Unesco, ad
esempio, ci agevolano nell’intavolare proposte di collaborazioni
con istituzioni di altri Paesi. Dal
grande museo fino alla speciale
sezione dei Carabinieri che in
Italia si occupa dei beni culturali, coi cui abbiamo ottimi rapporti”.Buoni rapporti che servono
anche con i Cantoni, primi responsabili della tutela delle opere. “Col Ticino è stato fatto un
bellissimo lavoro con la concretizzazione dell’Inventario cantonale”, precisa Buechel, tanto
che il cantone vanta oltre duecento “beni” di interesse nazionale. Meglio fanno solo Berna
(430), Zurigo (331), Argovia e
Friborgo, entrambi con 238.
o.r.
L’intervista
Il presidente della Stan Antonio Pisoni
“Tanti edifici
d’epoca
rischiano
di sparire”
G
li aiuti e il sostegno
offerto ai beni culturali dalla Confederazione viene definito “encomiabile” da Antonio Pisoni,
presidente della Stan, la Società ticinese per l’arte e la
natura attiva da più di un secolo nell’ambito della divulgazione della conoscenza del
patrimonio architettonico e
paesaggistico. Nello stesso
tempo, però, Pisoni lamenta
una scarsità d’attenzione
per molti edifici storici: “Abbiamo un sacco di edifici ottocenteschi con una storia,
architettonica e umana, dove la gente ha vissuto e lavorato, che rischiano di essere spazzati via, come è già
successo, per dei piani regolatori che vedono al loro posto un palazzo a più piani”.
Eppure la banca dati del
Cantone enumera circa
120mila beni culturali.
“Attenzione, l’inventario
va dal piccolo oggetto, una
moneta, alla cattedrale. I beni culturali d’interesse cantonale tutelati sono circa
3000 e 200 d’interesse nazionale. Ma comprendono
tutto, dalla collezione alle
chiese, ai siti archeologici”.
Ma sono molti anche gli
edifici.
“Sì, ma nessuno si sognerebbe di buttare un quadro, mentre una villa
dell’800 o un borgo storico
sono sempre a rischio. Ed è
un peccato, anche perchè
sarebbero di facile conservazione, non richiedono
grandi investimenti”.
Quindi è stato più facile
proteggere gli insediamenti rurali della Valle
di Muggio che i palazzi
d’epoca.
“Certo, anche se nel caso
di Muggio l’importanza paesaggistica era indiscutibile e
con gli aiuti di Berna è stata
ben valorizzata”.
Quanti sono gli edifici in
Ticino che meriterebbero di essere tutelati e invece sono a rischio?
“Un numero preciso non
lo saprei indicare, ma siamo
più vicini al migliaio che alle
centinaia; basta dare un’occhiata al nostro sito per farsi
un’idea”.
e.r.b.
Inserzione pubblicitaria
La Svizzera in Europa
Appello di cittadine e cittadini preoccupati
Le Svizzere e gli Svizzeri che hanno firmato questo appello
n profondamente preoccupati per la confusione che caratterizza oggi
la politica della Svizzera nei confronti dei suoi partner europei,
n desiderosi di evitare i danni economici e politici che il Paese rischia
di subire se continua a mettere in causa i legami e lo spirito di
cooperazione con l’Unione europea ed i suoi Stati membri,
n coscienti che la chiusura della Svizzera non rafforzerebbe la sua
sovranità, ma al contrario l’indebolirebbe,
n convinti che soltanto un’ampia e dinamica cooperazione con
l’Europa offre alla Svizzera una reale possibilità di assicurare il suo
avvenire,
*
L’integrazione di fatto. L’economia svizzera reagisce bene agli impulsi
dati dall’integrazione. Gli accordi bilaterali conclusi con Bruxelles, in
particolare l’accordo sul libero scambio delle merci e quello sulla libera
circolazione dei lavoratori, hanno stimolato la concorrenza e hanno
sostenuto durevolmente la crescita. Le cifre dimostrano persino che la
Svizzera de facto è oggi più integrata nello spazio economico europeo
che numerosi Stati membri dell’UE.
Le soluzioni globali. Nel corso di decenni, la Svizzera ha sempre
cercato soluzioni globali, strutturate, per definire la sua partecipazione al
processo di integrazione: la grande zona di libero scambio degli anni
cinquanta (fallita nel 1958), la domanda di associazione della Svizzera
nel 1961 (diventata senza oggetto), la creazione di un “ponte” per
collegare l’AELS alla Comunità europea (soluzione abbandonata con
l’adesione all’UE della maggior parte dei paesi dell’AELS), la proposta di
intavolare delle trattative in vista della sua adesione all’UE nel 1992 (resi
senza oggetto in virtù del rifiuto dello SEE), la partecipazione allo Spazio
economico europeo (respinta il 6 dicembre1992), una soluzione
istituzionale (attualmente in fase di negoziato). In fondo appare logico
cercare simili soluzioni globali; ma ogni volta, sono sorti ostacoli quasi
insormontabili.
Il bilateralismo. Grazie ad una politica pragmatica, settore per settore,
la Svizzera ha concluso circa 120 accordi bilaterali con l’Unione europea.
Evidentemente, se questi risultati sono rimessi in questione dalla politica
interna, la fiducia dei nostri partner si trova incrinata. Questa
imprevedibilità colpisce negativamente anche l’economia. Nondimeno il
bilateralismo sembra essere la forma di cooperazione che, a questo
stadio, risponde meglio ai bisogni e interessi della Svizzera e offre le
probabilità migliori di un consenso politico.
invitano tutti i loro compatrioti e particolarmente i più giovani a
partecipare a un ampio dibattito sull’Europa, a un dibattito sereno e
fattuale, per permettere nuovamente alla Svizzera di offrire una
politica coerente e orientata a lungo termine, una politica che
permetterà al paese di fare valere i suoi interessi nel contesto
europeo.
***
Questo appello è sostenuto dalle seguenti considerazioni:
1. Quattro forti ragioni militano per un’Europa solidale
Lo sappiamo tutti: la Svizzera fa parte dell’Europa, geograficamente,
storicamente, politicamente, economicamente, culturalmente e socialmente.
La Svizzera si è costruita nel grembo del suo ambiente naturale europeo.
Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, gli Europei discutono dell’“Europa”:
quale avvenire per il nostro continente? Come fare per assicurare la pace, il
diritto ed il benessere economico e sociale? Anche in Svizzera sono numerosi
coloro che si sono stancati di questo dibattito: ma hanno torto! Per almeno
quattro motivi la questione rimane importante:
3. La Svizzera e l’Europa: l’avvenire
Verosimilmente la Svizzera e i suoi cittadini saranno confrontati sempre di più
con le preoccupazioni europee, particolarmente con quattro questioni centrali:
La storia. Dopo due guerre mondiali che sono costate la vita a circa 75
milioni di persone, tutti gli europei hanno proclamato “mai più!” La
costruzione dell’Europa ha portato al continente più di un mezzo secolo
di pace; è un’evoluzione unica nella
storia, una conquista che si tratta di
salvaguardare, una conquista che
esige la partecipazione di tutti i paesi, i
28 Stati membri dell’Unione europea
ed dei loro 500 milioni di abitanti, ma
anche degli altri Stati europei.
I valori. Dal nord al sud e dall’est
all’ovest, i popoli europei sono diversi
per le loro culture, le loro lingue, le loro storie, le loro tradizioni ed anche i
loro temperamenti. Nonostante queste diversità condividono numerosi
valori essenziali: lo Stato di diritto basato sulla democrazia, l’economia
sociale di mercato, i Diritti dell’uomo, la protezione dell’ambiente
naturale. La solidarietà degli Europei si è concretizzata grazie ad una
lunga serie di decisioni.
L’interdipendenza. All’epoca della mondializzazione e del rapido
sviluppo delle scienze e delle tecniche, i paesi europei sono riusciti a
forgiare un grande mercato continentale basato sulla concorrenza e la
libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali; gli
attori economici hanno saputo adattarsi e trarne profitto. Questo
mercato esige condizioni quadro coerenti e politiche comuni.
L’interdipendenza si è accentuata anche nel campo della sicurezza
interna (terrorismo, cybercriminalità, flussi migratori non controllati, ecc.).
L’Europa nel mondo: Ci fu un tempo, in cui l’Europa era il centro
politico ed economico del mondo. Oggi, dopo la scomparsa degli imperi
coloniali e la rapida crescita di potenze extraeuropee, i paesi europei
assumono un ruolo più modesto al tavolo dei Grandi. Ai nostri giorni,
l’Europa riesce a fare valere il suo punto di vista soltanto se i paesi
europei coordinano la loro azione. Ciò vale anche per quanto attiene alla
sicurezza.
Corresponsabilità. Il dibattito nazionale nasconde troppo facilmente il
fatto che la Svizzera assume già
importanti responsabilità in Europa.
Ciò vale per i problemi che, per la loro
natura, hanno acquisito una
dimensione paneuropea come la
protezione dell’ambiente naturale,
l’energia, i trasporti, la migrazione,
la formazione e la ricerca, la stabilità
monetaria e finanziaria e beninteso,
anche la salvaguardia della democrazia e dello Stato di diritto, come
pure la sicurezza interna ed esterna del continente.
Gli interessi economici. La Svizzera è un paese privo di materie prime
e di energie fossili. La sua prosperità dipende dalla capacità delle sue
imprese di mantenere la loro posizione sui mercati europei e mondiali; è
dunque importante che le nostre aziende possano agire ad armi uguali
nei confronti dei loro concorrenti. I paesi dell’Unione europea
rappresentano di gran lunga il mercato più importante per la Svizzera.
Per prendere soltanto un solo esempio, la Svizzera non può mantenere
una piazza finanziaria importante senza un libero accesso ai mercati
europei nell’ambito di una regolamentazione comune o concertata.
Coerenza e continuità. Qualunque sia la forma che si desidera dare
alle nostre relazioni con l’UE, bisogna rendersi conto che, in un mercato
di dimensione continentale, tutto è interconnesso. In altre parole, le
nostre complesse relazioni con l’UE devono essere coerenti, globali,
stabili e prevedibili. Volere “la botte piena e la moglie ubriaca” non
costituisce una base solida per una politica di lungo termine.
Ed infine: l’adesione della Svizzera all’UE non dovrebbe essere
scartata di primo acchito e definitivamente dal dibattito politico nel nostro
paese. Un simile atteggiamento non sarebbe solo inadatto, ma anche
pericoloso. Dobbiamo essere coscienti che, in ultima analisi, soltanto la
codecisione permetterà alla Svizzera di avere un influsso corrispondente
alla sua importanza sulle politiche europee e sul diritto europeo.
Invitiamo soprattutto i
più giovani a partecipare
a un ampio dibattito
sereno e fattuale
L’adesione della
Confederazione all’UE
non dovrebbe essere
scartata dal dibattito
2. La Svizzera e l’Europa: gli insegnamenti del passato
Queste affermazioni non costituiscono un’arringa in favore di una o
l’altra delle opzioni possibili per le nostre relazioni con l’UE; si tratta
unicamente di identificare i punti che devono permettere un dibattito
democratico serio. In questo contesto, è imperativo poter offrire alla
giovane generazione un quadro di riflessione e di impegno per
l’avvenire.
La storia delle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea non è purtroppo
caratterizzata da grande coerenza: avvicinamenti, affermazioni di obiettivi
condivisi, manifestazioni di interessi comuni, esitazioni varie, addirittura passi
indietro. In un certo qual senso, la pace che regna tra vicini in Europa ha fatto
perdere alla Svizzera le sue impronte. Quattro fenomeni sono da rilevare:
La democrazia diretta. Gli svizzeri sono giustamente fieri della loro
democrazia diretta. Sanno che in questa forma è unica al mondo: va
rispettata non solo quando si tratta di approvare trattati con l’UE, ma
anche nella loro applicazione interna. Due pericoli minacciano la
Svizzera: da un canto deve evitare di essere considerata, dai suoi
partners, come non affidabile; d’altro canto, deve evitare una
satellizzazione nonché una partecipazione senza diritti. La risposta a
questo dilemma non consiste certamente in un’abolizione della
democrazia diretta, ma in un suo uso ponderato.
Un paese è sovrano non tanto perché si permette di rifiutare degli
impegni internazionali; è veramente sovrano se è in grado, in quanto
membro della comunità dei popoli, di fissarsi degli obiettivi adatti alla
sua epoca, di partecipare all’elaborazione delle strategie collettive e
di far valere i suoi interessi nei processi decisionali tra gli Stati.
L’irradiamento e la prosperità della Svizzera in quanto Stato dipende
dalla sua capacità di assumere il suo ruolo e la sua parte di
responsabilità in un progetto europeo che sia conforme ai suoi valori
fondamentali.
Ginevra, 13 ottobre 2014
*
www.ch-in-europa.ch
per sottoscrivere l’appello
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 39
3/Il dibattito. Dalla pericolosa tentazione protezionistica
alla rinuncia della modernità.I rischi di una devastante deriva
innescata dal leghismo, che ha però contagiato pure altri partiti
Un imbarbarimento politico e sociale
Se Plrt e Ppd cedono alle lusinghe del populismo e rinunciano alla democrazia liberale
I
l territorio come perimetro identitario, come sicuro ridotto di un
ordine antico da proteggere da
ogni possibile insidia esterna. È il
passaggio chiave del populismo leghista, un movimento alle origini
con una vocazione libertaria, che
con gli anni e alle prese con responsabilità governative si è lacerato in
mille contraddizione, ma che ritrova
oggi nella minaccia di un nemico
esterno, sia esso la Berna dei balivi
o la Fallitalia dei frontalieri, il suo
collante, la sua ragione sociale, co-
me ha messo in luce il primo servizio del Caffè da cui si è sviluppata
un’analisi arricchita da stimolanti
contributi. Come quelli dell’economista Sergio Rossi che ha indicato i
pericoli della chiusura protezionistica che oggi tenta il Ticino o sugli ef-
fetti di una devastante demodernizzazione denunciati dallo storico
Pompeo Macaluso. Una regressione
culturale e sociale, su cui intervengono anche il filosofo Fabio Merlini e
lo storico Andrea Ghiringhelli per
sottolineare come la deriva populi-
sta abbia contagiato pure altre forze
politiche. Sul prossimo numero si
toccherà un altro nervo scoperto: i
rapporti tra Svizzera e Ue, al centro
di un Manifesto-appello firmato da
numerose personalità.
3. continua
La parola
Il servizio
Il protezionismo
La Lega ha perso ogni misura
Protezionismo neopopulista, è
così che l’economista Sergio
Rossi ha definito il dibattito politico
sulle emergenze economiche del
cantone. Una chiusura pericolosa
per l’economia ticinese
Sull’edizione di domenica 26
ottobre, il Caffè ha dato spazio alle
analisi sulle contraddizioni politiche
della Lega. Posteggi, rifiuti, appalti,
ecuadoregni, radar, stranieri,
prostituzione...Così la Lega ha
perso ogni misura politica.
L’analisi
Il manifesto
La demodernizzazione
La Svizzera e l’Europa
Corbis
In questa edizione il Caffè pubblica
il Manifesto-appello che un gruppo
di personalità da qualche
settimana ha proposto sul tema
dei rapporti Svizzera-Europa
Demodernizzazione: l’impossibile
ritorno ad un ordine antico. È
questo il concetto sociale e
politico sviluppato la scorsa
settimane sulle pagine del Caffè
dallo storico Pompeo Macaluso.
“Viviamo una regressione culturale”
STEFANO PIANCA
A
ttanagliato dalle incertezze tipiche di un’economia aperta, il Ticino, come altre realtà in crisi,
s’è chiuso. Un’involuzione che
Pompeo Macaluso, sul Caffè, ha
definito “demodernizzazione”, cavalcata ad
arte dal populismo della Lega, la quale rimanda a un mitizzato “ordine antico” regolato dagli Arci-ticinesi. La regressione è anche
culturale, come conferma il filosofo Fabio
Merlini: “È sicuramente in atto un processo
che va nella direzione di un nuovo imbarbarimento. Le situazioni e gli stili di vita cui siamo confrontati rendono in molti casi superfluo il ricorso alla cultura in senso tradizionale, quel ‘bagaglio culturale’ che la mia e le
generazioni precedenti consideravano una
risorsa preziosa. Un effetto palese di questo è
il declino della funzione della memoria collettiva. In che cosa il sapere storico mi è davvero di aiuto oggi nella mia relazione quoti-
Per il filosofo Merlini forze
come la Lega seguono logiche
incantatorie prese dal mercato
La difesa
“La cultura non ripara
dalle barbarie,
ma senza di essa
non può essere
attenuato il peso
della volgarità”
diana con il mondo? Diciamo così: all’apparenza, per il tipo di prassi nel quale siamo immersi, la Bildung serve a poco. Perché è il
presente stesso ad offrirci le risorse, se solo
siamo in grado di coglierle, per azioni di successo. La società dell’immediatezza si risolve
nella cultura nell’informazione: il monitor
sostituisce la biblioteca, la frantuma in segmenti informativi a portata di mano. E però
sul piano politico, là dove vige l’immediatezza, viene meno la capacità riflessiva”.
Infatti è proprio a questo livello che il fenomeno si è fatto allarmante. “La crisi della
democrazia dei partiti oggi è evidente - commenta lo storico Andrea Ghiringhelli -. Una
crisi che ha portato alla cosiddetta ‘democrazia del pubblico’, caratterizzata dallo stretto
legame che si stabilisce tra i ‘leader‘ e la
gente, ma anche dal rifiuto dei partiti come
intermediari. Inevitabilmente questo porta a
una degenerazione della democrazia parlamentare in populismo. Prima dell’89, e della
caduta delle ideologie, ogni partito poteva
contare su un solido e stabile elettorato di
appartenza. Nella ‘democrazia del pubblico’
l’elettorato è invece molto mutevole e la
conquista del consenso diventa una specie di
mercato”. Si potrebbe sospettare che lo
smarrimento degli strumenti critici atti a
smascherare i venditori di fumo abbia spianato la strada ai movimenti del facile consenso? Merlini mette in guardia dalla semplificazione: “È doloroso constatarlo, ma la
cultura non offre alcun riparo dalla barbarie,
oggi come ieri. Nell’epoca forse più buia della storia europea, persone che incarnavano il
male assoluto potevano tranquillamente, la
sera di rientro dai campi di sterminio, accomodarsi a teatro e commuoversi sino alle lacrime sul canto della Morte di Isotta”. E tuttavia, continua il filosofo, “possiamo stare
certi che, nonostante il fatto che la più solida
cultura possa allearsi alla peggiore vigliaccheria e crudeltà, se viene meno la capacità
di istituire una differenza critica tra sé e ciò
che chiamiamo la “realtà”, l’esposizione alla
volgarità si priva di qualsiasi possibilità di
attenuazione”.
Ma il processo di deriva populistica in Ticino è stato accelerato, secondo Andrea Ghiringhelli, anche dalla logica di “un sistema
che, fino alla caduta delle ideologie a fine anni ‘80, era immobilizzato dai partiti storici
che vivevano di rendita sul proprio elettorato. Svanito il freno ideologico i partiti hanno
perso l’elettorato di appartenenza e c’è stata
una nuova mobilità. La Lega, raggiunta rapidamente una certa soglia ha ambito al potere, entrando così in contraddizione con se
stessa. È il dilemma presente, in cui al Governo fa esattamente il contrario di ciò che
come movimento proponeva”. Una soluzione per correggere il sistema, secondo lo storico, ci sarebbe: “Sono un sostenitore del
maggioritario, in cui uno vince e governa. Il
nostro proporzionale invece fa sì che chi raggiunge una certa quota aspira subito a entrare nella stanza dei bottoni. Ed è lì che sorgono le contraddizioni, come mostra bene
l’esempio leghista. Col maggioritario chi è al
potere non può più nascondersi, dando la
colpa agli altri”. La caccia al nemico esterno
conduce, secondo Ghiringhelli, “a una stra-
ordinaria semplificazione della realtà. Un
movimento demagogico fa leva sui malcontenti, sulle rivendicazioni inevase e sulle
istanze irrazionali”. Ma la conquista del consenso nella ‘democrazia del pubblico’ ha
contagiato anche i vecchi partiti: “Anche Plrt
e Ppd hanno ceduto a molte lusinghe del populismo, accettando questa semplificazione
che la Lega presenta con un linguaggio arcaico, brutale e inaccettabile sul piano politico. I partiti dovrebbero invece recuperare il
senso della democrazia liberale attraverso
un’etica delle idee forti e della responsabilità, fatta di programmi attuabili e applicabili
alla realtà. Non servono capipopolo, ma leader autorevoli, carismatici, che capiscano e
studino i problemi. Purtroppo nel bosco della
politica ticinese oggi ci sono pochissime
piante d’alto fusto”.
Forse non è casuale che nelle democrazie
occidentali, come ricorda Fabio Merlini, “la
lenta ascesa dei populismi coincide non con
la cosiddetta fine delle ideologie, ma con
Per lo storico Ghiringhelli
si assiste ad una straordinaria
semplificazione della realtà
l’avvento di una ideologia ancora più subdola. Quella che immagina la possibilità di una
presa diretta sul reale, diffondendo la credenza secondo cui riconoscere le leggi del
mercato come unica logica del reale sia segno di una crescita capace di emancipazione.
Il fatto è che proprio il mercato come unica
legge della storia è stata la grande narrazione di questi anni. La devastante crisi del
2008 ha infine spianato completamente la
strada ai populismi, dando loro la possibilità
di approfittare di quella sub-cultura dell’immediatezza già disponibile con le tele-tecnologie. Come dire: catturo il tuo disorientamento e il tuo malessere e ti prospetto, immediatamente, una soluzione. I populismi si
rivolgono all’elettorato esattamente come
l’economia più irresponsabile cerca, attraverso il suo linguaggio incantatorio, un rapporto immediato con il consumatore o con
l’azionista”.
[email protected]
Q@StefanoPianca
Il vuoto
“Purtroppo nel bosco
della politica ticinese
non vedo piante di alto
fusto. Leader autorevoli
che capiscano e
studino i veri problemi”
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 41
L’allarme. Dalle percosse alla morte. In tre mesi
in Svizzera tre drammi familiari con sette vittime.E il 25
novembre la giornata mondiale di riflessione dell’Onu
“Non si batte la violenza con il silenzio”
L’appello dei gruppi femminili per incoraggiare le donne a denunciare le brutalità
MAURO SPIGNESI
C
i sono percosse, molestie e violenze di
ogni tipo. Ci sono minacce, pedinamenti, telefonate insistenti. E ci sono anche
le coltellate mortali, come è successo
recentemente a Genestrerio. Solo da
settembre in Svizzera ci sono stati tre tragici episodi che hanno avuto come sfondo la violenza familiare, con sette morti. Le vittime soprattutto
donne. Fatti gravi che ormai si ripetono con drammatica frequenza in ogni Paese e su cui le Nazioni
Unite chiamano tutti a riflettere il prossimo 25 novembre, quando verrà celebrata nel mondo la
Giornata internazionale contro la violenza sulle
donne.
“Un momento importante, ma che deve durare
tutto l’anno”, spiega Pepita Vera Conforti, presidente della Commissione cantonale per le pari op-
portunità. La Commissione, insieme alle associazioni sul territorio, anche quest’anno lancia la sua
campagna “Oltre il silenzio”, con migliaia di volantini in cui sono riportati i numeri di emergenza che
saranno distribuiti in bar, farmacie, studi medici e
luoghi di lavoro. “Oltre il silenzio - riprende Conforti - è un invito a uscire dalla spirale di paura e
chiedere aiuto. È un appello diretto non solo alle
vittime, ma anche agli autori delle violenze che
possono chiedere assistenza, seguire un percorso
di accompagnamento e recupero”.
Proprio per andare in questa direzione il governo
ha creato un gruppo di accompagnamento con il
compito di coadiuvare la polizia e formulare proposte concrete per migliorare il sostegno alle vittime di violenza, ha ricordato il ministro delle Istituzioni Norman Gobbi in un recente dibattito, “Vincere la violenza sulle donne”, promosso dal Soroptimist. “Allo stesso tempo - ha precisato Gobbi -
hanno visto la luce anche consultori e programmi
per gli autori di questo tipo di reati. Dietro ogni
vittima vi è infatti un autore che deve essere considerato e curato per prevenire violenze future”.
Da aprile nei locali dell’Ufficio assistenza riabilitativa a Lugano è stata creata una struttura per chi
Creata a Lugano una struttura per
partner allontanati da casa; da
aprile sono stati assistiti in nove
è colpito da decisione di allontanamento. Sino a
oggi sono state accolte 9 persone, per un totale di
permanenza di 254 giorni. Ma la strada da fare è
lunga. Secondo i dati delle Nazioni Unite, in Svizzera la percentuale di vittime di reati gravi di sesso
femminile è del 49.1%. Una violenza a volte portata all’estremo, con omicidio e suicidio, ma anche
quotidiana che nasce all’interno degli appartamenti, dove la polizia, come accade in Ticino, deve
intervenire in media ogni 12 ore per bloccare un
partner violento e ogni settimana ne deve allontanare uno. “Le statistiche - precisa Conforti - dicono
che prima di denunciare, una donna in media ha
già subito venti atti di violenza, cioè si è già innescato quel ciclo perverso che ha avvelenato il clima
familiare o di coppia. In certi contesti si riesce a intervenire, in altri, dove sono coinvolti parenti o figli, o entrano in ballo situazioni particolari, è più
difficile”. Ma quello che emerge è solo il 20% circa
di una realtà che resta ancora in gran parte sommersa. Di positivo c’è che le denunce continuano
ad aumentare. Per Gobbi, ciò è anche frutto di un
maggior coraggio delle vittime che “si sentono
sempre più tutelate ed assistite dalle istituzioni,
consultori e organizzazioni”. [email protected]
Q@maurospignes
La psichiatria
L’aguzzino
e il difficile
pentimento
È
La criminologia
Le tragedie
Legami distrutti
per la difficoltà
di affrontare
la vita quotidiana
U
DA WILDERSWIL A GENESTRERIO
OMICIDI SEGUITI DA SUICIDI
Lunedì 3 novembre A Wilderswil
un portoghese uccide la ex
moglie e il nuovo compagno. A
Stabio giovedì 6 novembre Un
60enne, dopo un violento litigio
ha ucciso la sua compagna.
Poi il suicidio col fuoco
Le analisi e le interpretazioni della scienza sull’aggressività nella vita di coppia
na telefonata alla
polizia, un lungo, inquietante silenzio, la
porta che viene giù e
la scoperta di due
cadaveri. È successo a metà settembre, a Lucerna. “Omicidiosuicidio” lo ha catalogato la polizia chiudendo le indagini su un
69enne che ha ammazzato la
moglie e, dopo aver lanciato l’allarme, si è sparato con la stessa
pistola. Un dramma, l’inizio di
una lunga parentesi di dolore
che s’è ripetuta a Wilderswil, sino a chiudersi davanti al cimitero di Genestrerio, dentro un’auto in fiamme. Stavolta le vittime
sono una coppia di origine tamil
e anche qui la polizia sospetta
un “omicidio-suicidio”.
“Dietro fatti come questi che
stanno capitando in successione
in Svizzera, ma che sono purtroppo comuni in molti Paesi, c’è
sempre un disagio, una seria
difficoltà nell’affrontare la quotidianità, in definitiva i problemi
che la vita ti mette davanti”,
spiega Francesco Bruno, criminologo e psichiatra, che ha studiato a lungo origine e modalità
di questi drammi, nonché autore di saggi come “Ti amo e ti uccido”.
Per Francesco Bruno queste tragedie “si potrebbero definire
impropriamente suicidi allargati. Perché il suicidio un tempo
non aveva legittimità sociale,
non era riconosciuto e accettato
socialmente, mentre oggi con le
forme di ‘suicidio’ assistito, sta
cadendo la barriera psicologica,
c’è una maggiore accettazione
che spinge tanti a fare follie”.
Tragedie che trovano le motivazioni scatenanti, al di là dei
dati che restituisce la cronaca o
le conclusioni della polizia, all’interno della famiglia o comunque all’interno di gruppi familiari, di parenti. “Alcune volte,
e su questo esiste una vasta letteratura in criminologia, gli
omicidi che si concludono con il
suicidio dell’assassino - aggiunge Bruno - hanno dietro un delirio, un disturbo non affrontato.
Ci sono stati casi in cui padri di
famiglia che pensavano d’essere
finiti, con la paura di non avere
neppure i soldi per mangiare, e
che non volevano condannare a
una vita infelice figli e moglie, si
sono spinti al gesto estremo
condannando tutti a morte”.
Ma alla base di fatti di sangue così drammatici e devastanti, ci sono anche motivi passionali. “Che sono - spiega Bruno quelli apparentemente più facili
da capire, ma anche più difficili
da intuire. Perché alla fine la follia omicida può scattare all’improvviso, senza segnali premonitori. Questo tipo di omicidiosuicidio è prettamente maschile, è un uomo che uccide e si uccide. Ma ci sono stati anche episodi con protagoniste le donne”.
Nel momento in cui si pensa di
farla finita si toglie la vita a una
persona cara, perché non la si
vuole lasciare sola, perché altrimenti starebbe male, hanno
spiegato alcuni che poi non sono
riusciti a portare all’estremo il
loro folle gesto. “E questo capita
- spiega Bruno - quando all’omicidio non segue subito il suicidio, perché chi ha ucciso ha il
tempo di prendere coscienza di
quanto ha fatto, ha uno scossone, si rende conto della gravità
e si blocca. Soprattutto se è
spinto da un disagio, se è stato
lasciato e vive un delirio frutto
di una psicopatologia dettata
dalla famosa logica: o è mia/mio
o non è più di nessuno”.
I drammi che si sono ripetuti
da settembre sino a pochi giorni
fa, forse hanno le loro radici in
queste situazioni. Forse la molla
che ha fatto scattare le tragedie
ha motivazioni passionali, paure, o malattie o chissà ancora
“Ogni fatto ruota
attorno alla
personalità del
protagonista che lo
ha innescato”
cosa. “Ogni fatto - precisa Bruno - è particolare, unico, perché
ruota attorno alla personalità
del protagonista che lo ha innescato. Certo, la famiglia alcune
volte diventa una pentola a
pressione pronta ad esplodere.
Ma ci possono essere anche altri
motivi esterni scatenanti, come
è successo, ad esempio, in Italia
con la crisi e con i casi, ripetuti
purtroppo, che hanno avuto per
protagonisti di molte tragedie
familiari imprenditori schiacciati dalle difficoltà economiche”.
più difficile per le
vittime o per i violenti? Per uscire
dalla spirale quotidiana
di botte, maltrattamenti,
urla, basta spesso una
denuncia. Ma per superare certi momenti difficili o sconfiggere l’aggressività, ci vuole tempo. “Vittima o carnefice?
Io penso che sia difficile
per entrambe queste figure ritrovare una propria dimensione”, spiega
Giacomo Cruciani, psichiatra e psicoterapeuta
con studio a Lugano.
“Perché se è difficile superare il trauma per le
vittime - aggiunge Cruciani - non è neanche
semplice, per chi si è reso responsabile di gravi
comportamenti violenti,
riuscire a rielaborarli,
capire quello che si è fatto”.
Certo le vittime sono
quelle che soffrono di
più. Quelle che perdono
la vita quando certi comportamenti degenerano,
come è accaduto recentemente. Ma i responsabili delle violenze soffrono spesso di problemi
comportamentali, per
quanto siano integrati
nel funzionamento generale della società e, secondo Cruciani, non è
semplice riuscire ad elaborare modalità di reazione per accompagnarli
in un percorso che consenta loro di riconoscere
il male che hanno provocato. “E nello stesso
tempo stimolarli, creare
con loro le condizioni
perché possano uscire da
certe situazioni e riprendere un cammino senza
violenza”. È chiaro che la
vittima soffra molto di
più del suo aguzzino, ma
a sua volta quest’ultimo
può essere vittima di situazioni di disagio, di
traumi, di problemi caratteriali. “Perciò dico
che il discorso sulla violenza familiare è complesso e delicato - avverte Cruciani -, richiede
tempo e sensibilità”.
LO SCIACALLO
Jake Gyllenhaal,
con il volto
scavato e gli
occhi allucinati,
nel film di Dan
Gilroy
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètravirgolette
42
Schermi.
Malvagi.Scorretti.
Per quando
disonesti e perfidi
gli antieroi sullo
schermo sono
più interessanti
dei buoni
Libri.
Il mondo tignoso
di un gentleman
MARCO BAZZI
“O
Alla fine a vincere è il cattivo
Il cinema affascinante dei personaggi negativi
MARIAROSA MANCUSO
I
cattivi sono più interessanti dei buoni.
Non è una scoperta recente, lo sapeva
già benissimo William Shakespeare. Per
esempio quando piazzava il suo Riccardo
III, deforme e mal riuscito, come se lo avessero estratto dal forno di cottura troppo
presto, a corteggiare Lady Anna. Il re malvagio le ha ucciso il marito e pure un figlio.
Ma lei cede alle parole lusinghiere del seduttore, alla forza delle sue argomentazioni, a una sfacciataggine che rasenta la follia. E anche lo spettatore si convince che la
capitolazione amorosa non sia poi tanto bizzarra.
Il regista Richard Loncraine, che nel suo
film del 1995 trasportò il dramma nel Novecento, ambienta la scaramuccia amorosa
davanti al tavolo marmoreo di un obitorio.
Quando Riccardo III, l’attore Ian McKellen,
entra in scena per declamare “L’inverno del
nostro scontento...” lo fa davanti a un microfono tale e quale agli aggeggi cromati
che terrorizzavano il neoincoronato re Giorgio V in “Il discorso del re” (diretto da Tom
Hooper, quattro Oscar, ed è l’ideale seguito
del film che Madonna ha dedicato a Wallis
Simpson).
I cattivi sono più interessanti dei buoni,
ed è per questo che, invece di affrontare la
fantascienza confusa e buonista di “Interstellar”, questa settimana conviene scegliere “Lo sciacallo” di Dan Gilroy. “Nightcrawler” era il più neutro titolo originale, quando il film fu presentato al Sundance. Un verme che striscia nella notte, anche
nel senso figurato di “adulatore”. Prima
contrattando il prezzo del rame rubato, poi
cercando di farsi assumere dal ricettatore
(”io non assumo ladri”, è la risposta).
Scornato, continua a vagare finché non
arriva sul luogo di un incidente stradale. Le
macchine accartocciate, i feriti, e soprattutto gli stringer-reporter con la macchina da
presa che intercettano le frequenze della
polizia, si precipitano sul posto, e cercano
poi di vendere il filmato al miglior offerente. Più sangue, più soldi. Più alti sono i
quartieri, più i delitti fanno audience in tv.
A nessuno interessa sapere se in una zona
malfamata due ubriachi si sono accoltellati.
Ma se in un quartiere bene girano rapinatori, la notizia ti farà diventare ricco, se non
famoso.
Il film è molto bello, per niente moralista. Jake Gyllenhaal, magro, con il volto
scavato e gli occhi allucinati, è bravissimo.
Non a fare lo “sciacallo”, come suggerisce il
titolo italiano, ma a fare il pazzo solitario e
ambizioso che ti intorta con le parole, quasi
sempre imparate ascoltando l’interlocutore
precedente.
LA VITA
E LE OPINIONI
DI TRISTRAM
SHANDY,
GENTILUOMO
Laurence
Sterne
(Mondadori)
ra, per quel che il mondo può pensare di
questa giaculatoria, non darei un soldo
olandese”. Inizio e fine del nono capitolo
dell’ultimo volume di “La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo”. Il capolavoro di Laurence Sterne è un romanzo ardito. Ed è impossibile
non vedere un parallelo tra Shandy e l’Ulisse di Joyce, irlandese come Sterne. Come l’Ulisse, Shandy fu
pubblicato a puntate dal reverendo Sterne tra il
1759 e il 1767. Ma a unire le due opere ci sono
soprattutto la quasi assenza di trama e la sperimentazione verbale: pagine bianche e nere,
capitoli di una sola frase, ghirigori e simboli tipografici assolutamente inusuali.
La vita e le opinioni è un ritratto umoristico-filosofico della famiglia Shandy e della sua
cerchia, dallo zio Toby al parroco Yorick, alla vedova Waldman. Il romanzo inizia prima della nascita di Tristram: “Fui concepito nella notte fra la
prima domenica e il primo lunedì del mese di
marzo, nell’anno di Nostro Signore 1718; di esserlo stato non ho dubbi (...) il 5 novembre 1718,
data che si avvicinava di nove mesi all’epoca fissata quanto qualsiasi marito avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi, io, Tristram Shandy, gentiluomo, venni partorito in questo nostro mondo malaugurato e tignoso”. Un modo difficile, come la vita
stessa tra gli uomini. “La Vendetta ti prenderà di
mira da qualche angolo con una storia velenosa e
disonorevole che nessuna innocenza di cuore o integrità di condotta riuscirà a smentire (…). Si metterà in dubbio la tua fede, - si calunnierà il tuo lavoro -, si calpesterà il tuo sapere”. E a rendere ancora
più “tignoso” il mondo c’è il tempo che vola via.
“Ogni lettera che traccio mi dice con quanta rapidità
la Vita segua la mia penna: i suoi giorni e le sue ore,
più preziosi, mia cara Jenny! dei rubini che porti al
collo, fuggono sulle nostre teste come nubi leggere
in un giorno di vento”.
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IL CAFFÈ
16 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 43
MORIRE A ZURIGO
A Zurigo, l'interno
dell'appartamento di
Dignitas dove i
pazienti vengono
accompagnati alla
morte
Il fenomeno. La notizia di una prossima apertura anche in Ticino di un centro
per il suicidio assistito ha scatenato polemiche e discussioni.In un mondo in cui
la medicina è spesso interpretata come sfida alla malattia ad ogni costo,sempre più
persone si ritrovano
prigioniere di una vita
che non sentono più loro.
O di una mente senza più
coscienza.E allora...
I NUM
ERI
90mila 10%
È il numero dei
membri di Exit.
Nella Svizzera
tedesca 68.500,
in Romandia
20mila (in Ticino
1500). Dignitas,
2000; altre
organizzazioni
più piccole
insieme ne
hanno
circa altri 4mila
Gli specialisti di
cure palliative
affermano che
circa il 10 per
cento dei loro
pazienti (e della
popolazione in
generale)
prenderebbe in
considerazione
l’eventualità di
un suicidio
assistito
1942
L’anno da
quando la
Svizzera - che
ha una lunga
tradizione di
sostegno
all'autodeterminazione non persegue
più l’assistenza
al suicidio,
se non per
motivi egoistici
Eutanasia
Etica,società,libertà...le tensioni
sul“turismo della dolce morte”
PATRIZIA GUENZI
P
rigionieri di una medicina spesso interpretata
come sfida alla morte ad ogni costo, capita di
trovarsi incatenati alla vita, prigionieri di noi
stessi, di un corpo che non ci appartiene più,
che non riusciamo più comandare, o di una
mente senza più ombra di ragione. Costretti in un letto
d’ospedale, completamente dipendenti dagli altri, senza
più dignità. Una vita che per molti non vale più la pena
vivere. E allora, l’unica via d’uscita praticabile resta il ricorso alla “dolce morte”, scelta che innesca forti tensioni nella sensibilità etica, sociale e sui diritti della libertà
individuale.
Una soluzione praticabile in Svizzera (dal 1942 la Confederazione non persegue l’assistenza al suicidio, se
non avviene per motivi egoistici), con strutture che accettano anche stranieri. E di anno in anno, le persone
Il trend
In Svizzera non solo per star bene,
anche per l’addio definitivo alla vita
U
EMILIO COVERI
E FRANCO CAVALLI
Nella foto qui sopra, Emlio
Cover, 63 anni, presidente
fondatore di Exit Italia;
a destra, l’oncologo
Franco Cavalli, 72 anni
n business fiorente quello della dolce
morte in Svizzera. Tra il 2008 e il 2012,
il numero dei “turisti” del suicidio assistito è raddoppiato. Emerge da uno studio pilota pubblicato sul Journal of Medical Ethics,
che ha analizzato età, sesso, Paese di origine
e genere di malattia di cui queste persone soffrivano. L’età media era di 69 anni, oltre la
metà donne e in quasi la metà dei casi chi ha
fatto ricorso al suicidio assistito soffriva di
malattie neurologiche, come paralisi e sclerosi laterale amiotrofica (Sla), Parkinson e sclerosi multipla. Altre cause scatenanti per la decisione, tumori e malattie reumatiche. Anche
i ricercatori dell’Università di Zurigo, lo scorso agosto, hanno fornito dati significativi: gli
stranieri che arrivano nella più grande città
svizzera per ottenere assistenza al suicidio sono raddoppiati tra il 2008 e il 2012, toccando
a quota 172, tra cui 77 tedeschi e 29 britannici.
Insomma, si viene in Svizzera non solo per
una sanità eccellente, ma anche per mettere
fine ai propri giorni quando si ritiene che la
vita non sia più degna di essere vissuta. E i
numeri lo confermano: Dignitas, l’associazione più grande che offre assistenza anche ai
non residenti, ha registrato 198 casi in tutto il
Paese nel 2012. Dal 1998 al 2013, complessi-
La scelta
Tra il 2008
e il 2012 il
numero dei
“turisti” della
dolce morte è
raddoppiato.
Età media
69 anni
vamente 1701 persone si sono recate nelle loro strutture. I più numerosi sono i tedeschi,
con 840 decessi, seguiti da britannici (244),
francesi (159), svizzeri (150), italiani (69) e
statunitensi (44). Il primo cittadino inglese a
ricorrere al suicidio assistito presso un centro
Dignitas fu, nell’ottobre 2002, un uomo, di
cui non è mai stato diffuso il nome. Invece, il
primo di cui si è conosciuta l’identità fu Reg
Crew, morto nel gennaio 2003. Le statistiche
dimostrano che in queste strutture elvetiche
arrivano ormai persone da tutto il mondo,
persino da Canada (25), Israele (19), Australia
(18), Sudafrica (4), Uruguay, Libano e India.
Exit, l’altra grande associazione svizzera
di aiuto al suicidio, durante una sua recente
assemblea generale per la Svizzera tedesca,
cui hanno preso parte 700 soci, ha deciso di
aggiungere nei suoi statuti un impegno “a favore della libertà di morire, legata all’età”. Infatti, negli ultimi anni le organizzazioni di assistenza alla dolce morte sono sempre più
confrontate con richieste di persone anziane
che non sono affette da malattie incurabili o
da sofferenze insopportabili, ma da un insieme di patologie che minano fortemente la
qualità della loro vita. Recentemente, c’è chi
ha auspicato di “aprire” le porte della dolce
morte anche ai depressi.
che decidono di farvi ricorso aumentano, mentre le associazioni che offrono il suicidio assistito rafforzano la
loro presenza. E aprono nuove sedi. Come quella che
dovrebbe sorgere a Lugano, “succursale” di Exit Italia in
collaborazione con la neonata associazione luganese Liberty Life. “Una sede che consentirà a molti italiani di
evitare di far capo a strutture oltre Gottardo e di trovare
qui personale che parla la stessa lingua - spiega Emilio
Coveri, presidente fondatore di Exit Italia -. Attualmente, la maggior parte degli italiani fa capo a Dignitas, alle
sue tre sedi di Forch, vicino a Zurigo, Berna e Basilea.
Negli ultimi tre anni ne abbiamo contati una cinquantina di connazionali, ma il trend è in forte aumento”.
La notizia di una prossima apertura in Ticino di una
struttura in cui poter dare un addio definitivo alla vita
non poteva passare sotto silenzio. Le discussioni si sono
riaccese. “È una questione di civiltà - osserva l’oncologo
Franco Cavalli, che già nel 2001, allora consigliere nazionale socialista, propose di depenalizzare l’eutanasia
attiva, proposta respinta con forza da Ppd, Udc e Plr -.
Da tempo ripeto anche che la soluzione migliore sarebbe che gli ospedali
potessero praticare
l’eutanasia passiva, si
eviterebbero tante
sofferenze”. In questa
direzione va la proposta dei Verdi ticinesi
che con un’iniziativa
parlamentare generica chiedono che nella
legge cantonale sia
inserito “un esplicito
diritto al suicidio assissito per i pazenti
degenti in strutture
sanitarie, case per anziani comprese”. In sostanza, gli
iniziativisti, sostengono che “al di là delle sensibilità e
delle convinzioni religiose sia giusto che ogni persona
possa scegliere con dignità e consapevolezza il modo in
cui porre fine alle sofferenze”. “Prendiamo esempio dai
cantoni Zurigo e Neuchâtel - suggerisce Cavalli -, che
hanno accolto una revisione legislativa che prevede per
chi è degente in una casa per anziani medicalizzata di
poter beneficiare dell’aiuto al suicidio senza dover uscire dalla struttura, mettendo a disposizione una camera”. Insomma, la volontà di chi vuol mettere fine ai propri giorni dovrebbe essere considerata preminente. “Se
abbiamo un diritto alla vita- afferma Coveri- dobbiamo
avere pure un diritto alla morte”.
[email protected]
Q@PatriziaGuenzi
Pagina a cura di
GastroSuisse
e GastroTicino
LARISTORAZIONE
L’ALBERGHERIA
Dal 21 al 30 novembre all’Osteria in Piazza
Da inoltrare entro il 30 dicembre
A Vernate rassegna sulla carne d’asino Cazzoeula, iscrizioni aperte
Nell’antico nucleo di Vernate scoprite la
piccola “Osteria in Piazza”, che nel
2013 Flavio e Fatima hanno ristrutturato e che ora si presenta accogliente e
luminosa. Fatima è in
sala, mentre Flavio propone una cucina solare,
mediterranea, dove tutto è preparato al momento. Le specialità
sono di pesce, ma non
mancano piatti cucinati
con prodotti locali, accompagnati da
una misurata ma eccellente carta dei
vini, ticinesi e italiani. Ora per viziare i
propri clienti, Fatima e Flavio hanno
pensato di cucinare una carne non
sempre facile da trovare in Ticino: quella di asino. Dal 21 al 30 novembre la
rassegna dedicata all’asino proporrà un
menu che prevede: salametto di asino
con marmellata di fichi; pappardelle al
ragout di asino; stracotto di asino con
polenta; dessert autunnale. Il tutto per
38 franchi a persona. E non dimentichiamo le specialità di selvaggina e la
possibilità di organizzare feste, rinfreschi, matrimoni o cene di lavoro e natalizie per privati e aziende. Vedi a lato
GastroNews.
Dopo lo straordinario successo della prima edizione, il “Cazzoeula Club”, in collaborazione con Ticino a Tavola, organizza
la seconda “Settimana ticinese della Cazzoeula nei giorni della merla”, vale a dire dal 23 gennaio al 1° febbraio 2015, con
possibilità di proporre il tipico piatto invernale (eventualmente
accanto a trippa e busecca). La “cazzoeula” è un piatto tipico
lombardo invernale legato alla fine del periodo di macellazione dei maiali, che coincideva con il 17 gennaio, giorno di sant’Antonio Abate. Gli ingredienti classici (ma esistono innumerevoli ricette) sono piedini, costine, cotenne, testa, i salamini
detti “verzini”, e naturalmente tanta verza, quella che ha subito la prima gelata invernale, diventando così più tenera. I ristoranti interessati possono inviare entro il 30 dicembre un
mail a [email protected] per ottenere maggiori informazioni anche sui minimi costi di partecipazione.
Giubileo della Sezione ticinese dell’Amira con riconoscimenti a Sergio Dondoli e William Randini
Maître
40 anni
UN ONORE
Introzzi riceve
la “lampada”
dal presidente
Hassan e dal
past
presidente
Speri
di impegno
Serata densa di ricordi e amicizia quella organizzata di recente all’Hotel Villa Principe Leopoldo di Lugano, per festeggiare
il 40°dell’Amira Ticino (Associazione Maître Italiani Ristoranti
e Alberghi). Quattro decenni di impegno vissuti attraverso le
testimonianze delle molte personalità presenti, ringraziate dal
fiduciario Rodolfo Introzzi e da tutto il Comitato: il Gran Maestro della ristorazione Piero Tenca e la sua brigata di sommelier Assp, e il Gran Maestro Claudio Recchia con lo chef Dario
Ranza per la perfetta riuscita della serata. Il nuovo presidente
di GastroTicino, Massimo Suter, anche a nome del segretario
cantonale Gabriele Beltrami e del presidente di GastroLugano
Daniele Meni, ha spiegato come sia importante la figura del
maître per i ristoranti e gli alberghi.
Un grazie speciale è andato alla famiglia Benedos (che ha festeggiato anche il proprio 40° di attività nella vendita e distribuzione di vini), da sempre vicina, partecipe e generosa con
la sezione. Un brindisi anche a Giuseppe Lupi (autore de “Il
cameriere perfetto”, pratico compendio sul servizio regalato
ai presenti), agli amici giornalisti Giacomo Newlin, Alberto
dell’Acqua e Alessandro Pesce (Pr dell’Amira), e a Oscar Simao della consorella Usmh. Levando il calice in segno di augurio, Introzzi ha sottolineato che “oggi si può festeggiare il
giubileo grazie al lavoro di tante personalità che si sono messe al servizio della sezione”. Sezione nata nel 1974 quando
da Ginevra giunse in Ticino con due sogni l’affermato maître
Sergio Dondoli: diventare un commerciante gastronomico di
successo e fondare una sezione Amira. “Lo fece riunendo
personaggi del calibro di Mario Campanile, Francesco Arcini,
Giancarlo Locher, Antonio Vanacore, Franco Vachelli, Paolo
Andreatta, Franco Guidotti e Girolamo Benedos”. Una sezione
cresciuta grazie anche ai fiduciari che si sono susseguiti negli
anni: Sergio Dondoli (1974-1986), Giuseppe Rampinelli (fino
al 1992), e quindi Franco Guidotti, Claudio Recchia, Gabriele
Speziale, Flavio Riva e Franco Coppini.
Auguri alla sezione ticinese anche da parte del Console Generale di Lugano Ministro Marcello Fondi, del past presidente
Raffaello Speri e del presidente centrale Carlo Hassan, orgoglioso di poter contare su una sezione così dinamica e professionale: “Un esempio per tutta l’associazione”.
Importanti poi i riconoscimenti. Il primo - grazie a Giovanni
Frey direttore dell’Ambassadeur Lugano e ad Alberto dell’Acqua direttore della rivista Gastronomie & Tourisme - è il “Memorial Rampinelli” che premia una persona distintasi a livello
associativo; quale miglior occasione del 40° per consegnarlo
al fondatore Sergio Dondoli. Il titolo di Gran Maestro della Ristorazione, è stato invece attribuito a William Randini del Piccolo Vigneto di Albonago, che nella sua brillante carriera ha
sempre valorizzato la figura del maître. Figura importante
perché “non c’è sala senza cucina - ha detto Hassan - ma
non c’è cucina senza sala“.
a.p.
Osteria Enoteca Ferriroli Patricia e Antonio vi accolgono a Contra nel regno della carne alla griglia
Settimana dopo settimana l’analisi
di tutti i temi, gli studi, gli argomenti,
i problemi e le norme dell’offerta
di ristoranti e alberghi. Una pagina
indispensabile per gli operatori del settore
&
GastroNews
Qr-Code
Per dare risalto alle notizie dei soci e a quelle che possono
incuriosire clienti e lettori, ecco un nuovo sistema di comunicazione. Scaricando con un qualsiasi smartphone un’applicazione
per la lettura dei Qr-code e facendo
la scansione del Qr-code che vedete
in questo articolo, sarete indirizzati
sul sito di GastroTicino. Troverete il
simbolo del Qr-code e potrete cliccare sulla notizia per leggere questa
settimana:
> inizia la Rassegna del piatto nostrano della Valle
di Muggio
> scopri più informazioni sulla rassegna dedicata alla carne di asino.
Paolo Basso “vola” in alto
e sceglie i vini di Air France
La compagnia aerea Air France ha affidato al ticinese Paolo
Basso, “miglior sommelier del mondo”, l’incarico di selezionare con il suo eccezionale palato i vini che saranno serviti a
bordo dei propri aerei per il prossimo triennio. È la prima volta
nella storia di Air France che un sommelier non-francese piloterà la carta dei vini per l’insieme della compagnia, che ogni
anno delizia i propri passeggeri con un milione e mezzo di
bottiglie di vino pregiato, delle quali la
metà composta di
champagne. Il compito di Paolo Basso
sarà sopprattutto di
ricercare dei vini
eccellenti per valorizzare le specialità
della grande cucina
francese servita a
bordo. Dopo il trionfo mondiale a Tokyo
nel 2013, l’ascesa
professionale di Paolo Basso è stata inarrestabile e contraddistinta da strordinarie opportunità che lo vedono sempre
protagonista del mondo del vino e della gastronomia.
Chef svizzero tedesco al Caffè Sociale
per 10 giorni di berner platte
Ancora una rassegna gustosa al Ristorante Caffè Sociale di
Riva San Vitale. Sino al 23 novembre uno chef proveniente da
Oltre San Gottardo, cucinerà il piatto tradizionale a base di
rippli, prosciutto affumicato, pancetta affumicata, costine di
maiale, piedini di maiale, midollo, salsiccia vodese, salsiccia
di lingua, aletta di vitello lessata. Il tutto accompagnato dai
crauti tradizionali, fagiolini e patate al vapore. Prenotazioni al
numero 091 648 17 89.
L’oste della qualità che va oltre i soliti schemi
Se siete buongustai predisposti alle emozioni, allora le carni di Antonio Ferriroli possono
provocarvi piacevoli effetti collaterali quali
sensazioni di estremo benessere, profondo
godimento fisico, stimolo a bere grandi vini
rossi, risveglio dei sensi amorosi… con tutto
quello che ne deriva. Sì, perché ad Antonio
piace definirsi un oste che da oltre 22 anni
cerca e propone qualità, selezionando le carni migliori per offrire sempre il meglio ai
clienti ed esaltare così il suo lavoro. Insomma, lo scrive anche sul menu, se vi sedete a
tavola all’Osteria Ferriroli di Contra, dovete
tener conto della passione di Antonio nel ri-
cercare prodotti di eccellenza e della sua
passione per la carne “oltre ai soliti schemi”.
Il viaggio enogastronomico inizia da Tenero,
salendo verso Contra, dove a lato in un cur-
Comitato «No a Ecopop», Casella postale 5563, 6901 Lugano
GT24102014
Affittasi da subito, causa cessazione attività,
Ristorante a Contone con inventario da
concordare
e con ampio parcheggio.
Solo seri interessati scrivere a cifra.
vone con ampio parcheggio, trovate l’Osteria
Enoteca Ferriroli aperta nel 1870 dalla famiglia Dadami, e gestita dal 1900 al 1961 dalla
famiglia Giudici e dal 1963 al 1992 dalla famiglia Brack. È invece dal 1992 che Antonio
e Patricia accolgono il buongustaio con una
simpatia innata e una cortesia che fanno
sentire subito a proprio agio. Nei mesi caldi,
l’Osteria permette all’ospite di godere della
frescura sull’ampia terrazza coperta e con
tavoli in granito, da dove si può ammirare Antonio mentre cucina alla griglia oltre 14 qualità di carni, tutte di prima scelta. È proprio la
carne, infatti, la specialità della casa, oltre ai
GT05112014
Vendesi Ristorante Pizzeria nel luganese,
caratteristico, in ottime condizioni,
con intentario.
Parcheggio privato.
Solo seri interessati scrivere a cifra.
risotti cucinati da Mino ed Elvis sempre in
modo diverso: dal foie-gras allo Zincarlin o
alle lumache. Belle e accoglienti anche le sale interne, rustiche e curate in ogni dettaglio.
Nell’enoteca situata nella cantina, un’ampia
scelta di vini pregiati ticinesi e italiani; l’enoteca si presta anche per aperitivi e degustazioni prima di una buona cena all’osteria a
base di piatti dal sapore casalingo, con accenti internazionali e del territorio. Una sosta
dal “Brüsabisteck” è sempre un’emozione
che non si dimentica anche durante i molti
eventi speciali che si susseguono durante
l’anno.
a.p.
Eventuali interessati potranno contattarci
al seguente indirizzo:
GASTROTICINO - Via Gemmo 11 - 6900 Lugano
Tel. 091 961 83 11 - Fax 091 961 83 25
www.gastroticino.ch
OFFERTE SCRITTE CON INDICAZIONE
DELLA CIFRA. NON SONO DATE
INFORMAZIONI TELEFONICHE
Assurda
e dannosa.
www.ecopopno.ch
30 novembre
Ancora più traffico e più manodopera non residente?
presenta:
SCEF 045
INTOLLERANZA AL LATTOSIO: PERCHÉ RINUNCIARE?
Obiettivi
essere in grado di identificare i prodotti causanti l'intolleranza, conoscere gli alimenti privi di lattosio e la loro reperibilità,
saper cucinare alimenti per una cucina priva di lattosio osservando i criteri di una cucina sana e variegata senza rinunciare
al gusto.
Programma
spiegazione e significato dell'intolleranza e/o allergia, esercizi
pratici sul come sostituire gli alimenti con lattosio, preparazione di svariate ricette prive di lattosio. Portare un grembiule
o abiti da lavoro. Degustazione finale.
Insegnante
Davide Rossatti, cuoco in dietetica
Date e orario
19 e 20 novembre 2014, 16.00-21.00
Costo
Chf 160.00 soci
Chf 210.00 non soci
EVENT PLANNER
Obiettivi
acquisire nuove tecniche organizzative per realizzare un
evento, saper utilizzare alcuni strumenti per l'ottimizzazione
della creazione di un evento ed essere in grado di gestirlo nei
minimi dettagli.
Programma
i tipi di manifestazioni, il contatto con il cliente, la preparazione dell'offerta, l'analisi e l'utilizzo degli strumenti a disposizione (infrastruttura e logistica, materiale necessario, decorazioni, risorse umane, ecc.), la mise en place, il servizio, l'intrattenimento e le attività accessorie, la tempistica e la gestione finanziaria. Alla fine del corso il partecipante sarà in
grado di organizzare e coordinare queste attività con le diverse tecniche apprese durante il corso.
Insegnante
William Randini, formatore aziendale ed esercente
Data e orario
20 e 21 novembre 2014, 13.30-17.00
Costo
Chf 170.00 soci
Chf 220.00 non soci
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
I
l cielo perennemente grigio, le ore trascorse incolonnati e, poi, i timori per
l’occupazione? Preoccupazioni certo, ma relative,
visto che non hanno impedito
alla Svizzera di issarsi al secondo posto della classifica che misura la “joie de vivre”, l’ottimismo e la visione rosea sul domani. Meglio si piazzano solo i
norvegesi tra i 142 Paesi del
mondo presi in esame dal “Prosperity Index 2014”, l’indice
con cui il Legatum Institute,
pensatoio indipendente di Londra, misura l’altra faccia del Pil,
il prodotto interno lordo. A motivare la ricerca degli studiosi è
la constatazione che la prosperità di una nazione non dipenda solo dalla ricchezza materiale, ma anche dalla felicità di
tutti i giorni e dalla prospettiva
di una vita migliore.
Per quantificare questo valore, in parte impalpabile, lo
studio ha preso in esame nove
categorie: in questo indice
comparativo gli svizzeri figurano addirittura al primo posto alla voce “economia” e “governance”, e si piazzano al terzo
per “opportunità imprenditoriali” e “salute”. La nostra palla
al piede? L’”educazione” che ci
vede sprofondare verso un comunque dignitoso 21esimo posto. Senza infamia né lode il risultato nelle categorie “sicurezza” (11°), “libertà personale”
(12°) e “capitale sociale” (9°),
che si potrebbe definire come
l’insieme delle relazioni interpersonali.
Dal confronto si rileva che il
primato norvegese è frutto di
un posizionamento in media
Educazione
Sicurezza
Governance
ed economia
spingono
gli elvetici al
secondo posto
del“Prosperity
Index”globale
Economia
La società.
Salute
Governance
ilcaffètravirgolette 45
Un popolo di grandi ottimisti
Svizzeri tra i primi al mondo per gioia di vivere
soltanto i norvegesi vedono più rosa il futuro
migliore nelle varie categorie,
ma senza nessun acuto salvo
per il “capitale sociale”. La classifica certifica pure che la Svizzera ha attraversato gli ultimi
cinque anni di crisi globale con
una certa leggerezza: il trend
mostra infatti un Paese sempre
più consapevole della propria
felicità. Dall’ottavo posto del
triennio 2009-2011, e dopo un
anno al nono, il grande balzo al
secondo posto nel 2013, mantenuto anche quest’anno.
Non sarà il Pil, ma è comunque l’economia nel suo insieme
a far volare in alto la Confederazione. Anche se, esaminando
lo studio, qualche scricchiolio
giunge dalle istituzioni finanziarie, nelle quali ormai solo il
50,5% degli intervistati dichiara di avere fiducia (meno del
59,8% registrato a livello globale).
Il 94,9% degli svizzeri afferma di essere soddisfatto del
L’antropologo
proprio standard di vita (la media delle nazioni esaminate si
ferma al 59,4%).
A mettere di buon umore è
anche la governance: larga fiducia nel fatto che le elezioni si
tengano in maniera onesta
(85,4% rispetto al 49,9% globale); e ci si fida anche di chi go-
Il sociologo
“Su fiducia e pessimismo “Felicità e condivisione
la variabile è la misura” non vanno di pari passo”
L
Marino Niola,
61 anni,
docente di
antropologia
all’Università
di Napoli
’ottimismo è un motore del progresso? “Lo è.
Ma - rileva l’antropologo Marino Niola - non
si tratta di categorie fisse”. E non sono solo le
variabili climatiche, o magari un contemporaneo
fatto di cronaca, a modificare l’esito di un rilevamento: “Quando si parla di ottimismo o pessimismo, bisogna sempre tenere presente gli indici
che usiamo per misurarli. Se il parametro è quello
economico, è chiaro che, ad esempio, gli italiani in
questo momento possano risultare meno ottimisti.
Ma questo non significa necessariamente che siano i più depressi” afferma Niola. “Perché quella
cosa che noi chiamiamo ‘pessimismo’ è semplicemente una sorta di calcolo sulla realtà. Da qui il
pessimismo della ragione a cui non è detto che in
altri momenti non possa corrispondere un ottimismo della volontà”. Perché spesso in queste inchieste, conclude l’antropologo, “i parametri scelti
contengono già la risposta. Ci sono comunque popoli a cui per consolarsi basta il bicchiere mezzo
vuoto, altri, i tedeschi, lo vogliono sempre pieno”.
O
Sandro
Cattacin,
51 anni,
docente
all’Università
di Ginevra
ttimisti sì, ma in termini relativi. Come
spiega il professor Sandro Cattacin, “bisogna sempre tenere conto che si tratta di
classifiche comparative. Ovviamente non esiste
Paese senza preoccupazioni. Ma in Svizzera ce ne
sono meno che altrove”. Premesso ciò, il sentimento di guardare senza timori al futuro appare
“più solido quando c’è una stabilità economica e
politica. Se le istituzioni crollano, se la disoccupazione aumenta, anche la visione sul futuro ne risente. È il caso dell’Italia, dove gli anni d’oro sono
ormai un ricordo”. Ma la prosperità avverte il sociologo non sempre fa coppia con generosità e
apertura: “Felicità e condivisione non vanno forzatamente insieme. Prendiamo la Norvegia, gran
parte della sua ricchezza arriva dalle imprese statali che estraggono petrolio, i cui ricavi finiscono
nelle casse pubbliche. Difficile che i norvegesi vogliano condividere. Se chiediamo ai cittadini perché la Svizzera va bene, una metà risponderà perché siamo aperti, un’altra perché siamo chiusi”.
verna (81.9% rispetto al
51,7%). La salute è la terza perla che contribuisce al la percezione del benessere elvetico,
anche se costa un occhio - l’Index segnala una spesa pro capite di 6’062 dollari, quando la
media complessiva è di 1’273
dollari -, ma i risultati sono lì,
se il 91,4% degli interpellati si
dichiara soddisfatto del proprio
stato di salute. Del resto anche
per l’”educazione”, che zavorra
in parte l’ottimo risultato, ben
l’84,6% si dichiara contento
della qualità del sistema scolastico svizzero.
L’ottimismo regna sovrano,
visto che il 94,5% dei connazionali crede pure che si possa fare
affidamento sugli altri nel momento del bisogno. In questo
Bengodi un segnale d’allarme
giunge dall’occupazione: solo il
41,7% pensa che questo sia un
buon momento per trovare un
lavoro. Consola il fatto che la
media mondiale è del 34,6%.
Va peggio soprattutto l’Italia: alla stessa domanda, se sia
il momento propizio per ottenere un impiego, solo il 3,1% ha
risposto positivamente. Il “Prosperity Index” raffigura un’Italia sfiduciata, che nell’ultimo
lustro è retrocessa dal 26° 37°
rango mondiale. “Ci superano
in ottimismo anche ucraini e
thailandesi” ha commentato il
giornalista Beppe Severgnini.
Ma in Europa sorride meno pure la Francia (scesa, in cinque
anni, dal 18° a 21° posto) e la
Spagna (dal 20° al 26°). E la
Germania? Al 14 rango. Quanto
basta per intonare, un po’ sottotono, il loro Inno alla gioia.
s.pi.
LUCERNE FESTIVAL AL PIANO
22 – 30 novembre 2014
Momenti musicali indimenticabili con i maestri del pianoforte
Pierre-Laurent Aimard | Benjamin Grosvenor | Marc-André Hamelin |
Martin Helmchen | Evgeny Kissin | Paul Lewis | Mahler Chamber Orchestra,
Leif Ove Andsnes | Sophie Pacini | Maurizio Pollini | Vestard Shimkus
... e lunghe notti jazz nei locali più belli di Lucerna
(Foto: Priska Ketterer/LUCERNE FESTIVAL)
Piano Of-Stage
25 – 30 novembre 2014
Biglietti d’ingresso e informazioni:
+41 (0)41 226 44 80 | www.lucernefestival.ch | Punti vendita
r il
ingresso pe
Biglietti d’
squa 2015
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disponibili
2013
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Sponsor principale
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
46
Chi è
Il presidente
dell’Ente ticinese
per il turismo, 69
anni, è stato
insignito col
premio Milestone
per il suo costante
impegno a favore
dello sviluppo
turistico
del cantone
Ti-Press
L’incontro.
“La lotta al finto folklore
è iniziata con un insulto”
STEFANO PIANCA
“C’
è un detto: il ciabattino
porta le scarpe rotte”.
Questo proverbio, che
Marco Solari usa per descriversi, calza a pennello
per definire il suo singolare rapporto col viaggiare
per piacere. O meglio il suo non-rapporto: “Il presidente dell’Ente ticinese per il turismo, per grande cruccio di mia moglie Michela, non sa fare vacanze” ammette. Eppure si potrebbe dire che la
sua è stata fin da subito, e sino a oggi che va per i
70 anni, una vita spesa nel turismo. “Per finanziarmi gli studi ho sempre fatto la guida turistica. Era
un’epoca, quella degli anni ‘60, in cui era bellissimo viaggiare. È capitato, però, che una volta sposato ho proposto a mia moglie un viaggio in Egitto.
Eravamo in comitiva e il primo giorno ho notato
che la guida non valeva niente, dopo due che valeva meno di niente e dopo tre avevo preso in mano il gruppo. Da lì ho capito che non avrei più
potuto fare vacanze in vita mia”. In verità
però, a bazzicare nell’ambiente, Solari
aveva iniziato molto prima: “Ho avuto la
fortuna, sin da piccolo, di trascorrere
molte vacanze nel Gran Hotel a San
Pellegrino Terme, gestito dai miei zii,
dove dai 10-12 anni in su ho potuto
provare tutti i lavori dell’albergheria.
Poi a Berna, dove vivevo, ho iniziato a
portare in stazione le valigie dei turisti
americani. Ricordo che feci una piccola
‘fortuna’, perché erano molto generosi,
in dollari. Più tardi ancora ho fatto la guida nelle città svizzere e poi del mondo”.
È il 1972 quando Solari giunge ad una
tappa cruciale della sua carriera. “Quell’anno
partecipai al concorso per dirigere il nascente
Ente ticinese per il turismo. Allora, già sposato e con due figli, ero responsabile dell’ufficio
viaggi Kuoni a Las Palmas alle Canarie. Ricordo che eravamo in due candidati. Oggi per lo
stesso posto si presenterebbero in 150”. Senza essere irriverenti l’immagine che a quell’epoca il Ticino veicolava per attirare visitatori era da villaggio dei Puffi, insomma una
landa avvolta dalla melassa di una tipicità posticcia. Ma un piccolo fatto capitato a un bambino,
che si aggirava in bici per la capitale federale,
avrebbe esercitato un’influenza decisiva sull’immagine del cantone nei decenni successi. “A Berna
avevo vissuto un episodio che mi aveva profondamente marcato. Sono sempre stato orgoglioso di
mostrare la mia ticinesità e da ragazzino sulla mia
bicicletta avevo messo una bandierina coi colori
rosso e blu. Un giorno venni bloccato dai ragazzi di
una banda di quartiere abbastanza tosta che mi insultarono con quella parola, ‘Tschingg’ (cinque nel
linguaggio della morra, ndr), la quale ancora oggi
è spregiativa per definire l’italiano. L’indomani misi due bandierine. Questa era la situazione del Ti-
Marco
Solari
cino negli anni ‘50 e ‘60. Si veniva visti in Svizzera
tedesca ancora dall’alto in basso. Era un’attititudine paternalistica, che andava oltre il nostro territorio perché risultava profondamente radicata nella gente del Nord verso la gente del Sud”.
L’insulto di quel giorno fu per Solari un piccolo
seme che germogliò una volta giunto al timone
dell’Ente turistico: “Magari in forma più intuitiva
che razionale, mi dissi che in Ticino stavamo perpetuando un’immagine che inseguiva gli stereotipi di un folklorismo completamente fasullo, posticcio, apocrifo. Perciò decisi che questa immagine, la
quale oltretutto era umiliante per il nostro cantone, andava sostituita con qualcosa di più concreto
e dignitoso. Cosa c’era di meglio dell’arte e della
nostra storia? In quel momento mi aiutò molto
Piero Bianconi, il grandissimo critico di cui ero diventato amico. Ma mi lasciai consigliare anche da
Virgilio Gilardoni e da Vincenzo Snider”. Col sostegno di questi intellettuali il presidente dell’Ente
propone al suo consiglio d’amministrazione
il fortunato slogan della svolta, “Ticino:
terra d’artisti”. Era la ventata d’aria
nuova, ben rappresentata su un manifesto di Orio Galli del
1984, che univa in una
sola immagine una casa progettata da Mario
Botta con degli affreschi romanici: il passato
e il presente di un territorio alla ricerca di una propria
identità. Uno slogan che trent’anni dopo rappresenta ancora
un faro che segna la rotta. Ed è
bello pensare, siccome da un male
può nascere un bene, che tutto parta da “quella bandierina sulla bici e
da quell’insulto che ha marcato tutta una vita”. E anche un territorio,
visto che il “tentativo”, attenua
Solari, di riqualificare il Ticino attraverso la sua offerta culturale
prosegue ancora oggi e anzi siamo alla vigilia di inaugurazioni
importanti, come quella del
Lac, il centro culturale di Lugano.
Naturalmente la speranza
è che le nuove proposte possano portare ora anche una
ricchezza reale e non solo
ideale. “Il turismo ha sempre due aspetti: uno rappresentato
dall’incontro con altre culture per
conoscersi meglio; l’altro materiale, che
significa pure guadagno. Io sono convinto che
questi due obiettivi debbano correre in parallelo”. Ma per capire l’oggi può essere utile voltarsi
indietro e Solari ricorda il Ticino della grande
nevicata del ‘78: “Gli spazzaneve che venivano
da sud e quelli provenienti da nord si incontra-
rono in cima al passo del Monte Ceneri. Restavano
300 metri di strada da sgomberare, litigarono e
per un giorno e mezzo il cantone fu diviso in due e
nessuno protestò. In quel Ticino il turismo era importante, ma completamente diverso da quello
odierno, di quando cominciarono ad arrivare i capitali dall’Italia. L’immobiliare divenne più appetibile, con la conseguenza che alcuni alberghi risalenti alla Belle Epoque si ritrovano in difficoltà. Iniziò in quel momento la trasformazione strutturale
su più livelli: mentre la crescita della piazza finanziaria ticinese assestava il colpo di grazia all’agricoltura, il turismo diventò sempre meno importante”. Sono anche gli anni, quelli successivi ai
‘70, del completamento della rete autostradale,
seguiti dall’offerta dei voli low cost e il Ticino si fa
terra di passaggio.
“Un passaggio - sottolinea Solari - che doveva
anche essere di mentalità. Eravamo ancora ai
quindici giorni a pensione completa, prenotati a
Natale e, per l’amor del cielo, che sia la camera
143 del terzo piano. Tutto questo turismo è scomparso e noi dobbiamo adeguarci al cambiamento”
spiega Solari. Oggi si deve puntare ad altro: “Ho
sempre contestato che il turismo ticinese sia in
una crisi irreversibile. Ma deve cambiare da stanziale a turismo di eventi capaci di regalare emozioni. Il tempo libero e quello lavorativo sono sempre
più intrecciati, per cui nel weekend, magari prolungato, il visitatore cerca di vivere qualcosa di
completamente diverso dalla sua quotidianità. Per
questo il Ticino è l’ideale, ma occorre un programma intenso. Il turismo del futuro, a mio modo di
vedere, deve passare necessariamente dalle emozioni, dagli avvenimenti e dalla cultura. Da qui il
bisogno di riuscire a creare i prodotti da offrire:
questo è stato ciò che da sempre mi ha animato a
portare avanti il Festival del film di Locarno. Perché il prodotto deve essere di altissima qualità, per
uno mediocre non si sposta nessuno. Ma, attenzione, anche il piccolo evento locale dà il proprio contributo, purché non sia banale”.
Il turismo deve cavalcare l’onda, e quella più
alta si staglia davanti: il Lac. “In queste ultime settimane ci si sta rendendo conto di come la cultura
non sia fine a se stessa ma, oltre che un mezzo per
la crescita personale di ognuno, ma anche un’interessante piattaforma di indotto economico. Però
attenzione, e mi ripeto, purché ci sia la qualità”
sottolinea Solari, che è appena stato insignito del
‘Milestone’, il principale riconoscimento del settore turistico svizzero. Ma, in chiusura, è lui a dare i
premi: “Al sindaco di Locarno Carla Speziali per la
Casa del cinema e il Fevi; al consigliere di Stato
Manuele Bertoli per il sostegno alla cultura; e all’ex sindaco di Lugano Giorgio Giudici, oggi attaccato per la difficile situazione finanziaria della Città, ma che ha avuto l’intuizione giusta col Lac, che
sarà il fiore all’occhiello per la clientela da nord e
da sud che ama l’italianità e l’altissima
qualità”.
[email protected]
Q@StefanoPianca
IL CAFFÈ
16 novembre 2014
LE OPINIONI
Quest’anno ho compiuto sessantacinque anni. Tempo di andare in pensione? Non ci penso nemmeno! Il mio
lavoro mi piace ancora, per cui continuerò ad affiancare mio figlio Matteo,
che si occuperà della gestione aziendale, per dedicarmi ai giornali - perché il
mio cuore continua a battere per il
giornalismo - e ad alcuni progetti editoriali turistici che mi appassionano.
Alla vigilia dell’età del pensionamento si è comunque portati a guardare indietro e a fare certi consuntivi. Vi
risparmio quelli personali e giornalistici (senza nascondere il mio disappunto
per la chiusura e per la deriva populista di questo cantone, contro cui i giornali sembrano essere impotenti) e mi
soffermo su un aspetto curioso, quello
dei cambiamenti editoriali intercorsi
dal 1980 - quando ho raggiunto
ilcaffètravirgolette 47
FUORI
DAL
CORO
In un trentennio più novità
di quante viste in 500 anni
l’azienda di famiglia dopo gli studi universitari e alcune esperienze giornalistiche alla radio della Svizzera italiana
e al Corriere del Ticino - ad oggi.
Quando ho iniziato a lavorare all’Eco di Locarno - il nostro giornale a
quei tempi era quello, fusionato poi
con il Dovere per diventare laRegione
- si lavorava ancora all’incirca come all’epoca di Gutenberg 500 anni prima.
Tutta la produzione del giornale, dal
momento in cui le notizie venivano
IL
DIARIO
battute sulla macchina da scrivere fino
alla stampa e alla spedizione, si svolgeva sotto lo stesso tetto. Quando vengono delle scolaresche a visitare la nostra casa editrice fatico a far capire loro come si lavorava. A cominciare dalla macchina per scrivere, che non sanno più cosa sia.
Una volta scritti, gli articoli venivano trascritti dai linotipisti su una macchina, la Linotype appunto, che produceva una matrice in piombo per ogni
riga di giornale. Le varie righe venivano fisicamente assemblate e messe su
un grande tavolo in attesa dell’impaginazione. Il mattino o la sera, un paio
d’ore prima che iniziasse la stampa,
mio padre si recava in tipografia e dava istruzione ai tipografi sulla sistemazione in pagina dei blocchi di piombo.
Quando si correggevano gli articoli si
sostituiva la riga-matrice in piombo
che conteneva l’errore. Se il tipografo
sbagliava l’inserimento, l’articolo risul-
FOGLI
IN
LIBERTÀ
COLPI
DI
TESTA
GIUSEPPE
ZOIS
GIÒ
REZZONICO
tava illeggibile. E purtroppo, nella fretta, succedeva. Le pesantissime pagine
venivano poi fissate nella rotativa e
stampate.
Da quando io sono entrato in
azienda sono passati poco più di 30
anni. Ho vissuto tutte le transizioni alcune molto complesse - alla situazione attuale. Oggi tutto, dalla scrittura
degli articoli all’impaginazione, avviene su computer. Le pagine sono poi inviate via mail alla sede della Ringier ad
Adligenswil, dove il giornale viene
stampato. Un numero sempre maggiore di lettori legge il giornale direttamente sullo schermo dell’iPad o simili
senza nemmeno più sfogliarlo su carta.
Insomma, nella produzione dei
giornali si sono fatti più progressi nel
corso degli ultimi trent’anni che nei
cinque secoli precedenti.
LIDO CONTEMORI
RENATO
MARTINONI
Buttare il termometro
e non curare la febbre
La crisi degli insegnanti
e le colpe dei genitori
Caro Diario,
il Conza di Lugano è stato un primo importante test del
voto per il rinnovo dei poteri cantonali. Era una novità il
congresso dei liberali radicali di domenica, come pure il ritorno a Lugano, con propositi di riscossa. Le cronache hanno
rispolverato sostantivi in disuso, come il dissotterrato “orgoglio dell’appartenenza“, il padiglione “gremito“, i “discorsi
delle grandi occasioni“. i segnali sono da studiare, ora si
tratta di dar corso alla volontà di cambiamento.
PER RITORNARE in sella bisogna disarcionare chi vi è
montato e il primo avversario da battere è la Lega. Con quali
strategie si capirà, strada facendo. Certo è che si vuole andare al confronto con la schiena di nuovo diritta. Un nome
storico del partito, Claudio Generali, già consigliere di Stato,
non ha usato perifrasi. Con il movimento di via Boglia, saracinesche abbassate. Lui da vent’anni ignora tout court la Lega. È una scelta, resta da vedere “come” praticabile. Il fatto
è che di diverso avviso sembrano gli elettori, che alla Lega sorta dal niente e con il megafono di un solo foglio settimanale - hanno attribuito consensi crescenti, fino a maggioranze impensate e impensabili, forse dagli stessi progenitori.
CHI FA POLITICA può scegliere benissimo di andare
avanti per la sua strada, di portare avanti il proprio cartello,
con relativi programmi e modalità per farsi voce e azione dei
cittadini. Sarebbe anche bello e interessante, finalmente,
vedere un ritorno al futuro con un po’ d’antico, recuperando
una vicinanza concreta con gli elettori. E sarebbe un incoraggiante segnale anche quello di ritrovare politici o aspiranti tali che non puntano solo su immagini e slogan costruiti da ghostwriter, candidati cioè che non si limitano alle
apparizioni massmediatiche e non inviano messaggi solo via
facebook e twitter, ma che si mischiano alla gente.
SI AVVERTE quasi nostalgia di quegli elettorati che perdevano il sonno per non sprecare un solo voto alle elezioni.
Più dell’immagine personale, contavano allora l’Idea e
l’Ideale, la persona e il suo impegno. I partiti si sono via via
chiusi nel loro Olimpo, lontani dalla quotidianità. La Lega,
fra ombre, responsabilità e anche colpe, ha avuto però l’innegabile merito di saper leggere la febbre e interpretare i
malesseri del popolo, quando le forze storiche, strasicure di
sé, preferivano buttar via il termometro.
Si legge sempre più spesso di insegnanti, specie fra quelli
confrontati con le classi scolastiche di età più giovane, che
non ce la fanno più. C’è chi è in crisi, chi finisce sotto i ferri
dello psichiatra e chi getta la spugna. Ma come?, dice la gente. I docenti fanno poche ore di scuola, sono spesso in vacanza, ripetono per tutta la vita le stesse cose, senza dover spargere una sola goccia di sudore! Dio bono! E hanno ancora la
faccia tosta di lamentarsi? Sono soltanto persone viziate che
tengono il culo al caldo. Che cosa devono dire allora gli altri?
Così ragionano in molti. In realtà è necessario guardare le cose in modo un po’ diverso.
Perché insegnare vuol dire tutto fuorché vivere di rendita.
Tanto più che per farlo bene bisogna avere la vocazione giusta (né più né meno come chi entra in convento), essere ben
preparati, avere un sacco di pazienza e soprattutto credere
nel proprio mestiere. E poi l’insegnante non è soltanto chi è
chiamato a impartire delle conoscenze e a educare: insomma
a istradare gli allievi dentro i labirinti ingarbugliati della vita.
È, sempre più, una persona che, pur facendo il proprio onesto
lavoro (è vero: chi con più chi con meno passione), sta sotto
gli occhi non sempre benigni di chi gli è sopra (i superiori), di
chi gli è sotto (gli allievi), di chi gli sta da parte (i genitori).
Genitori che a volte, invece di essere degli alleati in un comune lavoro votato al bene dei loro figli, sono i peggiori aguzzini
che si possano immaginare: perché si ergono a difensori dei
loro pargoli, anche quando hanno torto, e perché, illudendosi
di saperne più (la presunzione va spesso a braccetto con
l’ignoranza), pensano di potersi sostituire ai docenti. Ma c’è
di più. Perché, oltre a dover fare il proprio lavoro, l’insegnante non di rado è costretto a prendere il posto dei genitori.
Occupandosi di allievi problematici o abituati a vivere sotto una campana di vetro, tappando i buchi di un’educazione
mancata, facendo magari anche da magnete per le aggressività che gli allievi accumulano nella vita. Non sorprendiamoci
troppo, allora, se un docente su cinque si trova in difficoltà,
se uno su tre dice che a volte soffre di depressione e se uno
su tre è al limite del tracollo. (Altro che culo al caldo!) Morale
della favola: una società seria e responsabile non può non domandarsi perché questo accada. Almeno per capire se non si
debba cambiare al più presto, come è giusto, qualcosa. Per il
bene di tutti.
I CONTI
DELLA
DOMENICA
Una lettera arriva dal futuro
a mezzo secolo da Ecopop
ANGELO
ROSSI
Egregio direttore del Caffé,
non le capiterà tutti i giorni di ricevere una lettera dal futuro. Tuttavia io,
ticinese del 2064, a pochi giorni dalla
celebrazione del 50esimo anniversario
dell’iniziativa Ecopop, sono invogliato
a mettermi in contatto con coloro che
vivevano qui 50 anni fa per spiegar loro cosa è capitato in Ticino da quando
la Svizzera ha deciso di tagliarsi fuori
dal resto del mondo.
Si chiederà come possa uno, che
potrebbe essere suo nipote, scriverle
dall’avvenire. Le dirò, il servizio della
comunicazione col passato è offerto
dalle Ffs, che non perdono occasione
per fare concorrenza alla Posta. Le
ilcaffè
Settimanale di attualità, politica, sport e cultura
Direttore responsabile
Vicedirettore
Caporedattore
Caposervizio grafico
scrivo, dunque, per far sapere a lei e
ai suoi lettori che il processo di decadenza, avviato da Ecopop, dura oramai
da quasi cinque decenni. Purtroppo i
risultati son lì da vedere. Poco dopo
l’approvazione dell’iniziativa, il Ticino
riuscì a raggiungere una popolazione
di 350mila abitanti. Ma, poi cominciò
a perderne. Dapprima furono qualche
centinaio all’anno. Poi, con l’invecchiamento demografico, toccarono i
mille e, ora, stiamo avviandoci verso i
1500. In 45 anni il Ticino ha perso
quasi 40mila abitanti, anche se, anno
per anno, i contingenti immigratori
consentiti sono stati sfruttati al 100%.
Le conseguenze, purtroppo, sono
Lillo Alaimo
Libero D’Agostino
Stefano Pianca
Ricky Petrozzi
poco divertenti. Per far fronte alla domanda di forza-lavoro, l’età del pensionamento è stata alzata a 75 anni.
Ma anche questo provvedimento non è
riuscito a soddisfare le richieste dei
datori di lavoro, quindi molti servizi
sono stati automatizzati. Trasporti, ri
storanti, strutture del tempo libero,
ma anche ospedali e case per anziani,
funzionano oggi secondo il principio
del self service. Per fortuna l’industria
ha sviluppato una serie di robot per
aiutarci. Ma per utilizzarli bisogna, fatica ingrata, ricordarsi come funzionano perché non c’è in giro nessuno che
possa dare una spiegazione. Siccome
circolano solo persone anziane, scuo-
Società editrice
2R Media
Presidente consiglio d’amministrazione Marco Blaser
Direttore editoriale
Giò Rezzonico
DIREZIONE, REDAZIONE E IMPAGINAZIONE
Centro Editoriale Rezzonico Editore
Via B. Luini 19 - 6600 Locarno
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le, asili e palestre sono state trasformati in centri di riunioni e assistenza
per gli anziani. Non le sto a dire dei
problemi di cui soffrono gli enti pubblici. Il debito del Cantone Ticino ha
superato i 15 miliardi di franchi e certamente non si fermerà lì: ci sono
troppi assistiti e troppo pochi contribuenti!
A crescere, in questa società che
si restringe, sono solo le imposte e gli
effettivi della polizia federale di controllo dell’immigrazione. Alla frontiera contiamo già più di mille persone
che cercano di impedire l’accesso ai
clandestini. Ma, purtroppo i “sans papiers” sono dappertutto: sotto i ponti,
RESPONSABILE MARKETING
Maurizio Jolli
Tel. 091 756 24 00 – Fax 091 756 24 97
DISTRIBUZIONE
Maribel Arranz
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Tel. 091 756 24 08
Fax 091 756 24 97
nei camping abbandonati, nei capannoni industriali non più utilizzati, ma
anche in vecchie chiese e scuole fuori
uso. Che miseria! Ogni mattina si riuniscono sui parcheggi di qualche centro commerciale, dove vengono a
prenderli i negrieri che li porteranno
sui luoghi del lavoro alla giornata.
Qui devo chiudere, anche se piuttosto bruscamente, la mia descrizione. Il fatto è che ho promesso a mio
nonno (115 anni) di portarlo a vedere
il derby tra gli Old Fellows della Magliasina e la squadra più giovane del
campionato, i Pardi grigi del delta della Maggia (età media 48 anni). Non
posso mancare all’appuntamento!
STAMPA
Ringier Print - Adligenswil AG - Druckzentrum Adligenswil
6043 Adligenswil - Tel. 041 375 11 11 - Fax 041 375 16 55
Tiratura (dati Remp ‘12)
56’545
Lettori (dati Mach ‘13-’14)
87’000
Abbonamento annuo Fr. 59.– (prezzo promozionale)
16 novembre 2014
ilcaffè
La finestra sul cortile
Gli eBook del Caffè
Il Paese tra cronaca e fantasia
341/bis
Racconto di ANONYMOUS, illustrazioni di Marco Scuto
Il micidiale effetto domino
VENTUNESIMA PUNTATA
La comedy
noir del Caffè
Una serie di colpi di scena
settimana dopo settimana
La storia
“341bis” è un romanzo
breve cui non è facile
attribuire un genere.
Fosse un film potrebbe
essere definito una
“comedy noir”. Elementi di
giallo che si stemperano
nella commedia, o meglio
ancora, una commedia che
assume involontariamente
i contorni del giallo. Una
serie di fortuite
circostanze, che
Il riassunto
compongono un puzzle
dai contorni
inimmaginabili.
Riassunto delle puntate
Franco Remondini,
55enne manager bancario
luganese, conduce una
doppia esistenza.
Convocato dai Carabinieri
di Intra per un verbale
sulla strada del Verbano,
che percorre spesso
all’insaputa della moglie
Iris, Remondini si ritrova
faccia a faccia con Agnese,
la madre dei suoi figli.
Figli che ha dichiarato di
non avere. Scoppia un
putiferio. E viene a galla
una mega frode fiscale
caffe.ch/comedy
Tutte le puntate oline
L
L’e-book
Tutte le puntate di
“341bis”, corredate dalle
illustazioni di Marco
Scuto, possono essere lette
online sul
sito caffè.ch nelle pagine
web dedicate alla serie.
Come tutti i racconti
pubblicati dal Caffè, anche
“341bis” alla fine della
serie diventerà un e-book
gratuito (il primo
pubblicato in Ticino con
testo scritto e graphic
novel d’autore).
a cartellina verde stava sempre lì. Per il
maresciallo era una sorta di medaglia al
valore. Dalla scrivania non voleva proprio
toglierla. In due mesi, in soli due mesi
quel banale verbale di controllo sulla statale 34 del Lago Maggiore, all’altezza di
Ghiffa, come per un inaspettato e micidiale effetto domino, aveva dato filo da torcere all’economia e alla finanza corrotta.
Aveva fatto andare in galera, in attesa che
le indagini facessero luce, una dozzina tra
imprenditori e finanzieri e nove politici
lombardi. Aveva dato una scossa al gover-
Aveva fatto andare in galera
una dozzina tra imprenditori
e finanzieri e nove politici
no romano perché trovasse un accordo con
la Svizzera per la tassazione dei capitali
sfuggiti al fisco italiano. Aveva imposto al
‘private baking’ della piazza finanziaria luganese una serie di controlli e selezioni
della clientela italiana. E aveva fatto avviare alla Tenenza di Omegna della Guardia di finanza - quella coordinata dal capitano Schirru, l’amico del Carletti - un’indagine sui ricchi pagamenti effettuati da
alcune aziende del Cusio, casalinghi e rubinetterie, in favore di società svizzere
fantasma, le “cartiere”.
Fra gli arrestati non poteva non esserci
il Remondini Franco. Era finito dietro le
sbarre, a Bollate, dalla sera del 19 giugno.
Era lui l’“architetto finanziario italo-svizzero”, scrivevano i giornali italiani, di
quella filiera di evasione e corruzione che
ruotava attorno ai milionari appalti di edilizia pubblica in quasi tutto il nord Italia.
Anche in Svizzera la magistratura aprì
un’inchiesta. Sospetto riciclaggio.
Fra gli arrestati, naturalmente, anche
quel poco che era rimasto della famiglia
Sanfilippo...
Il Rota finì in galera a San Vittore perchè presidente dell’Impresa generale, considerata dai magistrati la piattaforma girevole del sistema. Sua moglie Melina andò
dietro la sbarre a Cagliari in quanto amministratore delegato del resort in Sardegna
(le tangenti erano a volte pagate con soggiorni di lusso).
E Agnese? Anche la Sanfilippo Agnese,
la donna dalle cui dichiarazioni al maresciallo Carletti partì l’intera inchiesta, finì
in carcere a Novara. Lei era vice presidente dell’Impresa generale. Una vice presidente consapevolissima - non avrebbe potuto essere altrimenti dato sfogo di quel
pomeriggio in caserma - di quanto il Remondini aveva illegalmente costruito negli
anni.
Ne aveva ben donde il Carletti di tene-
re sulla scrivania quella cartelletta verde!
Ogni tanto l’apriva, leggeva il verbale e si
gloriava di quanto era accaduto solo tre
mesi prima. Se non fosse stato per la pattuglia in servizio sulla statale 34, quella
con l’appuntato Jaquinta e il carabiniere
scelto Pirinoli, col cavolo, pensava il maresciallo, che il procuratore Rossetti e il pool
finanziario di Milano sarebbero arrivati a
tanto! Giá, proprio col cavolo! E se l’articolo 341 bis non fosse stato contestato al Remondini, nulla, ma proprio nulla sarebbe
accaduto in quella calda e umida estate
Se non fosse stato, tre mesi
prima, per la pattuglia in
servizio sulla statale 34...
2013. D’altra parte è anche vero, pensava
il maresciallo, che le storie più incredibili,
sono quelle in cui ci si lascia coinvolgere
quasi per caso. Magari senza essere pienamente convinti. E poi uscirne, come succedeva al suo Maigret, diventa difficile.
In verità il Carletti da quell’inchiesta
non avrebbe certo voluto essere estromesso già la sera del 19 giugno quando il tutto, data la delicatezza e la complessità della cosa, passó al comando regionale di Torino.
21- continua