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9
771660 968900
GAA 6600 LOCARNO –– N. 42
42
Copia in omaggio (in edicola Fr. 2.– / € 1,35)
In edicola Fr. 2.– / € 1,35
Anno XVI • Numero 42
La gara
Il campionato
Il torneo
Una Formula 1
in piena crisi
allo sprint
per il titolo
In Challenge
riecco un derby
impegnativo
e molto atteso
Al Masters
con la mente
già alla finale
di Davis
A PAGINA 14
A PAGINA 15
A PAGINA 15
Reuters
Ti-Press
Domenica
9 novembre 2014
L’alimentazione
Mangiare sano sette giorni
spendendo pochi franchi
Settimanale di attualità, politica, sport e cultura
L’analisi/1
Un ritorno
impossibile
al passato
POMPEO MACALUSO *
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GUENZI e ROCCHI BALBI ALLE PAGINE 18 e 19
TORREFAZIONE
DI CAFFÈ
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Tutti in centro
Se Plr e Ppd superassero gli antichi steccati
ALLE PAGINE 34 e 35 MAZZETTA, RAVANI e SCHIRA
D
i fronte ai processi inediti
che da oltre un decennio
stanno modificando in profondità la consistenza socioculturale del cantone, leader politici,
giornalisti, semplici cittadini, si interrogano sul destino riservato alla
nostra comunità. Involuzione, decadenza, addirittura barbarie, sono
giudizi tanto diffusi, quanto dissimili riguardo a contenuti, cause,
attori. Anche in questo caso il rischio è quello di considerare la nostra piccola realtà separata e diversa da quella che ci circonda.
segue a pagina 37
L’analisi/2
Quelle chiusure
neopopuliste
SERGIO ROSSI *
L
Massimiliano
Robbiani
si veste
da guardia
di confine.
È il nulla
che si
dichiara.
L’analisi/3
Scenari
di (fanta)politica
per un cantone
ingessato
anche dai giochi
di partito
La tragedia A Curio i funerali della mamma e della sua bimba
Il Muro caduto
base d’Europa
Il caffè
si
rinnova
dal 23 novembre
115.-
CHANTAL TAUXE
Q
uesta domenica si commemorano i 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino.
Appena una generazione più tardi, non è assodato che comprendiamo ancora tutte le implicazioni
di un evento che nessuno aveva
visto arrivare: l’implosione del colosso sovietico. La storia non si è
conclusa, malgrado quanto allora
il filosofo Francis Fukuyama credette opportuno decretare. Il senso della storia potrebbe invece essere radicalmente messo in discussione dall’ambizione “putiniana” del voler lavare l’umiliazione subita dall’impero russo, ma
già conosciamo alcune delle possibili conseguenze.
segue a pagina 9
In
evidenza
Invece di 159.-
Ti-Press
Il pizzino
a mentalità e l’atteggiamento
improntati alla chiusura a riccio di una parte notevole della popolazione ticinese nei confronti dei lavoratori italiani non sono un fenomeno recente, perché
esistevano già nella seconda metà
dei “Trenta gloriosi” anni successivi alla Seconda guerra mondiale.
In quel periodo come attualmente
e nell’arco del decennio 1980-90,
si può osservare una tensione schizofrenica tra, da un lato, l’ostracismo manifestato da diverse fasce
della popolazione residente in Ticino e da vari esponenti politici locali
che la rappresenta riguardo i migranti dall’Italia e i lavoratori transfrontalieri.
segue a pagina 33
Il lungo addio a Monica e Alice
un sogno spazzato via dal fango
ALLE PAGINE 2 e 3, MERCALLI, PIANCA, SCHIRA e SPIGNESI
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A PAGINA 27
MANNO
BARBENGO
BARBENGO
BIASCA
CADENAZZO
LUGANO-PREGASSONA
LOSONE
MENDRISIO
MENDRISIO-EX FERRAZZINI
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
2 PRIMO PIANO
3
La tragedia nel Malcantone
“La geografia dei pericoli è aggiornata quotidianamente”
L’analisi
Ti-Press
Lo smottamento
mortale in
Malcantone riapre
il dibattito su
cura del territorio
e gestione
di eventi climatici
sempre
più estremi
MASSIMO SCHIRA
D
a un lato, il monitoraggio e la
gestione del territorio. Dall’altro, eventi meteorologici sempre più estremi e più frequenti,
capaci di causare drammi come
quello di questa settimana nel Malcantone
che è costato la vita a Monica Moriggia e a
sua figlia, la piccola Alice. Nel mezzo, il lavoro di chi è chiamato a tutelare la sicurezza
delle zone abitate e delle principali infrastrutture da inondazioni, frane, valanghe e
da tanti altri pericoli naturali. Un compito
non semplice, a cui la Confederazione ha risposto con il lavoro congiunto dell’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) e dell’Ufficio federale per la protezione della popolazione
che - in stretta collaborazione con i Cantoni
- ha promosso la “carta dei pericoli”, primo
vero strumento di analisi del territorio e base d’intervento per una miglior tutela dai ri-
schi naturali. “Il primo gennaio 2014 la cartografia dei pericoli in Svizzera ha raggiunto
una copertura del 93% del territorio - spiega
al Caffè Roberto Loat, supplente capo alla
Sezione gestione dei rischi dell’Ufam -. Il che
significa che gran parte del lavoro è stato
fatto. Ma la cartografia dei pericoli non è che
Inondazioni, frane, valanghe…
Dalla capitale gli imput che
i Cantoni devono saper cogliere
una base su cui lavorare per evitare i rischi”.
Una sorta di fotografia, insomma, di
quanto c’è da fare per migliorare la situazione e garantire la maggior protezione possibile alla popolazione. “Avere a disposizione
questa mappa è una base fondamentale per
poter agire contro i pericoli naturali - aggiunge Loat -. A partire da questo strumento
si possono mettere in atto diverse misure.
Pianificatorie, tecniche, ma anche perfezionare i sistemi d’allarme e le procedure d’intervento. Agendo quindi a livello preventivo
e preparandosi a dovere in caso di necessità”.
Anche se lo strumento della carta dei pericoli è piuttosto recente - l’inizio della raccolta delle informazioni risale infatti al 2000,
tre anni dopo la pubblicazione delle direttive
da parte di Berna - l’evoluzione climatica degli ultimi anni porta già a riflettere sulla necessità di adattare il “piano dei rischi”, ad
esempio, alle bizze meteorologiche. Ma non
solo, come conferma l’esperto dell’Ufam.
“La cartografia dei pericoli non è certo un
esercizio che si fa una volta e che rimane invariato nel tempo, anzi - spiega Loat -. Ad
ogni nuovo evento o con lo sviluppo di nuove
conoscenze, questo lavoro va adattato e corretto in base alle esigenze. È una sorta di
continuo work in progress. E in futuro sarà lo
stesso, con l’inserimento nella carta di nuove zone”. Una situazione che, chiaramente,
potrebbe avere un influsso diretto anche
sulla pianificazione del territorio, settore su
cui la cartografia dei rischi incide in modo diretto. “L’obiettivo primario della Confederazione è chiaramente che non si costruisca
più in zone potenzialmente pericolose - conferma Roberto Loat -. Oppure, se proprio
non è possibile rinunciare alla costruzione,
farlo in modo estremamente coscienzioso.
Analizzando con precisione il tipo di pericoli
e le possibili soluzioni per la protezione degli
edifici o delle infrastrutture. La protezione
dell’oggetto deve quindi soddisfare criteri
molto severi”.
Sapere cosa fare, quindi, e soprattutto
dove farlo. È con questo obiettivo che prosegue il lavoro della Confederazione e dei Cantoni con un monitoraggio del territorio praticamente quotidiano. “Va detto che la situazione ticinese è piuttosto progredita, visto
Il funerale
tà e la frequenza. Il lavoro continua e infatti
non è stato ancora raggiunto un vero obiettivo. La base operativa rappresentata dalla
carta, però, è buona”. Anche secondo Berna,
comunque, porsi come traguardo il rischio
“zero” rimane utopico. “Dobbiamo fare tutto
il possibile per evitare i rischi - conferma Loat -, ma la fatalità non è mai controllabile e
LUCA MERCALLI,
climatologo e metereologo
V
Dalla vita
alla morte
Ti-Press
Il dramma di Bombinasco
iviamo circondati da allarmi. Ieri erano figli illegittimi
di paure profonde e onnipresenti, come l’epidemia, la
fame, la guerra. La scarsa conoscenza scientifica, la
difficoltà di circolazione di mezzi e informazioni, lasciavano
sempre aperta la possibilità della catastrofe, cui si conviveva
ricorrendo alla religione o alla superstizione. Oggi - nei Paesi
occidentali - viviamo indubbiamente in un mondo più sicuro
e prevedibile, grazie all’apporto della scienza e della tecnologia, delle comunicazioni rapide e dei mezzi di soccorso. Gli
allarmi attuali hanno quasi sempre una base razionale e ci
forniscono un preavviso accettabile per prendere provvedimenti. Tuttavia ci sentiamo forse più in ansia e più turbati
dall’insicurezza rispetto al passato. Forse perché la nostra
psiche ha una capacità limitata di essere sottoposta allo
stress di scenari futuri sfavorevoli.
Abbiamo un cervello che può occuparsi soltanto di una
ridotta quantità di stimoli negativi, in genere quelli a brevissimo termine o a grande vicinanza, mentre tende a rimuovere problemi più lontani nel tempo e nello spazio. Il prezzo
della crescente complessità del mondo, della immediata disponibilità di un’enorme mole di informazioni e della possibilità della scienza di fare previsioni - che ricordiamo,
non sono mai perfette, ma probabili, produce una
sorta di overdose da allarmi, che si può tradurre in
paralisi delle decisioni, o in sottovalutazione degli
eventi. Alla fine si tende a far di tutte le erbe un fascio, cavandosela con qualche luogo comune a
buon mercato: “Tanto sbagliano sempre”, “Qualcuno risolverà i problemi”, “Secondo me sono
tutte balle”, “Ci saranno degli interessi dietro”. Alcuni allarmi, che hanno pure il loro
fondamento, vengono talora enfatizzati dai media e assumono proporzioni maggiori della loro reale incidenza, come gli
atti di terrorismo o il rischio di essere assaliti da un lupo o
un orso, la cui probabilità di accadimento per ciascuno di noi
è irrisoria. Viceversa altri allarmi molto più reali e razionali
vengono ignorati o depotenziati, come il rischio per la salute
derivante da inquinamento, o i cambiamenti climatici.
Ma veniamo agli allarmi meteorologici, così frequenti
negli ultimi anni, ma anche in questi giorni di intense piogge. È un fenomeno emergente, frutto del recente miglioramento delle previsioni meteo a medio termine e delle possibilità di comunicazione via internet e telefoni portatili. Fino
a una ventina d’anni fa un’alluvione si subiva come una sor-
Sino a 20 anni fa un’alluvione
era una brutta sorpresa. Ora non più
grazie alle previsioni del tempo
Ti-Press
C
L’esperto: “La mappa è soltanto
uno strumento di analisi, poi ci
sono molte opere da realizzare”
il 100% di sicurezza resta impossibile da
raggiungere. Accettare i rischi residui, però,
fa parte della vita”.
Se il ruolo della Confederazione nel dare
le indicazioni di massima in questo delicato
settore è fondamentale, non di meno lo è
quello dei Cantoni. Che, anche grazie ad una
conoscenza più precisa del territorio, hanno
l’importante compito di proseguire nell’opera di monitoraggio cartografico dei rischi e di
decidere gli interventi per garantire una
maggiore protezione. “La Confederazione è
presente anche a livello finanziario,visto che
contribuisce nella misura del 50% alla copertura dei costi per l’elaborazione delle
mappe dei pericoli - conclude Loat-. Anche
quando vengono messe in cantiere opere di
protezione, come ad esempio i ripari valangari, Berna non si tira indietro, assicurando
una partecipazione tra il 35 e il 45% alle [email protected]
se”.
Q@MassimoSchira
MONICA E ALICE
Franco Portinari
ha immaginato così il
momento della tragedia
di mamma Monica
e della piccola Alice
“Quella casa
era diventata
un bel sogno
realizzato”
hi incrocia lo sguardo ha
gli occhi lucidi, chi guarda
verso la piccola bara bianca ricoperta di fiori non può non
ricordare il volto allegro di Alice,
la sua solarità. “Eri una piccola
donnina educata”, la descrive
un’amica di famiglia leggendo
un messaggio alla fine della
messa che ieri pomeriggio, sabato, nella chiesa parrocchiale di
Curio ha salutato mamma Monica e il “suo piccolo tesoro”. Ed è
stato un saluto toccante quello
delle centinaia di persone che
hanno occupato persino l’intero
piazzale della chiesa pur di esserci, per offrire un abbraccio, un
bacio o anche solo una presenza
ai familiari di Monica Moriggia e
della sua Alice. Persone forti ma
che davanti a una tragedia devastante come questa hanno affidato poche parole a un messaggio che è stato letto dal parroco.
Parole anche queste schiette, come si usa tra i boschi da queste
parti. Papà e mamma hanno parlato di percorso “tortuoso” della
loro figlia, alla quale non è mai
mancato tuttavia il coraggio e la
voglia di fare. Un percorso “tortuoso” ma che si era lasciata alle
spalle, dopo aver imboccato una
strada di stabilità e di equilibrio.
Hanno ricordato la soddisfazione
per essere riusciti a sistemare
quella casetta, che a loro era
sembrata la più bella del mondo.
Dove finalmente si poteva vivere
una vita serena, il sogno di un
futuro fatto di sorrisi e che invece le “avversità della natura”
hanno spezzato. Per sempre.
Eppure la speranza, una piccola speranza deve continuare a
vivere, ha detto il vescovo monsignor Valerio Lazzeri che ha celebrato la messa. “Cielo e terra ha detto davanti alle bare, una
accanto all’altra - non bastano
per contenere un dolore così
grande. Ma la speranza non deve
andare persa, e neppure una colata di fango potrà cancellare il
grande amore di Monica e Alice”. Una mamma e una figlia che
monsignor Lazzeri, dopo aver
fatto riferimento al Vangelo di
Giovanni, ha definito “perle” di
Dio. Poi, il silenzio della riflessione con tutta la chiesa e la piazza
che recitano ad alta voce il Padre
nostro. Tra tanti singhiozzi di
pianto e di dolore.
m.sp.
che il Cantone è stato tra i primi a dimostrarsi attento a questa problemi, ancor prima
che Berna decidesse di varare una legge
specifica - precisa Loat -. Concretamente, la
carta dei pericoli naturali viene poi sviluppata attraverso l’osservazione degli eventi.
Partendo dal loro tipo, valutandone l’intensi-
Ti-Press
Allarmi,monitoraggio,pianificazione... ecco come Berna studia e cerca di prevenire le catastrofi naturali
Prevenzione
vuol dire
allerta meteo
Le reazioni
Tra gli abitanti di Bombinasco all’indomani della perdita di Monica e della piccola Alice
“Paura? Certo un po’
ma non esiste
una reale minaccia”
U
n po’ di paura la proviamo,
ma credo sia più dettata da
quanto accaduto qui da noi
piuttosto che da minacce reali”.
Roberto guarda la moglie Daniela
per capire se anche lei la pensa
nello stesso modo. La giovane coppia si è trasferita ad Astano da poco tempo ed è venuta quaggiù a
vedere la casa crollata a Bombinasco. Perché tutti, da queste parti,
ogni giorno passano davanti al rustico con l’affresco della Madonna,
che sta pochi metri più in basso,
sul ciglio della strada, dove ora si
trova un grumo di cemento, fango
e pezzi di tetto.
Nel nucleo della piccola frazione di Curio, fra stradine strette e
portici che si succedono uno dietro
l’altro, la gente è ancora scossa,
non ha una grande voglia di parlare. “Paura? No, non ne abbiamo
anche se nessuno avrebbe mai immaginato una disgrazia come questa”, dice un ragazzo in tuta da
ginnastica mentre sistema alcuni
avvisi alla popolazione nella piccola bacheca del paese. “Certo - continua - tutti siamo rimasti sorpresi
e sconvolti per quanto accaduto”.
Tutti, certo. Al “Buteghin”, una
piccola stanza che guarda il ruscello, c’è un silenzio profondo. “Qui ci
conosciamo tutti, Bombinasco conta solo 48 abitanti. Anzi, ora 46”,
dice Daniele Meni ricacciando dentro le lacrime. Lui la tragedia l’ha
vissuta praticamente in diretta. Da
quando alle sette di di sera un ca-
meriere che lavora al Giardino, il
suo ristorante che si trova a duecento metri dal luogo della tragedia, gli ha raccontato che in mezzo
alla strada c’era un grande masso.
“Ho capito che era accaduto qualcosa di grave. Quando io sono passato alle 5 - racconta - le luci della
casa di Monica erano ancora accese”. Le ha viste anche Giuseppe,
artigiano di Banco, mentre rientrava nella sua abitazione. “Un po’ di
paura - avverte - la provo, ma soprattutto per i miei figli. Anche se
“Un qualche timore ora lo
avverto, anche se abito in
una zona... non a rischio”
poi io abito in una zona teoricamente non a rischio”. Non era a rischio neanche la casa di Monica,
che dopo la frana tanti hanno provato a chiamare al cellulare. Silenzio.
“Una fatalità, una fatalità”, riesce appena a ripetere uno svizzero
tedesco che qui, a poche centinaia
di metri dal nucleo del villaggio, ha
una casa di vacanza. Oltre la strada, dall’altra parte del ruscello, lo
stesso giorno della tragedia, racconta l’autista di un camion che sta
scaricando terra, “c’è stato un altro
smottamento”. Molti anni fa, ricorda ancora Daniele Meni, che è stato lo chef che ha fatto l'esame di
cuoca a Monica, “dietro il paese le
piogge estive avevano fatto accumulare dei detriti, si era formata
come uno sbarramento che l’acqua
aveva sfondato, facendo arrivare
un fiume di fango sino alla strada”.
Poi il Patriziato aveva creato una
protezione. E si pensava che il pericolo fosse scongiurato. “Nessuno
credeva potesse succedere - dice
un artigiano mentre sistema il suo
garage nel nucleo - una disgrazia
così. Io lì davanti ci passo quattro
volte al giorno”. Come tutti, qui.
Ma da quella sera invece tutto è
cambiato.
“Questa tragedia - osserva Meni - ci ha unito ancora di più come
comunità. Quando sentivamo al telegiornale di fatti simili in Liguria,
ad esempio, o nella Svizzera tedesca ci sembravano lontani, lontanissimi. Ora invece dovremo imparare a vivere con la paura anche se
sentiamo che è un fatto irrazionale, perché i geologi dicono che
quanto è avvenuto è eccezionale.
Invece è accaduto qui, da noi. Un
cliente mi ha detto che quest non è
solo il lutto di Bombinasco ma di
tutto il Ticino”.
m.sp.
L’opinione L’analisi dell’urbanista Kopreinig Guzzi che invita a ripensare gli attuali criteri di costruzione
I fatti
L’ALLARME
Sono passate da poco
le 18 di mercoledì quando
a Bombinasco, dopo una
pioggia insistente, scatta
l’allarme per una frana.
LA PAURA
Dopo le 21 si intuisce
che si è consumata una
tragedia. Un fronte
di 150 metri di bosco
ha travolto un rustico.
1 “Oggi c’è troppo cemento,
lo spazio va utilizzato
2 diversamente dal passato”
LO SCAVO
Dentro il rustico ci sono
una madre, 31 anni, e la
sua figlioletta di tre anni.
I cani fiutano la posizione
dove si trovano i corpi.
3D
IL RITROVAMENTO
Dopo una notte di scavi,
a cui partecipano 100
uomini, solo attorno
alle 4.30 vengono trovati
i corpi delle due vittime.
4
LE CAUSE
Secondo i soccorritori, la
frana di un migliaio di
metri cubi di terreno ha
praticamente schiacciato
il rustico.
5
obbiamo cambiare il
modo di utilizzare il territorio? Un interrogativo
spontaneo davanti al ripetersi
di eventi meteorologici estremi.
Una risposta arriva dall’urbanista Cristina Kopreinig Guzzi:
“Direi di sì. Occorre cambiare
strategie, più che a livello pianificatorio dove da molti anni si
segnala la necessità di un mutamento della rotta nell’utilizzo
delle aree edificabili, occorrerebbe pensare al come si costruisce”.
Ma l’esperta, prima di fornire alcuni suggerimenti concreti, fa una premessa: “È ovvio che in Ticino si è cementificato troppo. A causa della co-
pertura di una superficie di terreno tanto estesa, sicuramente
c’è stato un influsso notevolissimo sull’andamento dei corsi
d’acqua. Perché la massa che
corre su una superficie dura e
impermeabile risulta sicuramente più violenta che non su
un prato”. Per ripristinare, in
parte, il fenomeno naturale
dell’assorbimento, l’urbanista
suggerisce una diversa tipologia di coperture degli edifici:
“Quando si costruiscono dei
tetti piani potremmo essere
molto più attenti ricorrendo a
dei sistemi di copertura terrazzata a verde che hanno
un’enorme capacità di assorbire l’acqua piovana, evitando
così che essa finisca direttamente negli scarichi”. Costruire meglio, “dunque ricorrere
alle tecniche costruttive esistenti più adatte”, ma non solo.
Per Cristina Kopreinig Guzzi è
necessario anche “ridurre l’incidenza al suolo delle costruzioni. Vuol dire, edificare meno
e in maniera più compatta. Di
conseguenza si preserverebbero più aree verdi”. Quindi costruire in altezza, “ma anche
chiedersi sempre quanto occorre costruire”. L’obiezione più
scontata sarebbe che è la pressione demografica a imporre il
quanto, ma così non è: “Bisognerebbe domandarsi se la
quantità di metri quadrati pro
capite è proprio necessario che
sia così alta come si vede in alcune costruzioni. Ce ne sono di
decisamente sproporzionate”.
Non solo, una migliore gestione del territorio deve tener
conto del costruito: “Non c’è
solo la questione della conservazione del patrimonio architettonico di pregio. L’altro
aspetto - aggiunge - è la manutenzione e il recupero di ciò
che si è costruito negli anni
sessanta e settanta. Invece di
costruire da un’altra parte ci
sono validi esempi di recupero
di edifici con l’inserimento di
duplex o appartamenti più gradevoli. In questo modo non si
va a incidere sul terreno verde”. Poi il discorso potrebbe
venire esteso alla natura: “Andrebbe ribadito - sottolinea
l’esperta - il ruolo degli alberi,
che visivamente possono arricchire e abbellire il paesaggio,
ma hanno anche una funzione
per il regime delle acque. I boschi sono importanti e andrebbero mantenuti in buono stato”. Ma qui è sotto gli occhi di
tutti che così non è. Soprattutto nei boschi di latifoglie, gli alberi caduti sono la regola. C’è
molto da lavorare.
s.pi.
presa. Semplicemente arrivava. Le previsioni potevano
tutt’al più annunciare un periodo di piogge abbondanti, ma
senza dettagli quantitativi. Oggi si può prevedere con circa
3-5 giorni di anticipo l’arrivo di precipitazioni intense su una
certa area, e quindi è possibile diramare allarmi con diversi
livelli di rischio (Meteosvizzera ne utilizza quattro). Purtroppo la meteorologia non è ancora in grado di prevedere con
esattezza il luogo, l’ora e le caratteristiche di un evento
estremo che può generare una calamità. Ed è qui il punto.
L’allarme va utilizzato non come una certezza, ma come un
annuncio di attenzione.
Significa prendere atto che esistono le condizioni per
un’emergenza, ma non vi è certezza che questa si sviluppi,
oppure essa può interessare soltanto una piccola area di territorio e passare inosservata ai più. Capita così che la reazione a un falso allarme generi prima fastidio e poi il noto effetto “al lupo, al lupo”. Ciò avviene per la scarsa dimestichezza della popolazione con il concetto di probabilità. Se
utilizzassimo queste informazioni in modo positivo - ovviamente non credendo a tutto ma selezionando l’autorevolezza della fonte - avremmo semplicemente una possibilità in
più per evitare problemi, senza farci prendere dal panico ma
tenendo ben ritte le antenne nella fase di allertamento per
cogliere ogni segnale di crisi precoce. Ci sono semplici comportamenti da mettere in atto prima dell’evento meteo: vanno dalla scelta del nostro itinerario fino alla rinuncia a muoversi, da quella di un abbigliamento opportuno - talora un
paio di stivali fanno miracoli rispetto alle scarpe con i tacchi
-, allo spostamento di oggetti preziosi dai piani terra ai piani
superiori e alla preparazione della casa per una possibile
evacuazione. E se poi non succede nulla, meglio!
Avremo fatto un’esercitazione di protezione civile, come
sono abituati a fare i giapponesi fin dalla scuola materna per
imparare a comportarsi in caso di terremoto. Purtroppo siamo troppo presi da una quotidianità completamente artificializzata e priva di contatto con il mondo fisico terrestre.
Respingiamo con malumore ogni annuncio che turba la nostra agenda, salvo pretendere che nel momento in cui si sviluppa una crisi il governo sia subito pronto a occuparsi del
nostro singolo caso. Ma può essere tardi e le conseguenze
diventano allora irreparabili, basta un minuto per perdere la
vita o farsi molto male, perciò conviene investire in una serena preparazione e accettare i limiti della previsione sapendo che l’annuncio di pericolo è già una straordinaria possibilità di cui possiamo disporre rispetto al passato, evitandoci
l’effetto sorpresa.
Certo, bisogna vigilare sulla qualità dell’informazione,
districarsi tra sensazionalismi e chiasso improduttivo. Ma in
definitiva, ciò che per molti è superficialmente etichettato
come catastrofismo, per altri ritenuto uno scarico di responsabilità, io semplicemente lo chiamo prevenzione, parola positiva e propositiva che ci può salvare la vita.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
4
Attualità
rosa
&
cactus
OFFERTI DA
Piazza Muraccio, Locarno
Tel. 091 751 72 31
Fax 091 751 15 73
una rosa a...
un cactus a...
Paolo
Basso
Norman
Gobbi
Per la prima volta nella sua
storia, la compagnia aerea
di bandiera francese si
affida ad un sommelier
straniero per la scelta dei
vini a bordo dei suoi aerei.
Un ulteriore riconoscimento
per lo specialista ticinese.
La perizia giuridica per i
bambini ecuadoriani
scolarizzati a Contone suona
come una clamorosa
sconfitta per il ministro
leghista, contrario all’idea
di accettare i ragazzini
tra i banchi.
Il dramma. Da Wilderswil a Genestrerio.Omicidi
seguiti da suicidi. Casi atroci che si ripetono sempre uguali.
Innescati da disagi psichici,ma pure da motivi passionali
La morte all’ombra del“femminicidio”
Dietro la tragedia di Stabio ancora una donna in fuga da minacce e paura
MAURO SPIGNESI
D
a Wilderswil a Stabio, da nord a sud.
Una scia di sangue, come quella scoperta giovedì mattina davanti al cimitero di Genestrerio, attraversa paesi e
città. Omicidi seguiti da suicidi,
drammi familiari scatenati da follia, gelosie, violenze. O da separazioni, come quella annunciata
dalla donna Tamil con una lettera scritta dal suo
avvocato all’ormai ex marito che l’ha uccisa con
tre coltellate, per poi caricarla in macchina, arrivare in una piazzuola a Stabio e farsi divorare dalle
fiamme. Una morte all’ombra del “femminicidio”:
la vittima, che aveva 50 anni, era in fuga dalla
paura, e si era rifugiata in una “casa protetta”.
Per vederla il marito dal quale scappava, un uomo
di 60 anni, l’ha attesa davanti alla fabbrica dove lavorava. L’aveva fatto altre volte, tanto che lei si era
rivolta a un avvocato e aveva ottenuto che l’uomo
le stesse a “distanza di sicurezza”. Ma lui, forse
proprio perché pochi giorni fa aveva ricevuto una
lettera di convocazione in Pretura, è tornato alla
carica, forse ha perso la testa, l’ha colpita con un
coltello. Poi, secondo una prima ricostruzione di
questa tragedia, ha caricato il corpo della vittima
in auto. Come capolinea di due vite spezzate ha
scelto una piazzuola sulla cantonale che porta alla
dogana di Gaggiolo, in territorio di Stabio. Qui un
operaio ha visto il fumo e le fiamme avvolgere
l’auto con le due persone a bordo. Nessuno, dai diversi distributori di benzina ai lati della cantonale,
o dal bar non lontano, ha notato la macchina arrivare. “A parte due ragazzi e l’operaio che ha tentato di bloccare le fiamme con un estintore”, raccontano in un garage non distante. Soltanto dopo ore
di indagini e notizie raccolte dalla polizia tra Genestrerio e Stabio, tra la piazzuola e il sangue davanti
al cimitero, il collage della tragedia, di un delitto
seguito da un suicidio, è stato ricomposto. “Dietro
fatti come questo c’è sempre un disagio profondo,
una seria difficoltà nell’ affrontare gli imprevisti
della vita. Una difficoltà che scatena violenza e
morte e che noi specialisti chiamiamo femminicidio”, spiega il criminologo e psichiatra Francesco
Bruno, che ha studiato a lungo il fenomeno molto
frequente in Italia (128 casi registrati soltanto
l’anno scorso). Lo stesso oscuro sfondo di amore e
passione, di laceranti separazioni su cui si innescato il dramma di Wilderswil, vicino ad Interlaken,
Una lettera del legale per chiedere
la separazione forse alla base del
delitto scatenato da ira e gelosia
costato la vita a tre persone, con la tragica spirale
di un duplice omicidio e di un suicidio. Tornando al
Ticino, la donna giovedì stava andando a lavorare
in una azienda di orologeria dove era stata assunta
da qualche anno. Lui, che ha un figlio adulto, era
in pensione di un po’ di tempo. Schivi, chiusi e discreti, entrambi facevano parte della comunità Ta-
mil che a Stabio, come ricorda un assistente sociale, “conta diversi nuclei familiari. È tutta gente
tranquilla, mai un problema, ma preferiscono frequentarsi tra di loro”. Ed è quello che è accaduto,
a quanto sembra, fra il sessantenne e la donna. Lei
era anche impegnata nel volontariato. Ultimamente però si sarebbe aperta e avrebbe confessato ad
alcuni compagni di lavoro di aver paura. Da qualche settimana viveva in una casa protetta per donne a rischio. Una misura presa in casi molto gravi.
Inutile, tuttavia, chiedere una conferma alla responsabile della struttura dove si dice che la donna
fosse ospite: “Non rilasciamo mai dettagli su fatti
di cronaca. Rimandiamo al comunicato della polizia”. Ma se questo particolare fosse vero, se la donna fuggiva dalla paura o da violenze, come avrebbero intuito i colleghi dalle sue poche parole, la vicenda avrebbe l’angoscioso contorno dell’ennesimo “femminicidio”.
[email protected]
Q@maurospignesi
Ti-Press
Keystone
WILDERSWIL
LUNEDÌ
3 NOVEMBRE
Un portoghese e e
uccide la ex mogli .
il nuovo compagno
Un dramma dettato
dalla gelosia
STABIO
GIOVEDÌ
6 NOVEMB
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Un 60enne
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compagna. a
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l fuoco
La trattativa Sarà perfezionato a giugno prossimo il passaggio di proprietà del complesso Moncucco - San Rocco alle due fondazioni Fai e Praxedis
legali, organizzativi e fiscali per
portare a termine la procedura
di acquisto. Salvo improbabili
colpi di scena, il futuro della Clinica Luganese sembra, quindi,
deciso. L’interesse della Con-
gregazione religiosa è, infatti,
quello di realizzare con la vendita un capitale che le permetta di
ripianare i deficit accumulati
nella gestione dell’Ospedale
Valduce di Como, e la somma
offerta dalle fondazioni di Respini è quanto mai allettante
per poter far fronte a questa necessità. Ma soprattutto è di quasi tre volte superiore al prezzo
che era stato stimato dalla perizia commissionata all’inizio dell’anno dal cda della Clinica alla
Pricewaterhouse. Una stima che
da molti era ritenuta molto al di
sotto del valore reale della
struttura. Inoltre, la cessione alle due fondazioni salvaguarderebbe la continuità di quella filosofia operativa che anche a
Lugano ha contraddistinto l’attività sanitaria della Congregazione.
Secondo quanto già antici-
IL POLO SANITARIO
Moncucco e San Rocco
formano uno dei più forti
poli della sanità privata
Ti-Press
IL PRESIDENTE
Renzo Respini, 70 anni,
presidente del cda della
Clinica Luganese
Ti-Press
Un’offerta che non si può rifiutare. Sarebbe di oltre 150 milioni di franchi la proposta di acquisto della Clinica Luganese da
parte delle due fondazioni, Fai e
Praxedis, che fanno capo a Renzo Respini, attuale presidente
del consiglio di amministrazione del polo sanitario privato
Moncucco-San
Rocco. Se la
trattativa andrà
in porto, il passaggio di proprietà della Clinica, dalla Congregazione delle Suore infermiere dell’Addolorata
alle
due fondazioni,
sarà operativo
dal
prossimo
giugno.
Sette mesi ancora, ma nel
frattempo il negoziato andrà
avanti esclusivamente con FaiPraxedis che dovranno, intanto,
soddisfare tutta una serie di
adempimenti amministrativi,
Respini offre oltre 150 milioni
per tenersi la Clinica Luganese
pato dal Caffè, l’operazione di
acquisto sarebbe articolata in
due parti: la Fai acquisterebbe
la parte immobiliare del complesso, mentre la Praxedis si farebbe carico di quella sanitaria.
Ma il vero forziere a cui attingere per l’acquisto sembra essere
quello dalla Fai (Fondation assistance international) da tempo
impegnata nella
promozione e nel
finanziamento di
progetti di aiuto
per i Paesi in via di
sviluppo.
Insomma, l’offerta di Respini,
che si è ritrovato
nella duplice veste
di presidente del
cda della Clinica
Luganese e referente delle due
fondazioni che vogliono comprarla, ha spiazzato
tutti gli altri concorrenti all’acquisto. Dalla Genolier, il potente
gruppo sanitario privato svizzero che in Ticino gestisce l’Ars
Medica e la Clinica Sant’Anna,
al grande Centro Clinico italiano
Humanitas. Erano sei, sette i
gruppi ben quotati nella trattativa avviata dalla Congregazione per la cessione della Clinica.
In queste settimane si era fatto
avanti anche l’Ordine dei medici Ticinesi, che però non ha mai
inoltrato un’offerta concreta.
Nemmeno l’Ente opedaliero
cantonale (Eoc), dopo un primo
abboccamento, ha messo sul tavolo una proposta reale di acquisto. Forse proprio l’Eoc poteva essere il concorrente più temibile per le fondazioni di Respini, sia dal profilo delle garanzie economiche che da quello
della filosofia operativa non
profit che sta tanto a cuore alla
Congregazione. È probabile che
quello dell’Ente fosse solo un
interesse di facciata a beneficio
della pubblica opinione. All’Eoc
quello che preme veramente è
che la Clinica mantenga i servizi sino adesso garantiti, in particolare quelli della San Rocco
per la riabilitazione e le convalescenze.
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nuovi immatricolati in Svizzera: 148 g/km), categoria di ef‘cienza energetica: da A a B. Il modello raf‘gurato è dotato di equipaggiamenti speciali.
Piacere di guidare
6 ATTUALITÀ
Dopo l’inchiesta nel Comasco,
nuovi interrogativi sugli affari
della ‘ndrangheta a Lugano
MAURO SPIGNESI
Il “mister X”
Dalle indagini che
hanno portato a Como
all’arresto di 13 persone
emerge un incontro con
un “armaiolo” che non è
mai stato identificato
I progetti
L’indagine
Così boss e gregari
ottenevano in Ticino
pistole,soldi e conti
l’acquisto delle armi, comprate,
scrivono i magistrati antimafia,
“senza problemi”. Un episodio
che conferma ancora una volta
quanto il Ticino sia punto di riferimento proprio per l’approvvigionamento di fucili e pistole.
Ma anche un terreno fertile per
ottenere soldi e fare affari. Sempre dall’inchiesta che ha portato
agli arresti nel Comasco emerge
un giro di finanziamenti, di passaggi di soldi tra Londra e Chias-
pochi chilometri dal Ticino, cioè
ad Arosio e Mariano Comense,
quando si sentono minacciati si
rivolgono prima ai capi locali.
Cercano alleanze, protezione.
Ma il boss dal quale possono ottenere aiuto è finito nel frattempo agli arresti.
E allora ecco la decisione, su
consiglio di un altro boss, di rivolgersi all’armaiolo ticinese
che i magistrati non hanno identificato. Un viaggio a Lugano e
so e il progetto di acquistare un
negozio di “compro oro”. Protagonisti imprenditori edili e un
consulente finanziario con una
società a Lugano, alcune volte
citato come “direttore di banca”,
il cui nome compare in più pagine dell’ordinanza d’arresto. I
boss cercano soldi per finanziare
diversi lavori, compreso un cantiere a Rho, mettendo a garanzia
box per auto. Si recano in una finanziaria, poi in una banca di
1
2
3
GLI ARRESTI
La mattina del 27 ottobre i
carabinieri del Ros eseguono 13
arresti nel Comasco. In carcere
imprenditori, un politico e
esponenti della cosca Galati.
LE ACCUSE
Le accuse vanno dall’associazione
di tipo mafioso alla detenzione di
armi fino all'intestazione fittizia di
beni. E poi la ristrutturazione di un
palazzo a Rho e appalti all’Expo.
IL CONSULENTE
Nelle carte compare più volte
Lugano, come centro per
l’acquisto di armi e per trovare
finanziamenti. A muovere i fili, per
l’accusa, un consulente finanziario.
7
LA SANITÀ
FRANCESE
La Francia, il
cui sistema
sanitario è
considerato
uno dei
migliori,
stando alle
classifiche
dell’Oms,
attira sempre
più pazienti
dalla
Svizzera
veniente attraversare la frontiera. “Salvo casi eccezionali direi
che, in effetti, può risultare economicamente conveniente recarsi in uno studio medico di un
Paese confinante, almeno per le
cure ambulatoriali”.
A Parigi, ad esempio, il consulto presso un medico generalista può costare poco sopra i 20
euro, mentre a Ginevra arriva a
toccare i 160 franchi. E poco importa se, come si difendono i
professionisti svizzeri, da noi le
visite sono più accurate. E, magari, diversamente da quelli
transalpini, gli studi dei medici
svizzeri sono meglio attrezzati.
Mauro Poggia ammette che
andare a farsi curare da un medico francese può costituire
un’alternativa:
“Dobbiamo
prendere atto - aggiunge - che
il fenomeno esiste ed è tutt’altro
che marginale. Inoltre, dobbiamo ammettere che è la conseguenza dell’onere finanziario,
che molti cittadini sono costretti
a sobbarcarsi per gli elevati premi delle casse malati”.
[email protected]
Per spendere meno
i ginevrini si curano
dai medici francesi
A Parigi un consulto costa un terzo rispetto alla Svizzera
FRANCO ZANTONELLI
La Francia, il cui sistema sanitario - stando alle classifiche
dell’Oms - è considerato uno dei
migliori del pianeta, attira sempre più pazienti dalla Svizzera
romanda. Da Ginevra sono, ormai, in tanti a recarsi in Alta Savoia, non solo dal medico ma,
anche, dal dentista. E proprio
un’odontoiatra di Allonzier-laCaille, località savoiarda distante una trentina di km dalla città
elvetica, ricorda che, attualmente, almeno il 5 per cento
della sua clientela arriva dalla
Svizzera. Ma da alcuni suoi colleghi, con studio a ridosso del
confine, i pazienti svizzeri supererebbero il 20 per cento. Oltretutto pazienti con una bocca assai poco curata.
“Sono spesso sorpreso - ha
infatti dichiarato il dottor Marc
Schwing, al quotidiano Le
Temps - del cattivo stato dei
denti di molti degli svizzeri che
si presentano al mio studio”. E
che vanno a farsi curare nella vicina Francia, perché non in gra-
Mauro
Poggia
“Salvo casi
eccezionali
direi che, in
effetti, può
risultare
conveniente
recarsi in
uno studio
medico
di un Paese
confinante”
do di sostenere le tariffe, assai
più care, di un dentista romando. In realtà, stando ad un’indagine recente, effettuata proprio
a Ginevra, il 23,5 per cento di
chi ha un reddito mensile inferiore ai 3’000 franchi mensili ha
definitivamente rinunciato ad
aver cura dei propri denti. Almeno in Svizzera.
Ma quello delle cure dentarie oltre confine sarebbe solo
una piccola spia di un problema
ben più ampio. Che è stato sviscerato, tra l’altro, nel 2012, da
una ricerca effettuata dall’Hug,
gli Ospedali universitari di Ginevra. Ricerca che ha appurato
come il 15 per cento circa dei ginevrini rinunci a curarsi, per ragioni di tipo finanziario. Il che
avrebbe innescato un ragionamento alquanto strano: ci si rivolge a un medico francese poiché, a conti fatti, costa meno
che pagare la franchigia, necessaria per consultarne uno svizzero.
La si metta come si vuole,
ciò si traduce in uno schiaffo al
sistema delle casse malati. “Bi-
sogna tener presente - avverte il
consigliere di Stato Mauro Poggia, responsabile del Dipartimento Sanità e socialità di Ginevra - che paradossalmente non
sono gli assicurati più benestanti che scelgono le franchigie elevate, bensì coloro che fanno parte delle classi medie e medio
basse. Questa gente si comporta
così sperando, al contempo, di
mantenersi in buona salute”.
Dunque, trovandosi nella
necessità di consultare un medico, per loro può essere più con-
Dalle intercettazioni
un flusso di soldi per
finanziare cantieri edili
e progetti per comprare
un garage e un negozio
di “compro oro”
Due revolver calibro 38 e poi
una pistola calibro 9 e proiettili.
Armi acquistate a Lugano da tre
fratelli, vittime di un pestaggio,
grazie all’intercessione di esponenti della ‘ndrangheta radicati
nella provincia di Como. Insieme a strani traffici di denaro e
affari nel campo immobiliare: è
l’intreccio criminale che emerge
dalla carte dell’inchiesta della
procura antimafia di Milano che
nei giorni scorsi ha portato in
carcere tredici persone. Tutte
accusate, a diversi livelli, di far
parte di una banda capace di
mettere in atto speculazioni edilizie e di allungare le mani su subappalti, tra i quali anche alcuni
legati all’Expo di Milano.
Dalle 800 pagine dell’ordinanza dei magistrati, coordinati
dal procuratore Ilda Bocassini, e
dove si spiegano anche le alleanze con il mondo economico e
ambienti politici corrotti, vengono fuori una serie di intercettazioni telefoniche in cui si parla di
un misterioso “mister X”, un armaiolo che vive in Ticino. È a lui
che si rivolgono i tre fratelli che
hanno necessità di armi per difendersi dopo una serie di atti
intimidatori da parte di frange
della criminalità organizzata di
cui sono vittime. Pestaggi, lancio di molotov, colpi di pistola
contro le auto. I tre, residenti a
Bellinzona e in un’altra di Chiasso. Dalle intercettazioni filtrano
trattative per ottenere i soldi. E
si parla di un’altra pista: milioni
che da Londra dovrebbero passare a Lugano, su un conto bancario. Un boss dice a un altro di
non preoccuparsi, di giustificarsi
con il funzionario dell’istituto
così: “Basta, son soldi in nero,
glielo dici, le banche dei soldi
neri non gliene frega niente.
L’importante è che non sia qualcosa d’altro, armi eccetera”. Tra
i finanziatori dei lavori, come
avrebbero accertato i magistrati, anche un medico, con recapito presso la libera università di
Herisau, in Appenzello, che alla
fine come garanzia ottiene un
assegno. Ma sempre nelle intercettazioni, quando affiora l’ipotesi di reinvestire in Ticino parte
dei ricavi degli affari nel Comasco, si parla anche di progetti futuri. Uno dei boss dice: “Quando
sono libero e le cose andranno
bene, voglio aprire a Lugano. Allora lì c’è un lavaggio con gommista insieme”. Un’altra idea è
quella di acquistare un negozio
“compro oro”.
Armi e soldi, dunque. E intrecci affaristi e criminali. Fatti
che fanno scrivere ai magistrati
dell’antimafia di Milano nell’ultima ordinanza che ha portato
all’arresto di tredici persone tra
affiliati alla ‘ndrangheta, politici
e imprenditori, che questa vicenda “conferma come l’omertà
sussiste anche in territori distanti per cultura da quelli dove
l’associazione è nata. E ciò grazie alla capacità della ‘ndrangheta di colonizzare territori attraverso l’esportazione dei tratti
del metodo mafioso”.
[email protected]
Q@maurospignesi
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
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IL CAFFÈ
9 novembre 2014
8 ATTUALITÀ
Lastoria
Paola Pizzimenti. Nella
scuola elementare di Chevrot,borgata
nei pressi di Aosta,insegna una
maestrina davvero formidabile.Si è
inventata una gemella,Pauline.I suoi
bambini la preferiscono. Ed è così
che in Valle d’Aosta imparano la lingua
francofona contemporaneamente all’italiano.
Una singolare realtà didattica che siamo andati a scoprire
“La mia alter ego
parla solo francese
agli allievi in classe”
ANNA LIETTI, L’Hebdo
Foto LEA KLOOS
I
UNA FELICE CONCORDANZA
LINGUISTICA E CULTURALE
Italiano e francese. Una
comunione linguistica che
in valle d’Aosta sembra
funzionare perfettamente.
Nelle indicazionini stradali,
nei negozi, per le strade...
Soprattutto a scuola, dove
l’insegnamento della lingua
di Molière ha una peculiarità
mai sentita altrove.
valdostani parlano francese? La
domanda sembra scontata. Se
viene però posta agli autoctoni
si ottengono delle risposte assolutamente spiazzanti. Alcuni diranno che “si parla beninteso il
francese” e che basta guardarsi
attorno per capire che ci si trova
in una regione ufficialmente bilingue. I cartelli, le scritte e i
nomi delle località lo testimoniano. Gressan, Gignod, Chavensod. E anche i nomi dei palazzi pubblici sono indicati in
francese e in italiano.
Per altri invece si tratta di
uno specchio per le allodole. La
realtà sarebbe molto meno idilliaca e il bilinguismo una semplice scusa per incassare i soldi
che arrivano da Roma, in ossequio allo statuto di autonomia di
cui gode la regione. I più pessimisti sono perentori. Secondo
loro al massimo una persona su
mille risponderebbe in francese
a un turista in difficoltà.
Abbiamo fatto un esperimento. In due giorni di visita ad
Aosta, abbiamo praticamente
parlato solo la lingua
di Molière. Abbiamo
chiesto informazioni
per strada, ci siamo
ragguagliati
sui
prezzi dei pacchi postali, provato delle
scarpe in un negozio
e visitato delle scuole. Solo in tre occasioni, su una cinquantina, ci hanno
risposto in italiano.
In un chiosco di giornali, da un’anziana
signora e in un parco
dei
divertimenti.
Conclusione: i valdostani parlano il francese. E anche piuttosto bene.
Quasi tutti però
all’inizio del discorso si scusano
per il basso livello. Soprattuto
quelli la cui padronanza della
lingua sembra essere più evidente. Falsa modestia? No, insicurezza linguistica frutto della
storia, in una regione spesso
teatro di vere e proprie “guerre” tra gli idiomi.
Pietro Binel ha 21 anni ed è
studente al terzo anno presso la
Scuola politecnica federale di
PAOLA E PAULINE
Nella scuola di Chevrot,
vicino ad Aosta, la giovane
maestra Paola Pizzimenti si
sdoppia per raccogliere la
sfida proposta ai docenti
valdostani. La stessa persona
deve insegnare in italiano e in
francese. Paola è la più seria e
fa lezione nella lingua di Dante,
mentre Pauline è il suo alterego francofono. Le due
“gemelle” si dividono
esattamente il tempo di lavoro
Le lingue e le leggi
LO STATUTO
SPECIALE
La Valle d’Aosta
gode dei vantaggi
di una regione
autonoma.
Ufficialmente si
parla il francese
e l’italiano
L’IMBARAZZO
LINGUISTICO
Il 75% dei
valdostani dice di
parlare il francese.
Ma lo scarso uso
nella vita
di tutti i giorni ne
causa il regresso
Losanna. Ha vissuto sulla propria pelle l’imbarazzo linguistico. “Era stranissimo - dice Binel
-, capivo tutto, ma mi sfuggiva il
mio grado di competenza. E
quando, dopo appena un mese,
mi sono reso conto che il francese era tornato ad essere una lingua famigliare, ero sorpreso.
Eppure lo impariamo dalle elementari. Purtroppo non abbiamo molte occasioni per esercitarlo nella vita di tutti i giorni”.
Il 75% dei valdostani afferma di parlare la “langue”, ma il
suo uso è in diminuzione. E se
alcuni la considerano ormai un
tesoro perduto, si riferiscono al
LA REPRESSIONE
FASCISTA
Durante il ventennio
fascista il francese
fu praticamente
sradicato dal
regime. Ancora
oggi si avvertono
le conseguenze
IL TENTATO
RECUPERO
Negli anni Ottanta
si introduce il 50%
delle lezioni in
francese. Ma la
percentuale è in
calo. I docenti sono
impreparati
tempo in cui il francese non andava studiato a scuola, ma era
ancora parlato in famiglia.
Venticinque anni fa eravamo
già stati a Chavensod, poco lontano da Aosta. Volevamo accertarci di quella che era considerata una vera e propria rivoluzione. L’insegnamento bilingue
a partire dalla scuola dell’infanzia. Un cambiamento, una scelta ambiziosa. Educare al francese una terra che il fascismo, durante il ventennio, voleva italianizzare. Già nel secondo dopoguerra si cercò di ristabilire in
qualche modo l’equilibrio, ma
alla fine i risultati furono deci-
IL NUOVO PROGETTO
PILOTA
“Ecole VdA” è una
rivoluzione. Docenti
formati “ad hoc” e
aumento delle ore
in francese. E c’è
pure l’inglese dai
primi anni
samente scarsi.
Nelle classi di Chavensod si
respirava per contro l’entusiasmo. Gli insegnanti facevano ritorno motivatissimi dagli stage
linguistici in Svizzera e Francia.
“C’era una bella effervescenza”,
conferma la linguista neocastellana Marinetta Matthey, che
aveva dapprima formato degli
insegnanti per la scuola materna e poi toccato con mano i mirabolanti risultati di quell’esperienza.
Oggi Patricia Bérard, insegnante di quinta elementare,
con i suoi allievi ottiene ottimi
risultati, testimoniati dal buon
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COME FU CHE UN
TUNISINO SPOSÒ
UNA TICINESE
Andrea Vitali
LE PAROLE
DEL 2013
Autori
vari
SAPORI
E MITI
Cenni
Moro
livello esibito dalla recita in
classe improvvisata dagli allievi. A casa l’insegnante parla il
francese, ma per sua stessa ammissione il progetto non ha sortito gli esiti sperati. All’atto pratico, l’obiettivo del 50% delle lezioni nell’idioma francofono è
rimasto un’illusione, la semplice postilla di un regolamento. I
docenti più ligi al dovere riescono al massimo a raggiungere il
30-40%. Ma molti non hanno né
la voglia né il livello per poter
fare di più del 10-20%. “Le
competenze sono in calo - precisa Bérard -. Bisognerebbe reinvestire massicciamente nella
formazione degli insegnanti”.
Nella scuola elementare di
Chevrot, altra borgata nei pressi
di Aosta, insegna una maestrina
formidabile, Paola Pizzimenti. Si
è inventata una gemella, Pauline, che parla solo il francese.
L’alter-ego d’Oltralpe porta le
ciabatte, un cappello a punta.
“È la preferita dai miei allievi dice la docente -. Quando ci sono io mi chiedono sempre di lei.
Certo, Pauline è più divertente”.
Paola ha risolto un problema
ricorrente. In Val d’Aosta ad occuparsi dell’insegnamento bilingue è la stessa persona. Perché allora parlare in francese a
qualcuno che conosce l’italiano?
L’impegno del docente è determinante. Quando tutto va
per il meglio i risultati sono eccellenti. In realtà da almeno 15
anni l’insegnamento in francese
perde terreno. Troppa la libertà
di cui godono i maestri, con la
compiacenza delle direzioni
scolastiche. Allora, c’è in vista
un nuovo progetto pilota, chiamato “Ecole VdA”, che propone,
tramite docenti di provata competenza, l’insegnamento di più
delle metà delle ore in francese,
con anche l’introduzione all’inglese già alle elementari. Una
rivoluzione, collaudata con successo nelle regioni bilingue del
Canada e dell’Alsazia.
Etienne Andrione è un genitore che sostiene al 100% la
nuova proposta. “Prima di arrenderci alla sparizione del
francese - dice -, dobbiamo provarle tutte. Per i valdostani il bilinguismo deve tornare ad essere qualcosa di naturale”.
(traduzione e adattamento
di Omar Ravani)
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
Politica
9
È Gobbi il ministro
che spenderà di più
per salari e personale
IL
PUNTO
CHANTAL
TAUXE
La caduta
del Muro
è alla base
dell’Europa
Solo il dipartimento delle Istituzioni
aumenterà la spesa per i dipendenti
+ 4,4
milioni
Stipendi e contributi
I collaboratori statali
nel 2015 costeranno
oltre un miliardo di
franchi. Nel 2000 la
spesa era di 735 milioni
Oltre 11mila “posti”
Fra docenti, impiegati,
avventizi, incaricati e
temporanei, la pubblica
amministrazione ha
raggiunto quota 11.500
Il risparmio
Le misure di risparmio
prevedono tagli di 1,5
milioni per ausiliari,
stages e il personale
addetto alla pulizia
Tagli, risparmi, cinghie che si stringono. La parola d’ordine a Bellinzona è
riequilibrare i conti. Un piano complessivo per risalire dal rosso annunciato
nel preventivo. Cominciando con il personale della pubblica amministrazione
che ormai veleggia tra costi di oltre un
miliardo. Ma non tutti i dipartimenti
sembra stiano remando in questa direzione. Guardando i conti il segno meno
è presente ovunque, e spicca all’Educazione, cultura e sport con oltre un milione. Ma non compare alle Istituzioni
dove invece si registra il segno più.
Che tradotto in cifre vuol dire una spesa in più di quasi 4 milioni e mezzo.
Ti-Press
CLEMENTE MAZZETTA
I RISPARMI
Prima notizia: il costo del
personale dello Stato per il 2015
supererà la soglia del miliardo di
franchi, nonostante un lavoro di
limitura in fase di preventivo di
quasi 12 milioni. Dieci anni fa
era stato di 815 milioni. Nel
2000 s’aggirava attorno ai 735.
Un aumento, in 15 anni, di un
terzo abbondante.Seconda notizia, più interessante: tutti i dipartimenti hanno cercato di
contenere le spese. Eccezion fatta per il dipartimento delle Istituzioni che ha aumentato le proprie uscite per il personale di 4,4
milioni, pari al 2,2% in più rispetto all’anno passato.
“Una maggiore uscita da
ascrivere principalmente al potenziamento della polizia cantonale”, spiega il governo rispondendo a precise domande del
Plrt in commissione della Gestione per avere un “dettagliato
e trasparente resoconto dipartimento per dipartimento, per conoscere quali sforzi sono stati
eseguiti per contenere la spesa”.
Il resoconto mette in croce il
leghista Norman Gobbi, titolare
del dipartimento delle Istituzioni, che contrariamente a quanto
aveva sempre “predicato” la Lega dai banchi dell’opposizione,
invece di ridurre ha potenziato
gli effettivi e le spese complessive del suo dipartimento. E dire
che neanche tre anni fa il leader
della Lega, Giuliano Bignasca,
aveva chiesto la testa di dieci
funzionari dalle pagine del Mattino della domenica, al culmine
di una campagna contro l’eccesso della burocrazia e le
troppe assunzioni dello Stato.
Numerose
poi le interrogazioni della Lega
per sapere nel
dettaglio il numero degli impiegati pubblici, i costi sostenuti per il personale avventizio, la spesa per
i docenti, il numero degli dipendenti pubblici frontalieri.
Domande quasi
sempre arenatisi davanti a risposte dettagliatissime, ma nella sostanza evasive.
Anche Gobbi, da semplice
deputato, aveva puntato l’attenzione contro l’elefantiasi della
pubblica amministrazione. Nel
2002 aveva sollecitato il Canto-
Aumenti e riduzioni della spesa
per il personale
rispetto al preventivo 2014
Dipartimento
Sanità e Socialità
-1%
-0.9 milioni
Dipartimento Educazione,
Cultura e Sport
-0.3%
-1.1 milioni
Dipartimento
del Territorio
-0.3%
-0.3 milioni
Dipartimento delle Finanze
e dell’Economia
-0.1%
-0.3 milioni
Dipartimento
delle Istituzioni
+2.2%
+4.4 milioni
Fonte: Amministrazione cantonale
ne a darsi degli obiettivi sostenibili anche per il personale in
considerazione del fatto che non
aveva ottemperato all’indicazio-
ne del parlamento di ridurre il
personale del 2% anno dopo anno. “Si dica di quanta gente ha
realmente bisogno per gestire il
I conti
I 5 consiglieri di Stato
costano oltre un milione
Ti-Press
Superata la barriera psicologica del miliardo di
spesa per il pubblico impiego. È bastato un aumento di 1,7 milioni, una crescita dello 0,2% rispetto all’anno passato, per superare la soglia. Il
giro di boa avverrà nel corso del 2015.
Un miliardo di franchi significa che sulle spalle
di ogni ticinese, dai neonati ai centenari, peseranno quasi tremila franchi nel solo 2015. Un costo
che ha molti “protagonisti”: 460 milioni se ne vanno per i salari del personale amministrativo. Altri
305 per quelli dei docenti di ogni ordine e grado.
A seguire 21 milioni per sostenere il costi delle
“Autorità” e dei giudici: nel dettaglio i cinque consiglieri di Stato costano un milione e 200 mila
franchi l’anno. I magistrati 15 milioni. I 90 deputati due milioni.
Un’altra posta consistente è determinata poi
dai contributi dello Stato come datore di lavoro: si
tratta di 193 milioni, suddivisi fra oneri sociali e
costo del risanamento della Cassa pensione dei dipendenti pubblici (34 milioni). Un’altra decina di
milioni se ne va fra prepensionamenti dei dipendenti pubblici (4,6) e per le pensioni degli ex consiglieri di Stato e dei magistrati, circa 5 milioni e
mezzo. Il quadro è completato da altri 8 milioni di
spese per il personale comprendenti l’aggiornamento professionale, dagli apprendisti ai corsi postuniversitari. Il tutto per un miliardo e 500 mila
franchi, il 28% della spesa complessiva, gran parte
del gettito fiscale di 1,8 miliardi.
suo funzionamento e si cerchino
reali soluzioni alla gestione finora deficitaria, del personale”,
aveva chiesto perentoriamente
il deputato Gobbi al governo di
allora.
Ora da ministro è tutt’altra
musica. Questioni di sicurezza,
di organizzazione, di pronto intervento, di controllo. Ragioni
anche comprensibili. Fatto sta
che invece di ridurre la spesa, si
aumenta. Gli altri dipartimenti,
spiega il governo, presentano
per contro una riduzione del costo per i propri dipendenti: meno 900 mila franchi il dipartimento Sanità e socialità di Paolo
Beltraminelli, meno 300 mila
per il Territorio di Claudio Zali.
Meno 300 mila anche per il dipartimento Finanze di Laura Sadis. Meno un milione e centomila franchi per quello di Manuele
Bertoli, che è anche “fortunato”,
avvantaggiato dal fatto che nel
2015 andranno in pensione un
centinaio di docenti che saranno
sostituiti da giovani con un livello salariale ovviamente minore.
Cosa che gli consente di realizzare un risparmio iniziale consistente.
Il personale della pubblica
amministrazione, fra docenti,
impiegati, avventizi, incaricati e
temporanei, ha però ormai superato le 11.500 unità (mille in
più rispetto a 15 anni fa). Il Consiglio di Stato, dovendo contenere la spesa, ha deciso per il
prossimo anno di non intervenire direttamente sui salari, ma di
concentrare i propri interventi
sul controllo della struttura amministrativa.
La decisione consiste nel ridurre la spesa per il personale di
2.5 milioni di franchi attraverso
una riduzione del numero dei
funzionari. Questa misura verra
concretizzatapartendo dalla normale fluttuazione del personale
e analizzando ovviamente le necessita del servizio.
In altre parole le misure di
risparmio previste del governo
sul personale sono rimaste quelle di sempre: mancata sostituzione delle partenze (cosa che
dovrebbe comportare un calo di
23 posti a tempo pieno, ad
esclusione dei docenti), riconferma dei tre mesi per la sostituzione del personale, blocco di
potenziamento, stop alle accelerazioni di carriera e agli aumenti
straordinari di stipendio, blocco
delle rivalutazioni delle funzioni
e così via.
Diminuiscono anche le spese
per il personale ausiliario, gli
stagiaires e il personale di pulizia (-1,5 milioni).
[email protected]
Q@clem_mazzetta
Questa domenica si commemorano i 25 anni dalla caduta
del Muro di Berlino. Appena
una generazione più tardi, non
è assodato che comprendiamo
ancora tutte le implicazioni di
un evento che nessuno aveva
visto arrivare: l’implosione del
colosso sovietico.
La storia non si è conclusa,
malgrado quanto allora il filosofo Francis Fukuyama credette
opportuno decretare. Il senso
della storia potrebbe invece essere radicalmente messo in discussione dall’ambizione “putiniana” del voler lavare l’umiliazione subita dall’impero russo,
ma già conosciamo alcune delle
possibili conseguenze.
La riunificazione della Germania, ma anche l’entrata massiccia dei Paesi dell’Est nell’Unione europea, che nel 1989
- quando si è aperta la prima
breccia nel Muro - non contava
che 12 membri. È forse opportuno che noi svizzeri ci interroghiamo sui motivi che, da quel
9 novembre, hanno spinto tutti
gli altri Paesi del continente
(salvo i decentralizzati Norvegia, Islanda e il piccolo Liechtenstein) a partecipare alla
costruzione europea?
I primi a compiere questo
passo, nel
1995, sono stati i
nostri expartner
nell’Aels,
l’Associazione europea di
libero
scambio, che per molto tempo ha
raggruppato l’altra Europa: Austria, Finlandia e Svezia. È accanto a loro che la Svizzera ha
negoziato lo Spazio economico
europeo, una sorta di bacino di
decantazione prima di accedere
al grande mercato.
Dopo il Nord, l’Est. Gli ex
vassalli dell’Urss hanno compiuto sforzi colossali per un decennio per portare la loro economia ad un livello superiore,
ottenendo il loro biglietto d’ingresso nel 2004, accanto a Cipro e Malta, due isole che non
vogliono restare sperdute nel
Mediterraneo e si alleano dunque con il continente con cui
hanno condiviso una lunga storia comune. L’Ue passa così a
25 membri. L’interesse dei nuovi venuti non è solo economico,
ma anche legato alla sicurezza.
L’Ue è infatti accompagnata anche dall’ombrello della Nato. La
Bulgaria e la Romania seguono
nel 2005, la Croazia nel 2012.
Allo stesso tempo, la Svizzera si
è sfiancata nell’attaccare il proprio vagoncino alla locomotiva
europea. Mantenendo una sovranità di facciata.
Si sono sbagliati tutti? Perché non hanno scelto tutti di rimanere indipendenti come noi?
Potrebbe forse essere che siamo
noi ad aver sbagliato epoca, o
secolo, non captando la nuova
dinamica su tutto il Vecchio
Continente, la regione ancora e
sempre più prospera al mondo
e che assicura alle sue popolazioni la migliore qualità di vita?
Questo 9 novembre è un buon
giorno per porsi questa domanda, tanto più che l’uomo e il
partito (Christoph Blocher e
l’Udc) che hanno ispirato questa scelta di fare gruppetto a sé,
ponendo il Paese in una posizione di vassallo clandestino, pretendono ancora e sempre di allontanarci dalla casa europea.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
Economia
10
11
L’agricoltura
I
NUMERI
LORETTA
NAPOLEONI
Quel sottile filo d’olio
scampato alla mosca
Reuters
5 litri
Scarsi. È quanto olio
prevedono di ottenere
a Gandria dai 75 chili
di olive raccolte a fine
ottobre nell’uliveto
affacciato sul Ceresio.
Nel 2013 al frantoio
erano giunti 750 chili.
15%
STEFANO PIANCA
200
È la resa media
dell’olio ricavato
dalla spremitura
delle drupe. Ma la
quantità può essere
anche inferiore
quando la stagione
piovosa rovina il frutto.
Le bottiglie d’olio che
Tamborini stima di
imbottigliare nel 2014.
La mosca olearia ha
colpito la sua
produzione, inferiore
rispetto alle 1.200
bottiglie del 2013.
A Lugano anche gli ulivi sono in crisi. Dai pendii terrazzati
di Gandria, che ospitano una
bella piantagione messa a dimora quindici anni or sono, filtra la notizia di un raccolto
scarsissimo, appena 75 chili di
olive, oltretutto “brutte brutte”.
Colpa del maltempo e di un terribile insetto, la mosca olearia.
Il paragone coi 750 chili
della stagione precedente appare impietoso. Ma più che il peso
è il volume della spremitura
prevista in frantoio a far sorridere: “Si raggiungeranno a ma-
“Oggi trema il Lussemburgo
poi toccherà alla Svizzera”
L’analisi di Bernasconi sui contraccolpi per Berna
dello scandalo fiscale che sta sconvolgendo l’Ue
La strategia
1
Reuters
IL FISCO LEGGERO
Nel Granducato hanno trovato
rifugio migliaia di società, grazie al
sistema fiscale molto permissivo.
Il reddito pro capite è di 110mila
dollari (78mila fr. in Svizzera).
2
3
IL GRANDE TRAGHETTATORE
Jean-Claude Juncker (nella foto),
nei suoi 18 anni da primo
ministro, del Lussemburgo, dal
1995 al 2013, ha contribuito in
maniera decisiva allo sviluppo
del sistema fiscale.
LA TAX RULING
È una norma legale che permette
a un’azienda di concordare in
anticipo come sarà trattata dal
Fisco e ottenere così delle
garanzie giuridiche. Fra le favorite
le grandi multinazionali.
Reuters
A 25 anni dalla caduta
del Muro di Berlino e dalla
fine del comunismo la Russia è travolta dalla quarta
tempesta perfetta economico finanziaria: la prima, nel
1989, disintegrò il sistema
economico comunista, la seconda, nel 1998, fece crollare il rublo, la terza, nel
2008, consegnò l’economia
nelle braccia della recessione. La crisi attuale, ahimè,
ripropone lo stesso copione.
Alla radice del crollo del
rublo - che su base annuale
ha perso il 48 per cento rispetto al dollaro - c’è la debolezza strutturale dell’economia russa, un tema ricorrente in tutte le crisi precedenti. Come nel 2008, la caduta dei prezzi del petrolio e
del gas naturale ha provocato una contrazione dell’economia, dal momento che
quella Russa dipende eccessivamente dall’andamento
del settore energetico. Le
sanzioni economiche imposte a causa dell’annessione
della Crimea e la crisi in
Ucraina, che non accenna a
risolversi, altro non sono
che déjà vu della crisi causata dalla guerra in Georgia
del 2008.
Anche l’atteggiamento della
banca centrale
non si distacca
dalle politiche monetarie del
passato. Dopo aver
speso circa
30 miliardi
di dollari nel mese di ottobre per difendere il tasso di
cambio del rublo, questa
settimana ha gettato la spugna ed ha dichiarato che
non spenderà più di 350 milioni di dollari al giorno per
questo motivo.
Il crollo del rublo ha implicazioni drammatiche per
il debito esterno, come avvenne nel 1998. Il costo delle obbligazioni decennali
dello Stato è già salito al
10,3 per cento, il livello più
alto dal novembre del 2009.
Ma impatta anche sul debito
delle imprese e, infatti, le
quotazioni in borsa sono
crollate.
Gli scenari che si aprono
sono tutti preoccupanti: dal
potenziamento del populismo di Putin che vuole far
credere che il Paese sia vittima di un piano diabolico
prodotto dalla dietrologia
occidentale, alla fuga dei capitali in massa, uno stillicidio monetario già sofferto
nel 1998 ed anche nel 2008.
Difficile per ora intravedere una soluzione strutturale della crisi anche perché
le previsioni sono per un ulteriore indebolimento dei
prezzi energetici dovuti, da
una parte, alla recessione e
dall’altra alla riduzione della
domanda da parte degli Stati Uniti, che grazie al fracking sono sulla strada giusta
per diventare ancora una
volta un esportatore netto di
petrolio e gas naturale. Improbabile nel breve periodo
anche una soluzione della
crisi in Ucraina e delle sue
ripercussioni sui rapporti tra
Ue e Russia. Dopo un quarto
di secolo il bilancio sul capitalismo russo è dunque quasi tanto negativo quanto
quello sul comunismo.
Con il tempo inclemente e un terribile insetto
per gli ulivi ticinesi è stata la peggiore annata
Ti-Press
Il capitalismo
di Putin
in crisi come
il comunismo
4
IL PRESSING DELL’UE
Da tempo in guerra contro
l’evasione fiscale, l’Ue mira a far
cadere i privilegi fiscali del
Granducato. In prima fila
Germania, Italia e Francia. Anche
gli Usa si sono già fatti sentire.
LIBERO D’AGOSTINO
Un fisco tagliato su misura
per le multinazionali. Per uno
scandalo che sta facendo tremare il Lussemburgo, uno dei Paesi
fondatori di quell’Unione Europea che sulla fiscalità compiacente e il segreto bancario ha
messo in croce la Svizzera. “Certo l’Ue non ci fa una bella figura,
vista la pressione esercitata sino
adesso sulla Confederazione e
considerato anche che il sistema
lussemburghese va avanti da
molto tempo”, osserva Paolo
Bernasconi, docente di diritto
penale dell’economia e attento
osservatore dell’evoluzione della fiscalità internazionale. Ma
Bernasconi avverte: “Il terremoto scatenato con le rivelazioni
del caso LuxLeaks non resterà
confinato nel Granducato e
nell’Ue, gli effetti si faranno sentire in Svizzera che fa anche largo uso della stessa tassazione
speciale per i grandi gruppi stranieri. C’è , dunque, da aspettarsi
un ulteriore pressing di Bruxelles su Berna”.
Le rivelazioni del network
internazionale di giornalismo
investigativo, l’Icij (The International Consortium of investigative journalists), pubblicate sui
giornali di 26 Paesi diversi, hanno fatto luce nel grande buco
nero di quel rigorismo di Bruxel-
Le banche
les che in questi ultimi anni ha
fatto della lotta all’evasione e all’elusione fiscale la sua bandiera. Non è bello scoprire che nel
cuore dell’Ue ci sia un paradiso
fiscale, consolidatosi all’ombra
di quel governo lussemburghese guidato per 18 anni da JeanClaude Juncker, oggi alla testa
della Commissione europea. Un
paradiso dove si sono rifugiate
migliaia di importanti società e
di holding , ben protette da una
tassazione molto favorevole
concordata preventivamente, il
famoso “Tax ruling”, che gli ha
fatto risparmiare centinaia di
miliardi di euro d’imposizione
che, altrimenti, avrebbero dovuto pagare all’erario dei loro Paesi.
L’inchiesta dell’Icij ha portato alla luce 300 società, la crème
del business mondiale, altre
centinaia tremano in silenzio. “Il
vero problema comincia ora spiega Bernasconi - poiché molti
Paesi che si sono visti sottrarre
ingenti risorse fiscali stanno
passando all’attacco contro queste multinazionali. Un attacco
che non risparmierà la Svizzera
che applica generosamente il
meccanismo dei ‘Tax ruling’.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico,
ha già avviato uno speciale programma per contrastare questa
erosione fiscale. Alla Svizzera è
stato chiesto di aderirvi e Berna
si è detta disponibile a rinunciare alla tassazione di favore. Del
LA “TAX RULING”
multinazionale vuole
 Una
sapere, ad esempio, quanto
sarà tassata se avesse una
società nel Lussemburgo,
nella quale centralizzerebbe i
profitti realizzati in altri
Paesi
Servizi
giuridici
Se la multinazionale ne
ha i mezzi, può gestire
internamente l’operazione
Società di consulenza
ottenere le informazioni
 Per
ci sono varie possibilità.
La multinazionale si rivolge, il
più delle volte, a uno dei
quattro “Big”, cioè le
grandi società di consulenza
I 4 “Big”
• PricewaterhouseCoopers
• Kpmg
• Ernst & Young
• Deloitte
Uffici
legali
di consulenza abbozzano
 Leunosocietà
schema di funzionamento e
propongono un tasso
d’imposizione all’amministrazione
fiscale lussemburghese
proposta diventa un “Tax
 Laruling”
(accordo fiscale
riservato) se il fisco ne conferma
la sua legalità
fisco appone la sua
 Ilapprovazione
sul “Tax ruling”
redatto sulla carta intestata della
società di consulenza, per esempio
Ernst & Young. La maggior parte
degli accordi sono valevoli per
cinque anni
Fonte: Icij, Le Monde
Per Franco Citterio il “Tax Ruling” come procedura non è per forza una scelta negativa
“Il Granducato
si era ben profilato
per la tassazione”
Vedere il Lussemburgo al centro della bufera nel contesto di un’Unione europea sempre più pressante sui problemi fiscali non sorprende più di tanto il mondo bancario. Anzi. Come spiega Franco Citterio, direttore dell’Associazione
bancaria ticinese (Abt), da sempre il Paese ha mantenuto
una posizione fiscalmente “ambigua” nel quadro europeo:
“Non è una sorpresa che di tutti gli aspetti problematici nell’Unione quello più critico sia quello fiscale - osserva Citterio -. Nell’Ue non esiste una tassazione comune e perciò
ogni Paese membro è libero di agire di sua iniziativa. Anche
la Commissione europea ha le mani praticamente legate,
perché per qualsiasi decisione in materia fiscale deve avere
il benestare di tutti e 27 i Paesi membri e basta un’opposizione per bloccare tutto”.
Discorso simile per quanto riguarda l’atteggiamento del
Lussemburgo verso le multinazionali e le società alla spasmodica ricerca della massimizzazione nei risparmi fiscale.
“Il Lussemburgo ha sempre avuto questo ruolo di Paese
profilato come sede ideale per società alla ricerca di vantaggi fiscali - commenta ancora Citterio -. Un caso particolare
all’interno dell’Unione europea se confrontato, ad esempio,
con quanto accade in Germania, Francia o Italia. Il Lussemburgo è un Paese piccolo, che non ha la possibilità di attrarre grandi imprese sul suo territorio e quindi ha scelto altre
strade per profilarsi”.
Secondo il direttore dell’Abt, per diverso tempo il governo e le autorità fiscali del Granducato hanno agito in
maniera piuttosto pragmatica. “Quello del Tax Ruling, ossia
di una previsione di quanto una società in determinate condizioni pagherà di tasse, non è di per sé un approccio sbagliato, al contrario - osserva Citterio -. Poter chiarire con il
fisco la propria posizione anche in anticipo può essere
d’aiuto alle imprese. Poi ci sono limiti di legge da rispettare,
anche se le regole nella fiscalità sono precise fino ad un certo punto. È però chiaro che per il Lussemburgo la pressione
è destinata a crescere nell’attuale clima di severità imposto
dall’Unione europea”. Come spesso accade quando si parla
di fisco, è difficile capire, nel confronto internazionale, chi
è diligente nel rispettare le regole e, invece, chi è meno zelante.
m.s.
resto, la Riforma III delle imprese serve anche per compensare
le perdite che questa rinuncia
comporterà”.
Secondo Bernasconi, dopo il
LuxLeaks, si assisterà ad uno
SwissLeaks. Difatti, quando
l’opinione pubblica internazionale resta sconcertata davanti
alla scoperta che migliaia di società sfuggono al fisco dei loro
Paesi, i politici sono costretti a
correre ai ripari. E la corsa è già
cominciata negli Usa dove nel
mirino del fisco sono finiti grandi gruppi che hanno spostato
all’estero la sede fiscale. “Credo
che al prossimo vertice del G20
del 15 novembre, l’Ocse farà
passare un brutto quarto d’ora a
Svizzera, Olanda, Irlanda e all’australiana Brisbane per la loro
ottimizzazione fiscale aggressiva”dice Bernasconi. Nell’Ue si
profila un nuovo giro di vite contro l’ evasione fiscale. “La strada
che imboccherà l’Ue sarà certamente quella dell’armonizzazione fiscale tra gli Stati membri sottolinea Bernasconi -. Una
svolta che toccherà pure gli altri
Paesi, compresa la Svizzera. Non
dimentichiamo che sette delle
più grandi società di trading di
materie prime al mondo hanno
sede a Zugo, grazie anche agli
accordi fiscali con Berna e il
Cantone”. [email protected]
Q@LiberoDAgostino
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149
Le istituzioni bancarie
che hanno sede in Lussemburgo
33 tedesche
Fonte: Fmi, L’Espresso
15 svizzere
per un attivo di bilancio complessivo
di poco inferiore a 750 miliardi di euro
L’Ufficio fitosanitario:
“È l’anno più infelice
da quando si è ripresa
la produzione
con le nostre olive”
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LE CIFRE
Superficie
2.586 km²
Abitanti
550.000
Nati fuori dal Paese
40%
Debito pubblico
23% ca. del Pil
Reddito pro capite
110.000 dollari
Società holding
11.000
Asset di holding company 1.600 miliardi €
lapena i 5 litri” stimano gli oleificatori. Roba da piangere, se
non fossero lacrime d’olio anche
quelle raccolte per essere poi
centellinate, in dosi omeopatiche, sulle bruschette dei pochi,
fortunati, consumatori.
Che il prodotto dell’olivicoltura ticinese sia di nicchia è risaputo. Ma il risultato stavolta
pare più da ampolla. Intendiamoci sarebbe sbagliato gettare
la croce sugli appassionati coltivatori di Gandria, l’annata si annuncia infatti da dimenticare.
Per tutti, come ci conferma
Claudio Tamborini: “Se lo scorso anno ho prodotto 1.200 bottiglie, stavolta sarà bello se si
arriva a 200”. Colpa, oltre che
delle bizze del tempo, di un insetto, la mosca olearia, che spiega ancora il produttore - ha
compromesso gran parte del
raccolto: “La mosca buca il frutto che poi diventa troppo acido
per essere usato a scopi alimentari. Il danno è ben visibile
sull’oliva”. In precedenza un’insetto simile, questa primavera,
aveva compromesso il raccolto
delle ciliegie. “Ci sono dei trattamenti, ma ci siamo un po’ distratti. Anche perché l’allarme
dell’Ufficio fitosanitario, a mio
avviso, non è stato tempestivo”
sostiene Tamborini.
Dalla Sezione dell’agricoltura di Bellinzona spiegano però
che “la mosca dell’olivo è arrivata molto presto e ha fatto subito danni. Il trattamento è possibile sino a tre settimane prima
della raccolta, ma stavolta l’attacco è stato precoce. È stato
probabilmente il peggior anno
da quando è ripresa la produzione”.
Ma comunque non si demorde. Lo stesso Tamborini, viticoltore con la passione per l’olio,
sta ultimando la sua raccolta.
“Io raccolgo le olive dai diversi
alberi che si trovano nei parchi
della città di Lugano. Ma anche
da quelli all’inizio del sentiero di
Gandria e poi alla Vallombrosa a
Castelrotto”. I principali uliveti
ticinesi si trovano nel Luganese,
a Gandria ma anche nel Malcantone e al Castello di Morcote. Ci
sono poi gli appezzamenti del
Colle degli Ulivi a Coldrerio e
dell’Amorosa a Sementina.
“Negli ultimi dieci anni - precisa
Tamborini - soltanto due volte
abbiamo avuto problemi. Altrimenti abbiamo sempre prodotto
un buonissimo olio”. Il prodotto
ticinese, per caratterische, richiama quello dei laghi prealpini, come l’olio del Garda o di Como. “S’avvicina per finezza,
morbidezza e acidità bassissima
all’olio ligure” osserva il produttore. Le cultivar piantate in
Ticino rispondono ai nomi di
“Frantoio”, “Pendolino” e “Moraiolo”. Che sono le varietà più
resistenti al freddo. Ma non basta, è necessario infatti cercare
quei microclimi, ideali sono
quelli lacustri, che garantiscono
temperature miti e riverberi di
calore. E poi incrociare le dita:
“Quando si lavora con la natura
ogni tanto paga, ma altre volte
si passa alla cassa”.
[email protected]
Q@StefanoPianca
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
12 ECONOMIA
Lariforma
“Basta con il business
degli annunci erotici,
la pubblicità va vietata”
LA NU
OVA
LEG
GE
La sfida del Plrt per arginare la prostituzione
D
GLI AFFARI
Gli annunci erotici
sono un lucroso
affare collaterale nel
mondo della
prostituzione
alle parole ai fatti. Dal programma di partito all’iniziativa parlamentare. Bersaglio del Plrt
qualsiasi forma di pubblicità alla prostituzione, con divieto assoluto per immagini, slogan, cartelloni e
pubblicazioni occasionali o periodiche che
reclamizzano in qualche modo il business a
luci rosse. Un siluro a testata multipla, ma
che pare destinato a centrare al primo impatto il Mattino, il settimanale della Lega,
che con le paginate di annunci delle lucciole
tira avanti da anni. “No al Ticino piazza del
sesso”, dicono i liberali radicali che domani,
lunedì, presenteranno la loro iniziativa. Meglio ancora: “No al Ticino bordello d’Europa”, specifica il deputato Giorgio Galusero,
che anticipa al Caffè la decisione dei deputati plrt della Commissione legislazione di respingere definitivamente, nella riunione di
mercoledì prossimo, anche la nuova legge
sulla prostituzione del ministro delle Istituzioni, il leghista Norman Gobbi.
La proibizione di pubblicare annunci erotici, da inserire nella vecchia legge che è ancora in vigore, va a colpire un lucroso business collaterale della prostituzione. “Vogliamo estendere il divieto di pubblicizzare questa attività, sia per i postriboli autorizzati
che per i locali privati, in tutti i luoghi pub-
blici, in quelli dove la prostituzione si esercita abitualmente o anche occasionalmente”,
spiega Galusero. Ma l’iniziativa parlamentare non si ferma qui. Si prevede anche la confisca dei mezi con cui l’offerta di sesso a pagamento viene pubblicizzata. Visto che la
prostituzione in Svizzera è legale, sorge però
il dubbio che le richieste del Plrt possono entrare in rotta di collissione con i principi della
libertà economica tutelati dalla legislazione
federale. Un ostacolo che l’inziativa, di cui si
Un’iniziativa parlamentare
per proibire qualsiasi forma
promozionale delle luci rosse
discuterà pure nel congresso del partito di
oggi, domenica, supera col conforto di una
perizia giuridica, allegata, che prende in esame la normativa federale sulla libertà economica, i limiti per essa previsti dalla legge
stessa, l’esercizio della prostituzione e le
eventuali restrizioni ammesse dalle disposizioni vigenti.
Un esame comparato che passa in rassegna oltre alla normativa nazionale anche le
convenzioni internazionali. Rimarcando anche l’attuale legge cantonale ancorata al
principio che si tratta sempre e comunque di
un fenomeno “da arginare”. “Non va dimenticato che per gran parte della popolazione,
la prostituzione è un’attività molesta - ricorda Galusero -. Significative sono al proprostito le misure per limitarla decise dai municipi di Lugano e Bellinzona”.
Dopo la prima bordata di domani, lunedì,
la mossa succesiva sarà due giorni dopo nella Commissione della legislazione. I commissari plrt presenteranno un rapporto per
respingere la nuova legge ora in stand by in
attesa di sapere quale sia l’orientamento di
Berna nel regolamentare la prostituzione.
“La si sta tirando troppo per le lunghe - afferma Galusero -. Gobbi, che aveva sentito
le critiche della commissione su questa normativa, aveva promesso un messaggio aggiuntivo che non è mai arrivato. Noi vogliamo che la sua proposta sia discussa in parlamento prima della fine della legislatura”.
Liquidata la proposta di Gobbi, nel rapporto dei commissari del Plrt si suggeriscono
pure due misure concrete, da inserire nella
legge ancora in vigore, per arginare la prostituzione. La prima per permettere alla polizia controlli e interventi senza l’autorizzazione del Ministero pubblico, la seconda per
facilitare le decisioni pianificatorie dei Comuni nel definire i luoghi “non idonei” per il
sesso a pagamento.
l.d.a.
La revisione
La nuova legge del ministro Gobbi
è in fase di stallo. Dopo le critiche
della Commissione legislazione, si
attende di sapere l’orientamento
di Berna sulla prostituzione
Le critiche
Le critiche della Commissione
legislazione erano in particolare sui
controlli sanitari per le lucciole e gli
interventi di polizia nei luoghi dove
si esercità la prostituzione
La promessa
Gobbi si era impegnato con i
commissari ad elaborare un
messaggio aggiuntivo che non è
mai arrivato. Aspettando di sapere
l’orientamento di Berna
Lo scontro
Il Plrt è ora deciso a respingere la
nuova legge e ad inserire in quella
vecchia, sempre in vigore, alcune
norme per arginare il fenomeno
della prostituzione
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Mondo
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
13
Il Sudamerica.
La recente
rielezione di Dilma
Roussef e la batosta
per Aécio Neves
in Brasile aprono
una nuova
stagione di lotta
per l’eguaglianza
LE
MAPPE
LUIGI
BONANATE
Sconfitta
è la politica,
più che
Obama
LA SCELTE
PER LE PRESIDENZIALI
Partiti e candidati
nelle elezioni presidenziali
in Bolivia
Reuters
Se provassimo a fare un
elenco di tutti gli eventi internazionali che, giorno dopo giorno, ci sorprendono o
ci deludono o non comprendiamo, non ci stupiremmo della solenne bocciatura cui è andato incontro Obama nelle elezioni di
“mid-term”. Tutte vere e
ragionevoli infatti le critiche e le osservazioni che
gli sono state mosse; ma
nessuna era tanto significativa da darci davvero una
risposta valida per tutti i
suoi “errori”. I dossier che
Bush gli aveva lasciato
aperti sulla scrivania all’arrivo alla Casa Bianca non
erano banalità, e lui ha cercato (invano: ora lo sappiamo) di affrontarli come un
presidente “normale” e non
come il primo presidente
“nero” della storia americana. Eppure, la sua immagine si è progressivamente
offuscata. La stessa cosa è
capitata a Hollande, il cui
successo elettorale si è
squagliato in pochissimi
mesi facendogli conoscere i
peggiori risultati in popolarità mai conseguiti da un
presidente francese.
Sembra che
gli elettori ragionino soltanto più in
termini di
immagine, senza badare più di
tanto al
contenuto delle decisioni
politiche, che nella maggior
parte dei casi lasciano, del
resto, scarsissimi margini
di manovra. Quando si critica la politica estera di
Obama bisognerebbe essere in grado di neutralizzare
gli errori che aveva fatto
Bush; quando se ne discute
la politica interna, si dovrebbe tener conto che in
fondo gli Usa sono l’unico
Paese che ha saputo guardare in faccia la crisi finanziaria (mentre Francia e
Italia, ad esempio, hanno
cercato per anni, di tenere
gli occhi chiusi).
Assistiamo a uno scollamento tra politica e voto
che ci costringe a osservare
che le decisioni politiche, in
ogni settore, sono sempre
più prive di un vero e attento dibattito, come se la
pubblica opinione fosse ormai indifferente a tutto. La
ragione potrebbe essere
che gli ormai suonati sette
anni di vacche magre (di
crisi economica) allontanino sempre di più i cittadini
dall’interesse per la cosa
pubblica per dedicarsi all’esclusiva difesa del proprio “particulare”. Obama,
almeno, un progetto l’aveva, anche se è fallito; i repubblicani non ne hanno
alcuno. Ora i democratici
scaricheranno Obama per
non essere trascinati nella
sua caduta, e i repubblicani
lo attaccheranno come primo bersaglio in vista delle
elezioni presidenziali del
2016. Ma questi restano i
giochetti della “cucina” politica. Vorremmo che i politici, coloro ai quali chiediamo di rappresentarci, ci
esponessero delle visioni,
delle politiche, non delle
misure utili soltanto a conservare il loro potere.
Pepe,il Maggiolino e la sinistra in Uruguay
In America latina, gli appuntamenti elettorali si susseguono.
E la sinistra, per ora, pare reggere bene le competizioni, come
si spiega nell’analisi del Caffè.
Dopo il risultato in Bolivia con il
terzo mandato a Evo Morales e
la riconferma di Dilma Rousseff
in Brasile, ora è volta dell’Uruguay. A fine mese sarà ballottaggio per scegliere il successore di Pepe Mujica, il presidente
già diventato un mito perseguendo povertà e umiltà, e che
non può ricandarsi per un secondo mandato. Ma che nono-
stante non sia più direttamente
impegnato nella campagna elettorale continua a far parlare si
se: per il suo Maggiolino Volkswagen del
LA 1987 che al
SETTIM massimo vale
ANA tremila dollari,
uno sceicco
arabo ha offerto un milione.
E Mujica
avrebbe accettato per poi investire i soldi nella costruizione di
case da dare ai poveri. Ma non
solo, sempre per la stessa auto,
L’analisi
l’ambasciatore messicano in
Uruguay ha proposto un baratto:
10 veicoli 4x4 nuovi. Chissà se
questi annunci potranno aiutare
Tabaré Vazquez, candidato del
Frente Amplio, la coalizione progressista che sembra in vantaggio. Il primo turno lo ha premiato, e con lui la sinistra oterrebbe
il terzo successo. Ma Vazquez
deve fare i conti, al ballottaggio
del 30 novembre, con lo sfidante di centrodestra, Luis Lacalle
Pou. Il leader del Partido Nacional ha dalla sua l’età, 41 anni, e
lo slogan che continua a ribat-
all’aeroporto dell’Avana papa Woytjla. Raul Castro, abilmente, intanto che aspetta, ha evitato di
forzare la situazione, liberalizzando il regime in silenzio. Ma ora sono proprio i medici cubani che accorrono più volentieri e in maggior numero rispetto a quelli americani ed europei nell’Africa occidentale per collaborare nella lotta al virus Ebola.
Potremmo considerare questo come un segnale
dell’avvenuto ingresso dell’America latina nei salotti buoni della società occidentale portandovi
tutto il peso di un mondo nuovo, giovane ed economicamente intraprendente? Il Brasile è oggi tra
le prime potenze economiche del pianeta e può
chiedere (anche se finora invano) un seggio da
membro permanente nel Consiglio di sicurezza
dell’Onu. I “parenti poveri” non sono più tali, insomma, ed è ora che ce ne rendiamo conto. Persino la letteratura latino-americana, nelle sue due
grandi lingue, spagnolo e portoghese, schiera classici che vanno da Neruda a Borges, da Garcia Marquez a Pessoa.
Ma oggi, in questo cammino di avvicinamento
ai modelli politico-sociali occidentali
l’America latina ne sta assorbendo anche
i meccanismi di funzionamento. Sarà un
Cile
Cuba
Venezuela
bene o sarà un male? Se potessimo conPopolazione
Popolazione
Popolazione siderare la politica latino-americana co17,62 milioni
11,27 milioni
30,41 milioni me un solo grande sistema politico, l’immagine che lo descriverebbe è quella del
pendolo, delle oscillazioni tra destra e siPil
Pil
Pil
nistra, tra espansione e contrazione, tra
277,2
68,3
438,3
mld di dollari
mld di dollari
mld di dollari apertura e chiusura in se stesso, come se
a quella parte del mondo mancasse una
Fonte: Banca Mondiale
raggiunta maturità e non riuscisse ancopo o non si cercavano neppure o, quando si trova- ra di emanciparsi dal retaggio prevalentemente
vano, erano appannaggio delle multinazionali di europeo-latino (Spagna, Portogallo, Italia) per senorigine statunitense. E così in America latina si so- tirsi padrona del suo destino. Oggi abbiamo sotto
no imboccate svariate e prevalentemente errate gli occhi il caso del Brasile, in cui la rielezione di
vie nuove, come il peronismo, che inventò niente Dijlma Roussef è presentata, paradossalmente,
meno che quel populismo che ancora oggi va va- come una sconfitta invece che la vittoria che pur è
gando in Europa, in versioni sia di destra sia di si- stata. La ragione è semplice: il Brasile che aveva
nistra: Peron ed Evita in Argentina, Chavez in Ve- inanellato annate di grandi aumenti del Pil si trova
nezuela, Evo Morales in Bolivia. Storie diversissi- ora, come succede negli Usa e in Europa, a rallenme sotto ogni punto di vista, ma pur sempre ten- tare. Ed oggi è quasi fermo: colpa della Roussef,
tativi di realizzare fini analoghi con regimi politici colpa della crisi economica mondiale? La finanza
diversissimi.
aveva scommesso sul liberismo di Aecio Neves, il
Abbiamo visto le peggiori dittature, come competitore della Roussef, come se bastasse camquella di Pinochet in Cile, ma anche la rinascita e biar scarpe per ricominciare a correre. Ma il penlo sviluppo grandioso (fino a poco tempo fa) del dolo oggi sembra muoversi verso una blanda siniBrasile, il regime libertario di Mujica in Uruguay, stra e fa ipotizzare che una nuova stagione si apra
la finanza sull’orlo dell’abisso della Kirchner in Ar- per tutta l’America latina, quella della lotta alla
gentina. Ormai quasi un mito, infine, è Fidel, tra- povertà e dell’eguaglianza. Non dimentichiamo
sformatosi da pericolosissima e temutissima che quello latino è parte di un Continente che ha
“quinta colonna” del comunismo mondiale in un sperimentato meno guerre di tutti nella sua storia.
simpatico e tremolante vecchietto che accoglie Facciamone un modello per il mondo.
l.b.
Il grande pendolo
dell’America latina
tra poveri e ricchi,
crescita e recessione
A CONFRONTO
Argentina
Bolivia
Brasile
Popolazione
41,45 milioni
Popolazione
10,67 milioni
Popolazione
200,4 milioni
Pil
611,8
Pil
30,6
Pil
2’245,7
mld di dollari
mld di dollari
mld di dollari
V
ista dall’Europa, l’America latina è una straordinaria raccolta di paradossi e contraddizioni. Il suo XX secolo, vissuto quasi del tutto in pace, vi ha visto succedere di tutto: Stati
grandissimi e micro-Stati hanno conosciuto ricchezza e povertà, unificazioni e secessioni, rivoluzioni (mancate) e dittature (brutali), sviluppo e
sottosviluppo. Cultura e ignoranza. Dalla musica
al gioco del calcio, l’America latina è sempre stata
insieme il luogo del divertimento e della tristezza,
della fantasia e del degrado, della bellezza e della
povertà.
Fin dal 1823, quando il presidente statunitense James Monroe disse al mondo: nessun tocchi
l’America (latina), gli Stati Uniti incominciarono a
pensare al loro Sud come a una riserva di caccia e,
in certi momenti, addirittura come al cortile di casa. Ma come sempre, poi, anche quella parte del
mondo, per tanti versi periferica, si è liberata del
suo passato esotico e povero e ha incominciato a
svilupparsi utilizzando quelle risorse che un tem-
tere: “Cambiamento”. È la stessa parola d’ordine di partito
d’opposizione e studenti anche
in un altro Paese del Continente
americano, il Messico, dove sono state ritrovate ossa e ceneri
dei 43 studenti “scomparsi” da
fine settembre. Sono stati portati in una discarica e lì bruciati.
Una strage compiuta da narcos e
poliziotti su istigazione del sindaco di Iguala, José Luis Abarca.
Come hanno confessato tre dei
sicari arrestati, sollevando oltre
all’orrore altre proteste di piazza.
LE CIFRE
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
14
Sport
89% 5.106
1.008
75
I chilometri
di gara
completati
I giri di pista
completati
I punti
ancora da spartire
per la classifica
piloti
Parte della
stagione
completata
su 5.717
mancanti
su 1.134
mancanti
IN
TELE
VISIONE
domenica 9 novembre
10.20 / 13.50 LA2
Motomondiale: GP Valencia
sabato 15 novembre
9.55 / 12.55 LA2
Sci: Slalom femminile
domenica 9 novembre
16.50 LA2
F1: Gp del Brasile
sabato 15 novembre
15.00 LA2
Tennis:WTF 2014. semifinali
sabato 15 novembre
da martedì a venerdì
20.20 LA2
21.05 LA2
Tennis:World Tour Finals 2014 Calcio: Svizzera-Lituania
15
Fonte: Fia
Il tennis
Al Masters col pensiero alla Davis
Federer e Wawrinka a Londra cercano la forma verso Lilla
L’automobilismo. Con i Gp a Sao Paulo
e Abu Dhabi si assegna il titolo mondiale,
tra tante ombre scure sul futuro del Circus
LA COPPIA
Wawrinka va
alla ricerca
della forma
d’inizio
stagione,
Federer vuole
confermare il
suo ottimo
finale d’anno
Formula1
in
panne
MASSIMO MORO
Al Masters col pensiero rivolto alla
finale di Coppa Davis contro la Francia
che si svolgerà a partire dal 21 novembre a Lilla. A Londra Roger Federer e Stan Wawrinka cercano di affinare al meglio la forma per arrivare all’importante appuntamento sulla terra battuta francese. “Per me è molto
importante cominciare il torneo al
meglio - ha sottolineato il basilese -,
soprattutto dal punto di vista mentale
e nel limite del possibile continuare
ad allenarmi come nelle passate settimane. Dopo l’eliminazione ai quarti di
finale a Parigi Bercy, mi sono preso tre
giorni di riposo e poi ho deciso di
prendermi un ulteriore giorno, visto
che mi sentivo ancora molto stanco.
Ripresomi dall’affaticamento, ho cominciato ad allenarmi al Queen’s
Club, visto che il secondo campo a
Londra non era ancora pronto. Un allenamento di due ore di doppio con
l’intento di prepararmi al meglio in
vista del possibile impiego anche nel
doppio di Coppa Davis. Adesso comunque la concentrazione è centrata
sul Masters. La finale di Davis diventerà l’obiettivo centrale alla fine del
torneo londinese”.
Il primo rossocrociato a scendere
in campo, oggi, domenica, è proprio
Federer che è inserito nel gruppo B
nella capitale francese ne sono certamente la dimostrazione. Per il vodese
il Masters potrebbe ricoprire un ruolo
veramente importante per ritrovare
la fiducia nel proprio gioco, che sembra aver perso e che sicuramente passa anche dal migliorare da punto di
vista mentale. “Per me il primo match
con Berdych sarà di enorme importanza - ha dichiarato il vodese -, soprattutto visto che solo a Parigi
sono riuscito a passare il
primo turno. Una vittoria
mi farebbe guadagnare
molta fiducia, anche in
vista della finale di Coppa Davis, visto che sarò
io il primo a scendere
in campo contro la
Francia”. Il gruppo A,
dove è inserito Wawrinka con Djokovic,
Thomas Berdych e
Marin Cilic prenderà
il via domani, lunedì,
con il vodese che
aprirà le danze (alle
15) contro il ceco,
mentre in serata ci
sarà l’esordio del
detentore del titolo, Djokovic contro
il vincitore degli Us
Open, Cilic.
con Andy Murray, Kei Nishikori e Milos Raonic. Alle 15 si sfidano Murray e
Nishikori, mentre alle 21 il basilese
incrocia la racchetta con Raonic. Per il
renano l’incontro con il canadese si
presenta indubbiamente come una
rivincita per la sconfitta rimediata a
Parigi, la prima dopo otto incontri.
L’obiettivo di conquistare nuovamente il numero uno della classifica Atp è ormai appeso ad
un sottilissimo filo per Federer, visto che con la
conferma del titolo di
Novak Djokovic al
Masters 1000 di Parigi Bercy, al serbo ora
bastano solamente
due successi nel
round robin per
chiudere la stagione in testa alla
graduatoria.
Se per Federer questo finale
di stagione è da
considerare molto positivo, Wawrinka si trova in un momento di difficoltà e le prove
offerte a Shanghai, Basilea e
parzialmente
Reuters
GRAN PREMIO
DEL BRASILE
Ad Interlagos
vola la Mercedes
Reuters
Ad Interlagos s’infiamma la lotta
tra Nico Rosberg e Lewis Hamilton. A spuntarla è stato il tedesco che nelle qualifiche è riuscito ieri, sabato, ad avere la
meglio sul compagno di scuderia per 33 millesimi. Una pole
che non mette certamente al sicuro Rosberg che, anche nella
gara di Austin, si è visto infilare
da Hamilton dopo pochi metri
dalla partenza. Per il tedesco si
apre comunque la possibilità di
cercare di ridurre il gap di 24
lunghezze che lo separa in
classifica dall’inglese, soprattutto in vista del Gran Premio di
Abu Dhabi che conterà il doppio dei punti. Un vero dominio
del motore Mercedes, visto che
occupano le prime cinque posizione sullo schieramento di partenza. La seconda fila è tuta
targata Williams con Felipe
Massa che ha avuto la meglio
sul finlandese Valtteri Bottas. La
Sauber potrebbe riuscire ad ottenere i primi punti, visto che
Esteban Gutierrez ha occupato
l’undicesimo posto.
Aspre polemiche sulla ripartizione degli utili tra le scuderie, minacce di boicottaggio dei Gran Premi a causa della
suddivisione dei proventi dai diritti televisivi, aumento del
numero di piloti “paganti”, piccoli team come Caterham o
Marussia (fallita venerdì) che hanno già alzato bandiera
bianca. Altri, come Sauber e Lotus, che potrebbero anche
farlo molto presto. Tira un gelido vento di crisi sul Circus
della Formula 1, che dopo aver scelto la strada dell’innovazione ibrida sembra aver imboccato anche una sorta di viale
del tramonto.
Almeno per quanto riguarda
i fasti del recente passato. Per
capire dove sta andando la classe regina dell’automobilismo, il
Caffè ha chiesto aiuto a Philipp
Peter, ex pilota professionista di alto livello e
attento osservatore del
mondo della Formula 1.
E il panorama che
emerge non è certo
troppo edificante. “Anche se con un po’ di ritardo rispetto ad altri
ambiti economici, anche
in Formula 1 la crisi ha
iniziato a fars sentire - spiega
Peter -. E lo si vede da diversi
aspetti. Gli sponsor sono sempre più volatili e anche i prezzi
degli spazi pubblicitari sulle
monoposto sono molto calati. Si
tratta sempre di cifre poco accessibili, ma la tendenza è chiara”. A far suonare un primo
campanello d’allarme tra gli osservatori era stata la scelta
dell’introduzione di un tetto al
budget, una specie di contraddizione in termini in un contesto
di altissimo livello - tecnologico
e non solo - come quello del Circus. “Il budget cap è stato un
primo segnale, anche se stiamo
parlando di investimenti dell’ordine di centinaia di milioni conferma Philipp Peter -. La vera domanda da porsi è fino a che
punto la Formula 1 resta interessante. È chiaro che per case
automobilistiche come Mercedes o Ferrari, oppure per un colosso come la Red Bull la visibilità resta ottimale. Ma per gli altri…”.
Concretamente, si rischia di
veder completamente sparire
dai circuiti della classe regina
tutti quegli attori che non sono
legati a doppio filo ad un’azienda - automobilistica o commerciale - di livello internazionale,
per non dire mondiale. Cancellando anche l’ultimo retaggio
dell’automobilismo per certi
versi romantico e artigianale
(con tutti i dovuti distinguo imposti negli anni da investimenti
milionari ed evoluzione tecnologica) che scuderie come l’elvetica Sauber hanno a lungo tentato
di portare avanti. “Infatti ad interessarsi più o meno seriamente alla Formula 1 oggi sono case
Reuters
LE QUA
LIFI
CHE
un peccato vedere scuderie come la Sauber fare tanta fatica”.
Fatica, oltre che sportiva, ormai
anche solo a sopravvivere.
E per “tirare a campare” a
molti team secondari non resta
che puntare tutto (o quasi) sui
piloti che il volante in Formula 1
se lo possono comprare. Sempre
restando alla Sauber, il team di
Hinwil ha, ad esempio, liquidato senza tanti complimenti
Adrian Sutil nonostante avesse
un contratto ancora valido, e
tolto la monoposto anche ad
Esteban Gutierrez. Al loro posto
i giovani Marcus Ericsson e Feli-
come Honda, che entrerà nel
Mondiale il prossimo anno con
McLaren e Audi, che sta riflettendo sul suo futuro - aggiunge
Peter -. Per gli altri, come anche
Force India che pure ha un patron con solide basi, la situazione è destinata a peggiorare. È
Polemiche sugli utili,
team in guerra,
fallimenti, minacce…
la stagione iridata si
chiude tra i dubbi
Sugli spalti
MASSIMO SCHIRA
L’ORA DELLA VERITÀ PER VLADO
A
ppena tre partite disputate e già è l’ora della verità per la nazionale di Vladimir Petkovic. Nella sfida di sabato prossimo a
San Gallo contro la Lituania non c’è margine di errore, non ci
sono scuse: la vittoria è l’unico risultato utile e, per dirla tutta, anche l’unico accettabile. A complicare le cose, mancheranno anche
alcuni giocatori, tra cui probabilmente Ricardo Rodriguez, attualmente di gran lunga il miglior elvetico in circolazione. Chi pensa,
poi, che i lituani sono squadra abbordabile si sbaglia di grosso. Intendiamoci, una Svizzera ai suoi massimi livelli ha tutte le carte in
mano per battere la rappresentativa baltica, ma le prime uscite nel
girone di qualifica agli Europei 2016 in Francia hanno mostrato più
pecche che pregi in casa rossocrociata. E proprio per questo gli occhi sono puntati tutti o quasi sull’operato del selezionatore, chiamato ad invertire la rotta che - finora - ha portato solo alla conquista
dei tre punti “obbligatori” contro San Marino. A dire la verità le
prestazioni contro Inghilterra e Slovenia non sono state negative su
tutta la linea, semmai con troppi fronzoli e poca concretezza. Ecco,
contro la Lituania è quanto mai il caso di badare al sodo, per ritornare in gioco in un gruppo che, detto senza falsa modestia, la Svizzera sarebbe chiamata a vincere (gli inglesi sono tutto, fuorché irresistibili). E che, invece, finora l’ha vista nello scomodo ruolo di comparsa. Fortunatamente c’è margine di manovra, ma da San Gallo
devono arrivare le prime risposte convincenti (e vincenti).
Reuters
LE QUA
LIFI
CHE
pe Nasr, che portano in dote 20
milioni di liquidità il primo e un
grosso sponsor come Banco do
Brasil il secondo. Senza dimenticare il gran numero di piloti
russi che si affacciano alle porte
della classe regina o casi piuttosto clamorosi come l’ingaggio
del diciassettenne Max Verstappen dalla Toro Rosso. “Situazioni come queste hanno come
conseguenza di mettere un po’
in dubbio l’esito sportivo delle
competizioni - afferma ancora
Philipp Peter -. Nel senso che
sempre più sedili sono occupati
da piloti certamente dotati, ma
che, magari, tolgono il volante
ad altri, decisamente più talentuosi di loro. I super talenti come Senna, Schumacher o gli attuali Hamilton e Vettel sono rari, mentre gli altri sono tutti
molto vicini a livello di prestazioni. Anche per una maggior
“semplicità” nell’uso delle monoposto, che sono cresciute
molto tecnologicamente rispetto al passato”. Guidare una vettura di Formula 1 non è certamente facile, ma l’evoluzione
dell’elettronica, basti pensare a
quanto diverso è oggi il cambio
rispetto al passato, ha trasformato profondamente anche il
lavoro del pilota. “Un tempo finivi i gran premi quanto meno
con le fiacche alle mani per lo
sforzo - conferma in conclusione Philipp Peter -. Oggi, invece,
si prediligono profili più multitasking nella scelta dei piloti.
Cioè prima di tutto in grado di
gestire la vettura. Il piede pesante, le motivazioni e la preparazione atletica vengono in secondo piano”. [email protected]
Q@MassimoSchira
GRAN PREMIO
DI VALENCIA
Rossi torna in pole
Lotta nella Moto3
Valentino Rossi ritrova, dopo
quattro anni, la pole position
nell’ultimo appuntamento
stagionale della MotoGp. Ad
aiutare nelle qualifiche il
pesarese ci ha pensato, ieri,
sabato, anche il campione del
Mondo, Marc Marquez che
nell’ultimo giro veloce è
incappato in una scivolata. “È
bello, è stata una sorpresa - ha
detto Rossi - pensavo di poter
andare bene ma non al punto
da fare la pole, ammetto che se
avessi avuto 100 euro da
buttare non li avrei scommessi
su di me”. Il quinto posto
ottenuto da Marquez non gli
preclude comunque l’obiettivo
di superare il record di Mike
Doohan delle 13 vittorie
stagionali. Con i titoli assegnati
in MotoGp e Moto2,
l’attenzione a Valencia è tutta
sulla Moto3. Con Nicolò
Antonelli a scattare dalla pole,
ci saranno i due pretendenti del
casco iridato, Jack Miller e Alex
Marquez. Al fratellino di Marc
basta marcare l’australiano,
visto che può vantare 11 punti
di vantaggio in classifica.
Nella Moto2 c’è da annotare
l’undicesima partenza al palo
stagionale per Esteve Rabat,
Buona quarta posizione per
Thomas Lüthi, mentre
Dominique Aegerter ha chiuso
all’undicesimo posto.
m.m.
La pallacanestro
Xherdan Shaqiri trova il gol
in un Bayern inarrestabile
Terza vittoria in campionato Un nuovo record nazionale
per il Riva basket femminile nell’inseguimento su pista
Anche se in campo solo nell’ultimo
quarto d’ora, Xherdan Shaqiri è stato protagonista con il quarto gol nel poker (4-0) di
un Bayern Monaco inarrestabile contro
l’Eintracht Francoforte e sempre leader incontrastato della Bundesliga a +7 in attesa
dell’impegno del Wolfsburg, secondo in
compagnia del Borussia Mönchengladbach.
Resta solitario in testa anche il Chelsea in
Premier League dopo il successo in trasferta contro il Liverpool per 2-1.
Impegnate sul terreno del Pully, le ragazze del Riva basket sono riuscite a conquistare il terzo successo del nuovo campionato. Le giocatrici guidate da Aldo Corno
hanno approfittato al meglio dei 34 punti
messi a segno da Jori Davis per imporsi
con il punteggio di 74-58, maturato soprattutto nel terzo quarto. Nel campionato maschile, invece, impegni domenicali per Lugano Tigers e Massagno, rispettivamente
contro Monthey e Olympic Friborgo.
Il calcio
Reuters
In Challenge League spicca Lugano-Chiasso
L’hockey
Il ciclismo
Prosegue in modo molto positivo l’evoluzione del giovane quartetto svizzero nell’inseguimento su pista. Il team rossocrociato formato da Frank Pasche, Théry Schir,
Silvan Dilier e Stefan Küng, impegnato nella
prova di Coppa del Mondo a Guadalajara, in
Messico, ha polverizzato il primato nazionale della specialità, fermando il cronometro
in 3’58”269, ossia quasi 3 secondi in meno
del precedente limite, staccando il biglietto
per le semifinali (contro la forte Australia).
I rossocrociati battono il Canada 2-1 nel finale
Un derby senza pensieri Primo sorriso per Hanlon
ma con tante aspettative e per la giovane Svizzera
Lugano e Chiasso si affrontano oggi, domenica,
a Cornaredo con il cuore leggero. Perché da una
parte i bianconeri sono in una fase estremamente
positiva, mentre dall’altra i rossoblù sono sì reduci
da una sconfitta contro la capolista Wohlen, ma
possono contare su un buon cuscinetto di 6 punti
nei confronti del fanalino di coda Bienne, che ha
battuto ieri a fatica il modesto LeMont.
Un derby insomma, che finalmente le due squadre possono
giocare con in vista un obbiettivo
ben tangibile. Gli uomini di Bordoli possono avvicinare ulteriormente la vetta, visto che il Wohlen, malgrado sia sempre in testa, sembra essere in perdita di
velocità. Importante inoltre è tenere il passo del Winterthur, andato ad imporsi sul campo di un
Wil sempre più in caduta libera, e
questo nonostante l’arrivo sulla
panchina dell’ex tecnico del Bellinzona Gabriele. I giocatori di
Zambrotta vogliono andare a punti per togliersi
forse definitivamente d’impaccio e agganciare una
zona di classifica più consona alle sue potenzialità.
Per entrambi si tratterà della rivincita della partita
del 17 agosto scorso, quando il Chiasso s’impose
al Comunale per 1-0 grazie ad un rigore trasformato da Regazzoni. La sfida odierna si gioca senza
due pedine importantissime nei rispettivi schieramenti. Il Lugano deve in effetti fare ameno di Urbano, che dovrebbe essere sostituito da Basic. Il
Chiasso deve invece rinunciare all’estremo difensore Davide Guatelli, che nell’ultima partita casalinga è stato espulso per un fallo da ultimo uomo.
A difendere la porta dei momò, qundi, il giovane
Pajtim Badalli.
o.r.
Ti-Press
MASSIMO SCHIRA
Il calcio
L’ANDATA
La prima sfida
cantonale è
andata al
Chiasso per 1-0
La giovane svizzera scelta da
Glen Hanlon per il suo esordio
sulla panchina rossocrociata alla
Deutschland Cup si toglie la prima soddisfazione. In una partita
dal finale rocambolesco, infatti,
gli elvetici battono il Canada per
2-1. In un primo tempo piuttosto piacevole e giocato su discreti ritmi, a rendersi pericolosi per
primi sono stati proprio i rossocrociati, che hanno impegnato
Mason in più di un’occasione. Fino al gol del vantaggio, realizzato con un bel tiro dalla media distanza da Samuel Walser poco
dopo la metà del terzo d’apertura. Da quel momento fino al
ventesimo, invece, la pressione
è stata tutta o quasi canadese,
anche complici due penalità sul
conto degli uomini di Hanlon,
che hanno un po’ sofferto la
pressione degli avversari, permettendo però sempre ad un attentissimo e preciso Sandro Zurkirchen di sbrogliare la matassa.
Terzo centrale per certi versi
a ruoli invertiti, nel senso che il
Canada parte meglio e si procura altre due chance con l’uomo
in più. Ma non le sfrutta. Permettendo così alla Svizzera di
tornare a pungere, con un gioco
di transizione a tratti piuttosto
convincente e rapido. Anche se
qualche spazio di troppo in difesa porta i canadesi ad impegnare
Zurkirchen. Proprio nel miglior
momento degli elvetici, ecco il
pareggio nordamericano, con
Hamill abile a sfruttare un colossale regalo a firma Tim Ramholt.
Terzo periodo decisamente
più pasticciato su entrambi i
fronti con i rossocrociati che, però, “ai punti” si fanno preferire,
malgrado le occasioni non sfruttate con l’uomo in più sul ghiaccio, con Chris Mason comunque
chiamato agli straordinari in almeno due circostanze. Serve allora un episodio e siccome il Canada vuol vincere entro il sessantesimo, Jeff Tomlinson decide di giocarsi il tutto per tutto a
6 contro 5. Operazione che, infatti, porta al gol del 2-1 della
Svizzera, a firma Dino Wieser a
gabbia sguarnita a meno di un
minuto dal termine. C’è però
tempo per qualche altro brivido,
con i canadesi a 6 contro 4 nel finale per una penalità sul conto
degli elvetici. Ma la gara si chiude con il successo della Svizzera.
Il fine settimana della Deutschland Cup per gli elvetici si
conclude nel primo pomeriggio
di quest’oggi, domenica, affrontando la Slovacchia, battuta per
2-1 ieri dalla Germania.
Sul fronte della Under 20,
impegnata in un torneo a Füsssen, si segnala infine un “ko”
3-2 contro la Slovacchia. m.s.
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eccessivo del consumatore. Valevole per clienti privati fi no al 31.12.2014 o fi no a revoca.
Il trend
La società
Sesso e amore
La pazienza
come risorsa,
conta la qualità
non la quantità
Stili di vita
rivoluzionati
dall’esercito
dei single
“Ho in testa lei,
sogno spesso
di abbracciarla,
sono lesbica?”
A PAGINA 23
A PAGINA 31
ROSSI A PAGINA 22
traparentesi
ilcaffè
9 novembre 2014
PASSIONI | BENESSERE | SPORT
Animali
La collaborazione
con quattrozampe
diventa pet therapy
BOLTRI A PAGINA 22
Consumare cibi
equilibrati non
costa per forza
un capitale.Lo
assicura uno
studio.Ma l’abc
per una corretta
alimentazione si
impara da
piccoli.O con
l’aiuto delle App
PATRIZIA GUENZI
Mangiare sano
con pochi franchi
PER COMINCIARE
entonove franchi a settimana. È
il costo per assicurare a due persone sette giorni di alimentazione sana. Emerge da uno studio
che ha messo a confronto venti
persone di diversi nuclei familiari. Per una coppia i costi di un
carrello sano ammontano a 109
franchi a settimana, contro i 95
franchi del carrello malsano.
segue a pagina 18
NOSTRO SERVIZIO
PATRIZIA GUENZI
DIPENDE DA NOI
L
a responsabilità di uno stupro non può essere delle donne.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ha lanciato
una campagna con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione
pubblica sulla prevenzione contro lo stupro. Con l'hashtag #ItsOnUs e un video che in poche ore è diventato virale, raccogliendo migliaia di condivisioni, ha invitato gli uomini a diventare protagonisti della campagna antistupro che mira a responsabilizzarli per arginare il problema delle violenze sessuali. It’s
on us (dipende da noi) è un invito a non voltarsi dall’altra parte.
In sostanza, il messaggio è: “se un uomo si approfitta di una
donna che ha bevuto troppo, è responsabilità della donna di fermarlo e sua la colpa se non ci riesce? No, dipende da noi”.
L'obiettivo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla
possibilità di intervenire e di non girare la faccia da un’altra
parte quando si ha la sensazione, anche minima, che qualcosa
simile a una violenza stia accadendo. Una campagna che ha scomodato personaggi di peso, infatti, ha i volti di celebrità del calibro di Kerry Washington (Scandal) e Jon Hamm (Mad Men), oltre a famosi atleti sportivi. Perché se le donne vengono stuprate, non è per colpa di come si vestono o come si comportano.
Ma degli uomini che ne abusano. Ecco perché bisogna educarli.
C
La comedy noir del Caffè
Malafinanza, malapolitica
e torbide passioni
in un racconto
di ventitré puntate
di Anonymous
Con una graphic novel
di Marco Scuto
A PAGINA 48
I
bambini delle elementari sono i
protagonisti di un originale laboratorio, in scena fino a febbraio
nell’ex asilo di Castagnola a Lugano, che li vede nel ruolo di “ricercatori” sul tema gusto e olfatto. Saranno loro, affiancati dagli
esperti de l’Ideatorio dell’Usi, almeno per una volta a decidere
cosa mettere in tavola, cosa infilare nel carrello della spesa scegliendo tra gli scaffali.
segue a pagina 19
FATTORI D’INFLUENZA SU ALIMENTAZIONE E COSTI
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
Fattori d’influenza...
...sui costi
dell’alimentazione
...sui costi
di un’alimentazione
equilibrata
Indice valori nutrizionali
Consumo al ristorante
Consumo al ristorante
Bambini
Reddito nucleo familiare
Reddito nucleo familiare
Indice alimentazione sana
Negozi specializzati
...su un’alimentazione
equilibrata
Negozi commercio
equo/prodotti naturali
18
promuovono...
La salute. Consumare menu equilibrati non costa per forza
un capitale. Lo assicura uno studio di Berna. Anche perchè
a nutrirsi si impara da piccoli. E ora gli aiuti arrivano anche dal web
Mangiar sano sette giorni
spendendo pochi franchi
ilcaffètraparentesi 19
Da sapere
Alcuni negozi
Dimensioni nucleo familiare
ostacolano...
Discount
Conoscenze nutrizionali
Dimensioni nucleo familiare
Indice piatti pronti
Conoscenze culinarie
Indice benessere degli animali
Problemi di tempo
Reddito nucleo familiare
Spese per alimentari
nessun effetto per...
(selezione)
Indice prezzi
Indice salute
Indice importanza
Indice sano=caro
Indice prezzi
Indice salute
Indice bio
Indice importanza
Indice prodotti stagionali
Indice prodotti stagionali
Indice sano=caro
Indice prodotti svizzeri
1 2 3
4
5
CONSUMIAMO
TROPPO SALE
In Svizzera il consumo
di sale è stimato a 9 g
per persona, nettamente superiore ai 5 g
giornalieri consigliati
dall’Oms.
DISINFORMAZIONE
ALIMENTARE
Il 30% della popolazione
non fa caso all'aspetto
alimentare, soprattutto
i maschi, i giovani e le
persone con un basso
livello di istruzione.
ALIMENTAZIONE
E MALATTIE
I disturbi legati al peso
sono responsabili di
circa 30 malattie:
ipertensione, diabete
tipo 2, colesterolo,
osteoporosi, ictus...
TROPPE CALORIE
NEL PIATTO
Oggi vengono
consumate tante calorie
quante quelle di 30 anni
or sono mentre l'attività
fisica non ha cessato
di diminuire.
I TICINESI
E LA CINTURA
Si allarga sempre più la
cintura dei ticinesi: il
40% degli adulti ha
un peso corporeo
superiore; un bimbo
su cinque è oversize.
Fonte: Berner Fachhochschule Hochschule fu¨r Agrar-, Forst- und Lebensmittelwissenschaften HAFL Food Science & Management
Il progetto
Questi gnocchi azzurri
non sono invitanti,
ma è sapore di scienza
I bambini tra fornelli e laboratorio chimico
PATRIZIA GUENZI
C
entonove franchi a settimana. È il costo per assicurare a due persone sette
giorni di alimentazione sana ed equilibrata. Emerge da uno studio commissionato dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare alla Facoltà di scienze agrarie,
forestali e alimentari della Scuola universitaria
professionale di Berna, che ha messo a confronto
venti persone di diversi nuclei familiari. Sulla base delle informazioni raccolte sono stati elaborati
menù settimanali, alcuni più equilibrati e altri
meno, poi controllati e adattati con l’aiuto della
piramide alimentare svizzera. Risultato? Per una
coppia i costi di un carrello sano ammontano a
circa 109 franchi a settimana, contro i 95 franchi
del carrello malsano. Il carrello sano ed equilibrato con prodotti freschi è quindi poco più caro
di quello malsano. Una spesa decisamente inferiore anche rispetto ai calcoli dell’Ufficio federale
di statistica che per una coppia sotto i 65 anni
con un reddito lordo inferiore a 7600 franchi calcola un costo settimanale di 153 franchi per l’acquisto di generi alimentari.
Insomma, un’ulteriore conferma di quanto sia
falso sostenere che per cucinare menu rispettosi
della salute si debba per forza spendere molto.
Gli chef
“Una dieta semplice e sana non è mai costosa osserva Vanja Ender, dietista con uno studio di
rieducazione alimentare a Lugano -. Se poi si diminuisce il consumo di carne meglio ancora, sia
per il borsello che per la salute. Ottimi sostituti
sono i legumi, spesso dimenticati”.
Meno carne è un trend sottoscritto anche da
numerosi chef pluristellati. Pure di casa nostra
(vedi sotto). Mentre la svolta di Alain Ducasse la
dice lunga. Il re della cucina francese ora propone
“Diminuire il consumo di carne fa
bene sia al borsello che alla nostra
salute. Ottimi sostituti, i legumi”
pietanze a base di cereali, pesci, soia, verdure per
quanto possibile bio, meglio se coltivate a Versailles, al posto delle tradizionali ricette della
“cuisine française”. Certo, il prezzo resta inavvicinabile. Ma questo è solo un dettaglio... Fatto è
che alla carne sempre più persone dicono no.
Benché in Svizzera i vegetariani siano soltanto il
2% della popolazione, crescono coloro che si definiscono flexitariani, un buon 40%: in determinati giorni si astengono di proposito dal consumare brasato, arrosto e cotoletta. Chiamati anche
I cuochi interpellati dal Caffè spiegano come sono cambiate le esigenze di chi frequenta i ristoranti
“I clienti pretendono
qualità e trasparenza
per tutti i nostri piatti”
Q
I fornitori
Sono fortunato, posso
andare di persona dai
miei fornitori, scelgo
e valuto freschezza
e rintracciabilità
“demitarian”, dimezzano la quantità di carne
consumata al fine di evitare gravi danni all’ambiente. Un motivo che, infatti, spinge molte persone a togliere sempre più spesso la fettina dal
piatto, contribuendo a un taglio netto delle emissioni di Co2 legate alla produzione di carne e agli
allevamenti intensivi.
Di alimentazione non si parla mai abbastanza. Stando all’Ufficio federale della sicurezza alimentare le conoscenze nutrizionali della popolazione sono spesso incomplete. Ecco perché per
molti è impossibile seguire con costanza un’alimentazione sana e a basso costo. Una soluzione
potrebbe essere imparare sin da piccoli a conoscere i diversi alimenti, distinguendone i pro e i
contro. Benvengano iniziative come quelle dell’Università della Svizzera italiana (vedi a fianco),
che spiega ai bambini la complessità e il fascino
del senso del gusto. E per gli adulti che stanno
cercando di avvicinarsi a piatti più sani, faticando
a distinguere tra prodotti a chilometro zero, biologici o ecosostenibili, in aiuto c’è un’applicazione per la ricerca di prodotti locali inventata da
due giovani ticinesi, Cibyò. Un’ottima iniziativa,
che s’è aggiudicata il podio della selezione ticinese dello Startups.ch Award 2014.
[email protected]
Q@PatriziaGuenzi
ualità e provenienza dei prodotti sono fondamentali per
la nostra clientela. Ma è ovvio che a volte diventa difficile
mettere in tavola alimenti al cento
per cento a chilometro zero. Comunque, nel limite del possibile il
nostro criterio è questo. Ma siamo
onesti: se dovessimo rispettarlo a
tutti i costi dovremmo mettere in
padella i piccioni di Piazza Riforma”. Lorenzo Albrici, chef della Locanda Orico di Bellinzona, stempera un poco quella che definisce “un
po’ una moda e, anche, un business”. E aggiunge: “Alcune persone
sono ossessionate dal mangiare a
chilometro zero, ma ripeto, in determinati periodi dell’anno diventa
impossibile. Per fortuna ho i miei
fornitori locali di fiducia e sono sicuro di quello che metto nel piatto”.
Atteggiamento condiviso da altri cuochi di locali di qualità sparsi
per il cantone. Come Silvio Galizzi,
chef del Canvetto di Castelrotto,
che concorda con il collega: “Non
sempre possiamo mettere in pratica la teoria del chilometro zero, altrimenti la scelta di pietanze sarebbe troppo scarsa - osserva -. Tuttavia, nel limite del possibile comperiamo locale. Io in questo senso sono privilegiato. Vado di persona a
scegliere i prodotti, ne valuto freschezza e qualità. E con i miei fornitori negli anni si è creato un ottimo rapporto”.
Insomma, oggi chi va al ristorante non si limita più a sedersi al
tavolo, scegliere il menu e mangiare. Chiede la provenienza di carne,
pesce, salumi, verdure..., si accerta
della qualità. “Questo va bene, è
positivo, a noi fa piacere svelare il
dietro le quinte della nostra carta,
sebbene la provenienza dei prodotti
figuri sempre in modo chiaro”, nota
José De La Iglesia, chef alla Fattoria
Moncucchetto di Besso.
Proporre menu e spiegarne i
dettagli serve anche a far avvicinare i clienti ad un’alimentazione sana ed equilibrata. “Piatti alternati-
vi, non sempre solo carne e pesce nota Galizzi -. Così spesso ci vengono chieste informazioni su dove
comperare il tal o tal’altro prodotto”.
Non solo. Una maggior “confidenza” tra ristoratore e clienti serve anche a far chiarezza sul perché
alcuni menu sono molto costosi.
“Ben vengano domande di questo
tipo, chi non è del mestiere è
giusto che si ponga determinate
domande - riprende Albrici -; il
prezzo è determinato dal tipo
di prodotto, ma non sempre è
evidente. Ecco perché sul menu scriviamo anche la provenienza del sale, ad esempio,
che non è un sale comune,
suscitando sovente la curiosità
dei clienti. Così il pesce. È chiaro che se si tratta di pesce selvatico il prezzo lievita rispetto a quello
di allevamento. E tutto questo dobbiamo essere in grado di spiegarlo.
L’importante è essere sempre trasparenti”.
p.g.
F
ornelli, grembiuli, utensili da cucina. La location sembra quella della serie tv “Master chef
junior”, dedicata ai piccoli aspiranti cuoco,
ma osservando bene sul bancone spuntano provette, alambicchi e strani attrezzi che con il piatto
in tavola c’entrano poco. Ma il sapore titilla comunque le papille gustative, perchè è “sapore di
scienza”.
I bambini delle elementari sono i protagonisti
di un originale laboratorio, in scena fino a febbraio
Giovanni Pellegri: “I nostri
‘ricercatori’ sono allievi
delle scuole elementari”
nell’ex asilo di Castagnola a Lugano, che li vede
nel ruolo di “ricercatori” sul tema gusto e olfatto.
Saranno loro, affiancati dagli esperti de l’Ideatorio
dell’Usi, almeno per una volta a decidere cosa
mettere in tavola, cosa infilare nel carrello della
spesa scegliendo tra gli scaffali imbanditi di alimenti di vario genere e sul bancone di frutta e
verdura. Il tutto ricostruito su misura per loro. “No, non è un set televisivo, ma un vero
e proprio laboratorio di chimica disposto su
tre piani - spiega il neurobiologo Giovanni
Pellegri, responsabile dell’Ideatorio del-
l’ateneo luganese -. Il nostro scopo è promuovere la cultura scientifica, e ‘sapore di scienza’ fa
da apripista ad un progetto tutto dedicato al cibo
che svilupperemo nei prossimi anni. E i bambini
sono i nostri ‘ricercatori’ ideali, con una curiosità
ed un interesse che onestamente non avevamo
previsto, visto che abbiamo già quasi esaurito
tutti gli appuntamenti scolastici da qui al prossimo febbraio”.
Effettivamente, per i cuochi in miniatura, l’interesse non è solo legato alla moda della gastronomia, all’enorme successo che, negli ultimi, hanno
avuto tutte le iniziative mediatiche legate alla cucina. Al punto che, nei “mestieri” che vorrebbero
fare da grande, da un po’ di tempo i bimbi rispondono: lo chef. Per la prima volta, con i laboratori
dell’Ideatorio, infatti avranno la possibilità di indossare sia i panni del “casalingo” che fa la spesa
- scegliendo gli alimenti secondo i loro desideri -,
sia quelli dello scienziato, con tanto di camice
bianco e alambicchi vari per osservare molto più
da vicino i cibi e scoprire il ruolo dei sensi. “Naturalmente il tutto si svolge con test e giochi per
smontare e comprendere tutti i meccanismi visivi,
tattili, olfattivi, termici e pure uditivi che pilotano
il nostro gusto - spiega Pellegri, ricordando che nel
programma c’è anche un laboratorio di profumeria, con tanto di “profumiere”, per spiegare come
molto del nostro appetito dipenda dal naso -. Il cibo è materia, gusto e odore e il coinvolgimento dei
sensi ci porta anche a dei pregiudizi istintivi. Vallo
a spiegare ad un ragazzino che un piatto di gnocchi color blu ha esattamente lo stesso sapore della
ricetta tradizionale; lo rifiuterà. Così come, al tatto, un biscotto ‘molle’ verrà scartato a favore di
quello croccante anche se, una volta in bocca, il
gusto assicuriamo sia lo stesso”.
Insomma, un esperimento nell’esperimento,
Un percorso per capire
tutti i meccanismi visivi, tattili,
olfattivi e pure uditivi
visto che il laboratorio permetterà ai bambini di
capire la complessità e il fascino del senso del gusto, ma nello stesso tempo svelerà come sarebbe
imbandita la nostra tavola se il carrello della spesa
fosse riempito da loro. Degli autentici scaffali di
supermercato, infatti, sono stati ricostruiti su misura per loro. Ed è proprio partendo dalla scelta
dei cibi che ogni bambino metterebbe nel proprio
piatto (dipendesse da loro) che si capisce quali sono le sostanze che nutrono il nostro corpo. A patto
che non scelgano solo snack, merendine e patatine...
e.r.b.
La novità Dalla lattuga al violino di capra, dal vino al büscion, un clic su Cibyò per menu anche ecosostenibili
D
alla lattuga al violino di capra, dalle
patate al büscion. E poi vino, frutta,
uova. Insomma, l’intera gamma per
una sana alimentazione a portata di clic.
L’idea è di due giovani ticinesi, Alberto Tacconi e Federico Juan Rossi, che hanno creato
un sito per agevolare l’acquisto di prodotti
locali, Cibyò, vincendo pure, col loro progetto, la selezione ticinese dello Startups.ch
Award 2014. Si tratta di un’unica piattaforma
che raggruppa i prodotti regionali ed ecosostenibili, dall’accesso immediato e semplice. Presto disponibile anche sottoforma di applicazione. “A
tutt’oggi offriamo settecento prodotti di duecento
aziende - spiega Rossi -. Aziende che fanno vendita diretta. Abbiamo già previsto degli aggiornamenti del programma che consentiranno anche di
trovare i rivenditori di questi prodotti, la cui origine, sottolineo, è completamente rintracciabile.
Gusti e intolleranze in un’App
per comperare vicino a casa
Basta inserire nell’applicazione a quanti chilometri di distanza massima si vuole acquistare il tal
prodotto e apparirà la schermata giusta”.
Insomma, chi vuole mangiare ticinese al cento
per cento lo può fare. E senza spostarsi da casa,
percorrere chilometri
prima
di
trovare
l’azienda agricola o il
negozio più adatto. Con
Cibyò, che raggruppa
tutte le regioni del cantone, si possono trovare
tutti i prodotti desiderati il più vicino possibile
e ricevere informazioni
dettagliate sul venditore, con tanto si sito e numero telefonico. Ma il progetto di Rossi e Tacconi
prevede ulteriori interessanti miglioramenti. “Inseriremo anche l’elenco di ristoranti che propon-
gono questi prodotti. Sempre con il principio della
geolocalizzazione, l’app rileverà la posizione di chi
sta cercando e troverà le aziende, i rivenditori diretti e i ristoranti”. Ma non è ancora tutto. “L’altra
novità che ci diversifica è la possibilità di personalizzare l’applicazione, nel senso che inserendo i
dati si potranno selezionare esigenze e preferenze
alimentari. Ad esempio intolleranze o allergie, cibi che non superino un certo numero di calorie,
alimenti vegetariani o vegani. Informazioni che si
potranno poi impostare, affinché la ricerca successiva vada per esclusione”.
Insomma, un settore, quello dei prodotti locali, meglio ancora se bio, col vento in poppa. Il fatturato totale conseguito con prodotti ottenuti e
trasformati in regime biologico, infatti, in Svizzera nel 2013 ha raggiunto 2.053 miliardi di franchi, con una crescita alla fine dell’anno di 223 milioni di franchi (+ 12.1%).
p.g.
«Mi sono iscritto a Mondovino
per le incredibili enoazioni
e i consigli degli esperti.»
Jo¹þÎ˘Û£ Wæoˆ£ ã¹˘ ˘ ãWæÛW‚‚˘ x£ˇ oˇŽe (¹¹þ
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£ç£ıܢÀ ?¾¾áÏ£ ˘ eá¬ı˘ W ÓoWx£ıîW Ï£‚¬ˇWÏ£v ˘ o¬ıÓ˘‚ˇ˘ ¾£ÏÓ¬ıWˇ˘îîWܢ £ ˘ Óá‚‚£Ï˘Ł£ıܢ x£˘ ı¬ÓÜÏ˘ £Ó¾£ÏܢÀ Jo¬¾Ï˘Ü£
ÜáÜܢ ˘ çWıÜW‚‚˘ x£ˇ oˇáe (¬¬¾ ¾£Ï £ı¬W¾¾WÓÓ˘¬ıWܢv ˘ÓoÏ˘ç£ıx¬ç˘ ‚ÏWÜá˘ÜWŁ£ıÜ£ Óá çççðŁ¹æx¹ã˘æ¹ðoˆÕãWæÛW‚‚˘
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
IL PALAZZO “SERIALE”
I principali personaggi della
serie televisiva di successo
in onda su Sky, “House of
Cards”; qui sotto, il
protagonista, Kevin Spacey
ilcaffètraparentesi 21
L’altra politica
piace di più
in tv e al cinema
Il fenomeno.
Il successo di pubblico
degli “intrighi di potere”.
Dagli Usa all’Europa
ALESSANDRA COMAZZI
P
iù si constata che i
talk show sono troppi
e non fanno ascolti,
più ne mettono, le televisioni. Ed essendo
epoca di globalizzazione, non
c’è differenza tra Paesi, trattasi
di fenomeno trasversale all’Europa e agli Stati Uniti: in fondo
costano meno di altri programmi, gli ospiti non si fanno pagare in quanto ben lieti di andare
a dire la loro, e le reti devono
riempire infinite ore di programmazione. E così, i talk
show stanno diventando come i
reality: non sono la tazza di tè
degli spettatori, che infatti li rifuggono, sono lunghi, noiosi,
non c’è conduttore che tenga.
Così come le pagine dei giornali
di carta e dei tg: facile osservare
quanto spazio sia dedicato alla
decrittazione di una politica
sempre più stravagante, e meno aderente alla vita vera delle
persone. Come sempre, quando
c’è uno spazio, qualcuno lo occupa; quando c’è un bisogno, in
questo caso capire che cosa succede, qualcuno lo soddisfa. Magari in modo paradossale. Perché non è che possiamo prendere per buoni tutti gli intrighi di
potere che ci vengono raccontati. Ma, nella crisi della politica
raccontata da carta stampata,
tg e talk show, grazie alla fiction, in tv e al cinema, qualche
idea ce la facciamo.
Prendiamo
“House
of
Cards”, con Kevin Spacey, in
onda su Sky Atlantic. È un adattamento della serie omonima
realizzata dalla Bbc, tratta dal
romanzo di Michael Dobbs, che
si svolge in Inghilterra. La versione americana trasferisce tutto negli Stati Uniti, e la corsa è
alla presidenza Usa. Spacey è il
cattivissimo Frank Underwood,
che pur di assurgere al massimo
scranno della politica mondiale,
è disposto a farne di tutti i colori, a uccidere e a far uccidere, a
comprare e vendere voti, a ri-
Sulla Rsi
cattare e aprire ogni armadio
per trovarvi i peggiori scheletri.
Scheletri che hanno la forma di
dossier con i quali tiene in scacco i concorrenti. Intendiamoci,
non accadrà proprio così, ma se
incrociamo questa serie con
un’altra assai seguita, sempre
nel pacchetto Sky, “I Borgia”,
sulla terribile famigliona italiana del XV e XVI secolo, papi,
furfanti e avvelenatori, si vede
Negli Usa
E il Ticino si fuse con Milano Una vicepresidente incapace
vero,falso oppure verosimile per una docu-fiction al vetriolo
N
TRA REALTÀ
E FANTASIA
Il sindaco
Borradori in
una scena
della docufiction della
Rsi; accanto,
Selina Meyer,
ovvero Julia
Louis Dreyfus
el 1938 Orson Welles spaventò tutti con
“La guerra dei mondi”, facendo credere, in
perfetto stile giornalistico, che gli extraterrestri fossero sbarcati in America. Sulla scia,
nel gennaio di quest’anno la Rsi ha ottenuto un
fantastico 30 per cento abbondante di share, la
percentuale di ascolto, con una puntata di “Storie”, produttore Luca Jaeggli, regista Fulvio Bernasconi. Titolo
“Operazione Lombardia”. Lo
spunto era un fatto reale: la dichiarazione, marzo 2012, di Ueli
Maurer, ministro della Difesa.
Disse che, per come la vedeva lui,
la fusione tra Lombardia e Svizzera si poteva fare.
La docu-fiction rivisitata immagina che di lì vengano convocati vertici con Berlusconi, Tremonti, Prodi, ma Goldman Sachs manda a monte la trattativa, e ci scappa pure il morto.
Insomma, niente di così lontano da “House of
Cards”. Immagini d’archivio si alternano con altre realizzate apposta, mentre alcuni personaggi
interpretano loro stessi, per rendere ancora più
reale la trama documentaria. Ecco l’ex ministro
della Confederazione Moritz Leuenberger, ecco il
sindaco di Lugano, Marco Borradori, ecco il giornalista Gad Lerner. Ancora vero, falso, verosimile: mirabile sintesi.
P
oi c’è l’ironia. Meglio, il sarcasmo. È fantastico. Non bastava che gli americani, piuttosto
che eleggere presidente una donna, avessero, come dicono le barzellette, scelto un nero. Se
devono prendere in giro l’incompetenza tipica
dell’epoca nostra, lo fanno, per l’appunto, con una
donna. E con una serie divertente e al vetriolo,
realizzata molto bene: “Veep - Vicepresidente incompetente”, Sky
Atlantic, autore Armando Iannucci, padre napoletano, madre di
Glasgow, protagonista Julia Louis-Dreyfus, vincitrice dell’Emmy,
gli Oscar della tv, come miglior attrice comica, nel ruolo di Selina
Meyer.
Lo stile è da docu-fiction, gli episodi durano mezzora, non danno la possibilità di
annoiarsi, e obbligano gli sceneggiatori alla sintesi. Questa vicepresidente è furba, politica di lungo
corso: impiega il tempo suo e dello staff non a fare
la cosa giusta, almeno provarci, ma a lavorare sull’apparenza, sulla percezione. Il confine tra vero,
falso e verosimile è sempre più labile, forse incomprensibile; il modo in cui vengono rappresentati i capi del mondo e in generale quelli che contano, è desolante, una banda di asini approssimativi, se va bene intelligenti ma cattivi, come Kevin
Spacey in “House of Cards”.
come il perverso gioco del potere attraversi secoli ed epoche.
Nulla di nuovo sotto il sole. E in
“Scandal”? Tra tutti, presidente
bianco, amante nera, moglie
bianca con vecchio amante, il
più pulito ha la rogna: ma se devono mettere un vicepresidente
assassino, ancorché del marito
fedifrago e gay, chi mettono?
Una signora. Com’erano diversi
i tempi in cui Geena Davis era
“Una donna alla Casa Bianca”,
onesta e consapevole.
Significativa la tendenza:
aveva cominciato l’antesignana
Meryl Streep, ora sono sempre
più numerosi gli attori che dal
cinema passano volentieri ai telefilm. Che sono pur sempre un
buon lavoro in tempo di crisi.
Ma soprattutto, l’industria
americana
dell’“entertainment” ci ha investito moltissimo, in uomini e mezzi, e i risultati, economici e sociali, non
mancano. Grazie, pure, alla capacità di usare le serie che arrivano dal web, già forti del loro
successo virale; e a quella di intercettare i problemi veri del
Paese, a volte di anticiparli: grazie a brillantissimi dialoghi in
grado di far passare, attraverso
il mezzo potente della fiction,
idee importanti.
Lo spettatore guarda una
fiction con uno stato d’animo
molto più disarmato e meno vigile rispetto a quando segue un
programma di informazione. E
il “messaggio” passa in fretta.
Questo è un dato di fatto biologico, che in sé non è buono né
cattivo: dobbiamo soltanto saperlo e tenerne conto.
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IL CAFFÈ
9 novembre 2014
22 LE RUBRICHE
ilcaffètraparentesi
Animali.
BenEssere. La presenza di muffe nelle abitazioni
aggrava la situazione di chi già soffre di asma respiratoria
Se l’animale
collabora
con l’uomo
è pet therapy
Troppa umidità in casa
fa male alle vie aeree
CRISTINA GAVIRAGHI
S
iamo alle porte della stagione fredda
e ai già deleteri effetti del traffico
sulla qualità dell’atmosfera si aggiungeranno presto quelli degli impianti
di riscaldamento. Ma se la condizione dell’aria esterna non sembra essere rassicurante, anche quella che respiriamo nelle
nostre case potrebbe non essere delle migliori. Ci sarebbe, infatti, il rischio che gli
ambienti domestici, accumulando troppa
umidità, diventino il covo di muffe, potenzialmente dannose per le vie respiratorie,
specialmente di chi già soffre di asma.
L’allarme viene lanciato da ricercatori
dell’Università di Exeter sulle pagine del
Journal of Allergy and Clinical Immunology. Gli esperti hanno analizzato i dati di17
studi sull’argomento condotti in vari Paesi
di America, Europa e Asia. “Ci sono sempre più prove a supporto dell’ipotesi che
lega molte patologie respiratorie e allergiche alla cattiva qualità dell’aria domestica
- afferma Richard Sharpe, ricercatore
presso l’ateneo britannico e responsabile
dello studio -. In particolare, gli effetti negativi sulla salute delle vie aeree sarebbero causati dalla presenza di muffe che si
annidano nelle case, specialmente se
umide e male areate. Mediamente, negli
ambienti chiusi si svilupperebbero circa
dieci tipi di questi organismi fungini, alcuni dei quali sarebbero implicati nelle
patologie respiratorie. “Le muffe appartenenti ai generi Asperigillus, Penicillium
e Cladosporium - continua Sharpe -, sembrano peggiorare i sintomi di chi già soffre di asma in una misura che arriva fino
al 48%”.
Non solo, respirare un’aria malsana in
casa potrebbe anche aumentare la probabilità di ammalarsi d’asma e di sviluppare
allergie respiratorie. Tale ipotesi troverebbe supporto anche in un altro studio,
pubblicato sugli Annals of Asthma, Allergy & Immunology, in cui si afferma che
neonati esposti alla presenza di muffe
avrebbero una probabilità doppia, rispetto ai bambini che hanno avuto un minor
contatto con questi funghi, di sviluppare
la patologia asmatica all’età di sette anni.
La tanto rassicurante “casa dolce casa”
sembra, dunque, assumere un aspetto
più inquietante. Anche perché la cattiva
qualità di aria e ambiente domestico non
riguarderebbe solo dimore vecchie e fatiscenti, ma anche moderne abitazioni e
case ristrutturate con i sistemi più innovativi. Il principale responsabile della for-
mazione di muffe è l’umidità che crea il
substrato adatto perché questi funghi
possano crescere e riprodursi spesso negli angoli più nascosti delle mura domestiche. In un’ottica di maggiore efficienza
energetica, le case - sia moderne sia ristrutturate - sono sempre più sigillate
impedendo l’adeguato ricambio d’aria
che faciliterebbe l’eliminazione dell’umidità. A peggiorare il tutto, alcuni comportamenti scorretti, come... fare asciugare
la biancheria al chiuso o fare la doccia tenendo sempre la finestra serrata. Ciò
contribuisce all’accumulo di vapore acqueo nell’aria domestica. Gli esperti consigliano a costruttori, inquilini e operatori
e sanitari più collaborazione nel decidere
quali accorgimenti adottare per rendere
le mura di casa più accoglienti e sicure
anche per i nostri polmoni.
La lettera
E
gregio dottore, mi scuso
con lei per la banalità
della mia domanda, ma
da ormai qualche anno si sente parlare sempre più di frequente della pet therapy, cioè
una terapia basata sull’utilizzo
di animali. Lei personalmente
cosa ne pensa? È davvero così
importante come supporto ad
altre terapie, oppure è il solito
“tanto rumore per nulla”, nel
senso che in questi anni, con
una cadenza costante si sente
parlare di panacee contro le
più svariate malattie che poi,
in realtà, si risolvono in una
bolla di sapone?
Sesso e amore.
La risposta
di Stefano Boltri
“Ho in testa lei,
sono lesbica?”
Ha colmato
una lacuna
L
La lettera
V
entidue anni, molto confusa e una bimba. Con lei
sono stata mandata in comunità per un anno. Lì ho nutrito affetto per un’educatrice più
grande di me. Proprio io che con
le donne tengo molta distanza.
L’ho sempre stimata e dopo un
mese che la “frequentavo” ho
avuto come un’ossessione per
lei. Non vedevo l’ora che iniziasse il turno e cercavo di stare il
più possibile con lei e ritardare il
momento che partisse. Cercavo
di farle capire il contrario di
quello che in realtà provavo.
Non ho mai fatto pensieri e sogni erotici e l’unico desiderio era
di abbracciarla forte. Quando sono uscita dalla comunità fingevo
di essere felice, ma in realtà ero
triste e disperata all’idea di non
vederla più. Dopo sei mesi la
penso ancora. Internet mi aumenta la confusione perché parla di mancanza di affetto da parte di una figura femminile. Verso
i genitori adottivi nutro grande
freddezza e mi sento in colpa per
non provare affetto. Quando li
abbraccio provo disagio. Tornando all’educatrice mi chiedo se
sono omosessuale. Faccio sesso
con uomini e l’unico rapporto
omosessuale è stato a sedici anni, un bacio a stampo sulla bocca
della mia amica (mi ha baciata
perché era ubriaca). Da piccola
ho avuto rapporti con uomini di
mia madre. Non ci capisco niente e avere in testa questa educatrice mi fa impazzire. Mi dia una
spiegazione.
La risposta
di Linda Rossi
L
ei ha fatto un cosiddetto
transfert su questa donna
che potrebbe rappresentare un riferimento femminile
al quale poggiava la sua perso-
nalità in evoluzione. È sicuramente positivo. Il fenomeno
che ha vissuto, e che ancora vive, non è un’ossessione ma
l’espressione del suo bisogno di
essere in relazione con una
La moda.
LINDA D’ADDIO
T
donna presente e strutturante,
un po’ come una madre con il
suo bambino. Forse proprio
quello che le è mancato, ma
che può rivivere e far evolvere.
Forse è la prima volta che si
confronta a una situazione dove viene presa sanamente a carico in un contesto strutturante
del quale sembra, alla luce della sua storia, avere grande necessità. In questa si constata
Tessuti e trame glam,
informali,sexy e chic
weed, spinato, principe di galles, pied de
poule, scozzese, quadrettato. Tessuti
senza tempo che hanno sempre rappresentato uno dei cardini del genere maschile ora
diventano iperfemminili, declinati su abiti,
gonne, tailleur, capispalla, persino sugli accessori, occhiali compresi. Spezzati con l’unito, oppure combinati fra loro per un insolito effetto
mix&match sono diventati da diverse stagioni
anche un classico del vestire femminile ed interpretano diversi stili, dal più rigoroso e minimale genere “maschile” ai look più sexy e glam.
Rivisitati e trattati con leggerezza si rinnovano
grazie a nuove proporzioni e drappeggi assolutamente femminili che da tessuti rozzi li trasformano in materiali e completi bon ton.
Esprimono alla perfezione la rinnovata eleganza che strizza l’occhio agli anni
Cinquanta della maison Dior su cappotti
doubleface, stretti in vita, con gonna a
ruota, o sugli aderenti corpetti in raso
di seta pied de poule degli abiti da
sera. Tessuti finestrati per le tute
lunghe di Chanel, per i completi
in jersey aderenti, per i tailleur
giacca lunga e skinny pants e per
i cappotti. Tweed per i cappotti
lunghi, per i pantaloni morbidi e per
i completi con gonna longuette di Céline. Lo scozzese veste i panni di minidress,
abiti-camicia, bomberini e minigonne sulla
passerella di Tommy Hilfiger. Spinati, quadrettati, tweed e pied de poule, ci sono tutti
i tessuti della tradizione maschile nella collezione Max Mara, cappotti, giacche, completi,
gonne e gilet.
Gli intramontabili tessuti della tradizione
sartoriale inglese sono rivisitati nel guardaroba
invernale di Luisa Spagnoli, declinati su tailleur, completi maschili, petite robe e cappotti
che non dimenticano la loro buona dose di femminilità e carattere.
Questi tessuti e queste trame rimangono
comunque una costante anche delle collezioni
uomo della stagione fredda. Nella nuove mises
di Daniele Alessandrini, curate nei minimi dettagli e dal taglio assolutamente sartoriale, da
lui stesso definite “New Chic”, coesistono,
in perfetto equilibrio, eleganza classica ed
un tocco glamour e trendy. I preziosi tessuti stampati o a jacquard, a righe, fiori,
pois, sono abbinati a lavorazioni più
classiche come il galles, il pied de poule e il check e li ritroviamo nei cappotti, nelle giacche, nei pantaloi, nei capi
in pelle e persino negli accessori, borse e scarpe. Scarpe con punta stondata
e con applicazioni di pellami stampati,
realizzate con suole in cuoio o in gomma. Meravigliosa anche la pantofola
che ripropone le stampe della collezione, ma vero must è la ciabatta da camera che diviene una vera e propria
scarpa da indossare sia di giorno che di
sera.
Nella collezione Roccobarocco Uomo ritroviamo le trame principe di
Galles e pied de poule nelle giacche
lavorate a taglio vivo. Il lusso e la sobrietà della collezione si sposano con
abbinamenti assolutamente liberi da qualsiasi schema: in questa direzione va la giacca da smoking proposta con il pantalone in
tweed dal fit informale.
che non sono stati rispettati i limiti generazionali necessari alla crescita perlomeno da parte
di quegli adulti, uomini di sua
madre con i quali ha avuto dei
rapporti, che l’hanno circondata. Mi chiedo inoltre, e la invito
a fare altrettanto, se a quel
tempo poteva pensare di parlarne a sua madre, aspettandosi la dovuta protezione. C’è poi
il fatto che lei, nel rapporto con
gli altri, pur sapendo riconoscere i suoi sentimenti e le sue
emozioni, sembra mostrare
l’inverso di quanto prova. Si
chieda il motivo.
Alla sua domanda se lei è
omosessuale, direi di no, perché fa sesso con uomini,
sempre che ne sia sessualmente attratta. Direi piuttosto che
l’attrazione nei
confronti dell’educatrice sia
dovuta a una
lacuna che lei
cerca di colmare proprio ora
che è diventata
madre, ora che
deve costituire
un riferimento e
un contenitore
sicuro per sua figlia. Come se la
sua capacità relazionale deve riprendere il filo
dai primi momenti della vita.
Le suggerirei di intraprendere
un percorso psicologico, meglio
con una donna, alfine di cogliere quel risveglio che ha rappresentato l’educatrice e che, per
motivi estranei alla sua volontà, ha dovuto interrompere.
a pet therapy è un mondo
meraviglioso dove gli animali rappresentano un
elemento cardine per l’aiuto ed
il sostegno in molti tipi di patologie. Gli esperti ritengono che
il nome adatto a definire questo
universo sia “interventi assisiti
con gli animali”. Il fine ultimo
di questa collaborazione uomoanimale è quello di migliorare
la qualità della vita ed il benessere di persone malate, diversamente abili ed anziani.
Un altro aspetto che sta prendendo sempre più piede sono le
attività rivolte anche ai bambini
delle scuole. Si tratta ovviamente non di una terapia, ma di
un intervento di carattere ludico che può senza dubbio migliorare il rapporto animale
bambino ed eliminare dubbi e
paure. In questo caso si tratta
di qualcosa di veramente semplice, in quanto non sono necessarie strutture ed attrezzature particolari; basta un giardino, una scuola. Per altri tipi di
interventi, e soprattutto quando vengono utilizzati animali tipo cavalli, è palese che il tutto
deve essere effettuato in centri
più attrezzati tipo le fattorie didattiche o centri specializzati
per minori e disabili con specifiche problematiche. In questi
“laboratori”, vengono insegnati
sia le caratteristiche dell’animale, sia spiegati il corretto avvicinamento allo stesso ed il
comportamento di quella determinata specie.
Proprio attraverso la conoscenza e l’avvicinamento all’animale bambini e ragazzi imparano a comprendere e accogliere il “diverso”. La vera terapia con animali, è in realtà
una co-terapia che si
affianca a quelle
tradizionali il cui
fine è senza dubbio quello di puntare ad una migliore qualità
della vita del
paziente, ma
anche
alleviare
eventuali dolori o
patologie fisiche e psicologiche.
Voglio qui ricordare che il padre
di questo metodo rivoluzionario
fu uno psichiatra infantile, il
dottor Levinson che già nel
1961 scoprì gli enormi benefici
della presenza di un cane o un
gatto durante le sedute trapeutiche con un bambino autistico.
Scrivi a LINDA ROSSI
psicoterapeuta e sessuologa
Scrivi a STEFANO BOLTRI
veterinario del Caffè
Posta: Linda Rossi – Il Caffè
Via Luini 19 - 6600 Locarno
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IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 23
Il trend. La nuova sfida è rallentare,privilegiare
la qualità sulla quantità.“Tutto sta nel non esagerare,
essere centrati e concentrati su quel che si fa”
LE REG
OLE
D’ORO
Diamo un calcio al multi-tasking,
è meglio riscoprire la pazienza
L
a pazienza è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna
apparenza d’eroico”. Così scriveva
Leopardi nello Zibaldone. E oggi
più che mai, potremmo aggiungere. In una società sempre più frenetica, perennemente in corsa e trafelata, chi rallenta, aspetta, pazienta, in realtà vien guardato storto. Ma come? Ti permetti di prender
fiato, di ascoltare, osservare, elaborare…
sarai mica matto? Questo, di solito, si pensa
di chi decide di darsi un ritmo più lento e
dare un calcio al multi-tasking. Mentre la
maggior parte sostiene che siamo tutti saliti su un treno in corsa, dal quale non possiamo più scendere, complice pure una società iperconnessa. “Bè, essere impegnati
su più fronti non è di per sè negativo, in
fondo è una caratteristica delle persone più
creative - osserva Ivan Battista, psicoterapeuta, docente esperto alla Scuola medica
ospedaliera di Roma -. Tutto sta nel non
esagerare, nel riuscire comunque ad essere
centrati e concentrati in quel particolare
momento”.
Ma chi
ha detto che dobbiamo per forza velocizzare tutto, azzannando tempo, affetti e valori?! E non, invece, recuperare il senso della
concentrazione. Lo consiglia pure un nuovo
libro, una sorta di manuale per vivere più
felici: “A passo leggero - Esercizi di introspezione e circospezione”, di Cristina Gabetti (vedi sotto).
Insomma, torniamo a privilegiare la
qualità sulla quantità. A fare una cosa per
volta. Addirittura nella patria del multi-tasking, gli Stati Uniti, ci si sta riappropriando del valore del single-tasking, fare, appunto, una cosa alla volta. Concentrandosi
su quella data cosa, in quel preciso momento. “Mindfulness” (piena presenza), così
viene definito questo modo di affrontare la
vita. Un po’ ciò che si insegna negli ospedali
universitari ginevrini da una decina di anni,
con un programma di meditazione cosciente per alleviare i pazienti depressi. Tant’è
che quest’anno, la disciplina ha ricevuto
una consacrazione accademica: la facoltà di
medicina e l’Alta Scuola di salute di Ginevra hanno inaugurato una formazione
continua inedita, aperta ad ogni ti-
po di professionisti confrontati con le problematiche della salute, medici, infermieri,
ostetriche, psicoterapeuti, ducatori. Consigliano tutta una serie di “esercizi”, come
imparare un’attenzione particolare sul presente, sulle proprie sensazioni, emozioni,
pensieri, ma senza dare giudizi. Una pratica
fattibile in ogni luogo e in qualsiasi momento. A partire dal 13 novembre, all’Alta
scuola di salute di Ginevra verranno organizzati dei cicli di corsi completi e su misura
per futuri genitori, sotto la supervisione di
un’insegnante ostetrica. L’obiettivo è prepararsi, attraverso esercizi specifici, a vivere pienamente e coscientemente un’esperienza di trasformazione come è quella della nascita e della genitorialità, lavorando su
sensazioni ed emozioni. Contro il mito del
multitasking anche Dave Crenshaw, consulente aziendale e conferenziere statunitense; nel suo libro “Una cosa per volta. Quando fare tutto è come fare niente” (Sperling
& Kupfer), insegna a dare una tregua ai nostri neuroni per guadagnare in produttività
e qualità della vita. E se avesse ragione?
p.g.
1
INUTILE ARRABBIARSI
Perdere le staffe rovina la giornata,
immediatamente subentra uno
stato d’animo cupo e negativo e
difficilmente si riesce a riacquistare
la tranquillità. Ne vale la pena?
2
DORMIRE E MUOVERSI
Dormire a sufficienza è
fondamentale per riuscire a far
fronte, con calma alle situazioni.
Ma anche fare un po’ di sport
aiuta a scaricare il nervosismo.
3
CON UN PO’ DI LOGICA...
La logica può rappresentare
un valido alleato per far sì che la
pazienza diventi una nostra qualità
personale. Impariamo a guardare
alla logica della causa ed effetto.
Il libro
Cristina Gabetti, in dieci “passeggiate” invita ad affrontare la vita con un altro passo
“Ma ora vi insegno io a godere del presente”
L’
A PASSO LEGGERO
di Cristina Gabetti
(Bompiani)
obiettivo è quello di arrivare a incontrare noi stessi, i nostri
cari, ma anche pensatori e uomini speciali che hanno riscoperto l’arte semplicissima di vivere in armonia con se stessi”. Così scrive Cristina Gabetti, autrice del nuovissimo libro “A
passo leggero” - Esercizi di introspezione e circospezione”, in cui
elenca una serie di attività che, a passo leggero appunto, ci porteranno dentro un’avventura emotiva a più dimensioni e prospettive. “Credo che il motore della trasformazione verso una società
più armonica e costruttiva sia l’empatia - spiega Gabetti al Caffè ; il mio vuole essere un invito a guardarci attorno e dentro e non
farci passare tutto davanti senza alcuna emozione. Insomma, a non
essere costantemente proiettati nel futuro, ma avere la consapevo-
lezza, godendone, del presente”.
Il libro della Gabetti propone dieci passeggiate, divise in altrettanti tipi di passo, dal brioso al laterale, dall’interiore al quantico.
“C’è pure il passo empatico - riprende la scrittrice - e l’ho sviluppato attraverso una lunga intervista con Giacomo Rizzolatti, scopritore del neurone specchio, detto pure neurone dell’empatia,
che ci invita a guardare il prossimo con una sensibilità nuova. E ci
fa vedere come noi siamo molto più connessi di quello che pensiamo, per cui è una sorta di dimostrazione scientifica che se noi davvero ci sintonizziamo in primis con noi stessi possiamo diventare
una forza insieme agli altri, invece che essere continuamente in
difesa o reattivi”.
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4
CONTARE FINO A 10
Prima di perdere la pazienza è
sempre meglio contare sino a 10.
Quasi sempre poi ci si pente di
azioni e parole. E allora tanto vale
non perder einutile energia.
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Ti-Press
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
25
Le auto.
La Range Rover
Sport sorprende
per la sua agilità.
Nonostante
sia un Suv
dalle grandi
dimensioni
Le strette strade dellaVal Bavona
al volante di un gigante disinvolto
EUGENIO SAPIA
La scheda
Range Rover Sport 3.0
SDV6 HSE Dynamic
Motore
6 cilindri diesel
Cilindrata (ccm)
2’993
Cambio
autom. a 8 rapporti
CV
292
Coppia max. (Nm)
600
0-100 km/h (s)
7,2 (casa)
Velocità massima (km/h) 171 (casa)
Consumi (l/100 km)
12 (test)
Prezzo (auto test)
138’000.–
È
stata un’esperienza di guida particolarmente coinvolgente quella
passata al volante della nuova Range Rover Sport, con motore 3 litri diesel
che sviluppa poco meno di 300 cavalli.
Quel che ha sicuramente sorpreso è la
sua agilità. Malgrado le sue dimensioni (è
lunga 4,85 metri) e il suo peso, che supera le due tonnellate, questo lussuoso Suv
è stato sviluppato proprio con l’obiettivo
di rendere la guida più dinamica e sostenibile rispetto alla versione precedente,
mantenendo però lo stile, condiviso stavolta con il modello Evoque, e il comfort.
Gli ingegneri di Land Rover hanno dunque optato per una notevole riduzione
del peso (fino a 420 kg), grazie all’utilizzo
di una scocca in alluminio che consente
appunto alla vettura di essere più maneggevole, meno inquinante (le emissioni di CO2 si attestano a 199 g/km), e più
parsimoniosa in confronto al passato.
Per questa prova su strada scegliamo
un percorso di circa 80 chilometri, che da
Lugano ci conduce a San Carlo, in Valle
Bavona, alla scoperta delle bellezze naturali di questa valle e lungo una strada
montana che si presta molto bene per
mettere alla prova la vettura.
Iniziamo a scoprire l’interno di questo nuovo modello, caratterizzato da un
perfetto mix di stile, lusso e sportività.
Interno che è stato anche ottimizzato per
creare maggior spazio e per rendere ancora più accogliente e confortevole l’abitacolo, grazie all’utilizzo di materiali
soft-touch e all’illuminazione d’atmosfera configurabile in diverse modalità. La
posizione di guida elevata su sedili sportivi simili a quelli della Evoque, unita a
tutta una serie di tecnologie, danno un
senso di sicurezza e di controllo davvero
notevoli durante la guida.
Avviato il motore mediante il tasto
start-stop, bastano pochissimi secondi
per connettere via bluetooth il proprio
cellulare al computer di bordo; il che consente, fra l’altro, di ricevere tramite
un’applicazione informazioni sullo stato
del veicolo, oppure di “installare” addirittura una rete Wi-Fi a banda larga in
modo che i passeggeri possano navigare
su internet. Basta poco anche per prendere confidenza con le imponenti dimensioni della vettura e per abituarsi alle
La“baby”Jeep Renegade
danza su ogni percorso
Il mini Suv fissa dei nuovi standard per il suo settore
COMPATTO
E ROBUSTO
STEFANO WINGEYER
Lungo 4,24 m il
nuovo compatto e
robusto SUV,
erede della
Willys, si
arrampica
ovunque. Grazie
al manettino sotto
il crucotto
permette di
inserire
automaticamente i
l sistema di
trazione ideale,
ridotte comprese.
a nuovissima Jeep Renegade amplia la gamma di
prodotti del marchio Jeep,
che con questo modello, fa il
suo ingresso nel settore in crescita dei Suv di dimensioni ridotte, con un modello dalla
spiccata personalità. I tecnici
hanno ricevuto l’incarico di progettare un mezzo nuovo di zecca che riflettesse l’inconfondibile design americano di Jeep. La
Renegade infatti è la prima del
suo marchio e della sua catego-
L
ria ad essere presentata in 100
mercati di tutto il mondo. Il risultato del lavoro dei designer
di Jeep è una vettura con un
aspetto fresco e completamente
nuovo.
Lo stile tradizionale Jeep è
comunque riconoscibile grazie
ai fari anteriori rotondi, alla mascherina del radiatore con sette
fessure di ventilazione e ai passaruota trapezoidali. Unici in un
Suv di dimensioni ridotte sono
inoltre i sistemi tetto My Sky,
che trasmettono grande luminosità nell’abitacolo. Una per-
fetta sensazione Open Air.
Tra le novità il cambio automatico a nove livelli, che s’impone come punto di riferimento
nelle prestazioni su strada e
fuori strada. In Svizzera la nuova Jeep Renegade è disponibile
Fuoristrada, a due o a
quattro ruote motrici,
nasce nella
fabbbrica di Melfi,
del nuovo gruppo Fca manovre di posteggio.
Iniziamo dunque a percorrere l’autostrada in direzione del Sopraceneri, accorgendoci fin da subito dell’impressionante spinta che questo motore con 600
Nm di coppia sa garantire. Ma è soprattutto percorrendo la strada cantonale
della Vallemaggia e della Valle Bavona
che possiamo apprezzare appieno le caratteristiche dinamiche della nuova Range Rover Sport, alla quale un appassionato di motori non può restare indifferente.
Davanti a noi scorre un incantevole
scenario, fra le montagne e la dozzina di
villaggi rurali che fanno di questa valle
una meta ideale per gli amanti della natura e delle escursioni, fra cui ricordiamo
quella che da San Carlo conduce a Robiei,
ai piedi del ghiacciaio del Basodino.
in tutte le varianti. Sport, Longitude, Limited e Trailhawk, a
partire da 28’150 franchi. La
versione di base sarà ottenibile
a giugno 2015 a partire da
24’950 franchi. Si può scegliere
tra un totale di 12 combinazioni, nonché tra motori a benzina
e diesel.
Anche in quanto a comfort e
tecnologia, la Jeep Renegade è
un punto di riferimento. Vi rientrano il sistema UConnect con
schermo tattile da 5 pollici, in
tutte le varianti, o 6,5 pollici,
Bluetooth con riconoscimento
vivavoce e un display a colori
Multiview da 7 pollici della
strumentazione combinata, il
più variato e grande della sua
categoria.
All’abitacolo della Jeep
Renegade è stato conferito un nuovo linguaggio
formale che i designer
hanno battezzato TekTonic, che combina forme morbide - che invitano al contatto - e superfici con dettagli robusti e funzionali. Quest’ultime - per esempio
la copertura del cruscotto - , si alternano a
elementi pratici come la
solida maniglia del lato
passeggero, irrinunciabileper i percorsi fuori
strada.
Un sistema intelligente
di stivaggio - tra l’altro con lo
schienale reclinabile del sedile
del passeggero e un fondo intermedio estraibile e regolabile
in altezza per il bagagliaio -assicura un comodo spazio anche
per l’attrezzatura sportiva o per
il tempo libero più ingombrante.
E infine..., la sicurezza e le
“strutture” di protezione hanno
avuto la massima priorità nello
sviluppo della nuovo modello.
La vettura possiede fino a 70
funzioni di sicurezza integrate,
opzionali o di serie, compresi 6
airbag, controllo elettronico di
stabilità , roll bar elettronico,
videocamera retrovisiva, sistema anticollisione , avviso di
uscita di corsia e regolazione
automatica della velocità.
LA PEUGEOT
Disponibile come berlina
o wagon, la nuova 308
GT, sarà in vendita
con il 1.6 litri Thp quattro
cilindri da 205 Cv e
un 2.0 litri BlueHDi diesel
da 180 Cv.
LA RENAULT
La grande Espace
(lunghezza 4,85 m, e passo
2,88 m) si ripresenta con
spazio fino a 7 persone e
diverse accorgimenti
tecnici, quattro ruotre
sterzanti comprese. LA NISSAN
Un progetto creativo da
parte di giovani nati dopo
il 1990. La IDx Freeflow,
veste in stile vintage il
futuro di Nissan ma non
rinuncia alla raffinata
tecnologia.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
27
Tablet e smartphone
1
2
3
4
5
DA AGGIORNARE
Aggiorna l'app del
Caffè, ora con una
nuova veste grafica
dal design moderno
e in alta definizione
SU APP STORE
Su iPad e iPhone,
tocca l’icona “App
Store” (nella
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e poi il pulsante
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6
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AÈ]
] (42
IL PRIMO FASCICOLO
Un fascicolo più robusto
per affiancare
all’attualità,
approfondimenti e
inchieste, capaci di dare
valore e significato
anche ai piccoli fatti
IL SECONDO FASCICOLO
Un ritmo di lettura
differente, in grado di
mantenere il giornale
fresco per settimane
e settimane, pur
prendendo le mosse
dall’attualità
LO SPORT MAGAZINE
Un vero magazine sportivo
per raccogliere il meglio
della settimana e presentare
il calendario degli eventi. E
con gli ultimi risultati. Solo
su tablet, smartphone
e sul sito caffe.ch
La novità.
SUI TABLET
L‘applicazione è
stata aggiornata.
Il giornale può
essere sfogliato in
alta definizione e
nella sua “pagina
edicola”
si possono trovare
anche
gli speciali,
oltre allo
SportMagazine
Il Caffè si rinnova
per rinforzare
la propria identità
SUGLI SMARTPHONE
Il giornale
settimanale in
tasca. Con l’ultima
edizione
aggiornata già alla
mezzanotte del
sabato. Il nuovo
sfogliatore del
Caffè offre una
qualità di lettura
in alta definizione
Sedici anni e 62 mila copie,il nostro settimanale
rilancia su carta,sugli smartphone e sui tablet
N
ovembre 1998. Novembre 2014. Il
Caffè è un giornale
ancora giovane e
proprio per questo,
nel pieno della sua vitalità, si
rinnova ancora una volta. E ancora una volta per rinforzare la
propria identità. Sia sulla carta,
sono ormai 62 mila le copie
stampate settimanalmente, sia
per le versioni da sfogliare sui
tablet e sugli smartphone.
Per facilitarne e migliorarne
la lettura, il giornale cambierà,
da domenica 23 novembre, fascicolazione. Una distribuzione
più razionale delle sezioni, ma
soprattutto un giornale ancora
più votato agli approfondimenti e alle inchieste. La ragione
prima che spinse e determinò
nel 1998 la nascita del Caffè e
il suo successo. Un giornale, allora come oggi, aperto ai cambiamenti, al progresso, alla
crescita... Ed è proprio per rinforzare questo tratto distintivo
che, da domenica 23 novembre, sarà strutturato su due fascicoli più scorrevoli e robusti:
nella prima parte ciò che è più
strettamente legato all’attualità, sia locale che nazionale ed
estera. Mentre il secondo dorso, pur prendendo le mosse dai
fatti e dal dibattito settimanale,
offrirà chiavi e ritmi di lettura
diversi, ma soprattutto un ap-
Ÿøø®flÒاϧ
proccio differente alla realtà.
Le applicazioni che permettono di sfogliare il giornale su
tablet e smartphone sono state
rinnovate, entrando nel mondo
dell'alta definizione, nei giorni
scorsi. Già possono essere utilizzate. Ed è anche grazie a
questo rinnovamento, che risponde pure a nuove esigenze
commerciali, che dal 23 novembre arricchiremo le pagine
sportive con un vero e proprio
Magazine da sfogliare già dalla
mezzanotte del sabato su tablet e smartphone, oltre che sul
sito del Caffè. Insomma, uno
SportMagazine concepito solo
per l'on line e con quei risultati
sportivi che il giornale cartaceo, per ragioni di tempi tipografici, potrebbe non essere in
grado di pubblicare.
Novembre 1998. Novembre
2014. Un rinnovamento per
rinforzare un’identità.
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Pagina a cura di
AutoPostale Svizzera SA
LEGUIDE
GLIITINERARI
Informazioni e prenotazioni:
AutoPostale Svizzera SA
Regione Ticino - Viaggi e Vacanze - 6501 Bellinzona
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Il viaggio Con AutoPostale alla mostra sul Giappone,
ai mercatini di Natale e nei caffè più rinomati
Tre città speciali,
eleganti, uniche
e mitteleuropee
Se le prodezze di Tom Cruise in versione “Ultimo Samurai” vi hanno fatto sognare, la mostra
di Treviso sugli antichi guerrieri del Sol Levante
sarà un tuffo alla scoperta del Giappone più
autentico. E se siete affascinati dalle tipiche
atmosfere del Natale inserite in un contesto di
eleganza mitteleuropea e di solare luminosità
mediterranea, ecco che Trieste e Lubiana diventeranno le mete ideali nel periodo dell’Avvento. In sintesi sono questi gli ingredienti
principali del viaggio organizzato da AutoPostale il 6, 7 e 8 dicembre.
Innanzitutto c’è da vedere quel pezzo d’Italia
così originale e così genuino che risponde al
nome di Marca Trevigiana. Questa espressione
è sorta nel dodicesimo secolo per indicare il
territorio che si estendeva attorno alla città.
Ora è diventato sinonimo di una delle province
più caratteristiche dell’intera penisola, tra vigneti, centri storici accoglienti e tante iniziative culturali. Benvenuti, allora, a Treviso, città
da scoprire nei suoi angoli più belli come piazza dei Signori con il suo Palazzo del Trecento
e l’elegante loggia dei Cavalieri.I due fiumi,
Sile e Cagnan, s'insinuano tra le vie e donano
un fascino unico al centro storico racchiuso
dalle antichissime mura. Monumento notevole
è il Duomo con i suoi affreschi d’inestimabile
valore.
In questo raffinato contesto sorge Ca’ dei Carraresi che ospita prestigiose mostre e, in questo periodo, offre ai visitatori la rassegna intitolata “Giappone, dai Samurai a Mazinga”.
Stupende le armature e gli oggetti che si possono trovare in questa interessante esposizione dal profondo contenuto storico e culturale.
Non mancheranno i riferimenti ai film del regista Akira Kurosawa e ai cartoni animati con i
famosi robot quali Goldrake, Mazinga e Gundam, le cui corazze d’acciaio sono direttamente ispirate alle tradizionali armature dei samurai. Antico e moderno, insomma, si fondono,
generando un effetto di curiosità e di stupore.
Si prosegue, poi, per Trieste, città che raggiunse il suo massimo splendore sotto l'impero di
Maria Teresa d'Austria. A quell'epoca risalgono i famosi caffé storici in cui s’incontravano
gli intellettuali di tutta Europa. Ciò che attrae,
allora, è il suo respiro internazionale, in particolare il Colle di San Giusto, sulla cui sommità
sorge l’omonimo castello, simbolo della città.
E’ qui che si concentrano alcune delle più rinomate bellezze triestine, perpetuando il fascino di un luogo di frontiera, da sempre crocevia di etnie e di culture in un presente che
non dimentica le sue radici, soprattutto in attesa del Natale, quando la regione rifulge di
luci e di appuntamenti con la tradizione come
il mercatino di San Nicolò, che propone oggettistica, dolciumi e hobbistica in generale.
Da Trieste il passo è breve verso la Slovenia
che racchiude alcune perle turistiche d’inestimabile valore, una di queste è senza dub-
bio Lubiana, capitale dalla storia millenaria
che ora racchiude i capolavori dell’architetto
Plecnik.
La visita guidata della città permette di vedere
da vicino alcuni dei suoi capolavori e di assaporare un atmosfera incantevole e particolare,
tanto più nel periodo di Natale con il ricco mercatino che si snoda lungo il fiume Ljubljanica,
nel cuore del centro storico dove si può trovare
ogni genere di regalo mentre il profumo dei cibi tipici stuzzica l’appetito e invita all’assaggio.
Ma Trieste ribadisce il suo richiamo per una
cena libera in un ambiente caratteristico dove
assaporare la cucina locale. Poi resta il tempo
solo per conoscere da vicino i locali più rinomati della città e fermarsi, possibilmente, al
Caffè degli Specchi la cui fondazione risale al
1839. Una passeggiata finale nel centro storico per gli ultimi acquisti è il miglior saluto a
una città che rimane nel cuore. Nel pomeriggio
è prevista la partenza per il ritorno in Ticino.
Il programma
Treviso, Trieste
e Lubiana
6-8 dicembre 2014
CHF 598.- per persona
in camera doppia
Partenza
07.00 Ascona Manor,
07.05 Ascona autosilo,
07.10 Locarno Ffs,
07.40 Giubiasco Fust,
08.10 Lugano Ffs (lato buffet),
08.30 Balerna centro Breggia
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IL CAFFÈ
9 novembre 2014
29
La tendenza. Oltre che
“griffato”l’arredamento per i piccoli
deve essere pratico, sicuro e giocoso
Il
design
a misura
di
bimbo
LINDA D’ADDIO
I
l design? Non è solo “roba” da grandi. Pezzi famosi, belli e griffati, firmati da artisti celebri.
Belli, ma anche funzionali alle esigenze di crescita e
psicologiche dei piccoli di casa, sicuri, utili, comodi e giocosi. Sono queste le prerogative da cui non deve prescindere
un pezzo di arredo per la loro
cameretta, anche se disegnato
da una firma famosa nel campo del design. Un pezzo che ha
fatto la storia, che bisogna assolutamente “avere”, un cult
da conservare anche quando i
piccoli sono cresciuti.
I genitori sanno perfettamente che lo spazio a loro dedicato, seppur bello da vedere,
deve essere pratico, comodo,
sicuro e perché no? Anche divertente! Per questo motivo le
firme e le marche note nel settore dell’arredo hanno da sempre cercato di cimentarsi nello
studio, nella progettazione e
nella realizzazione di mobili e
complementi in grado di soddisfare tutte queste esigenze.
Come sottolinea l’architetto d’interni Stefania Cavalleri,
membro Asai (Associazione
svizzera degli architetti d’interni), “quando si progetta
uno spazio per bambini bisogna valutare attentamente arredi che non creino pericoli
(spigoli e altezze) e scegliere
soluzioni di facile utilizzo e
fruizione che facciano sentire i
piccoli a loro agio e liberi di
giocare e divertirsi”. Altro fattore importante, continua
l’esperta, “è giocare con i colori e puntare su complementi
‘alla loro portata’ per farli sentire autonomi in ogni azione:
Scrivania, lampade, sedie,
contenitori, devono essere
pratici per consentire anche ai
più piccoli di utilizzarli in modo indipendente, senza l’aiuto
dei genitori. Nella scelta e nel
posizionamento degli arredi,
suggerisce Cavalleri, bisognerebbe orientarsi su soluzioni
che sfruttino al meglio gli spazi fisici e la luce naturale: “Il
punto focale diventa la scrivania - spiega l’esperta -, che dovrebbe essere posizionata vicino ad una finestra o ad una
fonte di luce naturale, proprio
in considerazione del fatto che
i piccoli trascorrono la maggior parte del loro tempo in camera”.
Anche in questo settore del
design ci sono stati e ci sono
artisti celebri che hanno “firmato” pezzi famosi e aziende
che hanno creato linee specifiche per i piccoli. Una delle prime è stata sicuramente Kartell
che negli anni Sessanta ha iniziato a produrre “Sistema
Scuola”: seggioline, tavoli con
piani lavagna, cubi contenitori
su ruote. Fra i pezzi storici la
prima seggiolina in plastica a
incastro, stampata ad iniezione, disegnata da Marco Zanuso
e Richard Sapper nel 1964,
Qualche idea
1
LA CARTA
DA PARATI
Le ha disegnate Ingela P. Arrheniu,
famosa illustratrice svedese, già
nota nel campo del kids design e
dintorni. In queste grafiche si
ritrova tutto il suo stile. Linee pulite
e colori polverosi.
2
Da non dimenticare, poi, fra
gli imbottiti la poltrona “Soft
Little Easy” di Moroso, che ricorda gli arredi dei cartoni
animati, e quella di Gaetano
Pesce in resina “Baby Crosby
Chair” della collezione “Open
Sky”, a colori e forme irregolari. Infine, il marchio francese
Vibel, famoso per i suoi sistemi di mobili componibili evolutivi, che crescono con i bambini e con le loro esigenze pratiche e psicologiche e usano
materiali atossici e colori idonei all’equilibrio del bimbo.
[email protected]
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UNA FAMIGLIA
LUNATICA
Arredi che esprimono sentimenti.
La famiglia Lunatiques, creata dal
giovane duo Heju, ne ha tanti: il
tenero, il pigro, l’arrabbiato, il
dubbioso. Ognuno un carattere,
una forma con tanto di espressioni.
4
IL TEMPO
DELLE PERE
La curiosa casetta, la Pebble
House, proposta dal giovane
marchio Rock & Pebble, è in legno
ecologico e personaggi minimal
con un elegante packaging.
5
“Bisogna valutare
attentamente
soluzioni che non
creino pericoli, prive
di spigoli e altezze”
DALLA TRAPUNT
AL DOUDOU
Fabelab è un brand nordico con
collezioni sempre improntate
all’idea degli origami, applicate
a tessuti e trapunte, perfette da
usare sia come copertine che
come doudou.
3
esposta al Moma di New York.
All’avanguardia in questo
settore è il design nordico che
ha sempre prodotto pezzi utili
creati apposta per i piccoli e
per le loro esigenze di crescita.
Sono del noto marchio norvegese Stokke il seggiolone di
faggio “Tripp Trapp” e il leggio “Desk plus”, pezzi di design in grado di trasformarsi
nel tempo ed adattarsi alla
crescita del bambino, salvaguardando i problemi di postura. Così come la carta da
parati di Ingela P. Arrheniu,
famosa illustratrice svedese.
MOBILI
INTELLIGENTI
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La Subtile ha dato vita ad elementi
che coniugano praticità e bellezza,
con forme pulite, linee dal design
minimal e colori pastello. Come
Pupitre, una seduta che si
trasforma in pochi secondi.
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I costi
Marchi convenienti per camerette
Il low cost
formato mini
per tutte
le esigenze
I
marchi low cost, linee a
prezzi contenuti, esistono pure nel settore del
design “mini”: mini nel formato e mini anche nel prezzo. Fra gli esempi meglio
riusciti c’è il colosso svedese
Ikea, leader nel settore
dell’arredo economico, che
offre moltissime soluzioni
per creare un mondo a misura di bambino.
Per sfruttare al meglio lo
spazio ci sono le soluzioni a
ponte che consentono di
combinare in un unico ambiente tante attività, oltre al
relax e al riposo: il gioco,lo
studio… Il sistema componibile Stuva, ad esempio,
permette di personalizzare
la camera in base allo spazio
disponibile e alle esigenze
specifiche. Gli arredi sono
colorati e vivaci, i complementi in legno chiaro. Per i
più piccoli, Ikea propone le
linee Sundvik e Hensvik con
mobili ideali per neonati utilizzabili anche quando crescono. Ricordano i cartoni
animati le forme dei mobili
della linea Mammut. Colore
e forme arrotondate, infine,
per la linea Trogen, dal sapore vagamente retrò. Moltissime anche le soluzioni
pratiche, colorate e di immediato e facile utilizzo, per
riporre i giochi, da cubi contenitori con ruote a cassetti
colorati nonché giochi per
bambini e stickers per personalizzare i loro spazi arredati.
A chi preferisce il made
in Italy, il marchio Colombini
offre la cameretta a ponte
Golf, con struttura a porta lineare e letto multifunzionale, e Multi Love con armadio
scorrevole. Sono invece della catena Mondo Convenienza la soluzione Alfa, divano
ponte che si trasforma in
letto e un’altra postazione
notte scorrevole, e il modello Bit, per femminucce, che
sfrutta al meglio l’angolo
della stanza grazie ad una
profonda cabina armadio.
Fra i pezzi storici del design low cost, assolutamente da citare, è la prima sedia
in plastica prodotta industrialmente, disegnata nel
1950 da Charles&Ray Eames, sviluppata in collaborazione con Zenith Plastics
per il concorso Low-Cost
Furniture Design.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètraparentesi 31
La società. Vivono da soli.
Sono sempre di più.Coccolati
dal mercato ma non dalla politica
Single
Una rivoluzione destinata
a cambiare gli stili di vita
EZIO ROCCHI BALBI
I
l futuro del mondo occidentale è in mano ai single. Saranno loro ad influenzare fortemente, se
non a determinare, non
solo gli sviluppi demografici,
ma anche decisioni politiche e
sociali. Rivoluzionando anche,
con le loro scelte, tendenze e
acquisti, le logiche di mercato.
Il fenomeno, esploso in questi
primi anni del terzo millennio,
non è limitato al Paese che è solito anticipare i nuovi stili di vita
planetari, anche se negli Stati
Uniti proprio quest’anno il numero degli “unmarried” ha superato, per la prima volta, quelli
che vivono in coppia. E in Svizzera, ad esempio in città come
Ginevra, la percentuale dei single ha già raggiunto il 48% dei
nuclei familiari.
“Il Ticino è tra i cantoni con la
percentuale più alta, visto che
quasi il 40% delle econonomie
domestiche è composto da una
persona sola, contro la media
nazionale di 35.5% - nota il sociologo Pau Origoni, direttore
dell’ Ustat, l’Ufficio statistico
del cantone -. Effettivamente è
una tendenza in atto da tempo,
ma che nei primi anni del nuovo
millennio ha avuto una forte accelerazione. Difficile valutarne
le cause, anche se penso prevalga la scelta, l’evoluzione dei costumi”.
A contribuire, pure l’aumento del capitale formativo
delle donne. “Certo, più libere,
indipendenti, con giuste aspirazioni professionali - sottolinea
Origoni -. Un segnale che convalida questa ipotesi è dato anche dalle statistiche: le donne
che si risposano dopo un divorzio, ad esempio, sono nettamente meno degli uomini”. Gli
scenari che ripropone la nuova
configurazione familiare - già
definita generazione “millennium” - stanno confermando
quanto previsto dal sociologo
della New York University Eric
Klinenberg nel suo libro “Going
Solo: The Extraordinary Rise
and Surprising Appeal of Leaving Alone”. Subito ribattezzato
la Bibbia dello scapolo connesso
e felice, già nel 2012, la straordinaria ascesa e il sorprendente
fascino del vivere da soli aveva
disegnato un inedito identikit
dei single. Single, è bene ricordarlo, che ora rappresentano un
terzo dei cittadini dell’intero
continente.
La “foto” dello scapolo o della nubile per scelta ritrae un individuo bene in salute, che dorme meglio, ironico, elegante
quanto basta, che segue la politica con tutti gli strumenti transmediali e che - crisi a parte - ha
meno problemi a trovare e cambiare lavoro. Dal un profilo economico, poi (indipendentemente dal fatto che, soprattutto in
Svizzera, sia un bersaglio privililegiato del fisco), pur avendo
meno reddito familiare ha però
spese fisse minori, contrae me-
no debiti e ipoteche, acquista
meno case e alimenta il mercato
degli affitti. Non solo, manifestando una maggiore disponibilità per spese non essenziali, è
anche protagonista nel sostenere i consumi. Non a caso, e non
da oggi, marchi e aziende, af-
I SINGLE IN SVIZZERA
Fonte: Ustad
SVIZZERA
SVIZZERA
1.289.012
Media dei single in Svizzera
GINEVRA
48%
SVIZZERA
delle economie
domestiche composte
da una sola persona
Famiglie composte da un genitore con figli
40% 198.000
35,5%
Le famiglie composte da una persona sola
TICINO
59.570
Il record di single
in Svizzera
Le tasse
C
Giovanni Merlini
Madri sole con figli minori di 25 anni
Vani i tentativi per ridurre le aliquote
onfezioni alimentari su
misura per i single. Persino villaggi vacanze e crociere hanno fiutato l’affare e offrono proposte mirate. Per il fisco svizzero, invece, non essere
sposati è un “lusso”, e come tale
va tassato. Con aliquote che, secondo molti politici, non è inopportuno definire discriminanti,
ma che nessuna iniziativa politica ha saputo, o potuto disinnescare.
In Ticino è da anni che, in
successione, la “tassa sul vivere
soli” viene messa in discussione.
A partire dall’allora deputata socialista Iris Canonica, al consigliere nazionale leghista Lorenzo Quadri, fino all’ex presidente
plrt Giovanni Merlini, oggi deputato a Berna, un po’ tutti gli
schieramenti hanno cercato di
fare breccia nel balzello per i
single. E ancor più difficile sarà
colpire il bersaglio ora che i single, e l’ammontare dei loro tributi, ha raggiunto i livelli massimi.
“È vero, non è cambiato nulla e continuo a considerarla una
discriminazione - commenta
Merlini, constatando come il dato demografico non abbia fatto
alcuna presa sul legislatore -. È
rimasta la vecchia filosofia del
legislatore fiscale d’una volta,
quella che in fondo considerava
chi vive solo un’eccezione. Una
visione ideologica, se vogliamo,
1
IL SORPASSO
Quest’anno, per la prima volta,
i single negli Stati Uniti hanno
superato gli sposati con il 50,2%
della popolazione, pari a 124,6
milioni di persone
Padri con figli minori di 15 anni
Il mito del benestante
che vive da scapolo
resiste solo per il fisco
“È una discriminazione,
e dopo tanti anni
è rimasta immutata
la vecchia filosofia
del legislatore fiscale”
133.100
21.800
Le famiglie
composte da una
persona sola
I record
SVIZZERA
SVIZZERA
TICINO
fiancati da strateghi del marketing, sempre più spesso tarano
le loro campagne non più solo
sul cliente formato famiglia, ma
proprio sui single. Ma anche gli
analisti politici cercano di inquadrare il fenomeno, soprattutto negli Usa dove nel 2016 il
successore del presidente Obama sarà determinato dagli “unmarried”, che rappresentano il
47% dell’elettorato.
“Attenzione, non tutti i single, nel senso di non sposati, lo
sono veramente - avverte Origoni -. La convivenza, prima
mal tollerata, ora è socialmente
accettata e sempre più diffusa.
Poi questa è probabilmente la
prima generazione di figli di divorziati e, paradossalmente, sono più esigenti nella scelta tra
vivere soli e il fatidico sì”.
[email protected]
Q@EzioRocchiBalbi
tipica di chi legifera con l’intenzione di interpretare il pensiero
dominante. Ma che forse non s’è
accorto che i tempi, gli stili di vita, il concetto stesso di famiglia
sono cambiati. E se prima, a livello fiscale, c’era l’intenzione di
aiutare le famiglie, oggi ciò appare sempre più come un elemento discriminatorio”. Eppure
il fenomeno è ben visibile. Basta
ricordare, infatti, che le economie domestiche composte da
una sola persona in Ticino, secondo i rilevamenti Ustat, sono
quasi 60mila. E non tutte sono
formate da scapoli impenitenti o
nubili ancora in attesa del principe azzurro. “Continua a resistere il mito che identifica il sin-
gle nel benestante, magari il
professionista affermato che ha
scelto di vivere solo - aggiunge
Merlini -. Ci si dimentica che ci
sono vedovi e divorziati, e anche
se in Svizzera la crisi non ha colpito come in altri Paesi non è che
la disoccupazione giovanile non
esista. Temo che il problema sia
stato trascurato a favore di altre
priorità, non ultima la situazione
finanziaria del Cantone”.
Va da sè, infatti, che se si riducessero le imposte ai single, il
loro numero è ormai tale che
l’ammanco nelle casse cantonali
sarebbe rilevante. Altrettanto
vero, però, che buona parte dei
single non sempre riesce a compensare con meno spese fisse il
minor reddito famigliare. “Già
cinque anni fa uno studio dell’ex
capufficio dell’assicurazione
malattia, Bruno Cereghetti, evidenziava un dato importante ricorda Merlini -. Il profilo degli
assicurati morosi con le casse
malati, con sospensione del riconoscimento delle prestazioni,
li indicava tra i 40 ed i 43 anni,
perlopiù senza seri problemi di
salute, in condizione economica
debole e prevalentemente single. Erano il 60%”.
2
3
4
I MAI SPOSATI
I single americani che non si
sono mai sposati rappresentano il
30,4%; più dei divorziati, separati
e vedovi che rappresentano
complessivamente il 19,8%
LE CAPITALI
In Europa le città che vedono il
maggior numero di single sono
Berlino, con una percentuale del
55% della popolazione e Milano
con circa il 40%
LE MAMME
Il record delle mamme single in
Europa spetta alle irlandesi: il 34%
nelle nascite registrate nel 2012
vedeva infatti madri single con
un’età media di 28,8 anni
Ù
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*La Migros ribassa in modo permanente i prezzi di diversi
prodotti per l’igiene orale. Per es. collutorio Meridol, 400 ml,
ora a fr. 7.80 invece di fr. 8.90 (–12,4%). Offerte valide dal 3.11.2014.
La storia
Il libro
L’incontro
L’ infanzia
dei figli negati
alle famiglie
degli immigrati
Le milizie
del terrore
che minacciano
il mondo
Fabiola Gianotti:
“Ho sempre
e solo inseguito
i miei sogni”
ALLE PAGINE 40 e 41
A PAGINA 45
ANFOSSI A PAGINA 46
travirgolette
Oltre il cibo
Una settimana
una parola.
Se a prevalere
saranno
autarchia
e chiusure
neopopuliste,
la società
e l’economia
ticinesi
si scaveranno
la fossa da sole
ilcaffè
9 novembre 2014
Protezionismo
SOCIETÀ | TENDENZE | PROTAGONISTI
Le promesse
salutiste
dei cibi“detox”
MORO A PAGINA 36
SERGIO ROSSI
Professore ordinario
di macroeconomia
ed economia monetaria
nell’Università di Friburgo
L
a mentalità e l’atteggiamento improntati
alla chiusura a riccio di una parte notevole della popolazione ticinese nei confronti dei lavoratori italiani non sono un
fenomeno recente, perché esistevano già
nella seconda metà dei “Trenta gloriosi” anni successivi alla Seconda guerra mondiale. In quel periodo come attualmente e nell’arco del decennio
1980-90, si può osservare una tensione schizofrenica tra, da un lato, l’ostracismo manifestato da
diverse fasce della popolazione residente in Ticino
e da vari esponenti politici locali che la rappresenta riguardo i migranti dall’Italia e i lavoratori
transfrontalieri e, dall’altro lato, il crescente interesse espresso da numerose imprese dell’economia cantonale (attive nei rami dell’edilizia, della
ristorazione e del commercio al dettaglio, ma più
recentemente anche in molte attività di maggior
valore aggiunto come nell’insegnamento e nella
ricerca scientifica, nell’industria sanitaria e in
quella finanziaria) orientato all’assunzione di questi lavoratori.
I motivi che spingono le aziende ticinesi a occupare delle persone provenienti dall’Italia non sono
legati solo alla possibilità di versare loro degli stipendi notevolmente inferiori a quelli richiesti dai
residenti. I profili e le competenze professionali di
cui necessitano le imprese del cantone non permettono di occupare una parte rilevante dei residenti disoccupati né numerosi giovani al termine
del loro percorso di studio in Ticino. Per questi
motivi, i lavoratori (transfrontalieri) italiani non
fanno concorrenza ai residenti ma ne sono un utile
complemento.
È innegabile, tuttavia, che nel corso degli ultimi
dodici anni (ossia dopo la graduale entrata in vigore dell’Accordo bilaterale sulla libera circolazione
delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea) la
complementarietà tra i lavoratori residenti e quelli
provenienti dall’Italia è stata affiancata sempre
più spesso e volentieri in un numero crescente di
attività dalla sostituzione dei primi con i secondi.
Le cause di questa sostituzione sono diverse e soltanto in parte quantificabili, ma sono tutte riconducibili a delle variabili finanziarie, vale a dire che
riguardano il rapporto tra i costi e i ricavi legati al
personale occupato dalle imprese in Ticino.
La profonda crisi in cui si trova oggi l’economia
italiana per svariate ragioni ha indotto migliaia di
persone (occupate o disoccupate) a cercare e in
parte a trovare lavoro nella vicina Svizzera. Molte
aziende italiane hanno dislocato almeno parzialmente le loro attività nel cantone, allo scopo di beneficiare dei vantaggi di posizione che la localizzazione ticinese offre loro rispetto all’Italia.
L’economia cantonale ha dunque importato sia lavoratori sia attività imprenditoriali dall’Italia, registrando un aumento notevole del numero di
frontalieri e di nuove imprese nel proprio territorio.
Se la popolazione e i politici ticinesi sono portati a
rivendicare delle misure efficaci di protezione dei
lavoratori residenti - esigendo giustamente che il
settore privato dell’economia cantonale non sfrutti la situazione attraverso il “dumping” fiscale e
salariale, a discapito della coesione sociale e della
stabilità economica del cantone - questi portatori
di interesse nel territorio devono anche considerare i vantaggi dell’integrazione transfrontaliera sul
piano culturale e su quello socio-economico per
l’insieme degli attori su entrambi i lati della frontiera italo-svizzera. Non è solo una questione di
minimi salariali, contratti collettivi (o normali) di
lavoro, controlli più numerosi e sanzioni dissuasi-
Il dibattito
L’impossibile ritorno a un ordine antico
POMPEO MACALUSO A PAGINA 37
ve per le aziende che infrangono le leggi vigenti in
Svizzera. Si tratta pure di cogliere le opportunità
di crescita (sociale e culturale e non solo economica) nello spazio italiano a cavallo della frontiera.
Da una parte, la tecnica e la precisione hanno permesso a molte aziende svizzere di essere concorrenziali nell’economia globalizzata, grazie anche
alla semplicità burocratica e alla qualità della formazione scolastica e professionale. Dall’altra, la
creatività e l’inventiva delle imprese italiane hanno dimostrato in passato in numerosi ambiti sul
piano mondiale, unitamente al patrimonio culturale in senso lato che caratterizza e permette di
valorizzare l’italicità nel mondo intero, che questo
Paese dispone di enormi capacità per lo sviluppo
economico.
Se, dunque, su ciascun lato della frontiera italosvizzera, e in particolare in Ticino, la popolazione
e la classe politica nel suo insieme capiranno che
il benessere socio-economico non dipende solo dai
profitti guadagnati sfruttando le rendite di posizione, ma soprattutto dall’emulazione delle migliori pratiche osservate a livello “glocale”, lo spazio insubrico potrà essere sviluppato a beneficio di
tutti i portatori di interesse.
Un primo banco di prova è offerto da Expo 2015:
le imprese private e il settore pubblico su entrambi i lati della frontiera italo-svizzera hanno l’occasione di presentare dei progetti comuni per quanto riguarda l’alimentazione sostenibile, le energie
rinnovabili e la protezione dell’ambiente.
La collaborazione transfrontaliera per realizzare
dei progetti e integrare le capacità disponibili nello spazio insubrico è il modo migliore per conoscersi e per fare cadere le barriere mentali che
impediscono al Ticino di emanciparsi sul piano
socio-economico. Se a prevalere, invece, saranno
l’autarchia e il protezionismo neopopulista, la società e l’economia ticinesi si scaveranno la fossa
da sole.
DOMENICA
LIBERO D’AGOSTINO
UN TURISMO
DA POLTRONA
C’
è innanzitutto, presidente in testa, il Consiglio di amministrazione
composto da 18 membri: nove
rappresentanti dell’area di competenza Locarnese e Valli, tre per
l’area della Vallemaggia, altrettanti per Tenero e Valle Verzasca
e altri tre ancora per l’area del
Gambarogno. C’è poi la Direzione composta da quattro direttori
di area, a cui si affiancano anche
un direttore marketing e un direttore finanziario. Non è la filiale regionale di qualche grande
multinazionale, ma solo e semplicemente l’organigramma della
nuova Organizzazione turistica
Lago Maggiore e Valli, frutto della riforma della legge sul turismo
che entrerà in vigore il prossimo
1. gennaio. Scopo della riforma
era la razionalizzazione dell’assetto turistico ticinese in cui si
accavallavano le competenze tra
dieci Enti locali, più quello cantonale. Sfoltiti gli enti locali, si sono però salvate tutte le poltrone.
Tra tante competenze resta da
vedere a chi toccherà salvare pure il turismo nel Locarnese.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
34
ilcaffètravirgolette 35
Il sogno di un grande Centro capace di governare il cantone
“Partito liberale radicale popolare democratico”,ecco il futuro se la politica superasse i vecchi steccati
CLEMENTE MAZZETTA
D
ivisi dalla storia, uniti sui temi
più importanti del cantone:
stessa visione economica, stesso approccio sul fisco, stesse richieste di revisione dei compiti
dello Stato e di contenimento della spesa
pubblica. E ora che sembrano aver appianato
anche le vecchie ruggini sull’istruzione, Ppd
e Plrt somigliano sempre più a partiti gemelli. L’esasperazione statalista dei liberali radicali, riuniti oggi, domenica, a Lugano per il
congresso del rilancio, così come l’enfatizzazione del fattore C (cattolico) del Ppd, paiono
definitivamente archiviati. Insomma, le premesse ci sarebbero per una forte coalizione
di centro, quella grande alleanza del “Partito” liberale radicale popolare democratico”,
capace di affrontare i problemi veri di un
Paese incagliato nelle secche di un populismo che ha fatto dei frontalieri il male asso-
La coalizione
centrista è un tema
ricorrente. Ecco le
ragioni del dibattito
luto del Ticino.
“In effetti con il nuovo presidente Rocco
Cattaneo, che rappresenta l’area liberale del
partito, è più facile dialogare e trovare consenso su molti temi delle politica cantonale –
dice il presidente ppd Giovanni Jelmini -. Però noto che con la parte radicale del Plrt con-
“Viviamo una crisi che ci impone
di immaginare qualcosa d’altro
rispetto all’attuale stato di fatto”
tinuano a restare profonde divisioni, soprattutto sul ruolo dello Stato. Ad esempio, sulla
clinica Moncucco ho registrato atteggiamenti ostili verso la sanità privata, anche se circoscritta a determinati settori di quel partito”. Un’area anziana, più ostinata rispetto a
quella dei giovani che frenerebbe quel dialogo che nella vita parlamentare è già avvenu-
to e che potrebbe, dare vita a un “blocco”
centrista capace di governare il cantone.
L’idea di un un “grande centro” fra i partiti
borghesi, fra Plrt e Ppd, è tema ricorrente a
livello nazionale. Recentemente i giovani dei
due partiti (con quelli dell’Udc) hanno auspicato un solido blocco dei partiti borghesi in
contrapposizione alla sinistra. Cosa che, però, non sta avvenendo. Ma nessuno contesta
il fatto che le differenze fra le due forze di
centro, Plrt e Ppd, un tempo antagoniste, si
sono affievolite.
Lo ha ricordato pochi mesi fa anche il deputato ppd Armando Boneff: “Cosa aspettano i gruppi politici di centro a superare i personalismi e costituire un fronte coeso sulla
comune visione liberale dell’economia e nel
rispetto delle rispettive identità purgate dagli antichi rancori che non hanno più ragion
d’essere”. Cosa aspettano, visto che i voti
continuano a calare? Se nel 2007 i due partiti potevano disporre di tre ministri e 48 de-
putati facendo maggioranza in governo e in
parlamento, dopo la débâcle del 2011 si sono dovuti accontentare di un ministro a testa
e di 41 deputati. Una crisi iniziata negli anni
‘90 con l’avvento della Lega, che ha eroso un
patrimonio enorme. Nel 1995 avevano la
maggioranza in governo (4 ministri su 5) e
due terzi dei deputati. Contro questo calo di
consensi i due partiti hanno risposto individualmente, mettendo in campo, per la prossima tornata elettorale, il Ppd una lista decisamente robusta e il Plrt una lista di completo rinnovamento.
“La difficoltà dei partiti storici è evidente
- dice Jelmini - si tratta di una crisi che ci impone di immaginare qualcosa d’altro rispetto
all’attuale stato di fatto. Una di queste potrebbe essere un partito forte di centro, soprattutto se si passasse ad un sistema maggioritario. Oggi invece il parlamento è molto
eterogeneo”. Le differenze storiche per Christian Vitta, capogruppo plrt, non sono da
sottovalutare. Esistono e agiscono sotto
traccia. “Però di fronte a situazioni difficili è
necessario che i due partiti di centro si parlino - dice Vitta -, che cerchino sui temi concreti delle possibili intese per facilitare la
creazione di maggioranze per le quali ora sono necessari tre partiti”. Per Vitta è l’ogget-
“Dinanzi a situazioni difficili
è necessario che i due
‘grandi blocchi’ dialoghino”
tiva situazione di debolezza parlamentare
del centro a rendere di fatto impossibile un
“patto di Paese” a due: “Un discorso di questo tipo avrebbe potuto avere più senso in
passato quando bastavano due partiti per fare maggioranza - precisa Vitta -. Oggi invece
ce ne vogliono almeno tre: in questo nuovo
scenario il dialogo deve essere allargato
sempre di più, per costruire delle maggioranze efficaci”. Sempre che non si cambi sistema elettorale. Per lo storico Andrea Ghiringhelli, che con i suoi interventi sulla Regione ha animato il dibattito nel Plrt e sulla
deriva populista, il vero problema è la necessità di passare al sistema maggioritario: “Il
consociativismo genera deresponsabilizzazione. Molto meglio una destra e una sinistra ben delineate con un loro programma
di governo su cui si pronunciano gli elettori”. Un sistema che farebbe pure da migliore
argine al populismo che, nota Ghiringhelli,
rappresenta pure una domanda politica dei
cittadini non soddisfatta dai partiti: “Un sistema maggioritario con due schieramenti
avrebbe anche come effetto una maggiore
attenzione dei partiti nel recepire talune
istanze del Paese e nel rielaborare le giuste
soluzioni senza lasciarle in mano alle forze
[email protected]
populiste”.
Q@clem_mazzetta
“Molto meglio una
sinistra e una destra
ben delineate nei
loro programmi”
IL “NUOVO” PARTITO
Nel fotomontaggio del Caffè
alcuni esponenti del Plrt
e del Ppd, affiancati nel
manifesto di un’ ideale alleanza
del “Partito liberale radicale
popolare democratico”
Fonte: Ustat
Fonte: Ustat
I RISULTATI DEL PPD ALLE ELEZIONI DEL CONSIGLIO DI STATO
Fonte: Ustat
L
L’elettorato
“Per ora possono
contare su un elettorato
molto ben ramificato.
Continueranno a
governare saldamente”
e forze di centro in Svizzera dovranno trovare il sistema di
unire le forze, sostiene Daniel
Bochsler, politologo del Centro per la
democrazia di Aarau. “A lungo termine è la sola soluzione che vedo - spiega -. Il rilancio di del Plr, Ppd e perché no, anche del Pbd, non potrà prescindere dalla creazione di una forza
comune dei partiti moderati. Plr e il
Ppd dovranno rinunciare a qualche
seggio per garantire la sopravvivenza di un polo moderato”.
Per molti analisti il Plr è in una situa-
zione delicata. È una formazione di
centro per cui ogni movimento rischia di “invadere” i territori d’altri.
E allora cerca nella mobilitazione del
suo elettorato la soluzione ad alcuni
problemi. Evitando nel contempo di
perdere d’occhio quel mondo economico per il quale rappresenta il principale referente politico. “Il Plr deve
comunque riposizionanrsi - nota Bochsler, politologo - e lo deve fare anche rispetto agli ambienti economici.
L’elettorato storico liberale è molto
legato a questo mondo, ambienti a
2011
Fonte: Ustat
Il politologo/1 Daniel Bochsler, del Centro per la democrazia di Aarau, ipotizza un polo a tre col Pbd
“Con le aziende
il rapporto è saldo
ma la minaccia
d’erosione è netta”
2007
2003
1999
1995
1991
1987
1983
1979
1975
In percentuale
1967
40 35 30 25 20 15 10 50-
2011
2007
2003
1999
1995
1991
1987
1983
1979
1975
1971
1967
In percentuale
1971
I RISULTATI DEL PLRT ALLE ELEZIONI DEL CONSIGLIO DI STATO
45 40 35 30 25 20 15 10 50-
2011
2007
2003
1999
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1983
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1975
1971
1967
1963
1959
1955
1951
1947
50 45 40 35 30 25 20 15 10 50-
2011
2007
2003
1999
1995
1991
1987
I SEGGI DEL PPD IN GRAN CONSIGLIO
1983
1979
1975
1971
1967
1963
1959
1955
1947
50 45 40 35 30 25 20 15 10 50-
1951
I SEGGI DEL PLRT IN GRAN CONSIGLIO
cui anche l’Udc guarda con particolare attenzione”.
Alcuni imprenditori si sono avvicinati all’area democentrista accostandola, per così dire, all’immagine
del leader storico di quello che fu il
partito agrario, l’imprenditore Christoph Blocher. Ma ciò non significa
comunque che il Plr abbia perso
completamente di vista il mondo imprenditoriale, per il quale resta il
principale punto di riferimento politico... “Nonostante rappresenti solamente il 15% della forza elettorale spiega il politologo -, il Plr può continuare a contare su una forte presenza negli ambienti imprenditoriali, soprattutto nei suoi ‘posti chiave’.
Quindi... no, non vedo e nemmeno
intravvedo nel partito alcun concreto
rischio, tantomeno intenzione, di lasciare cadere una fetta così importante del suo bacino elettorale”.
Un ottimo presupposto, quindi,
perchè i liberali radicali continuino a
governare con lo stesso peso e la
stessa forza politica di sempre, sottolinea il politologo. “Hanno la fortuna
- aggiunge Bochsler - di poter contare su un elettorato molto ramificato.
Possiamo trovare politici liberali radicali praticamente in ogni consesso
elvetico, sia a livello cantonale che
comunale”. E lo stesso vale per i posti dirigenziali. Sebbene inisidiati dai
rappresentanti di alcune forze emergenti, il Plr è ben radicato. “E questo
gli permetterà di mantenere quantomeno nel medio termine le attuali
posizioni - prevede il politologo -.
Certamente però una riflessione più
profonda andrà fatta. Il suo elettorato, questo è indubbio, si sta gradualmente sgretolando”.
Le tendenze, le “mode politiche”,
in Europa come in Svizzera, parlano
un linguaggio sempre più lontano da
quello dei partiti tradizionali. L’elet-
“In prospettiva non si
potrà prescindere dalla
creazione di una forza
comune delle
formazioni moderate”
torato giovane si rivolge altrove, verso movimenti che danno l’impresione di un maggiore pragmatismo, che
sanno limitare la paludata grammatica politica. “Anche se in realtà questi nuovi soggetti politici - afferma
Bochsler - non dicono nulla di nuovo.
Semplicemente sanno vestire il loro
prodotto con abiti più seducenti. In
Svizzera il caso più evidente è quello
dei Verdi liberali. Stanno appropriandosi di temi tradizionalmente cari alla sinistra”.
o.r.
Il politologo/2
Le strategie del Pdc nazionale tra incognite e accordi analizzati da Andrea Pilotti
“Tra i democristiani
l’ala economica
ha il sopravvento
su socialità e fede”
A
nche in casa democristiana,
soprattutto a partire dagli anni Ottanta, il cambiamento
nella politica nazionale si è fatto sentire. E parecchio. Al punto che le
componenti sociali e cristiane del
partito, seppur con sfumature diverse a causa della frammentazione dettata dal federalismo, sono diventate
piuttosto marginali. Facendo, in un
certo senso, pendere il Ppd nazionale
piuttosto verso destra. “Il peso maggiore è certamente assunto dall’ala
economica del partito - osserva il po-
litologo Andrea Pilotti, ricercatore all’Università di Losanna -, mentre
quella sociale ha sicuramente perso
di influenza. Rimane viva, certo, ma
le tensioni degli anni Novanta hanno
decisamente lasciato il segno”.
Tensioni che hanno, ad esempio,
portato ad una “micro scissione” interna al partito, con la nascita del
Partito Cristiano Sociale, forza capace anche di conquistare qualche seggio a livello federale, con la personalità di Hugo Fasel in primo piano anche quale presidente del sindacato
d’ispirazione cristiana, storicamente
legato alle sorti del Pdc. “La frizione
interna c’è stata, è indubbio - conferma Pilotti -. Così come è chiaro che
in alcune realtà cantonali la presenza
della componente sociale è più importante rispetto a quanto succede in
altre regioni del Paese o sul piano nazionale. Si assiste un po’ ovunque ad
una lotta per le posizioni all’interno
del partito, con la componente sociale che riesce a volte a farsi sentire,
pur rimanendo minoritaria”.
Il discorso è simile per quanto riguarda la “C” di “Cristiano” presente
nella sigla del partito a livello nazionale. Se per alcuni questa componente conta ormai poco, è pur vero
che in cantoni come Friborgo o Ticino
vi è ancora un legame piuttosto
stretto tra politica e religione. “Al
contrario, in un cantone a forte tradizione democristiana come Ginevra,
gli aspetti religiosi non fanno ormai
più parte del dibattito portato avanti
dal Pdc - sottolinea Pilotti -. E anche
sotto la cupola di Palazzo federale la
situazione frammentata si rispecchia
abbastanza fedelmente”.
Ad avere il sopravvento, insomma, è una certa frammentazione.
Che può anche essere considerata
come uno dei problemi che hanno
portato il centro all’ormai assodata
perdita di velocità nei confronti delle
“ali estreme” dell’emiciclo. “Anche
un partito come il Pdc deve fare i
conti con la struttura federalista del
Paese - aggiunge il ricercatore -, nel
senso che le microrealtà e un elettorato molto differenziato vanno presi
in seria considerazione se vogliono
essere riconquistati”.
D’altra parte, in alcune realtà
cantonali la strada in un certo senso
obbligata in casa Pdc è stata quella
della ricerca di alleanze trasversali.
“Vaud è l’esempio più
chiaro: la sezione
cantonale ha puntato
sulle persone per
ottenere voti trasversali”
Vuoi con il Plr, vuoi addirittura con
l’Udc. “Vaud è l’esempio più chiaro in
questo senso - conferma Pilotti -. Per
avere un minimo peso, il Pdc ha puntato sulle persone, riuscendo a strappare alcune alleanze che hanno portato all’elezione di Jacques Neirynck
al Nazionale. A livello federale, come
per il Plr, l’ago della bilancia sul piano delle alleanze sembra essere il
Partito borghese democratico, ma le
incognite non mancano neppure tra i
ranghi democristiani”.
m.s.
Le divisioni
Le frizioni degli anni
Novanta hanno lasciato
il segno, anche con
la nascita del ‘gruppo’
cristiano sociale
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètravirgolette
36
Oltre il cibo.
Aloe.Spremute
di melograno.
Bacche di goji.
Il gusto verde
nel piatto
Le new entry
LA CURCUMA
L’ingrediente attivo presente nella
spezia dal classico colore giallo
è molto utilizzata nella medicina
ayurvedica per il trattamento
di disturbi epatici e digestivi.
ELISABETTA MORO
L
e zuppe fanno crescere. Le carote addolciscono il carattere.
Le arance sono oro al mattino, argento a pranzo e piombo
la sera. Saggezza antica o credenze popolari senza fondamento? Verità scientifiche o leggende metropolitane? A questo
quesito cerca di rispondere la mostra “Detox. Credenze sull’alimentazione umana”. Un excursus dall’antichità a oggi per scoprire l’evoluzione delle idee, dei pregiudizi e delle conoscenze
su quel che fa bene e male al nostro corpo. Dove si scopre, per
esempio, che nelle riviste femminili degli anni Cinquanta si
sconsigliava vivamente di bere più di 800 grammi d’acqua al
giorno per evitare di gonfiare i tessuti. Mentre oggi viaggiamo
Cibi
“detox”
Le promesse e i pregiudizi
che danno un altro sapore
tutte con la bottiglina in borsa come se vivessimo nel deserto
del Gobi.
L’esposizione, curata da Andres Furger, è visitabile fino al 30 aprile
all’Alimentarium di Vevey. Il bel museo dell’alimentazione della Fondazione Nestlé. Un luogo di cultura e ricerca, che ha come logo una forchetta pantagruelica piantata nel lago di Ginevra come un vessillo. Un
ancoraggio sicuro. E proprio di sicurezza in fondo si tratta. Perché il bisogno di alimenti sani e disintossicanti risulta essere una costante nella storia dell’umanità. Quasi che la pulizia del corpo fosse il contraltare
terreno di quella dell’anima. Una cura cui sottoporsi periodicamente,
come accade con i digiuni religiosi. Ma ogni epoca elegge i suoi cibi salva vita. Innalzandoli sull’altare del sacrificio e della salvezza. Salvo poi
destituirli e sostituirli con le new entry della moda di turno. Così un
tempo ci si affidava al latte, che con il suo candore prometteva di
sbiancare il nostro organismo dall’interno. Oggi invece gli alimenti detox si presentano sotto forma di centrifugati di frutta, verdura e bacche
che promettono di liberarci da tossine, pesticidi, metalli pesanti e additivi. E così cresce il consumo di aloe e tè verde, papaia e curcuma, alghe e succo di cavolo, spremute di melograno e bacche di goji. Una lotta impari, della serie Davide contro Golia. Soprattutto se verrà ratificato il nuovo Ttip, il Trattato transatlantico sugli investimenti tra Europa e Usa che, dalle notizie trapelate fino ad ora, abbassa gli standard
di qualità degli alimenti che ci ritroveremo a tavola.
Il paradosso è che se non è certo che i cibi detox facciano quel
che promettono, è invece sicuro che i cibi industriali ci intossicano
più di quanto non crediamo. Perché quando il cibo diventa una merce come tutte le altre, allora le ragioni dei suoi produttori facilmente
diventano solo questioni di cassa. Meditate, gente, meditate!
I SEMI DI LINO
Costituiscono una potente fonte di
fibre che si legano alle tossine,
aiutandone l’eliminazione dal tratto
gastrointestinale. Sono anche una
grande fonte di salute in quanto
promotori degli oli omega3.
I GERMOGLI
Quelli di broccolo possono fornire
maggiori benefici rispetto
ai broccoli normali: contengono
sulforafano 20 volte di più.
Per un’insalata originale e detox.
LE ALGHE
Le alghe marine, nella loro
diversità, offrono una vastissima
gamma di minerali. Le più note
e utilizzate sono: wakame, nori,
ararne, kombu, fucus e mekabu.
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IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 37
2/Il dibattito. Lo storico Pompeo Macaluso interviene
nella discussione sul particolare momento di chiusura sociale
che molte regioni del mondo,come pure il Ticino,stanno vivendo
L’impossibile ritorno a un ordine antico
Così la demagogia di alcune forze politiche ha aperto la strada al populismo
P
rima riflessione: “Senza moralismi né invettive antileghiste, servirebbe un programma di rimodernizzazione”. Seconda riflessione:
“Se a prevalere saranno l’autarchia e il
protezionismo neopopulista, la società
e l’economia ticinesi si scaveranno la
fossa da sole”. Ecco due considerazioni
che fanno il paio con le analisi che in
questi ultimi anni di foghe leghiste
hanno cercato di capire come e perché
in Ticino abbiano preso piede demagogia e pupulismo politico.
Il Caffè ha dedicato a fine ottobre il
servizio di copertina alle contraddizioni
di una destra “neocoservatrice”, che
ha determinato in Ticino l’ingessamento politico e sociale di questi ultimi anni. In questa edizione diamo spazio a
due analisi sul fenomeno, qui sotto a
quella dello storico Pompeo Macaluso
(è lui a sostenere nella citazione iniziale la necessità di un programma di rimodernizzazione), e nella copertina di
questo fascicolo alle riflessione dell’economista Sergio Rossi (al cui pensiero è da attribuire la preoccupante riflessione sul “protezionismo neopopu-
lista”). Chiusi in economia come in politica. In Ticino la classe dirigente sembra imbrigliata, schiava di un “processo di demodernizzazione”. Due analisi
che il Caffè approfondirà nelle prossime edizioni nella prospettiva anche dei
rapporti tra Svizzera e Ue. 2. continua
Il servizio
L’analisi
La Lega ha perso ogni misura
Un Paese logorato dai“neocon”
Sull’edizione di domenica 26
ottobre, il Caffè ha dato ampio
spazio alle analisi sulle
contraddizioni politiche della Lega.
Posteggi, rifiuti, appalti,
ecuadoregni, radar, stranieri,
prostituzione...Così la Lega ha
perso ogni misura politica.
Lanciando il dibattito, domenica
26 ottobre, sull’influenza che la
strategia delle forze
neoconservatrici ha avuto
sull’ingessamento delle politiche
innovatrici del cantone, il Caffè ha
pubblicato un’analisi sul
populismo oggi dominante.
La parola
Il manifesto
Il protezionismo
La Svizzera e l’Europa
Protezionismo neopopulista, è
così che l’economista Sergio
Rossi definisce, nel servizio a
pagina 33, il dibattito politico
degli ultimi anni sulle emergenze
economiche del cantone
Sulla prossima edizione il Caffè
pubblicherà il Manifesto-appello
che un gruppo di personalità
svizzere da qualche settimana ha
proposto sul tema Svizzer-Europa
A cavallo della demodernizzazione
POMPEO MACALUSO
Storico
D
i fronte ai processi inediti che
da oltre un decennio stanno
modificando in profondità la
consistenza socioculturale del
cantone, leader politici, giornalisti, semplici cittadini, si interrogano sul
destino riservato alla nostra comunità. Involuzione, decadenza, addirittura barbarie,
sono giudizi tanto diffusi, quanto dissimili
riguardo a contenuti, cause, attori.
Anche in questo caso il rischio è quello
di considerare la nostra piccola realtà separata e diversa da quella che ci circonda,
mentre, al contrario, pur con modalità proprie, si tratta di fenomeni che ormai investono tutta intera l’Europa e non solo.
Per leggerli e quindi decidere se contrastarli o assecondarli, uno strumento ci vie-
Ora il rischio è quello di
considerare la nostra piccola
realtà separata e diversa
Le promesse
Il clima di smarrimento
ha generato utopie,
retrospettive di forze
che non possono
mantenere le promesse
ne da uno dei più influenti sociologi del nostro tempo, il francese Alain Touraine, artefice del concetto di demodernizzazione.
Ricordo velocemente che la modernizzazione è venuta costruendosi su tre cardini: la razionalità strumentale nella produzione (la Rivoluzione industriale), il potere
politico laico e centralizzato dello Stato-Nazione (la Rivoluzione francese) e l’individualismo morale (la Riforma e l’Illuminismo). Attorno a questi cardini ha preso forma un nuovo modello d’integrazione sociale, fondato sull’esercizio dei differenti ruoli
del cittadino: elettore, lavoratore, imprenditore, padre, soldato. In sintesi le società
più equilibrate sono state quelle in cui lo
Stato-Nazione è riuscito a contemperare efficienza produttiva ed individualismo morale. La Confederazione elvetica è stata tra
chi ha saputo farlo meglio.
Oggi tutto ciò non esiste più. Lo StatoNazione è in fase di esaurimento storico,
l’economia è globalizzata e selvaggia come
mai prima, il cittadino si compiace di poter
finalmente agire come gli pare, in un’atmosfera di individualismo spacciato per tolleranza e pluralismo. In sintesi: deistituzionalizzazione e desocializzazione fondano la
demodernizzazione.
Il clima di smarrimento ed ammutolimento collettivo (alcuni sociologi scrivono
di “dumbest generation”) che l’hanno accompagnata, ha generato utopie retrospettive e reso plausibile il ritorno ad un ordine
antico, capace di arrestare la frammentazione dell’esperienza di ciascuno. Ma è un
ritorno impossibile ed il vagheggiarlo da
parte di forze politiche che non possono
mantenere quanto promesso, ha aperto la
strada alla demagogia, che è la cifra vera di
ogni populismo.
In Ticino a cavalcare con risolutezza la
demodernizzazione è stata la Lega dei Ticinesi, che pertanto, al di là di aspetti assolutamente disdicevoli, non può essere considerata una realtà effimera. A suo modo è,
invece, in sintonia con la “grande storia”.
Suscitando la mobilitazione popolare attorno al mito di una comunità di Arciticinesi, chiusa ed estranea ad un’Europa decadente ed aggressiva; al mito dell’autarchia
economica, come unica risposta alla globalizzazione; al mito delle origini, quale fondamento dei valori tradizionali della “nostra gente”, ha reso credibile il sogno del
Ticino come isolotto identitario. Una sorta
di Shangri-La prealpino: un mondo incantato, dove sogno e realtà si confondono.
Grazie a questo cocktail di revival nostalgico e di lunapark memoriale, i leghisti
sono riusciti a trasformare la loro propaganda in fenomeno di costume, mentalità
(da bunker), folclore, che ormai vanno mutando in una vera e propria ideologia strutturata e di lunga durata. Resistentissime
cockroach ideas (le idee scarafaggio di
Krugman), dure a morire.
Come scavalcare questa prosopopea etnocentrista, uscire dalla demodernizzazione e sperimentare nuove forme di modernità, armonizzando liberalismo e comunità,
mercato ed identità personale e collettiva?
Proprio qui sta il problema. In un’epoca
in cui hanno sempre meno effetto gli appelli
all’accoglienza degli esclusi in società che,
essendo esse stesse in stallo, fanno ricadere
su determinati gruppi il peso dei propri affanni, è ancora pensabile sottrarsi all’alternativa rovinosa: stare insieme cancellando
le diversità, oppure stare separati in un ambiente che si esprimerebbe solo attraverso
il mercato e la prepotenza?
Non disposti come siamo ad accettare
un completo sbriciolamento della nostra
specificità in un multiculturalismo assoluto,
che soffocherebbe la comunicazione dentro
e tra le comunità, l’unica strada sembrerebbe quella di trovare il modo per convivere
insieme, uguali ma diversi, valorizzando le
analogie fra differenti esperienze culturali.
Facile a dire, difficile a fare. Comporre
unità e diversità, elaborare progetti di vita
Audacia, curiosità, assunzione
di altri punti di vista sono le
qualità necessarie a ciascuno
collettivi, spiegare l’interesse comune ad
un imbarco di tutti (in Ticino: indigeni, stranieri residenti, frontalieri), comporta infatti
una ricerca difficile, che obbliga a rimettere
in gioco un sacco di idee, di strumenti di riflessione ed analisi. Audacia, curiosità, assunzione di altri punti di vista, sarebbero le
qualità necessarie a ciascuno di noi e soprattutto alle forze politiche, che intendono
per davvero rinnovare la nostra democrazia
ed evitare la deriva populista.
A tale scopo, senza moralismi né invettive antileghiste, servirebbe un programma
di rimodernizzazione che, a differenza di
quello fallito esattamente 50 anni fa (la programmazione economica suggerita dal radicale Libero Olgiati), sappia offrire al Paese
la chance di un nuovo inizio. Allora ci provarono liberali e socialisti, che purtroppo
oggi non sembrano aver colto la dimensione straordinaria delle sfide che ci attendono. Nessuno si scorge all’orizzonte.
La prospettiva
Senza moralismi
né invettive antileghiste,
servirebbe
un programma
di rimodernizzazione
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Volere? Volare! Con Volpon de Risparmis decollano i ribassi.
Ora, per esempio, l’olio di arachidi Coop da 1 litro costa solo fr. 5.40 invece di
fr. 5.95, i peperoncini rossi mini Coop, confezione da 280 g, solo fr. 3.90
invece di fr. 4.80 e il Café Viennois Nescafé, 8 bustine da 144 g, solo fr. 4.55
invece di fr. 5.40.
GIORNALISMO
È ancora fresca di stampa l'ultima
fatica editoriale di Enrico Morresi
“Giornalismo nella Svizzera Italiana
1950-2000”. Il primo volume della
storia dei media ticinese è
pubblicato da Armando Dadò
Editore
IO CONFESSO
Emozioni ed eros in presa diretta
nell’esordio di racconti e poesie
tutto al femminile di Alessandra
Felli, edito da Akkuaria, ma
leggibile anche nell’inedita
proposta online di Bookstreams
per i lettori in streaming
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
39
BIGLIETTO, SIGNORINA
Puntuale come un treno, arriva la
nuova commedia di Andrea Vitali,
edita da Garzanti. Anche questa
volta il romanzo è ambientato nella
natìa Bellano, sul lago di Como.
Nel 1949. E tutto ha inizio proprio
in una stazione ferroviaria...
I GIORNI DELL’ETERNITÀ
Best seller garantito il terzo e
ultimo capitolo della saga storica
“Century” di Ken Follett
ambientata lungo il Ventesimo
secolo, pubblicata sempre nella
versione italiana da Mondadori
IL DIO DEL DESERTO
Alla verde età di 81 anni, Wilbur
Smith è un signor scrittore da 123
milioni di copie vendute in tutto il
mondo. Edito da Longanesi il
nuovo episodio della serie egizia,
iniziata nel lontano 1993 con il
best seller “Il dio del fiume”
L'ERBA DELLE NOTTI
In attesa di pubblicare, nel 2015,
l’ultima opera di Patrick
Modiano, “Pour que tu ne te
perdes pas dans le quartier”,
Einaudi propone Il penultimo
romanzo del premio Nobel
per la letteratura 2014
I Libri.
Le vendite natalizie
e le“esche” gettate
dalle case editrici
I
n controtendenza rispetto
agli altri Paesi europei il
Natale degli svizzeri sarà
un Natale all’insegna del
consumo, e le case editrici
confidano che almeno una parte
di quei 289 franchi che gli elevetici spenderanno pro-capite
finisca in libreria. Un’ipotesi non
peregrina, visto che l’inchiesta
appena pubblicata da Ernst &
Youg, azienda leader nella consulenza e revisione contabile,
assicura che almeno tre consumatori su cinque dedicheranno
più di duecento franchi ai regali
da far trovare sotto l’albero.
Lo stesso studio rileva come
i negozi specializzati (e le librerie sono certamente tra questi)
siano privilegiati. Nello stesso
tempo, però, abbina i siti online
allo stesso indirizzo privilegiato.
Quindi, anche se sempre di libri
si tratta, potrebbe approfittarne
a mani basse il gigante dell’edi-
toria virtuale Amazon che, proprio in questi giorni, ha lanciato
una proposta annichilente per il
mercato: “kindleunlimited”.
L’offerta, che tra l’altro prevede
un periodo di trenta giorni gratuito, non può che far solleticare
il senso di cupidigia di qualsiasi
lettore degno di questo nome.
Con meno di 12 franchi al mese,
infatti, e a patto di avere un ereader digitale, l’abbonamento
“unlimited” dà accesso illimita-
to a oltre 15mila titoli in italiano
e oltre 700mila in altre lingue da
tutti i dispositivi di lettura elettronica.
Naturalmente l’allettante sirena non avrà nessun ascolto
per gli appassionati tradizionali,
quelli che non vogliono assolutamente perdere il contatto tattile con il libro nella sua veste
più classica, catacea. A mettere
in imbarazzo questi ultimi, però,
ci pensano i cataloghi delle novità letterarie, vere “esche” già
sugli scaffali. E se a questa scelta venissero anche solo dedicati
i sette franchi in più rispetto al
Natale scorso, che - sempre secondo Ernst & Young - tutti gli
svizzeri spenderanno, per gli
editori sarebbe già grasso che
cola. Tra l’altro, in questo periodo pre-natalizio, sembra che
tutti gli autori di bestseller si
siano messi d’accordo per provocare l’imbarazzo della scelta.
Su tutti il veterano Wilbur
Smith, Ken Follet, il neo premio
Nobel Patrick Modiano e la regina delle vendite Joanne Rowling, anche se la “mamma” di
Harry Potter per il suo “Il baco di
seta” adotta per il suo terzo giallo lo pseudonimo Robert Galbraith. Ma anche gli autori italiani non scherzano, dall’ennesi-
mo (e sempre annunciato come
“ultimo”) romanzo di Andrea
Camilleri, all’ultima fatica di
Alessando Baricco “Smith &
Wesson”, fino allo scrittore testimonial del lago di Como, Andrea
Vitali, che con il suo “Biglietto,
signorina” riparte dalla stazione
ferroviaria di Varenna, a pochi
chilometri da Bellano.
E l’interesse non è solo per la
narrativa, visto che l’instant-book realizzato dall’economista
Loretta Napoleoni, “Isis. Lo Stato del terrore” (vedi a pagina
45), è già stato venduto in 18
Paesi. E un piccolo fenomeno
editoriale lo sta registrando “Archi-Doodle” che traccia le nuove
frontiere dei “non libri”. Almeno
in senso tradizionale. Strutturato come un elegante album da
disegno, l’activity-book affianca
pagine di famose soluzioni architettoniche a pagine intonse
invitando il lettore a disegnare il
proprio progetto personale. Infine i libri per ragazzi, gli unici
(con quelli di cucina) a non conoscere crisi. E qui nei bestseller rientra anche il ticinese Gionata Bernasconi, star della collana Ragazzi edita da Einaudi,
con il suo ultimo lavoro “Chi ha
rapito la baronessa Augusta?”.
e.r.b.
Dal 23 novembre…
I fatti non sono più un rompicapo
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 41
40
La storia.
L’emarginazione
Handicappati,
zingari e orfani
rapiti e rinchiusi
dallo Stato
Bambini di operai
“stagionali”
clandestini.
Piccoli strappati
alle madri sole.
Rom“internati”.
Pagine di un
passato doloroso
I fantasmi delle“misure coercitive”
E
La protesta
Keystone
Piazza piena
a Bellinzona
contro Gobbi
P
iazza gremita stavolta non
è una frase fatta. Diverse
centinaia di persone, c’è
chi stima quattrocento, hanno
partecipato ieri pomeriggio, sabato, a Bellinzona alla manifestazione a “favore del diritto all’istruzione e contraria a una politica migratoria col paraocchi”.
A promuoverla è stata la Gioventù socialista che ha voluto
così esprimere solidarietà ai due
bambini equadoregni, protagonisti senza colpe di “una partenza forzata, in compagnia della
loro famiglia, che ha tutto il sapore di un’espulsione”. E non di
una partenza volontaria, come
sostenuto dal direttore del Dipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi, che però verrebbe
smentito da un verbale dell’Ufficio della migrazione.
Ma al ministro, se ieri fosse
stato a Bellinzona, sarebbero comunque fischiate le orecchie per
le accuse lanciate da chi, a partire dalle 14, ha preso la parola in
piazza. Ad ascoltare la decina di
oratori, nello slargo davanti al
Palazzo delle Orsoline, si è raccolta una folta folla, di persone
di tutte le età, dai più giovani,
accompagnati dai loro genitori,
agli adulti, fino agli anziani. “Anche solo come cittadina mi vergogno di far parte di un Paese
ricco che è così ferocemente disumano. Questa però è la responsabilità dei nostri governanti e non del popolo - ha detto
Maria Invernizzi del Movimento
dei Senza Voce. Un intervento, il
suo, molto duro, ma figlio di
un’esperienza diretta: “Ormai la
presenza degli ecuadoriani in Ticino è ventennale. Ma in realtà,
di concreto verso di loro, per riuscire a trovare una soluzione,
non si è fatto mai niente. Non se
ne esce facendo gli struzzi. Anche alla luce della situazione in
Spagna, la medesima cosa si ripresenterà in futuro. Bisogna
trovare una soluzione: ossia regolarizzare la situazione delle
famiglie che sono qua. Permettere loro di trovare un lavoro e di
mandare i figli a scuola. Per non
aver più tra quindici anni i figli
di questa gente a suonare coi nipotini davanti ai negozi”. s.pi.
Quando i figli sono negati
alle famiglie degli immigrati
B
MAURO SPIGNESI
ambini negati, bambini fantasma, bambini proibiti. E infanzie trascorse in silenzio, in solitudine, con la paura unica
compagna di giornate interminabili. La
recente vicenda dei bimbi ecuadoregni
che tanto ha fatto discutere in Ticino, ha riportato
alla memoria un’altra terribile e lunga storia. Dalla
fine della seconda guerra mondiale sino al 2002,
almeno 15 mila bimbi sono cresciuti rinchiusi nelle case svizzere, da clandestini, nascosti alle autorità comunali e alla polizia degli stranieri. Erano i
figli dei titolari dei permessi per i lavoratori stagionali che duravano nove mesi. E non prevedevano
proroghe, diritti, né la possibilità del ricongiungimento familiare.
“Allora funzionava come un timer, quando scadeva
il tuo tempo tornavi a casa, senza discussioni. Ma
la solitudine, la lontananza da casa degli emigrati,
li spingevano a portare qui moglie e figli. E cominciavano i problemi”, racconta Luciano Alban, per
una vita dirigente delle Acli, l’Associazione cristiana dei lavoratori, a Zurigo, che ha seguito decine e
decine di casi. “Noi eravamo spesso gli unici interlocutori. Molti non conoscevano la lingue, le regole- ricorda-. Inizialmente gli stagionali avevano
prestazioni ridotte all’osso, non potevano cambiare datore di lavoro e neppure domicilio per l’intera
stagione. Solo dopo un certo numero di contratti
consecutivi, e senza interruzioni, si poteva inoltrare la domanda per ottenere la dimora. E far finalmente arrivare in Svizzera la famiglia”. Era una festa, attesa.
In quasi 60 anni si calcola siano stati rilasciati
circa sei milioni di permessi per stagionali. E dietro buona parte di questi documenti, dietro la cortina di burocrazia e norme rigide, si annidano storie di sofferenza ed emarginazione. Di piccoli di
quattro, cinque anni, “parcheggiati” in istituti, in
collegi o in asili anche questi spesso clandestini
gestiti dalla Chiesa cattolica. “Noi avevamo la missione cattolica italiana dove avevamo organizzato
una sorta di scuola parallela - racconta Antonio
Cartolano, presidente delle Acli in Ticino e negli
anni Ottanta attivo ad Argovia - per i bimbi degli
stagionali. Ne ricordo tanti. Avevo seguito da vicino la vicenda di un operaio in Svizzera ormai da 13
anni che non riusciva a liberarsi dallo statuto di
stagionale, quasi una condanna. Non riusciva a dare continuità ai rapporti di lavoro, si interrompevano prima della scadenza. E ogni volta il conto ripartiva dall’inizio. Aveva una figlia di 8 anni e più
cresceva, più lui era preoccupato”. Storie come
quelle raccontate da Cartolano emergono ancora
oggi, affiorano con libri e film, vicende di bambini,
come è accaduto recentemente con i piccoli ecua-
La testimonianza
La denuncia
“Vivevo in prigione,
non potevo neppure
avvicinarmi
alla finestra di casa per
paura delle spie”
doregni in Ticino, che hanno dilaniato la politica,
radicalizzato posizioni di principio lasciando poco
spazio all’umanità, ai valori e ai sentimenti.
“La rigidità della legge ha costretto molti emigrati a lasciare la Svizzera. Tanto che gli stagionali
dalla fine degli anni Ottanta in poi erano sempre
meno. Noi, piano piano, scalino dopo scalino, siamo però riusciti a strappare qualche diritto - aggiunge Alban - anche grazie alla collaborazione e
al dialogo continuo proprio con un consigliere federale ticinese, Flavio Cotti, che ci ha sostenuto”.
“La mia infanzia chiusa
in una piccola stanza
senza mamma e papà”
“P
er tre anni ho vissuto in una
piccola prigione, sola, chiusa in
una stanza. In silenzio, con il
terrore di sentire bussare alla porta, di
vedere arrivare la polizia”. Quella paura
che strozza il respiro ha accompagnato la
vita di Catia Porri, una delle tante “bambine fantasma” degli anni Sessanta. “Ancora oggi - racconta - quando sento qualcuno a Berna che ripropone di introdurre
lo statuto di stagionale mi viene la pelle
d’oca”. Catia Porri ha lavorato alla tv
svizzerotedesca ed è impegnata nel sociale nella sua città, Opfikon. “Sono arrivata a nove anni. Papà veniva da Firenze,
faceva il saldatore, dunque aveva un lavoro allora particolarmente richiesto. Altri, i muratori o gli agricoltori, erano più
sfortunati, perché passavano da un datore di lavoro all’altro. Io potevo restare
con i miei genitori per sei mesi, grazie a
un visto turistico. Quando scadevano mi
mettevano un timbro sul passaporto e
dovevo passare la frontiera. Ma rientravo
subito da clandestina”. I suoi genitori lavoravano entrambi e lei, Catia, restava
chiusa nella sua stanza. Spesso a letto, in
silenzio. “Era come se andassi in letargo.
Era vietato, vietatissimo - ricorda - anche
affacciarsi alla finestra, perché bastava la
spiata di un vicino che intravvedeva
un’ombra nella tua casa, una segnalazione anonima, e arrivava la polizia”. Papà e
mamma a causa di questa situazione erano costantemente sotto pressione. “Ero
una clandestina, un fantasma. E come ta-
STORIE DI IMMIGRAZIONE
Una famiglia seduta sulle valigie
in attesa di una decisione per
l’entrata alla frontiera.
Un’immagine degli anni
Cinquanta che rappresenta
tante altre storie di immigrati
Solo alla fine degli anni Novanta sono arrivate le bozze degli
accordi bilaterali, i protocolli per l’infanzia, le carte internazionali. “Sono stati tempi difficili per le famiglie degli stagionali - aggiunge Cartolano -. Restare tanti mesi lontano
da casa, senza la possibilità di avere i propri cari accanto era
un’ingiustizia. Era negare ai genitori di essere genitori, ai
lavoratori di essere lavoratori con diritti e doveri. Tanti imprenditori non facevano mai finire i nove mesi ai loro dipendenti. Gli operai dovevano tornare a casa attendere tre mesi
e poi rientrare in Svizzera. Ripartire dall’inizio. Venivano da
noi a chiedere il calcolo per poter avere il permesso B e re-
golarizzare finalmente i propri figli, le mogli”. I controlli
erano molto rigidi. “C’erano gli uffici di polizia degli stranieri - ricorda Alban, impiegato per molti anni nell’industria a Zurigo- e quando scoprivano un bimbo clandestino
erano guai. Venivano tutti espulsi dal Paese. Ma non tutti
erano così. In qualche occasione diversi agenti hanno capito
il dramma di tanti padri e hanno trovato il cavillo per farli
stare qui”. Lo hanno fatto in silenzio. Senza clamori. Ma la
gente si ricorda di loro. Come ricorda ancora di quel clima
terribile sino al 2002.
[email protected]
Q@maurospignesi
La storia di Catia Porri,64 anni,arrivata
a Zurigo quando ne aveva 9,con
il papà che faceva il saldatore.Oggi
lavora ed è impegnata nel sociale.
“Ma non dimentico quell’incubo”
le non potevo andare a scuola. Né
uscire a giocare, a vedere la luce del
sole. Solo nei sei mesi di visto turistico
potevo ricominciare ad esistere”. Entrate e uscite a casa Porri erano regolate da parole d’ordine, ogni movimento era prestabilito, nessun errore,
neppure piccolo era concesso in quegli anni.
“Noi - riprende Catia - poi avevamo
un problema in più: vivevamo in un
quartiere di Zurigo dove tutti, o quasi,
erano svizzeri. C’erano tante brave
persone, ma non potevi correre nessun rischio. Gli altri bambini che vivevano in quartieri dove la maggioranza
erano stranieri, o anche nelle baracche degli stagionali, perché in quegli
anni c’era anche questa vergogna, godevano di maggior protezione. Lì c’era
una complicità collaudata, una solidarietà tra famiglie. Si guardavano alle
spalle, si proteggevano l’uno con l’altro. Ma noi no, noi eravamo soli”. Di
quegli anni le torna in mente anche
un altro particolare: “Era difficile,
davvero complicato trovare una casa.
Nessuno affittava agli stagionali perché i proprietari non avevano certezze, potevano vederli andare via da un
momento all’altro, perché venivano licenziati o addirittura espulsi”.
Oggi Catia Porri ha 64 anni: “Eppure - dice ridendo - non me li sento
addosso, sto anche per andare in pensione, così potrò impegnarmi ancora
di più nel sociale. Ma se mi volto indietro, provo a spolverare i ricordi, ritorno a quando finalmente mio padreriuscì ad avere il permesso di dimora,
e io che allora avevo 12 anni venni finalmente iscritta a scuola, in prima
media. E fu un altro shock, perché non
conoscevo il tedesco, non c’erano dei
corsi come adesso. Venivo giudicata,
esaminata, e dovevo correre. Dovevo
impegnarmi il doppio per stare al passo con i programmi. Ho avuto tante
difficoltà”. Ma chi ha sofferto ha sempre una marcia in più. Oggi rivede
quegli anni: “E penso ai due bambini
ecuadoregni in Ticino, alle polemiche.
E mi sembra che tutto questo tempo
non sia mai passato”.
rano bimbi di strada, figli di povera gente,
di mamme sole. O di stranieri, “sbandati”,
alcolizzati. O, ancora, erano considerati “ritardati”, handicappati. Dal 1850 al 1980 migliaia di bambini di famiglie disagiate sono stati portati via ai genitori in Svizzera attraverso le cosiddette misure coercitive a scopo assistenziale. Ritenuti potenzialmente pericolosi, inclini alla delinquenza, e affidati a famiglie, spesso contadine, per farli lavorare a scopo di prevenzione, o
internati in orfanatrofi. Decisioni prese rapidamente, accartocciando e buttando nel cestino
norme e garanzie sull’infanzia, su segnalazioni di
sindaci, preti, notai e avvocati.
Una pagina di storia a lungo rimossa nel silenzio
e riemersa attraverso film, libri e una mostra itinerante (si può vedere all’indirizzo web www.enfances-volees.ch) che ha toccato diverse città
della Confederazione facendo esplodere un doloroso passato. Una pagina riletta anche grazie alle
testimonianze dei protagonisti – circa ventimila
quelli sopravvissuti - e degli studiosi che hanno
potuto ricostruire, con i pochi documenti ancora
a disposizione, decine e decine di casi finiti negli
archivi della memoria. Dimenticati. Persone Lasciate sole a tormentarsi con le loro domande:
perché? Dal giugno dell’anno scorso questa oscura storia viene approfondita, su sollecitazione
della consigliera federale Simonetta Sommaruga,
da una commissione mista di vittime e politici ed
è stata anche creato a Berna un ufficio sui torti
inflitti che potrà esaminare
eventuali domande di risar- La svolta
La denuncia
cimento allo Stato. Per ora ne
“Due minorenni
sono arrivate oltre 500. Nei Berna ha istituito
algerini catapultati cantoni, poi, dovrebbero es- una commissione
sere istituiti consultori e asda una città
sistenza agli ormai ex bam- per le vittime. Già
all’altra non sono bini.
in 500 hanno
Uno di loro, che ha parteciriusciti ad andare pato a questa riaffernazione chiesto
della memoria collettiva è risarcimenti.
a scuola
Sergio Devecchi, nato a Lu- Una mostra
se non dopo
gano, e strappato ai genitori
una lunga
quando era bambino, cre- per far conoscere
sciuto in orfanatrofi ticinesi e il dramma
battaglia”
dei Grigioni. Devecchi ha
avuto la forza di andare avanti, ha studiato, si è laureato, è diventato educatore, direttore di un istituto a Zurigo, ed è presidente della Società svizzera di pedagogia sociale. Oggi racconta la sua esperienza proprio per non dimenticare. Ma non c’è solo questo capitolo. C’è
anche quello degli zingari. In 50 anni 590 bimbi
figli di nomadi, dei tre grandi gruppi come Rom,
Sinti e Jenisch, finirono in istituti chiusi. Storie
che oggi sembrano appartenere a un’epoca lontana, a quando il diritto della persona veniva dopo
quello della protezione della società. Ma che
adesso riguardano soprattutto gli stranieri.
Un caso emblematico è quello che vede protagonista in Ticino una famiglia di profughi algerini. Papà, mamma, e quattro figli, di 11, 13, 17 e
21 anni. La loro è una vicenda paradossale, di
quelle che restano impigliate nella rete delle leggi. I genitori dei ragazzi non hanno ottenuto il diritto d’asilo e dunque non potrebbero restare in
Svizzera, ma l’Algeria si rifiuta di riprenderli. “La
famiglia – spiega Maria Innocenzi responsabile
del Movimento dei senza voce che ha seguito la
vicenda offrendo assistenza – ogni volta che si
stava predisponendo l’iscrizione scolastica veniva spostata da un hotel all’altro e dunque i bambini non riuscivano a cominciare la scuola. Un diritto sacrosanto stabilito dalle convenzioni internazionali e dai protocolli per la difesa dell’infanzia”.
Mentre la famiglia era in attesa della decisione sulla domada di asilo, i piccoli hanno frequentato le lezioni, sino a tre anni fa, a Locarno. Gli insegnanti dicevano che erano “intelligenti e avevano tanta voglia di fare”, racconta ancora Innocenzi. Poi è arrivato il verdetto: niente asilo. È
stata bocciata anche la quarta richiesta. Per la famiglia algerina sono svanite le speranze. Parte
del gruppo familiare è stata trasferita a Cadro. Il
padre invece è finito per un breve periodo in carcere per soggiorno illegale. E poi è stato alloggiato a Bellinzona. “Ora finalmente – racconta
ancora Maria Innocenzi – siano riusciti a farli
iscrivere e frequentano un istituto nelle Tre valli.
Ma è stata dura, faticosissima. Eppure quello all’istruzione dovrebbe essere un diritto superiore,
per tutti, dunque non derogabile”.
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do 9 novembre
CINEMA
TEATRO
Pollicino
L’agenda degli appuntamenti
per tutta la famiglia!
Ore 17.30
Lugano in Scena propone lo spettacolo è di Marcello
Chiarenza che si conferma il più grande fantasioso
artista del teatro di figura. La magia del teatro che vi
farà scoprire il coraggio attraverso le avventure di
Pollicino.Da sempre un classico delle fiabe!!!
Al Palazzo dei Congressi di Lugano
Cinema dei Ragazzi - Taddeo l’Esploratore
Ore 15.00
Fin dalla più tenera infanzia, Taddeo ha sognato di
scavare la terra alla ricerca di tesori dell’antichità e di
diventare un giorno come Max Mordon, l’archeologo più
famoso del mondo.Ora che è un uomo, Taddeo scava, ma
soltanto nei cantieri edilizi, perché fa il muratore. La
passione per l’archeologia non lo ha abbandonato e........
Cinema Iride a Lugano
me 12 novembre
DIBATTITO
Cure intensive pediatriche e neonatali
in Ticino: per un cantone ospedaliero
a misura di bambino
Dibattito aperto al pubblico. Dalle 19h00 alle 20h30
Alla fine della conferenza verrà offerto un rinfresco
Per motivi organizzativi si prega di annunciarsi allo
091 911 08 10.
Spazio aperto, Via Gerretta 9, Bellinzona
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Bellinzona
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INTERSTELLAR
Matthew
McConaughey
e Jessica
Chastain nel film
di Chris Nolan
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
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Schermi.
L’ultimo film di
Nolan è spaziale,
ma non decolla.
Neanche con
una star come
McConaughey
Libri.
Alla Beat generation
piace il pasto nudo
MARCO BAZZI
“L
Un attore da solo non ce la fa
Le inadeguatezze di storie,cast e regie d’autore
MARIAROSA MANCUSO
“G
li attori sono bestiame”, sosteneva Alfred Hitchcock. Per questo
Carole Lombard un giorno si presentò sul set con un cartello appeso al collo
e una scritta a pennarello: “cattle”. Il regista
sognava una macchina che, a partire dalla
sceneggiatura, buttasse fuori il film senza i
capricci causati dal materiale umano. Litigò
con Paul Newman, che applicava il metodo
Stanislawskij (e durante una cena a casa del
regista aveva preteso una birra invece del
Bourgogne servito a tavola, e non bastasse
la beveva senza usare il bicchiere). Introspezione e tormento, invece del “facciamo finta
che...”.
Torna in mente Hitchcock quando vediamo Robert Downey jr e Robert Duvall che in
“The Judge” di David Dobkin fanno fatica a
entrare in sintonia. Sembra che recitino in
due film diversi. Il primo ha l’arroganza di
“Iron Man” (”Difendo solo i colpevoli perché
gli innocenti non possono permettersi le mie
parcelle”). Il secondo ha la fissità di una maschera: le rughe e gli zigomi lavorano al posto suo. Torna in mente Hitchcock anche
quando vediamo Matthew McConaughey in
“Interstellar”, l’ultimo film di Christopher
Nolan appena uscito nelle sale. Dov’è finito
il magnifico attore di “Dallas Buyers Club”
(diretto da Jean-Marc Vallée) o di “The Wolf
of Wall Street” (diretto da Martin Scorsese)?
A cui dobbiamo aggiungere il fantastico ruolo nella serie “True Detective”, scritta da
Nick Pizzolatto e diretta da Cary Fukunaga,
dove cita il filosofo nichilista Cioran come se
fosse un compagno di scuola, oltre che di
sventure su questa terra.
Il contadino che torna a fare l’astronauta
perché sulla Terra non c’è più cibo, quindi
bisogna emigrare su lontani pianeti, sconta
le rigidezze di una sceneggiatura che mira
altissimo - si parla di fisica quantistica come
di teoria della relatività - e inciampa nelle
banalità della fantascienza filosofica. Francamente, preferiamo i marziani, i tripedi o i
formiconi, che a differenza dei viaggi nel
tempo non deludono mai.
Un attore da solo non può farcela, a risollevare un film. Vale lo stesso per Jessica
Chastain. Era un incanto in “Tree of Life” di
Terrence Malick (la storia familiare era molto
meglio dei deliri cosmici) e in “Zero Dark
Thirty” di Katryn Bigelow. In “Interstellar”
recita sopra le righe. Anche a lei toccano
troppe spiegazioni sui “wormhole”, che i
vecchi romanzi della collana Urania traducevano con “curvatura dello spazio-tempo”.
I fan di Christopher Nolan lanceranno la
scomunica, ma l’unico che davvero colpisce
è Matt Damon, in scena quasi sempre con il
casco da astronauta.
PASTO NUDO
William
Burroughs
(Adelphi)
a droga riproduce la formula di base del
Virus del ‘male’: l’Algebra del bisogno.
La faccia del ‘male’ è sempre il bisogno
assoluto. Il drogato è qualcuno che ha un bisogno
assoluto di droga”. Firmato William Seward Burroughs. È un passo della prefazione a “Pasto nudo”, uno dei romanzi più belli e significativi della
Beat Generation. Il titolo lo prese da una poesia di
Allen Ginsberg.
“La cosa che odiava di più era la burocrazia di Washington – scrisse Kerouac di Burroughs -; subito dopo venivano i progressisti;
poi i poliziotti. Passava il tempo a parlare e a
insegnare agli altri”. Il filo conduttore del romanzo, che si può considerare di letteratura
d’avanguardia, è il controllo che lo Stato esercita sulle menti degli individui. E sullo sfondo
c’è la droga. “Quando dico che non ricordo di
aver scritto ‘Pasto nudo’ naturalmente esagero e
non bisogna dimenticare che la memoria è formata da varie aree - scrive Burroughs nel capitoletto “Riflessioni su una deposizione -. Quando dico ‘oggi il virus della droga rappresenta il problema sanitario numero uno nel mondo’ non mi riferisco soltanto ai concreti effetti negativi degli oppiacei sulla salute dell’individuo (che, nei casi di
dosaggio controllato, possono essere minimi), ma
anche all’isteria che l’uso della droga spesso suscita tra coloro che i mass media e i funzionari della
narcotici predispongono a reazioni isteriche”.
Questa riflessione quasi “pasoliniana” dimostra come Burroughs sia stato un intellettuale ‘futurista’, che ha saputo prevedere gli effetti di massificazione e pensiero unico. “La democrazia è
cancerogena e gli uffici sono il suo cancro - scrive
-. Un ufficio mette radici dappertutto nello Stato,
diventa maligno come la narcotici e poi cresce,
non smette mai di crescere, riproducendosi sempre più, finché non soffoca l’organismo ospitante”.
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Pagina a cura di
GastroSuisse
e GastroTicino
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Ticino a Tavola
Il primo evento organizzato a Locarno
Settimana dopo settimana l’analisi
di tutti i temi, gli studi, gli argomenti,
i problemi e le norme dell’offerta
di ristoranti e alberghi. Una pagina
indispensabile per gli operatori del settore
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GastroNews
Qr-Code
Cresce l’associazione culturale cuochi Nuova guida con 170 ristoranti
Sono già una settantina i membri
dell’Associazione culturale cuochi
Ticino fondata dallo chef Alessandro
Cassaro. L’associazione non ha fini
di lucro e tra gli obiettivi ha quello di
valorizzare la professione e fornire
consulenza ai propri aderenti.
Il primo evento di rilievo è stato organizzato il 19 ottobre, con la prima
edizione della “Festa del cuoco” dedicata a San Francesco Caracciolo.
Dopo la messa nella chiesa di San
Vittore e Andrea Apostolo a Muralto
la quarantina di ospiti si è spostata al
ristorante “Portico” in Piazza Grande
a Locarno, dove si è svolta la parte
ufficiale con il discorso del presidente Cassaro (nella foto) e la cena.
Per ottenere maggiori informazioni e
aderire all’associazione è sufficiente
inviare un messaggio di posta elettronica all’indirizzo [email protected] o telefonare al numero 078 819 81 75.L’associazione si presenta anche sul sito
associazionecuochiticino.com.
È in distribuzione la guida 2015 di “Ticino a Tavola”, volumetto in 4 lingue che presenta i 170 ristoranti del progetto
coordinato dal Centro di Competenza Agroalimentare che
promuove la l’utilizzo dei prodotti ticinesi nella ristorazione. In 150 pagine la guida - stampata in 20mila copie e
curata dal giornalista Alessandro Pesce, con il concetto
grafico della KeyDesign Sa di Cadenazzo - propone una
sintetica presentazione delle filiere agroalimentari, alcune
ricette tipiche e gli indirizzi dei partner. Per dare possibilità
ai ristoranti e partner che volessero ancora aderire a Ticino
a Tavola o fare inserzioni pubblicitarie, e non sono riusciti
ad annunciarsi in tempo, la seconda edizione della guida
sarà stampata a fine anno. Info: [email protected].
Da GastroTicino e GastroSuisse un secco “no” a un’iniziativa devastante per ristoratori e albergatori
Ecopop
Sapori e vini di Sardegna
al “Giardinetto” di Biasca
dannosa
e
inefficace
GastroSuisse e GastroTicino respingono con fermezza l’iniziativa popolare lanciata dall’associazione Ecopop “Stop alla sovrappopolazione - sì alla conservazione delle basi naturali della vita”, sulla quale saremo chiamati a esprimerci
il 30 novembre. L’iniziativa propone di limitare in modo rigido l’immigrazione in Svizzera (saldo migratorio fissato allo
0,2% per anno nella Costituzione federale) e di investire almeno il 10% dell’aiuto allo sviluppo per la promozione della
pianificazione familiare. Limitare l’immigrazione con una
quota rigida e inflessibile, sostiene GastroSuisse, aggrava la
carenza di manodopera e danneggia l’economia svizzera.
Pari a circa il 44% delle circa 77.000 persone che lavorano
in questo settore, la quota di lavoratori stranieri impiegati in
alberghi e ristoranti è tradizionalmente elevata. Limitare
l’immigrazione allo 0,2% annuo, che attualmente rappresenta circa 16.000 persone l’anno, avrebbe conseguenze
particolarmente dure per hotel e ristoranti. La scarsità di
COSÌ NON VA
Limitare
l’immigrazione
con una
quota rigida
aggrava la
carenza di
manodopera
manodopera in questo settore è già evidente ed Ecopop non
farebbe che peggiorare la situazione.
Al di là della mancanza di manodopera, il significativo calo
della crescita della popolazione, porterebbe a un’ulteriore
riduzione dei consumi. Inoltre, il segnale negativo diffuso
dall’iniziativa all’estero, potrebbe causare danni enormi
all’attrattività della Svizzera come piazza economica e destinazione turistica, con gravi ripercussioni per alberghi e ristoranti.
GastroSuisse riconosce le sfide di una popolazione in crescita e maggiore utilizzo di risorse che ciò comporta. Tuttavia, limitare l’immigrazione con il “principio della falciatrice”
non è una soluzione e danneggia l’economia. GastroSuisse
invita, quindi, a rifiutare chiaramente l’iniziativa.
Anche Massimo Suter, presidente di GastroTicino, fa proprie
le argomentazioni del Comitato contro Ecopop. “Sono cinque gli aggettivi che descrivono gli effetti devastanti di que-
sta iniziativa: estrema, discriminatoria, superflua, inefficace
e dannosa. Mi spiego. L’iniziativa è estrema perché fissa
una volta per tutte nella Costituzione un’immigrazione rigida e una soglia arbitraria senza considerare le esigenze
dell’economia. È discriminatoria perché secondo i promotori sono gli stranieri a essere indicati come la fonte di tutti i
problemi del nostro Paese. Ed è anche del tutto superflua,
perché il 9 febbraio la maggioranza del popolo svizzero ha
deciso di ripristinare i contingenti per controllare l’immigrazione”. Vi sono poi altre ragioni che portano Suter e il Comitato a valutare Ecopop come inefficace e dannosa. “Certo.
Ritenete giusto che la Svizzera sia obbligata a spendere
200 milioni di franchi per la pianificazione familiare nei paesi poveri a scapito di altri progetti più utili in termini di aiuto
allo sviluppo? Va sottolineato in modo chiaro che si tratta di
una misura inefficace e di uno spreco di denaro dei contribuenti”.
a.p.
Salute economica svizzera L’iniziativa Ecopop costituisce un vero e proprio “cocktail tossico”
Gli effetti collaterali sarebbero devastanti
Veniamo poi agli effetti collaterali dell’iniziativa
Ecopop, che sarebbero devastanti e peggiorerebbero in modo considerevole la situazione della Svizzera. “L’iniziativa accelererà l’invecchiamento della popolazione, provocherà problemi di
finanziamento delle assicurazioni sociali, complicherà ulteriormente le relazioni tra la Svizzera
e l’Unione Europea, provocherà un rallentamento economico e un aumento delle pressioni su
numerosi settori”. Per questo motivo GastroTicino invita tutti a votare un chiaro “no”.
Per dare risalto alle notizie dei soci e a quelle che possono incuriosire clienti e lettori, ecco un nuovo sistema di comunicazione. Scaricando con un qualsiasi smartphone un’applicazione per la lettura dei Qr-code e facendo la scansione del Qrcode che vedete in questo articolo, sarete indirizzati sul sito
di GastroTicino. Troverete il simbolo del Qr-code e potrete
cliccare sulla notizia per leggere questa settimana:
> Presentazione del programma
GastroTime
> Bronzo al pasticcere-confettiere
Sergio De Cesare
> Il nuovo libro “Il cameriere perfetto” > Grand Prix Du Vin Suisse 2014:
i vincitori
> Gault & Millau: onori per Gaby Gianini e il Ristorante
Forni di Airolo
> Piccoli chef di Intragna al Grotto Brunoni da Regis
> La vendita del Merlot Vallombrosa per il finanziamento
degli acquedotti
Ricordiamo che, oltre al nostro settore, una vasta alleanza dice chiaramente “no” a un’iniziativa dannosa per la Svizzera. Il Consiglio federale,
il Consiglio agli Stati (con 39 no e un sì), il Consiglio nazionale (con 190 no, 3 sì e 5 astenuti), i
rappresentanti dei partiti politici in Parlamento
(Ps, Verdi, Verdi Liberali, Pbd, Ppd, Plr, e Udc), gli
ambienti economici cantonali e nazionali (economiesuisse, l’Unione svizzera delle arti e mestieri), i sindacati (l’Unione Sindacale Svizzera,
Travail.Suisse, la Società degli impiegati Svizze-
ri), le organizzazioni caritatevoli (Alliance Sud,
Helvetas, Caritas, Pane per tutti, ecc.) e le associazioni ambientaliste (Wwf Svizzera, Pro Natura,
Greenpeace, Ate1) raccomandano di votare
“no”. No perché l’iniziativa Ecopop costituisce
un vero e proprio “cocktail tossico”. Le misure
proposte dagli iniziativisti sono al contempo inefficaci e contro-produttive per preservare le risorse naturali in modo permanente. Ecopop sarebbe un duro colpo per la salute economica della
Svizzera.
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Saranno i sapori e i profumi della Sardegna i protagonisti della rassegna enogastronomica in programma dal 12 al 30 novembre all’Albergo Ristorante “Al Giardinetto” di Biasca. A ingolosire gli ospiti sarà lo chef Sergio Deidda del Ristorante
“Le Terrazze” di Arbatax, con i vini delle Tenute Soletta di Codrongianos (Sassari). La rassegna enogastronomica sarda
permette di scoprire molte specialità tipiche dell’isola. Qualche esempio? Dapprima “Is Antipastusu” con piatti come
“presuttu, sartissu, marandula, olia cun allu e casu d’erbei”
(prosciutto crudo, salsiccia, guanciale, olive agliate e pecorino al cucchiaio con pane carasau), ma anche bottarga su letto di sedano o le sardine marinate in aceto di vino rosso e pomodori. E poi “Is Primusu”
con i famosi “Malloredus a
sa campidanesa”, i gnocchetti sardi con salsa di pomodoro, salsiccia al finocchietto e zafferano, e gli altrettanto famosi “Culurgionis a s’ogliastrina”, i ravioli
di patate, pecorino e menta
al pomodoro. Il viaggio gastronomico prosegue con “Is Segundusu”: spezzatino
d’agnello con carciofi, capperi, cipolle e pomodori secchi, patate rosolate, filetti d’anguilla ai pomodori freschi, patate rosolate e fagiolini, o trancio di spigola con Vernaccia, patate e
olive verdi. Infine ”Is Durcisi”, i dolci, con Seadas al miele o i
ravioli di ricotta fritti. E per i più curiosi un abbinamento da
non perdere: la pizza “Bottarga” con la birra sarda. Info e prenotazioni al numero 091 862 17 71.
All’Osteria Enoteca Ferriroli
iniziata la stagione dei “cicitt”
Pieno lavoro per Patricia e Antonio Ferriroli alle prese con una
specialità davvero squisita: i cicitt delle Valli Locarnesi. Nella
tipica osteria di Contra, i “Cicitt dal Tranquill da Gordola” si
potranno gustare, in
particolare, giovedì 13 e
venerdì 14 novembre,
accompagnati dalla cicoria, e per chi ama i
piatti tradizionali, la “cavra büida” è uno spettacolo. I cicitt - presidio
slow Food - sono salsicce lunghe e sottili, che si preparano in autunno con la carne,
il grasso e il cuore della capra insaccati negli intestini dell’animale. Sono di colore marrone scuro e si mangiano arrostiti sul fuoco. Hanno un profumo penetrante di capra, di spezie e di fumo. Buon appetito.
presenta:
SCEF 045
MARKETING:
CONOSCERE IL TERRITORIO PER AVERE SUCCESSO
VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEL MARKETING TERRITORIALE
Obiettivi
acquisire strumenti e metodologie per operare e crescere in
una logica di marketing, saper individuare la propria clientela
e il proprio bacino territoriale, saper pianificare come raggiungerla in modo efficace, essere in grado di realizzare il
proprio piano di marketing.
Programma
la comunicazione, l'ascolto e gli strumenti per l'ascolto del
territorio; significato di cosa vuol dire fare marketing; realizzare il proprio piano di marketing; come fare l'analisi del mercato locale, come definire il proprio business (visione ristretta
e visione allargata); scoprire i propri punti di forza e di debolezza; come definire gli obiettivi e la strategia; come fare il
piano di dettaglio delle attività; come e quando controllare le
attività per misurare successi e aree di miglioramento.
Insegnante
Ettore Lazzarini, consulente e formatore SMSchool
Data e orario
10 novembre 2014, 08.30-12.00 e 13.30-17.30
Costo
Chf 180.00 soci / Chf 230.00 non soci
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
ilcaffètravirgolette 45
Il libro. Un’organizzazione armata sta ridisegnando
la mappa del Medio Oriente tracciata da francesi e inglesi.
È la prima volta che accade dalla fine della Grande guerra.
Un saggio di Loretta Napoleoni
mette a fuoco origini e sviluppi
del Califfato. La forza e i pericoli
del nuovo Stato integralista
LA MORTE
Un ‘immagine
del video
sull’esecuzione
del giornalista
James Foley
Isis
Chi sono
e cosa vogliono
le milizie islamiche
terrore del mondo
“Isis, lo Stato del terrore”, è il titolo del libro, in uscita per Feltrinelli, dell’economista ed esperta di terrorismo internazionale
Loretta Napoleoni, che sul Caffè cura da anni la rubrica settimanale, “Numeri”. Sulle
origini dell’Isis anticipiamo uno stralcio
della prima parte del volume.
LORETTA NAPOLEONI
P
L’AVANZATA
Le bandiere
nere dello
Stato Islamico
sventolano
sui territori
conquistati
er la prima volta dalla fine della Prima guerra mondiale un’organizzazione armata sta ridisegnando la
mappa del Medio Oriente tracciata
da francesi e inglesi. Combattendo
una guerra di conquista, lo Stato Islamico (Is),
già noto come Stato Islamico dell’Iraq e del
Levante (al Sham), ossia
Isil o Isis, sta cancellando i
confini fissati nell’Accordo
Sykes-Picot formulato nel
1916. Oggi la bandiera nera e dorata dell’Isis sventola su un territorio, più
vasto del Regno Unito o
del Texas, che va dalla
sponda mediterranea della
Siria fino al cuore dell’Iraq:
l’area tribale sunnita. Dalla fine di giugno 2014 questa regione è nota come “il
Califfato”,una denominazione che aveva cessato di
esistere nel 1924, in seguito alla dissoluzione dell’Impero Ottomano per
mano di Ataturk.
Nello Stato Islamico, come precedentemente
in al Qaeda, molti osservatori occidentali vedono un’organizzazione anacronistica che
vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio. In effetti, rifugiati siriani e iracheni
hanno descritto la sua forma di governo come
indistinguibile da quella del regime talebano.
Ovunque campeggiano manifesti che vietano
di fumare e di usare la macchina fotografica;
le donne non possono viaggiare se non accompagnate da un parente maschio, devono
andare in giro completamente coperte e in
pubblico non possono indossare i pantaloni.
Al tempo stesso, lo Stato Islamico sembrerebbe impegnato in una sorta di pulizia religiosa
attuata mediante una forma molto aggressiva
di proselitismo. I residenti nel territorio che
scelgono di non fuggire devono aderire, pena
la morte, al suo radicale credo salafita. Fin dalla sua comparsa sulla scena globale, il leader
e califfo dello Stato Islamico Abu Bakr al Baghdadi è stato paragonato al Mullah Omar di
al Qaeda. Paradossalmente, questi raffronti
hanno portato l’Occidente, e il resto del mondo, a sottovalutare sia al Baghdadi sia l’organizzazione da lui guidata. Nonostante il carattere draconiano dello Stato Islamico, ritenerlo
un’entità “arretrata” sarebbe un errore. Mentre il mondo dei talebani era limitato alle
scuole coraniche e a un sapere basato sulle
parole del Profeta, l’incubatrice dello Stato
Islamico sono state la globalizzazione e la tecnologia moderna.
Quel che distingue l’organizzazione da ogni
altro gruppo armato che l’ha preceduta –
compresi quelli attivi durante la Guerra fredda – e quel che ne spiega l’enorme successo
sono la sua modernità e il suo pragmatismo.
La leadership sembra comprendere con una
lucidità inedita i limiti che un mondo globalizzato e multipolare impone alle potenze contemporanee. Per esempio, lo Stato Islamico ha
intuito che un intervento straniero congiunto,
simile a quello attuato in Libia o in Iraq, non
sarebbe mai stato possibile in Siria. Sulla base
di questa analisi, la leadership ha sfruttato a
proprio vantaggio, per di più passando quasi
inosservata, il conflitto siriano – versione contemporanea della guerra per procura, dove
sono schierati numerosi sponsor e gruppi armati. Mirando a un cambiamento di regime in
Siria, paesi come il Kuwait, il Qatar e l’Arabia
Saudita hanno attivamente foraggiato una
pletora di organizzazioni armate, delle quali
l’Isis è soltanto una. Tuttavia, anziché combattere la guerra per procura degli sponsor, lo
Stato Islamico ha usato il loro denaro per impiantare i propri capisaldi territoriali in regioni economicamente strategiche, come le ricche aree petrolifere della Siria orientale. Nessuna precedente organizzazione armata mediorientale era stata in grado di promuoversi
quale nuovo potere politico della regione e,
per di più, con il denaro dei ricchi sponsor del
Golfo.
In netto contrasto con la retorica talebana, e
nonostante il modo barbaro in cui tratta il nemico, lo Stato Islamico sta diffondendo un potente, e in parte positivo, messaggio politico
nel mondo musulmano: quello del ritorno del
Califfato, l’età dell’oro dell’Islam. Questo
messaggio arriva in un momento di grande
destabilizzazione in Medio Oriente, con la Si-
ria e l’Iraq in fiamme, la Libia sull’orlo di un
nuovo conflitto tribale, l’Egitto irrequieto e
dominato dall’esercito, e Israele ancora una
volta ai ferri corti con i palestinesi di Gaza.
Pertanto, il risorto Califfato con il suo nuovo
califfo al Baghdadi appare agli occhi di molti
sunniti non come l’ennesimo gruppo armato,
ma come una nuova promettente entità politica che sorge dalle ceneri di decenni di guerra
e distruzione.
Il fatto che questa fenice islamista si sia materializzata il primo giorno del Ramadan, il
mese consacrato al digiuno e alla preghiera,
del 2014 viene visto come il potente presagio
della minaccia che lo Stato Islamico rappresenta per la legittimità di tutti i cinquantasette paesi di fede islamica. Come ha dichiarato
il suo portavoce, Abu Mohamed al Adnani, “la legalità di tutti gli emirati, i
gruppi, gli stati e le organizzazioni [musulmane]
viene azzerata dall’autorità del califfo e dall’arrivo delle sue truppe nei
loro territori”. È una sfida
lanciata da uno stato contemporaneo che dispone
di un esercito moderno e
che riconduce la propria
legittimità alla prima manifestazione territoriale
dell’Islam nell’Arabia del
Settimo e Ottavo secolo.
Questa concretissima minaccia viene avvertita
particolarmente dalle nazioni confinanti con
la Siria e con l’Iraq. Nel luglio 2014 la bandiera dello Stato Islamico ha fatto la sua comparsa nei villaggi giordani, e nel mese di agosto
migliaia di militanti dell’Isis hanno sconfinato
in Libano dalla Siria, occupando la cittadina di
Arsal. Dopo il lancio di questa offensiva, persino i vecchi sponsor hanno iniziato a temere
la potenza militare del Califfato; all’inizio di
luglio l’Arabia Saudita ha schierato trentamila
militari sul suo confine con l’Iraq dopo che
l’esercito iracheno si era ritirato dall’area.
Sotto la patina della religione e dietro le tattiche terroristiche, esiste una macchina militare pienamente impegnata nella costruzione di
un nuovo stato e, cosa ancora più sorprendente, nella ricerca del consenso popolare una
volta assicuratasi la conquista territoriale. Gli
abitanti delle zone controllate dal Califfato, in-
fatti, sostengono che l’arrivo delle milizie dello Stato Islamico ha coinciso con un miglioramento della gestione quotidiana dei loro villaggi. I combattenti dell’Isis hanno sistemato
le strade, organizzato le mense per chi aveva
perso la casa, garantito l’accesso all’elettricità
per tutta la giornata. Così facendo, lo Stato
Islamico mostra di capire che nel Ventunesimo secolo non si possono edificare nuove nazioni solo con il terrore e la violenza. Per riuscire nell’obiettivo è necessario il consenso
popolare.
Se a livello territoriale il progetto di massima
è quello di rifondare l’antico Califfato di Baghdad – entità distrutta dai mongoli nel 1261,
che si estendeva dalla capitale irachena fino
all’attuale Israele –, a livello politico l’obiettivo dello Stato Islamico consiste nel crearne la
versione moderna, aggiornata
al Ventunesimo secolo. Nel suo
primo discorso in veste di nuovo califfo, al Baghdadi si è impegnato a restituire ai musulmani “la dignità, la potenza, i
diritti e l’autorità del comando” che possedevano nel glorioso passato, al contempo ha
rivolto un appello a medici,
tecnici, giudici ed esperti di
giurisprudenza islamica affinché si unissero a lui. Mentre
parlava, una squadra di traduttori in tutto il mondo era al lavoro per diffondere il testo del
discorso, quasi in tempo reale,
sui siti jihadisti in Internet e
attraverso Facebook e Twitter,
in numerose lingue, tra cui inglese, francese e tedesco.
Secondo molti sostenitori, il
principale obiettivo dello Stato
Islamico è rappresentare per i
musulmani sunniti ciò che
Israele è per gli ebrei: uno stato nella loro antica terra, rioccupata in tempi moderni; un
potente stato confessionale che li protegga
ovunque essi si trovino. Per quanto scioccante
e rivoltante possa apparire un simile raffronto, è questo il potente messaggio che l’Isis trasmette ai giovani musulmani che vivono nel
vuoto politico creato da fattori allarmanti quali la corruzione dilagante, la disuguaglianza e
l’ingiustizia presenti nei moderni stati musulmani; la spietata dittatura di Assad; il rifiuto
del governo di al Maliki di integrare i sunniti
nel tessuto della vita politica e la loro persecuzione da parte del governo di Baghdad; l’assenza di adeguate infrastrutture socioeconomiche, distrutte durante la guerra, e l’elevato
tasso di disoccupazione. È un messaggio potente e al tempo stesso seducente anche per
chi vive all’estero, i giovani musulmani europei e americani, che lottano per
integrarsi in una società occidentale che offre sempre meno
opportunità alle giovani generazioni.
Nessun’altra organizzazione
armata ha mai mostrato altrettanta comprensione e intuizione politica nei confronti della
politica interna del Medio
Oriente e della frustrazione degli emigrati musulmani in tutto il mondo. Nell’ambizioso
sforzo teso alla creazione di
uno stato, nessun’altra organizzazione armata si è adattata
con altrettanto successo a fattori contingenti quali l’offerta
di infrastrutture socioeconomiche di base e di partnership imprenditoriale
con le autorità locali nel territorio da essa controllata.
In effetti, la leadership dell’Isis ha studiato le
tattiche e la struttura di altri gruppi armati, e
le ha applicate in un nuovo contesto. Non diversamente dalle organizzazioni armate europee degli anni sessanta e settanta, come le
Brigate Rosse in Italia e l’Ira nell’Irlanda del
Nord, lo Stato Islamico è cosciente dell’efficacia della “propaganda della paura”, e si è dimostrato particolarmente abile nell’utilizzare
i social media per diffondere tra il pubblico locale e globale videoriprese e immagini altamente professionali delle sue barbare azioni.
Che la diffusione della paura attraverso la moderna tecnologia sia un’arma di conquista
molto più potente dei sermoni religiosi è un
fatto che al Qaeda non è riuscita a capire (...).
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
46
ilcaffètravirgolette
Chi è
La 52enne fisica italiana
è appena stata
nominata a capo del
Cern di Ginevra. È la
prima donna, nei
sessant’anni di storia
del laboratorio. E dirige
dodicimila scienziati
Reuters
L’incontro.
“Ho solo inseguito i miei sogni”
FRANCESCO ANFOSSI
L
Reuters
a chiamano “la signora delle particelle”. Ha
scoperto il bosone di Higgs, “il più grande
esperimento del mondo”, come lo ha definito il
più prestigioso periodico di fisica New Scientist. La carriera della 52enne Fabiola Gianotti è
trascorsa quasi interamente sotto il segno della “nuova
fisica”. Quasi, come vedremo, perché ha avuto il tempo
anche di coltivare altri interessi. Nel 2012 la prestigiosa
rivista americana Time l’aveva inclusa, al quinto posto,
nei personaggi dell’anno. La settimana scorsa la consacrazione: la scienziata è stata chiamata a dirigere il Cern
di Ginevra, che fa capo a 12mila scienziati, prima donna
nei sessant’anni di storia del laboratorio, che contiene
tra l’altro il Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle del mondo. Non è stata certo una passeggiata per questa scienziata che predilige nel vestire
lo stile casual, dal fisico snello, due occhi scuri e profondi
abituati a scrutare gli abissi della materia, conquistare la
cima del più grande laboratorio di fisica del pianeta battendo gli altri due fisici in corsa per la direzione: il britannico Terry Wyatt, dell’università di Manchester, e
l’olandese Frank Linde, direttore dell’Istituto nazionale
di fisica subatomica (il Nikhef) di Amsterdam. E soprattutto, inutile sottolinearlo, è un altro piccolo passo nella
storia dell’emancipazione femminile. In un ambiente,
quello degli scienziati, che non è certo mai stato molto
tenero nei confronti delle donne.
Le sue prime dichiarazioni sono un misto di orgoglio
per il posto in cui lavora ma anche di consapevolezza
della responsabilità che ne deriva, un po’ di circostanza:
“È un grande onore per me essere stata scelta come il
prossimo direttore generale del Cern dopo 15 predeces-
sori illustri. Il Cern, dove ho lavorato per circa vent’anni,
è un centro di ispirazione per i fisici di tutto il mondo”.
Ma la dottoressa Gianotti ci tiene a sottolineare che il laboratorio lo si potrebbe definire le Nazioni Unite della fisica (e infatti ha sede a Ginevra): “Un esempio concreto
di cooperazione scientifica a livello mondiale e la pace,
che fa gli scienziati migliori e persone migliori. Tutti gli
Stati dovrebbero fare ricerca. Una nazione che non ha un
programma di ricerca forte in casa dovrà alla fine comprare conoscenza e tecnologia dagli altri”.
Ma andiamo con ordine, senza troppe “accelerazioni”. Fabiola è romana, oriunda di padre piemontese (geologo) e madre siciliana (professoressa di lettere). Ha cominciato a capire qual era la sua strada dopo aver letto,
quando faceva il liceo classico, la biografia di Madame
Curie e alcuni scritti di Albert Einstein riguardanti l’effetto fotoelettrico. L’attribuzione del Nobel della fisica all’italiano Carlo Rubbia ha contribuito a intensificare questo interesse e a farle sognare questo tipo di vita. Dopo
il diploma di maturità, visto il grande talento, genitori e
professori l’hanno incoraggiata a frequentare l’Università di Milano, facoltà di Fisica, uno degli atenei più difficili
e prestigiosi d’Italia, insieme alla Normale di Pisa. Sempre più a suo agio tra neutroni e neutrini, si è laureata in
fisica nucleare e ha preso il dottorato di ricerca in fisica
sperimentale sub nucleare. Poi, dopo uno stage all’istituto nazionale di Fisica Nucleare di Roma, Fabiola è stata
assunta al Cern di Ginevra, e dal 1994 lavora al Physics
department. “Per andare avanti, da giovani, bisogna essere un po’ ingenui e un po’ incoscienti - ricorda -. Anche
io ero così. Quando mi sono buttata a studiare la fisica
sono partita dietro le mie idee e i miei sogni, senza farmi
troppe domande”. Affetta semplicità, la dottoressa Gianotti. Ma stiamo parlando di una donna intellettualmen-
Fabiola
Gianotti
te straordinaria, degna erede della grande tradizione
della fisica italiana, quella di Enrico Fermi, Antonino Zichichi ed Enrico Rubbia, tanto per fare tre nomi di indiscusso livello internazionale.
Fabiola è single ma non è una sacerdotessa votata allo studio delle particelle. Infatti non c’è solo la fisica nella
sua vita. Ci sono altre passioni e altri interessi. Gli amici,
il teatro, la buona cucina. Fabiola ha trovato anche il
tempo di diplomarsi in pianoforte al Conservatorio di Milano (forse il più severo d’Italia). Strumento che suona il
più possibile dopo le 12 ore di lavoro giornaliere passando dalle meccaniche delle particelle che interagiscono
con il bosone di Higgs alle meccaniche celesti di Bach,
Mozart e Schubert. “La musica per me è un grande sfogo
e un grande rifugio. Uno scienziato deve avere questi
jardin secret da coltivare, non può focalizzarsi solo sulla
ricerca”.
A Ginevra la dottoressa Gianotti si è occupata della
ricerca, dello sviluppo e della costruzione di rivelatori,
ovvero di quegli strumenti che servono a identificare e
tracciare le particelle, così come dello sviluppo di software e di analisi di dati. Ha lavorato ad esperimenti che
ai non addetti ai lavori suonano come oscure sigle, ma
che per gli scienziati sono entrati nel mito: UA2, Aleph e
Atlas. Di quest’ultimo è stata coordinatrice internazionale, dal 2009 al 2013.
Proprio alla guida dell’esperimento Atlas, che coordinava 3mila scienziati di tutto il mondo, il 4 luglio 2012
Fabiola Gianotti ha annunciato la scoperta del bosone di
Higgs, che in fisica è un po’ come il Sacro Graal, qualcosa
che sfiora la leggenda, atteso da decenni dal mondo
scientifico. Lo ha fatto accanto a Peter Higgs, il papà della teoria che ha prefigurato l’esistenza della particella
grazie alla quale esiste la massa.
Tra le altre cose, ha il dono di esporre con semplicità
le teorie più complesse dell’universo. Lo sa fare anche
per spiegare l’importanza degli acceleratori di particelle:
“Questi esperimenti ci permetteranno di affrontare domande di fondamentale importanza che ci accompagnano da decenni. Per esempio, di cosa è fatta la materia
oscura dell’universo, di cui è composto il 20 per cento.
Inoltre, ci spiegherà l’origine delle masse delle particelle
elementari”.
Peter Higgs ipotizzò il bosone per spiegare il meccanismo per il quale le particelle elementari hanno masse
diverse. A poco a poco la ricerca del Cern, particella dopo
particella, si sta avvicinando a spiegare che cosa è successo pochi istanti dopo il Big Bang, quando è nato l’universo. Ecco perché si parla di “particella di Dio”. La fisica, dice, “mi ha dato molto. Quello che ho ricevuto dallo
studio della fisica e delle particelle subnucleari, dal mondo dell’infinitamente piccolo, va ben al di là di ciò che mi
aspettavo quando ho intrapreso questa strada”.
E a proposito di Dio la scienziata non vede contraddizioni tra scienza e fede: “Appartengono a due sfere diverse. La scienza non può spiegare l’origine del mondo.
Sarebbe troppo ambiziosa e arrogante. Tutto quello che
possiamo fare noi ricercatori è accumulare conoscenza.
Newton, diceva che quello che conosciamo è una goccia,
quello che non conosciamo un oceano, al mistero della
creazione non arriveremo mai”.
La teoria del Bosone fu una scoperta da Nobel (ne furono insigniti lo stesso Higgs e il collega François Englert). Allora il Cern, il laboratorio che indaga sulla creazione nel cuore della Svizzera, per la prima volta, meritò
una menzione speciale.
Fabiola è Grande Ufficiale al merito della Repubblica
italiana, l’onorificenza concessa dal Capo dello Stato. E
non è detto che un giorno non salga al Quirinale, prima
donna a diventare Capo dello Stato. In Italia qualcuno
già lo sogna.
IL CAFFÈ
9 novembre 2014
LE OPINIONI
In queste ultime settimane il Ticino biotecnologico è salito alla ribalta
per le scoperte dell’Istituto di ricerca
in biotecnologia (Irb) inerenti la creazione di anticorpi che, iniettati nel
corpo umano, potrebbero combattere
l’ebola, la terribile malattia arrivata
tristemente agli onori della cronaca.
Presto, però, potremmo sentir parlare
del nostro cantone per un’altra importante ricerca nel settore biomedico, quella che sta sviluppando la Telormedix di Bioggio nell’ambito della
cura di un tumore molto diffuso:
quello alla vescica.
Si tratta di un farmaco che, attraverso la stimolazione del sistema immunitario innato, uno dei meccanismi
di difesa più antichi dal punto di vita
evolutivo presente nel corpo umano,
è in grado di combattere le infezioni
e i tumori. Per il momento le ricerche
ilcaffètravirgolette 47
FUORI
DAL
CORO
L’antitumore per la vescica
potrebbe nascere in Ticino
si stanno concentrando in particolare
sulla cura del tumore alla vescica, ma
in futuro potrebbero ampliarsi ad altre forme di cancro come quello al seno, alla pelle o ad altri ancora. L’efficacia di questi medicamenti è già stata testata con successo su animali.
Attualmente, per quanto attiene
ai malati di tumore alla vescica, la
medicina è sperimentata su pazienti
negli Stati Uniti con ottimi risultati.
Nei prossimi tre anni queste sperimentazioni proseguiranno sia in Europa, sia ancora negli Stati Uniti e se i
IL
DIARIO
risultati saranno soddisfacenti il farmaco verrà finalmente commercializzato. “Ma per raggiungere questo
obiettivo - spiega Johanna Holldack,
amministratore delegato di Telormedix - sono necessari grossi finanziamenti”.
L’azienda con sede a Bioggio è
stata fondata sette anni fa da Lorenzo
Leoni, attuale direttore della Fondazione Agire, l’Agenzia per l’innovazione del Canton Ticino. Quando il
suo fondatore ha lasciato la società
per occuparsi del promovimento di
imprese hightec ticinesi, gli investitori americani dell’azienda hanno affidato la direzione a Johanna Holldack,
una specialista del settore. Come mai,
le chiediamo, Telormedix si trova in
Ticino? “Perché il suo fondatore - risponde la signora Holldack- era ticinese”. Questo significa che lei preferirebbe trovarsi altrove? “Beh, diciamo che per uno straniero non è sempre facile vivere in un cantone dove
la politica svolge un ruolo eccessivo”.
E per la sua società quali sono i
pro e i contro dell’ubicazione in TiciFOGLI
IN
LIBERTÀ
COLPI
DI
TESTA
GIUSEPPE
ZOIS
GIÒ
REZZONICO
LIDO CONTEMORI
Si vendica il Corano
bruciando la ragione
RENATO
MARTINONI
Le virtù della Svizzera,
i vizi degli svizzerotti
C’è chi dice che la Svizzera è un Paese tanto esemplare
da poter essere indicato come modello in tutto il mondo. E
c’è chi al contrario lo considera un covo di briganti, il rifugio
legalizzato di ogni forma di criminalità economico-finanziaria. C’è chi la porta come esempio del pacifico convivere e
della tolleranza. E c’è chi risponde che gli svizzeri vanno
d’accordo soltanto perché non si capiscono. Perché insomma
parlano lingue diverse e perché ognuno pensa ai casi propri.
C’è poi chi nega, sarà geloso?, che la Svizzera esista. E chi,
ammettendo che c’è (lo ha fatto tempo fa un leader africano,
passato nel frattempo al mondo dei più), ha proposto di annientarla assegnando ogni sua parte linguistica agli Stati vicini. Che forse ne avrebbero tratto qualche beneficio (in termini bancari, almeno). Difficile poi dire se esiste lo svizzerotipo. Forse sì. Forse no. Forse ni. C’è però lo svizzerotto: ed è
quasi un gioco riconoscerlo, goffo com’è, in mezzo alla folla.
Assomiglia più ai tedeschi che agli italiani e ai francesi. Ha
l’aria un po’ ingenua e crede che gli altri siano tutti come lui
(in realtà spesso gli altri, costretti dalle contingenze, sono
assai più furbi di lui e sanno anche sgomitare molto meglio
di lui che neanche se ne accorge. La necessità, è noto, aguzza l’ingegno).
È modesto, lo svizzerotto, e ha un fare discreto: anche se
ha i suoi bei pìlleri in banca. Cioè non si dà arie e vive spesso al di sotto delle proprie possibilità. Una certa ristrettezza
di orizzonti (qualcuno però preferisce parlare di egoismo) gli
impedisce di guardare lontano, oltre le proprie montagne.
Ma gli permette anche di badare al proprio orto, perché non
muoia di sete o non venga invaso dalle erbacce. Ama anzi
l’ordine, la pulizia e il rispetto delle regole, lo svizzerotto:
perciò c’è chi lo deride dipingendolo come un poliziotto perennemente in servizio o come un soldato che vive in caserma senza mai fare le guerre. È poco flessibile, a volte. Anzi,
è saldo e imperturbabile come una roccia. Per questo è poco
propenso ai cambiamenti repentini e radicali: e forse il suo
colore, preferito, più che il bianco e il rosso, è il grigio. A
volte si fa ammaliare da qualche tribuno che lo incanta con
le parolone, le feste al grotto, le pacche sulle spalle e che
promette mari e monti. E lui ci casca, il bonaccione! Ma non
si è mai scelto come capi, bontà sua, né duci né Führer né
pifferai. E forse, chissà?, neanche questo è frutto del caso.
Caro Diario,
sulla bilancia degli argomenti a favore della tolleranza,
un solo sfregio fatto alla dignità dell’uomo pesa più di una
montagna di teologia. Quanto avvenuto nel Pakistan è una
valanga che travolge anche i migliori propositi di mitezza.
Una giovane coppia, lui Shahzad Masih di 35 anni, lei Shama Bibi, di 30, padre e madre di tre figli e un quarto in arrivo, sono stati trucidati. Forse erano già morti per i pestaggi
subiti in due giorni o forse sono stati gettati ancora vivi nella fornace dove si cuoce l’argilla. Requiem anche alla pietà.
COLPA SCATENANTE: quella di aver bruciato alcune pagine del Corano. Era successo ciò che avviene in molte case
dopo un lutto, quando ci si libera di oggetti e cose del caro
estinto. Morto il padre, Shahzad ha acceso un fuoco nel cortile e vi ha messo su l’inservibile. Quel falò ha incendiato
una follia collettiva. Un vicino ha visto e ha dato inizio al
tam tam. Contro marito e moglie si è scatenata una moltitudine di 400 musulmani inferociti. La polizia ci ha messo due
giorni prima di intervenire e “arrestare“ 44 indiziati. Finirà
in una bolla di sapone per mancanza di colpevoli certi. Si
può morire così atrocemente per sospetta blasfemia? Bisognerebbe spegnere, piuttosto, certe derive teocratiche.
SIAMO NEL PAKISTAN dove la cristiana Asia Bibi per lo
stesso “reato“ è condannata a morte e spera in un atto di
clemenza. Dove Sawan Masih da aprile è nel braccio della
morte per aver profanato l’islam. Dove l’unico ministro cristiano, Shahbaz Bhatti, fu assassinato nel 2011 da un commando di fondamentalisti perché voleva modificare la legge
sulla blasfemia, costata la vita a centinaia di fedeli di altre
religioni. Nel suo nobile testamento, Bhatti si imponeva di
credere che la solidarietà più volte espressa dai cristiani verso i musulmani potesse costruire ponti d’amore. “Se tali
sforzi continueranno, riusciremo a vincere i cuori e le menti
degli estremisti“. Sappiamo com’è andata.
È VERO che Dio è sempre più grande delle nostre rappresentazioni, anche nella più crudele, efferata disumanità:
ma un’esperienza religiosa vera, quale che sia, deve tendere
alla scoperta in ogni uomo dell’immagine di Dio stesso, che
è di tutti e al di sopra di tutto. Ed è infinitamente più grave
bruciare Dio (senza l’uomo, Dio va a pezzi) che qualche pagina di Corano o di Vangelo.
DOMENICA
IN
MOSTRA
I mille colori di un artista
che sapeva amare la vita
CLAUDIO
GUARDA
Chagall è pittore amatissimo. Perché è un sognatore a occhi aperti, un
perenne innamorato della vita che ha
dato alla sua pittura un’impronta carica di poesia e colore. Ma non era un
ingenuo, un naive, e neppure solo un
sognatore. Aveva avuto, infatti, una
formazione artistica, maturata tra
S.Pietroburgo e Parigi, a contatto con
le più importanti avanguardie storiche del momento: dal futurismo al cubismo, dal fauvismo all’orfismo, dall’espressionismo al suprematismo
russo.
Rispetto all’importante rassegna
che il Kunsthmuseum di Zurigo gli ha
dedicato nel 2013 - tutta incentrata
ilcaffè
Settimanale di attualità, politica, sport e cultura
Direttore responsabile
Vicedirettore
Caporedattore
Caposervizio grafico
sugli anni in cui ha maturato quel suo
linguaggio, specie a Parigi nel contatto
con le varie avanguardie storiche concluso poi dal forzato rientro in patria a
causa della guerra (grossomodo dal
1910 al ’22) - questa milanese a Palazzo Reale privilegia quanto viene dopo
nella sua lunga produzione pittorica,
risultando in questo senso complementare alla prima. In effetti passa a
volo d’uccello sui suoi primi anni parigini, per diffondersi con quasi 200
opere su ciò che li precede ma soprattutto li segue: a partire dal 1908, data
in cui Chagall realizzò il suo primo
quadro fino alle ultime, monumentali
opere. Articolata in sezioni, la mostra
Lillo Alaimo
Libero D’Agostino
Stefano Pianca
Ricky Petrozzi
no? “Per un’azienda come la nostra è
fondamentale reperire i capitali per
finanziare la ricerca. Al sud delle Alpi
non è facile trovare investitori. Ne
avevamo uno ticinese, che ora si è ritirato nonostante i successi ottenuti
dai nostri prodotti. Attualmente siamo finanziati dalla Svizzera tedesca e
dall’America. Un’altra difficoltà del
Ticino è la mancanza di un aeroporto
internazionale”.
E i vantaggi quali sono? “Un’amministrazione snella, buone condizioni fiscali e la vicinanza con l’Italia,
dove si può reperire manodopera
qualificata per il nostro settore, perché i ticinesi specialisti nel nostro ramo sono piuttosto rari”. Quest’ultima
riflessione della signora Holldack dovrebbe far riflettere coloro che vorrebbero chiudere le nostre frontiere
ai lavoratori italiani!
si sviluppa come percorso cronologico
che si dilata a partire dal suo rientro in
Francia (1923 - 1941), attraversa poi
gli anni dolorosi d’America - dove ripara per sfuggire agli orrori dell’antisemitismo, ma dove vivrà la tragedia
della morte dell’amatissima moglie
Bella -, e conclude con il definitivo
rientro in Francia (1948) e la scelta di
stabilirsi in Costa Azzurra, dove anche
il suo linguaggio sembra farsi più disteso e fiorito, rasserenato dai colori e
dall’atmosfera del Midi.
Si tratta soprattutto di dipinti, di
disegni ed incisioni o di guaches, come
la stupenda serie di carte dipinte per
illustrare le oltre cento favole di La
Società editrice
2R Media
Presidente consiglio d’amministrazione Marco Blaser
Direttore editoriale
Giò Rezzonico
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MARC CHAGALL.
UNA RETROSPETTIVA 1908-1985
Palazzo Reale, Milano
Fino al 1. febbraio 2015
Fontaine del 1926. Non poco spazio è
dato anche ad un interesse collaterale
che ha sempre animato l’arte di Chagall: il suo amore per il teatro. Inventa
e dipinge scenografie, costumi e sipari
o provvede a decorare soffitti e pareti:
dal Teatro ebraico di Mosca all’American Ballet Theatre, dal soffitto dell’Opéra Garnier di Parigi al Metropolitan di New York.
Nel complesso l’esposizione milanese mette l’osservatore a confronto
non solo con le diverse tecniche praticate dall’artista, ma anche con la varietà di temi e di accenti che caratterizzano tutta la sua produzione: dai colori accesi e dalle invenzioni visionarie
RESPONSABILE MARKETING
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e sognanti. Chagall non ha mai perso
quel filo rosso che lo teneva saldamente unito sia alla cultura della sua terra,
sia alle sue radici ebraiche; le due
grandi sorgenti che, fecondate dai linguaggi della modernità, diedero vita
alla sua originalissima lingua pittorica.
E che seppe mantenersi fedele a se
stessa e ai suoi “motivi”, pur nel variare delle stagioni e degli eventi, talora
anche tragicamente cupi: tradusse
l’incanto e lo stupore di fronte alla natura, cantò la dolcezza dell’amore o del
sogno d’amore, ma seppe dar voce anche al dolore del distacco, alla perdita
della luce, al buio dilagante su un’Europa scossa da catastrofi indicibili.
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9 novembre 2014
ilcaffè
La finestra sul cortile
Gli eBook del Caffè
Il Paese tra cronaca e fantasia
341/bis
Racconto di ANONYMOUS, illustrazioni di Marco Scuto
L’odore di falso in bilancio
VENTESIMA PUNTATA
La comedy
noir del Caffè
Una serie di colpi di scena
settimana dopo settimana
La storia
“341bis” è un romanzo
breve cui non è facile
attribuire un genere.
Fosse un film potrebbe
essere definito una
“comedy noir”. Elementi di
giallo che si stemperano
nella commedia, o meglio
ancora, una commedia che
assume involontariamente
i contorni del giallo. Una
serie di fortuite
circostanze, che
Il riassunto
compongono un puzzle
dai contorni
inimmaginabili.
Riassunto delle puntate
Franco Remondini,
55enne manager bancario
luganese, conduce una
doppia esistenza.
Convocato dai Carabinieri
di Intra per un verbale
sulla strada del Verbano,
che percorre spesso
all’insaputa della moglie
Iris, Remondini si ritrova
faccia a faccia con Agnese,
la madre dei suoi figli.
Figli che ha dichiarato di
non avere. E scoppia un
putiferio. Viene a galla
un’ inquietante verità.
caffe.ch/comedy
Tutte le puntate oline
I
L’e-book
Tutte le puntate di
“341bis”, corredate dalle
illustazioni di Marco
Scuto, possono essere lette
online sul
sito caffè.ch nelle pagine
web dedicate alla serie.
Come tutti i racconti
pubblicati dal Caffè, anche
“341bis” alla fine della
serie diventerà un e-book
gratuito (il primo
pubblicato in Ticino con
testo scritto e graphic
novel d’autore).
l maresciallo Carletti chiuse la cartellina
verde con il verbale di accertamento a
Ghiffa, in cui al Remondini veniva contestato quel maledetto articolo 341bis, e si
mise all’ascolto della “signora Sanfilippo
Agnese”. Aveva iniziato a chiamarla così,
prima il cognome poi il nome, dopo averne fatto accertare da Lo Russo le generalità
e soprattutto dopo aver scoperto (da un bigliettino passatogli dal brigadiere che aveva dato un’occhiata su Google) che i Sanfilippo erano una potenza economico-finanziaria. Gente pericolosa, pensò!
Agnese, guidata da una cieca
rabbia, si mise a raccontare
di lui e di quell’altro cretino
La Sanfilippo Agnese - come a chi gli
son state diagnosticate poche settimane di
vita e ritiene di non aver nulla da perdere guidata più da una rabbia cieca che da
una reale voglia di vendetta per il torto subìto, si mise a raccontare di Remondini e di
quell’altro cretino, diceva proprio così, del
cognato, il marito di sua sorella Melina.
Società fasulle in Svizzera. Fatture per
servizi mai effettuati all’impresa di Milano,
così da favorire l’uscita di denaro verso la
Svizzera. Tangenti a mezzo mondo politico
lombardo. Intrighi con la finanza che con-
ta, soprattutto quella legata al Vaticano,
per far ritornare in Italia milioni e milioni
di euro evitando Guardia di Finanza, Agenzia delle entrate e scudi fiscali...
Carletti-Maigret e Lo Russo-Lucas avevano veramente e per puro caso messo le
mani in un vespaio. C’era odore di falso in
bilancio, frode ed evasione fiscale, corruzione, riciclaggio... Tanto per citare i principali reati.
“Signora Sanfilippo Agnese a questo
punto io ho l’obbligo di avvisare i miei superiori... Non ha senso continuare con questo verbale. E non so nemmeno se posso
lasciarvi tornare a casa, qui, a Intra dottor
Remondini”.
“Ma guardi maresciallo che io sono un
cittadino svizzero e...”.
“Sarà pure!”, lo stoppó Carletti con
l’aria dell’investigatore navigato. Altro che
quel parigino di Maigret! Gli mancava solo
la pipa.
“Sarà pure! Ma ora lei si trova in Italia... per sua sfortuna, dottor Remondini. E
per nostra fortuna lo scorso maggio è stato
fermato a Ghiffa per un semplice accertamento stradale. E sicuramente se fosse
stato meno arrogante, non le avremmo
contestato il 341bis”.
Ma che cavolo sarà mai ’sto 341bis,
pensò il Remondini?! Quale articolo del codice avrò mai infranto, per farmi convocare
addirittura da un maresciallo dei carabinieri? E cosa vuol dire, mi chiedo co-sa vu-ol
di-re, si domandava, ...se fossi stato meno
arrogante? Che ho detto, che ho fatto? Mi
hanno fermato e mi sono fermato. Mi han
chiesto i documenti e glieli ho dati, gli ho
detto che...
“Allora, Remondini! Mi sta ascoltando
oppure pensa ad altro?”, chiese il maresciallo alzando la voce e aggiungendo che
il colonnello Mazza del Comando regionale
nel frattempo era stato avvisato dal brigadiere Lo Russo. Ora stavano aspettando
Gerry e Maria eran così
stanchi che s’erano messi
tranquillamente a sedere
una decisione da parte del magistrato di
turno.
Ormai s’eran fatte le diciotto e qualche
minuto. Il lago era una tavola appena ondulata, il sole non era ancora tramontato
alle spalle di Intra. Gerry e Maria eran così
stanchi di rincorrersi attorno al tavolino
delle riviste, che s’erano messi tranquillamente a sedere. Anzi, sonnecchiavano.
Dalla finestra sul lago, guardando verso
Sud, si vedevano chiaramente alcune nuvole. Erano gonfie di pioggia. Stava per
scoppiare un temporale.
20 - continua