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LUNEDÌ 17 MARZO 2014 ANNO 53 - N. 11
Milano, Via Solferino 28 - Tel. 02 62821
Roma, Piazza Venezia 5 - Tel. 06 688281
Segre, filologo geniale
Saggista e critico, aveva 85 anni
Di Stefano e Stajano alle pagine 28 e 29
Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano
Nuovi indirizzi
Un dominio Internet
per Milano e Roma
Oggi
su
Famiglie
di Edoardo Segantini
a pagina 26
CorrierEconomia
di Gino Pagliuca
nell’inserto
Guida al risparmio
per chi ha il mattone
RAGIONI E RISCHI DELLA ROTTURA RENZIANA
Il caso dell’acquisto dei 90 velivoli da guerra. Lupi: d’accordo se serve a ridurre le tasse
NON SI VIVE
DI BELLE PAROLE
Tagli sugli F35, il governo apre
di ANGELO PANEBIANCO
Renzi: sui caccia piano da rifare. Pinotti: chiudono 385 caserme
affermazione
del presidente
del Consiglio
secondo cui se a
maggio non ci
saranno i soldi in più promessi nelle buste paga per
effetto della manovra Irpef,
allora egli sarà da considerare un buffone, è sembrata
a molti la conferma di quanto azzardato sia il suo gioco
politico. Ma è forse possibile una diversa interpretazione: quella frase irrituale svela quale sia il vero punto di
forza di Renzi. Egli ha intercettato e correttamente interpretato un grande cambiamento (positivo) che si è
verificato negli atteggiamenti dell’opinione pubblica. Il fatto è che ormai non è
più possibile abbindolare
nessuno: nessuno si fida
più, non solo degli annunci,
ma nemmeno — finalmente! — delle decisioni formalmente e ufficialmente
prese da governi e Parlamenti. «Pagare moneta, vedere cammello» è ora l’atteggiamento dominante
nell’opinione pubblica.
Fino a poco tempo fa il sistema funzionava così: veniva annunciato un nuovo,
meraviglioso, provvedimento. I media, per lo più,
lo presentavano come cosa
già fatta. Dopo qualche tempo arrivava, se arrivava, la
decisione, con i crismi del
decreto legge o magari (ma
doveva passare molto più
tempo) con quelli della legge votata dal Parlamento in
pompa magna. Già lì c’era la
prima doccia fredda: gli addetti ai lavori scoprivano
che fra il provvedimento annunciato e quello varato
c’era un grande scarto. Ma
questa informazione arrivava attutita all’opinione pubblica. E la cosa non finiva lì.
Dopo, scattava il complicatissimo iter burocratico dell’attuazione durante il quale
il provvedimento veniva ulteriormente triturato e,
spesso, pervertito. Gli scopi
iniziali venivano sovente abbandonati e sostituiti tacitamente da altri. Alla fine del-
la fiera, e dopo parecchi mesi, i soliti addetti ai lavori
scoprivano che il provvedimento non aveva sortito alcun effetto oppure solo effetti negativi: niente che assomigliasse, neppure alla
lontana, alle meravigliose
novità a suo tempo annunciate. L’opinione pubblica,
ormai distratta da altro,
neppure veniva a saperlo.
Adesso, anche i sassi
sanno che non bisogna fidarsi: che non bisogna
guardare solo alle decisioni
che vengono prese ma
aspettare di vedere quale ne
sarà la attuazione, ciò che
conta davvero.
Perché questo cambiamento dell’atteggiamento
dell’opinione pubblica è positivo? Perché apre la possibilità di imporre anche in
Italia ciò che gli anglosassoni chiamano accountability: sei responsabile di ciò
che mi prometti e ti giudicherò non per le promesse
ma per i fatti che seguiranno, o non seguiranno, alle
promesse. E ciò, oltre alla
politica, potrebbe finalmente mettere sotto scopa
anche «l’infrastruttura amministrativa» (burocrazia e
giustizia amministrativa), il
cui malfunzionamento è il
male più grave da cui è afflitto il Paese. Accountability significa che l’epoca delle
furbizie volge forse al tramonto.
Certo, gli umori del Paese potrebbero cambiare di
nuovo. L’opinione pubblica
potrebbe tornare ad essere
ciò che è sempre stata: un
impasto di apatia, credulità
e voglia di ribellione, unite a
ignoranza e disinteresse per
i veri meccanismi che condizionano le scelte pubbliche. Ma è già tanto che la
«politica degli annunci»
non incanti più nessuno e
che, inoltre, si sia diffusa la
consapevolezza che ciò che
blocca il Paese sta nell’intreccio fra una politica impotente e una infrastruttura
amministrativa che opera al
servizio di se stessa.
CONTINUA A PAGINA 30
Nella domenica tra la prima visita ufficiale ad Hollande (sabato) e quella a Merkel
(oggi) il governo apre ai tagli agli F35. È la
ministra della Difesa Pinotti a ipotizzare revisioni nell’acquisto dei 90 aerei da guerra.
Renzi poi conferma e Ncd non si oppone.
Giannelli
Forze dell’ordine e vigili del fuoco
Spesa pubblica
DAL TURISMO
ALLA FORMAZIONE
TUTTE LE FOLLIE
DELLE REGIONI
di SERGIO RIZZO
ifiamo tutti perché le
barbatelle di Rauscedo,
Sicurezza, in due anni T
frazione del comune di San
Giorgio della Richinvelda
Provincia di Pordenone,
40 mila uomini in meno incontinuino
a spopolare fra i
DA PAGINA 8 A PAGINA 10 Breda, Nese, Piccolillo, Roncone
di FIORENZA SARZANINI
ggi a Berlino Renzi incontra Angela
Merkel. Così il premier si prepara a
superare il muro della diffidenza tedesca:
«La cancelliera rimarrà colpita dal nostro
lavoro. Non siamo asini da mettere dietro
la lavagna». Ma la chiave di volta del confronto ha la sigla Adf del partito anti-euro.
ei prossimi due anni le forze dell’ordine
più i vigili del fuoco perderanno
quarantamila uomini. Angelino Alfano
assicura che il piano di tagli è sostenibile e
che «si farà di tutto per garantire ai
cittadini la massima sicurezza». I
sindacati non sono così convinti e sono
pronti a lottare punto su punto
nell’incontro che avranno con il ministro
dell’Interno il 25 marzo. Il governo Renzi
ha chiesto al commissario Carlo Cottarelli
un taglio di 700 milioni di euro tra sedi da
chiudere e reparti da sopprimere.
viticoltori dell’Azerbaigian.
Fatto di cui va giustamente
orgogliosa Debora
Serracchiani, al punto da
averlo dichiarato non più
tardi di venerdì anche
all’Ansa. Solo non si
capisce perché la Regione
debba occuparsi delle
esportazioni di piante di
viti e di altri prodotti, e per
questo abbia dovuto
organizzare una missione a
Baku, capitale di quella
Repubblica caucasica.
A PAGINA 10
A PAGINA 9
CONTINUA A PAGINA 6
IL PREMIER A BERLINO:
SIAMO L’ITALIA, NON ASINI
N
di MARIA TERESA MELI
O
Quattro reti dal Parma, doppietta di Cassano
Oggi le sanzioni, l’Italia chiede misure temporanee
Un plebiscito in Crimea
per l’annessione alla Russia
L’Europa: il voto è illegale
LAPRESSE / SPADA
L’
9 771120 498008
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mail: [email protected]
Del lunedì
L’addio
40 3 1 7>
In Italia EURO 1,40
www.corriere.it
perde 4-2 a San Siro con il Parma,
Il Milan che affonda IdellalconMilan
due gol di Cassano, e si scatena l’assedio
Curva con slogan, insulti e accuse degli
Balotelli nel mirino, pochi applausi per
tra le contestazioni ultrà.
Seedorf. Evitato il blocco del pullman.
di MARIO SCONCERTI
SERVIZI, COMMENTI E PAGELLE DA PAGINA 35 A PAGINA 39
Il risultato è ben oltre le
attese. Nel referendum popolare la Crimea sceglie la
secessione dall’Ucraina per
unirsi alla Russia. Gli exitpoll indicano addirittura
un 93% di sì a Mosca. Il premier filo-russo ha confermato il dato e annunciato
che lunedì chiederà l’annessione alla Russia. Insorgono Europa e Usa definendo «illegale» il voto. Il segretario di Stato americano
John Kerry ha chiesto al ministro degli Esteri di Putin,
Lavrov, di smetterla «con le
provocazioni». Oggi potrebbero già scattare le sanzioni Ue, ma i 28 sono divisi
e l’Italia è tra i dialoganti,
chiede siano «non punitive
e temporanee».
DA PAGINA 2 A PAGINA 5
Battistini, Offeddu, Sarcina con
un articolo di Bernard-Henri Lévy
Milano Robledo al Csm contro Bruti Liberati: irregolarità nell’assegnazione dei casi
Il capo della Procura denunciato dal vice
di LUIGI FERRARELLA
N
ella Procura di Milano il vicecapo Robledo «denuncia» al Csm una serie di
«non più episodici comportamenti» con i
quali il capo Bruti Liberati «ha turbato e
turba la regolarità e la normale conduzione dell’ufficio», svuotando il pool anticorruzione. Come? A dire di Robledo, violando le regole di specializzazione e assegnando i fascicoli più delicati agli aggiunti Boccassini e Greco: da Ruby-Berlusconi
a Formigoni-San Raffaele e GamberaleSea, sino a una segreta nuova inchiesta di
tangenti che verrebbe danneggiata.
A PAGINA 21
Eraclea Minoa, in Sicilia
L’antico teatro
che si sbriciola
sotto un tetto
di vetroresina
di GIAN ANTONIO STELLA
A PAGINA 27
Conseguenze di un verdetto
Le regole infrante,
il diritto stracciato
Un effetto domino
di MASSIMO NAVA
U
n referendum sotto ricatto politico
e minacce d’invasione, che porterà
all’annessione di fatto della Crimea alla
Russia, è stato accostato all’Anschluss
degli austriaci nel 1938. Fu un
referendum di massa, piuttosto
entusiastico, come lo è oggi quello della
popolazione russofona della penisola.
Un’annessione senza precedenti dalla
Seconda Guerra Mondiale è un segnale
drammatico nel centenario della Prima.
Si spera con conseguenze meno
catastrofiche per la pace in Europa.
CONTINUA A PAGINA 30
2
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Primo Piano
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La crisi ucraina Il voto
Chiediamo alla Russia di riportare le sue forze armate ai numeri precrisi
José Barroso, presidente della Commissione europea e Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue
Crimea in festa: «Torniamo in Russia»
Oggi i colloqui per l’annessione
DAL NOSTRO INVIATO
Qualche minuto dopo
la chiusura dei seggi per
il referendum, la nuova
Repubblica indipendente
è proclamata col 95,5
per cento dei sì. Fuochi
d’artificio, concerti di
piazza e cortei di clacson
SINFEROPOLI — Risultato bulgaro,
indipendenza crimea, festa russa.
Hanno votato in urne di vetro. Senza
osservatori indipendenti. Coi soldati
di Putin che scrutavano invisibili.
Nessuno ha piegato le schede gialle: le
«V» e le croci, sulla casella che chiedeva se si voleva l’annessione alla Russia, erano lì sotto gli occhi di tutti.
Qualcuno, la preferenza, se l’è pure fotografata col telefonino. E le opposizioni sono rimaste a casa. E davanti a
molti seggi c’erano i miliziani dell’autodifesa popolare, quelli con la fascia
sul braccio e la scritta «Unione russa»,
oppure i sondaggisti russofoni, pagati
dal governo filorusso, che chiedevano
in russo a chi usciva che cos’avesse
votato. Non chiamatelo exit poll:
qualche minuto dopo la chiusura dei
seggi, la nuova Repubblica indipendente è proclamata col 95,5 per cento
dei sì. Partono i fuochi d’artificio, i
concerti di piazza, i cortei di clacson.
«Abbiamo preso più d’un milione di
voti su un milione e 250 mila votanti!», fa i conti eccitato Sergei Aksionov,
capo d’un governo imposto due settimane fa dall’occupazione militare del
Cremlino. Vodka e hola. Baci imbandierati nel tricolore biancorossoblù. Il
premier twitta felice: «È una svolta
storica! Grazie a tutti quelli che hanno
partecipato al referendum e hanno
fatto la loro scelta! Oggi abbiamo preso una decisione molto importante.
Che entrerà nella storia».
Dopo il voto I colori della bandiera nazionale russa sul volto di una ragazza in piazza Lenin a Sinferopoli, Crimea (Reuters)
La storia corre. Già oggi. La Rada di
Sinferopoli, all’unanimità e con l’eccezione dei soli tre deputati della minoranza tatara, voterà stamane in una
sessione straordinaria l’ingresso nella
Federazione russa. «Vogliamo andare
veloci — Aksionov dà la tabella di
marcia al suo Parlamento —, ma ri-
spettare tutte le procedure legali».
Dopo pranzo, lui e una delegazione
partono per Mosca: vedranno Putin,
gli chiederanno d’essere parte dell’impero. «Questo risultato è legittimo
— dice il leader del Cremlino in una
telefonata alla Merkel —, rispetta l’autodeterminazione dei popoli garantita
dall’articolo 1 della Carta Onu». E allora, avanti spediti: da aprile, annuncia
il vicepremier Rustam Temirgaliev, gli
stipendi e le pensioni saranno pagati
in rubli. Oggi, probabilmente, molte
banche resteranno chiuse per evitare
l’assalto di chi non si fida. Western
Union, da giorni, converte le rimesse
dall’estero in valuta russa. E nelle strade di Sinferopoli, compaiono grandi
poster rossi che citano operai sovietici
e la scritta Cccp: «Compagno, abbi cura dei tuoi soldi!».
Gli altri incassano. Male: «Una buffonata — dice il premier ucraino Arsenyi Yatsenyuk —, questo cosiddetto
referendum cui partecipano ventiduemila soldati russi, chiamati con le
loro armi a dimostrare la legittimità
della consultazione». «Una pagliacciata da circo e una tragedia», per il
leader tataro Rifat Chubarov. La sua
gente, il dodici per cento della Crimea,
ha boicottato le urne e bastava un giro
tra le urne di Sinferopoli, ieri mattina,
per capire che arie diverse tiravano: di
festa, con dolcetti e caffè e l’inno della
città, nelle affollate sezioni dei quartieri russi; tutti silenti, con pochi votanti e squadre di nerboruti filorussi
Alle urne
La popolazione
Ieri si è svolto
in Crimea il
referendum per la
secessione da Kiev.
I russi costituiscono
quasi il 60%
della popolazione
della penisola
I quesiti
La scheda elettorale
riportava due
quesiti. Il primo,
«Sostieni la
riunificazione della
Crimea con la
Russia?», prevedeva
l’annessione a
Mosca. Il secondo,
«Sostieni il ripristino
della Costituzione
della Repubblica
di Crimea del 1992
mantenendo lo
status della Crimea
come parte
dell’Ucraina?»,
si riferiva al
rafforzamento
dell’autonomia
sulla soglia, ai seggi vuoti dei rioni
musulmani. Le truppe in movimento
al confine, sabato, l’allarme sopra le
righe lanciato dal governo antirusso,
non tranquillizzano. Nemmeno le immagini dei treni che portano blindati
ucraini verso le zone russe, a 10 chilometri da Lugansk. O i 15 mila riservisti già pronti, selezionati soprattutto
fra i picchiatori scelti di Maidan. «Non
credo che ci sarà una guerra», dice il
ministro della Difesa di Kiev. «Magari
la guerra è lontana — commenta Chubarov —, ma la pace non è vicina».
Il botto crimeo fa l’eco dappertutto.
Rumoreggiano a Kharkiv e in seimila
si trovano intorno al mausoleo sovietico: «Referendum anche noi!». Le richieste sono il federalismo economico con la «sovranità linguistica». Anche a Donetsk tornano ad agitarsi: la
sede dei servizi segreti ucraini viene
presa d’assalto, la terza volta in pochi
giorni. «È la nostra primavera!», si
balla in piazza Nahimov, cuore della
Crimea, anche se l’aria è gelida e nei
cannoni non promette fiori: «Sebastopoli capitale!», il grido della nuova
battaglia. Nella piazza Lenin di Sinferopoli, si tira l’alba. Coi cosacchi e i
Pink Floyd. Gli abbracci facili e le schitarrate dei Nirvana. I canti folk e le
ballate strette. La storia è ancora tutta
da scrivere. Le prime parole, un laser
verde sulla facciata d’un palazzo: «Noi
siamo Russia!».
Francesco Battistini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Celebrazione Show in italiano sul palco a Sebastopoli
E Fogli canta: «Grazie Mosca!»
DAL NOSTRO INVIATO
SINFEROPOLI — «Spasibo! Grazie, Russia! Grazie, Crimea!». Non è
una storia di tutti i giorni, un’annessione. E alle 7 di sera nella festa sul
palco di Sebastopoli, a pochi metri
dalle navi della Flotta di Putin, discretamente guardato dai 22 mila soldati
russi che hanno invaso la penisola,
assieme ad altre star locali sale a cantare una voce italiana: Riccardo Fogli.
«È una grande festa di popolo!», dice,
circondato da quattro musicisti, acclamato da migliaia di russi e da bandiere che festeggiano la vittoria del
referendum. Ha mezz’ora di canzoni:
«Malinconia», «Per Lucia», «Compagnia», i sempreverdi «Piccola Ketty» e
«Storie di tutti i giorni»… La piazza
l’accompagna in italiano, acclama «La
Crimea è Russia!», agita cartelli «No
alla Nato!» e «Via i fascisti da Kiev!».
Fogli s’emoziona: «C’è un bellissimo
Performance
Riccardo Fogli si è esibito per mezz’ora ieri
in Crimea, cantando
«Malinconia», «Per Lucia», «Piccola Ketty»
sapore di festa. Di serenità. Gente che
salta. Io non ho visto cannoni e carri
armati, solo una folla felice…». Perché gli altri, forse, si sono nascosti…
«Non mi fate entrare in discorsi che
non conosco. Il sapore politico della
cosa, non lo sento. Io vedo bandiere
russe e ucraine insieme. Sembra di
stare a piazza San Giovanni il Primo
maggio, o in un concerto in piazza del
Duomo…». L’ex Pooh è dal 4 marzo in
tournée per la Russia: «Venerdì, mi
hanno contattato chiedendomi di venire a cantare. Mi hanno messo a disposizione un charter privato alle 4
del mattino. Sono atterrato in Crimea,
ho cantato, ora riparto per Mosca».
Gli hanno messo in mano un foglietto, c’era qualcosa in russo da dire sul
palco: «Non sono portato per le lingue. So solo che per me è stato un
grande onore, venire qui».
F. Bat.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
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Primo Piano
La situazione è drammatica, il diritto internazionale va difeso
Matteo Renzi, presidente del Consiglio
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3
Allargare la presenza Osce nelle zone critiche dell’Est del Paese
Angela Merkel, cancelliera tedesca
Diplomazia Verso il vertice dei ministri degli Esteri
Partono le sanzioni Ue
Ma i 28 restano divisi
Roma cerca il dialogo
Putin a Obama: il referendum è legale
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES — Il voto appena
espresso in Crimea, sotto l’occhio
dei soldati russi, non sarà riconosciuto dall’Unione Europea, né dagli Stati Uniti. Le urne non erano
ancora chiuse, ieri, che già Bruxelles e Washington bollavano il referendum come «illegale» secondo le
norme internazionali. E preannunciavano per oggi, alla riunione dei
ministri degli Esteri Ue già convocata a Bruxelles, l’ufficializzazione
delle attese sanzioni diplomatiche
ed economiche. Sulle quali, però, si
manifesta qualche differenza: Paesi
come l’Italia chiedono misure «non
punitive e temporanee», mentre
Gran Bretagna e Germania spingono per un messaggio più duro.
La situazione in Ucraina «è molto drammatica e grave — dice il
premier Matteo Renzi —. Stiamo
Coinvolgimento
Il ministro Mogherini
punta a coinvolgere la
Russia in un Gruppo di
contatto internazionale
Ombre russe Il presidente Vladimir Putin, 61 anni, ieri alla cerimonia di chiusura dei Giochi paralimpici di Sochi (Ap)
lavorando insieme a Francia, Germania e Gran Bretagna perché si
possa dare il messaggio che il diritto internazionale è difeso e salvaguardato». Il ministro italiano degli
Esteri Federica Mogherini dichiara
che «c’è ancora spazio per fermare
la crisi. Tutti i canali diplomatici restano aperti, compreso il lavoro per
la missione Osce (Organizzazione
per la sicurezza e la cooperazione in
Europa, ndr) in Ucraina. Ma a patto
che la Russia non annetta la
Crimea». Quest’ultimo è però un
auspicio che potrebbe essere stato
cancellato già nella notte. Né sono
finiti i timori per l’Ucraina sudorientale: la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo un colloquio con
Vladimir Putin, ha chiesto all’Osce
di inviare più osservatori in quelle
regioni. Le voci si incrociano, la
scacchiera politica è velata di nebbia. E tutto ciò si riflette nelle parole prudenti di José Manuel Barroso,
presidente della Commissione europea, e di Herman Van Rompuy,
presidente del Consiglio europeo:
«Valuteremo la situazione... Chiediamo alla Russia di riportare le sue
forze armate ai numeri precrisi». E
il referendum è stato «illegale» anche per Martin Schulz, il presidente
del Parlamento europeo.
Così si presenta il fronte dell’Occidente, in uno dei momenti più tesi della storia europea. Ma ciò che
appare, non è sempre ciò che è. Per
esempio fra Usa e Russia, al di là dei
moniti reciproci, è già partita una
mediazione: il segretario di Stato
americano John Kerry e il ministro
degli Esteri russo Sergei Lavrov si
sono accordati per lavorare insieme a una riforma costituzionale in
Ucraina, ovviamente al fianco del
governo di Kiev. Ieri in un colloquio
telefonico con Obama, Putin ha ribadito che il referendum in Crimea
rispetta il diritto internazionale: i
due leader concordano comunque
sulla necessità di stabilizzare la situazione.
I comandi degli eserciti ucraino
e russo hanno firmato una tregua
locale fino al 21 marzo nei punti
dove la tensione è più alta. Ma anche sulle sanzioni, come si diceva,
l’apparenza è ben diversa dalla sostanza: la Ue è divisa come sempre,
non unita come proclama di essere.
Conta anche il peso di certi vincoli
storici: «Con alcune altre nazioni
della Ue siamo fra i meno interessati alle sanzioni», ha dichiarato ieri
Plamen Oresharski, premier della
Bulgaria, Paese «fratello» di Mosca
per la comune confessione cristiano-ortodossa, o per l’alfabeto cirillico. Il governo italiano chiede invece che le misure Ue siano «preventive e non punitive e proprio
per questo graduali, reversibili e
temporanee». Secondo fonti ufficiose, oggi a Bruxelles il ministro
Mogherini premerà perché la Ue
continui il dialogo con la Russia,
anche coinvolgendola in un Gruppo di contatto internazionale. La
responsabile della Farnesina avrà
anche una colazione di lavoro con il
commissario all’Energia, Günther
Oettinger, durante la quale «rimarcherà il bisogno di un maggior coordinamento fra politica energetica
e politica estera dei Ventotto».
Luigi Offeddu
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L’attesa delle truppe Fino a venerdì le forze armate hanno l’ordine di non lasciare le postazioni. «Obbediremo fino alla fine»
Fagioli e alzabandiera
Nella base dei soldati
che restano con Kiev
«Siamo circondati»
DAL NOSTRO INVIATO
SINFEROPOLI — Sfoglie al formaggio, fagioli, una bottiglia di Fanta. Davanti alla caserma della Marina
ucraina, viale Karl Marx, due donne
silenziose aspettano sul marciapiede. Hanno tre sacchetti del super
con la roba da mangiare. «L’abbiamo
preparata per i nostri mariti...». I
soldati russi fanno segno di fermarsi: sono loro a decidere. Il comandante ucraino della base, Igor Men-
chur, esce dalla porta di ferro: «Ho
detto ai miei uomini che oggi possono entrare le loro donne, per stare
un po’ con loro. Il morale non è molto alto...». La radio gracchia, i russi
chiedono altrove che fare. Dieci minuti. Nessuna risposta. «Che problema c’è? Le avete sempre lasciate passare!...», s’innervosisce il colonnello
Menchur.
Il problema è una scheda telefonica che Olga, la bionda, ha comprato
per il suo Igor, caporal maggiore
della Cinquantaduesima: «È qui
dentro da due settimane. Potrà parlare almeno coi figli...». I nuovi padroni hanno ordini severi: aspettare... Finalmente, una chiamata.
Un’occhiata alle sporte. Il cenno con
la mano. Va bene, passate.
Una risposta è già qualcosa. L’otto
settembre delle forze armate ucraine
è un 17 marzo di domande a vuoto.
Una marcia di Radetzky ai confini
d’uno Stato che si sfalda. Oggi, tutta
questa è Crimea indipendente. Un
pezzo di Russia. E nessuno sa che
cosa fare coi soldatini che Kiev ha lasciato alla periferia meridionale,
isolati nella penisola, tanti Joseph
Von Trotta senza futuro. «Per noi
non cambia nulla»: il colonnello
Menchur si sforza d’esserne certo,
«ogni giorno facciamo il nostro alzabandiera e ci ricordiamo del giuramento». Nessuno dei 120 uomini
della base è andato a votare per il referendum: «Ho detto che c’era libertà di farlo. Mi hanno risposto che i
soldati non decidono la loro divisa
con una scheda elettorale».
A Feodosia, base navale, i russi
stanno minando i dintorni del Primo Battaglione. A Belbek, l’aeroporto militare di Sebastopoli, le pistole
stanno sui sacchi di sabbia. Venerdì,
la Duma russa voterà l’annessione
della Crimea e il governo di Kiev approverà l’adesione alla Ue: che ne sarà dei soldatini? «Fino a venerdì —
dice marziale il ministro della Difesa
ucraino —, le nostre forze armate
hanno l’ordine di non lasciare la
Crimea e di non uscire dalle loro basi». Che cosa significhi, al colonnello non è molto chiaro: «Non usciamo, certo. Per andare dove? Abbia-
120
I soldati
nella base di Sinferopoli
in Crimea: nessuno di loro
ieri ha votato nel referendum
sulla secessione da Kiev
mo paura che la situazione esploda
da un momento all’altro. Ho la responsabilità della vita dei miei uomini. Ogni decisione sarà difficile...».
Si contratta. Il premier crimeo
Sergei Aksionov dice che ci sono poche scelte: togliersi le mostrine e andarsene in Ucraina, oppure passare
ai russi. Fosse facile. A Sebastopoli,
ci sono famiglie come quella dei fratelli Shevchenko, Andry e Yacub, divise dalla divisa: Andry lavora da
sempre per la Flotta russa del Mar
Nero, e guadagna bene; Yacub è un
impiegato civile della Marina ucraina, nella base di fianco, e fatica coi
tre figli. Chi va con chi? «Io non lo so
se questa è già Russia — il colonnello Menchur risponde guardandosi le
scarpe —, sono solo un soldato, non
un politico...». Riconosce il risultato
del referendum? «No». E se vi dicono di non arrendervi mai? «Che la
gente ci aiuti. Siamo soli. Siamo circondati».
F. Bat.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Osservatori
I tre italiani
ospiti dei russi
«Tutto
trasparente»
DAL NOSTRO INVIATO
SINFEROPOLI — Tutto
trasparente. Come le urne
di vetro. «È stata una
tranquilla giornata
elettorale, molto meglio di
certe che ho visto in
Italia», dice entusiasta
l’europarlamentare
berlusconiano Fabrizio
Bertot. «La situazione è
molto più serena di come
viene descritta dai mass
media occidentali», è
sicuro il deputato della
Lega, Claudio D’Amico.
«Questa è una giornata di
vera democrazia», ne è
certo l’esponente torinese
della Fiamma tricolore,
Valerio Cignetti. Ospiti
spesati dell’Eurasian
Observatory for
Democracy and Elections,
un’organizzazione
ultraputiniana, tre politici
italiani hanno fatto da
osservatori del voto.
Senz’alcun turbamento
per l’occupazione militare:
«Ho parlato con gli italiani
di Crimea — è convinto
Bertot, già sindaco d’un
Comune sciolto per
‘ndrangheta —, mi hanno
detto d’essere tranquilli e
liberi di scegliere l’opzione
che preferiscono». È qui
per l’amicizia di
Berlusconi con Putin? «Ma
no: il Cavaliere non sa
nemmeno che sono
venuto…». «Non capisco il
perché di tanta agitazione
—aggiunge Cignetti — ci
è sembrato tutto
calmissimo». Ricevuti
dalle autorità crimee, i tre
non hanno incontrato gli
esponenti
dell’opposizione che
hanno boicottato il voto.
Con altri 70 osservatori di
23 Paesi, dalla Cina alla
Mongolia, hanno visitato
qualche seggio di quelli
sulla lista «consigliata»
anche ai giornalisti. «Io
non ho visto in giro
soldati — dice il leghista
D’Amico — e posso
parlare, perché ho una
lunga esperienza
d’osservatore. Ho seguito
il voto in Paesi complicati
come il Tagikistan. Ho
controllato per ben due
volte le elezioni di Obama.
E se mi permettete, un
voto in America è una cosa
un po’ più complessa d’un
referendum in Crimea».
F. Bat.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Primo Piano
» Approfondimenti
La posta in gioco
Turismo, basi militari e vie dell’energia
Quei «tesori» che fanno gola allo Zar
Le potenzialità della penisola e i progetti per la Russia di domani
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV — Da sola la Crimea non ci può
stare. Non ci sono sorgenti di acqua potabile, né centrali elettriche. Se il governo di Kiev decidesse di interrompere le
forniture di gas, tre famiglie su quattro
resterebbero al freddo e non potrebbero cucinare. La penisola di Yalta e Sebastopoli dipende dal resto del Paese. Esiste anche una cifra che il ministero delle Finanze del nuovo governo ucraino
usa come strumento di propaganda:
794 milioni di euro. Sono i soldi che
ogni anno la capitale passa alla Repubblica per ripianare il bilancio. Spiccioli
per Vladimir Putin? Forse no, visto che
il bilancio russo è già in deficit per 6,5
miliardi di euro. O forse sì, proprio perché quel miliardo scarso di spese ulteriori garantirebbe al Cremlino il pieno
controllo della penisola. Putin non
pensa ai 6 milioni di turisti all’anno (su
una popolazione di 2 milioni) e neanche ai vini pregiati di Yalta. Cose che
scaldano il cuore e rendono il 60% della
ricchezza prodotta dal sistema locale.
Ma sono attività che bastano a mala pena per sopravvivere, risorse poco nutrienti: il reddito pro capite di un cittadino della Repubblica separatista è pari
al 66% della media ucraina e all’80% di
quella russa.
In realtà è inutile cercare un qualche
tesoro nascosto nei dati e nelle statistiche ufficiali. Non è certo per qualche filiera agroalimentare o per l’industria
della villeggiatura che dal Cremlino è
arrivato l’ordine di mostrare i kalashnikov. L’importanza della Crimea è legata alla sua posizione. In gioco non ci
sono gli interessi della Russia di oggi,
ma quelli di domani. Militari, innanzitutto. La base navale di Sebastopoli potrebbe essere potenziata fino a diventare l’avamposto russo più avanzato nel
fianco orientale della Nato. Sul Mar Nero si affacciano diversi partner dell’Alleanza atlantica: Romania, Bulgaria e,
5
Una nave russa
vista dal porto
di Sebastopoli
Abitanti
Pil
La Crimea finora è stata dipendente da Kiev per:
90%
80%
4,3 miliardi
di dollari
60%
70%
del bilancio
pubblico
La produzione di gas
I volumi sono ancora poco
significativi, ma le potenzialità
hanno suscitato l’attenzione
delle multinazionali
2 milioni
Dall’Ucraina
soprattutto, Turchia. Altri analisti suggeriscono di seguire la scia del petrolio.
Al largo delle coste assolate, sono già
attivi campi offshore per la produzione
di gas. I volumi sono ancora poco significativi, ma la potenzialità ha suscitato l’attenzione delle multinazionali,
come le americane ExxonMobil e Chevron, l’olandese Royal Dutch Shell e
persino la Petrochina. Forse alla fine le
esplorazioni non daranno risultati apprezzabili. Ma può anche darsi il contrario e allora il ruolo di grande esportatore della Russia potrebbe uscirne ridimensionato. A meno che le compagnie straniere non si trovino
all’improvviso, grazie al referendum e
ai soldati camuffati, a trattare con Mosca e non più con Kiev. Quanto vale in
termini economici questa scommessa?
Impossibile azzardare dei numeri, ma
certo vale tanto. Come pure potrebbe
contare un’altra ipotesi, avanzata nei
giorni scorsi dalla stampa inglese. Pu-
Salario medio
290
dell’acqua dell’elettricità dei beni primari
dollari
Il ponte
al mese
4,5 chilometri
il ponte previsto
sullo stretto di Kerch
cruciale per i trasporti
Deficit pubblico
1 miliardo
di dollari
Flotta del
Mar Nero
98 milioni di dollari
C RIMEA
l’affitto annuo pagato
finora dalla Russia per
la sua base navale
Sinferopoli
351
milioni
di dollari
Mar Nero
Sebastopoli
Yalta
di presenze
ogni anno
Gli investimenti diretti
di Mosca nel 2013
Gli investimenti diretti
russi previsti nei
prossimi 5 anni
7 milioni di tonnellate 1 miliardo di dollari
Turismo
6 milioni
5
miliardi
di dollari
Petrolio e gas
Dalla
Russia
Ucraini
Russi
Altri
70%
25%
5%
la produzione annuale
potenziale dei campi
offshore di gas
il valore dell’accordo in sospeso
con ExxonMobil e Royal Dutch Shell per
l’estrazione offshore di petrolio
tin starebbe addirittura meditando di
deviare il percorso del nuovo oleodotto
South Stream, facendolo passare attraverso la Crimea e l’Ucraina sud occidentale, anziché nella profondità del
Mar Nero e da qui alla Bulgaria. Risparmio stimato: più di 14 miliardi di euro.
Tutte queste spinte, queste ambizioni
potrebbero trasformarsi in progetti di
sviluppo multilaterali, con profitto per
i diversi Paesi. In fondo i rapporti tra
Russia, Ucraina ed Europa si sono retti
su uno schema di mutualità che ha
funzionato per 23 anni, a cominciare
naturalmente dall’energia. Putin pensa
che questo meccanismo si sia rotto con
la rivoluzione di Maidan e con la cacciata del suo sodale e garante Viktor
Yanukovich. Ora cerca una rivincita anche economica in Crimea.
Giuseppe Sarcina
[email protected]
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Nella Storia L’appartenenza all’Ucraina non minaccia la libertà del popolo: l’Europa deve difenderne le frontiere anziché favorire i nazionalismi
IL PARAGONE INGANNEVOLE CON IL KOSOVO E LA BOSNIA
Schierare i soldati è un modo curioso
per preparare l’autodeterminazione
di BERNARD-HENRI LÉVY
S
ulla crisi ucraina e sul rapimento
della Crimea al quale stiamo assistendo, sul referendum grottesco che Putin ci impone e al quale
l’Europa assiste quasi senza dire una
parola, si sentono due argomenti
molto strani che è urgente smontare.
1. Perché gli abitanti della Crimea
non avrebbero il diritto, dopotutto,
di decidere della propria sorte? E se
per la lingua si sentono «fratelli» del
popolo russo, se sentono di avere
maggiori affinità con il Paese di Putin
che con quello di Robert Schumann e
di Vaclav Havel, in nome di che cosa
dovremmo opporci?
2.La Bosnia... Il Kosovo... Non sono
due casi recenti di autodeterminazione riconosciuti dalla comunità internazionale? E le stesse persone che,
a cominciare dal sottoscritto, sostennero vent’anni fa il diritto dei bosniaci e dei kosovari di prendere in mano
il loro destino, come possono oggi
negarlo alla Crimea?
Al primo argomento si può obiettare che l’aver invaso un territorio al
quale si chiede allo stesso tempo di
pronunciarsi sul suo futuro, l’avervi
schierato 30.000 soldati, l’aver accerchiato le sue caserme e terrorizzato le
sue popolazioni è un modo curioso
di preparare l’autodeterminazione. Si
può obiettare ancora che organizzare
un referendum è un’operazione
complessa che presuppone una logistica, seggi, liste elettorali degne di
questo nome, eventualmente osservatori e, comunque, una campagna
elettorale; e che pretendere di preparare tutto in otto giorni, sotto l’autorità di un governo fantoccio, e con la
violenza, appare, nel migliore dei casi, come una farsa e, nel peggiore, come un atto di forza. Si può obiettare
infine che, anche senza atti di forza,
anche senza truppe di occupazione e
anche se si fosse trovato il tempo di
organizzare una campagna elettorale
e un dibattito, simile referendum
avrebbe, se l’Europa lo approvasse,
conseguenze apocalittiche: cosa risponderemmo se, forti di questo pre-
cedente, i baschi spagnoli e francesi
reclamassero la loro unificazione? Se
gli ungheresi della Transilvania, gli
albanesi della Macedonia, i turchi
della Bulgaria, i russofoni dei Paesi
baltici, i fiamminghi del Belgio invocassero tale esempio per chiedere,
anche loro, di cambiar Paese?
Sorvoliamo, anche se su temi di
non minore importanza. Infatti, il
nazionalismo linguistico è il più subdolo di tutti. E’ un nazionalismo non
civico, fondato sui cattivi demoni del
differenzialismo. E senza bisogno di
citare i sudeti, ricongiunti alla Germania sulla base di questo stesso nazionalismo linguistico poco prima
che Hitler invadesse la Cecoslovacchia, è chiaro che cedere a Putin sulla
Crimea significherebbe provocare
un’onda d’urto: nessuna frontiera, in
Europa, sarebbe più né sicura né riconosciuta, e si guasterebbe, a poco a
poco, l’equilibrio del continente.
Ex Jugoslavia
Nel caso della
Bosnia, la sfida
fu di impedire
la secessione
dei serbi della
Repubblica
Srpska
Pristina
Solo dopo un
decennio di
pulizia etnica, è
arrivato
l’appoggio alla
causa
indipendentista
Onda d’urto
Cedere sulla
Crimea
provocherebbe
un’onda d’urto:
nessuna
frontiera
sarebbe sicura
Nel 2008 Festeggiamenti a Pristina per l’indipendenza del Kosovo (Afp)
Quanto al secondo argomento, esso è ancora più assurdo; e sulla bocca
di osservatori e commentatori in
buona fede tanto più inaccettabile.
Tralasciamo il caso della Bosnia, che
non capisco come possa essere citato
poiché, superato il big bang che in
tutta Europa, e quindi anche in Jugoslavia, fu il crollo del comunismo, la
sfida fu, ed è ancora, di impedire
quello che ci chiedono di avallare in
Crimea: la secessione dei serbi della
Repubblica Srpska e il loro ricongiungimento al «grande fratello» annessionista serbo.
Nel Kosovo, invece, è vero che coloro che sostengono di essere oggi
contrari all’atto di forza russo e favorevoli all’integrità dell’Ucraina sono
gli stessi che accettarono, o addirittura incoraggiarono, la volontà di indipendenza di Pristina: ma come si
può osare a fare un paragone fra le
due situazioni? Come si può ignorare
che la comunità internazionale si è
congiunta alla causa indipendentista
kosovara solo dopo un decennio di
pulizia etnica, di massacri di civili su
grande scala e dopo la deportazione
di circa 800.000 donne e uomini il cui
unico crimine era di esser nati musulmani? In altri termini, quale legame esiste fra un Milosevic che, al momento della sua morte, era passibile
delle condanne riservate dal Tribunale penale internazionale dell’Aja ai
criminali contro l’umanità, e i dirigenti di una nuova Ucraina i cui soldati, in magnifiche immagini che
hanno fatto il giro del mondo, sfidano a mani nude, pacificamente, la
soldatesca armata fino ai denti che
sbarcava a Sebastopoli?
Per noi, europei della libera Europa, l’elemento discriminante è chiaro. E intima di schierarsi non, naturalmente, in favore di un nazionalismo contro un nazionalismo concorrente ma, ancora una volta, e
semplicemente, in favore del diritto
dei popoli a non essere massacrati e
contro quello dei despoti di massacrare sovranamente il loro popolo.
Delle due l’una. O il pericolo esiste.
Che dico? Il massacro è già iniziato. Si
è già cominciato, come nel Kosovo, a
mutilare, decapitare o giustiziare con
una pallottola nella nuca gli abitanti
di interi villaggi. E allora sì, abbiamo
buone ragioni per intervenire al fine
di fermare la carneficina.
Oppure il pericolo non esiste. L’appartenenza dei fiamminghi al Belgio
o del popolo della Crimea all’Ucraina
non minaccia per nulla la loro integrità fisica e la loro libertà. Meglio
ancora: è lasciando il girone ucraino
che alcuni abitanti della Crimea —
penso innanzitutto ai tatari — rischiano, secondo l’elegante formula
del Presidente russo, di essere «inseguiti fin nei cessi». Il nostro dovere, e
al tempo stesso il nostro interesse,
sarebbe stato di fare qualsiasi cosa, al
contrario, per badare al rispetto delle
frontiere che avrebbero garantito, allora, il diritto della gente.
Sì alla protezione dei popoli. No al
progetto imperialista putiniano di
dare fuoco alla casa Europa.
(Traduzione di Daniela Maggioni)
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Primo Piano
I costi della politica
IL PIANO PER FERMARE
LE SPESE (FOLLI)
DELLE NOSTRE REGIONI
Nel disegno di legge tagli ai gruppi consiliari
e uno stop alle ambasciate estere «locali»
SEGUE DALLA PRIMA
Una missione con tanto di incontro ufficiale
fra la governatrice del Friuli–Venezia Giulia e il
presidente azerbagiano Ilham Aliyev. Un dubbio,
è certo, non condiviso da chi crede invece che il
commercio estero con i suoi singolari risvolti diplomatici debba rientrare a pieno titolo fra le
competenze regionali.
Qualche caso? Tre mesi fa il governatore del
Piemonte Roberto Cota era in Giappone con una
delegazione del Ceip: Centro estero per l’internazionalizzazione, testuale. Una organizzazione regionale che ha il compito, udite, di «rafforzare il
Made in Piemonte nel mondo». Made in Piemonte? E che dire allora del progetto «Made in
Lombardy», finanziato dalla Regione Lombardia
tramite la sua Finlombarda? E del Centro estero
Umbria, struttura creata nel 2009 dalla Regione
per promuovere l’internazionalizzazione delle
imprese umbre?
Perché se la mania regionale di farsi ognuna la
propria politica estera con tanto di ambasciate e
consolati è precedente alla famosa modifica del
titolo V della Costituzione, che ha ampliato in
modo sconsiderato le competenze delle Regioni,
è proprio da allora che la situazione è degenerata. Con un inutile e talvolta indecente spreco di
risorse ed energie umane. Riportare fra le competenze esclusive dello Stato il commercio con
Cosa può cambiare
La riforma porterebbe a Roma scelte
su turismo, tutela e sicurezza sul lavoro,
energia, reti di trasporto e norme
generali su territorio e urbanistica
l’estero, come prevede il disegno di legge costituzionale di Matteo Renzi pubblicato da qualche
giorno sul sito del governo, era dunque il minimo sindacale. Speriamo quindi di non vedere
mai più Regioni come la Campania spendere 1,4
milioni di dollari l’anno per affittare un lussuoso
appartamento a New York dove organizzare conferenze rigorosamente in lingua italiana. Né di
dover leggere comunicati stampa tipo quello diffuso un paio d’anni fa dopo una missione a Giacarta del vicepresidente del Consiglio regionale
del Lazio Raffaele D’Ambrosio: «Nel corso della
visita è stato ricevuto dal sultano di Ternate
Muddaffar Sjiah e da altre autorità del luogo. Il
vicepresidente ha incontrato anche il maraja Raja
Agung e al termine della sua visita è stato ricevuto dal viceambasciatore Mario Alberto Bartoli
con il quale si è intrattenuto a colloquio». Speriamo, certo.
Come speriamo di assistere finalmente a un
cambio di passo nella promozione turistica, dopo che la stessa riforma renziana del titolo V avrà
fatto tornare sotto il cappello unico dello Stato
(articolo 117 lettera z) anche la «programmazione strategica del turismo». Perché è un fatto che
nel periodo 2009-2011 secondo Confartigianato
le Regioni spendevano mediamente 939 milioni
l’anno (!) per la promozione e l’Italia scivolava al
quinto posto nella graduatoria mondiale per presenze estere, al sesto per fatturato e addirittura al
ventiseiesimo per competitività. Un Paese che
potrebbe in gran parte vivere di turismo ne ricava, dice il World Travel & Tourism Council, solo il
4,1% del Prodotto interno lordo. E stendiamo un
velo pietoso sul Mezzogiorno, che nel 2012 ha incassato in tutto solo 4 dei 32 miliardi arrivati in
Italia grazie ai visitatori esteri. Una vergognosa
miseria.
Ancora. Se passerà la riforma di Renzi, non solo torneranno di esclusiva competenza statale
«l’ordinamento delle professioni intellettuali» e
«della comunicazione», la «tutela e la sicurezza
del lavoro», l’energia, le grandi reti di trasporto,
come pure i «porti e gli aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale» (e ci mancherebbe
altro...), ma anche «le norme generali sul gover-
no del territorio e l’urbanistica». Il che, per dirne
una, potrebbe rimuovere gli ostacoli sorti all’approvazione di una legge per limitare finalmente il
consumo del suolo. Secondo Legambiente circa
l’8 per cento della superficie italiana, un’area più
grande della Toscana, non è più naturale. E grazie a piani regolatori e interventi di pianificazione regionali assurdi la cementificazione ha inferto danni gravissimi al territorio. Con costi economici e umani incalcolabili a causa del dissesto
idrogeologico.
Il nuovo articolo 122 della Costituzione decreterebbe poi il divieto di versare contributi pubblici ai gruppi politici dei consigli regionali. Per
capirci, questo renderebbe impossibile il ripetersi di casi come quelli di Franco «Batman» Fiorito
e di altri scandali che hanno investito gran parte
delle Regioni, fra mutande verdi, attrezzi erotici e
pasti a base di ostriche e champagne pagati dai
contribuenti. Nel solo 2012, dice un’analisi di
Roberto Perotti pubblicata da lavoce.info, i gruppi consiliari hanno inghiottito 95,6 milioni di euro, 28 mila euro a consigliere in più rispetto a
quanto incassato dai gruppi parlamentari della
Camera.
La stessa norma conterrebbe quindi il principio che spetta allo Stato fissare gli stipendi degli
organi regionali, mai in ogni caso superiori a
quelli dei sindaci dei comuni capoluogo della Re-
Il personale assunto
VALLE D’AOSTA
3.801
29,6
DIRIGENTI
E NON
LOMBARDIA
PROV. AUT. BOLZANO
3.321
4.332
0,3
8,5
2.707
PIEMONTE
3.195
0,7
1.090
DIPENDENTI
PER 1.000 ABITANTI
PROV. AUT. TRENTO
4.777
9
259
DIFFERENZA
(in eccesso)
FRIULI V. GIULIA
3.167
2,6
137
EMILIA ROMAGNA
3.074
0,7
981
LIGURIA
1.123
0,7
VENETO
2.941
0,6
609
MARCHE
1.454
0,9
367
ABRUZZO
1.511
1,1
579
UMBRIA
1.392
1,5
762
TOSCANA
2.698
0,7
927
I VIRTUOSI
SARDEGNA
MOLISE
902
2,8
680
LAZIO
4.108
3.460
2,5
0,6
754
CAMPANIA
PUGLIA
7.501
3.191
1,3
0,8
4.746
1.259
TOTALE REGIONI
78.679
1,3
24.396
SICILIA
19.165
3,8
6.780
Fonte: Ufficio studi Confartigianato
gione. Senza però intaccare le prerogative interne del personale dei consigli regionali, che grazie
all’autonomia riconosciuta alle Regioni continua
a sfuggire a limiti, tetti e regole imposte centralmente. Valga per tutti il caso Sicilia, dove il governatore Rosario Crocetta ha denunciato scandalizzato che lo stipendio del segretario generale
dell’Assemblea regionale sarebbe di 600 mila euro l’anno. Per non parlare delle altre spese amministrative che contribuiscono a fare dell’Ars un
CALABRIA
2.581
1,3
1.184
BASILICATA
985
1,7
577
D’ARCO
La promozione
Dalle barbatelle a Baku
alla visita al maraja: usati
in media 939 milioni
all’anno in «promozione»
organo politico più costoso del Senato della Repubblica in rapporto ai suoi onorevoli. Quasi 1,8
milioni per ciascuno di loro. Totale: 160 milioni.
Vero è che la lettera g) dell’articolo 117 della
Costituzione nella nuova formulazione affida allo Stato la «disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». E
questo potrebbe aprire qualche spiraglio, non
solo per l’uniformità di certi trattamenti ma anche per la riorganizzazione degli apparati, considerando che secondo la Confartigianato nelle
Regioni italiane un dipendente su tre sarebbe di
troppo. Con esuberi astronomici al Sud: 4.746 in
Campania e 6.780 in Sicilia. E costi allucinanti: in
Molise i dipendenti regionali pesano per 178 euro su ogni molisano, contro 23 euro in Lombardia.
Ma la modifica dall’impatto potenzialmente
più devastante è quella prevista ancora dall’articolo 117, che esplicita come competenza esclusiva statale il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Quanto accaduto
in questi anni di pseudoriforme, l’ha spiegato
bene dieci giorni fa il presidente della Corte dei
conti Raffaele Squitieri in un’audizione parlamentare. Raccontando che se in un ventennio la
pressione fiscale è salita dal 38 al 44 per cento, la
responsabilità è del balzo delle imposte locali
cresciute del 130 per cento, mentre anche le tasse
centrali, in barba al decentramento dei poteri
sempre più spinto dal 2001, continuavano inesorabilmente ad aumentare. Per non parlare dell’esplosione delle società controllate dagli enti
locali, ormai più di 7 mila, che hanno mandato in
orbita i costi. E del fatto che i bilanci tutti diversi
delle amministrazioni periferiche hanno prodotto un disordine contabile assurdo, vanificando i
controlli. La vicenda micidiale degli arretrati nei
pagamenti alle imprese ha le sue radici anche in
questo caos.
C’è chi forse da Renzi si sarebbe aspettato ancora di più. Il governatore della Campania Stefano Caldoro, per esempio, non si stanca di ripetere che per lui le Regioni andrebbero abolite. E
non è certo il solo a pensarla così. Ci sono poi un
paio di cosucce in questo progetto di riforma costituzionale, che fra l’altro stabilisce una volta
per tutte l’abolizione delle Province, le quali non
convincono fino in fondo. Per esempio si ribadisce che la sanità è di competenza regionale: anche se è ormai chiaro che proprio quella è la nota
dolente, e forse sarebbe arrivato il momento di
riconoscere che la regionalizzazione decisa 35
anni fa non ha funzionato. Come stanno a dimostrare i dati sulla qualità del servizio sanitario,
diversissimi da Regione a Regione. Inoltre, il disegno di legge riconosce alle Regioni la «salvaguardia» dell’interesse regionale in tema di formazione professionale. Un autentico buco nero,
in particolare al Sud, dove si traduce quasi sempre in un grande business solo per i formatori. In
un decennio la Regione siciliana ha speso per la
formazione professionale 4 miliardi di euro e il
tasso di disoccupazione giovanile in Sicilia è salito al 42 per cento.
Sergio Rizzo
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
7
DENOMINAZIONE
CODICE ISIN
VALUTA
EMISSIONE
TAGLIO
MINIMO
PREZZO
DI EMISSIONE
SCADENZA
CEDOLA ANNUA LORDA
1° E 2° ANNO (1)
CEDOLA ANNUA NETTA
1° E 2° ANNO (1)
CEDOLA ANNUA
VARIABILE LORDA
DAL 3° AL 5° ANNO (1)
OBBLIGAZIONE BANCA IMI
COLLEZIONE TASSO MISTO
DOLLARO USA SERIE I
IT0005001422
USD
2.000
DOLLARI
STATUNITENSI
99,85%
13/03/2019
3,00%
2,40%
Libor USD
3 mesi + 0,21%
OBBLIGAZIONE BANCA IMI
COLLEZIONE TASSO MISTO
DOLLARO NEOZELANDESE SERIE I
IT0005001521
NZD
2.500
DOLLARI
NEOZELANDESI
99,83%
13/03/2019
5,90%
4,72%
NZD BB
3 mesi + 0,75%
8
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Primo Piano
#
Il governo Le scelte
Il caccia
«Il programma degli F35 sarà rivisto»
Tre miliardi di tagli per la Difesa
Il ministro Pinotti annuncia anche la dismissione di 385 caserme
Renzi conferma: il progetto cambierà, pronto il piano di risparmi
Il vertice di mercoledì
PER IL COLLE
NECESSARIA
UNA LOGICA
D’INSIEME
di MARZIO BREDA
R
ipensare, ridurre e rivedere anche i grandi progetti, dice Roberta Pinotti, neoministro della Difesa,
anticipando che «è lecito immaginare una razionalizzazione» del bilancio delle Forze
armate. Un annuncio — confermato da Renzi — che ha fatto
tornare d’attualità l’ipotesi di
un dimezzamento nel già pianificato acquisto degli F35 americani, animando una serie di
congetture su un presunto diktat del capo dello Stato intorno
a tale specifico capitolo della
spending review. Ad alimentare
le polemiche preventive, la
convocazione del Consiglio
supremo di difesa per dopodomani. Lettura strumentale,
perché, sotto la presidenza
Napolitano, le riunioni di questo organo collegiale si sono
sempre tenute a cadenza quadrimestrale. E mercoledì scade
appunto il termine previsto, al
di là di pretese coincidenze. Gli
stessi problemi messi all’ordine
del giorno al Quirinale, poi, non
dovrebbero autorizzare sospetti, visto che una revisione del
progetto di comprare i cacciabombardieri al momento non
risulta neppure all’ordine del
giorno del governo. Sarebbe del
resto singolare che una questione come quella fosse trattata
isolatamente. Senza cioè includerla in una più complessiva
ricognizione delle diverse forze
di cui si compone lo strumento
militare (aeronautica, marina,
esercito) e delle strategie future
per garantire la sicurezza nazionale, inquadrata nel sistema di
alleanze delle quali l’Italia fa
parte. Certo, esigenze di risparmio impongono ora tagli a
vasto spettro anche al ministero
della Difesa. E da mesi resta
oggetto di un teso dibattito
proprio la dotazione dei novanta F35, di cui alcuni contestano
il costo (oscillante tra i 74 e gli
88 milioni di euro l’uno) e l’efficacia delle risorse tecnologiche.
Un anno fa la maggioranza
aveva votato una mozione in cui
si chiedeva una «riflessione»
sul tema, affidando alle Camere
un potere di veto su ogni ulteriore acquisto di quei velivoli
multiruolo, secondo un diritto
riconosciuto dalla legge 244 del
2012. E il Consiglio supremo di
difesa svoltosi pochi giorni
dopo aveva «avvertito» il Parlamento che sull’argomento non
gli competeva alcun potere di
veto sui programmi di ammodernamento delle forze armate.
Aggiungendo che, in quella
materia, le «decisioni operative
e i provvedimenti tecnici rientrano, per loro natura, tra le
responsabilità costituzionali
dell’esecutivo». Vedremo se dal
summit di dopodomani emergeranno novità su questa delicata e complessa partita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ROMA — Anche gli F35
nel mirino della spending
review. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, lo ha
anticipato a Skytg24: «Sugli
F35 è lecito immaginare
una razionalizzazione. C’è
un impegno preso dal governo, aspetteremo la conclusione dell’indagine conoscitiva del Parlamento
per prendere la decisione».
In serata lo ha confermato
al Tg5 lo stesso premier,
Matteo Renzi. «Sì, è così. Il
ministro Pinotti ha ragione.
Risparmieremo circa 3 miliardi di euro nei prossimi
tre anni nella difesa. Non
solo dagli F35, ma anche
dal recupero delle caserme»
e altro. «Noi continuiamo
con i programmi internazionali, continuiamo con
una forte Aeronautica, ma
questo programma sarà rivisto».
Dagli iniziali 131, ordinati dal governo Berlusconi,
gli F35 erano stati ridotti
sotto l’esecutivo Monti già
a 90. Ma il messaggio del
governo Renzi è chiaro.
Non esistono zone franche
dai tagli. «La priorità è l’abbassamento delle tasse»,
spiega il ministro dei Trasporti ncd, Maurizio Lupi,
«ne abbiamo discusso. E se
questo può servire a trovare
le coperture siamo d’accordo».
«Ripensare, ridurre, rivedere: sono le tre “R” che applicheremo a tutte le spese», ha spiegato Roberta Pinotti a L’Intervista di Maria
Latella prendendo un forte
impegno sulle caserme: 385
saranno chiuse. E assicurando che «da qui al 2024
passeremo da 190 mila soldati complessivi a 150 mila,
e già nei prossimi anni arriveremo a 170 mila» il ministro ha annunciato: «Sto
pensando a una task force
che lavori 12 ore al giorno
per mettere i beni della Difesa inutilizzati a disposizione dei Comuni ma anche
dei privati che abbiano dei
progetti per valorizzarli. È
un dovere patriottico. Un
sindaco o un privato che
Stretta di mano
Il premier Matteo Renzi,
all’uscita dal cancello di casa
a Pontassieve, stringe
la mano ad Adriano Fontani,
un insegnante che era stato
per ore ad attenderlo
«indossando» un cartellone
di protesta: lamenta
di essere stato osteggiato
in quanto testimone
di Geova
(Ansa)
abbia l’idea di mettere a
frutto un bene non più utilizzato deve avere tempi rapidi», ha evidenziato. «Auguro al ministro di avere
maggior fortuna di quanta
ho avuta io che, per dismettere i beni della Difesa, avevo anche fatto approvare
una legge che non so nemmeno se sia sta abrogata o
se è ancora in vigore», ha
commentato Ignazio La
La vicenda
Il programma a guida americana
1
Nel 2002 l’Italia firma l’accordo per il Jsf (Joint Strike
Fighter), programma internazionale condotto dagli
Usa per sviluppare e produrre un aereo militare di
nuova generazione: sostiene il 4% dei costi di ricerca
Gli ordini italiani dei velivoli
2
L’aereo scelto è il caccia F35 della Lockheed Martin,
americana (una linea di assemblaggio è anche in
Italia, a Cameri, Novara). Nel 2009 il nostro Paese
decide per l’acquisto di 131 velivoli entro il 2026
Il taglio del 2012 e le nuove polemiche
3
Nel 2012, con Di Paola alla Difesa, gli ordini italiani dei
caccia sono ridotti da 131 a 90. Nel 2013, con Mauro
ministro, è ancora polemica: M5S e Sel chiedono lo stop
al programma, che però ottiene il via libera dell’Aula
L’F35 Lightning II, noto anche come
Joint Strike Fighter, è il più costoso
cacciabombardiere mai ideato
dal Pentagono e il più audace
dal punto di vista tecnologico
TRE VERSIONI
COSTO MEDIO PER AEREO
74 milioni di euro
88 milioni di euro
F35A Variante a decollo
e atterraggio convenzionale
F35B Variante a decollo corto
e atterraggio
raggio verticale
F35C Variante
per l'uso sulle portaerei
Russa (Fdi).
La razionalizzazione, comunque, colpirà anche i
cacciabombardieri della
Lockheed Martin. Un piano
da 14,3 miliardi di euro in
15 anni per i 90 caccia: 60 a
decollo convenzionale (costo medio 74 milioni di euro l’uno) e 30 a decollo verticale (88 milioni l’uno),
parte dei quali (una ventina) da impiegare sulla portaerei Cavour.
Ripensarci su si può. Anche se, ha spiegato il ministro «la domanda che dobbiamo porci è: ci serve l’Aeronautica? Ci possono essere minacce per le quali ci
serve una difesa da parte
dell’Aeronautica? Quale tipo di protezione ci può servire? Se non ti fai prima
q u es te d o m a n d a — h a
spiegato — è difficile poi
dire: 90, 100, 30, 0, 1». Meglio aspettare la conclusione dell’indagine conoscitiva del Parlamento.
L’indagine è già conclusa.
E nella prossima settimana
dovrebbe essere votata la
relazione di Gian Piero Scanu, capogruppo pd in commissione Difesa alla Camera, che, si legge nella bozza,
prevede «un significativo
ridimensionamento degli
schemi di accordo con la
Lockheed Martin sul programma F35». Giacché risultano «confermati i molti
dubbi al di là delle gravissime riserve tecniche e operative che fonti specialistiche ufficiali statunitensi
continuano ad evidenziare,
anche per le versioni a decollo breve». Tra i dubbi:
l’accordo non garantisce ritorni industriali o occupazionali significativi, le stime del costo sono troppo
variabili, finora non c’è stato nessun negoziato serio
per ridurne il prezzo. E
l’embargo sull’accesso ai
dati sulla tecnologia sensibile determina una dipendenza operativa da istanze
politico-industriali statunitensi.
I VELIVOLI ORDINATI
DAL MINISTERO
DELLA DIFESA
60
Prima versione
(F35A) per
l’Aeronautica
30
Seconda versione
(F35B) per
la Marina
250
90
I vecchi velivoli
che i nuovi F35 dovrebbero
rimpiazzare
F35
SCHEDA TECNICA
Lunghezza
Altezza
15,4 m (F35A e F35B)
15,5 m (F35C)
4,6 m
Apertura alare
13,1 m
(F35B)
10,7 m
(F35A e F35C)
Fonte: www.jsf.mil e Dipartimento della Sicurezza Nazionale Usa
Il responsabile nell’esecutivo Letta
Mauro: non c’è coerenza
Comprare quegli aerei
è da sempre un’idea del Pd
Virginia Piccolillo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Mario Mauro, 52 anni
ROMA — «F35 è una parola di sinistra. Nasce con un governo Pd,
viene votata da 10 anni dal Pd. Ora,
improvvisamente, con questi “chiari
di luna” in Crimea e in Ucraina, il Pd
decide che non ne abbiamo più bisogno?». L’ex ministro della Difesa,
Mario Mauro, ha sempre difeso il
programma degli F35. E ieri, all’annuncio del ministro Pinotti di una
riduzione del numero di cacciabombardieri, ha espresso dubbi. Perché?
Le reazioni L’ex capo di stato maggiore Camporini: il potere aereo è indispensabile. Tricarico (ex Aeronautica): procedere per gradi
I timori dei militari: perdiamo peso internazionale
ROMA — «Ridurre? Ma di quanto?», si chiede Marcello De Donno,
ex capo di stato maggiore della Marina. «Se da 90 scendiamo a 80 si
può anche accettare, ma tagli più
consistenti sarebbero incomprensibili». La possibilità ventilata dal
ministro della Difesa Pinotti di acquistare un numero inferiore di
F35 è accolta con una certa inquietudine dai militari. «Già siamo
passati dai 131 iniziali a 90 — lamenta un alto ufficiale dell’Aeronautica —. Ridurre ancora sarebbe
un errore».
E Vincenzo Camporini, ex capo
di stato maggiore della Difesa, con
accento polemico fa notare che
l’Aeronautica «ci serve». Serve perché «negli ultimi scenari internazionali in cui siamo stati coprotagonisti abbiamo visto come il potere aereo è un elemento assoluta-
mente indispensabile per gestire
qualsiasi tipo di crisi. I bombardamenti in Serbia e in Kosovo hanno
portato alla caduta di Milosevic; i
bombardamenti in Libia hanno
portato alla caduta di Gheddafi».
Tuttavia è probabile che tagli ci saranno.
«Bisogna considerare — continua l’alto ufficiale dell’Aeronautica
— che se prendiamo un numero di
aerei inferiore, dobbiamo anche rinunciare a una parte del ritorno
economico». Questo perché la
Lockheed Martin affida la costruzione delle ali del velivolo ai tecnici
che operano nella base di Cameri
in provincia di Novara. Più cacciabombardieri l’Italia acquista e più
commesse riceve di partecipare al
progetto realizzando parti meccaniche. Quando si era deciso di
comprare 131 velivoli, la Lockheed
Martin prevedeva di far costruire
in Italia 1.200 ali. Sceso a 90 il totale
degli F35 prenotati, la società americana ha ridotto a 835 ali il contributo chiesto all’Italia.
Chi non riesce a giustificare tutto questo balletto di cifre è Dino
Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica. «È sbagliato —
ritiene — fissare oggi un numero
complessivo di jet di cui vogliamo
dotarci. Meglio procedere in base a
una tabella annuale. Nel 2012 abbiamo acquistato tre F35, altri tre li
Integrazione
L’ammiraglio De Donno:
solo spingendo verso
l’integrazione europea
avremo risparmi significativi
abbiamo presi nel 2013. Quest’anno firmeremo ancora contratti per
due ulteriori velivoli. Andiamo
avanti così per tutto il periodo di
questa legislatura. Nel frattempo
dedichiamoci alla stesura di un Libro bianco per decidere cosa vogliamo oggi dalla Forze armate. Ci
accorgeremmo che molte cose sono superate o inutili e i tagli possibili sono enormi».
Tagli che secondo un generale
dell’Aeronautica dovrebbero colpire, prima degli F35, altri settori.
«Per esempio — dice — è assurdo
mantenere una flotta di velivoli per
i voli di Stato. Com’è assurdo che la
Marina svolga la missione Mare
nostrum in soccorso degli immigranti. Queste non sono operazioni di competenza delle Forze armate».
Procedendo con gli acquisti di
F35 anno dopo anno, come suggerito dal generale Tricarico, si arriverebbe all’acquisizione di 24 caccia totali nel 2025. A quel punto si
dovrebbe valutare la prosecuzione
del programma. I tecnici ritengono
che fino a quella data la portaerei
Cavour potrebbe continuare a cavarsela con i 14 Harrier a decollo
verticale di cui dispone. Permettendo così di far slittare di qualche
anno l’acquisto della versione degli
F35 per la portaerei.
Ma tutti questi calcoli all’ammiraglio Marcello De Donno sembrano illogici. A suo parere, non si dovrebbe più ragionare secondo criteri nazionali. «Solo spingendo
verso l’integrazione delle Forze armate europee, potremo far conto
su risparmi significativi».
Marco Nese
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Primo Piano
90
9
I tagli
Circa le aziende italiane coinvolte
nel programma degli F35, diverse
fanno capo a Finmeccanica
Ieri il ministro ha parlato di una riduzione
degli organici da realizzare entro il 2024
La previsione Le riduzioni per polizia e carabinieri. Sindacati in allarme
10 miliardi
Da
190 mila
I ricavi potenziali
per il sistema industriale italiano
secondo l’ad di Finmeccanica
Alessandro Pansa
a
150 mila
Da
30 mila
Timone attivatore
I militari
di Aeronautica,
Marina ed Esercito
entro il 2024
a
20 mila
Le unità
di personale
civile
Motore
Pratt & Whitney F135
ROMA — Chiudono gli uffici, vengono ridotti i costi, ma il taglio vero nel
settore sicurezza riguarderà gli uomini. Perché entro due anni ci sarà una
perdita di almeno 40.000 tra appartenenti alle forze dell’ordine e Vigili del
fuoco. E ciò, come aveva ammesso
qualche mese fa lo stesso capo della
polizia Alessandro Pansa, non potrà
non causare problemi nell’attività di
controllo del territorio e di prevenzione contro il crimine. Non a caso per i
sindacati è proprio questo il primo
punto all’ordine del giorno dell’incontro che si svolgerà il 25 marzo con il
ministro Angelino Alfano. Il titolare
dell’Interno assicura che «si farà di tutto per garantire ai cittadini la massima
sicurezza» ma la situazione resa già
precaria a causa dei risparmi fatti sino
ad ora rischia di essere aggravata ulteriormente dagli obiettivi fissati da Palazzo Chigi nell’ambito della spending
review.
Alloggiamento delle ruote
385
Caserme
e presidi militari
che saranno
dismessi
Sedile eiettabile
Gli uomini in campo
Ecco i numeri delle Forze armate italiane
Esercito italiano
108.355
unità
Radar
Marina militare
31.000
IL PROGETTO
effettivi
È un caccia di quinta generazione,
monoposto a singolo propulsore,
con capacità stealth
(cioè di essere poco visibile ai radar).
È un velivolo multiruolo: può essere
utilizzato per supporto aereo
ravvicinato, bombardamento tattico
e missioni di superiorità aerea
(anno 2012)
Aeronautica
militare
45.000
Sta
Stato
maggiore
della Difesa
effettivi
665
aeromobili
CORRIERE DELLA SERA
«I programmi militari sono programmi di sviluppo e di innovazione tecnologica che hanno una durata ventennale. Non si può cambiare
linea in continuazione. Altrimenti si
viene fatti fuori da tutto l’indotto. E
questo progetto interessa le piccole
e medie imprese, come quella che a
Lacedonia costruisce le parti in titanio di quell’aereo. Per loro occorrerebbe avere un po’ di coerenza. Il governo precedente era già passato da
130 a 90. Non è che ogni governo
che arriva deve fare un nuovo “taglio
e messa in piega” di aerei che sostituiscono la nostra flotta di Tornado
e Amx ormai obsoleta». In Parlamento sta per passare una relazione
che fa riprendere quota agli Eurofighter. «Per carità — dice Mauro,
presidente dei Popolari per l’Italia —
il Parlamento è sovrano. Ma quelli
sono intercettori. Non cacciabombardieri. E non costano meno degli
F35. E poi abbiamo appena tagliato
quaranta F35, quanti asili o ospedali
sono stati costruiti con quei soldi»?
L’ex ministro della Difesa è cau-
❜❜
Indotto
Non si può cambiare
linea in continuazione,
anche per le piccole e
medie imprese coinvolte
Alle forze dell’ordine
40 mila uomini in meno
nei prossimi due anni
stico anche sul piano di dismissioni
delle caserme. «Il ministro ha detto
che vuole mettere su una task-force.
Già c’era. L’ho creata appena insediato. Dopo aver stilato l’elenco
completo delle caserme che potevano essere riutilizzate. Ma la verità è
che non si riesce a far nulla perché
gli enti locali pongono mille ostacoli, piani regolatori e altro».
E comunque, fa notare Mauro, «le
spese grosse le stiamo facendo per la
Marina, non per l’Aeronautica. Possiamo anche decidere di fare come il
Costa Rica che non ha un’aviazione.
Poi però dovremo spiegare alla Nato
come facciamo la nostra parte».
V.Pic.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Età media: 47 anni
Sono le relazioni ufficiali a fornire il
quadro aggiornato alla fine del 2013. Si
scopre così che l’Arma ha una pianta
organica di 118 mila unità, ma può
contare su 105 mila che diventeranno
95 mila nel 2016. Gravi carenze anche
per la polizia che da un contingente
previsto di 110 mila operatori, conta su
95 mila e arriverà a 87 mila. Non sta
meglio la Guardia di finanza con 68 mila militari che dovrebbero essere in
servizio, 60 mila effettivi e una riduzione fino a 56 mila tra due anni. Il totale
parla chiaro: dalle attuali 260 mila persone in servizio si arriverà a 238 mila,
senza contare gli ulteriori tagli e i concorsi che hanno numeri di promossi
sempre più esigui. «Il vero problema
— chiarisce il segretario nazionale del
Sap, il sindacato autonomo di polizia,
Gianni Tonelli — riguarda i “vuoti”, ma
pure la qualità perché negli anni 80
l’età media degli agenti era di 25 anni e
adesso siamo saliti addirittura a 47,
con tutte le difficoltà operative che
questo comporta. Senza nuovi innesti i
tagli al personale creeranno reparti
sempre più “vecchi”».
Anche l’Associazione funzionari ha
molto battuto su questo tasto e non a
caso Enzo Letizia sottolinea «la volontà
di collaborare per eliminare gli sprechi,
senza per questo cedere di un passo
nella protezione dei cittadini, ma anche nella tutela degli agenti che svolgono il proprio lavoro con stipendi sempre più esigui, tagli agli straordinari e
260
mila il personale
in servizio tra
carabinieri, polizia
e Guardia di finanza. Tra due anni,
dopo i tagli, si
arriverà a 238 mila:
95 mila per l’Arma,
87 mila agenti e
56 mila finanzieri
24
mila i mezzi su cui
può contare la
polizia: ma un terzo
di questi sono in
riparazione e le
volanti hanno in
media 200 mila
chilometri. A Roma
su 1.600 macchine,
500 sono rotte
700
milioni sono i
risparmi del
comparto sicurezza: con la chiusura
di centinaia di sedi,
la soppressione di
interi reparti e il
trasferimento degli
uffici in immobili
demaniali
alle indennità e soprattutto rischi nella
propria attività quotidiana». Sono i dati del Sap a dire che ci sono «duemila
agenti in meno a Roma, mille a Milano,
Napoli e Palermo, cinquecento a Torino
e Bari, trecento a Bologna e Firenze».
Scorte e auto di servizio
I sindacati hanno bene in mente le
richieste da portare al tavolo con il ministro. E insisteranno particolarmente
sulla carenza di mezzi e risorse, emergenza annosa ma sempre più attuale.
«La riduzione della scorte — spiega Tonelli — ci consentirebbe di recuperare
1.000 agenti sui territori che equivalgono a 500 volanti e gazzelle. E soprattutto di contare su un parco auto migliore di quello attuale che ha problemi
davvero allarmanti».
L’elenco è lungo ed eloquente: la polizia può contare su 24 mila mezzi, «ma
un terzo sono in riparazione costante e
le volanti hanno in media 200 mila chilometri». Quando le gomme devono
essere cambiate, la macchina si ferma
perché non ci sono i soldi. A Milano,
Torino e Bari circolano tra le 500 e le
550 autovetture, ma almeno 150 sono
in officina. A Napoli su 1.000 autovetture, 300 non si muovono. Roma è in
linea: su 1.600 macchine, 500 rotte.
La carenza di risorse
Il governo guidato da Matteo Renzi
ha chiesto al commissario Carlo Cottarelli tagli per miliardi di euro e il comparto sicurezza farà la sua parte con un
risparmio di almeno 700 milioni di euro grazie alla chiusura di centinaia di
sedi, soppressione di interi reparti, trasferimento degli uffici in immobili demaniali. Alfano non smentisce interventi così pesanti e non basta a rassicurare i sindacati il suo impegno perché
«il governo non mollerà mai le forze
dell’ordine».
All’incontro del 25 marzo le rappresentanze dei poliziotti porteranno
l’elenco dei tagli già effettuati negli anni scorsi che hanno portato da uno
stanziamento iniziale di poco superiore ai 7 miliardi ad un fondo cassa complessivo bloccato a due miliardi e mezzo. «I cento milioni stanziati a dicembre dall’esecutivo guidato da Enrico
Letta — evidenzia Tonelli — sono già
finiti. Con la sicurezza non si può
scherzare, è bene che tutti lo tengano a
mente».
Fiorenza Sarzanini
[email protected]
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
10 Primo Piano
Il governo Il viaggio
Renzi a Berlino, vertice con Merkel
Un patto anti populisti (e sul deficit)
La proposta del premier. «Non siamo asini da mettere dietro la lavagna»
DAL NOSTRO INVIATO
BERLINO — Si chiama Adf la
carta vincente di Matteo Renzi
nei confronti di Angela Merkel.
Non sarà il «Jobs act» già tradotto in tedesco che il premier porterà alla Cancelliera a sfondare il
muro della diffidenza tedesca
nei confronti dell’Italia.
Su quel programma il presidente del Consiglio fa gran conto
ma non gli servirà a risolvere la
questione delle questioni. E cioè
convincere Merkel che questo
esecutivo fa sul serio. «Rimarrà
colpita da quel lavoro», assicura
lui, ripetendo che andrà all’incontro senza «la trepidazione di
chi vuol farsi approvare i propri
progetti», ma semplicemente
con la volontà di «spiegare che
cosa intendiamo fare per dare
una svolta a questo Paese». Dunque sarà l’Adf la chiave di volta
per ammorbidire la Cancelliera.
Il premier italiano lo sa e per
questa ragione non sembra oltre
modo preoccupato di quello che
tutti dipingono come l’incontro
da cui dipendono le sorti dell’Italia.
Ma che cosa è mai questa sigla che assicura un vantaggio a
Renzi e rappresenta una fonte
di preoccupazione per Merkel?
E' l’Alternative für Deutschland, il partito anti euro che la
Cancelliera vorrebbe tenere a
freno e che nei sondaggi invece
avanza (è dato all’otto per cento, cioè il doppio di quanto ha
preso alle Politiche ) mentre la
Cdu è in calo.
Ecco, è in nome di questa «comune alleanza contro il populismo antieuropeo» che Renzi
convincerà Merkel a dargli fiato
e spazio. E a concedergli, se proprio ve ne fosse il bisogno, la
possibilità di arrivare dall’attua-
le 2,6 al 2,8 nel rapporto deficit/
Pil che ha come tetto il 3 per cento. Ed è questo il motivo che
spinge il presidente del Consiglio a dichiarare spavaldo al Tg5:
«Non siamo asini da mettere
dietro la lavagna, siamo l’Italia.
Riprendiamo l’orgoglio di essere
italiani».
A vederlo da Berlino il nostro
Paese, a dire il vero, è quello di
sempre. I giornali tedeschi sono,
com’è naturale, molto più interessati a quello che sta avvenendo in Ucraina e in Crimea. Ma
questo non vuol dire che anche
per Merkel l’incontro di oggi
non abbia un suo significato. La
Cancelliera tedesca è interessata
al giovane e «irruento» (così lo
ha definito lei) premier italiano
che annuncia: «Se facciamo bene il nostro dovere potremo avere la guida dell’Europa per i
prossimi venti anni e non dovremo stare nel vagone dei ritardatari». Dichiarazioni fatte ai microfoni del tg di casa Mediaset
che non si discostano tanto dalle
confidenze del Renzi privato:
«Vedrete come riusciremo, una
volta arrivati alla guida del semestre europeo, a cambiare la
politica della Ue, perché il rigore
da solo non basta, questo lo hanno capito tutti, a cominciare dagli Stati Uniti di Obama».
Oggi a Merkel, comunque, il
premier spiegherà a grandi linee, anche il progetto del «Jobs
act». E' un piano a cui Renzi tiene molto, come non si stanca di
ripetere. «A me — è il suo ragionamento — interessano i giovani e non i sindacati». E soprattutto interessa «ridare ai giovani
la speranza di un futuro»: «Per
questo abbiamo deciso di cambiare il contratto di apprendistato che era un incubo burocratico
che bloccava tutto». Toccherà al
ministro del Lavoro Poletti, in
Germania, come in Italia, spiegare quali sono le linee guida del
«Jobs act».
Già, perché insieme al presidente del Consiglio in questo
vertice di oggi ad ampio spettro
saranno presenti, oltre al già citato Poletti, i ministri Pier Carlo
Padoan, Federica Mogherini,
Maurizio Lupi, Federica Guidi e
Roberta Pinotti, nonché un delegazione confindustriale, anche
se, com’è ovvio, l’attenzione e i
riflettori saranno tutti puntati
sull’incontro a due tra Matteo
Renzi e Angela Merkel. E infatti,
benché sia accompagnato da
una così vasta delegazione, che
verrà intrattenuta stasera a cena,
il presidente del Consiglio è convinto, più che convinto, che sarà
il colloquio tra lui e la Cancelliera a sbloccare la situazione: «Di
queste cose è meglio occuparsene direttamente. Io so perfettamente che cosa voglio andare a
dire alla Merkel e che cosa voglio
che loro capiscano di ciò che sta
succedendo in Italia, perché le
riforme che stiamo facendo danno stabilità al nostro Paese ma
stabilizzano anche l’Europa».
Maria Teresa Meli
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Gli incontri
A «Che tempo che fa»
Il vertice all’Eliseo:
l’asse con Hollande
Bersani: ho le mie idee
ma sono fedele alla ditta
1
Sabato Matteo Renzi ha
incontrato a Parigi il
presidente della
Repubblica francese
François Hollande: «Ora
crescita e lavoro.
Insieme alla Francia
possiamo e dobbiamo
cambiare l’Europa», ha
detto il premier italiano.
Hollande ha elogiato le
riforme annunciate da
Renzi: «Dobbiamo farne
anche noi, molti punti in
comune». A Parigi, con il
premier, anche la moglie
Agnese, che ha visitato il
Musée D’Orsay
Oggi in Germania
con la Cancelliera
2
Oggi a Berlino è previsto
un summit tra Renzi e
Angela Merkel. In
programma anche una
serie di incontri
bilaterali. L’Italia sarà
rappresentata anche
dai ministri
dell’Economia Pier
Carlo Padoan, dello
Sviluppo economico
Federica Guidi, delle
Infrastrutture Maurizio
Lupi, del Lavoro
Giuliano Poletti, della
Difesa Roberta Pinotti e
degli Esteri Federica
Mogherini
Il faccia a faccia
a Bruxelles
3
Giovedì prossimo a
Bruxelles, prima
dell’inizio del vertice Ue
dei capi di Stato e di
governo, il presidente
del Consiglio Matteo
Renzi incontrerà il
presidente della
commissione José
Manuel Barroso. Al
centro del colloquio il
semestre italiano di
presidenza Ue. Barroso
potrebbe essere un
prezioso alleato di
Renzi per una politica
alternativa all’austerità
a tutti i costi
Pier Luigi Bersani, intervistato a Che
tempo che fa (foto Ansa), ha
ribadito il suo sostegno a Matteo
Renzi, con qualche riserva. «Ho
salvato il cervello per un pelo — ha
commentato — non posso
consegnarlo così. Bisogna aspettarsi
da me lealtà e fedeltà alla ditta ma
anche qualche opinione e buon
consiglio». E ha aggiunto: «La
partenza di Renzi è positiva, ci sta
mettendo un atteggiamento sfidante
e molto combattivo che ci vuole».
L’ex segretario, accolto da una
standing ovation del pubblico, resta
invece critico sulla legge elettorale:
«Non sono convinto: deve essere
migliorata».
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Le tensioni A Roma ambulanze e tessere scagliate. A Salerno un deputato si è barricato nella sede del partito
Calci, sputi e denunce. La rissa democratica nel Pd
Nel territorio le battaglie sulle primarie:
sospetti e file anomale di extracomunitari
E sabato il caos all’assemblea del Lazio
«E poi... Poi, Matteo, ci sarebbe... beh,
sì, insomma: a Roma si sono menati»,
raccontavano ieri mattina a Matteo Renzi, che vuol essere sempre informato su
tutto quando accade all’interno del suo
partito, il Pd.
«Menati, scusa, come? E dove? Ma che
dici?» (Renzi, tra stupore e fastidio).
«È successo all’assemblea regionale.
Stavano ratificando la nomina del segretario, dopo le primarie. Poi hanno iniziato a litigare. Sembra che uno, poveretto,
sia perfino finito all’ospedale».
Renzi, a quel punto, si è fatto spiegare
meglio (come vedremo, le primarie del
Partito democratico stanno seminando
ovunque, in Italia, liti furiose e denunce
alla magistratura).
A Roma la scena è particolarmente
tragica. I protagonisti sono tutti personaggi minori, locali: ma se provate a non
farvi condizionare dai loro cognomi sconosciuti, ciò che è accaduto vi apparirà
assai grave, ed emblematico.
Sabato pomeriggio, centro congressi
della Cgil, molti invitati eccellenti (il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, il
sindaco di Roma Ignazio Marino, più altri parlamentari di rango: Stefano Fassina, Enrico Gasbarra, David Sassoli). La
rissa esplode quando — proclamato segretario Fabio Melilli — la maggioranza
del partito decide di eleggere presidente
non Lorenza Bonaccorsi, renziana sconfitta da Melilli alle primarie, ma Liliana
Mannocchi, nemmeno delegata però fedelissima di Marco Di Stefano, un deputato che nel Lazio controlla un mucchio
di voti.
Calci e sputi (letteralmente). Due tes-
sere centrano Melilli sul viso. Pernacchie, fischi, urla. Massimiliano Dolce, un
delegato arrivato da Palestrina, crolla a
terra, colpito da un principio di crisi epilettica.
Sirene di ambulanze, fotografi scatenati. E piccolo, gustoso retroscena politico: la cortesia a Marco Di Stefano sarebbe stato un gentile omaggio organizzato dal potente Goffredo Bettini che, in
vista di una sua candidatura alla elezioni
europee, già tesse alleanze.
«È una ignobile falsità!».
Sarà.
«Io non conosco neppure fisicamente
certe persone! La verità è che se si affermassero certe mie idee, finirebbe la gio-
stra dei patti tra cordate che purtroppo...».
Proprio lei, il potente Bettini che parla
di cordate?
«Basta! Mi creda: questa storia del
“potente” Bettini sta diventando un alibi
per chi non vuole o non sa dirigere. Da
anni, ormai, chi gestisce il partito mi tiene ai margini».
Comunque la sua candidatura alle
Europee ha bisogno di voti. E quel Di
Stefano ne porta in dote parecchi.
«Una mia candidatura è spinta da amplissimi settori del partito e della società
civile. E se Di Stefano pure mi voterà,
beh, lo vedremo solo nei prossimi mesi...».
Nei prossimi mesi sarà interessante
anche verificare lo stato di salute dell’intero partito. A Modena, le consultazioni
per scegliere il candidato sindaco sono
degenerate nel volgere di due giorni. La
seconda classificata, Francesca Maletti,
ha presentato un esposto per denunciare
l’irregolarità del voto degli stranieri nei
seggi: qualcuno avrebbe fornito agli extracomunitari i due euro necessari per
votare e ad un gruppo di filippini sarebbe addirittura stato offerto il pranzo.
Commento di Matteo Richetti (comandante delle truppe renziane in EmiliaRomagna, gran frequentatore di talk
show): «Irresponsabili».
È andata quasi peggio — «Siete inefficienti e inaffidabili» — ai capetti e caporali del Pd lucano in trasferta a Roma per
chiedere a Lorenzo Guerini, il portavoce
del partito, uno slittamento del congresso che, nei loro progetti, sarebbe stato
utile a «ricompattare il partito». Un partito, sul territorio, non si ricompatta in
poche settimane. In Campania, per fare
un esempio, divisi erano e divisi sono rimasti. Sfiorando il 60% dei consensi, il
nuovo segretario regionale è l’avvocato
Assunta Tartaglione di anni 43, vicina a
Matteo Renzi e, quindi, anche a Vincenzo De Luca, il sindaco di Salerno noto per
I casi
Roma Urla e spintoni
all’assemblea regionale del partito
Bari Contestazioni per l’affluenza
record, considerata sospetta
Modena Presunte irregolarità
nel voto degli stranieri
avere un controllo delle tessere quasi
militare: e stavano ancora lì, a votare, i
militanti, quando Guglielmo Vaccaro, 47
anni, deputato di tempio lettiano, che
sarà poi il primo degli sconfitti (al 27%),
decise di barricarsi nella sede del partito,
in via Giovanni Manzo. «Un voto ogni 26
secondi mi sembra un po’ troppo, no?».
Accadono cose strepitose nelle varie
primarie del Pd, che poi — spesso — si
perdono nelle pagine delle cronache locali.
Per dire: sapete cos’è accaduto in Sicilia? È accaduto che a capo della segreteria regionale hanno eletto Fausto Raciti,
30 anni, un ragusano determinato, cortese, battezzato in politica da D’Alema,
fatto eleggere alla Camera da Bersani,
appoggiato dai renziani di Faraone e sostenuto infine da chi? Da Mirello Crisafulli, l’ex senatore di Enna cacciato dalle
liste del Pd perché ritenuto impresentabile e, addirittura — fare piccolo esercizio di memoria, prego — insultato dal
palco della Leopolda, quando vennero
ricordati i suoi presunti rapporti con un
boss mafioso.
Dice Raciti, senza scomporsi: «Noi,
temo, facciamo troppe primarie».
A Firenze, in effetti, per un po’ hanno
pure pensato di non farle: per sostituire
a Palazzo Vecchio il sindaco diventato
premier poteva correre direttamente
Dario Nardella. Poi hanno cambiato,
saggiamente, idea. Le primarie si fanno,
ma senza che a Nardella sia opposto il
più temibile degli avversari: Eugenio
Giani.
Giani ha rinunciato? No: Giani è stato
chiamato a Roma, a Palazzo Chigi. Inventato, per lui, un incarico ad personam: consigliere per le Politiche dello
sport.
Perché non è che poi le primarie debbano sempre finire in rissa.
Fabrizio Roncone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Primo Piano 11
I partiti Il centrodestra
La fidanzata del Cavaliere in tribuna
Firme per la grazia,
Berlusconi irritato:
iniziativa sbagliata
Big fuori dalle liste per Strasburgo
ROMA — «Con questa iniziativa hanno passato il segno. La
Santanchè s’è indebitamente
appropriata di un’idea che semmai doveva essere lanciata dai
club, mica da lei. Secondo voi,
io avrei mai affidato un appello
per la mia grazia a una persona
che è apertamente ostile al presidente della Repubblica? Secondo voi, io avrei messo in
mano questa iniziativa a una
che non va d’accordo con almeno tre quarti del partito? Questa
storia avrà delle conseguenze…». Tra le pochissime persone presenti ad Arcore nella tarda serata di sabato c’è chi giura
che un Silvio Berlusconi così
imbufalito non lo si vedeva da
mesi.
E dire che a interrompere
l’adagio di una giornata tutto
sommato tranquilla era stato,
poco prima, lo squillo di un cellulare. Dall’altra parte del telefono, c’è chi chiede a Berlusconi
lumi della raccolta di firme che
Daniela Santanchè ha annunciato. Firme da presentare a
Giorgio Napolitano, per la grazia all’ex premier. Il Cavaliere
ascolta l’interlocutore. E il suo
volto diventa inespressivo come quello di una statua di sale.
Quasi non ci crede. «Io non ho
autorizzato la Santanchè a fare
appelli o a raccogliere firme», è
la sua prima reazione. Poi, tempo qualche secondo, un qualcosa di molto simile agli effetti di
un travaso di bile: «La Santanchè ha cercato a tutti i costi di
avere un incarico. E alla fine ha
ottenuto di occuparsi del fund
raising...».
Non c’è soltanto la storia dell’appello «a sua insaputa». C’è
anche, quantomeno nella testa
di Berlusconi, una sfilza di
«strani movimenti» dentro il
partito che ad Arcore non piacciono neanche un po’. Uno di
La vicenda
La condanna
Ad agosto la Cassazione ha
confermato per Silvio
Berlusconi la condanna a 4
anni, di cui 3 coperti da
indulto, per frode fiscale. La
Suprema Corte ha stabilito che
la pena accessoria andava
ricalcolata
La legge Severino
In base alla legge Severino ,
Berlusconi è incandidabile per
sei anni. C’è poi la pena
accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici: la Cassazione
deciderà a partire dal 18
marzo sui 3 anni stabiliti lo
scorso ottobre dalla Corte
d’appello
questi è stato il varo del governo ombra di Gianfranco Rotondi, lo shadow cabinet partorito
dalla mente dell’ex ministro neodemocristiano di cui fa parte,
tra gli altri, proprio la Santanchè. Anche di quest’iniziativa il
Cavaliere sapeva poco o nulla. E
infatti, quando gli avevano segnalato che la prima riunione
s’era tenuta proprio nei locali
del quartier generale forzista di
San Lorenzo in Lucina, l’ex premier prima s’era infastidito
(«Ma chi gliel’ha data l’autorizzazione?»). Poi, forse per un
moto di simpatia umana verso
l’amico irpino Rotondi, aveva
Francesca
e il «selfie»
a San Siro
In campo i rossoneri vengono travolti, in dieci, dal Parma di
Cassano e compagni che segnano ben quattro gol contro i
due della squadra di casa. E mentre sugli spalti la
contestazione alla squadra si fa pesante, in tribuna la
fidanzata di Berlusconi Francesca Pascale, in completo
bianco, foulard e camicia di jeans, accompagnata dall’amica e
collaboratrice Alessia Ardesi, non perde il sorriso e si concede
a qualche selfie con i «vicini». (foto LaPresse) © RIPRODUZIONE RISERVATA
deciso di soprassedere. «Tanto,
è solo folklore…».
Difficile però soprassedere
su alcune delle mosse di Denis
Verdini, che ad Arcore vengono
guardate con sospetto. Tra queste, il fatto che l’uomo macchi-
na di Berlusconi si sia fatto vedere con Nicola Cosentino e con
esponenti come la consigliera
regionale Luciana Scalzi, che
hanno aderito a Forza Campania. Da qui la decisione che il
Cavaliere avrebbe preso ieri se-
ra, quando la ferita per l’ennesima sconfitta del Milan non s’era
ancora rimarginata e in casa era
solo con la fidanzata Francesca
e pochi fedelissimi. «Non ci saranno parlamentari di Forza
Italia tra i candidati alle elezioni
Le candidature
Il Cavaliere ha annunciato di
avere intenzione di presentarsi
come capolista in tutte le 5
circoscrizioni previste per le
Europee. Questo non sarebbe
possibile se la Cassazione
confermasse l’interdizione
entro il 15 o 16 aprile, data
entro cui si devono presentare
le candidature
Il ricorso
I legali di Berlusconi
potrebbero far ricorso contro
l’esclusione di Berlusconi dalle
liste elettorali prevista dalla
legge Severino al Tar o in
Cassazione. Se venisse
sollevata una questione di
costituzionalità potrebbe
aprirsi uno spiraglio per l’ex
premier
L’iniziativa
Daniela Santanchè ha lanciato
«un appello a Napolitano
affinché conceda la grazia»
Centristi
Udc e popolari Per l’Italia,
alleanza alle elezioni
«Udc e Popolari per l’Italia presenteranno alle prossime elezioni
europee una lista comune. Questa decisione fa seguito ai colloqui
intervenuti nell’ambito delle forze politiche di ispirazione
popolare che hanno sostenuto il governo Letta e ora sostengono il
governo Renzi»: lo hanno annunciato in una nota congiunta il
segretario dell’Udc Lorenzo Cesa e il presidente dei popolari Per
l’Italia Mario Mauro. «Il fatto che negli ultimi giorni popolari Per
l’Italia, Udc e Centro democratico abbiano intensificato il
confronto in vista delle Europee, e non solo, costituisce un
elemento nuovo e positivo per la politica italiana», ha
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commentato Lorenzo Dellai.
Sarà un Monviso rosso
il simbolo di Chiamparino
Il logo
Un profilo del Monviso in colore rosso
con la scritta «Chiamparino per il
Piemonte»: è il simbolo che il candidato
del centrosinistra ha scelto per le
Regionali piemontesi. «In quella
montagna — ha detto l’ex sindaco di
Torino durante una visita nel Cuneese
— tutto il Piemonte si riconosce, in
giornate belle come queste si vede da
tutta la Regione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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europee». E il veto riguarderebbe non solo Raffaele Fitto, che
sulla corsa nella circoscrizione
Meridionale aveva già puntato
diverse fiches. Ma anche «vecchie glorie» del berlusconismo
come Nicola Cosentino, appunto, o come Claudio Scajola. «No,
non saranno candidati».
Perché, sotto sotto, il cruccio
che agita i sonni berlusconiani
è uno solo. Ed è quella «strana
sensazione» che il partito si stia
preparando al 10 aprile, quando la decisione del tribunale di
Milano sulla pena principale
potrebbe metterlo fuori gioco
per un po’. Il resto l’ha fatto inconsapevolmente Altero Matteoli, che tempo fa gli ha raccontato della «vecchia scelta sciagurata» di Fini di candidare i
colonnelli di An alle europee.
Doveva essere una competizione sana e invece s’era trasformata in una guerra fratricida a
colpi di preferenze. «Ma io non
farò lo stesso errore di Fini», è
l’adagio berlusconiano. «Li fermerò prima, in un modo o nell’altro». E rimane sempre in
piedi l’ipotesi della candidatura
alle Europee per la quale il Giornale sta raccogliendo le firme.
Tommaso Labate
© RIPRODUZIONE RISERVATA
12
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Primo Piano 13
❜❜
I partiti Il personaggio
L’intervista
All’Unità sparavo contro Craxi tutti i giorni. Ma il suo governo è stato
tra i migliori: Visentini, Spadolini, Martinazzoli, Andreotti, Scalfaro...
Il ricordo: mi legai a Erminia Peggio, sorella di un dirigente pci, una storia difficile. Lei si suicidò e Amendola volle che fossi accusato di scorrettezza morale
Insieme Emanuele
Macaluso, a sinistra,
con Enrico Berlinguer
il 17 aprile 1982 a una
manifestazione del Pci
a Milano (Fotogramma)
«Berlinguer divenne segretario
perché era il più togliattiano di tutti»
Macaluso: Napolitano? Penso lascerà fra sei mesi, dopo la riforma elettorale
di ALDO CAZZULLO
Emanuele Macaluso — capo della Cgil siciliana con Di Vittorio, nel comitato centrale del
Pci con Togliatti, capo dell’organizzazione con
Longo, direttore dell’Unità con Berlinguer, amico di una vita di Napolitano — venerdì prossimo
compie 90 anni.
Qual è il suo primo ricordo?
«Matteotti. Fu ucciso che avevo un anno, ma
mio padre me ne parlava sempre».
Suo padre era antifascista?
«Fu costretto a prendere la tessera del fascio per
riavere
il posto in ferrovia:
La scelta
era stato licenziato per
La sua elezione
aver preso parte agli scioperi del ’22. Per tutto il
al Quirinale non
ventennio fu inchiodato
fu mica grazie a
alla qualifica di manovale,
D’Alema e Veltroni anche se faceva il fuochista. Mangiava mezzo chilo
di pasta e beveva un litro
di vino nero di Vittoria,
ma era magro come un
chiodo: impalava tonnellate di carbone al giorno.
La prospettiva
Aveva fatto la Grande
Per il Colle, poi, ci Guerra e iniziato a lavorasaranno solo Prodi re come muratore a otto
Sempre meglio che
e Amato. Ma sono anni.
scendere in miniera, petroppe le resistenze rò».
Cosa ricorda delle zolfare?
«Entrambi i miei nonni erano minatori. Rivedo la corsa delle donne scarmigliate, dopo che si
era saputo dell’esplosione di grisù, per vedere se
tra i morti c’era il marito o un figlio. Io stesso sono perito industriale minerario. I figli degli operai non potevano fare il liceo».
Come divenne comunista?
«Una notte cominciai a vomitare sangue. Mi
portarono in sanatorio. Tubercolosi. Mi facevano dolorose punture di aria per immobilizzare i
polmoni, nella speranza che la ferita guarisse.
Quasi tutti i ragazzi che erano con me morirono.
Io sognavo di arrivare a trent’anni. Il sanatorio
era in fondo al paese, da lontano si vedevano i
passanti con il fazzoletto premuto sulla bocca.
L’unico amico che mi veniva a trovare, Gino
Giandone, era comunista».
Lei prese la tessera del Pci clandestino nel
’41.
«Fu un gesto di ribellione contro un mondo
di una miseria e di un’ingiustizia medievali. Un
giorno in miniera morirono quattro “carusi”.
Nella cattedrale di Caltanissetta c’erano tre bare.
La quarta rimase sul sagrato. Era morto “in peccato” perché non era sposato in chiesa. Lo rifiutarono anche cadavere!». (Macaluso picchia il
pugno sul tavolo della trattoria del Testaccio, il
quartiere romano dove vive. Sul tavolo fave, pecorino, sarde, e un solo bicchiere, per il vino.
«Non bevo mai acqua, rovina i sapori»).
Il primo maggio ’47 era a Portella della Ginestra?
❜❜
❜❜
«No, parlai per commemorare la strage, un
anno dopo. Ma ero a Villalba quando Calogero
Vizzini, il capo della mafia, fece sparare sul nostro comizio. Io mi gettai a terra. Girolamo Li
Causi rimase in piedi e fu ferito a una gamba.
Zoppicò per tutta la vita. Un personaggio leggendario. Per i suoi comizi in siciliano arrivavano da tutta l’isola. L’ho amato molto. Come Di
Vittorio, un uomo dolcissimo, e Pompeo Colajanni, “Barbato”, il comandante partigiano che
liberò Torino. Lina, la mia donna, era incinta.
Lui previde che avrebbe avuto due gemelli. Li ho
chiamati Antonio, come mio padre, e Pompeo,
come lui».
Lei e Lina foste arrestati per adulterio.
«A vent’anni Lina aveva già due figli, da un
marito anziano. Andammo a vivere insieme. Ci
portarono in carcere e ci diedero sei mesi, in
parte condonati. Ma nel Pci non tutti furono dalla mia parte. Per un anno Paolo Robotti visse in
Sicilia. Portava un busto di ferro, a Mosca l’avevano torturato per indurlo ad accusare Togliatti,
che era suo cognato, ma lui aveva taciuto. Diceva: “Se lo si vuole davvero, si resiste”. Vero uomo
sovietico. Robotti mangiava ogni giorno a casa
nostra, e nei suoi rapporti, come lessi nel dossier Mitrokhin, mi descriveva come moralmente
degenerato».
Negli Anni 60 lei ebbe un altro amore doloroso, vero?
«La relazione con Lina era esaurita. Mi legai a
Erminia Peggio, sorella di un dirigente del partito, Eugenio. Ma io non ero pronto a troncare con
la mia famiglia. Erminia soffrì molto. Dopo alcuni mesi si suicidò. Fu un dolore terribile».
I 90 anni
La politica
Emanuele Macaluso,
nato a Caltanissetta
il 21 marzo 1924
(compirà 90 anni
venerdì), ex deputato
e senatore del Pci
(per sette
legislature), è stato
anche sindacalista
nelle file della Cgil
Il giornalismo
Macaluso è stato
direttore de L’Unità
(negli anni Ottanta)
e de Il Riformista (tra
il 2011 e il 2012).
Saggista, ha
pubblicato negli anni
diversi volumi
Che ebbe conseguenze politiche.
«Giorgio Amendola chiese a Eugenio Peggio
di formalizzare un’accusa di “scorrettezza morale” nei miei confronti».
Perché lo fece?
«Un po’ perché Amendola era un puritano, legatissimo alla moglie, non a caso sono morti insieme. Un po’ perché avevamo contrasti politici.
Con Longo segretario, il partito era in mano a
Berlinguer, capo della segreteria, a Natta e a me,
capo dell’organizzazione. Ci chiamavano il
“trio”. Amendola voleva spedire Berlinguer in
Lombardia e me in Veneto. Longo si oppose».
Che ricordo ha di lui?
«Un grande segretario. Il più aperto a laici e
socialisti, mentre Berlinguer vedeva solo la Dc.
Fu Longo a portare Parri in Parlamento come indipendente di sinistra».
Giuseppe Boffa lo definì per certi aspetti il
miglior segretario che il Pci abbia mai avuto.
«Ora non esageriamo. Il miglior segretario è
stato Palmiro Togliatti. Un intellettuale di statura europea, uno che teneva testa a Stalin…».
Non sempre gli tenne testa.
«All’hotel Lux viveva come un prigioniero. A
chi gli chiedeva di intercedere presso Stalin contro le purghe, rispondeva: “Non posso. Ma
quando saremo in Europa la nostra bussola sarà
la democrazia”. Nel ’49 Stalin gli chiese di andare a dirigere il Cominform. Tutti i capi del Pci,
tranne Terracini e Di Vittorio, erano d’accordo.
Lui rifiutò, con una lettera durissima: “Il Cominform non serve a nulla”. Sei mesi dopo Stalin lo
sciolse».
Togliatti era antipatico?
Verso le Europee
Grillo: andremo a Bruxelles
con 20-30 eurodeputati
Beppe Grillo inizia la volata
elettorale. «Se il M5S avrà una forte
affermazione ed entrerà nel
Parlamento europeo con 20-30
eurodeputati gli attuali equilibri
salteranno. Il M5S non è Eurosì o
Eurono», scrive sul blog. E ancora:
«Il voto europeo è anche un voto
nazionale. Se il M5S si affermasse
come primo gruppo politico,
Napolitano non potrebbe più tirare
a campare con i suoi giochi di
Palazzo, dovrebbe sciogliere le
Camere e indire nuove elezioni». Il
leader ha postato anche i risultati
del «sondaggio» sul «più grande
contapalle tra i presidenti del
Consiglio della Repubblica
Italiana». «Fino all’ultimo è stato
un testa tra Berlusca&Renzie in cui
alla fine l’ha spuntata Berlusconi».
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Salvini sfida il leader M5S:
lo incontrerei volentieri
Sul blog Il post di Beppe Grillo «In
Europa per l’Italia», in cui il leader
ipotizza di poter contare su 20-30
eurodeputati dopo il voto di maggio
La Lega Nord tende una mano al
Movimento Cinque Stelle in vista
della prossima campagna
elettorale. «Incontrerei volentieri
Grillo per parlare di euro e lanciare
con lui una sfida sui progetti», ha
detto il segretario del Carroccio,
Matteo Salvini. Per Salvini,però, il
referendum ipotizzato da Grillo «la
Costituzione lo impedisce». «La
posizione della Lega è chiara: basta
euro, fuori dall’euro ripartono
lavoro e speranza». «Adesso sono
tutti antieuro, a parole, noi —
precisa Salvini — lo siamo nei fatti.
Ci davano per matti quando
dicevamo che questo euro ci
avrebbe massacrati e se altri
arrivano, dopo vent’anni, sulle
posizioni della Lega, Grillo
compreso, benvenuti».
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«Niente affatto. Dopo l’esilio era affamato di
Italia. Lo portai a Monreale e ne fu felice. Gli piacevano le trattorie romane, le passeggiate in Valle d’Aosta. Prima di partire per l’ultimo viaggio
in Urss, mi chiamò da parte a Montecitorio e mi
disse: “Se tardo, mandatemi un telegramma per
richiamarmi con urgenza. Voglio andare a Cogne a respirare”».
Invece morì. E, dopo Longo, venne Berlinguer. Che viene considerato molto diverso da
Togliatti. Non a caso ruppe con Mosca.
«Ma Berlinguer fu scelto proprio perché era il
più togliattiano di tutti noi! Il suo prestigio veniva anche dal fatto che era stato Togliatti a indicarlo per il futuro del partito. Certo, non ne fu
l’esecutore testamentario, seppe adattarsi alle
circostanze. Ma la sua politica è tutta dentro il
togliattismo: l’incontro con i cattolici, il compromesso storico, la solidarietà nazionale.
Quando Veltroni disse che lui non era mai stato
comunista, gli scrissi un biglietto: “Se sei andato
a Palazzo Chigi con Prodi, lo devi a Palmiro Togliatti”».
D’Alema è meglio di Veltroni?
«D’Alema si è illuso di tenere tutto insieme,
ma la sua politica e i suoi comportamenti hanno
segnato una cesura. La loro generazione si è
comportata male nei confronti di Natta, e non
solo. Chi non era d’accordo era fuori. Con Berlinguer eravamo in dissenso sul rapporto con i
socialisti, ma lui mantenne Napolitano capogruppo alla Camera, Chiaromonte al Senato e fece me direttore dell’Unità. Tre suoi critici».
Napolitano è stato eletto al Quirinale.
«Ma mica grazie a loro! Il candidato di Fassino
era D’Alema. Diede anche un’intervista al Foglio
per indicarne il programma…».
Su Craxi non aveva ragione Berlinguer?
«Craxi commise un errore capitale dopo l’89:
anziché allearsi con noi, fece il Caf con Andreotti
e Forlani. Ma il suo governo è stato tra i migliori
della storia repubblicana. All’Unità gli sparavo
contro tutti i giorni; ma aveva Visentini alle Finanze, Spadolini alla Difesa, Martinazzoli alla
Giustizia, Andreotti agli Esteri. E Scalfaro, che è
stato un coraggioso ministro dell’Interno».
Lei sparava anche contro Repubblica.
«Per forza. Secondo Scalfari tutto si giocava
tra Craxi e De Mita. E fu proprio De Mita, dopo il
crollo della Dc nell’83, a fare il nome di Craxi per
Palazzo Chigi. Ricordo che Berlinguer si infuriò.
Non l’avevo mai visto così arrabbiato».
Quando vide per la prima volta Napolitano?
«Nel 1950, in Sicilia. Faceva il militare. Aveva
ancora i capelli. Non moltissimi però».
Quanto durerà il suo secondo settennato?
«Non ci sarà un secondo settennato. Lui stesso
si è dato un tempo di 18 mesi. Ne restano poco più
di sei. Credo proprio che, quando il Senato avrà
approvato la riforma elettorale, si dimetterà. Non
voleva assolutamente accettare la rielezione. Gli
chiesero di sacrificarsi perché non c’era via
d’uscita. Ora se ne sono già dimenticati».
Perché è così scettico su Renzi?
«Renzi è figlio di un’epoca che non capisco.
La cultura politica non è più nulla. Tutto è comunicazione».
Chi andrà al Quirinale dopo Napolitano?
«Si aprirà un problema enorme, che tutti sottovalutano. Draghi sta bene dove sta. Monti ha
fatto la sciocchezza di farsi un partitino…».
Chi resta?
«In Italia abbiamo solo due uomini in grado
di rappresentarci nel mondo: Romano Prodi e
Giuliano Amato. Ma Prodi non lo vuole la destra. E Amato ha nel Pd resistenze che lei non
può neanche immaginare».
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Primo Piano 15
Le misure del governo Il risparmio
Il caso
L’amministratore delegato di Kairos: l’innalzamento dell’aliquota al 26% avrà l’effetto di trasferire risorse sul finanziamento improduttivo del debito pubblico
«Rendite, il doppio binario fiscale I numeri
non aiuta la crescita e le imprese» 12,5%
La tassazione delle rendite in Italia
Basilico: va favorito chi investe a lungo termine in capitale di rischio
MILANO — L’equivoco, dal suo osservatorio, sarebbe di natura lessicale.
Definire «rendita» gli investimenti in
capitale di rischio è un autogol, soprattutto se alzare l’aliquota su plusvalenze, interessi e dividendi dal 20 al
26% annunciato dall’esecutivo dal primo maggio (anche se già si parla di
uno slittamento a luglio per consentire
agli operatori di adeguarsi alla nuova
disciplina fiscale) rischia di convertire
una Piazza Affari già sofferente per il
basso afflusso di capitali (italiani) «in
un museo vuoto, in un territorio spettrale» in cui sono i colossi Usa del risparmio gestito (vedi BlackRock, salito
da ultimo al 5,2% di Unicredit) a fare
incetta di quote azionarie con noi alla
finestra.
Considerazioni di Paolo Basilico, alla guida di Kairos, una delle poche società indipendenti di risparmio con
più di cinque miliardi di euro di asset
gestiti e in procinto di trasformarsi in
una private bank dopo l’accordo di
joint venture firmato l’anno scorso con
la svizzera Julius Bär.
Eppure il governo, così, vorrebbe
redistribuire alle famiglie, riconoscendo a quasi dieci milioni di soggetti Irpef fino a mille euro in più in
busta paga all’anno.
«Non discuto della necessità di far
Il manager
Paolo Basilico,
fondatore di
Kairos, società
indipendente
di gestione
del risparmio
ripartire i consumi, ci mancherebbe.
Dissento solo su questo doppio binario
fiscale inaugurato dai governi precedenti. Da un lato Renzi annuncia di voler lasciare immutato al 12,5% il prelievo sui titoli pubblici come Bot e Btp per
investimenti che hanno un tasso d’interesse privo di rischio («free risk»).
Dall’altro decide l’innalzamento dell’aliquota al 26% sugli investimenti finanziari in capitale di rischio e l’esito
non può che andare a detrimento della
crescita e del rilancio del Paese».
In che senso?
«Avremo un’ulteriore asfissia del
mercato dei capitali a favore del finanziamento improduttivo del debito
pubblico. Ciò significa che ci saranno
sempre meno risorse per le nostre imprese già sottocapitalizzate e vittime di
un sistema troppo banco-centrico che
❜❜
Borsa museo
Piazza Affari potrebbe
trasformarsi
in un museo vuoto
in un territorio spettrale
non le permette ancora di trovare fonti
di finanziamento alternativo. Di più:
l’effetto trasferimento di investimenti
da debito privato (obbligazionario) o
equity (azionario) a debito pubblico,
in questa fase potrà anche essere ridotto dati i tassi d’interesse vicini allo zero, però quando saliranno, l’accelerazione di questo processo sarà tanto più
rapida quanto più veloce sarà il loro
rimbalzo».
Comprenderà che i margini di manovra per l’esecutivo sono già strettissimi visti i vincoli di bilancio e da
qualche parte si doveva pur recuperare gettito.
«Vedrà che alla fine l’assegno per
l’erario sarà molto inferiore alle attese.
Non dimentichi che recentemente è
stata introdotta una mini patrimoniale
(l’imposta di bollo del due per mille
che si paga appunto sul patrimonio e
non sul capital gain realizzato, ndr)
che, con il combinato disposto della
nuova ritenuta d’imposta fissata al
26%, alza la pressione fiscale sugli
strumenti finanziari ai massimi».
Eppure abbiamo una tassazione
sulle rendite finanziarie tra le più
basse e così ci allineeremmo alla media europea.
«La media europea è al 25%, vero.
Ma nessuno degli altri Paesi ha questa
È la tassazione su interessi, premi o altri
proventi che derivano da titoli di Stato,
come Bot, Btp, Cct, titoli emessi
dagli enti locali e da organismi
sovranazionali (Bei, Birs)
20%
L’aliquota per il prelievo sulle plusvalenze
da capital gain è salita il primo gennaio
2012 dal 12,5% al 20%.
Si applica a plusvalenze, dividendi, azioni,
obbligazioni, fondi comuni,
pronti contro termine, depositi,
conti correnti, derivati e prestito titoli
26%
L’aliquota prevista a partire
dal prossimo 1 maggio 2014
2
per mille
È il valore della cosiddetta
mini-patrimoniale.
Si tratta di un prelievo che si applica
non sugli interessi maturati sul capitale
bensì sul patrimonio mobiliare in generale.
Sono del tutto esenti fondi pensione,
fondi sanitari, polizze vita ramo 1,
ma anche i conti correnti
Fonte: Bankitalia, Unicredit
D’ARCO
doppia disciplina fiscale che da un lato
premia la rendita pura — mi permetta
— come gli investimenti in titoli di
Stato e, dall’altro, scoraggia gli investimenti rischiosi in società in modo da
permettere loro di avere capitali freschi per crescere, innovare, fare export
e, perché no, assumere. Si tratta di una
decisione di politica economica che rischia di essere di breve respiro e dal
forte contenuto ideologico e propagandistico. Almeno si dica chiaramente che, con questo doppio registro fiscale, la rendita vera viene incentivata
❜❜
Il gettito
Recupero di gettito? Alla
fine anche l’assegno per
l’erario rischia di essere
inferiore alle attese
a danno di chi scommette sulle nostre
aziende e sul rilancio del nostro sistema-Paese».
Che cosa propone allora?
«Una tassazione uniforme su tutti
gli investimenti finanziari, favorendo
la detenzione a lungo termine di capitale di rischio con sgravi e incentivi.
Altrimenti non venitemi a parlare di rilancio del mercato dei capitali, di aiutare le imprese a quotarsi in Borsa o,
ancora, di poter emettere minibond
sfuggendo al credit crunch. Non ci credo».
Fabio Savelli
fabiosavelli
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
17
Esteri
Il voto Maggioranza assoluta dei seggi al partito di Vucic
Il trionfo in Serbia
per i conservatori:
avanti verso l’Europa
Ma c’è chi teme un’involuzione nazionalista
Il Paese
Italia
Croazia
Belgrado
Bosnia
S E R B I A
Mo
Montenegro
Kosovo
Bulgaria
DALLA NOSTRA INVIATA
BELGRADO — Con quasi il
50% dei voti, vincono i conservatori, in Serbia, e il 44enne
Aleksander Vucic, leader del
Partito Progressista, ex nazionalista ora filo-europeista, potrà governare praticamente
senza alleati con 157 deputati
su 250: «Non dovrò più lottare
per i voti, ma per le generazioni future», ha commentato a
caldo, citando l’ex leader italiano Alcide de Gasperi. Una
percentuale così alta non si vedeva dai tempi del regime di
Slobodan Milosevic, nel 1990,
come ha ricordato il numero
due del partito, Nebojs Stefanovic, capo del parlamento a
soli 37 anni. «Il miglior risultato dall’inizio della democrazia
parlamentare», si è inorgoglito Vucic, dichiarandosi pronto
al dialogo con gli sconfitti.
A grande distanza, con il
14% delle preferenze, si sono
classificati i socialisti dell’ex
premier Ivica Dacic. E superano di misura lo sbarramento
del 5% Boris Tadic, ex presidente e leader del Nuovo partito democratico, l’ex sindaco di
Belgrado, Dragan Djilas, dei
Democratici. Fuori Vojislav
Koštunica, presidente serbo
tra il 2000 e il 2003. «O Vucic o
i tycoon» è stato uno degli slogan del trionfatore, che ha
promosso una vasta campagna contro la corruzione e la
criminalità organizzata. Campagna di cui hanno fatto le
spese, tra gli altri, due ex ministri del DS, il partito democratico, al potere fino a due anni
fa, e l’uomo più ricco della Serbia, Miroslav Miskovic, arrestato alla fine dello scorso anno. «La Serbia continuerà il
percorso europeo, collaborando con tutti gli altri Paesi amici, come la Russia, gli Stati
Uniti, la Cina e i Paesi arabi»,
ha annunciato Vucic.
Sotto gli occhi di 556 osservatori serbi e 179 internazionali ha votato il 53% dei 6 milioni e 700 mila elettori.
Non è per niente tranquillo
Nikola Barovic, avvocato e difensore dei diritti umani, molto popolare in Serbia da quan-
Dall’indipendenza
al Kosovo
1
Regno indipendente dal
1878 dopo la lunga
dominazione ottomana,
nel 1945 la Serbia è di
fatto a capo della
Federazione jugoslava
fino al suo
smembramento, nel
1991. Nel 2006 perde il
Montenegro, due anni
dopo il Kosovo
Una popolazione
in continuo calo
2
La Serbia ha 7,1 milioni di
abitanti, con una
popolazione in continuo
calo dagli anni 90. Oltre
l’80% sono di etnia
serba e di religione serbo
ortodossa, con
minoranze di cattolici e di
musulmani. La capitale è
Belgrado, unica città con
oltre 1 milione di abitanti
Mercato emergente
che guarda alla Ue
3
Mercato emergente dal
2000, la Serbia nel 2013
ha visto una crescita del
2,5% (tra le migliori in
Europa), soprattutto nei
servizi e nell’industria, e
ha attratto molti
investimenti diretti
stranieri (Fiat, Nestlé,
Microsoft). Dal 2012 è
candidata all’ingresso
nell’Unione europea
Nigeria
Cento vittime bruciate
in tre villaggi cristiani
Ennesima strage in Nigeria: 100 persone sono morte
nell’attacco a tre villaggi a maggioranza cristiana nello Stato
di Kaduna. In piena notte una quarantina di uomini hanno
assaltato con armi da fuoco, benzina e machete i villaggi di
Angwan Gata, Angwan Sankwai e Chenshyi. Molte delle
vittime sono bruciate vive nelle capanne date alle fiamme,
altre sono state fatte a pezzi con i coltelli. «Gli assalitori
hanno anche rubato cibo e mangime per gli animali e dato
fuoco ai granai», ha raccontato il capo della polizia Aminu
Lawan. Lo Stato di Kaduna è composto da popolazione
mista cristiana e musulmana. Gli autori dell’attacco non
sarebbero i miliziani di Boko Haram. La popolazione locale,
dedita all’agricoltura e a maggioranza cristiana, accusa i
pastori di etnia Fulani o Hausa di religione musulmana.
Negli Stati contigui di Kaduna e Plateau, nel centro della
Nigeria, questo conflitto etnico-religioso, dovuto anche al
controllo della terra, secondo Human Rights Watch ha
fatto, dal 1992 a oggi, 10.000 morti.
do, il 16 luglio 1997, fu pestato
negli studi di Bk Television, a
Belgrado, dalla guardia del
corpo di Vojislav Šešelj, leader
ultranazionalista del partito
radicale serbo, dal febbraio
2003 detenuto all’Aja in attesa
del giudizio del Tribunale penale internazionale per crimini di guerra, e tuttavia capolista anche a queste elezioni:
«Questo risultato è una catastrofe. Sono preoccupatissimo
— dice Barovic — perché la situazione economica è disastrosa e ora è a rischio anche la
Cittadinanza Madre e figlia ieri al voto in un seggio della capitale serba Belgrado (Epa/Cukic)
cultura, oppressa dal neonazionalismo».
Le urgenze della vita quotidiana, con oltre il 22% di disoccupazione, un debito pubblico al 60% del Pil, una burocrazia che grava per 8 miliardi
di euro l’anno sul bilancio statale, precedono in Serbia temi
cruciali come i rapporti con il
Kosovo e la marcia di avvicinamento all’Europa, avviata a
gennaio con l’inizio dei negoziati ufficiali. Il Kosovo può
ancora procurare grattacapi a
Belgrado: «Sul tavolo ci sono la
questione delle forze armate e
l’arresto di politici serbi», ri-
corda il politologo Dušan
Janjic, riferendosi alla decisione di Pristina di dotarsi di un
suo esercito e alla detenzione
di Oliver Ivanovic, capo della
lista civica filoserba «Serbia,
democrazia, giustizia», alle
elezioni municipali di Mitrovica, detenuto con l’accusa di es-
sere coinvolto nell’omicidio di
dieci albanesi, 14 anni fa sempre a Mitrovica, nel nord del
Kosovo. Dove ieri, comunque,
circa 30 mila serbi, il 30% degli
elettori, sono affluiti regolarmente ai seggi aperti per loro.
Elisabetta Rosaspina
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18
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
La storia
Esteri 19
Chi porta i bambini in ufficio, chi cerca di andare via presto per cenare con loro (Obama compreso)
Come essere (buoni) genitori
e sopravvivere alla Casa Bianca
I trucchi per restare a disposizione 24 ore su 24 e seguire i figli
Aspettative
La Casa Bianca ha
esteso la
possibilità per i
dipendentigenitori di ottenere
periodi di
aspettativa
retribuita
In ufficio
Vengono offerti
servizi di «day
care» a basso
costo per situazioni
particolari. Alcuni
sono stati anche
invitati a portare in
ufficio i piccoli, per i
quali sono state
allestite nursing
room. Ma questo
servizio è limitato
dagli spazi ristretti
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Quando, due anni fa, la
giornalista Jodi Kantor pubblicò «The Obamas», un dettagliato resoconto della vita alla
Casa Bianca e dello stile dei suoi inquilini,
una delle cose che suscitarono la curiosità
dei lettori fu il racconto di come, cercando di
mantenere i ritmi di una famiglia il più possibile normale, il presidente si sforzi di cenare alle 6.30 di sera con Michelle e le figlie
Sasha e Malia almeno quattro o cinque giorni a settimana. Se non è impegnato in missioni all’estero o in viaggi elettorali, Barack
Obama passa il weekend a Washington giocando a golf e andando spesso a vedere le
manifestazioni sportive nella scuola delle figlie o assistendo con tutta la famiglia a partite di college basketball.
A molti pare che, nonostante le sue enormi responsabilità, Obama riesca a coniugare
il suo ruolo di padre e quello di presidente,
meglio di molti dei funzionari e degli esperti
che lavorano con lui alla Casa Bianca. Entrare
nello staff del presidente dà, ovviamente,
grande prestigio, ma quasi nessun resiste
più di tre o quattro anni: i ritmi sono infernali e chi ha figli piccoli fatica molto. Gli stipendi — dagli 80 ai 170 mila dollari (58-122
mila euro) all’anno — sono elevati per gli
standard americani, ma non altissimi: non è
facile pagarsi la babysitter o l’asilo che negli
Usa sono privati e molto costosi. Anche la rete di protezione familiare a Washington funziona poco: magari qualche nonno in forma
e disposto ad aiutare ci sarebbe, ma non vive
a Washington dove il personale della Casa
Bianca spesso trascorre solo il periodo nel
quale è impegnato a fianco del presidente,
Aiuti
122
Mamma Samantha Power, 43 anni, ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, con il figlio Declan (Ap)
mila euro: lo stipendio massimo della maggior parte dei funzionari della Casa Bianca.
Nella capitale asili e babysitter sono costosi.
Anche le famiglie (i nonni) non sono di grande aiuto perché di norma non vivono a
Washington ma in altri Stati. Queste difficoltà
logistiche si aggiungono alla necessità di essere operativi per gran parte della giornata
per poi tornare ai luoghi d’origine.
Da Samantha Power, passata dalla Casa
Bianca all’Onu (New York), a Susan Rice,
consigliere per la Sicurezza nazionale di
Obama, sono tante le donne dell’Amministrazione che sono anche madri di bimbi in
tenera età: faticano tutte a tenere il passo del
doppio ruolo. La Casa Bianca ha esteso la
possibilità per i dipendenti-genitori di ottenere periodi di aspettativa retribuita. Vengono anche offerti servizi di «day care» a
Tolleranza
Alla Casa Bianca si
dà prova (da
Obama in giù) di
una certa
comprensione per
gli impegni
familiari dei
lavoratori. Il
portavoce del
presidente, Jay
Carney, giorni fa ha
spiegato senza
imbarazzi in sala
stampa che quella
mattina era poco
preparato: aveva
saltato cinque delle
riunioni mattutine
per andare alla
recita scolastica
nella quale la figlia
di otto anni faceva
Pocahontas
basso costo per situazioni particolari. Alcuni
sono stati anche invitati a portare in ufficio i
piccoli, per i quali sono state allestite nursing room. Ma questo servizio è limitato dagli spazi ristretti. Rispetto al passato c’è
molta tolleranza: il Washington Post racconta che quando, tempo fa, l’allora capo del
National Security Council, Gene Sperling,
lasciò a un suo economista, Brian Deese,
cinque settimane di aspettativa per stare vicino al figlio di sette anni, dette istruzioni
perché nessuno gli telefonasse o inviasse
email. E il portavoce di Obama, Jay Carney,
giorni fa ha spiegato senza imbarazzi in sala
stampa che quella mattina era poco preparato: aveva saltato cinque delle riunioni
mattutine per andare alla recita scolastica
nella quale la figlia di otto anni faceva Pocahontas.
Invito nello Studio Ovale
Una funzionaria voleva licenziarsi:
il figlio sentiva la sua mancanza.
Obama l’ha invitato per spiegargli
l’importanza del suo sacrificio
Ma non sempre si può essere flessibili:
molti lavori alla Casa Bianca richiedono un
impegno continuo. Ogni volta che il presidente dà l’addio a un collaboratore che torna
nel settore privato o accoglie un nuovo alto
funzionario, spende molte parole per ringraziare i coniugi e i figli per la pazienza e il
sacrificio. Gli Obama cercano di lenire le
tensioni invitando i familiari dei collaboratori alla Casa Bianca per qualche festa: Halloween, Natale, i fuochi d’artificio del 4 luglio... Non sempre basta: quando NancyAnn De Parle, che aveva la supervisione della riforma sanitaria, disse al presidente che
era costretta a lasciare perché il figlio soffriva la sua assenza, Obama invitò il dodicenne
alla Casa Bianca: lo fece sedere nello Studio
Ovale e gli spiegò i motivi per i quali aveva
ancora per un po’ bisogno dell’aiuto di sua
madre.
Massimo Gaggi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
21
Cronache
Insieme Alfredo Robledo
(a sinistra) e Edmondo
Bruti Liberati (Fotogramma)
Il caso Robledo contro Bruti Liberati: si ostacolano due nuove inchieste su tangenti
Milano, il pm anti corruzione
accusa il capo della procura
tentativo di far disegnare il
bando su misura per il fondo
F2i di Gamberale. È già noto
che il 27 ottobre 2011 Bruti lo
assegnò a Greco, il quale lo registrò nel modello «atti non
costituenti notizie di reato»
coaffidandolo il 2 novembre
nel proprio pool al pm Fusco,
che il 9 dicembre (sei giorni
dopo le indiscrezioni di Reuters e Sole 24 Ore) segnalò a
Bruti che poteva trattarsi di
un’ipotesi (turbativa d’asta) di
competenza del pool di Robledo. Quello che invece ora Ro-
Lettera al Csm: irregolarità nell’assegnazione dei fascicoli
MILANO — Nella Procura di
Milano il vicecapo «denuncia»
al Csm il capo. E nella gestione
di due segrete nuove inchieste
di tangenti, che si starebbero
danneggiando a vicenda a causa della violazione dei criteri
organizzativi di specializzazione tra i pool di pm, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo
indica l’ultimo dei «non più
episodici comportamenti» con
i quali, a suo avviso, il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati «ha turbato e turba la regolarità e la normale conduzione
dell’ufficio». Come? Svuotando il pool reati contro la pubblica amministrazione di Robledo, e privilegiando invece
l’assegnazione dei fascicoli più
delicati in questa materia (tra i
quali il processo Ruby a Silvio
Berlusconi per concussione,
l’indagine su Formigoni-San
Raffaele per corruzione, e il fascicolo sulla turbativa d’asta
Sea-Gamberale) ad altri due
procuratori aggiunti di sua
maggior fiducia, il capo dell’antimafia Ilda Boccassini e il
capo del pool reati finanziari
Francesco Greco.
Al punto che Robledo, con
una iniziativa senza precedenti
nella Procura che fu di Borrelli
e D’Ambrosio, giunge a denunciare l’asserita «violazione
dei criteri di organizzazione
vigenti nell’ufficio sulla competenza interna» al Consiglio
superiore della magistratura
vicepresieduto da Michele
Vietti, alla diramazione distrettuale milanese e cioè al
Consiglio giudiziario guidato
dal presidente della Corte
d’Appello Giovanni Canzio, e
al capo della Procura generale
di Milano, Manlio Minale.
Un profluvio di circolari e risoluzioni del Csm, complesse
La vicenda
Lo specialista
su politica e affari
Alfredo Robledo,
napoletano, classe
1950 è il magistrato
che all’interno della
procura di Milano si è
occupato delle
principali inchieste che
hanno al centro la
corruzione e la politica.
Tra le più recenti quelle
sulla Lega Nord e su
Formigoni
Boccassini e Greco
i colleghi rivali
Nella sua lettera
Robledo accusa il capo
della procura di Milano
Bruti Liberati di aver
privilegiato i colleghi
Ilda Boccassini e
Francesco Greco
nell’assegnazione di
alcune indagini
riguardanti proprio la
corruzione
Ruby e San Raffaele
le indagini contese
Tra le indagini che
Robledo ritiene
spettassero a lui ci sono
quella sul fallimento
dell’ospedale San
Raffaele, quella su Ruby
e anche quella sulla
vendita di quote della
Sea, la società pubblica
che gestisce gli
aeroporti di Milano
tabelle e dettagliati criteri organizzativi d’ufficio sono il denominatore comune della
missiva in cui Robledo di fatto
lamenta l’aggiramento o la
violazione delle regole che dovrebbero far passare da lui le
notizie di reato rientranti nella
competenza specializzata del
suo dipartimento.
È il caso ad esempio del difetto di coordinamento che
Robledo addita appunto in una
nuova misteriosa inchiesta avviata dall’antimafia nell’aprile
2012, poi coassegnata a due
pm dei pool di Boccassini e
Robledo, ma (lamenta Robledo) fatta «per opportunità»
coordinare da Bruti a Boccassini benché ad avviso di Robledo
sembri riguardare nulla di mafia e tutto invece di corruzione.
E siccome il pool di Robledo
avrebbe in corso una precedente indagine su persone nel
mirino anche di quella di Boccassini, «evidente è il rischio
che importanti informazioni,
quali quelle emerse da intercettazioni telefoniche e ambientali, non potranno essere
utilizzate ove non confluiscano
nel medesimo procedimento».
Ma a ben vedere il vero motivo di attrito con Bruti appare
una differente concezione dei
limiti entro i quali abbiano asilo considerazioni di opportunità nelle tempistiche e modalità di trattazione dei fascicoli.
Lo si intuisce dal riassunto delle divergenze nel luglio 2011
all’inizio del procedimento sul
dissesto del San Raffaele di
don Verzé, partito come fascicolo di bancarotta su Daccò e
sfociato poi nel processo per
corruzione al presidente della
Regione Formigoni, sempre ad
opera del pool finanziario di
Greco. Robledo, di fronte ad
Roma Via agli interrogatori dei clienti. Le minori: così si entrava al motel
Floriani e Mussolini a messa
Il parroco: «Fra loro c’è unione»
ROMA — «Tra i due non c’è
conflitto, ma ancora unione»,
confidano sommessamente i
preti della parrocchia di Sant’Ippolito, vicino a piazza Bologna,
dove ieri mattina alle 10.30, a
sorpresa, sono arrivati insieme
per assistere alla messa Alessandra Mussolini e Mauro Floriani,
la coppia che era data ormai in
frantumi dopo la vicenda delle
baby squillo
dei Parioli e
che invece resiste, malgrado tutto, a testa alta.
Mussolini e
Floriani sono
sposati dal 28 ottobre del 1989 e,
a pochi mesi dalle nozze d’argento, ieri dopo la fine della cerimonia, sono andati a salutare il
celebrante, don Mauro Cianci,
50 anni, il parroco di Sant’Ippolito che è anche un loro caro
amico di famiglia. Quindi, sempre insieme, hanno partecipato
alla piccola festa organizzata
dalla comunità per salutare don
Jeremia Niaga Mugo, che tornerà presto a casa sua, in Kenya. Un
brindisi augurale che è servito a
riportare un po’ il sorriso sui loro volti segnati dalla grande tensione di questi giorni, anche
grazie alla presenza dell’allegro e
nutrito gruppo degli scout, di
cui fa parte la figlia primogenita,
Caterina Floriani Mussolini, 18
anni, pronipote del Duce, studentessa di Scienze Politiche alla
Luiss.
La chiesa di Sant’Ippolito era
22
Gli indagati
nell’inchiesta sulle
baby prostitute
piena, quasi duecento persone,
ma in pochi si sono accorti della
coppia, piuttosto defilata vicino
al coro. Mussolini e Floriani hanno ascoltato in silenzio le parole
della Genesi, i Salmi, la seconda
lettera di San Paolo apostolo a Timoteo, quindi il Vangelo secondo Matteo. Nessuno alla fine li ha
visti andar via, sfuggiti pure ai
numerosi paparazzi appostati da
una settimana nelle vie del quartiere Nomentano-Italia, intorno
alla casa della coppia illustre: «Le
vie della Parrocchia, come quelle
del Signore, sono infinite...»,
scherzava don Mauro, il parroco,
a fine giornata.
Oggi in tribunale, a piazzale
Clodio, cominceranno gli interrogatori dei clienti delle prostitute-bambine dei Parioli. Al momento gli indagati sono 22
(compreso Mauro Floriani, per
cui si profila il giudizio immediato) ma al termine degli accertamenti della Procura sul registro finiranno iscritti almeno 50
nomi, alcuni dei quali ancora in
corso di identificazione. E dalle
pagine del verbale dell’incidente
probatorio emergono nuovi racconti shock da parte di Angela e
Aurora, le due ragazzine sfruttate: «Quando andavamo in motel
i clienti prendevano le stanze
che davano sull’esterno, noi
aspettavamo fuori che ci aprivano la porta e poi entravamo. Così
non dovevamo passare per la
hall e non dovevamo dare i documenti, avrebbero visto che
eravamo minorenni». Ovvio il
sospetto: dunque, i clienti sapevano?
Fabrizio Caccia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
articoli di stampa che già nel
luglio 2011 collegavano un giro di fatture false alla creazione
di disponibilità per un importante politico, dice che propose al pool di Greco di coordinarsi subito per indagini urgenti, ma che Bruti, preoccup a to c h e e s s e p o te s s e r o
influire sulle trattative economiche in corso per scongiurare
il fallimento dell’ospedale e il
licenziamento di migliaia di
persone, il 25 luglio gli ingiunse di non indagare alcuno e di
non svolgere alcun atto di indagine «nel frattempo», e cioè
«fino a una riunione in settembre» (poi non più fatta).
Questa scelta per Robledo si è
posta «in insanabile contrasto
con il dettato costituzionale
dell’obbligatorietà dell’azione
penale», aprendo a «valutazioni di opportunità estranee allo
specifico ruolo istituzionale
Violazione
La denuncia: «Alcune
scelte sono in contrasto
con l’obbligatorietà
dell’azione penale»
I pool e le competenze
Secondo l’esposto sono
stati privilegiati i pool
guidati da Ilda Boccassini
e Francesco Greco
del pm»: soprattutto perché
questi «non consentiti spazi di
discrezionalità» avrebbero potuto «contribuire a creare zone
di opacità», a loro volta passibili di «consentire una strumentalizzazione del ruolo del
pm, sia pure involontariamente subìta».
Robledo contesta anche che
l’iscrizione di Berlusconi il 14
gennaio 2011 per concussione
e prostituzione minorile nel
processo Ruby sia avvenuta in
un fascicolo assegnato (senza
motivazioni) non al proprio
dipartimento competente sul
più grave reato di concussione,
ma ai pm Boccassini (capo dell’antimafia), Forno (capo del
pool reati sessuali) e Sanger-
mano (che dal pool criminalità
comune stava passando all’antimafia). E contesta che lo stesso stia accadendo adesso anche per il fascicolo (falsa testimonianza e corruzione in atti
giudiziari) scaturito dalle motivazioni delle sentenze Ruby
riguardo 30 testimoni, Berlusconi e i suoi avvocati, e assegnato ai pm Forno e Gaglio
(pool reati sessuali).
Infine c’è il già noto (Corriere della Sera 16 marzo 2012)
caso dell’intercettazione di Vito Gamberale il 14 luglio 2011
sull’asta Sea-Comune di Milano, che i pm fiorentini Turco e
Mione inviarono per competenza a Milano il 25 ottobre
2011 perché pareva captare un
bledo aggiunge al Csm è che,
sebbene il 9 dicembre Bruti lo
avesse chiamato per anticipargli che gli avrebbe girato il fascicolo (anche perché l’asta da
cui potevano dipendere i conti
del Comune di Milano del sindaco Pisapia si teneva di lì a
poco, il 16 dicembre), egli ricevette il fascicolo solo a distanza
di tre mesi, il 16 marzo 2012,
dopo che l’Espresso online e i
quotidiani avevano scritto del
fascicolo desaparecido. E Robledo afferma che, quando ne
chiese la ragione, Bruti il 23
marzo gli avrebbe risposto di
averlo «dimenticato in cassaforte».
Luigi Ferrarella
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Società di Investimento a Capitale Variabile di diritto Lussemburghese
24, rue Beaumont, L-1219 Luxembourg - R.C.S. Luxembourg B 126927
AVVISO
ORDINE DEL GIORNO
DELL’ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL 1° APRILE 2014
I Signori azionisti sono invitati a partecipare all’assemblea generale ordinaria della Società che si terrà alle ore 11.00 del giorno 1 APRILE 2014 presso la sede legale della
SICAV (24, rue Beaumont, L-1219 Luxembourg), al fine di deliberare sul seguente ordine del giorno:
AGENDA
1. Esame del rapporto del Consiglio di Amministrazione e del rapporto del revisore per
l’esercizio chiuso il 31 dicembre 2013.
2. Approvazione dei conti annuali per l’esercizio chiuso il 31 dicembre 2013.
3. Destinazione degli utili d’esercizio.
4. Manleva agli Amministratori e al Revisore per l’esecuzione del loro mandato per
l’esercizio chiuso il 31 dicembre 2013.
5. Nomine statutarie.
6. Determinazione dell’importo complessivo degli emolumenti da corrispondere agli
amministratori per l’esercizio 2014.
7. Varie ed eventuali.
Gli azionisti che desiderano partecipare all’Assemblea devono manifestare l’intenzione
almeno cinque giorni prima della data di convocazione presso i seguenti istituti:
Per l’Italia:
State Street Bank S.p.A.
Société Générale Securities Services S.p.A.
Via Ferrante Aporti 10
Via Santa Chiara 19
I-20125 Milano
I-10122 Torino
Banca Sella Holding S.p.A.
Allfunds Bank S.A., Italian Branch
Via Italia 2
Via Santa Margherita 7
I-13900 Biella
I-20121 Milano
Per il Lussemburgo:
Allfunds Bank:
Presso la sede della Società:
Presso i collocatori
24, rue Beaumont L-1219 Luxembourg
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Dipartimento della Gioventù
e del Servizio Civile Nazionale
Avviso di aggiudicazione di appalto
Amministrazione Aggiudicatrice: Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Gioventù
e del Servizio Civile Nazionale - via della Ferratella
in Laterano, n. 51 - 00184 Roma. Oggetto: Affidamento del servizio di Assistenza Tecnica alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della
Gioventù e del Servizio Civile Nazionale per il supporto alle Regioni dell’Obiettivo Convergenza, per
la realizzazione delle linee di attività a valenza trasversale (limitatamente alla linea 1.1) e regionale
del POAT “per la Gioventù” 2013-2015. Bando di
gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione
Europea S 141-245734-2013 - IT del 23/07/2013 e
sulla GURI n. 88 del 29/07/2013 - 5a Serie Speciale.
Procedura: Aperta ai sensi dell’art. 55 comma 5 del
D.Lgs. 163/06 con aggiudicazione a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Aggiudicatario: ATS Fondazione CRUI - P.A. Advice SpA e
Fleurs International Srl. Data decreto aggiudicazione definitiva: 22 gennaio 2014. Importo a base
d’asta: € 1.500.000 Iva esclusa. Importo di aggiudicazione: € 921.600,00 Iva esclusa. Pubblicazione dell’esito di gara sulla GUUE: GU/S S30
48867-2014-IT 12/02/2014. Pubblicazione dell’esito di gara sulla GURI: N. 20 5^ serie speciale
del 19 febbraio 2014. Responsabile Unico del Procedimento: Dott. Crescenzo Rajola.
COMANDO GENERALE
DELL’ARMA DEI CARABINIERI
Servizio Amministrativo
Sezione Contratti
AVVISO DI GARA
Presso questo Comando sarà esperita la
gara a procedura ristretta accelerata per la
fornitura di 1 veicolo protetto livello BR/7. Il
bando di gara, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 29 del
12/03/2014 - 5^ Serie Speciale “Contratti
Pubblici”, può essere visionato, altresì,
presso questo Comando Generale - Ufficio
Relazioni con il Pubblico, Piazza Bligny, n. 2
Roma, ovvero sui siti internet www.carabinieri.it sez. “Le gare d’appalto”, www.serviziocontrattipubblici.it e www.avep.it.
d’ordine
Il Capo del Servizio Amministrativo
RIPARTIZIONE LEGALE,
ATTI NEGOZIALI ED ISTITUZIONALI
AREA AFFARI NEGOZIALI
UFFICIO APPALTI E CONTRATTI
ESTRATTO BANDO DI PROCEDURA APERTA
Codice Cig: 5640687A28
1. Amministrazione Aggiudicatrice: Università
del Salento - Area Affari Negoziali - Piazza Tancredi, 7 - 73100 Lecce - telefono: 0832.292319
- Fax: 0832-292345 - Posta Elettronica:
[email protected]; 2. Denominazione conferita all’appalto: “Procedura
aperta per l’acquisizione di attrezzatura tecnico
- scientifica nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Ricerca e competitività (PON
“R&C”) 2007 - 2013 - Progetto PONa3_00334
2HE - “Potenziamento del Centro di Ricerche
per la salute dell’Uomo e dell’Ambiente” - CUP:
F81D1000210007 - CODICE CIG: 5640687A28
Importo a base d’asta pari ad € 374.000,00
oltre IVA. 3. Procedura di aggiudicazione:
Procedura aperta da aggiudicare con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai
sensi dell’art. 83 del D. Lgs. 163/2006. 4. Durata dell’appalto o termine di esecuzione:
120 giorni dalla sottoscrizione del contratto o
il diverso termine di cui all’articolo 3 del Capitolato Speciale d’Appalto. 5. Documenti contrattuali: i documenti possono essere scaricati
dal sito internet www.unisalento.it; 6. Scadenza fissata per la ricezione delle offerte:
ore 13 del 30 aprile 2014. 7. Responsabile del
Procedimento: Dott. Alessandro Quarta, tel.
0832-292319 - fax: 0832 - 292345 - [email protected]. Per quanto non
specificato si rimanda al bando di gara integrale
ed al relativo Capitolato Speciale d’Appalto ed
agli altri atti di gara, tutti scaricabili dal sito internet dell’Università del Salento all’indirizzo
www.unisalento.it. Il Bando integrale è stato
pubblicato sulla GUCE in data 13 marzo 2014.
Lecce, 13 marzo 2014
Il DIRETTORE GENERALE
Avv. Claudia De Giorgi
Per la pubblicità legale
e finanziaria rivolgersi a:
RCS MediaGroup S.p.A.
Via Rizzoli, 8 - 20132 Milano
ColombiC&E
22
TOD’S S.p.A.
CAPITALE SOCIALE EURO 61.218.802 I.V.
SEDE SOCIALE IN SANT’ELPIDIO A MARE (FM) – VIA FILIPPO DELLA VALLE N. 1
CODICE FISCALE E NUMERO DI ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE DI FERMO 01113570442
E-VAI CAR SHARING
AVVISO DI PROCEDURA DI VENDITA
SEMS Servizi per la Mobilità Sostenibile S.r.l., con sede legale in Milano (MI), Piazzale
Cadorna 14, iscritta al Registro delle Imprese di Milano (di seguito, “Sems”), società
controllata da FNM S.p.A. che detiene un ramo d’azienda di car sharing denominato
e-vai (di seguito, “E-vai”)
RENDE NOTO CHE
intende procedere alla cessione del ramo d’azienda E-vai attraverso una procedura
di vendita disciplinata in conformità con l’avviso di vendita integralmente riportato
in apposita sezione del sito internet di Sems (www.semsgroup.it).
Le manifestazioni di interesse non vincolanti relative all’acquisto di E-vai dovranno
pervenire a Sems entro e non oltre 60 giorni dalla data di pubblicazione del presente
avviso di vendita, e quindi entro le ore 12.00 del giorno 16 maggio 2014. A tal fine i
soggetti interessati potranno, entro e non oltre 30 giorni dalla data di pubblicazione
del presente avviso, richiedere la trasmissione di apposito information memorandum.
Si precisa che il presente annuncio è unicamente finalizzato a sollecitare
manifestazioni d’interesse all’acquisto e non costituisce in alcun modo una proposta
contrattuale, né comporta alcun obbligo o vincolo a carico di Sems.
COMUNE DI BRONTE
(PROVINCIA DI CATANIA)
ESITO DI GARA
Si rende noto che in data 26/07/2013
e seguenti è stata esperita la procedura aperta ai sensi dell’art. 54
comma 2 del D.leg.vo 163/2006, per
l’affidamento del servizio di “Manutenzione, conduzione, raccolta,
trasporto e smaltimento fanghi dell’impianto di depurazione delle acque
reflue di c.da Sciarotta a servizio della
civica fognatura per la durata di anni
due”. Importo a base d’asta: €
972.373,42. Ditte partecipanti n. 8. E’
risultata aggiudicataria l’impresa
ECO.TRAS. di Turrisi Claudio & C
sas, con sede in Bronte (CT),
via Etna, 10, per l’importo di €
782.407,53 al netto del ribasso d’asta
del 19,951% offerto in sede di gara
oltre € 20.211,16 quali oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso.
Bronte, li 14/03/2014
Il Dirigente Tecnico
Dott. Ing. Salvatore Caudullo
INNOVAPUGLIA S.p.A.
Strada Provinciale
per Casamassima, Km 3
70010 Valenzano (Bari)
P.I. 06837080727
AVVISO DI GARA
Lotto 1 CIG 563124498C
Lotto 2 CIG 5631269E2C
E’ indetta una gara a procedura aperta per
l’affidamento della “Realizzazione del Sistema Informativo della Centrale di Controllo regionale del TRAsporto delle Merci
PERicolose (TRAMPER)”, suddivisa in due
lotti. La gara è effettuata secondo le procedure fissate dal D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. Il
bando di gara è stato inviato il 27/02/2014
per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
della UE e della Repubblica Italiana e sul
Bollettino Ufficiale della Regione Puglia. La
documentazione è disponibile in formato
elettronico (www.innova.puglia.it) e cartaceo, ritirabile presso InnovaPuglia. Le domande di partecipazione devono essere
presentate entro il termine perentorio delle
ore 12.00 del 28/04/2014. Responsabile del
procedimento è il Responsabile Acquisti e
Gare: Ing. Antonio Scaramuzzi.
Il Direttore Generale
Dr. Francesco Saponaro
Via B. Alimena, 105 - 00173 Roma
Avviso di gara per via telematica n. 4/2014
Avviso per estratto
Si comunica che è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 31 del
17/03/2014 Parte V, nell’Albo della Società
CO.TRA.L. S.p.A., sul sito informatico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Bando
di gara n. 4/2014 relativo alla Procedura Aperta da
esperirsi mediante Richiesta di Offerta in Busta
Chiusa Digitale, gestita interamente per via telematica, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo
più basso, ai sensi degli artt. 77 comma 6, 82 e
220 del D.Lgs n. 163/2006 e s.m.i., per l’affidamento dei servizi di revisione dei cambi automatici
ZF installati sugli autobus della flotta Co.Tra.L.
S.p.A. Importo complessivo presunto dell’appalto: € 1.632.000,00, più IVA, esclusi gli oneri
della sicurezza non soggetti a ribasso d’asta, pari
a € 250,00, ed esclusi i costi del personale non
soggetti a ribasso d’asta, pari ad € 288.000,00.
Durata del servizio: 24 mesi, incluso il mese
di agosto. C.I.G.: 5620765203. Scadenza del
termine per la presentazione delle offerte
sul Portale Acquisti CO.TRA.L.: ore 12,00 del
30/04/2014. L’Avviso integrale può essere consultato nel sito Co.Tra.L. S.p.A. www.cotralspa.it
nell’Area Business, sezione bandi di gara.
L’Amministratore Delegato
Vincenzo Surace
CONSORZIO DI BONIFICA
PIANURA DI FERRARA
AVVISO DI GARA - FORNITURA GASOLIO
Amministrazione appaltante: Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara - Via Borgo dei Leoni 28
- 44121 Ferrara FE - C.F. 93076450381 - PEC
[email protected]. Recapiti
ai fini dell’appalto: Sezione Appalti e Contratti tel. 0532.218121/2/3/4. Si rende noto che questo Consorzio ha indetto una procedura aperta
per l’affidamento del contratto di fornitura di gasolio per autotrazione e agricolo nel triennio
01/07/2014 - 30/06/2017, con facoltà di proroga semestrale. Importo a base d’appalto
€ 2.206.750,00 (al lordo delle accise e al netto
di IVA). CIG 56376797E1. Le offerte devono
pervenire entro il 28 aprile 2014. Il bando, unitamente all’altra documentazione di gara e agli
elaborati di progetto, sono resi disponibili alla
consultazione e all’acquisizione autonoma da
parte degli interessati sul sito web del Consorzio, all’indirizzo www.bonificaferrara.it, sezione
Sportello contratti pubblici, percorso Pre-informazione / Bandi - Procedure aperte e ristrette in
corso / Forniture. Il bando è altresì in pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea S52 del 14 marzo 2014, nonché, tra l’altro,
sul sito web SITAR della Regione Emilia-Romagna, che assolve ai compiti di sede regionale
dell’Osservatorio dell’Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici.
f.to il Presidente - Dott. Franco Dalle Vacche
AVVISO DI CONVOCAZIONE ASSEMBLEA ORDINARIA
I Signori Azionisti sono convocati in Assemblea Ordinaria presso la sede della Società in Sant’Elpidio a Mare (FM), Via Filippo Della
Valle n. 1, in prima convocazione per il giorno 17 aprile 2014 alle ore 9:00 ed, occorrendo, in seconda convocazione per il giorno
23 aprile 2014, stessi luogo ed ora, per deliberare sul seguente
ORDINE DEL GIORNO
1. Bilancio d’esercizio al 31.12.2013; Relazione degli Amministratori sulla gestione; Relazione del Collegio Sindacale e Relazione
della Società di Revisione; destinazione dell’utile; deliberazioni inerenti e conseguenti.
2. Autorizzazione all’acquisto e alla disposizione di azioni proprie ai sensi degli artt. 2357 e seguenti del codice civile, nonché
dell’art. 132 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, previa revoca della deliberazione assunta dall’Assemblea del 19
aprile 2013 per quanto non utilizzato; deliberazioni inerenti e conseguenti.
3. Relazione sulla remunerazione ai sensi dell’art. 123-ter del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58; deliberazioni inerenti e
conseguenti.
Possono intervenire in Assemblea i soggetti cui spetta il diritto di voto in favore dei quali gli intermediari autorizzati abbiano
effettuato l’apposita comunicazione alla Società sulla base delle evidenze dei conti relative al termine dell’8 aprile 2014 (record
date); coloro che diventeranno titolari delle azioni successivamente a tale data non avranno il diritto di intervenire e di votare in
Assemblea.
Per ogni informazione inerente a (i) modalità di intervento in Assemblea (anche tramite delega), (ii) diritto di porre domande sulle
materie all’ordine del giorno e (iii) diritto di chiedere l’integrazione dell’elenco delle materie da trattare o di presentare proposte
di deliberazione, si rinvia al testo integrale dell’avviso di convocazione pubblicato sul sito internet della Società all’indirizzo www.
todsgroup.com.
Si rammenta che: (i) la Relazione sulle materie all’ordine del giorno prevista dall’art. 125-ter D. Lgs. n.58/98 viene messa a
disposizione del pubblico in data odierna presso la sede sociale e sul sito internet della Società all’indirizzo www.todsgroup.com;
(ii) la Relazione Finanziaria Annuale, le Relazioni del Collegio Sindacale e della Società di Revisione, la Relazione sul governo
societario e gli assetti proprietari e la Relazione sulla remunerazione saranno messe a disposizione del pubblico entro il 26 marzo
2014 con le modalità previste dalla normativa, anche regolamentare, vigente.
Sant’Elpidio a Mare, 17 marzo 2014
Per il Consiglio di Amministrazione
Il Presidente
Dr. Diego Della Valle
COMUNE DI SPOLETO
AVVISO ESPLORATIVO
(indagine di mercato)
PER MANIFESTAZIONE DI INTERESSE A PARTECIPARE ALLA GARA INFORMALE AI SENSI DEL
REGOLAMENTO EX ART. 238, comma 7, del D.LGS 163/2006 DI NETHUN S.P.A. approvato con
delibera del CDA n. 19 del 21 settembre 2012 PER L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO di ANALISI
DI PROCESSI MARITTIMO PORTUALI E DEFINIZIONE DEL CORRISPONDENTE DATA MODEL
Si comunica che la scrivente società, intende procedere alla individuazione degli operatori economici da invitare alla procedura ristretta per l’affidamento dei servizi relativi allo “SVILUPPO di analisi di processi marittimI portuali e definizione del corrispondente Data Model”, da realizzare
nell’ambito del progetto comunitario “EASY CONNECTING” (CUP F75I13000180005) co-finanziato
dal Programma “IPA ADRIATIC CBC”, tra le attività assegnate alla scrivente dall’Autorità Portuale
di Venezia. Gli operatori interessati, dovranno formulare la richiesta di partecipazione alla gara secondo le modalità appositamente indicate nell’avviso sul sito www.nethun.it. Importo a base di
gara: € 70.000,00 + IVA. Gli operatori che risponderanno ai requisiti indicati nell’avviso di cui
sopra saranno invitati a partecipare alla gara con successiva lettera di invito.
Il Direttore Generale - ing. Tommaso Riccoboni
Le candidature, complete della relativa documentazione, potranno essere trasmesse via corriere
espresso o posta prioritaria presso Nethun S.p.A., in Stazione Marittima Fab. 103 - 30135 Venezia
- Italia, ovvero via e-mail ordinaria oppure via PEC all’indirizzo [email protected]. Le richieste
dovranno pervenire entro e non oltre le ore 12.00 del giorno 31 marzo 2014.
ADRIA - Lotto Unico del compendio formato da beni immobili, impianti
chimici e da beni mobili in Loc. Cavanella Po, Via Maestri del Lavoro n. 85: a)
Complesso immobiliare ad uso impianto chimico, il tutto per una sup. lorda
compl. di ca. ha 8.50.90. Liberi. Abusi edilizi. Il tutto come meglio descritto nella relazione della Geom. Caterina Ferrari. Relativamente alle caratteristiche del terreno e
delle falde acquifere si rimanda alla relazione del Geologo Roberto Cavazzana. b)
Impianti chimici esistenti ed insistenti sugli immobili sopra descritti. Impianti
fermi e bonificati, come meglio descritto nella relazione dell'Ing. Laura Armanini. c)
Beni mobili elencati nella relazione di stima del Geom. Caterina Ferrari. Prezzo
base: Euro 2.900.000,00 con rilancio minimo di Euro 50.000,00. Curatore
Dott. Stefano Rizzo, tel. 0425 25726, cell. 347 0605686 Vendita ad offerte segrete per
il giorno 13/6/2014 ad ore 10.00 presso il Tribunale di Rovigo. Fall. n. 24/11
BANDO DI GARA con procedura aperta
Oggetto: fornitura “chiavi in mano” di una suite applicativa gestionale completamente integrata e comprensiva dei relativi servizi di assistenza e manutenzione da
svolgersi per sei anni. Importo: euro 400.000,00 oltre
IVA. CIG: 56320789C9. Documenti di gara disponibili
sul sito internet www.comunespoleto.gov.it. Termine
presentazione offerte: ore 13:00 del 16/04/2014.
Spoleto, 04/03/2014
Il Dirigente - dr. Vincenzo Russo
CASSA DEPOSITI E PRESTITI SPA
Avviso di aggiudicazione
1) Ente aggiudicatore: Cassa depositi e prestiti S.p.A.
- Servizio Acquisti - via Goito n.4 - 00185 Roma - [email protected] - tel: +39 064221 (2605) (4528)
- Fax: +39 0642212543. 2) Tipo di procedura e criterio di aggiudicazione: procedura ristretta ai sensi
dell’art. 55 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i., da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa. 3) Oggetto dell’appalto: Servizi di consulenza strategica, gestionale e aziendale in favore di
Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. Lotto 5 - Servizi di
consulenza per la redazione della normativa aziendale
- CIG 4671319E5F. 4) Durata dell’appalto: 36 mesi
(con eventuale proroga/rinnovo alle medesime condizioni, per ulteriori 36 mesi). 5) Importo d’appalto:
Lotto 5 - Euro 375.000,00 oltre IVA (oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso assenti); importo
comprensivo dell’eventuale proroga/rinnovo. 6) Affidatario: KPMG Advisory S.p.A. - via Ettore Petrolini,
n. 2 - 00197 Roma. 7) Importo di aggiudicazione:
€ 375.000,00 oltre IVA (per i primi 36 mesi). 8) Data
di aggiudicazione definitiva: 28/02/2014. 9) Responsabile del procedimento per la fase di affidamento: Responsabile del procedimento per la fase di
affidamento è Avv. Anna Mazzeo.
Via Rizzoli, 8 - 20132 Milano
Tel. 02 2584 6665 o 02 2584 6256
Fax 02 2588 6114
Vico II San Nicola alla Dogana, 9
80133 Napoli
Tel. 081 49 777 11 - Fax 081 49 777 12
Via Valentino Mazzola, 66/D
00142 Roma
Tel. 06 6882 8650 - Fax 06 6882 8682
Via Villari, 50 - 70122 Bari
Tel. 080 5760 111
Fax 080 5760 126
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Cronache 23
#
Roma L’omicida è un maresciallo dell’Aeronautica. In serata ad Albano un’aggressione identica: la donna è grave
Uccisa a colpi di martello dal marito
Si stavano separando. La vittima trovata dai figli gemelli di 9 anni
ROMA — Fuma una sigaretta
dopo l’altra il maresciallo Eraldo
Marchetti. Sembra calmo, alterna silenzi a dichiarazioni. Parla e
ritratta, seduto davanti ai poliziotti e al pm che lo interrogano
nel commissariato di Colleferro.
Gli investigatori sono stupiti dal
suo atteggiamento visto che dal
dramma che ha distrutto la sua
famiglia sono passate soltanto
poche ore. «Il verbale lo firmo
solo quando arriva l’avvocato»,
avverte il sottufficiale dell’Aeronautica che però, con il difensore accanto, si rifiuta di sottoscrivere — e ciò avviene più volte —
il racconto dell’omicidio della
moglie, Maria Manciocco, 47
anni, maestra in una scuola
d’infanzia a Segni, a una sessantina di chilometri da Roma. Il
maresciallo Marchetti, 53 anni,
originario di Colleferro, in servi-
zio a Frosinone, è stato arrestato
ieri sera per omicidio volontario
e portato nel carcere di Velletri.
Nella prima mattinata ha aggredito la moglie con una mazzetta
da muratore al culmine dell’ultimo litigio. Una micidiale serie
di colpi alla testa — almeno
quattro — che non hanno lasciato scampo alla donna, morta
un’ora più tardi in ospedale.
Nella casa in via Vittorio
Emanuele, in campagna, c’erano anche i gemelli della coppia,
un maschio e una femmina, di 9
anni: non è chiaro se abbiano
assistito all’omicidio, ma hanno
sicuramente trovato la madre
agonizzante in salotto, vicino al
divano dove il padre aveva dormito sabato notte. Sconvolti
hanno preso il telefono e chiamato una zia che abita poco lontano: «Corri, aiutaci, la mamma
non si muove!». I piccoli sono
stati affidati alla parente, non si
esclude che possano essere
ascoltati nelle prossime settimane con l’aiuto degli psicologi.
Sempre ieri, in serata, a Cecchina, vicino Albano (Castelli romani), un altro bimbo, di 7 anni,
ha assistito al ferimento della
mamma, una romena di 45 anni, colpita alla testa con una statuina dal marito, un medico romano di 47, poi fermato dai carabinieri. La donna è finita in
ospedale in codice rosso.
Un altro matrimonio in crisi,
come quello della maestra con il
maresciallo, a sentire i familiari
della donna, interrogati dalla
polizia. Le cose andavano male
almeno da otto mesi, ma il marito si era sempre rifiutato di lasciare il tetto coniugale, anche
se di solito dormiva a casa della
madre a Colleferro. «Litigavano
spesso, da un po’ sembrava si
fossero riconciliati. Avevano avviato le pratiche per la separazione. Lei era una bella donna e
lui era molto geloso», racconta-
Le indagini
Il matrimonio da tempo
era in crisi, lei subiva
maltrattamenti ma non
li aveva mai denunciati
La testimonianza
I piccoli hanno
telefonato a una zia
urlando: «Corri, la
mamma non si muove»
no i vicini. Che il matrimonio
fosse agli sgoccioli lo hanno
confermato anche i parenti della
maestra, originaria di Gorga,
piccolo paese fra Roma e Frosinone, ma secondo la polizia non
tanto per la gelosia del marito.
«Piuttosto era lui a voler comandare sempre, si sentiva il
padrone. Faceva quel che voleva
— hanno riferito agli investigatori —. E Maria si era stancata
del suo comportamento». Forse
ieri la donna ha lanciato l’ultimatum al maresciallo affinché
se ne andasse di casa. Ma questa
volta Marchetti — il raptus non
è stato confermato, secondo gli
investigatori potrebbe aver agito
con premeditazione — si è avventato su di lei massacrandola
con la mazzetta presa in garage.
Poi è uscito e in auto è andato a
costituirsi al commissariato di
Colleferro. «Ho ucciso mia moglie», ha detto. In realtà all’arrivo dei soccorritori nella palazzina con giardino — ora sotto sequestro, sulla porta è stata lasciata una rosa con un biglietto:
«Riposa in pace e proteggi i tuoi
ragazzi» — Maria era ancora viva. E ora dai racconti di chi la conosceva emerge il sospetto di
maltrattamenti in famiglia:
«Aveva parlato con qualcuno,
anche con un legale — è una
delle testimonianze —, ma poi
non l’aveva mai denunciato».
Un aspetto, insieme con lo stato
di servizio del maresciallo, che
gli agenti del commissariato, diretti da Antonio Giordano, vogliono approfondire visto che
non risultano denunce, né interventi di polizia o carabinieri.
Rinaldo Frignani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervista Jessica Rossi e la scelta di pubblicare le foto dei lividi dopo l’aggressione del suo ex. L’avvocato: «È precaria, non ha periodi di malattia»
Prima
e dopo
Jessica Rossi, 23 anni, di
Grosseto, ha
pubblicato
su Facebook
il suo volto
tumefatto a
causa delle
botte subite
dall’ex fidanzato accanto
alle foto che
la vedono
sorridente.
Ora le stanno arrivando
messaggi di
solidarietà
da tutta Italia
«Mostro il mio viso
per le donne violate»
Ma ha perso il lavoro
FIRENZE — È uscita dall’ospedale ieri mattina. Con il naso fratturato, l’occhio sinistro tumefatto con il quale vede soltanto ombre, sorda da un orecchio. L’hanno operata già una volta,
forse dovrà subire un altro intervento
chirurgico e intanto ha perso il lavoro
da precaria. «Ma quello che mi fa più
male — spiega Jessica — non sono le
ferite. È il dolore inspiegabile. Chiudo
gli occhi e vedo lui che mi colpisce. Non
mi ha solo rotto il naso e devastato il viso, mi ha frantumato l’anima».
Jessica Rossi, 23 anni, commessa in
un negozio di borse nel centro di Grosseto e giocatrice di pallavolo, racconta
l’aggressione subita dall’ex fidanzato di
21 anni mentre sul telefonino continua
a ricevere messaggi di solidarietà. «Sei
grande Jessy», «Brava, combatti questa
battaglia», «Siamo tutti con te».
«Ci ho messo la faccia due volte —
scherza con un sorriso amaro Jessica —
quando ho cercato di parlare con un ragazzo infuriato e violento e poi quando
ho deciso di pubblicare il mio viso sfigurato. Lo rifarei altre mille volte. E non
per me, ma per tutte quelle donne che
hanno subito la mia stessa esperienza,
per le ragazze violate, picchiate, trattate
come fantocci da massacrare».
Giura di non essere una ragazza im-
pulsiva, Jessica. Per il sentimento che
provava verso il fidanzato, ha sopportato anche altre angherie e oggi capisce di
aver sbagliato. «Mi aveva picchiato altre tre volte — racconta — schiaffi, ceffoni. Prima di Natale l’ho lasciato e lui
ha continuato a tormentarmi. Poi mi ha
implorato, voleva un ultimo chiarimento. E ci sono cascata».
C’è un’indagine e l’avvocato Alessio
Scheggi, al quale la ragazza si è rivolta e
ha chiesto di far pubblicare sui giornali
quelle foto dello scempio subito, non
esclude anche una denuncia per
stalking. Jessica ha raccontato di essere
stata portata dall’ex sulla strada della
Giannella, vicino alla spiaggia e alla pineta di Orbetello. «Mi ha sferrato un
pugno in faccia, altri colpi alla cieca,
sembrava impazzito», ricorda Jessica e
fa impressione guardarla negli occhi.
Sono diversi da quelli della ragazza allegra che ci guardano sul suo profilo
Facebook.
A un tratto la «mitica centrale» di 1
metro e 78 della squadra femminile di
pallavolo dei Vigili del Fuoco di Grosseto, serie D, ha un sussulto: «Ho avuto
l’istinto di accendere il telefonino e registrare le sue parole. Mi urlava “ora
t’ammazzo” e mi voleva portare nella
pineta. Allora io ho tolto le chiavi dal
Il racconto
«Ho l’anima a pezzi,
mi ha rotto il naso
e ho problemi
a un orecchio.
Dovranno operarmi
di nuovo»
2 01 4
Annega
per salvare
il cane
BERGAMO — Quando ha
visto che il suo cane, forse
spinto dalla bella
giornata, si è diretto verso
le acque del Brembo, lei
non ci ha pensato due
volte e lo ha seguito per
recuperarlo. Temeva che
la corrente lo portasse
via. Invece questa sorte è
toccata proprio a lei:
Chiara Pirola, studentessa
universitaria di San
Giovanni Bianco
(Bergamo), è morta ieri a
25 anni, annegata nel
fiume Brembo, in valle
Brembana. Una tragedia
che si è consumata di
fronte al fidanzato e al
padre della ragazza, i
quali si sono a loro volta
gettati in acqua nel
tentativo di soccorrerla.
La corrente del fiume in
quel tratto era molto forte
e Chiara è stata
risucchiata sott’acqua,
annegando in pochi
attimi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
quadro della sua Punto e ho aperto lo
sportello per scappare. Lui mi ha bloccato, mi tirava i capelli, continuava a
colpire. Poi sono arrivati due angeli».
I due angeli sono giardinieri comunali. Sentono le grida della ragazza,
corrono verso l’auto, bloccano l’aggressore, chiamano i carabinieri e un’ambulanza. «Il primo ricovero è a Orbetello, poi mi trasferiscono a Grosseto —
continua Jessica — e qui mi operano
una prima volta al setto nasale fratturato. Però ho ancora problemi a un occhio
e a un orecchio, dovranno operarmi di
nuovo. Anche il collo ha subito conseguenze, devo portare il tutore».
La prognosi è di un mese, forse ne
serviranno due. «E così ha perso anche
il lavoro — spiega l’avvocato
Scheggi — perché la mia assistita è una precaria a chiamata e
dunque senza un periodo di malattia».
Jessica ha appena ricevuto un
messaggio dal suo aggressore.
L’ha girato all’avvocato senza leggerlo. «Mi dispiace per tutto, sai
che non avrei voluto farti male»,
c’è scritto. E le parole sembrano un
altro pugno in faccia. Lei dice di
averne in memoria altre centinaia
di messaggi, bellissimi, luminosi
straordinari: «Mi stanno scrivendo
da tutt’Italia, mi danno coraggio.
Quello più bello è di un ragazzo. Mi
ha detto di essersi vergognato d’essere un uomo, di aver pianto nel leggere
la mia storia e nel vedere il mio volto
sfigurato. Lo ringrazio tanto».
Marco Gasperetti
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
MCE
Bergamo
Circeo
Muore
scalando
gli scogli
ROMA — Gianluca
Masala, di San Felice
Circeo, 20 anni, è morto
ieri pomeriggio
precipitando dalle rocce
del Monte Circeo. Secondo
quanto ricostruito dai
sanitari dell’elisoccorso, il
giovane sarebbe salito
sulla montagna per far
colpo sugli amici, quando
ha perso la presa ed è
caduto nel vuoto da una
decina di metri. I ragazzi
avevano approfittato della
bella giornata di sole per
raggiungere il mare,
quando uno di loro ha
deciso di arrampicarsi
sugli scogli. Il 20enne ha
perso la presa sulla parete:
prima ha sbattuto sulle
rocce e poi è precipitato in
mare. Un amico si è
gettato in acqua per
recuperarlo ed è riuscito a
portarlo sugli scogli.
Gianluca è morto poco
dopo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
24
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Cronache 25
Il caso Gli strumenti di segnalazione spenti prima del messaggio alla torre di controllo. Gli analisti Usa: è scomparso nel «punto perfetto»
Il mistero dei cieli
La rotta
I sistemi
di comunicazione
INDIA
MYANMAR
LA
LAO
LAOS
AO
A
O
Ultimo
contatto
radar
Acars
È il sistema che
trasmette via satellite
o radio Vhf i dati sul
funzionamento del jet
A bordo del volo scomparso
è stato chiuso all’1.10
Transponder
Invia un segnale
di quattro cifre
che permette ai radar
di identificare l’aereo
Durante il tragitto
è stato spento all’1.21
Radio
L’ultimo contatto
tra velivolo e torre
di controllo
e alle ore 1.30
La comunicazione del
presunto pilota: «Tutto ok»
Radar
Quelli militari riescono
a «vedere» tutti i velivoli:
è così che hanno capito
che il 777 era diretto
verso Ovest
Segnale di emergenza
Il dispositivo si trova
nella coda e dovrebbe
segnalare
automaticamente
se il jet precipita
al suolo
Scatola nera
Registra tutti
i dati di volo
e le comunicazioni audio.
Dovrebbe inviare
un segnale quando viene
a contatto con l’acqua
Satellite
Il 777-200 scomparso
inviava alcuni dati
a un satellite britannico
della compagnia
Inmarsat
Fonte: Governo della Malaysia, Dipartimento dell’aviazione civile della Malaysia, Flightradar24.com, Malaysia Airlines, Gebco, Skyvector, Reuters, Associated Press, Boeing, Wall Street Journal, Washington Post – tutti gli orari sono relativi al fuso locale
Il limite di volo
40.000 del Boeing 777
scomparso dal radar civile nel «punto perfetto», al confine tra lo spazio aereo malese e
quello vietnamita. Una zona grigia. Interessante anche la sequenza chiusa in una ventina
di minuti. Disattivazione dell’Acars, spegnimento del transponder, quindi l’ultimo messaggio del pilota o di uno che lo impersonava:
«Tutto ok, buona notte». Forse un tentativo di
rassicurare nel caso che da terra si fossero accorti che il flusso di dati si era interrotto. Dire
che il volo fila liscio, virare verso Ovest, quindi la «fuga» con i cambi di quota. Manovre
magari causate da una lotta a bordo o da scelta
deliberata. Nota: se è stato il pilota ha provato
Il simulatore
Poco dopo il jet
scende a quota
23.000 piedi
(circa 7.000 metri)
30.000
20.000
10.000
Il volo MH370
decolla alle 00.41
da Kuala Lumpur
(Malaysia)
0 minuti dal decollo
MALAYSIA
CORRIERE DELLA SERA
L’aereo sale a 45.000 piedi
(13.700 metri), sopra il limite
approvato per quel modello
Il velivolo raggiunge
l’altezza di crociera
a 35 mila piedi
(circa 10.700 metri)
I due corridoi
dove è stato
rintracciato
l’aereo sette
ore e mezza
dopo il decollo
INDONES
ES
ESIA
Indagini su comandante e vice. A bordo c’era un ingegnere aeronautico
Il volo
CAMBOGI
CA
AMBOGIIA
THAILANDIA
LANDIA
LA
ANDIA
ANDIA
AN
N
Kuala Lumpur
Il Boeing era già invisibile ai radar
quando il pilota disse «è tutto ok»
50.000
piedi
VIETN
ETNAM
ETN
TN
NAM
N
AM
20
di GUIDO OLIMPIO
e GUIDO SANTEVECCHI
Che cosa è successo nella cabina del Boeing
777-200 nella notte di sabato 8 marzo? I servizi segreti americani sono convinti che «quelli
lì dentro», nel muso dell’aereo, siano i responsabili di un caso capace di cambiare la
storia dell’aviazione civile. Anche perché è
emerso un nuovo elemento confermato dalle
autorità locali: quando c’è stato l’ultimo contatto radio tra cabina e controllori sia il sistema di trasmissione dati Acars che il transponder erano già stati spenti. Operazioni che richiedono una certa preparazione. È dunque
l’intelligence Usa che spinge i malesi a passare
al setaccio la vita dei piloti e dell’equipaggio
del volo MH370 decollato da Kuala Lumpur e
mai arrivato a Pechino. «Volevano delle ragioni per indagare su di loro, gliele abbiamo date», dicono a Washington.
La ricerca
diventa caccia
«Stiamo ricentrando le indagini su equipaggio e passeggeri», ammettono le autorità
di Kuala Lumpur. Le direzioni seguite sono
sequestro dell’aereo, sabotaggio, terrorismo,
anche lo stato mentale del personale di terra
Saltano tutte
le comunicazioni
tra torre di controllo
e Boeing 777-200
40
60
verrà verificato, ha spiegato il capo della polizia. La ricerca del Boeing o dei suoi resti si
svolge lungo un arco con un diametro di 8 mila chilometri, coinvolge ormai 25 Paesi e più
di un centinaio di navi e velivoli militari. «Non
escludiamo niente, ora abbiamo delle tracce
da seguire», assicurano i malesi. L’ultimo
«ping», il segnale captato da un satellite Inmarsat alle 8.11 del mattino di sabato, potrebbe anche essere partito da terra: lanciato da un
jet precipitato o atterrato? Erano (sono?) cinesi 154 dei 227 passeggeri e all’ipotesi dell’atto
di pirateria si sono aggrappati i parenti.
I primi tre
sospettati
La polizia ha perquisito per il secondo giorno la casa del comandante, Zaharie Ahmad
Shah, 53 anni. Si è saputo che il pilota era un
sostenitore del partito d’opposizione e che
forse prima di partire per l’ultimo volo era an-
80
Nella sua ultima
posizione
conosciuta – a 94
minuti dal decollo –
il velivolo viaggia a
29.500 piedi (circa
9 mila metri)
100
dato al processo contro il suo leader Anwar
Ibrahim (condannato per sodomia il 7 marzo
in un giudizio controverso). Sembra folle che
quel fatto possa averlo riempito di tanta rabbia da distruggere così tante vite. Gli amici
non ci vogliono credere e lo descrivono come
tranquillo, gioviale, appassionato di cucina ed
ecologia. Aveva in casa un simulatore del volo
che la polizia ora sta analizzando. Del copilota,
Fariq Abdul Hamid, 27 anni, si dice che fosse
un playboy e che amasse il calcetto. Andava in
moschea e gli investigatori stanno verificando
se avesse amicizie sospette. I due non avevano
chiesto di volare insieme e questo fa pensare
che non fossero complici. E poi spunta un terzo uomo con possibili capacità di pilotaggio:
Mohd Khairul Amri Selamat, ingegnere aeronautico di 29 anni era tra i passeggeri. Sembra
inoltre che manchino informazioni precise su
altre delle persone a bordo. Non è azzardato
pensare che gli americani, attraverso l’Nsa,
stiano passando in rassegna la vita «digitale»
(email, messaggi) e i contatti telefonici del
terzetto o di persone «interessanti». Sono gli
unici a poterlo fare in profondità.
L’inchiesta
Il giorno prima di volare il comandante
avrebbe seguito il processo contro il
Il punto
leader politico del suo partito
perfetto
Fonti statunitensi sostengono che il jet è
Sopra il simulatore di
volo realizzato da
Zaharie Ahmad Shah,
pilota 53enne
dell’aereo sparito
lo scorso 8 marzo, nella
sua casa. A destra
Shah, che ha iniziato a
lavorare per la
Malaysia Airlines nel
1981, in una foto
diventata virale sul web
tutto questo al suo simulatore o comunque si
è preparato per sfuggire ai controlli. L’unica
disattenzione, come sottolinea l’esperto aeronautico David Cenciotti, è legata all’apparato
Satcom (in coda al jet) che mantiene il link tra
velivolo e satellite. Infatti ha lasciato una traccia. Resta il mistero del messaggio tranquillizzante.
In cabina
Il copilota Fariq Abdul Hamid, 27 anni,
nel 2011 in cabina con due passeggere
(da A Current Affair / Nine Network)
Le domande
sul movente
Mancano sempre movente e meta finale.
Dalla Gran Bretagna rilanciano la pista qaedista. Durante un processo il terrorista Sajid Badat ha rivelato i dettagli di un vecchio piano di
dirottamento: un commando doveva far saltare la porta blindata di un jet usando esplosivo
nascosto nelle scarpe. Un paio era stato consegnato a 5 militanti malesi. C’è poi chi non
esclude che il Boeing sia atterrato su una delle
oltre 600 piste sparse nella regione e cita le autorità che parlano dell’ultimo segnale proveniente «da terra». Il seguito potrebbe essere
da romanzo, con il jet usato per un’azione
spettacolare. Da qui il silenzio degli autori.
Sempre che non sia finito in fondo al mare o in
una regione remota. Sempre che non lo abbiano abbattuto in segreto.
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
26 Cronache
Tecnologia Dopo
la rinuncia degli Usa
al controllo sui
suffissi online ce ne
sono già 1.400
pronti al debutto
Scienza
ILLUSTRAZIONI DI FABIO SIRONI
Come funziona
Il nome
Un dominio è il nome che identifica
persone, aziende o
organizzazioni su
Internet. Si compone principalmente di due parti,
il nome vero e
proprio e la sigla
che può indicare
un’area geografica
o il tipo di attività
svolta
L’ente americano
Finora i domini
erano assegnati
dall’Icann (Internet
corporation for assigned names and
numbers), nato nel
1998 e controllato
dagli Usa in attesa
che terminasse il
rodaggio. Ora
Washington ha
deciso di rinunciare a gestirlo
I prossimi passi
Ora sarà necessario dare vita a
un nuovo organismo internazionale che rappresenti il mondo del
web e che non sia
assoggettato a un
controllo dei governi: il 24 marzo
a Singapore ci sarà la prima riunione sulla questione
Il punto davanti a Roma e Milano
Corsa ai domini web metropolitani
Europa e Usa si contendono .football, il Vaticano registra .catholic
Sia Milano che Roma avranno
i propri domini Internet .Milano
e .Roma. Nell’amministrazione
del sindaco Giuliano Pisapia se
ne stanno occupando gli uffici
del marketing territoriale, che
rispondono all’assessore alle Attività produttive Franco D’Alfonso. L’iniziativa è vista come
una delle azioni per rafforzare la
visibilità e le relazioni internazionali della città, così come gli
incontri che il primo cittadino
avrà, nei prossimi giorni, con gli
ambasciatori cinese Li Ruiyu e
sudcoreano Bae Jae-hyun.
Un po’ più complessa è la situazione nella Capitale: «Nel
2012, quando si aprì il bando
dell’Icann (l’ente che assegna i
domini di Internet, ndr) — dice
Marta Leonori, assessore alle Attività produttive con il sindaco
Ignazio Marino — la giunta Alemanno declinò l’offerta di creare
il dominio web di Roma con la
collaborazione di società private. Noi abbiamo riconfermato il
rifiuto a quella collaborazione,
ma vogliamo creare .Roma con
le nostre risorse non appena se
ne presenterà l’occasione».
Le «due capitali» italiane vanno sulla scia già seguita da altre
metropoli. A partire da domani
sarà operativo il suffisso .Berlin,
con cui la capitale tedesca si presenta come pioniera nei domini
web metropolitani. L’iniziativa
della città-simbolo della Germania unita è destinata a fare scuola nel mondo: entro l’estate, secondo Bbc online, dovrebbero
partire .London, .Paris, .Wien,
.Nyc (New York City) e un’altra
cinquantina di città.
Tutto ciò accade perché entrano in funzione i nuovi «domini di primo livello» (in sigla
Gtld, cioè generic top level domain), indicanti la parolina che
compare dopo il punto in ogni
indirizzo Internet, come .com o
.it. Fino all’anno scorso ce n’erano una ventina, più quelli dei
singoli Paesi. Quest’anno si prevede il debutto di 1.400 nuovi
domini.
Da qui è partita la caccia al
suffisso pregiato, il «Viale dei
Giardini» del Monòpoli digitale
planetario. Ogni Gtld costa 150
mila euro, più altri 20 mila annui. E Icann (sigla che sta per Internet corporation of assigned
names and numbers) ha già richieste per altri duemila nuovi
domini. Alcuni dei quali particolarmente contesi: se ad esempio
il suffisso riguarda una comunità di persone, Icann lo assegna a
chi è più rappresentativo di
quella comunità. Se è un termine generico (come .sex) l’ente
americano lo attribuisce a chi
offre di più.
A volte la contesa nasce su
una parola con significati diversi: sul dominio .football, per
esempio, sono in lizza sia gli
americani che gli europei, ognu-
Le altre città
Da domani sarà
attivo l’indirizzo
.Berlin, entro
l’estate attese
anche Londra,
Parigi, Vienna
e New York
no per assegnarlo al proprio
sport di riferimento. Per non
sbagliare, il Vaticano ha presentato quattro richieste per la parola .cattolico, scritta nei quattro
principali caratteri grafici: cinesi, arabi, cirillici e latini (nella
versione inglese .catholic).
Di queste notizie si parla, non
per caso, all’indomani dell’annuncio, da parte del governo
americano, di voler rinunciare al
controllo dell’Icann, aprendo di
fatto un periodo di transizione
India
La primavera
e la festa
dei colori
Il gioco tra due
bambini che ieri
hanno preso parte alla
Festa dei colori a
Chennai. È la
celebrazione,
chiamata anche festa
dell’amore, dedicata
alla divinità Krishna
che saluta l’arrivo
della primavera. È una
delle più antiche
festività religiose
dell’Induismo, ma è
diventata popolare in
molte nazioni del Sud
dell’Asia anche tra la
popolazione non
induista. Il significato
sta non solo nella fine
dell’inverno, ma anche
nel trionfo del bene
sul male. Dura diversi
giorni, quest’anno il
giorno clou sarà oggi
(foto Babu/Reuters)
Edoardo Segantini
[email protected]
@SegantiniE
Grazie a lenti a contatto a
infrarossi potremo avere una
vista da serpente. Si
potranno cioè vedere gli
oggetti «caldi» in totale
assenza di luce. Le lenti
saranno al grafene, materiale
duro quanto il diamante ma
flessibile e biocompatibile.
Per il momento le lenti al
grafene verranno utilizzate
per le fotocamere
«applicabili» all’uomo. Ad
annunciarlo sulla rivista
Nature Nanotechnology è
uno studio, sostenuto dalla
Fondazione nazionale delle
Scienze, condotto
dall’Università del Michigan.
Per Vittorio Pellegrini,
direttore dei Laboratori del
grafene dell’Istituto italiano
di tecnologia «il grafene
rivoluzionerà il mondo
come fece la plastica nei
primi Anni 60».
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Svizzera
L’auto
che capisce
se siamo
distratti
Un giorno l’auto potrà capire
se siamo nervosi stanchi o
distratti. Un prototipo di
«scatola nera» in grado di
farlo è stato presentato
dall’École polytechnique di
Losanna che lo sta mettendo
a punto con una casa
automobilistica francese. Si
tratta di una telecamera
posta dietro al volante e
collegata a un algoritmo per
il riconoscimento facciale,
che per i primi test si è
concentrato su irritazione e
disgusto. In futuro verrà
«allenato» a percepire
stanchezza e distrazione. Ma
attenzione: «Bastano delle
ombre per “imbrogliare” le
tecnologie per il
riconoscimento facciale»,
commenta Antonio La Gatta,
che con Gianfranco Azzena
ha inventato un dispositivo
che capisce se il guidatore è
ubriaco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Comunicato sindacale
Care lettrici e cari lettori,
ci piacerebbe condividere l’ottimismo contenuto nelle recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato di Rcs Mediagroup Pietro
Scott Jovane. Ma non riusciamo a
farlo, per almeno sei ragioni fondamentali.
1) I ricavi del nostro gruppo continuano a scendere. Il piano triennale fissa come obiettivo da raggiungere entro la fine del 2015 la soglia di 1.500 milioni di euro circa.
Alla fine del 2013 il gruppo Rcs è
sceso a 1.315 milioni. Ne ha persi
200 rispetto ai 1.513 del 2012. Dopo
un anno siamo già sotto: dobbiamo
recuperare. Il trend è negativo, non
positivo.
2) L’obiettivo della redditività è
fissato a 150 milioni per il 2015
(10% del fatturato). A fine 2012 era
pari a 51 milioni, a fine 2013 a 28
milioni (pre oneri e proventi non ricorrenti). Ancora una volta il trend
è negativo, non positivo.
verso un sistema più collegiale,
come molti Paesi chiedono. Non
si vede infatti perché la Rete debba essere una sorta di «proprietà» americana, un dominio (ma
in senso letterale) sul web.
Un esempio. La partenza di
.Berlin è il frutto della decennale
battaglia condotta da Dotberlin,
un’associazione cui aderiscono
istituzioni e aziende. L’ultima
parola però spetta all’ente americano, che ha fissato, oltre al prezzo del dominio, anche i documenti e i requisiti per ottenerlo.
Dice Franco Bernabè, l’imprenditore e manager che con il
libro Libertà vigilata è stato tra i
primi in Italia a denunciare lo
strapotere di Icann: «Se oggi gli
Stati Uniti fanno un passo indietro, è per due motivi: il primo è
l’affare Datagate, con lo spionaggio planetario della Nsa rivelato
dall’ex agente Edward Snowden,
uno scandalo con effetti dirompenti, di cui non si sono ancora
viste tutte le conseguenze; il secondo è l’opposizione di Angela
Merkel, che ha ostacolato l’avanzata lobbistica americana a Bruxelles». Spinti dalla pressione
internazionale, dice l’ex presidente esecutivo di Telecom Italia, gli Stati Uniti «si rendono
conto che il loro presidio assoluto su Internet non può più reggere e fanno una concessione
minimale. Ma l’obiettivo europeo dev’essere quello di arrivare
a un trattato internazionale che
fissi le regole di una governance
condivisa per la Rete, come accade nelle telecomunicazioni
con l’Itu di Ginevra e in altri settori della tecnologia che richiedono una gestione trasparente e
globale delle regole».
Per questo molti pensano a
una sede neutrale che, come nel
caso dell’Itu, potrebbe essere la
Svizzera. In cui operi un organismo dotato dell’autorità e della
forza per risolvere i molti problemi della Rete, dalla sicurezza
alla privacy: e abbia a cuore, in
misura più equa, gli interessi di
tutti i Paesi.
Le lenti
a infrarossi
per una vista
da serpente
3) Un aspetto fondamentale del
piano è l’aumento dei ricavi derivanti dalle attività digitali. Obiettivo per il 2015 è arrivare a quota 310
milioni di euro (circa il 20% del fatturato). Il risultato del 2013 è pari a
147 milioni di euro. Nel comunicato
stampa si afferma che si registra un
aumento del 3% rispetto al 2012,
quando le entrate digitali erano pari
a 142 milioni. Il trend qui è positivo,
ma per raggiungere i 310 milioni di
obiettivo il ritmo di crescita del digitale dovrebbe passare dall’attuale
3% all’oltre il 100% in due anni: un
tasso di crescita paragonabile alla
Microsoft di Bill Gates o alla Apple
di Steve Jobs delle origini. Un cambio di marcia che al momento non
sembra alla portata di Rcs Mediagroup.
4) Anche il 2013 chiude il bilancio in perdita: - 218,5 milioni di euro, nonostante non vi siano state
svalutazioni delle partecipazioni
che nel 2012 avevano portato le per-
dite a quota 507,1 milioni di euro.
Trend negativo e allarmante.
5) Nel corso del 2013 sono stati
investiti 41 milioni, di cui circa 20
nelle attività digitali. Il ritorno in
termini di aumento di fatturato nel
digitale è stato modesto: solo 5 milioni in più. Nel piano triennale, come si legge nel piano presentato da
Rcs Quotidiani al ministero del Lavoro per la richiesta di stato di crisi,
gli investimenti programmati sono
pari a 160 milioni di euro, da «concentrare fortemente nella prima
parte del triennio». La prima parte
del triennio è quasi finita, ma gli investimenti attuati sono solo un
quarto del totale.
6) Solo i tagli hanno rispettato il
programma, anzi sono andati anche
oltre le previsioni: 92 milioni di risparmi per l’azienda raggiunti imponendo pesanti sacrifici a tutti i lavoratori del gruppo. Dieci milioni in
più del previsto. Uno zelo eccessivo,
considerando, per esempio, i ritardi
sugli investimenti. A questo proposito il Cdr ricorda all’amministratore delegato la comunicazione trasmessa al Cdr sui bonus. Il 2 maggio
2013 l’amministratore delegato assicurava che il bonus complessivo
di 675 mila euro incassato nel 2012
doveva essere considerato «una
tantum», come compenso per la rinuncia alle stock option collegate
con il precedente contratto di lavoro.
Il Cdr, dunque, ne desume che alla fine del mandato triennale non vi
saranno bonus premio per Jovane e
per i manager di prima fila. Si riserva di approfondire questo tema nell’assemblea degli azionisti dell’8
maggio.
Alla luce di questa analisi, il Comitato di redazione osserva:
- A metà percorso il piano triennale non appare realizzabile. La responsabilità pesa sulle banche creditrici (Intesa, Unicredit, innanzitutto) che hanno imposto condizioni capestro per ridurre
l’indebitamento.
L’amministratore delegato e il
Consiglio di amministrazione han-
no approvato misure autolesionistiche per raggiungere gli obiettivi di
bilancio: a cominciare dall’assurda
svendita della sede storica del Corriere e della Gazzetta dello Sport
- Gli azionisti non si sono assunti
fino in fondo le proprie responsabilità di comando. Hanno sottoscritto
un aumento di capitale di 400 milioni che non è sufficiente per creare
le condizioni per un vero rilancio
del gruppo. C’è una tranche di 200
milioni già deliberata dal Cda e che
gli azionisti potrebbero sottoscrivere. Da questo punto di vista vanno
definite al più presto le intenzioni
dei diversi soci. Fiat, Banca Intesa da
una parte, gruppo Della Valle dall’altro sono chiamati a chiarire le loro intenzioni su Rcs Mediagroup.
Chi ambisce al controllo del gruppo
sia conseguente: sul mercato c’è il
30% di flottante disponibile. Per fortuna è finito il tempo in cui le azioni
non si contavano, ma si pesavano.
Ora non si pesano più, ma vanno
comunque comprate.
- Il piano di rilancio dell’amministratore delegato si è concentrato
sugli aspetti più laterali del busi-
ness, come l’e-commerce o procedendo ad acquisizioni discutibili
come il sito di prenotazioni alberghiere Hotelyo o come la piattaforma YouReporter (strapagandola).
In compenso l’avvio del nuovo sito del Corriere si è rivelato problematico a causa di un supporto tecnologico completamente inadeguato.
In conclusione il Cdr torna a chiedere:
1) La riformulazione del piano
editoriale sulla base di obiettivi più
realistici.
2) Definizione chiara degli equilibri azionari, sottoscrizione da parte
dei soci della tranche da 200 milioni
di aumento di capitale già deliberato. I lavoratori del gruppo non sono
in grado di sostenere ulteriori tagli.
3) Accelerazione degli investimenti per lo sviluppo del digitale e
per tutelare il presidio della carta.
4) Separazione netta tra contenuti giornalistici e spazi pubblicitari e
di marketing.
Il Comitato di redazione
del «Corriere della Sera»
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Cronache 27
Il nostro patrimonio Negli anni 60 la roccia friabile venne dotata di un rivestimento di perspex poi rimosso. Nel ‘99 il nuovo «parapioggia», che non ha risolto il problema
Il dissesto
Sopra, il teatro di Eraclea Minoa nel 1993: i
gradini originali di marna sono rivestiti dalla
copertura in plexiglass. Sotto, un particolare
in cui si vedono le piante cresciute tra la
marna e il plexiglass (foto dalla tesi di laurea
di Cosimo Piro). A destra, nella foto grande,
il teatro com’è oggi, con il parapioggia di tubi
gradini di marna, erano cresciute piante abnormi esasperate d’estate dal caldo torrido e
nei mesi piovosi da una condensa di umidità
pazzesca. Conclusione: i gradini si erano decomposti.
Fu così che, pensa e ripensa, nel ‘95 rimossero una parte di quella copertura insana, disboscarono la giungla cresciuta sotto, ripulirono quanto restava della gradinata. Finché si
decisero a togliere tutto. E ora? Pensa e ripensa
nuovamente, nel ‘99 scelsero di coprire tutto il
teatro con una specie di parapioggia che seguiva le forme della cavea. Un ammasso orrendo
di tubi Innocenti e pannelli che, spiega l’ex
sindaco Cosimo Piro, il quale proprio sul teatro
si è laureato (sia pure tardivamente) in architettura, «doveva servire solo il tempo necessario agli operai per fare tutti i lavori di riparazione e protezione con un nuovo tipo di “silicato
di etile”. Solo che, come tante cose in Italia e
soprattutto in Sicilia, il provvisorio è ancora
là...».
Peggio: quella specie di osceno parapioggia
sorretto da un inestricabile groviglio di tubi e
di snodi perde i pezzi da anni e oggi perfino la
sua unica funzione, quella di proteggere il teatro dall’acqua è venuta meno. «È una vergogna
da rimuovere prima possibile», ha chiesto il
sindaco di Cattolica Eraclea, Nicolò Termine, in
un’intervista a Calogero Giuffrida, del Giornale
di Sicilia. «Per valorizzare al meglio il nostro
bene culturale più prezioso ma soprattutto per
proteggerlo, perché l’attuale impalcatura anziché tutelarlo lo sta ulteriormente rovinando».
L’assessore regionale ai beni culturali, Mariarita Sgarlata, è d’accordo. E insomma non ce
n’è uno che ancora difenda quel mostro di acciaio e vetroresina. Va tolto. Ma poi? Questo il
problema: poi? Stringi stringi, dopo i danni inferti a quell’opera meravigliosa da decenni di
interventi improvvidi, le ipotesi sono tre. La
prima: togliere l’atroce parapioggia di oggi e
lanciare un grande concorso internazionale
per proteggere con un nuovo contenitore (una
mezza cupola spalancata verso il mare?) ciò
che resta del teatro. La seconda: rifare la cavea
del teatro, con amore e con garbo, in marmo
scegliendo (con orrore dei
puristi più ortodossi) di
L’area archeologica
dare la precedenza non alla
sacralità intangibile della
Fiume Platani
marna originale ridotta a
SP 30
poltiglia solidificata ma all’idea antica di «quel» teaRiserva
tro, costruito in «quel»
Naturale
luogo, davanti a «quel»
Il teatro
io
panorama. È irragionevop
ula
c
s
le? La terza: seppellire tutE
Eraclea
Via
to e lasciarlo lì, accontenViale M
inosse Minoa
tandoci del ricordo di un
francobollo celebrativo,
Viale Er
acle
finché i nostri figli o i noPalermo
stri nipoti non avranno
Eraclea
Agrigento
studiato bene cosa fare.
Minoa
Mar Mediterraneo
E proprio questo, spiega
il professor Bruno Zanardi,
intervenuto tra l’altro su
due gioielli quali la Colonna Traiana e l’Ara Pacis, è il nodo: «I dubbi sul
La struttura provvisoria
teatro di Eraclea Minoa racchiudono uno dei
grandi problemi italiani. Cioè che da troppo
L’ex sindaco Cosimo Piro: «La
tempo, da noi, non si studiano questi temi con
struttura doveva servire solo il
la necessaria scientificità. C’è fretta di decidetempo necessario per fare i lavori
re, di colpo, su quel teatro. Ma la cultura sciendi riparazione, ma è ancora là»
tifica su queste cose è in drammatico ritardo».
Il teatro-gioiello di Eraclea si sbriciola
prigioniero di acciaio e vetroresina
Sotto le coperture sui gradini erano cresciute le piante. Ora è una giungla di tubi
di GIAN ANTONIO STELLA
C’
è da avvampare di vergogna, a vedere
com’è ridotto lo stupendo teatro greco
di Eraclea Minoa. La «pensata» di chi
mezzo secolo fa suppose di difenderlo facendogli una mantella di plexiglass si è rivelata un
disastro. E lo scheletro dell’osceno «parapioggia» successivo, semidistrutto e sgangherato,
resta lì, spettrale. A inorridire i turisti. Scossi
dallo spreco di tanta bellezza.
Hanno qualcosa del fascino di capo Sounion, queste rovine alte sul mare a metà strada
tra Agrigento e Sciacca. Se in punta all’Attica
svettano solenni sull’Egeo le colonne dell’antico tempio a Poseidone, qui domina la magia
del teatro. Un teatro che, a dispetto dei precetti
di Vitruvio, fu costruito tra il quarto e il terzo
secolo avanti Cristo come ad Atene e Siracusa,
cioè con la cavea aperta a Sud. Spalancata sul
fantastico mare blu nel quale, lontano lontano,
in certi giorni limpidissimi, si vede perfino il
profilo di Pantelleria. Un sogno.
La costruirono proprio in un gran posto,
l’antica Eraclea Minoa, fondata probabilmente
nel VI secolo a.C. da coloni della vicina Selinunte e difesa un tempo da una imponente
cinta muraria lunga almeno sei chilometri.
Ritta e solenne sul promontorio che oggi si
chiama Capo Bianco e che si staglia con le sue
pareti bianche verticali, guardando il mare, a
sinistra della foce del fiume Platani. Sopra una
spiaggia lunga lunga protetta alle spalle da una
pineta così bella da nascondere in parte perfino gli insediamenti edilizi.
Il teatro, però, è fragilissimo almeno quanto
è bello. Individuato nel Settecento ma portato
alla luce solo nel 1953, mostrò subito d’aver bisogno di cure. Non è di marmo, infatti. Né di
pietra dura. I gradoni dei nove settori arrivati
fino a noi sono infatti in conci di «marna arenacea». E la marna, spiega la Treccani, è una
roccia argillosa che può essere tenera (come
qui) e viene usata per la fabbricazione del cemento e della calce idraulica: «Un problema
grosso», spiega Caterina Greco, sovrintendente di Agrigento dopo essere stata a Selinunte
dove riuscì a vincere la battaglia per togliere le
impalcature che da 11 anni ingabbiavano il
tempio C, «sotto il vento si sfarina e quando
piove si “impacca” come se fosse gesso».
Appena se ne accorsero, a metà degli Anni
50, si chiesero: cosa fare? La prima soluzione,
proposta dall’Istituto centrale del restauro, fu
una spennellata di resina speciale per rendere i
gradoni impermeabili in eterno. Macché: un
fallimento. La seconda soluzione fu avanzata
dall’architetto viterbese Franco Minissi. Il quale scelse di coprire «integralmente la cavea con
una sorta di vetrina incolore e trasparente in
loco».
Lo racconta, riprendendo le sue parole, l’archivio degli architetti (architetti.san.beniculturali.it) dove Minissi si loda e s’imbroda spiegando che «aveva già sperimentato l’uso del
plexiglass su monumenti archeologici» e che è
«a Eraclea che il suo obiettivo di rappresentazione del modello originario si espletò nella
maniera più compiuta» e «il disegno delle sagome raggiunse qui la massima precisione» e
la ricostruzione riuscì «perfettamente incolore
e trasparente». E giù elogi alla «perfetta tenuta
delle saldature delle lastre» e «all’isolamento
termico e alla areazione della camera d’aria risultante tra le superfici del monumento e la
copertura in perspex» e «ai sistemi per evitare
ogni infiltrazione di acqua e di vento»...
I risultati sono quelli che vedete in una delle
foto. Un paio di decenni e i gradini «perfettamente incolori e trasparenti» erano già giallastri. Ma soprattutto, nella intercapedine tra
quei gradini di plexiglass (sorretti da 700 pali
conficcati nella carne stessa del teatro con trapani dalla punta spropositata!) e i sottostanti
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
28
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Cultura
L’ultima fatica: Ariosto spiegato ai francesi
La scomparsa di Cesare Segre lascia anche un grande vuoto nella critica
letteraria e filologica europea. Proprio nelle prossime settimane è prevista per
l’editore Les Belles Lettres la pubblicazione della sua edizione delle Satire di
Ludovico Ariosto con la traduzione francese di Paul Larivaille. In questo lavoro
Segre aveva arricchito introduzione e note con nuove riflessioni.
Nuccio Ordine
Maestro Lo studioso è scomparso ieri a
Testimone L’università, il lavoro
Milano: avrebbe compiuto in aprile 86 anni all’Einaudi, i contributi per il «Corriere»
Addio a Cesare Segre
genio timido della filologia
Il precoce apprendistato, lo sguardo da pioniere
di PAOLO DI STEFANO
Q
uando se ne va un amico, un grande amico, si pensa subito alla sua
insostituibilità umana. E visto che
Cesare Segre era un mio amico, mi
scuso, ma non posso che scriverne in prima
persona.
L’ho conosciuto nel 1975 a Pavia, dove insegnava da anni Filologia romanza. Aveva 47
anni, ed era già un maestro di fama internazionale, filologo tra i maggiori e semiologo
tra i primi. Teneva un corso sul Decameron,
in cattedra parlava con una voce flebile già allora, e con una cadenza regolare, senza inarcamenti della voce, il che ce lo faceva apparire molto più anziano di quel che era. Leggeva
invisibili appunti su foglietti minuscoli, mettendo in campo, senza darlo a vedere, tutta la
sua conoscenza aggiornatissima, non solo
Lo stile
Il confronto puntuale con il testo
era il punto di partenza
irrinunciabile. Poi veniva il resto
sulla letteratura medievale e sulle fonti classiche, ma anche sullo strutturalismo e sulle
acquisizioni ultime. Citava Propp, Jakobson e
Lévi-Strauss. Aveva avviato dal ‘66, con Maria
Corti, d’Arco Silvio Avalle e Dante Isella, una
rivista di critica pionieristica, «Strumenti
critici». Cesare Segre era l’opposto di Isella e
Corti nel proporsi agli studenti: non faceva
nulla per piacere. Tutto il suo fascino stava in
quel che diceva, non nel come lo diceva.
Dunque, per apprezzarne la qualità, bisognava rileggere gli appunti a casa, con calma, e
solo da quella lettura veniva fuori tutta la
straordinaria rete di collegamenti e di richiami: solo allora l’entusiasmo dei suoi allievi si
poteva accendere. Era un suo cruccio, il non
essersi saputo «gestire» meglio. Lo diceva
anche ultimamente. Era quello il suo carattere, compassato, qualcuno diceva freddo. Bisognava conoscerlo bene per capire che era
solo timidezza. La stessa timidezza che attribuiva a un suo grande amico, Giulio Einaudi,
il quale però la esprimeva con una specie di
alterigia a tratti insopportabile.
Segre è nato a Verzuolo (Cuneo) il 4 aprile
1928 da padre saluzzese, Franchino, e da ma-
La bibliografia
Dal Duecento a oggi
I primi saggi critici di Cesare Segre sono
raccolti in Lingua, stile e società
(Feltrinelli 1963). Segue Esperienze
ariostesche (Nistri Lischi 1966). La gran
parte dei suoi libri è poi pubblicata da
Einaudi, che resta la sua casa editrice: I
segni e la critica. Fra strutturalismo e
semiologia (1969, nuova edizione
2008); Le strutture e il tempo (1974);
Semiotica filologica. Testi e modelli
culturali (1979); Teatro e romanzo. Due
tipi di comunicazione letteraria (1983);
Fuori del mondo. I modelli nella follia e
nelle immagini dell’aldilà (1990);
Intrecci di voci. La polifonia nella
letteratura del Novecento (1991);
Notizie dalla crisi. Dove va la critica
letteraria (1993); Tempo di bilanci. La
fine del Novecento (2005), Critica e
critici (2012). Altri suoi studi sono:
Semiotica, storia e cultura (Liviana
1977); Avviamento all’analisi del testo
letterario (Einaudi 1985); La
letteratura italiana del Novecento
(Laterza 1998); Dai metodi ai testi.
Varianti, personaggi, narrazioni
(Aragno 2008). Ha curato con Maria
Corti I metodi attuali della critica in
Italia (Eri 1970); Strutturalismo e
critica (Il Saggiatore 1985). Ha diretto
con Carlo Ossola un’Antologia della
poesia italiana (Einaudi 1997-99). Ha
curato le edizioni critiche della
Chanson de Roland e tutte le opere di
Ludovico Ariosto. La sua autobiografica
si intitola Per curiosità (Einaudi 1999).
Lo strumento più utile per seguire il
suo percorso intellettuale è il
Meridiano Mondadori, Opera critica, a
cura di Alberto Conte e Andrea
Mirabile, con introduzione di Gian
Luigi Beccaria (2014).
dre milanese, Vittorina Cases: a Saluzzo il
nonno paterno ha una bottega da orefice di
fronte al duomo, mentre il padre è impiegato
nella cartiera Burgo, dove verrà promosso dirigente. Cesare frequenta la scuola elementare ebraica («disegnavo molto, studiavo poco, ma ero sempre tra i primi»). Quando i figli sono tre (con la nascita di Adriana e Carlo), la famiglia vive il terrore delle persecuzioni antiebraiche, che la costringono a
sfollare ad Acqui Terme e poi a Giaveno. Dopo l’8 settembre, il ragazzo, che nel frattempo ha maturato una passione per la storia
dell’arte, rimarrà recluso nell’istituto salesiano della Madonna dei Laghi di Avigliana, in
val di Susa, dove è stato portato in bicicletta
da don Biagio, un amico di famiglia. A Giaveno vive anche un suo prozio (fratello della
nonna paterna), il grande filologo Santorre
Debenedetti, pioniere dello studio delle varianti d’autore applicato soprattutto su Ariosto. Cesare, ancora adolescente, fa la spola in
bicicletta, per raggiungere clandestinamente i familiari.
Dopo la guerra diventa una specie di assistente privato dello zio, schedando varianti
su varianti, collazionando manoscritti e facendo spogli linguistici (individuare le occorrenze dell’accusativo alla greca nell’Eneide era stato uno dei suoi primi compiti). È
ancora uno studente di liceo e già lavora in
una delle migliori botteghe filologiche del
tempo. Morto Debenedetti (1948), incontra a
Torino, dove ormai risiede con la famiglia, lo
storico della lingua Benvenuto Terracini, suo
secondo maestro, con il quale si laurea con
una tesi sulla sintassi dei primi prosatori italiani. Terracini apre al giovanissimo «filologo» un orizzonte nuovo, tra stilistica e linguistica, rivelandogli connessioni impreviste.
Ed è alla confluenza tra queste acquisizioni
precocissime che Segre lavorerà instancabilmente per una vita, aggiungendovi una passione, ancora nuova in Italia, per lo strutturalismo e per la teoria della letteratura.
Il terzo maestro, quasi inevitabile, è Gianfranco Contini, conosciuto già nel ’48, che
avrebbe seguito e indirizzato i suoi primi
passi accademici e con il quale poi lavorerà
nel grande laboratorio intellettuale dei Poeti
del Duecento, l’antologia che Contini stava
approntando per la Ricciardi di Raffaele
Mattioli. Nel ’50, Segre si trasferisce a Milano
con la famiglia, in piazza Bertarelli, una casa
abitata dalla famiglia Manzoni dopo la morte
di Alessandro. Lì conosce Montale, e incontra regolarmente, tra gli altri, Mattioli, Isella
e Maria Corti, con la quale avrà un legame
sentimentale per quasi due decenni. Il sodalizio intellettuale durerà fino alla morte di lei
(2002). Milano diventa la sua città, mentre a
Torino è la sua casa editrice: di Einaudi è
consulente, frequentatore dei famosi mercoledì, amico dell’editore e del suo braccio destro Roberto Cerati, di Calvino, di Bollati... Da
ragazzino un giorno incontrò Pavese in redazione, grazie allo zio Debenedetti, che fu tra i
fondatori dello Struzzo con Leone Ginzburg.
La sua sede accademica, dopo l’incarico in
Filologia romanza a Trieste (1954-56), è stata
Pavia, fino alla pensione.
Lo studioso si muove nella letteratura
pressoché a 360 gradi, come dimostra il
Multiforme
Frequentava il linguista Jakobson, si
confrontava con critici distanti da lui,
pianse la morte dell’amico Primo Levi
Racconti Andrea Bajani ordina le sue storie seguendo (liberamente) la successione dei ventuno caratteri
Lettera per lettera, tutta la vita è dentro l’alfabeto
di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI
V
entuno lettere per parlare, scrivere,
vivere, ventuno lettere per mettere in
fila le parole e in ordine il mondo.
Infinitamente poche sembrerebbero le
lettere dell’alfabeto per un compito così
grande. Eppure — incredibile ma vero —
bastano per un numero infinito di combinazioni, tante quante può contenerne il più
grosso e più completo dei dizionari. E tutto
nasce da quei ventuno piccoli segni simili a
semini dai quali poi sboccia ogni voce, ogni
frase, ogni discorso.
Andrea Bajani ha aperto il sacchetto dei
suoi ventuno caratteri e per ciascuno ha inventato una breve storia, rendendosi poi subito conto, e comunicandocelo nel titolo di
questo suo recente, originale abecedario,
che La vita non è in ordine alfabetico (edito
dalla Einaudi, pp. 130, € 12,50).
E un po’ di disordine lo aggiunge anche
lui, nel senso che tutto comincia, sì, con la
Narratore
Andrea Bajani
(foto) è nato a
Roma nel 1975 e
vive a Torino. Per
Einaudi esce ora
«La vita non è
in ordine
alfabetico»
«A» di amore e finisce con la «Z» di zoo, ma
quando gli serve, quando gli piace, e cioè
quasi sempre, a ciascuna lettera assegna
due voci: bandiera e buio, per esempio, oppure orologio e ordigno. Un abecedario allungato, gonfiato, è dunque il suo, tanto per
dare un assaggio dei miracoli moltiplicativi
che possono compiere i ventuno semi della
nostra lingua.
Le storie che Bajani narra sotto il segno
dell’alfabeto sono brandelli di molto concreta vita quotidiana, ma anche di sogni, di
suggestioni, di illusioni, protagoniste donne e ragazze, quasi sempre, ma anche uomini, bambini, anziani, persone alle quali
egli dà del tu, un tu sommesso, intimo, simile al tu che si usa per parlare — allo specchio — a se stessi.
Intimi, sommessi sono anche i racconti,
acquerelli li si direbbero, per distinguerli
dalle più marcate pitture a olio. Ma benché
acquerelli, delicati, lievi, non per questo
non lasciano tracce nel lettore; alcuni anche
graffi, peraltro, come, per esempio, la vicenda — alla voce Ordigno — della bambina cui la madre confida (in modo untuoso,
odioso) di avere un amante, e il segreto che
la piccola è costretta a portarsi dentro ticchetta forte come una bomba a orologeria.
O come la storia — alla voce Ricatto —
dell’anziana, grassissima donna ricoverata
in casa di riposo, che piange sempre a dirotto quando il figlio la va a trovare, ragione
per cui egli s’infuria e strilla con la direttrice
che replica guardi, si sbaglia, le assicuro
che sua madre è di ottimo umore, scherza,
ride, tiene allegri tutti quanti quando lei
non c’è; e giungendo un giorno a sorpresa,
il figlio in effetti trova sua madre circondata
da un folto auditorio di anziani plaudenti,
intenta a intonare vecchie canzoni licenziose…
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il libro: Andrea Bajani, «La vita non è in ordine alfabetico, Einaudi, pagine 130, € 12,50
«Meridiano» Mondadori, con l’Opera critica, appena uscito: la sua gioia, immensa, delle ultime settimane. Sfibrato dalla malattia,
ha voluto invitare un ristretto numero di
amici a casa sua per festeggiarla. Diversissimo dai suoi maestri e anche dai suoi compagni di strada per la varietà linguistico-geografica e per l’estensione cronologica che ha
frequentato, per poliedricità di sguardo e di
approccio, per la capacità di contemperare
prospettive diverse, infine per la chiarezza
dello stile, alieno a ogni vezzo accademico e a
ogni «continismo» di maniera. Dopo l’apprendistato giovanile, l’Orlando furioso sarebbe rimasta la passione principe del filologo, a cui si deve la cura di tutte le opere ariostesche, fino al Rimario diacronico dell’Orlando uscito nel 2012, dopo decenni di
fatiche. La sapienza filologica lo porta ad approntare anche le edizioni critiche della
Chanson de Roland e del Bestiario amoroso
di Richard de Fournival, pietre miliari della
ricostruzione ecdotica. Ma la coincidenza
dell’esperienza filologica e di quella stilistica
gli permette di offrire studi pionieristici sulla poesia e sulla prosa delle origini (l’antolo-
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Cultura 29
PECHINO
La prima rivista
di autori cinesi in italiano
Traduttori cercansi
Pechino pubblicherà una rivista in lingua italiana
interamente dedicata alla letteratura cinese: la prima,
esultano i curatori. Uscirà a luglio, il progetto ricalca quello di
«Pathlight», trimestrale in inglese. La versione italiana,
cadenza annuale, fa capo alla casa editrice Letteratura del
Popolo (Renmin Wenxue). Se cinesi sono il responsabile, Shi
Zhanjun, e uno dei due direttori editoriali, italiane sono l’altro
direttore editoriale, Patrizia Liberati (tra le nostre più
apprezzate traduttrici dal cinese, sue le versioni recenti del
Nobel Mo Yan), e la vice, Silvia Pozzi (Università di Milano
Bicocca). Spiegano Liberati e Pozzi: «Abbiamo deciso di
dedicare il numero inaugurale alle “nuove voci”, con poesie e
prose di autori mai prima editi in italiano». Alla rivista, che
sarà acquistabile online e distribuita nelle università e negli
11 istituti Confucio d’Italia, aderiscono traduttori noti ma la
partecipazione è aperta a chi sta fuori dai circuiti editoriali.
Cesare Segre nel suo studio nel 2005
(foto Leonardo Cendamo/Grazia Neri)
gia ricciardiana La prosa del Duecento è del
‘59 , preceduta da quella dei Volgarizzamenti
medievali, 1953). Non manca di occuparsi
dei romances spagnoli, sempre animato da
quell’«atteggiamento sperimentale» e per
niente dogmatico che Gian Luigi Beccaria ha
messo in evidenza introducendo il «Meridiano».
Segre si definiva philologus in aeternum.
Dunque è normale che per lui la semiotica
venisse dopo lo studio puntuale della tradizione del testo, al punto che a un allievo, come me, che trovò il coraggio di chiedergli la
tesi, raramente proponeva scappatoie strutturaliste, ma chiedeva di affrontare edizioni
critiche (pura ecdotica, come direbbero gli
esperti) di impegno spesso immane (personalmente mi ritrovai alle prese con il volgarizzamento duecentesco del De regimine
principum di Egidio Romano: 800 pagine di
sola trascrizione testuale!). La severità era
uno dei suoi tanti meriti. Ciò non toglie che
quel che poi l’avrebbe interessato è il nesso
tra lingua, cultura e società a ogni altezza
temporale e spaziale. Ciò che produce una
raffica di saggi, raccolti in volumi capaci di
anticipare sempre i tempi, da I segni e la critica (1969) a Semiotica filologica (1979), a Intrecci di voci (1991) e oltre, fino a Critica e critici (2012), in cui Segre mette in gioco lo statuto della critica, tra accademismo esasperato e sciatterie giornalistiche, due estremi che
non sopportava.
Lettore inquieto, e perciò dialogante con
tutto e con tutti (anche con critici estremamente lontani dalla sua vocazione «iperrazionalistica», come Roland Barthes), ha sposato la critica formale (sulle orme di Jakobson e degli altri russi fino a Lotman: di Jakobson fu amico e ricordava una notte di nebbia
fittissima in auto con lui, che chiacchierava
come nulla fosse, di ritorno da Pavia) senza
farne un’ortodossia metodologica, anzi superandola dopo averne ricavato il massimo
A 360 gradi
Il Meridiano Mondadori
dell’«Opera critica» appena uscito
testimonia la varietà degli interessi
dei risultati. Il testo letterario è sempre, per
Segre, nonostante gli sforzi di modellizzazione e la capacità di disegnare ampie tipologie,
una creatura bifronte di forme e contenuti,
frutto di un’esperienza vissuta. Ha «osato»
spingersi lungo il filone «espressionistico»
avvistato da Contini, ma svoltando poi verso
altri lidi. Sempre da protagonista ha messo a
frutto la lezione di Michail Bachtin sulla narrazione polifonica come pluralità di registri,
di strati sociali, di punti di vista, valorizzando il livello anche sociologico. Ha elaborato
le nozioni di «intertestualità» e «interdiscorsività», mostrandone la fertilità nella lettura
dei testi medievali, ma anche delle opere di
Carlo Emilio Gadda, di Vincenzo Consolo, di
Guido Morselli, di Luigi Meneghello, e spaziando anche da Cervantes a Beckett con un
dominio di mezzi che nessuno della sua generazione (non solo in Italia) ha avuto.
Ha voluto indagare negli «altri mondi»,
con un volume che raccoglie saggi sulle opere che mettono in scena l’aldilà o realtà alternative, si tratti di luoghi di morte o di follia.
Si è spinto verso il teatro e verso il linguaggio
visivo: «Il mio interesse per l’arte — ha scritto — precede, nella mia biografia, quello per
la letteratura». La tentazione di virare verso
la critica d’arte è sempre stata forte. Ma negli
ultimi anni, quel che più lo interessava era,
letteratura o no, la finalità che suggerisce a
un artista di mettersi all’opera. Una questione di etica. E di politica. Il mondo intorno, la
situazione italiana, il dissesto del Paese e in
generale dell’Europa entravano sempre di
più nei suoi discorsi quando ci si incontrava
a cena con sua moglie, Marisa Meneghetti
(allieva di Gianfranco Folena e filologa romanza anche lei), e con gli amici, primi tra
tutti Corrado Stajano e Giovanna Borgese.
Ricordava volentieri la sua amicizia con
Primo Levi e non nascondeva il dolore per la
sua morte voluta, evocava di continuo l’incubo notturno ricorrente di trovarsi su un treno
diretto ad Auschwitz (dove erano finiti cinque tra suoi zii e cugini), esprimeva senza riserve la passione assoluta per Kafka, non riusciva a sottrarsi alla depressione che negli ultimi tempi non lo abbandonava (specie dopo
la morte del fratello Carlo), ritornava spesso
sulla convinzione di sentirsi un asociale.
«Apolitico con la passione per la politica» e
con una grande amarezza, dopo le speranze
uscite dalla Liberazione, Cesare Segre non
poteva che approdare al tema ultimo dell’etica in letteratura: «Ho cominciato a scrivere
su Primo Levi solo dopo la sua morte. È proprio verso la fine degli anni Ottanta che mi
sono sentito in grado di esprimermi sulla
Shoah e sui suoi testimoni». In uno dei suoi
ultimi scritti per il «Corriere della Sera», a
cui collaborava (da maestro anche come
«giornalista») dall’88, si interrogava sul pericolo terribile — per lui un’angoscia — di perdere la memoria collettiva dell’orrore una
volta morti i suoi testimoni diretti. Chi ha
avuto il privilegio e la fortuna di conoscere
Segre non correrà mai questo rischio. Grazie,
Cesare, non solo per questo.
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Due racconti di Di An (nella foto) e Lu Min e sei poesie di Sun
Lei sono a disposizione di chi volesse cimentarsi e verranno
scelte le versioni migliori. «Inseriremo — conclude Liberati
— i dettagli delle case editrici cinesi detentrici dei diritti, per
facilitare i contatti con quelle italiane interessate».
Marco Del Corona
@marcodelcorona
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L’esempio L’impegno civile fu la bussola nonostante le delusioni
Sperimentò le persecuzioni
e non scelse la torre d’avorio
di CORRADO STAJANO
N
on ha fatto in tempo,
Cesare, a goder la festa
cui diceva di tener tanto, la festa per la sua
Opera critica, il Meridiano
uscito in febbraio. Chissà se
poi ci credeva veramente o fingeva anche con gli amici, dopo
che il male dal primo di agosto
dell’anno scorso l’aveva assalito. Si era rotto una vertebra a
Cortina, ma il vero tormento
era nascosto nel corpo sofferente. Diceva di non sapere, lui
abituato a scovare le varianti di
un frammento nelle pieghe
delle pagine degli amati scrittori di secoli lontani e anche di
oggi. Il suo corpo doveva essere per lui come quelle righe
impresse sulla carta antica e
nuova su cui fin da ragazzo aveva curvato gli occhi e l’anima.
Era stato adulto fin da piccolo, Cesare Segre, nato a Verzuolo, in Piemonte, nel 1928, passato attraverso le tragedie del
Novecento che gli avevano plasmato la vita e che non aveva
mai dimenticato, tra passato e
presente. Quel sorrisino che si
captava sempre nei suoi occhi
acuti era il suo segno. E spesso
non si capiva se era ironico, deridente nei confronti delle
sciagure e delle bassezze umane o soltanto triste per un Paese che con le opere e gli scritti
aveva sempre cercato di render
migliore, più civile, rispettoso
della cultura e della sua Storia.
Philologus in aeternum
scrisse nel 1984 in un’intervista
immaginaria pubblicata su
«Belfagor». Ma non fu certo un
filologo della normalità. Un filologo della complessità, piuttosto, sempre aperto al nuovo,
cancellatore degli schemi. Usò
gli strumenti della stilistica,
poi dello strutturalismo, poi
della semiotica cercando sempre di mantenere un equilibrio
nell’interpretazione dei testi
letterari, un punto d’incontro
tra la volontà dell’autore, del
critico, del lettore. Si considerava simile a un restauratore,
felice quando riapparivano,
come per miracolo su un muro, i colori originari di una pittura malamente guastati.
Era sempre alla ricerca del
Le date
1928 Cesare
Segre nasce a
Verzuolo, in
provincia di
Cuneo, il 4 aprile
1938 Il 5
settembre
entrano in vigore
le leggi razziali.
Segre, ebreo,
sarà costretto a
lasciare il
ginnasio del
Liceo Alfieri di
Torino, città dove
si laureerà in
Storia della
lingua con
Benvenuto
Terracini
1950 Si
stabilisce con la
famiglia a Milano
1954 Ottiene la
cattedra di
Filologia
romanza a
Trieste
1956 Insegna a
Pavia, dove
manterrà la
cattedra per
quasi mezzo
secolo
1969 Esce il suo
primo libro
metodologico, «I
segni e la critica»
(Einaudi), che
verrà tradotto in
spagnolo, inglese
e portoghese
1988 Cesare
Segre diventa
collaboratore del
«Corriere
della Sera»
2014 Il 16
marzo muore a
Milano
nuovo, non lo disdegnava mai,
lo mescolava, invece. Chi lo
ascoltava parlare con quella
sua voce appena sussurrata
non immaginava il suo fervore
di giocatore della letteratura e
della storia, la sua passione,
l’amore per la sfida.
Le persecuzioni della prima
giovinezza, gli anni trascorsi
nascosto nel collegio della Madonna dei Laghi, ad Avigliana,
furono nodali per lui, sempre
dalla parte delle vittime, dei
perseguitati. Fu un cittadino
fedele di libertà e giustizia,
maestro di se stesso, allora, lettore onnivoro.
E dopo fu fedele sempre ai
suoi maestri, erede e rinnovatore della loro lezione: Santorre Debenedetti, fratello della
nonna paterna, personaggio
mitologico ed eccentrico, storico erudito; Benvenuto Terracini, il secondo grande maestro, professore di Storia della
lingua e di Glottologia, con cui
si laureò; e Gianfranco Contini,
il terzo maestro, critico ed editore di testi, del quale fu il più
giovane degli allievi.
Per la loro influenza, era solito dire, aveva assorbito le tre
diverse tendenze della filologia, arricchendo così il suo repertorio di idee e le sue possibilità di uomo e di studioso.
Era un uomo curioso che
odiava la mediocrità. Sempre
in guardia, il più delle volte deluso. La gioia della liberazione
fu breve, i fascisti erano rimasti, ai loro posti. Provò la stessa
delusione dopo il fallimento
del centrosinistra; il ‘68 non lo
scandalizzò; nel 1994 dopo la
vittoria elettorale del Polo della
Libertà sentì il pericolo e promosse con persone di grande e
di piccolo nome della cultura
italiana il Manifesto democratico, un’azione ribelle.
Non restò mai chiuso nelle
torri d’avorio. L’impegno morale e civile gli fecero da bussola. Sostava certe volte malinconico davanti alle piccole
lapidi dei ragazzi partigiani
con le loro coroncine appassite. Per quale Italia?, diceva come a se stesso ma non rinunciava a fare.
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Buchmesse Segni di ripresa del mercato in Germania, Amazon diventa editore in proprio di testi in tedesco. E le bugie di Sascha Arango arriveranno in Italia
Lipsia fa i conti: i manga giapponesi aiutano i libri e i libri aiutano se stessi
da Lipsia RANIERI POLESE
C
on un record di presenze (237 mila
visitatori, contando insieme i 175
mila che hanno preso d’assalto i padiglioni della Buchmesse e gli oltre 120
mila che hanno seguito incontri in città)
si è chiusa l’edizione 2014 della Fiera di
Lipsia. Un risultato che conferma il buon
andamento del mercato librario in Germania: la crisi degli ultimi anni, dice l’Associazione dei librai tedeschi, si è arrestata. C’è poi un altro segnale confortante, il
pubblico sta tornando a comprare nelle
librerie tradizionali. Insomma, è il commento generale, la campagna per la promozione del libro («Vorsicht Buch!», Attenzione: libro) partita da Lipsia l’anno
passato, sta dando i suoi frutti.
Manga über alles. Fra le ragioni dell’aumento di visitatori, comunque, c’è anche la decisione della Fiera di tenere la
prima Manga-Comic Convention a Lip-
sia. Un evento che ha moltiplicato l’afflusso di giovani cosplayer, i ragazzi che si vestono come i personaggi dei fumetti (oltre 30 mila). Ai manga è stato dedicato un
intero padiglione, con stand di editori,
merchandising e sale di proiezione di
anime (cartoni animati): sabato e domenica si è registrata una vera invasione.
Crepuscolo dei libri? Presentato alla
Fiera, il volume del libraio-editore di Berlino Detlef Bluhm raccoglie, sotto un titolo wagneriano (Büchedämmerung, Crepuscolo dei libri), vari saggi che si interrogano sul futuro del libro di carta. Sopravviverà alla rivoluzione dell’editoria
digitale? E la figura dell’editore è destinata a sparire? Quasi a dar sostegno ai più
foschi presagi è arrivata la notizia che anche in Germania Amazon diventa editore
in proprio di libri in tedesco (finora avevano pubblicato traduzioni in inglese di
autori tedeschi). Un fenomeno, quello
del self-publishing, che già esisteva: pub-
blicata on line, la serie krimi Berlin
Gothic di Jonas Winner è diventata un bestseller. Ma la forza del colosso Amazon,
ovviamente, non può non spaventare.
Per l’Ucraina. Per il terzo anno alla Fiera, il programma Tranzyt riuniva autori e
intellettuali ucraini, polacchi e bielorussi. Da sempre attenta ai Paesi del vicino
Est, Lipsia ha quest’anno dato voce agli
scrittori ucraini che difendono l’indipendenza della loro nazione. Juri Andruchowytsch ha chiesto all’Europa di non
assistere impassibile all’avanzata di Putin, ma di sostenere il governo di transizione e le forze democratiche. Intanto,
Bestseller
L’editore Nord porta da noi le
976 pagine del thriller sul Medio
Oriente di Frank Schätzing
sul muro della Nikolaikirche, la chiesa
protestante da cui partì nel 1989 la Friedliche Revolution, il movimento di protesta contro il regime della Ddr che portò
alla caduta del Muro, è stata posta una
bandiera ucraina.
Krimi & bestseller. Subito primo in
classifica con il nuovo Breaking News
(Kiepenheuer & Witsch), Frank Schätzing ha fatto il tutto esaurito nei numerosi incontri fuori e dentro la Fiera. Bestseller mondiale con le fantasie eco-apocalittiche del Quinto giorno (2004), Schätzing
ha scritto un thriller politico sul conflitto
tra israeliani e palestinesi, 976 pagine in
cui si mescolano personaggi d’invenzione con i protagonisti della storia del Medio Oriente. In Italia uscirà da Nord edizioni. Ancora acquisti italiani: Marsilio si
è aggiudicato Die Warheit und andere Lügen (La verità e altre bugie, Bertelsmann)
di Sascha Arango, per la critica il miglior
esordio della stagione. Molto applaudito
Dalla tv
Lo sceneggiatore
Sascha Arango
(1959) è l’autore
del romanzo
«La verità e altre
bugie» che verrà
pubblicato in
Italia da Marsilio
nell’auditorium della televisione Mdr,
Arango, padre colombiano madre tedesca, sceneggiatore della serie televisiva
Tatort, ci dà il ritratto di un bugiardo perfetto, lo scrittore Henry che vive imbrogliando gli altri. Ma da impostore a mostro il passo sarà breve... Ancora un debutto, quello di Katja Eichinger, la vedova
di Bernd Eichinger, il geniale produttore
morto nel 2011, cui si debbono film come
Cristiana F, Il nome della rosa, Hitler-La
caduta e La banda Baader-Meinhof. Katja ha appena pubblicato American Solo
(Metrolit). Una storia di follia che si svolge a Los Angeles, ma che ricorda il sequestro dell’austriaca Natascha Kampusch:
un musicista pazzo rinchiude nella panic
room di casa sua una ragazza con l’intenzione di creare la donna perfetta. «Mio
marito» ha detto la Eichinger «avrebbe
voluto fare un film sulla Kampusch. Ora
io ci ho scritto un romanzo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
30
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Idee&opinioni
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DIRITTO INTERNAZIONALE A GEOMETRIA VARIABILE
✒
Nelle sue prime dichiarazioni il
ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha richiamato con forza l’attenzione
del Paese sulla necessità di definire la nostra strategia militare, ricordando un
principio elementare che però sembra essere stato dimenticato: prima va stabilito
quali sono gli obiettivi che vogliamo perseguire e poi qual è lo strumento militare
che ci serve, compresi gli equipaggiamenti.
Fino ad ora e per troppo tempo il dibattito si è concentrato sui mezzi da acquisire
e sul loro numero, anche in relazione al
costo. Questo è avvenuto in particolare nel
caso del velivolo da attacco al suolo F35.
Ma un confronto su queste basi finisce
con l’evidenziare solo un aspetto del problema e, soprattutto, non è minimamente
correlato con lo scenario internazionale
con cui prevediamo di confrontarci nel
medio periodo né a livello di minacce, né
di alleanze, né di ruolo che intendiamo
svolgere.
Nel giro di pochi anni l’arco dell’instabilità è risalito in modo preoccupante verso nord e verso ovest, arrivando a lambire
l’intero fronte sud del Mediterraneo. Le
crisi libica e siriana restano ancora virulente, mentre è esplosa la nuova crisi
ucraina: un brusco risveglio per chi si illudeva che, chiuso o meglio rimosso il problema afghano, l’Occidente, e soprattutto
l’Unione europea, potesse limitarsi a gestire le sue difficoltà economiche e finanziarie.
È da qui che bisogna ripartire e giustamente il ministro ha sostenuto che dobbiamo finalmente predisporre un Libro
Bianco della Difesa che riesamini coraggiosamente ogni aspetto e ogni scelta
senza tabù di alcun genere. In questo quadro andranno affrontati anche i grandi
programmi militari, fra cui l’F35, consapevoli che la loro valenza prioritaria non è
né industriale, né operativa, ma strategica. E questo vuol dire chiarire prima di
tutto a noi stessi se e perché determinati
equipaggiamenti sono necessari e poi farlo con i nostri alleati europei ed americani
perché mai come in questo momento è
evidente che solo con una strategia condivisa possiamo fronteggiare le tempeste
che si profilano all’orizzonte.
Michele Nones
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CAMBIANO LE ALLEANZE SUL LAVORO
LANDINI CON POLETTI, CAMUSSO CON BOERI
✒
L’antipasto del Jobs act, le norme
contenute nel decreto di semplificazione dei contratti a termine e dell’apprendistato, stanno rimodellando le alleanze politiche e sindacali. Le grandi confederazioni dopo un periodo caratterizzato da
posizioni unitarie si sono ridivise, il segretario della Cgil Susanna Camusso si è contrapposto al ministro «sociale» del gabinetto Renzi (Giuliano Poletti)
ed è rientrato in gioco Maurizio Sacconi, ex responsabile del dicastero del Welfare nel governo Berlusconi
passato poi nelle file di Ncd.
Per dirla in breve si è andato formando un inedito
asse Poletti-Bonanni-Sacconi che, già forte di suo,
può godere di un «appoggio esterno» da parte di
Maurizio Landini. Il segretario della Fiom
in realtà vanta un’interlocuzione con il piano di sopra, direttamente con il premier
Matteo Renzi e invece continua a essere visto con sospetto da Bonanni e Sacconi. E del
resto non potrebbe essere altrimenti, considerate le tante occasioni nelle quali il numero uno della Cisl e l’ex ministro si sono
trovati come primo avversario proprio Lan-
dini. Nonostante ciò il leader metalmeccanico ricopre — specie agli occhi del premier — un ruolo tatticamente importante
perché stana con la sua azione i vertici della
Cgil e ne mette di continuo in evidenza «le
posizioni ondivaghe».
L’impressione è che Camusso abbia cambiato più volte posizione proprio per evitare
di restare isolata e questo timore l’abbia
portata infine a decidere,
con una mossa inattesa, di
aprire al «contratto unico a
tutele crescenti». Un’ipotesi
elaborata dai professori Tito Boeri e Pietro Garibaldi
che la Cgil aveva sempre avversato e che invece compariva nella bozza del Jobs act,
scritta però prima che Renzi andasse a Palazzo Chigi.
Adesso Camusso è, dunque, in buona compagnia: può sostenere di
essere in linea non solo con la minoranza
Pd ma anche con Boeri e il primo Renzi. Per
rendere però pienamente credibile il riposizionamento la attende la prova del nove:
esplicitare il via libera al superamento dell’articolo 18 previsto nel contratto unico.
Dario Di Vico
© RIPRODUZIONE RISERVATA
È questo il vero punto di forza di Renzi.
È la più potente arma di ricatto di cui dispone per mettere in riga le lobby parlamentari e la burocrazia a tutti i livelli: tutti
quelli che, se si profila all’orizzonte una
innovazione, si mettono subito al lavoro
per neutralizzarla, distorcerla, edulcorarla. E che fino ad oggi, sfruttando cavilli e
procedure complicate, sono sempre, o
quasi sempre, riusciti a spuntarla. Basti
vedere che cosa è successo a tanti provvedimenti varati dai governi Monti e Letta.
Sbloccherà davvero Renzi il pagamento
dei debiti alle imprese? Il provvedimento
sui contratti a termine, quando verrà varato, partirà già annacquato grazie al lavoro
sottotraccia delle lobby contrarie oppure
verrà neutralizzato in sede di attuazione?
La riforma del lavoro di Renzi farà la fine
di quella della Fornero? Il taglio dell’Irpef
risulterà solo un regalo elettorale (in vista
delle Europee di maggio) incapace di stimolare la ripresa della domanda interna
oppure, sommandosi ad altri provvedimenti pro-crescita, contribuirà a mutare il
clima del Paese, a dare il colpo di frusta di
cui l’economia italiana ha bisogno? Cosa
verrà fatto, a breve, contro quella palla al
di MASSIMO NAVA
SEGUE DALLA PRIMA
I rischi di effetto domino sono all’ordine del
giorno — dalle inquietudini nelle
Repubbliche ai confini della Russia per il
riaccendersi di sentimenti separatisti
all’impasse diplomatica sui principali
dossier (Siria, nucleare iraniano, Medio
Oriente) in cui le buone relazioni
dell’Occidente con Mosca restano
indispensabili e decisive.
Ma non basta un confronto storico
inquietante per capire la complessità della
crisi sul Mar Nero, dove l’espansionismo
della Nato e dell’Europa si confronta con le
nostalgie imperiali di Mosca. Ce ne vogliono
altri che aiutino a comprendere, oltre ai torti
di Putin, anche le ragioni della popolazione
russofona e soprattutto la fragilità del diritto
internazionale, continuamente invocato a
geometria variabile, ancora una volta violato
e spesso in conflitto con i diritti dei popoli e
delle minoranze.
Per quanto ogni situazione contenga aspetti
specifici e cause diverse, quanti referendum
della storia recente hanno consentito di
risolvere tragiche eredità di divisioni
territoriali e coloniali o di spegnere tensioni
nazionalistiche e indipendentiste? Basti
ricordare Timor Est, il Sud Sudan, la
Cecoslovacchia del dopo Muro, forse domani
la Scozia e la Catalogna. Per quanto ogni
situazione sia differente, quanti referendum
e campagne separatiste hanno invece
provocato effetti opposti? Occorre ricordare
che proprio un referendum scatenò la guerra
fratricida in Bosnia e l’assedio di Sarajevo.
E come dimenticare che le rivendicazioni
nazionalistiche, cui seguirono — da parte
di Paesi europei — frettolosi riconoscimenti
di dubbia legittimità (Croazia, Slovenia),
portarono all’implosione della ex
Jugoslavia, fino alla guerra del Kosovo?
Occorre ricordare che proprio il Kosovo,
repubblica oggi riconosciuta da una grande
maggioranza di Stati (con qualche eccezione
significativa delle implicazioni interne,
come Spagna, Grecia e Romania) ottenne
l’indipendenza grazie al «bombardamento
umanitario» della Nato contro la Serbia
di Milosevic, liquidato con la forza
dall’Occidente e mollato dall’alleato russo.
Si dirà che i russi di Crimea non sono oggi
minacciati come lo era la maggioranza
albanese del Kosovo, ma fino a quando, se
venisse a mancare la protezione di Mosca?
È lecito chiedersi perché della quotidiana
tragedia della minoranza serba in Kosovo
non interessi più a nessuno? Potranno i serbi
di Mitrovica annettersi alla madre Serbia?
Con questi precedenti, il referendum in
Crimea legittima inevitabilmente altre
aspirazioni in ogni angolo del pianeta dove
si soffre per difendere identità nazionali,
etniche, linguistiche e religiose più o meno
minacciate. E con questi precedenti, si
comprende anche come la legge del più forte
e gli interessi politici prevalgano — come si
dice — a prescindere. Considerazioni di
natura politica e morale spingono ad alzare
le voci di condanna e a invocare sanzioni, ma
l’intensità di queste voci è condizionata dalla
quantità e dal livello di interessi che
potrebbero venire momentaneamente
compromessi. Nel caso della Russia di Putin,
le relazioni commerciali, finanziarie ed
energetiche con i Paesi europei stanno
condizionando con tutta evidenza
l’atteggiamento delle capitali europee.
Ed è assai probabile che lo stesso
condizionamento si avvertirebbe, come è già
avvenuto, in senso contrario, quando cioè
fossero le aspirazioni nazionalistiche o
indipendentiste a minacciare l’integrità
territoriale di una media o grande potenza e
a venire violentemente represse. Basti
ricordare la Cecenia, il Tibet, i popoli kurdi
e tuareg.
Persino l’integrità della Siria di Assad, al di là
dell’indignazione verbale, finisce oggi —
dopo 150 mila morti — per essere ritenuta
preferibile a una divisione territoriale che
alimenterebbe l’influenza islamica radicale.
Se il diritto internazionale continua ad
essere fatto a pezzi o invocato a geometria
variabile, le sole sanzioni rischiano di essere
un’arma spuntata, come lo è un Consiglio di
sicurezza prigioniero di veti incrociati.
Meglio sarebbe ritrovare dialogo e buon
senso. Con un po’ più di coerenza e un po’
meno di ipocrisia. Una gestione della crisi in
ambito Ocse, che si sta facendo strada in
queste ore, é un primo segnale positivo.
Alzare la voce non muta i rapporti di forza,
né salva l’Ucraina dal baratro. Basterebbe
considerare che la salvezza di Kiev
costerebbe molto meno di quanto è costato
aiutare la Grecia e che Mosca avrebbe solo da
perdere dall’implosione di un Paese esposto
con le banche russe per decine di miliardi di
dollari.
[email protected]
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GARANTE DELLA PRIVACY
Troppi divieti al diritto di cronaca
di CATERINA MALAVENDA
RAGIONI E RISCHI DI UNA ROTTURA
NON SI VIVE DI BELLE PAROLE
SEGUE DALLA PRIMA
I risultati del referendum in Crimea
possono generare un effetto domino
CONC
NELLA STRATEGIA MILITARE DI PINOTTI
NON CI SONO SOLTANTO GLI AEREI F35
piede dell’economia che è il malfunzionamento della giustizia civile? Cosa verrà fatto per rendere i ricorsi ai Tar l’eccezione
anziché la regola? A seconda delle risposte
che potremo dare fra qualche mese a queste e ad altre domande, capiremo — lo capiremo solo allora — se Renzi si rivelerà
un autentico vincente oppure un’altra
(l’ennesima) promessa mancata.
I vincoli che il premier deve aggirare o
allentare sono potenti. Egli ha in mano
due sole carte: il rapporto carismatico che
ha stabilito con l’opinione pubblica e la
paura dei parlamentari che un suo fallimento li porti dritti alle elezioni. Ma sono
carte a rischio di deterioramento rapido. Il
carisma, per sua natura, è fragile, transitorio, effimero. Renzi ha ragione nel voler
fare tutto o quasi tutto in fretta, nel tempo
più breve possibile. Deve cambiare le regole del gioco, ivi comprese quelle istituzionali e amministrative, prima che il suo
carisma subisca l’inevitabile logoramento.
Altrimenti, tutto finirà con il solito
«vorrei ma non posso», la vera epigrafe di
altre avventure carismatiche che l’Italia repubblicana ha conosciuto.
Angelo Panebianco
© RIPRODUZIONE RISERVATA
C
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ha deciso di modificare il codice deontologico dei giornalisti, allegato
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personali. A regole condivisibili e rodate, ne aggiunge altre, alcune delle quali rischiano di complicare ulteriormente la vostra
vita e meritano, perciò, qualche riflessione.
Chi fa informazione può trattare quei dati,
anche i più sensibili, senza il consenso del titolare, ma con le modalità stabilite appunto dal
vigente codice deontologico, la cui violazione
può generare già oggi gravi conseguenze e sul
quale il Garante ha deciso di intervenire, per
adeguarlo «alle mutate sensibilità», anche tenuto conto «delle implicazioni che l’evoluzione tecnologica ha sul modo di fare informazione.
Una spiegazione che non giustifica, però,
l’introduzione di ulteriori e serie limitazioni al
diritto di cronaca. Il presupposto perché il
giornalista possa utilizzare i dati altrui è e rimane l’essenzialità dell’informazione che essi
debbono corroborare. Si tratta evidentemente
di un limite assai vago per chi deve osservarlo
e, soprattutto, suscettibile di valutazioni opinabili, da parte di chi — Garante o Tribunale
— deve giudicarne il rispetto, sulla scorta di
divieti generali e deroghe eccezionali, su cui il
nuovo codice deontologico interviene ancor
più incisivamente, rischiando di limitare troppo la circolazione delle notizie e di generare, a
titolo precauzionale, una prudenziale autocensura, a scapito della completezza dell’informazione, importante tanto quanto la sua es-
senzialità. Il Garante codifica, così, per la prima volta, il diritto all’oblio, aggiungendo agli
inediti e condivisibili obblighi, su richiesta
dell’interessato, di aggiornare i dati, conservati negli archivi e di deindicizzare articoli assai
datati, anche quello, assai meno condivisibile,
di evitare ogni riferimento a particolari, relativi al passato «quando ciò non alteri il contenuto della notizia»; o persino, a distanza di tempo, l’obbligo di non citare il condannato, se ciò
può incidere sul suo percorso di reinserimento sociale, senza alcuna eccezione.
Una coltre di silenzio potrebbe calare così
sul passato di personaggi pubblici, ancora sulla scena e certo pronti a sostenere che una certa vicenda o una antica condanna siano oramai acqua passata ed a chiedere pesanti sanzioni per chi abbia osato rivangarle.
Davvero sorprendenti sono poi i limiti introdotti, per via amministrativa, alla cronaca
giudiziaria, là dove persino la politica si era
fermata. Così il giornalista dovrà tacere l’identità di chi è stato sentito in un procedimento
giudiziario, a meno che sapere chi è non sia
necessario per comprendere la notizia; ma soprattutto e questa volta senza nessuna eccezione, non dovrà consentire l’identificazione delle persone, a qualunque titolo citate negli atti
del procedimento, ma non coinvolte, mentre
nel citare gli indagati, «valuta comunque i rischi». Non è peregrino immaginare la schiera
di coloro che sosterranno, a pieno titolo, l’inutilità e, quindi, la illegittimità della diffusione
della loro identità.
Attenzione anche alla divulgazione degli at-
ti di un procedimento, in particolare le intercettazioni: necessario evitare ogni riferimento
ai soggetti «non interessati», salvo che sussista, concetto del tutto inedito, «un eccezionale
interesse pubblico»; e privilegiare la pubblicazione del contenuto degli atti, in luogo del loro
tenore letterale, quando «non sia compromesso il diritto di cronaca».
La struttura del nuovo codice è, dunque,
omogenea, una somma di divieti chiari e di facoltà di deroga, dai contorni assai sfuggenti e
dalla cui corretta interpretazione dipenderà la
sorte del giornalista. Il trattamento dei dati, in
violazione del codice deontologico, infatti,
sotto il profilo delle conseguenze, equivale al
trattamento senza il necessario consenso, un
reato procedibile d’ufficio, punito con la reclusione — senza che nessuno si sia finora stracciato le vesti — se il giornalista lo ha commesso per ottenere un profitto per sé, quale può
essere una promozione; o per altri, ad esempio per l’editore che, da uno scoop, trae un utile proporzionale al maggior numero di copie
vendute.
È poi condotta pericolosa che causa sempre
danni, salvo che si provi il contrario, che il
giornalista e l’editore dovranno risarcire; ed è
illecito disciplinare sanzionabile, nei casi più
gravi, con la sospensione o la radiazione dalla
professione.
Serve altro, per dissuadere anche i giornalisti più coraggiosi?
Avvocato, specialista
in Diritto dell’informazione
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
31
Le lettere, firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a:
«Lettere al Corriere» Corriere della Sera
via Solferino, 28 20121 Milano - Fax al numero: 02-62.82.75.79
Lettere al Corriere
COME IL PRESIDENTE ROOSEVELT
PREPARÒ IL SUO PAESE ALLA GUERRA
Risponde
Sergio Romano
A me sembra di ricordare che
quando nell’agosto del 1940
l’Inghilterra era minacciata
di invasione da parte dei
tedeschi, gli Stati Uniti
inviarono 50
cacciatorpediniere della
prima guerra mondiale e
conservati per così dire in
naftalina che furono a mio
avviso determinanti per
impedire lo sbarco da parte
dei tedeschi. Gradirei sapere
se il mio ragionamento è
corretto.
Giuliano Ricci
Firenze
Caro Ricci,
operazione «Leone
marino» (il nome di
codice del piano con
cui i tedeschi progettarono
l’invasione della Gran Bretagna dopo la rotta anglofrancese di Dunkerque) fallì
per ragioni prevalentemente logistiche. Ma la fornitura delle navi, anche se pagata con la cessione agli Stati
Uniti di basi britanniche nei
Caraibi, dimostrò che il presidente Roosevelt era già allora, molto prima dell’attacco giapponese a Pearl
Harbor, deciso a impegnare
l’America nella guerra contro le potenze dell’Asse e il
Giappone. Le navi furono
importanti, ma molto più
decisivo fu il «Lend-lease
Act», la legge affitti e prestiti, approvata dal Congresso
agli inizi del 1941, con cui
CONFLITTI NEL MONDO
PROVVEDIMENTI
Posizione dei pacifisti
Buste paga più ricche
Caro Romano, vorrei
chiederle un parere, un
commento sull’assoluto
silenzio delle organizzazioni
pacifiste riguardo alla
«primavera araba», l’Egitto,
la Siria (con i milioni di
profughi e migliaia di morti),
per non parlare di Corea del
Nord, del Sudan, ed ora dei
carri armati di Putin in
Ucraina. Su tutto questo
silenzio assoluto. È la solita
ipocrisia per cui si criticano
solo Stati Uniti e Israele?
Sono io che vedo male la
situazione? Non sono
abbastanza informato? Non è
politicamente corretto
parlare di questo argomento?
Non è che i pacifisti sono
pacifisti a senso unico?
Immaginiamo che al posto di
Putin ci sia l’America: le
piazze sarebbero piene e gli
intellettuali si straccerebbero
le vesti. Non è così?
Francesco Spinelli, Milano
La risposta è già stata data
da Angelo Panebianco sul
Corriere del 3 marzo («Noi tra
ipocrisia e indifferenza»). I
temi internazionali appassionano l’opinione pubblica soltanto quando le manifestazioni servono a colpire un avversario politico nazionale.
I dipendenti con un certo
reddito riceveranno in busta
paga 80 euro e Renzi si è
assicurato voti. Sarà, ma ha
perso i voti dei pensionati,
che pur essendo equiparati ai
lavoratori dipendenti non
riceveranno nulla.
L’
Carla Nipoti
[email protected]
TURISMO A LONDRA
Problemi risolti
Sono da poco tornata da un
viaggio a Londra con quattro
amiche ed abbiamo potuto
constatare come vengono
trattati i turisti in questa
città. Intanto avevamo
acquistato tramite internet il
London pass e la travel card
che ti permettono di andare
praticamente ovunque. Due
giorni dopo l’acquisto erano
già arrivate le tessere in Italia
La tua opinione su
sonar.corriere.it
Berlusconi: sono pronto
a candidarmi alle
elezioni europee in tutte
le circoscrizioni.
Fa bene?
gli Stati Uniti, nonostante la
loro condizione di Paese
neutrale, poterono fornire
materiale bellico alla Gran
Bretagna, alla Cina e, dopo
il giugno 1941, all’Unione
Sovietica.
Roosevelt dovette muoversi con gradualità e prudenza perché la maggioranza dell’opinione pubblica
americana era contraria all’intervento e gli isolazionisti, quando non erano addirittura filo-tedeschi, rappresentavano una parte
con le guide di Londra in
omaggio. Arrivate a Londra,
io perdo subito il London
pass. Panico anche perché
costa la bellezza di 108
sterline e pur avendo fatto
l’assicurazione questa
copriva solo il mancato
utilizzo, non lo smarrimento.
La mattina dopo ci rechiamo
al chiosco del London pass,
spiego la situazione, mi
chiedono di vedere i tesserini
delle mie amiche e mi fanno
immediatamente il duplicato
senza chiedermi altro.
Andiamo poi ad Hampton
Court e ci fermiamo a
mangiare alla caffetteria. Ci
accorgiamo dopo aver pagato
la consumazione che c’è lo
sconto del 10% London pass.
Facciamo presente la cosa
alla cassiera, lei ci chiede
considerevole del Congresso. Ma nei due anni che precedettero l’attacco contro la
flotta americana nel Pacifico, il presidente degli Stati
Uniti non smise mai di preparare il suo Paese al conflitto.
Aumentò le spese militari, decretò un embargo sulle
forniture americane di petrolio al Giappone, chiuse i
consolati tedeschi negli
Stati Uniti e firmò con
Churchill, nell’agosto del
1941, una dichiarazione (la
Carta Atlantica) che era di
fatto un’Alleanza morale dei
due maggiori popoli di lingua inglese. Era convinto
che la sicurezza dell’America dipendesse dal ruolo po-
litico e militare della Gran
Bretagna nell’Atlantico e
che l’America, se la Germania avesse vinto, avrebbe
avuto un nemico sulla porta
di casa.
Questa politica, perseguita coerentemente sino al
dicembre 1941, spiega perché i suoi nemici e i loro
eredi non smettano di considerare Roosevelt responsabile dell’impreparazione
dimostrata dalla flotta americana quando gli aerei
giapponesi apparvero nel
cielo di Pearl Harbor alle 7 e
49 del 7 dicembre 1941. Gli
argomenti sono dietrologici, ma i sospetti sono duri a
morire.
tutti gli scontrini e torna poi
al nostro tavolo con la
differenza in moneta per ogni
scontrino. Tralascio ogni
considerazione sui trasporti,
perché c’è un autobus o una
metro ogni 2 o 3 minuti. Se
fosse successo in Italia? Qui il
turista, in linea di massima,
serve solo per spennarlo.
Adele Confalonieri, Firenze
che ho investito in borsa per
«spuntare» qualcosa in più
del conto corrente, presto
verranno tassati in modo più
pesante, convincendomi che
sarà meglio vendere tutto
prima dell’ennesimo salasso.
Sì
30
No
70
Luigi Alberto Weiss
Senigallia (Ancona)
BUONA NOTIZIA
Attesa ragionevole
NO AL VITALIZIO
Contributo personale
All’appello di Gerry Scotti,
intenzionato a rinunciare a
un vitalizio che ancora non
percepisce, vorrei rispondere
dicendo che io da 40 anni «do
una mano» alle finanze
pubbliche, pagando fino
all’ultimo centesimo di tasse,
per non dire dei ticket
sanitari e dei tanti altri
balzelli inventati dai nostri
politici. Dagli ultimi annunci
poi non spero nulla di buono,
visto che quei pochi risparmi
SUL WEB Risposte alle 19 di ieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La domanda
di oggi
Angelino Alfano
(Nuovo centrodestra):
votare Forza Italia
alle Europee è inutile.
Siete d’accordo?
Ho interpellato il numero
verde Asl che permette di
prenotare esami e visite in
tutta la Lombardia. Con
grande stupore per una Tac
ho dovuto aspettare solo 3
giorni, per una visita
ortopedica 2 settimane, per
un esame uditivo una
settimana.
Edoardo Rabascini
[email protected]
EUROPEE
Nome sulla lista
Berlusconi non si candiderà
certamente alle Europee. In
compenso ci ritroveremo sulle
schede un simbolo di Forza
Italia con il suo nome in
estrema evidenza. Cosa
cambia per la politica di
questa disperata
seconda/terza repubblica?
Nicola Zoller
[email protected]
Interventi & Repliche
Abilitazione universitaria e ideologia
Valutazione ideologica nelle Commissioni
per l’Asn? Affermare, come fa Dino
Messina sul Corriere di ieri, che per
superare l’Abilitazione universitaria (Asn)
sarebbe «vietato studiare autori di
destra», traendo la conclusione che si stia
incorrendo nel peccato capitale della
«valutazione ideologica», suona magari
suggestivo per certe orecchie, ma è
semplicemente falso e persino grottesco.
Messina prende per buone le lagnanze di
Alessandro Campi, candidato bocciato
alla I Fascia di Storia delle dottrine
politiche, e mi tira in causa come
responsabile di tale crimine impensabile
(secondo il Campi, naturalmente). Allora,
sono costretto a precisare quanto segue:
1) le Commissioni sono composte da 5
membri, uno dei quali straniero (nel caso
statunitense); 2) per essere «promossi»
occorrono almeno quattro voti, mentre il
candidato Campi ne ha ottenuti tre, uno
dei quali è stato il mio, pur rilevando certe
criticità della sua produzione; 3) io stesso
— e spesso la Commissione nel suo
complesso — ho promosso studiosi e
studiose che si dedicano esclusivamente
al pensiero conservatore o reazionario,
compreso quello estremo, razzista,
antisemita ecc. (e abbiamo bocciato
studiosi che si confrontano con autori di
sinistra); 4) last but not least,
personalmente, da decenni mi dedico allo
studio di movimenti come il nazionalismo
e il fascismo, e di correnti come il
bellicismo in ogni sua espressione. Allora,
chi è che deforma le proprie analisi e
offusca il proprio giudizio con la
«valutazione ideologica»?
Angelo d’Orsi
Dipartimento di Studi Storici
Università di Torino
Scrivere, come lei ha fatto sul professor
Campi, che «suscita perplessità il carattere
fortemente ideologico di tanta parte della
sua produzione», rimane un giudizio
negativo che si ripercuote su quello
complessivo della commissione. La
«valutazione ideologica» tuttavia riguarda
anche altri candidati e altre commissioni:
lo testimoniano i verbali d’esame.
Dino Messina
© 2014 RCS MEDIAGROUP S.P.A. DIVISIONE QUOTIDIANI
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
DIRETTORE RESPONSABILE
PRESIDENTE Angelo Provasoli
Ferruccio de Bortoli
VICE PRESIDENTE Roland Berger
Luciano Fontana
VICEDIRETTORI
Antonio Macaluso
Daniele Manca
Giangiacomo Schiavi
Barbara Stefanelli
AMMINISTRATORE DELEGATO Pietro Scott Jovane
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Particelle elementari
di Pierluigi Battista
Commissario politico
all’università
E
così, come ha scritto Dino Messina sul Corriere riprendendo una rivelazione di Libero, la studiosa Simonetta Bartolini, autrice di eccellenti studi sulla
cultura e la letteratura italiana del Novecento e in particolare di Giovanni Guareschi, non ha passato l’abilitazione nazionale perché secondo un commissario (politico?)
Mario Sechi, la cui fama scientifica ha raggiunto gli angoli più
remoti del mondo,«la candidata presenta un profilo marcatamente militante». «Militante» è solo un velo di ipocrisia. Il
commissario (politico) intendeva «di destra». Fosse stato militante del fronte opposto, i parametri (compiacenti) sarebbero
stati ben diversi.
Peccato che l’Università funzioni ancora così, come la sacca
conservatrice di una cultura arroccata nelle trincee del passato. Peccato che il potere dei commissari per l’abilitazione su
base nazionale sia aumentato a dismisura con una riforma,
quella Gelmini, concepita per stroncare le cordate baronali,
ma attuata come strumento di pressione politica fortissima.
Peccato che una studiosa come la Bartolini, di cui si conoscono
e si apprezzano i lavori su Ardengo Soffici e Giovannino Guareschi , tra gli altri, non venga giudicata per le sue credenziali
scientifiche, per la sua statura accademica, ma sulla base di un
pregiudizio politico, come se l’Università dovesse essere culturalmente monocolore, monocorde, conforme, uniforme, grigia, senza ombra di diversità e di pluralismo. Peccato, perché a
parti rovesciate si sarebbe gridato, giustamente, al maccartismo. Mentre invece l’odioso
maccartismo applicato ai nemici
Il maccartismo culturali della destra viene considerato normale e non censuraalla rovescia
bile. Peccato che la liquidazione
di un’eccellente studiosa venga
colpisce
affidata non a un empireo di spiuna studiosa
riti magni di cui è unanimemente riconosciuta l’autorevolezza e
di destra
l’erudizione, ma a una mediocre
commissione formata da docenti che onestamente non possono vantare un curriculum di
pubblicazioni così superiore a quello di un candidato bocciato. Peccato, questo sprofondare nei gorghi del passato in un
luogo che dovrebbe essere brillante negli studi e nella ricerca.
Non resta che rammaricarsi perché invece l’Università italiana, un’istituzione pubblica, un «bene comune» di cui la collettività dovrebbe andare fiera, si rivela un’istituzione vischiosa
in cui le guerre ideologiche del passato hanno la meglio sulla
valutazione scientifica dei lavori fatti. C’è qualcosa di male se
un’«abilitata» abbia un suo impegno «militante» e di impegno civile in uno schieramento diverso da quello prediletto dai
commissari (politici?) chiamati a esprimere un parere culturale e non politico? C’è qualcosa di indecente nel fatto che Simonetta Bartolini diriga e collabori a riviste «militanti». Fortemente connotate a destra? E che si direbbe se a una studiosa
«militante» di sinistra si dovesse interdire la carriera universitaria per il pregiudizio ideologico di una commissione? Nell’Italia del 2014: sembrava impossibile.
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DEL LUNEDÌ
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Nomi stranieri
Normalmente non chiamiamo «England»
l’Inghilterra o «Deutschland» la Germania.
Perché allora denominare «Malaysia» il
Paese che in lingua italiana si chiama
Malesia? Non parliamo poi del cacofonico
aggettivo malaysiano per malese,
frequente nelle cronache sull’aereo
scomparso. Temo che la causa di ciò non
sia un omaggio alla denominazione del
Paese nella lingua locale, ma
trascuratezza di chi, lavorando con fonti di
lingua inglese, non si cura nemmeno di
tradurre in italiano i nomi geografici. Per
quanto amante dell’esotismo, Salgari non
si sognò di chiamare i suoi eroi «tigrotti
della Malaysia».
Vermondo Brugnatelli, Milano
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
32
Spettacoli
Box office Usa
Il cartoon «Mr. Peabody e Sherman» in vetta agli incassi
Mr. Peabody e Sherman, il cartoon Dreamwork
che la scorsa settimana ha esordito al secondo
posto del box office Usa, vola in vetta con 21,2
milioni di dollari incassati, scalzando 300 -
L’alba di un impero (19,1 milioni). Solo terzo al
debutto, e con in cassa 17,8 milioni di dollari,
Need for Speed, adattamento cinematografico
dell’omonima e fortunata serie di videogame.
In arrivo
Dopo «Scialla!»
il regista racconta
la vita di una coppia
separata con due
figli adolescenti
Le stelle
Due ex coniugi con figli si ritrovano
in una fuga dalla città tornando, per
un giorno, a essere una famiglia
da evitare interessante
da non perdere capolavoro
Noi 4
di PAOLO MEREGHETTI
C
he qualcosa stia cambiando nella commedia italiana mainstream (ammettendo che questa definizione sia pertinente ed
esaustiva) mi sembra incontestabile. Alcuni registi continuano a percorrere strade battute e ribattute,
alla ricerca di un «usato sicuro» che
però comincia a mostrare i primi,
significativi segni di erosione (penso a Brizzi, Genovesi, Patierno, Miniero, Vanzina. E vorrei aggiungere
tra le «delusioni» anche Milani o
Genovese). Altri, e penso a Virzì, a
Verdone, a Luchetti, all’Archibugi
(se proseguirà sulla strada di Questione di cuore), persino — anche
se con molta più timidezza — a Veronesi, sembrano invece alla ricerca
di un modo diverso di pensare la
commedia, meno farsesca e più
umoristica, meno debitrice delle
pure tecniche di sceneggiatura a favore di una più attenta riflessione
sul reale. Con
esiti non sempre soddisfacenti ma coIl film
munque indidel
cativi di una
diversa voglia
Mereghetti
di cambiare.
Anche Francesco Bruni regista
sembra indirizzarsi su questa strada. Il confronto generazionale già
alla base di Scialla! è presente pure
nel nuovo Noi 4 dove però si colora
di una diversa e più «quotidiana»
sfumatura. Non ci sono più le pause
satiriche a casa della pornodiva bisognosa d’affetto né le divagazioni
grottesche col gangster cinefilo e
leopardiano, ma «solo» i problemi
normali di una famiglia normale in
una giornata nomale, dove ognuno
farà i conti con le proprie ansie e le
proprie ambizioni e forse imparerà
a conoscere se stesso un po’ di più.
Il film segue per ventiquattro ore
la vita di una famiglia romana del
ceto medio: padre, madre e due figli. Solo che i tempi e i casi della vita hanno fatto sì che i componenti
di questa famiglia si sveglino in
quattro case diverse: i due genitori
Insieme Da sinistra, in senso orario, Lucrezia Guidone ( 27 anni), Fabrizio Gifuni (47), Ksenia Rappoport (39) e il giovane Francesco Bracci Testasecca
Le 24 ore di una famiglia normale
in un viaggio tra sogni e fragilità
Bruni torna al confronto generazionale ma rimane sottotono
Autore Il regista Francesco Bruni (52)
Ettore e Lara (Fabrizio Gifuni e Ksenia Rappoport) perché separati, i
due figli perché la ventenne aspirante attrice Emma (Lucrezia Guidone) è tra gli occupanti di un teatro e il tredicenne Giacomo (Francesco Bracci Testasecca) perché è
ospite della zia Nicoletta (Raffaella
Lebboroni) «comandata» ad accompagnarlo a scuola il giorno degli orali di terza media.
Ingegnere del Comune, la madre
Lara (che si occupa degli scavi della
linea metropolitana e deve vedersela con gli stop imposti dai ritrovamenti archeologici) cerca di incastrare impegni professionali, voglia
di essere vicino al figlio in un giorno importante ma anche speranza
di trasmettere all’ex marito Ettore
un po’ del suo senso del dovere, ricordandogli appunto gli esami di
Giacomo e il suo impegno a essere
presente. Impegno che Ettore, pittore più attratto dalla vita bohèmienne che da un’autentica passione artistica, tende sistematicamente a dimenticare. A complicare la
giornata, poi, arriva un lungo ritar-
Legame
L’esame orale di terza media
del più piccolo diventa
il pretesto per riavvicinare
quattro esistenze distanti
do negli orari delle interrogazioni
per via di un membro della commissione da sostituire all’ultimo
minuto, a cui si aggiungono le paura di Emma di essere incinta (di un
regista tanto geniale quanto allergico alla vita di coppia), i ritardi cronici del padre, i palpiti amorosi di
Giacomo per un’amica cinese e le
angosce perfezioniste di una madre
che cerca di risolvere tutto.
Tutte queste quotidiane disavventure, Bruni le racconta con uno
sguardo partecipe ma anche un po’
disincantato, cercando di smorzare
o di ironizzare sulle nevrosi e le paure dei suoi quattro non-eroi, alla
ricerca di una «distanza» capace di
restituire sullo schermo con since-
rità e verosimiglianza le cose della
vita. Ma se è interessante lo sforzo
di evitare le trappole di una comicità di grana grossa, che stonerebbe
con le ambizioni narrative, così come la tentazione di un happy ending che cancellasse in un solo colpo il percorso di scavo nei comportamenti su cui il film si regge, si
sente anche il rischio di una eccessiva «semplificazione» di quello
sguardo quotidiano. Sautet, per ricordare un altro cantore delle «cose
della vita», offriva allo spettatore lo
spunto per entrare dentro le pieghe
dell’esistenza, restituendo verità
dolorose o rimosse. Così Deville o la
Varda, per citare altri registi su questa lunghezza d’onda (senza scomodare i sommi Ozu o Mizoguchi).
Bruni, invece, sembra fermarsi
troppo all’inizio di quel viaggio: individua con coraggio una strada
non molto battuta (almeno dal cinema italiano degli ultimi anni) ma
poi non trova la forza di stile o di
racconto che possano fare di quella
storia qualche cosa di veramente
unico e necessario.
Nei suoi quattro personaggi ci si
può anche rispecchiare (forse un
po’ meno nelle punte melodrammatiche della ventenne Emma) ma
quando sono stati scelti per finire
davanti all’obiettivo di una macchina da presa si rischia di passar loro
accanto senza che si accenda una
vera curiosità, un’autentica voglia di
conoscenza. Come se alla fine la
scelta del sottotono avesse finito
per rivoltarsi contro il suo artefice e
le ambizioni cechoviane della scrittura non avessero trovato una qualche ragione importante su cui innalzarsi davvero.
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Broadway Debutto a teatro per lo show ispirato al personaggio del pugile che ha spopolato al cinema. Stallone: «Ho pianto»
Rocky non danza solo sul ring, adesso è diventato un musical
D
ai saltelli sul ring alle piroette. Dalla periferia di
Philadelphia ai teatri di
Broadway. Rocky Balboa, il pugile italoamericano riuscito a diventare il più forte di tutti quando nessuno ormai ci credeva più,
sta giocando in questi giorni un
nuovo match: quello che vede
uno dei personaggi più popolari
e ruvidi del cinema diventare il
protagonista di un musical.
Chissà se il genere sarebbe
piaciuto al ragazzotto che si allenava correndo sulla scalinata del
Museum of Art della sua città.
Non è facile immaginarlo seduto
vicino ad Adriana sulla poltroncina del Winter Garden Theatre,
dove lo spettacolo ha debuttato
l’altra sera. Eppure è successo.
Perché se in scena c’era la storia
di questo uomo che trova riscat-
to con la boxe, in platea c’era chi
non solo gli ha prestato il volto
ma lo ha anche fatto nascere,
Sylvester Stallone. «Quando ho
visto la prima volta il musical (lo
spettacolo pilota c’è stato nel
2012 ad Amburgo) ho pianto. E’
un buon segno», ha scherzato
l’attore con la folla prima di entrare a teatro. Non è solo l’affetto
per il personaggio che gli ha regalato la fama. Piuttosto è la
A Chicago
Oprah Winfrey vende gli studio
Oprah Winfrey vende gli Harpo Studios di Chicago, che dal
1990 al 2011 hanno ospitato il suo talk «The Oprah Winfrey
Show», uno dei programmi più seguiti d’America (dai 7
milioni di ascolto in su). L’accordo, che sarà formalizzato in 30
giorni, lascia per altri due anni gli edifici a disposizione della
conduttrice per continuare a girare i programmi della sua tv
via cavo. Negli studios, che hanno una superficie di oltre 14
mila metri quadrati, lavorano circa 200 persone. Il prezzo di
vendita si aggirerebbe intorno ai 32 milioni di dollari.
consapevolezza dell’intreccio
che c’è tra la sua vita con quella
di Rocky. Erano gli anni ’70
quando Stallone prese in mano
la penna per raccontare la rivincita di questo 30enne. Il divo allora era un attore sconosciuto,
anche lui in cerca di una possibilità. Il compimento dell’american dream c’è stato con il successo del film del ’76, a cui sono seguiti tre Oscar e cinque capitoli
fino all’ultimo che lo ha visto infilare i guantoni 59enne e vedovo.
Ora però Rocky canta. «Ho un
rispetto enorme per Broadway»,
ha confessato Stallone (anche
produttore del musical), spiegando poi: «Nella scrittura mi
sono ispirato a West Side Story o
Mean Streets: vedo una chiave
poetica nei personaggi. Diceva-
Oggi e ieri
Andy Karl e Margo Seibert sono Rocky
Balboa e Adriana nel musical «Rocky»,
in scena a Broadway. Nel tondo Sylvester Stallone, 67 anni, nel film del ‘76
no fosse un film sulla boxe... no,
no, è una storia d’amore. Gli incontri di pugilato non sono la
parte più importante della storia, i sentimenti lo sono. Ho
sempre pensato che Rocky fosse
adatto per un musical».
Una storia che ha scritto «perché, in fondo, mi sentivo solo.
Ho preso tutto quello che provavo e l’ho messo nel corpo di un
pugile. Non avevo idea però che
così tanti milioni di persone nel
mondo si sentissero allo stesso
modo». Persone ora in coda per
ritrovare Rocky a teatro. La sera
della prima, alla fine dello spettacolo, Stallone è salito un’ultima volta sul ring, vicino a Andy
Karl, l’attore che ora dà il volto a
Rocky. Forse avrà pensato a cosa
diceva il suo personaggio:
«L’importante non è come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi».
Chiara Maffioletti
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
L’intervista
Spettacoli 33
La cantante lirica si esibirà per la prima volta all’Opera di Roma: città bellissima, ma è 7 anni che aspetto il diploma del Conservatorio
Rebeka, da segretaria a soprano:
la mia fortuna si chiama Violetta
«Mi scelsero per la Traviata all’ultimo momento. E cambiò tutto»
ROMA — Faceva la segretaria a Roma in Germania, dove ho debuttato nel
per mantenersi al Conservatorio: è un 2007, cercavano urgentemente una Viosoprano di fama internazionale Marina letta per La Traviata. Frau Rebeka, mi
Rebeka. Il 28 marzo canta per la prima urlò il direttore artistico belga Guy
volta all’Opera di Roma, nel Maometto Montavon mentre ascoltava la mia voce
II di Rossini (novità in quel teatro), di- dal fondo della sala, se lei accetta il norettore Roberto Abbado, regista Pier stro cachet, il ruolo è suo. Accetterò
Luigi Pizzi. Si è innamorata della lirica qualsiasi somma perché non ho espedopo aver sentito la Norma di Bellini. È rienza, risposi di getto. Ne scrissero i
impegnata fino al 2018, nuovi ruoli giornali da tutta la Germania, e così del’aspettano al Met, a Vienna e nella buttai in Traviata alla Volksoper di
«sua» Riga, in Lettonia, che all’inizio le Vienna. Alcuni teatri tedeschi mi prodiede un grande dispiacere.
posero di entrare nella compagnia fissa,
Quale?
«Prima non vollero accettarmi a una scuola musicale, dove
protestai inutilmente: Almeno
dovete ascoltarmi! Più tardi al
In incognito
Conservatorio mi dissero che
non avevo le doti e che cantavo Mi intrufolavo anche tra
troppo forte».
i loggionisti della Scala
Come fu l’impatto con RoVolevo capire quel pubblico,
ma?
«Al contrario si legge Amor... un fenomeno solo italiano
Una città bellissima con una vita
culturale attiva, le mostre, l’Auditorium. I problemi che ha li conoscia- indispensabile quando si fa spettacolo
mo tutti, pensi che dopo sette anni il ogni sera: undici ruoli in due anni. Avrei
mio diploma al Conservatorio non è an- rovinato la voce e dissi no».
cora pronto. Lo studio è stato duro, aveLa sua carriera internazionale...
vo due insegnanti che la pensavano di«È cominciata nel 2008 al Festival di
versamente sulla mia voce. Ho seguito il Pesaro, grazie al maestro Alberto Zedmio istinto e ho fatto di testa mia».
da, proprio col Maometto II, quello di
E poi?
Anna è un ruolo difficilissimo, come tre
«Ho faticato un po’ a vincere concor- Traviate, l’aria finale dura dodici minusi. Ho cominciato a viaggiare e a fare ti. Rossini è il compositore del destino,
tante audizioni. Io non imparavo solo debuttai con Il Barbiere di Siviglia conun’aria ma tutto il ruolo per vederne lo cepito per bambini».
sviluppo. La mia fortuna è che a Erfurt,
Come ricorda la sua adolescenza in
❜❜
In scena Il soprano lettone Marina Rebeka, 33 anni, nei panni di Violetta nella
«Traviata» che l’ha lanciata. Ha pubblicato il suo primo recital dedicato a Mozart
Lettonia?
«Tempi difficili. Era tutto sicuro,
ognuno faceva il suo lavoro. Col crollo
della società sovietica la gente è come
impazzita, ci furono cambiamenti drastici, mia madre era elettricista e si ritrovò a vendere pacemaker. Quando siamo entrati in Unione europea, le cose
non sono migliorate, i piccoli imprenditori sono spariti. Ultimamente è
esplosa la corruzione».
Lei, Elina Garanca, Mariss Jansons,
Gidon Kremer, Misha Maisky: siete
tutti musicisti lettoni di fama internazionale. Come lo spiega?
«C’è anche il tenore Antonenko... È il
sistema dell’istruzione che è forte. In
Italia fui esonerata da solfeggio e armonia e il corso di quattro anni lo finii in
due; a Riga di un compositore dobbiamo studiare chi lo ha influenzato, si fa
l’analisi dettagliata dei suoi pezzi».
Cosa pensa del fenomeno Anna Netrebko?
«Una grande professionista, è bella, e
la bellezza è importante, non basta più
solo la voce. È espressiva ed è ripagata
da tutti gli sforzi che ha fatto. Ormai è
un marchio».
È vero che lei si intrufolava tra i loggionisti della Scala?
«Ero interessata a capire che tipo di
pubblico è. Un fenomeno soltanto italiano. Alla Scala c’è un pubblico particolare. Qualcuno vive con le registrazioni
di vecchi cd e non ha la mente aperta
per nuove letture, ma ha il cuore aperto.
Adoro Maria Callas, ma le sue cadenze
sono diventate una regola che non era
scritta e pensata dal compositore. Non
si può ascoltare solo quello. È anche vero che sanno tutto e che se dai tutto di
te, ti apprezzano. Pensando a un fior di
tenore come Piotr Beczala, fischiato alla
Traviata, bisognava capire che doveva
correre su e giù per il palco, il regista
non gli ha permesso di cantare al meglio delle sue possibilità. Io non distinguo tra vecchio e nuovo: le regìe migliori sono quelle che non si notano».
Valerio Cappelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Aveva 78 anni
Addio Brenner
il comico stella
del «Tonight
show» in tv
Il comico americano David
Brenner, presenza fissa in tv
al «Tonight Show» di Johnny
Carson, anni ‘70-80, è morto
nella sua casa di New York.
Aveva 78 anni e da tempo
lottava contro il cancro.
Brenner è stato autore,
regista e produttore di ben
115 documentari prima di
passare alla commedia.
Debuttò nel 1971 in «The
Tonight Show», diventandone un ospite fisso con ben
158 apparizioni. Con il suo
stile e il suo umorismo, che
toccava sia le corde della vita
di tutti i giorni che la
politica, è stato l’epigono di
una scuola di comici di
successo come Bobby
Slayton e Richard Lewis.
Brenner non ha perso il
gusto per la battuta
nemmeno in punto di morte.
Il portavoce della famiglia,
Jeff Abraham, ha riferito che
la sua ultima richiesta è stata
che gli mettessero 100
dollari di piccolo taglio nel
calzino, «nel caso dove sto
andando sia necessario
lasciare la mancia».
34
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
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Sportlunedì
Serie A
28a giornata
ATALANTA-SAMPDORIA
CAGLIARI-LAZIO
FIORENTINA-CHIEVO
GENOA-JUVENTUS
LIVORNO-BOLOGNA
3-0
0-2
3-1
0-1
2-1
MILAN-PARMA
ROMA-UDINESE
SASSUOLO-CATANIA
TORINO-NAPOLI
VERONA-INTER
2-4
oggi
3-1
oggi
0-2
Classifica
JUVENTUS
ROMA**
NAPOLI*
FIORENTINA
INTER
* una partita in meno, ** due partite in meno
75
58
55
48
47
PARMA*
LAZIO
VERONA
ATALANTA
TORINO*
46
41
40
37
36
MILAN
GENOA
SAMPDORIA
UDINESE*
CAGLIARI
35
35
34
31
29
LIVORNO
CHIEVO
BOLOGNA
SASSUOLO
CATANIA
24
24
23
21
20
La nuova Formula 1 non convince
Rosberg re nel caos, Alonso (4°) e Raikkonen (7°) in ritardo
dal nostro inviato FLAVIO VANETTI
Podio inedito Il podio di Melbourne: Ricciardo (poi squalificato), Rosberg e Magnussen (LaPresse)
MELBOURNE — Il trionfo di Nico e il
dramma sportivo di Daniel. C’è tutto
questo, oltre a una Ferrari insufficiente
ma graziata dagli eventi e fatta salire al
quarto posto con Alonso e al settimo con
Raikkonen, nella corsa che inaugura la
nuova era della F1. Soprattutto, ci sono
un ragazzo che vince a mani basse,
Rosberg, e un idolo nazionale, Ricciardo,
che nel cuore della notte si ritrova gettato
nell’inferno della squalifica dopo una
prova stupenda e un gran secondo posto.
Tra i due opposti stanno i rispettivi team:
la Mercedes, che si salva con gli interessi
dopo il ritiro di Hamilton; e la Red Bull,
che manda al fosso Daniel perché
l’irregolarità che condanna l’australiano
— relativa al flussometro del carburante
— è l’epilogo di un braccio di ferro con la
Fia. Un suicidio forse consapevole, anche
se l’appello dei quadricampioni è già
stato annunciato e, a occhio, la battaglia
sarà dura: «Abbiamo ragione noi: quei
sensori sono inaffidabili, li abbiamo
corretti secondo criteri che riteniamo
giusti» è la dichiarazione di Chris
Horner. Avremmo voluto parlare di belle
cose e di una F1 che da un lato manda sul
podio il debuttante Kevin Magnussen
sulla McLaren (oltre a esaltare altri
giovani, come Kvyat, Bottas e Vergne),
ma che nello stesso tempo mantiene in
vita esperti leoni quali Jenson Button,
ritrovatosi sul podio (con dedica al padre
scomparso di recente) dopo il rimescolio
della classifica. Invece siamo di nuovo
qui a celebrare la F1 del caos. Temiamo
sia solo l’inizio, ma ci ribelliamo all’idea
e pertanto cominciamo da Rosberg. «Era
un proiettile. O una Freccia d’Argento:
che macchina mi avete dato, ragazzi».
CONTINUA ALL’INTERNO
Crisi infinita Doppietta di Cassano, rossoneri all’undicesimo k.o. stagionale. La squadra di Seedorf ora ha 40 punti di ritardo sulla Juve capolista
Benvenuti all’inferno
Milan sconfitto
in casa dal Parma
e contestato
dai tifosi.
Europa lontana
Crisi Milan
Il vertice
ad Arcore
e le incognite
del futuro
di ARIANNA RAVELLI
Juve, vittoria allo sprint
Rigore inutile
Mario Balotelli
è tornato al gol ma
questo non gli ha
evitato sconfitta
e contestazione
(Photoviews)
La Juventus soffre ma non si ferma:
contro il Genoa prima Buffon para un
rigore a Calaiò, poi Pirlo nel finale
su punizione realizza
il gol partita
Il commento Il tecnico sta facendo un brutto lavoro, in un mese ha bruciato Honda, Taarabt, l’altra metà di Balotelli e De Jong
Seedorf sbaglia anche nel dare la colpa agli altri
di MARIO SCONCERTI
C
i sono nel Milan problemi di oggi e problemi
di domani. Cominciamo dal presente: Seedorf sta facendo un brutto lavoro e non è giusto
dia la colpa a chi c’era prima di lui. Seedorf ha
bruciato in un mese Honda, Taarabt, l’altra
metà di Balotelli e De Jong, una parte di Kakà e
Montolivo, sta accendendo la fiamma intorno
a Poli, senza aver riassestato in niente la difesa, niente nella squadra. Il Milan non perdeva
tre partite consecutive in campionato dall’ottobre del 2006, sette anni e mezzo fa. Non perdeva 11 partite su 28 dal ’97, 17 anni fa. Questi sono fatti e sono tutti sulle spalle di Seedorf. Se
può, Seedorf dica quello che pensa, e cioè che il
Milan non può essere una buona squadra, è
sbagliata a priori, ha un ritmo solo, è sempre
destinata a essere troppo corta o troppo lunga,
ha pochissimi numeri uno, forse nessuno. Non
ha grandi attaccanti, cioè giocatori dal gol facile. Balotelli è il migliore ma balla sui nervi ed è
fuori ruolo. In quella posizione molti altri av-
versari hanno giocatori che segnano di più.
Non c’è quasi nessuno nel Milan che abbia una
vera differenza dentro, ma tutti sono usati e valutati come se l’avessero. Il dato più importante è che non c’è gioco. Non c’era nell’ultima parte di Allegri, ha finito per dissolversi nell’età di
Seedorf. Ma si può avere un gioco anche senza
grandi giocatori. Il Parma ce l’ha, il Torino, la
Samp ce l’hanno. Perfino il Sassuolo di Di Francesco ha una sua identità. Il Milan no. Questo
significa che tra giocatori e allenatore non c’è
buon feeling. O gli uni non capiscono, o l’altro
non sa cosa spiegare. Oppure, peggio, non si
stimano a vicenda e non vogliono incontrarsi.
Seedorf ha tutto per diventare un grande tecnico, ma niente per qualcosa di diverso. Non
sarà mai uno buono, uno così così. Ha un concetto di sé che lo porta solo al superlativo. L’artista è un uomo solo, l’arte diventa poi degli altri, se e quando diventa arte. Seedorf è oggi uno
che dipinge su una tela, ha dentro di sé l’universo, ma non ha l’anima per raccontarlo. È
chiuso dalla sua intelligenza, non stima i cal-
ciatori. Ma così non c’è gioco, non c’è corsa,
non c’è forza, non c’è partita, non c’è anima. Il
calcio è infantile, quasi animale, pretende il rischio di saper ridere di sé. Cruijff ha perso letteralmente il cuore per affermare le sue idee.
Mourinho ha accettato di essere solo contro
tutti. Rocco dopo le partite, si prendeva l’ultima doccia dello spogliatoio e si lavava insieme
agli altri per sentire semi clandestino cosa dicevano di lui i giocatori. I Grandi rischiano se
stessi, Seedorf ama gli sia riconosciuta la differenza a priori. Non è vanità, è un limite, non sa
il sondaggio
Nuovo stop per il Milan fermato anche dal Parma.
Secondo voi a questo punto serve una rifondazione
del club (A) o basta qualche intervento mirato
per farlo tornare competitivo (B)?
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A
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andare oltre. La squadra è ingiudicabile, non
esiste. Singolarmente tutti sono da grande
squadra. Nessuno riesce però a metterli insieme. E il giorno in cui saranno squadra, bisognerà capire di che tipo: prima fascia? Seconda,
terza?
C’è poi il problema di domani. Nessuno sa
cosa sia Barbara Berlusconi, non è chiara la
sua valenza, ma è chiaro che rappresenta l’ultima possibilità di futuro se i soldi del padre passano attraverso di lei. Perché questo è il fondo
di tutti i problemi, l’eccesso che non c’è più. Il
Milan è ancora una società ricca, ma si è normalizzata. È come gli altri. E a che serve un Milan normale? Quale diventa la sua diversità, il
suo diritto a essere migliore? Non si può attaccare un allenatore dietro l’altro mantenendo
una società divisa. Chi è Galliani lo sappiamo.
Ora è tempo che Barbara dimostri chi è a sua
volta, dove sta il suo vantaggio, cosa può fare
per il Milan, che idea ha di società. Il respiro a
metà toglie aria a tutti.
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Silvio Berlusconi c’è ma non
si vede. Allo stadio ha
mandato la fidanzata
Francesca Pascale, però ha
ricevuto Adriano Galliani a
cena sabato: un incontro nato
per rincuorare l’ad, travolto
dalla contestazione ultrà,
dopo che era già stato travolto
dall’avanzata in società di
Barbara (che ieri è rimasta
defilata, con alcuni sponsor,
nello sky box). Berlusconi
insiste nel trattenere l’amico
di una vita, ma nessuno può
scommettere sulla
permanenza di Galliani anche
il prossimo anno. Non c’è
niente di sicuro nel futuro del
Milan, a dire il vero.
L’incontro ad Arcore è servito
anche per fare il punto su uno
dei momenti più difficili
dell’era berlusconiana.
L’antivirus Seedorf non si
mostra efficace: l’allenatore
olandese fa bene a insistere
sul progetto e sul contratto di
due anni, ma i risultati
cominciano a contare
qualcosa anche per lui. E
l’anno prossimo, soprattutto
se la società non potrà
contare nemmeno sui
proventi dell’Europa League,
sarà difficile possa disporre di
una squadra con molta più
qualità. Il Parma non vinceva
a San Siro dal 22 dicembre
‘96: è lo stesso anno in cui
Arrigo Sacchi, chiamato a
sostituire Tabarez, non venne
riconfermato a fine stagione.
Sulla panchina del Parma
c’era Ancelotti che poi, cinque
anni dopo, arrivò al Milan.
Cattivi presagi per Seedorf,
magari buoni per Donadoni.
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
36 Sport
Le pagelle Milan
Mexès un azzardo
Il crollo Rossoneri contestati e sfortunati
Sotto di 2 gol e in 10, agguantano il pari
ma Amauri li affossa dopo soli 3 minuti
4,5 ABBIATI L’istinto è quello del kamikaze,
ma l’intervento su Schelotto è scomposto e
letale. A mente fredda, meglio prendere gol
dopo 5 minuti.
5,5 ABATE In difficoltà con Biabiany e
Molinaro anche perché Mexès certo non aiuta.
Però è l’unico che spinge e gli riescono un
paio di buoni cross in successione.
4,5 MEXÈS Inspiegabilmente riproposto
dopo Udine, è spesso fuori posizione (a
partire dall’azione del rigore) e decisamente
fuori condizione. Rischia il rosso un paio di
volte, una con un fallo inutile in attacco.
6 BONERA Si salva dal disastro difensivo:
gioca con un problema al flessore, decisivo
nell’intervento su Biabiany, finisce pure nel
ruolo di terzino sinistro.
4 EMANUELSON Bevuto da Schelotto
come un bicchiere di acqua fresca. Anzi,
svariati bicchieri. Sbaglia tutto: cross
elementari, movimenti semplici.
5 DE JONG Qualche buon recupero in
mezzo, ma si fa scappare Amauri sul terzo gol
del Parma, che ammazza la partita.
6 POLI In questa squadra è fondamentale,
per corsa, inserimenti al tiro, impegno.
Decisamente il migliore.
6 MONTOLIVO Si procura, con molta
furbizia, il rigore del possibile pari e ha il
merito di battere bene gli angoli (da cui
nascono il palo di Balo e il gol di Rami). Non è
preciso, ma finisce stremato.
5 KAKÀ Ormai si è capito: non regge due
partite ravvicinate. Sbaglia quasi tutto quello
che tocca. Ha un paio di palle buone, ma non
trova il guizzo.
5,5 BALOTELLI Non una domenica facile.
La gestisce senza innervosirsi e cercando di
non innervosire. Segna il rigore, fa un paio di
buone giocate (un lancio per Kakà, qualche
tiro) ma è impreciso. Meglio con Pazzini.
6 AMELIA Sui gol i colpevoli sono altri. Bella
parata sul tentativo di autorete di Mexès.
6 RAMI Entra e segna, si sente anche dietro.
5,5 PAZZINI Non riesce a incidere, ma
conquista falli e migliora il gioco del Milan.
5 SEEDORF Le scelte sono discutibili, i
numeri meno. Abbandonato anche dalla
fortuna.
a. rav.
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Le pagelle Parma
Schelotto punge
6 MIRANTE Il Milan non lo impegna mai
direttamente, e una volta lo salva il palo.
Forse poteva uscire meglio sulla testa di Rami.
6 CASSANI Qualche errore in rifinitura, se
la cava agevolmente con Kakà, figuriamoci
con Emanuelson.
6,5 LUCARELLI Sull’angolo di Rami il
Parma difende a zona, ma il francese beffa
entrambi i centrali. Nel complesso però la sua
è una buona partita, di guardia e di
impostazione.
6,5 FELIPE Forse soffre un po’ di più
Balotelli del compagno di reparto, ma senza
rischiare.
6,5 MOLINARO Sulle fasce il Parma
impone la sua differenza. Con Biabiany
spadroneggia.
6,5 ACQUAH In mezzo a corsa e veemenza,
piazza l’assist per il raddoppio di Cassano.
Manda in affanno il Milan.
6 MARCHIONNI Soffre particolarmente
dopo l’ingresso di Pazzini, quando incrocia
spesso Balo. Donadoni lo richiama spesso poi,
dopo il giallo, lo toglie.
6 PAROLO Si dedica a fare ordine, elemento
di equilibrio.
7 SCHELOTTO La spina nel fianco molle
del Milan, segna l’inizio (quando viene
abbattuto da Abbiati) e la fine (assist per
Amauri) del match.
7,5 CASSANO Solo con il lancio per
Schelotto avrebbe meritato applausi. Segna
anche il rigore, raddoppia da fermo, scambia
piacevolezze con Biabiany. Gode
particolarmente a segnare al Milan, fa
contenta la moglie che subito twitta e fa
venire qualche dubbio a Prandelli.
6,5 BIABIANY Tante giocate, spesso viene
fermato sul più bello. Nel recupero, il Milan
concede anche a lui la soddisfazione del gol.
5,5 OBI Il rigore è generoso, però lui si fa
saltare da Montolivo.
7 AMAURI Aveva già castigato il Milan
quando giocava con la Fiorentina (rete che
contribuì a mandare lo scudetto a Torino): si
ripete ieri con un bellissimo gol di tacco.
7 DONADONI Il Parma gode di ottima
salute: colpisce con una disarmante facilità,
poi amministra fino a rischiare un po’.
a. rav.
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Due schiaffi di Cassano
al Milan inerme e smarrito
MILANO — Prima del via,
Mario Balotelli e Antonio Cassano scambiano fitte chiacchiere
rigorosamente dietro lo schermo della mano. Chissà se parlano dei fischi, che in una situazione normale sarebbero tutti
per il barese, visto il velenoso
addio, e invece in questa ennesima stazione della via crucis rossonera , sono anche, e soprattutto, per Mario. Chissà se parlano del Mondiale, che Mario
non ha garantito (Prandelli
d i x i t ) e A n to n i o ve d e d a
un’apertura stretta, che però comincia ad allargarsi un po’, a
maggior ragione dopo la doppietta e la prestazione al bacio di
ieri: sono 11 i gol in campionato
e questa è la settima doppietta
della carriera (non gli riusciva
dai tempi magici della Samp).
La domenica di quei due finisce
con Cassano euforico che parla
ai microfoni per convincere
Prandelli e con SuperMario che
(dopo aver tirato un pallone
verso la curva in allenamento e
accennato un applauso ironico
per un coro) incontra la delegazione dei tifosi a testa china promettendo massimo impegno.
La scena più triste di un pomeriggio triste, di un Milan tristissimo. È vero che è anche un Milan sfortunato (Balotelli, sotto di
un gol, colpisce un palo) ma
Il Parma dà spettacolo a San Siro
Il 2-2 di Balotelli dura solo 3 minuti
questa squadra dà l’impressione
di essere inerme, esposta agli
schiaffi di tutti.
La contestazione, iniziata già
prima della partita, trova subito
un buon motivo per alimentarsi, quando al 5’ Abbiati provoca
il rigore segnato da Cassano e
viene espulso. Scontato che
prosegua dopo la quarta sconfitta consecutiva, la settima in
12 partite dell’era di Clarence
Seedorf, e dopo che il Milan
prende altri quattro gol (replica
di Madrid) e precipita a 40 punti
dalla Juve. Seedorf, qualche responsabilità ora, forse, ce l’avrà:
ripropone Mexès, tiene dentro a
lungo Emanuelson, fa giocare
Kakà stanchissimo e non sa gestire il pareggio faticosamente
raggiunto (con un rigore molto
generoso).
Il Parma, una delle squadre
più in forma del momento, con
un allenatore, Donadoni, finalmente di moda (16 risultati utili
consecutivi), Cassano che gioca
«falso 9» e la forza nelle fasce,
era una concorrente diretta per
un posto in Europa League,
l’obiettivo stabilito in settimana
da Galliani. Ora dista 11 punti.
Come detto, il Milan si squaglia
subito, dopo 5’: Cassano lancia
splendidamente Schelotto, che
lascia sul posto Emanuelson
(sarà, questa, una costante della
partita). Con la difesa tutta mal
schierata, Abbiati non sa far altro che abbattere l’italo-argentino. Rigore, espulsione, piani
tattici stravolti, perché il tecnico
olandese aveva schierato Essien
(che sacrifica al momento dell’espulsione) e De Jong in mediana, e avanzato Montolivo trequartista. Con un uomo in meno
e il pubblico che ti fischia, si fa
dura: il Milan prova a organizzare la rimonta grazie alla corsa di
11
le sconfitte del Milan
nelle 28 partite fin qui
giocate in campionato
(con 9 vittorie e 8 pareggi)
Poli e qualche lancio di Montolivo, ha l’occasione con Mario, ma
è Bonera a salvare un paio di
volte su Biabiany e Amelia a
sventare un attentato di Mexès.
Così in avvio di ripresa arriva
il raddoppio, come un evento
naturale al quale nessuno sa opporsi: discesa di Acquah, passaggio all’indietro per Cassano
che non sbaglia. Seedorf toglie
Emanuelson, lascia Mexès ammonito e a rischio espulsione,
mette Rami che, di testa, ricambia con un bel gol. È un guizzo
vitale, che si alimenta dall’ingresso di Pazzini. L’illusione arriva quando Montolivo si procura un rigore che Balo trasforma, ma si spegne dopo tre minuti, perché il Milan, stremato
fisicamente, non riesce a raffreddare la gara e gestire il pari,
ma si fa infilare subito. Amauri
trova un gran gol di tacco, servito dal solito Schelotto. È il colpo
del k.o.: il quarto gol di Biabiany
a tempo scaduto è solo l’ultima
umiliazione.
Arianna Ravelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Contestato l’ad «Seedorf? Scelta comune»
Galliani reagisce
«Memoria corta,
in Champions
grazie a SuperMario»
MILANO — Nel pomeriggio
in cui si celebra l’undicesima
sconfitta del campionato (non
succedeva dopo 28 giornate dalla stagione 1996-’97), mentre in
curva gli ultrà chiedono la testa
di Adriano Galliani, diventato il
colpevole di tutti i mali milanisti, Francesca Pascale viene avvistata in tribuna (con degli
amici). Chissà se è stata inviata
dal celebre fidanzato a osservare
fino a che punto la situazione sia
diventata incandescente. Di certo la relazione esposta deve essere stata fedele ai fatti visto che
il Cavaliere e l’amico di una vita
hanno avuto più colloqui telefonici nel dopo gara burrascoso
con il Parma. Il presidente ha
mostrato dispiacere e solidarietà all’ad milanista che già prima
dell’inizio della partita non aveva nascosto il proprio disagio
per la contestazione in corso. «È
una cosa che fa male. Bisognerebbe ricordare tutto il percorso
fatto e rammentare che in questo secolo abbiamo disputato 13
volte la Champions League e due
l’Europa League. A tutte le grandi, Juve e Inter comprese, è suc-
Delusione
Clarence Seedorf, 38 anni
il 1° aprile, ha
giocato con
Ajax, Sampdoria, Real
Madrid, Inter,
Milan e Botafogo (Pegaso)
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Sport 37
2
4
Milan
Parma
Marcatori: Cassano 9’ p.t. (rig.) e 7’
s.t., Rami 11’, Balotelli 30’ (rig.),
Amauri 33’, Biabiany 50’ s.t.
MILAN (4-2-3-1): Abbiati 4,5; Abate
5,5, Mexès 4,5, Bonera 6 (Pazzini 5,5
21’ s.t.), Emanuelson 4 (Rami 6 8’
s.t.); Essien s.v. (Amelia 6 7’ p.t.), De
Jong 5; Poli 6, Montolivo 6, Kakà 5;
Balotelli 5,5. All.: Seedorf 5
PARMA (4-3-3): Mirante 6; Cassani
6, Lucarelli 6,5, Felipe 6,5, Molinaro
6,5; Acquah 6,5 (Munari s.v. 36’ s.t.),
Marchionni 6 (Obi 5,5 27’ s.t.), Parolo
6; Schelotto 7, Cassano 7,5 (Amauri 7
18’ s.t.), Biabiany 6,5. All.: Donadoni
7
Arbitro: Celi 5
Ammoniti: Bonera, Mexès,
Marchionni, Obi, Rami
Espulso: Abbiati 6’ p.t.
Recuperi: 4’ più 5’
Disfatta
Guarda il video con una chiamata gratuita al
+39 029 475 48 50
A fianco Ignazio Abate, 27
anni, 173 presenze nel Milan
e Marco Amelia, 31 anni, 39
presenze, disperati dopo la
palla in rete del vantaggio del
Parma. A sinistra in alto la
protesta della Curva Sud
deserta con l’immagine della
maglia del mitico capitano
Franco Baresi; sotto l’uscita di
Christian Abbiati 36 anni, 353
presenze in maglia rossonera,
cha ha provocato l’espulsione
e il rigore (Forte, Ansa, Afp)
I perché della rinascita
Cinque mosse
e Mazzarri
ha rivoluzionato
l’Inter in 40 giorni
MILANO — Niente è deciso, nulla è stato conquistato
e i giochi per l’Europa (League) restano aperti. La
concorrenza, a cominciare dal Parma inarrestabile (16
risultati utili consecutivi), è tonica e consistente. Però
a Verona «dal punto di vista del gioco e del risultato si
è notato che stiamo iniziando a fare quello che volevo
io», come ha sottolineato ieri Walter Mazzarri a
«Quelli che il calcio» (Raidue). Alla fine di InterCatania 0-0 (26 gennaio), più ancora del 3-1 in casa
della Juve (2 febbraio), sarebbe stato difficile
immaginare una trasformazione così evidente, che ha
portato a raccogliere 14 punti nelle ultime sei partite
(vittorie con Sassuolo, Fiorentina e Verona, pareggi
con Cagliari e Roma). Puntando sulla sua esperienza e
sul suo attaccamento al lavoro, Mazzarri ha cambiato
faccia all’Inter in cinque mosse. La prima: il discorso
fatto dopo la sconfitta della Juve. Ha detto il tecnico a
Verona: «Ho spiegato ai miei giocatori e in particolare
ai difensori che non era possibile prendere due gol
come il secondo e il terzo di Torino». Così Mazzarri è
andato a incidere sulla coscienza della squadra,
rimotivandola e imponendole un cambio di mentalità
e di passo, attraverso una maggiore intensità negli
allenamenti e una superiore cura dei particolari.
Esagerando, si potrebbe dire che ha rispolverato il
vecchio slogan di Helenio Herrera: «Chi non dà tutto,
non dà niente». E ha avuto una risposta importante
dal gruppo. Seconda mossa: la chiusura del mercato.
Per tutto il mese di gennaio, la squadra era rimasta
nella tempesta, fra giocatori che sembravano in
partenza (Ranocchia) o già partiti (Guarin) e che, alla
fine, sono rimasti. La fine del mercato ha contribuito
a dare certezze al gruppo, a cominciare proprio da
Tensioni Il pullman della squadra evita il blocco sul piazzale di San Siro. «Non si fermano neppure, ecco che gente sono»
L’assedio della Curva: «Siete indegni»
Slogan, insulti e accuse degli ultrà. Mario nel mirino, poi l’incontro nello stadio
MILANO — Minuto 79, terzo gol del Parma: la rimonta sfuma, riconciliazione addio.
Si materializza uno storico «meno 40» in
classifica, ma dalla Curva Sud in subbuglio i
canti sono di gloria: «Vinceremo, vinceremo, vinceremo il tricolor». Ironie che fan
più male degli insulti. Quarto gol, bandiere
arrotolate, tutti giù ad aspettare l’uscita del
pullman della squadra. Quattro capi ultrà
scendono nei sotterranei del Meazza, incontrano l’allenatore Seedorf, l’imputato Balotelli, la bandiera Kakà, i veterani Bonera e
Abate. Chiedono spiegazioni, ottengono
promesse: «Via le mele marce», «ripartire
dall’attaccamento alla maglia», dallo «zoccolo duro dei nazionali» e, sul mercato, «sarà cambio di rotta». La giornata finisce qui, i
tifosi sfollano, la polizia rompe le righe.
Nessuna violenza, solo frustrazione.
Quando torna la calma sul piazzale dedicato ad Angelo Moratti, fuori dallo stadio
San Siro di Milano, sono le 18.15. È la voce
esausta di Luca Lucci, megafono degli ultrà
rossoneri, a riportare l’esito dell’incontro ai
400 rimasti dopo il match. Fin lì, però, erano
stati solo cori minacciosi («Uscite a mezzanotte», «Vi romperemo il c...»), suggerimenti condivisi («Andate a lavorare») e utopiche speranze («Noi vogliamo undici Baresi»). Novanta minuti di contestazione, metà
curva chiusa, il nastro a impedire l’accesso
ai seggiolini del secondo anello, il colore blu
spezzato soltanto dalla bandiera con il «6»
del Capitano. Novanta minuti di insulti generici e ad personam, verso Adriano Galliani («Ci senti?», «Vattene», «Chi ha comprato
Hondà, ce la pagherà»), Balotelli («Pezzo di
cesso di stare fuori un anno dall’Europa». Ha gli occhi tristi e la
voce incrinata. Probabilmente
aveva ricordato gli stessi numeri
sabato sera ad Arcore dove si è
recato a cena dal presidente Berlusconi in un incontro che sarebbe dovuto restare segreto.
Non è escluso che abbiano affrontato l’argomento concernente il futuro nonostante il vicepresidente sia legato al Milan
da altri quattro anni di contratto. Ieri ha voluto chiarire la propria posizione su Seedorf («non
è vero che non lo volevo: ogni
m...», «Fuori dai c...»), e poi Robinho, Raiola
e Cassano, l’«ingrato ex», autore di una doppietta. Novanta minuti anticipati e seguiti
dall’assedio al garage, come annunciato venerdì, via Internet, dagli stessi ultrà.
Fuori dallo stadio, dove il tunnel inghiotte e risputa fuori ospiti, dirigenti e giocatori,
il clima è teso già dall’ora di pranzo. Tra le
torri del Meazza e i ruderi delle scuderie De
Montel, dimenticata palazzina comunale
dell’ippica in rovina, rimbomba l’eco del coro piu diffuso di giornata: «In-de-gni, indegni!». E quando arriva la comitiva rossonera, intorno alle 13.40, e il pullman s’infila rapido, con una brusca sterzata, nei sotterranei dello stadio, la voglia di confronto degli
ultrà si tramuta in rabbia. «Ci hanno fregato...». Dai megafoni, i leader della Sud lanciano appelli e appuntamenti: «Non si de-
Applausi ai professionisti veri
I pochi applausi sono solo per
Seedorf e alcuni giocatori, da
Kakà a Pazzini, da Bonera ad
Abbiati, «professionisti veri»
Delusi da Balo
I tifosi a Balotelli: «Non siamo
arrabbiati con te, siamo delusi.
Speravamo che nella squadra per
cui tifi avresti fatto la differenza»
decisione viene condivisa da
tutta la società») e difendere Balotelli: «Ingeneroso criticarlo,
senza di lui non ci saremmo
qualificati alla Champions di
quest’anno. Nel 2013 ha segnato
12 gol in 13 partite. Abbiamo
Il tecnico e l’Europa
Seedorf: «Europa
League più lontana? Era
complicato raggiungerla
anche prima di ieri»
gnano neppure di fermarsi, ecco che gente
sono»; «Chiunque ami il Milan torni qui a
fine partita, qualsiasi sia il risultato». E infatti sono in tanti a tornare dopo un 2-4 casalingo contro il Parma degli ex Roberto Donadoni e Antonio Cassano (fischiatissimo al
momento della sostituzione). I pochi applausi ai milanisti, dunque, sono solo per
Seedorf e alcuni giocatori, da Kakà a Pazzini,
da Bonera ad Abbiati, «professionisti veri»
come scritto anche sul sito Internet.
Tensione, strategie di accerchiamento e
minacce fuori, anche dentro gli spogliatoi
l’aria è pesante. Si opta per un incontro con i
tifosi di pochissimi minuti in una saletta vip
del Meazza. Mister Seedorf ha già vissuto recenti contestazioni, in Brasile con il Botafogo, e ai tempi dell’esperienza da presidente
del Monza. «È stato un confronto pacifico
tra persone che hanno a cuore questa maglia» commenterà poi l’olandese. Sul banco
degli imputati, Balotelli: «Non siamo arrabbiati con te, Mario — gli hanno detto i tifosi
—, siamo delusi. Sei il più forte e speravamo
che qui nella squadra per cui tifi avresti fatto
la differenza». Lui, umile, ha promesso di
migliorare, difeso anche dall’altro imputato,
Adriano Galliani: «Senza Mario, quest’anno
non saremmo andati in Champions league»
ha detto l’ad, il più contestato ieri, «per gli
acquisti low-cost spacciati per campioni».
«La contestazione fa male — si è incupito lui
—. Bisogna ricordarsi il percorso di questo
Milan». Ma gli ultrà sono irremovibili:
«Nessuna riconoscenza, vattene».
Antonio al c.t.
«Il Mondiale?
Sarei felicissimo»
salita: dopo 6’ espulsione, rigore
e gol. Poi la squadra è stata brava
a reagire arrivando fino al pari,
ma per eccessiva generosità abbiamo incassato il gol di Amauri. Europa League più lontana?
Era complicato raggiungerla anche prima di ieri. Ma è un obiettivo della società, proveremo a
centrarlo». Da valutare le condizioni di Montolivo (in ospedale
per accertamenti dopo la botta
al costato), Bonera e Abate (alle
prese con problemi muscolari).
MILANO — (m. col.) «Mi
piacerebbe andare al Mondiale
con Balotelli». Antonio Cassano
(foto), fischiatissimo dal suo ex
pubblico, trascina il Parma al 16°
risultato utile consecutivo. Batte i
suoi ex compagni bersagliati da
una furibonda contestazione («io
son tifoso interista e orgoglioso di
esserlo, del resto non me ne frega
niente»), scherza con Seedorf
(«Obama non puoi chiamare tutti
i falli a tuo favore»), abbraccia a
fine gara il dottor Tavana che gli
salvò la vita («quando un giorno
smetterò di giocare, spiegherò
della mia esperienza al Milan. Mi
toglierò tanti sassolini dalle
scarpe») e soprattutto richiama
l’attenzione di Prandelli. «Non ho
mai giocato un Mondiale, se
venissi convocato sarei l’uomo più
felice del mondo. Devo già
ringraziare il c.t. per avermi
portato all’Europeo. Cercherò di
metterlo in difficoltà nelle
decisioni». A fine partita la moglie
Carolina, cinguettatrice assidua ha
twittato: «Buona merenda»
postando una foto con quattro
pere. «È anche lei a dieta come
me» ha provato a sdrammatizzare
Cassano. «Non sono più
Cicciobello, sono rinato grazie al
mio preparatore e a Melli, il team
manager».
Monica Colombo
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Giacomo Valtolina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
tutti la memoria troppo corta».
Barbara Berlusconi ha assistito
alla sconfitta da uno sky box dove ha ricevuto manager di alcune aziende sponsor.
Seedorf, dopo aver partecipato al colloquio con la delegazione dei tifosi, ha spiegato. «È stato un incontro pacifico fra persone che hanno a cuore questa
maglia». Pare che l’allenatore
olandese abbia rassicurato gli
ultrà sull’arrivo il prossimo anno di giocatori più professionali
e meno mercenari degli attuali.
«Con il Parma la gara è stata in
L’appello
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Nuovo corso Hernanes, 28 anni, e Walter Mazzarri, 52
Ranocchia, che contro il Torino e a Verona ha
dimostrato di meritare il posto. Con lui e prima di lui
(Samuel, vecchio ma non troppo), è cresciuta tutta la
qualità della fase difensiva. Rispetto alla squadra
fragile che prendeva sempre gol (clamoroso quello
con il Genoa su angolo), la fase difensiva vista a
Verona nella seconda parte del primo tempo è stata di
alto livello assoluto, nei movimenti e
nell’atteggiamento, con Campagnaro e Rolando
essenziali nei movimenti. Terza mossa: l’arrivo di
Hernanes (in attesa che D’Ambrosio, dopo Verona,
completi l’assimilazione dei codici di Mazzarri) ha
cambiato faccia alla squadra, perché il Profeta, come
lo chiamavano a Roma, ha dimostrato di essere il
giocatore del quale l’Inter aveva bisogno. Non che
Hernanes (quattro presenze dall’inizio, quattro
vittorie) abbia vinto le partite da solo, ma è il
centrocampista che sa sempre che cosa fare e anche
quando sbaglia (a Verona nel primo tempo è successo
più volte), non mette mai la squadra in vera difficoltà.
Ha senso della posizione, dei tempi di gioco, sa
quando deve tirare e quando servire i compagni
(apertura per Jonathan per il 2-0), vede la porta (se
non inciampa a un metro) ed è bravo sulle palle
inattive. Quarta mossa: il decollo di Maurito Icardi.
Mazzarri lo avrebbe promosso titolare anche prima,
ma l’intervento chirurgico (ernia) e la pubalgia ne
avevano condizionato il rendimento. Con Icardi,
uomo d’area (e di traverse), è cresciuto il potenziale
offensivo della squadra. Avere un punto di
riferimento consente di giocare sulle corsie esterne e
a Palacio di muoversi, come lui sa fare, senza che
l’Inter perda la forza offensiva nella zona centrale.
Quinta mossa: la condizione fisica è molto cresciuta,
grazie al lavoro di Pondrelli, che ha confermato le sue
qualità, non appena si sono create le condizioni per
correre tutti e di più, aumentando l’intensità. Con
un’avvertenza: nella prossima stagione, andranno
accorciate le vacanze di fine anno. Fare Capodanno a
Milano non è poi così drammatico.
Fabio Monti
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
38 Sport
La capolista I bianconeri soffrono ma passano all’89’. Annullato un gol regolare a Osvaldo
Pirlo e Buffon, i maghi della Juve
al Genoa restano gioco e rimpianti
Il portiere para un rigore, il regista segna la punizione decisiva
Le pagelle Genoa
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
da uno dei nostri inviati a Genova
Matuzalem leader
6 PERIN Sulla punizione di Pirlo servirebbero due
portieri.
7 BURDISSO Con straccio e ramazza ci dà dentro:
l’area resta senza macchia. Anche grazie a Mazzoleni, è
vero. Ma la prestazione della difesa è all’altezza.
6,5 DE MAIO Accorcia coi tempi giusti, facendo
soffrire Llorente. È lui a tenere in gioco Osvaldo sul
secondo gol annullato alla Juve. Poi fa di tutto per
meritarsi il «premio».
6,5 MARCHESE Sbaglia poco e aiuta la squadra a
rimanere compatta.
6 MOTTA Commette diversi errori, anche indisponenti.
Ma i palloni caldi in area li mette lui: sul primo ci
sarebbe rigore su Bertolacci, sul secondo arriva il
«mani» di Vidal.
6,5 STURARO In modalità stopper su Pogba, limita
molto il francese anche se sul gol annullato alla Juve il
pallone lo perde lui. Si sforza di giocare per linee verticali.
7 MATUZALEM Gestisce il traffico in entrata e in
uscita con grande lucidità: mette pressione a Pirlo e
trova spazio e tempo per costruire gioco. Leader.
6,5 ANTONELLI Anche lui rischia il rigore con un
tocco di mano: unica falla di un sistema che sulla fascia
funziona bene in tutte e due le fasi. Perde l’attimo
buono davanti a Buffon nel finale.
5,5 SCULLI Grande lottatore, non si discute. Ma alza
anche molto fumo, mostrandosi poco concreto. Il fallo
su Quagliarella decide la partita.
5,5 BERTOLACCI Anche lui non sta mai a guardare,
ma il Genoa si ammoscia negli ultimi sedici metri.
6 GILARDINO Qualche pallone di qualità lo riesce a
distribuire. La vita spalle alla porta però è dura.
4 CALAIÒ Sembra l’uomo del destino. Diventa quello
del rimpianto, con un rigore calciato malissimo.
6,5 GASPERINI Marcature a uomo a centrocampo,
manovra che trova respiro sulle fasce, difesa attenta. Il
Genoa piace ma non trova mai l’affondo. Neanche su
rigore. E la beffa è da manuale.
Paolo Tomaselli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
GENOVA — È il calcio, bellezza. Il mistero che lo avvolge
ha la sua manifestazione tragica
(per il Genoa) e affascinante
(per la Juventus) al 44’ del secondo tempo quando Andrea
Pirlo, protagonista di una prova
opaca e dimenticabile, ha a disposizione, per un fallo di Sculli
su Quagliarella, una punizione
da appena fuori area. La sorte,
che ha offerto al Grifo l’opportunità di una clamorosa vittoria, esige a questo punto la sua
libbra di carne da chi ha sbagliato un rigore e una palla gol
solitaria contro la padrona del
campionato, alla fine di una
delle peggiori partite della Juventus di quest’anno e, sicuramente di diritto, nella top ten
delle peggiori dell’era Conte.
Il primo tempo del Grifo,
troppo elettrico, troppo sorretto da un’energia nervosa faceva
presagire un crollo e invece il
capolavoro di Gianpiero Gasperini arriva a un passo dal suo
compimento, complice il valzer
lento del centrocampo bianconero e l’assenza di Tevez. Osvaldo segna un gol regolare, ma il
lavoro dell’Apache, specie con
una squadra sfibrata è irripetibile. Al di là degli episodi che
entrambe le squadre lamentano, resta qualche certezza. La
saldezza caratteriale della Juventus, anche nelle difficoltà,
ma anche una certa stanchezza
in molti uomini fondamentali.
Però, dopo stasera, a più 17 sulla Roma che deve ancora giocare, lo scudetto lo possiamo serenamente assegnare.
La Juventus gioca tra il rilassato e lo svagato però tiene in
un clima che si incattivisce
troppo presto. Questo non aiuta
la sestina arbitrale. Osvaldo,
che affianca Llorente, segna una
doppietta ma entrambi i gol, il
primo su rimpallo di Llorente il
secondo su giocata di Pogba gli
vengono annullati. Bene la prima (decisione) non la seconda:
la rete è buona, magari difficile
da vedere, ma buona.
La sestina arbitrale sbaglia a
sprazzi, un po’ di qui, un po’ di
là. Il Genoa si lamenta, abbastanza a ragione, per una «spintina», non clamorosa ma essenziale per scongiurare una chiara
occasione da gol di Lichtsteiner
su Bertolacci. Il clima si surri-
0
1
Genoa
Juventus
Marcatore: Pirlo 44’ s.t.
GENOA (3-4-2-1): Perin 6;
Burdisso 7, De Maio 6,5, Marchese
6,5; Motta 6, Sturaro 6,5,
Matuzalem 7, Antonelli 6,5; Sculli
5,5, Bertolacci 5,5; Gilardino 6
(Calaiò 4 19’ s.t.). All.: Gasperini
6,5
JUVENTUS (3-5-2): Buffon 7;
Caceres 6,5, Bonucci 6,5, Chiellini
6; Lichtsteiner 5,5 (Isla s.v. 40’
s.t.), Vidal 5 (Padoin s.v. 40’ s.t.),
Pirlo 6,5, Pogba 5, Asamoah 6;
Llorente 6, Osvaldo 6 (Quagliarella
s.v. 34’ s.t.). All.: Conte 6
Arbitro: Mazzoleni 4,5
Ammoniti: De Maio, Sturaro,
Matuzalem, Gilardino, Vidal, Pogba
Recuperi: 0’ più 4’
scalda, ma il Grifo non perde la
sua spinta: anche nel secondo
tempo la squadra di Gasperson
continua a muoversi in modo
perfetto. Ha ripartenze efficaci,
avanzamenti significativi, ma
per l’enorme mole di gioco raccoglie pochissimo. È questa la
svolta. Contro la Juve se non
sfrutti le occasioni, mal te ne incoglie. Tanto più che, davanti,
Madama non riesce a trovare
spazi. Qualcuno più che correre
cammina, qualcuno traccheggia. Tutta la linea centrale, diciamolo.
Il Genoa ha due opportunità
clamorose. La palla gol più nitida della gara capita a Bertolacci
dopo una perfetta combinazione Antonelli-Gilardino che libera il centrocampista davanti a
Buffon. Bella l’uscita del portierone ma il centrocampista rossoblù gli tira addosso. La Juventus, che nel primo tempo almeno un gol buono lo aveva fatto,
nel secondo non costruisce
nulla di nulla. Gioco senza palla
inesistente, movimenti blandi. I
difensori di Gasperini sono costantemente in anticipo. Madama è asmatica e lo si vede nel
maldestro fallo di mano di Vidal
(cross di Motta) per cui Mazzoleni concede il rigore al Genoa.
In precedenza non è stato così
fiscale per un intervento di
braccio di Antonelli. Contro
chiunque, ma con la Juventus in
particolare, non si butta un rigore come fa Calaiò. Bravo comunque, come sempre, Buffon.
Migliore dei suoi. Il Genoa non
si scompone, malgrado tutto,
segno di una bella tempra. Però
contro l’arcano potere del pallone, non c’è nulla da fare.
Il dopopartita
Conte:
«Facciamo
cose super
incredibili»
Roberto Perrone
GENOVA — Discorso scudetto chiuso?
Secondo Antonio Conte non ancora:
«Preferisco non dare percentuali perché poi
possono rivelarsi non veritiere. Poche
squadre però avrebbero vinto su questo
campo e contro una squadra che ha fatto la
partita della vita. Abbiamo 75 punti, stiamo
facendo cose super incredibili». «Gol
scudetto? Speriamo sia d’aiuto», commenta
Andrea Pirlo, autore della rete che ha deciso
la sfida di Marassi. «Sapevamo che era una
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Le pagelle Juventus
da uno dei nostri inviati a Genova
Bonucci controlla
Sfide salvezza Preziosi successi del Livorno, che chiude in 9, sul Bologna e del Sassuolo sul Catania. Sampdoria k.o. a Bergamo
7 BUFFON L’aggancio a Zoff (476 presenze con la
Juve) merita una serata di gala: decisivo già su
Bertolacci, para il rigore di Calaiò. Il tiro non è granché,
ma undici metri sono sempre pochi.
6,5 CACERES Anche quando è messo alle corde tiene
la testa alta.
6,5 BONUCCI Controlla il traffico aereo prendendosi
pure una sportellata gratuita da Gilardino. Bene anche
nelle mischie.
6 CHIELLINI Qualche difficoltà in più dei compagni, ma
grande presenza atletica come sempre.
5,5 LICHTSTEINER Rischia il rigore con un tocco alle
spalle di Bertolacci. Fatica più del solito ad incidere sulla
fascia, ma sembra più che altro merito degli avversari.
5 VIDAL Nel suo caso sembra demerito suo, perché
sbaglia anche gli appoggi banali. Alla fine ringrazia Calaiò
e Buffon che neutralizzano il suo tocco di mano in area.
6,5 PIRLO La prestazione è insufficiente. Ma di fronte
all’ennesima magia decisiva bisogna aggiornare la
contabilità, con deferenza: gol numero 25 su punizione in
A, a 3 reti dal primato di Mihajlovic.
5 POGBA In imbarazzo quando la stanchezza comincia
a farsi sentire: non ha mai commesso tanti falli di
frustrazione .
6 ASAMOAH Di rado riesce a superare la metà campo,
però il corpo a corpo con Motta e Sculli è prezioso.
6 LLORENTE Si conferma un operaio specializzato,
capace di andare a prendersi il pallone anche davanti alla
difesa. Non sono gli attaccanti il problema della serata
juventina.
6 OSVALDO Il lavoro di Tevez, che scava il solco
davanti alle difese avversarie, lui non lo riesce a fare. Però
la palla l’aveva buttata dentro, in posizione regolare e
pure con un bel tocco sotto.
6 CONTE La Juve resiste e conquista un’altra partita che
in altre occasioni non avrebbe vinto. Segno di una
grandezza che nessuno scalfisce: in A i bianconeri
segnano da 41 partite consecutive.
p.tom.
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Il baby Keita trascina la Lazio, piegato il Cagliari
La contestazione dei tifosi è l’ultimo
trend che Cagliari e Lazio, loro malgrado,
sono costrette a seguire. Certo, i motivi sono diametralmente opposti: i sardi protestano perché il presidente, Massimo Cellino, li sta mollando per dedicarsi al Leeds,
mentre i laziali da settimane fanno pubblica
esibizione di dissenso perché Claudio Lotito
proprio non vuol saperne di mollare il club
biancoceleste. Ma gli effetti sono gli stessi,
ormai trattasi di assioma matematico: in casa e sotto i fischi dei propri tifosi, si perde.
Era accaduto alla Lazio domenica scorsa
all’Olimpico con l’Atalanta ed è successo ieri
al Sant’Elia al Cagliari: 0-2, squadra di Reja
agganciata con le unghie al gruppetto coppe
grazie alla quarta vittoria su sei trasferte; e
squadra di Lopez annichilita, tradita sia da
capitan Daniele Conti (espulso proprio
quando c’era da lanciare l’assedio) sia da Pinilla (che ha fallito un rigore giustamente
concesso da Irrati sullo 0-1 per un fallo di
Biglia su Vecino), e resa inerme dai gol laziali, uno per tempo. Del redivivo Lulic, che
al 18’ finalizza un’azione iniziata da Marchetti, proseguita con la spizzata di Klose e
rifinita dal tocco di Gonzalez; e del talento
Keita, il 19enne genietto che viene dal Barça
(per 300 mila euro) sul quale la Lazio sta calibrando il proprio futuro.
È giovane, sì, e «deve restare umile», dice
Reja. Ma sotto il sole del Sant’Elia fa praticamente tutto lui: tira, scatta, crossa, protesta,
ispira i compagni e manda in paranoia gli
avversari. Fino a segnare, al 23’ della ripresa, il quarto gol personale nella stagione che
doveva essere quella buona solo per l’affaccio sul calcio dei grandi. Invece Keita è già
trascinatore, in barba alla carta d’identità e
ai compagni dal passato illustre. Anche kaiser Klose, trasformato da Reja in una sorta
di regista offensivo, si mette al suo servizio
lanciandolo in porta: stop in corsa e tiro che
fulmina Avramov. Facile, basta che giochi.
Così, grazie a Keita, il maestro supera l’allievo. Nel 2004 Lopez era compagno di
Gianfranco Zola nel Cagliari che guadagnò
la serie A con Edy Reja in panchina. Ieri i due
tecnici si sono abbracciati prima di darsi
battaglia in una giornata chiave per entrambi i club: la Lazio per uscire dalla mediocrità
e il Cagliari per rientrarci evitando le beghe
della lotta salvezza.
E se i biancocelesti riescono a restare in
bilico sul grigiore, il Cagliari stagna lì, con
29 punti a galla sulla zona della paura. Dalla
Cagliari
Lazio
0
2
quale sono decisamente emerse Atalanta e
Sampdoria, una contro l’altra nell’anticipo
delle 12.30: 3-0 finale, segnano Carmona,
Bonaventura e Denis, ma la salvezza è quasi
in saccoccia sia per Colantuono sia per
Mihajlovic, peraltro furente con i suoi per la
sconfitta: «Io mi prendo le responsabilità
pwer le batoste; spero se le prendano anche
i giocatori». In coda la «guerra» è iniziata:
Sassuolo e Livorno hanno battuto rispettivamente Catania e Bologna circoscrivendo
la contesa. Cinque squadre in 4 punti (Chie-
Atalanta
Sampdoria
3
0
Marcatori: Lulic 18’ p.t.; Keita 23’
s.t.
Marcatori: Carmona 36’,
Bonaventura 42’ p.t.; Denis 11’ s.t.
CAGLIARI (4-3-1-2): Avramov 6;
Dessena 5, Rossettini 6, Del Fabro
6, F. Pisano 5; Vecino 6, Conti 5,
Ekdal 5,5 (Sau s.v. 30’ s.t.); Cossu 5
(Ibraimi 5,5 1’ s.t.); Ibarbo 6,5, Nené
5 (Pinilla 5 12’ s.t.). All.: Lopez 5,5
ATALANTA (4-4-1-1): Consigli 6,5;
Benalouane 6, Stendardo 6,5,
Yepes 6,5, Del Grosso 6 (Bellini s.v.
34’ s.t.); Estigarribia 6,5, Cigarini
6,5 (Baselli s.v. 31’ s.t.), Carmona
7, Bonaventura 7; M. Moralez 6,5
(De Luca s.v. 27’ s.t.); Denis 7. All.:
Colantuono 7
LAZIO (4-3-3): Marchetti 6; Konko
6, Biava 6,5, Novaretti 6, Radu 6,5;
A. Gonzalez 7 (Onazi s.v. 36’ s.t.),
Ledesma 6,5, Biglia 6; Lulic 7
(Felipe Anderson s.v. 44’ s.t.), Klose
6,5 (Mauri s.v. 45’ s.t.), Keita 7,5.
All.: Reja 6,5
Arbitro: Irrati 5,5
Espulso: Conti 32’ s.t.
Ammoniti: Rossettini, Biglia, F.
Pisano, Pinilla, Radu
Recuperi: 1’ più 3’
SAMPDORIA (4-2-3-1): Da Costa
5; De Silvestri 5, Mustafi 5,
Gastaldello 5,5 (Fornasier 5 1’ s.t.),
Regini 5,5; Palombo 5,5, Krsticic 5;
Gabbiadini 5, Eder 5 (Sansone s.v.
26’ s.t.), Soriano 5,5; Okaka 5 (Maxi
Lopez 6 11’ s.t.). All.: Mihajlovic 5
Arbitro: Cervellera 6
Ammoniti: Okaka, Del Grosso
Recuperi: 0’ più 1’
Livorno
Bologna
vo, Livorno, Bologna, Sassuolo e Catania),
da 24 a 20, e due posti per restare in A. Lo
scontro tra le ultime va alla squadra di Di
Francesco: Bergessio illude il Catania, ma
poi ci pensano Zaza, Missiroli e Sansone a
ribaltare tutto. E a Livorno decidono Benassi e Paulinho nei primi 8’ della ripresa, mentre il Bologna, nonostante il finale in 11
contro 9, riesce a mandare in gol solo Christodoulopoulos su rigore. È bagarre.
Andrea Arzilli
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2
1
Marcatori: Benassi 2’, Paulinho 7’,
Christodoulopoulos (rig.) 39’ s.t.
LIVORNO (3-5-2): Bardi 6;
Ceccherini 6, Emerson 6,5, Castellini 6;
Mbaye 6,5, Benassi 6,5, Greco 6
(Duncan 6 28’ s.t.), Biagianti 5,5
(Rinaudo s.v. 40’ s.t.), Mesbah 6;
Belfodil 5 (Emeghara 6 1’ s.t.), Paulinho
7. All.: Di Carlo 6,5
BOLOGNA (3-5-2): Curci 6;
Antonsson 5 (Moscardelli 6 8’ s.t.),
Natali 5, Mantovani 5,5; Kone s.v.
(Garics 6 15’ p.t.), Khrin 5, Perez 5
(Pazienza 5,5 12’ s.t.),
Christodoulopoulos 6,5, Morleo 6;
Cristaldo 5,5, Acquafresca 5. All.:
Ballardini 5,5
Arbitro: Bergonzi 6,5
Espulsi: Mbaye e Emeghara per
doppia ammonizione. Ammoniti:
Garics, Biagianti, Mbaye,
Emeghara, Ceccherini, Perez, Krhin
Recuperi: 1’ più 4’
Sassuolo
Catania
3
1
Marcatori: Bergessio 32’ p.t.; Zaza
9’, Missiroli 14’, Sansone 43’ s.t.
SASSUOLO (4-3-3): Pegolo 6,5;
Pedro Mendes 5 (Gazzola 6 36’ p.t.),
Cannavaro 6,5, Ariaudo 6,5, Longhi
5,5; Magnanelli 5,5, Brighi 5,5 (Zaza
7 1’ s.t.), Missiroli 6,5; Sansone 6,
Floccari 6,5, Floro Flores 7 (Biondini
6,5 25’ s.t.). All.: Di Francesco 6,5
CATANIA (4-3-3): Andujar 6,5;
Peruzzi 5,5 (Alvarez 5 33’ p.t.),
Bellusci 5,5, Legrottaglie 5, Biraghi
6; Izco 5,5, Lodi 5, Rinaudo 5,5;
Barrientos 6 (Leto 5 23’ s.t.),
Bergessio 6,5, Keko 6,5 (Fedato 6
23’ s.t.). All.: Maran 5,5
Arbitro: Valeri 6
Ammoniti: Missiroli, Peruzzi,
Gazzola, Magnanelli, Leto, Ariaudo
Recuperi: 3’ più 3’
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Sport 39
Tre punti Pizarro sbaglia un rigore, Gomez segna in fuorigioco
La Viola non perdona
Stende il Chievo
e aspetta la Signora
Più cinica che bella, la Fiorentina torna 4a
Vantaggio Juan Cuadrado, 25 anni, segna l’1-0 per la Fiorentina con un bel pallonetto (LaPresse)
DAL NOSTRO INVIATO
Magistrale Il gol su punizione di Pirlo, 34 anni,
alla sua quarta rete in campionato (LaPresse)
partita difficile, ma era troppo importante
per noi portare a casa i tre punti. Anche se
abbiamo fatto molta fatica, lo spirito è stato
sempre buono». Il tecnico del Genoa Gian
Piero Gasperini ancora non ci crede:
«Perdere questo tipo di partite fa un male
incredibile. Una grandissima prestazione
da parte di tutti i miei giocatori, sarà
difficile tirarli su di morale. Peccato, perché
avevamo sempre più la partita in mano».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Serie A / 28ª giornata
FIRENZE — Doppio controsorpasso sotto gli occhi del tifoso
Matteo Renzi. La Fiorentina liquida il Chievo e in un colpo solo scavalca Inter e Parma, riprendendosi
il quarto posto. Una domenica di
festa in attesa della Juve, anche di
sofferenza perché il terzo incrocio
stagionale con i veronesi (tre vittorie su tre) è più difficile di quanto dica il 3-1 finale. La squadra di
Montella sfrutta le occasioni nel
primo tempo, segnando con Cuadrado (tre gol e un assist contro il
Chievo tra andata e ritorno) e raddoppiando con Matri. Però nella
ripresa si addormenta, forse con la
testa già alla coppa e favorisce il ritorno dei veneti, che lottano con
ardore, piglio, cattiveria, rientrando in gioco con Paloschi. E visto
che Pizarro sbaglia un rigore, tocca
a Mario Gomez togliere le castagne dal fuoco viola un minuto prima del novantesimo. Marione, peraltro in chiaro fuorigioco sul lancio di Ilicic, firma così la seconda
rete consecutiva dopo quella allo
Stadium. Curiosità: contro Agazzi,
allora al Cagliari, si era fatto male il
15 settembre. Contro Agazzi, ora al
Chievo, segna a Firenze per la prima volta. Il cerchio si chiude.
Montella sorride. Non una gran
Fiorentina, però pratica. Risparmia numerosi titolari e acciuffa la
vittoria che mancava da oltre un
mese (8 febbraio contro l’Atalanta). Il problema, in attesa della Ju-
Chievo
Marcatori: Cuadrado 11’, Matri 39’
p.t.; Paloschi 17’, Gomez 44’ s.t.
FIORENTINA (3-5-1-1): Neto 7;
Diakitè 5,5, Gonzalo Rodriguez
5,5, Compper 6; Cuadrado 7,
Anderson 5,5 (Ilicic 6,5 20’ s.t.),
Pizarro 6,5, Ambrosini 6,5,
Pasqual 6; Wolski 5 (Vargas 6,5
29’ s.t); Matri 6 (Gomez 6,5 13’
s.t.). All.: Montella 6,5
Rotazione
Montella cambia sette
giocatori: l’attacco
funziona, meno la difesa
CHIEVO (4-3-3): Agazzi 6,5; Frey
6, Dainelli 6, Cesar 5, Rubin 5,5;
Radovanovic 6 (Pellissier s.v. 31’
s.t.), L. Rigoni 6, Guarente 5
(Lazarevic 5,5 1’ s.t.); Stojan 5,5
(Obinna 6,5 16’ s.t.); Paloschi 5,5,
Hetemaj 5,5. All.: Corini 6
ve, è sempre lo stesso: la fase difensiva. Anche il Chievo buca Neto: nelle ultime otto gare, coppe
comprese, i viola hanno sempre
subito almeno un gol.
La Fiorentina, pensando all’Europa League, abbonda con il turnover. Sette i cambi rispetto al giovedì di coppa. In difesa riposano
Tomovic e Savic, a metà campo tirano il fiato Aquilani e (forzatamente per la squalifica) Borja Va-
■ Punti totali ■ In casa ■ Fuori casa
Serie A Classifica
Arbitro: Massa 5
Ammoniti: Rigoni, Hetemaj, Rubin
Recuperi: 0’ più 4’
INTER
0-2
Palacio (In) 14', Jonathan (In) 19' s.t.
Arbitro: Banti di Livorno
ATALANTA
SAMPDORIA
3-0
Carmona (At) 36', Bonaventura (At) 42', Denis (At) 11' s.t.
Arbitro: Cervellera di Taranto
CAGLIARI
LAZIO
0-2
Lulic (La) 18', Keita (La) 23' s.t. Arbitro: Irrati di Pistoia
LIVORNO
BOLOGNA
2-1
Benassi (Li) 2' s.t., Paulinho (Li) 7' s.t., Christodoulopoulos
(Bo) rig. 39' s.t. Arbitro: Bergonzi di Genova
MILAN
PARMA
2-4
Cassano (Pa) rig. 9', Cassano (Pa) 7' s.t., Rami (Mi) 11'
s.t., Balotelli (Mi) rig. 30' s.t., Amauri (Pa) 33' s.t.,
Biabiany (Pa) 50' s.t. Arbitro: Celi di Campobasso
SASSUOLO
CATANIA
3-1
Bergessio (Ca) 32', Zaza (Sa) 9' s.t., Missiroli (Sa) 14' s.t.,
Sansone (Sa) 43' s.t. Arbitro: Valeri di Roma 2
FIORENTINA
CHIEVO
3-1
Cuadrado (Fi) 11', Matri (Fi) 39', Paloschi (Ch) 17' s.t.,
Gomez (Fi) 44' s.t. Arbitro: Massa di Imperia
JUVENTUS
ROMA
NAPOLI
FIORENTINA
INTER
PARMA
LAZIO
VERONA
ATALANTA
TORINO
MILAN
GENOA
SAMPDORIA
UDINESE
CAGLIARI
CHIEVO
LIVORNO
BOLOGNA
SASSUOLO
CATANIA
Punti
75
58
55
48
47
46
41
40
37
36
35
35
34
31
29
24
24
23
21
20
G
28
26
27
28
28
27
28
28
28
27
28
28
28
27
28
28
28
28
28
28
V
24
17
16
14
12
12
11
12
11
9
9
9
9
9
6
6
6
4
5
4
N
3
7
7
6
11
10
8
4
4
9
8
8
7
4
11
6
6
11
6
8
P
1
2
4
8
5
5
9
12
13
9
11
11
12
14
11
16
16
13
17
16
V
14
10
9
8
7
6
7
8
9
5
6
6
5
6
6
4
4
2
4
4
N
0
3
4
3
6
6
3
2
2
5
4
4
4
2
4
2
4
7
1
6
P V N P F S
0 10 3 1 64 19
0 7 4 2 49 12
1 7 3 3 52 29
3 6 3 5 48 31
1 5 5 4 46 29
2 6 4 3 45 31
3 4 5 6 36 35
5 4 2 7 43 46
3 2 2 10 31 38
3 4 4 6 39 35
4 3 4 7 41 42
4 3 4 7 31 35
5 4 3 7 33 42
5 3 2 9 30 39
5 0 7 6 27 38
7 2 4 9 23 41
7 2 2 9 31 51
5 2 4 8 23 43
9 1 5 8 28 56
3 0 2 13 21 49
lero. In attacco, invece, ancora fiducia a Matri. La filosofia di Montella è diversa da quella di Conte.
Anche i risultati sono diversi, considerando che in campionato, prima del Chievo, i viola avevano vinto una sola delle ultime sette partite. La Fiorentina segna all’inizio e
alla fine del primo tempo: sul gol
di Cuadrado da segnalare il lancio
morbido e preciso di Pizarro, sul
raddoppio di Matri va messa in
evidenza la percussione centrale
di Anderson, che ruba palla a Rigoni (sarà poi lo stesso Cuadrado a
fornire l’assist all’ex milanista).
La squadra di Montella però
non incanta: Wolski è bravo nello
stretto ma non gioca con la squadra e finisce presto l’energie, Anderson è discontinuo, il passo generale è lento come se la squadra
fosse con la testa già alla partita
con la Juventus. Tra i due gol della
Fiorentina c’è tanto Chievo, dinamico e abile nel pressing sul portatore di palla. Anche sciupone.
Paloschi, prima dell’intervallo, si
mangia due gol. Sulla seconda opportunità è bravo Neto in uscita.
Nel secondo tempo la squadra
di Corini, più spregiudicata con
Lazarevic al posto dell’impalpabile
Guarente e poi con Obinna per
Stojan, mette sotto pressione i viola. Compper anticipa Cesar a un
metro dalla porta, Neto salva sul
colpo di testa di Paloschi, Radovanovic sbaglia da due metri. Tre occasioni che anticipano la rete dei
veronesi. Gonzalo sbaglia, Obinna
riparte, Paloschi stavolta non perdona aggirando il portiere.
La rete scuote la Fiorentina che,
rinvigorita dai cambi (Gomez,
Vargas e Ilicic) riprende il controllo della partita. Pizarro potrebbe
chiudere il conto su un rigore concesso per un gomito in area di Rubin su tiro di Ilicic. Il tiro del cileno
viene però deviato da Agazzi. E allora ci pensa Gomez, un minuto
prima del novantesimo a cancellare l’ansia viola. Ora tre sfide complicate e suggestive: dopo la Juventus, giovedì al Franchi, arrivano uno dietro l’altro Napoli e Milan. La Fiorentina, tra Europa
League e campionato, si gioca
quasi tutto nei prossimi dieci giorni.
Punti
56
PALERMO
47
EMPOLI
VIRTUS LANCIANO 47
45
LATINA
45
TRAPANI
45
CROTONE
44
AVELLINO
43
CESENA
42
SIENA (-7)
41
PESCARA
40
SPEZIA
39
CARPI
38
TERNANA
37
MODENA
37
BRESCIA
36
VARESE
35
BARI (-3)
31
NOVARA
26
CITTADELLA
26
PADOVA
25
REGGINA
JUVE STABIA
15
G
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
29
V
16
12
13
11
11
13
11
10
12
11
10
11
9
9
8
9
10
7
5
6
6
2
N
8
11
8
12
12
6
11
13
13
8
10
6
11
10
13
9
8
10
11
8
7
9
P
5
6
8
6
6
10
7
6
4
10
9
12
9
10
8
11
11
12
13
15
16
18
V
10
5
7
7
6
7
8
5
9
5
5
4
7
8
4
6
8
6
3
4
4
1
N
3
7
6
4
5
4
4
7
4
4
6
4
4
3
7
6
4
4
6
6
4
5
P
2
2
2
3
3
3
2
2
2
5
4
7
4
3
4
2
3
4
6
4
7
9
V
6
7
6
4
5
6
3
5
3
6
5
7
2
1
4
3
2
1
2
2
2
1
N P F S
5 3 43 20
4 4 36 22
2 6 29 24
8 3 29 21
7 3 38 31
2 7 43 38
7 5 33 30
6 4 33 25
9 2 44 30
4 5 38 34
4 5 31 37
2 5 33 37
7 5 40 36
7 7 37 29
6 4 37 39
3 9 37 42
4 8 29 33
6 8 28 38
5 7 25 39
2 11 25 41
3 9 27 45
4 9 25 49
29ª giornata
SPEZIA-PESCARA
JUVE STABIA-TERNANA
PALERMO-BRESCIA
VIRTUS LANCIANO-NOVARA
Arbitro: Tagliavento di Terni
PROSSIMO TURNO: Sabato 22/3, ore 18.00: Torino-Livorno.
ore 20.45: Chievo-Roma. Domenica 23/3, ore 12.30: Parma-Genoa.
ore 15.00: Bologna-Cagliari, Inter-Atalanta, Sampdoria-Verona, Udinese-Sassuolo.
ore 18.30: Napoli-Fiorentina. ore 20.45: Catania-Juventus, Lazio-Milan.
PROSSIMO TURNO: Venerdì 21/3, ore 19.00: Trapani-Varese.
ore 21.00: Avellino-Siena. Sabato 22/3, ore 15.00: Brescia-Spezia,
Cesena-Juve Stabia, Crotone-Bari, Empoli-Reggina, Modena-Latina,
Novara-Carpi, Padova-Cittadella, Pescara-Palermo, Ternana-Virtus Lanciano.
Spagna
Inghilterra
Lega Pro 1ª div./A
JUVENTUS
0-1
Pirlo (Ju) 44' s.t. Arbitro: Mazzoleni di Bergamo
TORINO
NAPOLI
oggi 19.00
Arbitro: Doveri di Roma 1
ROMA
UDINESE
oggi 21.00
GETAFE
GRANADA
3-3
LEVANTE
CELTA VIGO
0-1
RAYO VALLECANO ALMERIA
3-1
MALAGA
REAL MADRID
0-1
ATLETICO MADRID ESPANYOL
1-0
ELCHE
REAL BETIS
0-0
BARCELLONA
OSASUNA
7-0
SIVIGLIA
REAL VALLADOLID
4-1
REAL SOCIEDAD
VALENCIA
VILLARREAL
ATHLETIC BILBAO oggi 22.00
Classifica: 70 Real Madrid 67 Atletico Madrid 66 Barcellona 51 Athletic Bilbao 44 Villarreal, Siviglia 43 Real Sociedad 36 Valencia, Espanyol, Levante 33 Celta Vigo 31 Granada 30 Elche 29 Malaga, Osasuna, Rayo
Vallecano 28 Getafe 26 Real Valladolid, Almeria 19 Real Betis
HULL CITY
MANCHESTER CITY
0-2
EVERTON
CARDIFF CITY
2-1
FULHAM
NEWCASTLE UNITED
1-0
SOUTHAMPTON
NORWICH CITY
4-2
STOKE CITY
WEST HAM UNITED
3-1
SUNDERLAND
CRYSTAL PALACE
0-0
SWANSEA
WEST BROMWICH ALBION 1-2
ASTON VILLA
CHELSEA
1-0
MANCHESTER UNITED LIVERPOOL
0-3
TOTTENHAM HOTSPUR ARSENAL
0-1
Classifica: 66 Chelsea 62 Liverpool, Arsenal
60 Manchester City 53 Tottenham Hotspur
51 Everton 48 Manchester United 45 Southampton 43 Newcastle United 34 Aston
Villa, Stoke City 31 West Ham United 30 Hull
City 29 Swansea, Norwich City 28 West
Bromwich Albion, Crystal Palace 25 Sunderland, Cardiff City 24 Fulham
Germania
AUGSBURG
SCHALKE 04
1-2
BORUSSIA DORTMUND BORUSSIA MONCHENGLADBACH 1-2
EINTRACHT BRAUNSCHWEIG WOLFSBURG
1-1
HERTHA BERLINO
HANNOVER 96
0-3
HOFFENHEIM
MAINZ 05
2-4
WERDER BREMA
STOCCARDA
1-1
BAYERN MONACO
BAYER LEVERKUSEN
2-1
AMBURGO
NORIMBERGA
2-1
EINTRACHT FRANCOFORTE FRIBURGO
1-4
Classifica: 71 Bayern Monaco 48 Borussia
Dortmund 47 Schalke 04 44 Bayer Leverkusen 41 Mainz 05 40 Wolfsburg 39 Borussia
Monchengladbach 38 Augsburg 36 Hertha
Berlino 29 Hoffenheim, Hannover 96, Werder Brema 26 Eintracht Francoforte 23 Amburgo, Norimberga 22 Friburgo 21 Stoccarda 18 Eintracht Braunschweig
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G giocate V vinte N nulle P perse F reti fatte S reti subite
MARCATORI: 15 RETI: Tevez (JUV) 14 RETI: Rossi (FIO) 13 RETI: Immobile (TOR), Palacio
(INT), Toni (VER), Higuain (NAP) 12 RETI: Gilardino (GEN), Berardi (SAS) 11 RETI:
Llorente (JUV), Cassano (PAR), Paulinho (LIV), Vidal (JUV), Balotelli (MIL), Cerci (TOR)
10 RETI: Callejon (NAP), Denis (ATA) 9 RETI: Gabbiadini (SAM), Eder (SAM) 8 RETI:
Paloschi (CHI), Di Natale (UDI) 7 RETI: Parolo (PAR), Candreva (LAZ), Jorginho (NAP)
GENOA
Alessandro Bocci
■ Punti totali ■ In casa ■ Fuori casa
Serie B Classifica
G giocate V vinte N nulle P perse F reti fatte S reti subite
VERONA
3
1
Fiorentina
Posticipi
0-1
2-3
2-0
2-1
BARI-AVELLINO
LATINA-TRAPANI
REGGINA-CROTONE
SIENA-CESENA
VIRTUS ENTELLA
REGGIANA
1-0
CARRARESE
PRO PATRIA
1-0
COMO
ALBINOLEFFE
2-2
CREMONESE
SAN MARINO
2-0
FERALPI SALO'
SUDTIROL
1-3
PAVIA
PRO VERCELLI
0-0
VENEZIA
SAVONA
1-1
VICENZA
LUMEZZANE
2-1
Classifica: 53 Virtus Entella 44 Pro Vercelli
42 Vicenza (-4) 41 Cremonese 38 Como 37
Sudtirol, Venezia, Savona 35 Albinoleffe (-1)
29 Feralpi Salo’ 27 Lumezzane, Carrarese 25
Reggiana 24 Pro Patria (-1) 19 Pavia 17
San Marino
1-0 CITTADELLA-CARPI
0-1 MODENA-EMPOLI
1-4 VARESE-PADOVA
1-0
1-0
0-0
0-3
Lega Pro 1ª div./B
ASCOLI
VIAREGGIO
2-0
BARLETTA
GUBBIO
0-2
CATANZARO
GROSSETO
1-0
FROSINONE
PRATO
2-0
L'AQUILA
PERUGIA
0-0
LECCE
PONTEDERA
3-0
NOCERINA
SALERNITANA
0-3
PISA
BENEVENTO
2-2
Classifica: 55 Frosinone 50 Perugia 49 Lecce 45 Catanzaro 43 L’Aquila, Pisa 40 Benevento, Salernitana 37 Pontedera 36 Prato
35 Gubbio 34 Grosseto 24 Viareggio 21
Ascoli (-4), Barletta 13 Paganese 12 Nocerina (-2)
Oggi tocca
a Roma
e Napoli
La parola alle inseguitrici:
Roma e Napoli continuano oggi
la loro sfida per il secondo posto. I giallorossi ospitano all’Olimpico l’Udinese: l’obiettivo
è dimenticare la sconfitta di Napoli. In campo tornerà Totti, in
tribuna i tifosi dopo due gare a
curve chiuse. Taddei giocherà al
posto di Strootman. Per il Napoli trasferta non facile a Torino, con i granata della coppia
Cerci-Immobile in cerca di punti dopo tre sconfitte di fila. Benitez, con l’emergenza difesa
dopo l’infortunio di Maggio,
spera di ritrovare Hamsik dopo
l’ennesima prova deludente in
Europa League giovedì a Porto.
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Torino, ore 19
Torino
Napoli
(3-5-2)
30 Padelli
19 Maksimovic
25 Glik
24 Moretti
36 Darmian
27 Kurtic
77 Tachtsidis
7 El Kaddouri
29 Vesovic
11 Cerci
9 Immobile
(4-2-3-1)
25 Reina
2 Reveillere
21 Fernandez
33 Albiol
31 Ghoulam
88 Inler
8 Jorginho
7 Callejon
17 Hamsik
14 Mertens
9 Higuain
Arbitro: DOVERI di Roma
Tv: ore 19 Sky SuperCalcio, Sky Calcio 2,
Premium Calcio
Roma, ore 21
Roma
Udinese
(4-3-3)
26 De Sanctis
35 Torosidis
5 Castan
17 Benatia
3 Dodò
11 Taddei
15 Pjanic
44 Nainngolan
24 Florenzi
10 Totti
27 Gervinho
(4-2-3-1)
22 Scuffet
75 Heurtaux
5 Danilo
11 Domizzi
8 Basta
66 Pinzi
3 Allan
27 Widmer
37 Pereyra
70 Maicosuel
10 Di Natale
Arbitro: TAGLIAVENTO di Terni
Tv: ore 21 Sky Sport 1, Sky Calcio 1,
Premium Calcio
Fischio finale
di Paolo Casarin
A Marassi le mani
non sono tutte uguali
P
er Genoa-Juventus viene
designato Mazzoleni. La
partita è giocata con molta
intensità e l’arbitro appare in
grado di controllarla. Quando il
grado di fallosità sembra
debordare, Mazzoleni risponde con
i cartellini gialli che puniscono
l’ardore di Di Maio, Sturaro e
Gilardino e le proteste di Sculli. In
area juventina un tocco tra le
gambe di Lichtsteiner e Bertolacci,
danneggia il genoano: dubbi
sull’assoluzione di Mazzoleni. Sul
finire del primo tempo il
guardalinee Ghiandai annulla un
gol di Osvaldo. Dalla tv non
sembra esserci il fuorigioco. Falli di
mano in area di Antonelli e Vidal
nella ripresa a distanza di un
minuto: la discrezionalità di
Mazzoleni punisce solo Vidal con il
rigore (parato). Celi cerca di
mettere a disposizione di MilanParma tutta la sua esperienza.
Comincia con una importante
decisione per un fallo, in area
rossonera (5’), di Abbiati su
Schelotto: espulsione del portiere e
rigore per il Parma. Celi applica in
modo corretto la regola e dalla
tempestività del fischio si può
dedurre che nessun supporto da
parte dell’arbitro addizionale
(Luca Pairetto) sia stato richiesto
o proposto. Seguono
provvedimenti assolutori per
Mexès, per falli significativi su
Cassano e Felipe e si arriva, nella
ripresa, alla concessione di un
rigore per il Milan per un contatto
marginale tra Obi e Montolivo. A
questa decisione sbagliata hanno
partecipato due arbitri o solo Celi?
Cosa ha fatto pensare al rigore?
L’arbitro Cervellera ha diretto,
senza grandi problemi, AtalantaSamp. Solo che, immediatamente
prima del gol di Bonaventura,
l’atalantino Benalouane ha colpito,
in area della Samp , Regini con un
pugno al corpo. Regini a terra, gol
e tutti a centro campo. È chiaro che
Cervellera era attento all’azione e
che l’arbitro addizionale Maresca
guardava altrove, sta di fatto che
la moda del pugnetto
all’avversario si consolida,
malgrado tanti occhi delegati al
controllo. Ancora moviola
(involontaria) del lunedì (la prova
tv di Tosel)? In Sassuolo-Catania,
Valeri assiste, a due passi, a una
chiara trattenuta di Rinaudo su
Missiroli, in area. Nessun
provvedimento. Finisce che solo
Bergonzi ha preso decisioni con
sicurezza concedendo a Livorno un
giusto rigore al Bologna per
trattenuta su Morleo ed espulso
correttamente i livornesi Mbaye ed
Emeghara. E tutto fa pensare che
abbia deciso da solo.
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
40 Sport
MotoGp Domenica sera a Losail, in Qatar, scatta la stagione 2014. L’hondista uomo da battere, l’incognita Ducati, il dubbio sui nuovi regolamenti
QATAR
Losail
Lunghezza
5.38 km
Giri
22
AMERICA
Austin
Lunghezza
5.51 km
INDIANAPOLIS
INDIAN
Indianapolis
Indiana
23 marzo
Distanza
118.4 km
Lunghezza
Lungh
4.17 km
Lungh
Lunghezza
5.40 km
Distanza
115.8
ARGENTINA
Termas de Rio Hondo 27 aprile
93
Nazionalità
Anni
Team
Mondiali
vinti
Lunghezza
4.80 km
Giri
25
SPAGNA
Jerez
Lunghezza
4.42 km
Distanza
120.2
4 maggio
Giri
27
FRANCIA
Le Mans
Distanza
119.4 km
18 maggio
Giri
27
Distanza
112.6 km
REPUBBLICA CECA
REPUB
Brno
17 agosto
13 aprile
Giri
21
10 agosto
3
99
26
JJORGE LOREN
LORENZO
NZO
Spagna
DANI PEDROSA
D
A
Spagna
VALENTINO ROSSI
V
Italia
21
Repsol Honda
26
Movistar Yamaha
28
Repsol Honda
35
Movistar Yamaha
32
Gp
vinti
Punti forti
(10 in 125, 16 in Moto2,
6 in MotoGp)
talento, guida, velocità, moto
Punti deboli
eccessiva confidenza
4
3
(250 nel 2006 e 2007,
MotoGp nel 2010
e 2012)
52
9
(125 nel 2003
e 2004,
250 nel 2005)
(125 nel 1997, 250 nel
1999, MotoGp/500
nel 2001, ‘02, ’03, ‘04,
’05,‘08, ’09)
(12 in 125, 14 in 250 e 80
in MotoGp/500)
classe, esperienza, carisma
48
(4 in 125, 17 in 250,
31 in MotoGp)
classe, esperienza, coraggio,
voglia di rivincita
troppa ansia di rivincita
(8 in 125, 15 in 250,
25 in MotoGp)
guida, moto
106
fisico, guida sul bagnato, duelli, sfortuna
età, velocità
Distanza
118.9 km
GRAN B
BRETAGNA
Silvers
Silverstone
31 agosto
46
MARC MARQUEZ
M
Spagna
(125 nel 2010, Moto2
nel 2012, MotoGp
nel 2013)
Giri
22
Tutti a caccia del giovane re
Valentino sogna il decimo sigillo
Lunghezza
5.90 km
SAN MARINO
Misano
Lunghezza
4.23 km
Giri
20
Distanza
118.0 km
14 settembre
Giri
28
ARAGONA
Alcañiz
Distanza
118.3 km
28 settembre
Marquez favorito, Lorenzo l’avversario, Rossi e Pedrosa outsider
Lunghezza
4.19 km
Giri
28
ITALIA
Mugello
Lunghezza
5.25 km
1 giugno
Giri
23
CATALOGNA
Barcellona
Lunghezza
4.73 km
Giri
25
Distanza
118.2 km
28 giugno
Giri
26
GERMANIA
Sachsenring
Lunghezza
3.67 km
Distanza
120.6 km
15 giugno
OLANDA
Assen
Lunghezza
4.54 km
Distanza
117.2 km
Distanza
118.1 km
13 luglio
Giri
30
Distanza
110.1 km
Il popolo della MotoGp si sta incamminando per il deserto con due
domande fondamentali in valigia. La
prima riguarda Marc Marquez: se la
piccola iena ridens della Honda ha
asfaltato gli avversari nel 2013, quando era solo una matricola ventenne di
gran polso e belle speranze, che cosa
potrà fare stavolta con un anno di
esperienza in più, la migliore conoscenza della moto e la probabile autopressione da rivincita che si infliggerà
Lorenzo? La seconda riguarda Valentino Rossi: riuscirà il nostro eroe a uscire dalla secche della stagione scorsa,
quella della rivincita riuscita a metà
dopo il biennio infernale in Ducati, e
tornare competitivo come è stato poche volte davvero nel 2013?
Rispondere adesso, a motori spenti, naturalmente non è facile. Marquez
al momento è un mistero, perché si è
rotto un perone dopo il primo test
(peraltro dominato in Malesia) e dunque parte a luci spente: la cosa, nella
gara notturna del Qatar, potrebbe essere pericolosa. Il favorito, comunque,
è lui: ha la classe, ha la super Honda
(data anche stavolta come complessivamente superiore alla Yamaha, ma si
vedrà), ha l’entusiasmo dei 21 anni,
ha forse altri limiti inesplorabili da
raggiungere e dunque nuove asticelle
da alzare per i suoi avversari.
Lorenzo però è vivo eccome, con la
sua fame, il suo coraggio e la sua ansia
di rivincita. Dal secondo test, in Australia, PorFuera ha ripreso l’antica
confidenza con la Yamaha e appena
può ricorda al mondo che nel 2013, al
netto dei gravi infortuni che gli hanno
fatto perdere (anche per colpa sua)
vagonate di punti, lui ha vinto otto
Gran premi contro i sei di Marquez. E
allora — considerato che se Pedrosa
in otto anni di MotoGp non ha mai
vinto il titolo ed è arrivato tre volte secondo e tre volte terzo è perché una
forte predestinazione alla sconfitta e
alla sfortuna la deve avere – per la posta grossa sarà un duello Marc contro
Jorge. E su questo pronostico, in fondo scontato, valentiniani e ducatisti
faranno bene a mettersi il cuore in pace, così magari potranno godere di
più in caso di eventuali buone notizie.
Sono quelle che sogna Valentino. I
test hanno dato buoni esiti e lui, a 35
anni, sembra effettivamente un altro:
nuovo capotecnico (Silvano Galbusera al posto del guru Jeremy Burgess
caduto in disgrazia), nuovi stimoli,
nuovo stile di guida (più aggressivo e
moderno, alla Marquez), tanto lavoro
in allenamento, partecipazione diretta
allo sviluppo della M1, passione e leggerezza congenite nel vivere la vita e le
corse che il tempo non ha scalfito. Tenere il passo degli «young guns» sarà
dura, ma le performance invernali sul
passo gara inducono a una moderata
Spettacolo
Si prepara ancora un duello
fra il campione e Jorge,
ma il Dottore nei test è volato:
a 35 anni cambia stile, lavora
doppio e punta al grande colpo
Le quote Snai
Queste le quote per la vittoria finale del Mondiale di MotoGp 2014
Marc MARQUEZ (Spa) Honda
2,25
Jorge LORENZO (Spa) Yamaha
2,50
Dani PEDROSA (Spa) Honda
5,50
Valentino ROSSI (Ita) Yamaha
9,00
Pol ESPARGARO (Spa) Yamaha
33,00
Cal CRUTCHLOW (Gbr) Ducati
50,00
Stefan BRADL (Ger) Honda
50,00
Alvaro BAUTISTA (Spa) Honda
80,00
Bradley SMITH (Gbr) Yamaha
100,00
ALTRO
20,00
CORRIERE DELLA SERA
fiducia. Pensarlo in corsa per il Mondiale — il suo decimo, un sogno ma
non certo un’ossessione — adesso è
troppo, perché restano dei decimi da
limare rispetto ai due leader, e forse
anche a Pedrosa, ma dopo 5-6 gare
qualcosa sarà più chiaro. Lo stesso Valentino ha fissato quel termine per
cercare di capire che ne sarà del suo
futuro. Che comunque, fuori pista, è
già definito, visto che quest’anno
esordisce in Moto3 il suo team VR46
sponsorizzato da Sky: Rossi sarà manager, oltre che imprenditore, e la
moto resterà la sua vita, a testimonianza di una passione uguale a quella
di vent’anni fa.
Intorno ai quattro assi si muoverà il
solito mondo fluido, senza chance da
titolo ma potenzialmente più ricco di
sorprese che nel passato. Soprattutto
incuriosisce la Ducati riconvertitasi in
versione open. Il sorriso ritrovato di
Andrea Dovizioso è incoraggiante:
«Non ho mai avuto una Desmosedici
così», ha detto. La nuova guida tecnica
con l’ex Aprilia Luigi Dall’Igna ha portato linfa fresca e idee alternative. I padroni della Audi, assicurando appoggio totale, hanno chiesto risultati più
in linea con la forza del marchio. Di sicuro la Rossa è partita bene, ma dopo
le ultime tre stagioni serve cautela.
Incuriosisce poi la nuova categoria
open che nasce come alternativa ai
prototipi (factory), con centralina
unica, più benzina nel serbatoio, più
motori e la ruota morbida in qualifica.
La svolta regolamentare, appena avviata con la prospettiva di un cambio
totale (stile F1) nel 2016, sta però già
subendo modifiche (la famigerata
factory2) complicate come una pratica catastale e più difficili da spiegare
di una legge elettorale. È così che un
intervento interessante nello spirito
(semplificazione complessiva, riequilibrio dei valori e riduzione dei costi)
rischia di trasformarsi già in una farsa. Si procederà a vista, insomma, con
una sola certezza, che per fortuna non
cambia mai: le moto e i piloti, tutti, dal
primo all’ultimo, con la loro velocità e
le nostre emozioni. Quelle, per fortuna, non sono ancora materia di regolamento.
Alessandro Pasini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lunghezza
5.08 km
Giri
23
GIAPPONE
Motegi
Lunghezza
4.80 km
12 ottobre
Giri
24
AUSTRALIA
Phillip Island
Lunghezza
4.45 km
Distanza
115.2 km
19 ottobre
Giri
27
MALESIA
Sepang
Lunghezza
5.54 km
Distanza
116.8 km
Distanza
120.1 km
26 ottobre
Giri
20
Distanza
110.9 km
COMUNITÀ VALENCIANA
9 novembre
Valencia
Lunghezza
4.01 km
Giri
30
Distanza
120.2 km
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Sport 41
F1 Scoppia il caso del misuratore del flusso di carburante sulla Red Bull. Vettel ritirato. La Mercedes è la macchina da battere, ma Hamilton è subito out
Ferrari all’inseguimento nella Formula Rebus
La squalifica di Ricciardo aiuta Alonso e Raikkonen. Domina Rosberg, Magnussen stupisce
Le classifiche
Barbera&champagne
Ordine d’arrivo
1. Rosberg (Ger) Mercedes
in 1.32’58’’710
(media 195,058 km/h)
2. Magnussen (Dan)
McLaren
a 26’’777
3. Button (Gbr) McLaren
a 30’’027
4. Alonso (Spa) Ferrari
a 35’’284
5. Bottas (Fin) Williams
a 47’’639
6. Hulkenberg (Ger)
Force India
a 50’’718
7. Raikkonen (Fin) Ferrari
a 57’’675
8. Vergne (Fra) Toro Rosso
a 1’00’’441
9. Kvyat (Rus) Toro Rosso
a 1’03’’585
10. Perez (Mes)
Force India
a 1’35’’916
11. Sutil (Ger) Sauber
a 1 giro
12. Gutierrez (Mes)
Sauber
a 1 giro
13. Chilton (Gbr) Marussia
a 2 giri
Squalificato
Ricciardo (Aus) Red Bull)
consumo di carburante
oltre i limiti
del regolamento
Motivi dei ritiri
1° giro
Massa (Bra) Williams,
incidente
Kobayashi (Gia) Caterham,
freni
3° giro
Hamilton (Gbr) Mercedes,
motore
4° giro
Vettel (Ger) Red Bull,
motore
28° giro
Ericsson (Sve) Caterham,
motore
30° giro
Maldonado (Ven) Lotus,
problema elettrico
44° giro
Grosjean (Fra) Lotus
problema elettrico
Giro più veloce
Il 19° di Rosberg (Ger)
Mercedes in 1’32’’478
(media 206,436 km/h)
Mondiale piloti
1. Rosberg (Ger)
2. Magnussen (Dan)
3. Button (Gbr)
4. Alonso (Spa)
5. Bottas (Fin)
6. Hulkenberg (Ger)
7. Raikkonen (Fin)
8. Vergne (Fra)
9. Kvyat (Rus)
10. Perez (Mes)
25
18
15
12
10
8
6
4
2
1
Mondiale costruttori
1. McLaren
2. Mercedes
3. Ferrari
4. Williams
5. Force India
6. Toro Rosso
33
25
18
10
9
6
Il calendario
30/3: Gp Malesia
6/4: Gp Bahrein
20/4: Gp Cina
11/5: Spagna
25/5: Gp Monaco
8/6: Gp Canada
22/6: Gp Austria
6/7: Gp Gran Bretagna
20/7: Gp Germania
27/7: Gp Ungheria
24/8: Gp Belgio
7/9: Gp Italia
21/9: Gp Singapore
5/10: Gp Giappone
12/10: Gp Russia
2/11: Gp Usa
9/11: Gp Brasile
23/11: Gp Abu Dhabi
Se metti
un giovane
nel motore
F
Problemi
La collisione tra
Massa (Williams)
e Kobayashi
(Caterham) al primo
giro. Sopra, la Ferrari
di Alonso; sotto,
il pilota spagnolo
(Reuters, Ap,
LaPresse)
CONTINUA DALLA PRIMA DI SPORT
Nel segno di Nico, del suo
talento e del suo afferrare come nella comunicazione globale una frase ad effetto possa
valorizzare un’impresa sportiva. La sua impresa. Primo con
la Mercedes — la Silver Arrow
di un presente che si lega a un
indimenticabile passato remoto — nel Gp che manda al debutto l’era delle unità motrici
ibride, di un’infinità di diavolerie e, per ora, anche di inconvenienti.
Nico il biondo esce vincitore
da una corrida nella quale un
perfido e invisibile toro incorna subito Lewis Hamilton, poleman nonché suo compagno
di squadra (nessuno è garantito su nulla: è la prima morale
dei nuovi tempi) e il pluri-iridato Sebastian Vettel, già bastonato in qualifica. Ma il col-
po grosso il toro se lo riserva a
mezzanotte, quando viene ufficialmente disarcionato Daniel Ricciardo, nuovo compagno di Vettel alla Red Bull dominatrice dal 2010. È una storia intricata, che si lega agli
strumenti, omologati dalla Fia,
che devono calcolare il flusso
del carburante (100 chili/ora la
portata massima consentita).
Già prima del via del campionato c’erano state perplessità, visto che la ditta costruttrice aveva ammesso possibili
discrepanze tra i vari apparati
distribuiti alle squadre. Ma il
fatto di ieri apre un caso. La
Red Bull aveva notato un difetto nelle prove libere. Al sabato
aveva cambiato il flussometro,
però né lei né la Fia erano soddisfatte della modifica. In gara
è così tornata al primo strumento, ma la Federazione le ha
chiesto di calibrarlo secondo i
suoi schemi. La squadra si è rifiutata di farlo e non ha obbedito nemmeno agli ordini
giunti durante il Gran premio,
«quando i valori — così recita
il deferimento agli steward —
sono risultati eccedenti in modo consistente». La Fia aveva
promesso tolleranza zero ed è
stata categorica. In soldoni:
«Siamo noi che stabiliamo i
parametri: cio che decidiamo,
va fatto».
Ma perché tanta cocciutaggine da parte della Red Bull?
Perché mandare Ricciardo prima al podio e poi al macello?
Servivano un caso esemplare e
un vitello sacrificale per far
esplodere il bubbone? E poi,
sotto con gli interrogativi carogna: Vettel era a posto o si è
fermato proprio perché sapeva? La durezza della Fia è una
risposta a Luca di Montezemolo che in questi giorni
ha invocato la stretta vigilanza
federale contro i trucchi? Che
brutto episodio. E che peccato
non dedicare più spazio allo
stesso Rosberg, o alle risalite di
Bottas o a Magnussen che diventa l’ottavo debuttante che
sale sul podio, il primo dopo
Giancarlo Baghetti nel 1961,
per quanto l’ex ferrarista resti
sempre l’unico pilota capace di
vincere all’esordio in F1. Le ultime righe sono infatti da
spendere ancora per la Ferrari,
che esce dall’Albert Park con
più punti di quanto meriti.
«Non possiamo essere contenti» avevano ammesso Stefano
Domenicali e Fernando Alonso
— il capo e il meglio piazzato
— prima della correzione della
classifica. Immaginiamo che il
giudizio non cambi dopo la
stangata a Ricciardo: la pista
ha detto che la Rossa è in netto
ritardo rispetto alla Mercedes e
ai team che dispongono dell’unità motrice della casa tedesca. Rimonta è già la parola
che si ricerca nel vocabolario. Chi tifa per il Cavallino,
ci aggiunga un «purtroppo».
Flavio Vanetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La Rossa Kimi: «Bisogna migliorare, ma sono fiducioso»
Fernando: «Contento? No
Dobbiamo lavorare tanto»
DAL NOSTRO INVIATO
MELBOURNE — Al netto della
squalifica della Red Bull del povero
Ricciardo, che consente al Cavallino di ritoccare la classifica, resta la
realtà dei fatti. O dei numeri. La
migliore delle Ferrari ha concluso a
35 secondi da Rosberg, ma se si aggiungono i 20 che Alonso aveva già
totalizzato quando al dodicesimo
giro è entrata la safety car (causa la
«murata» e la foratura con rilascio
di detriti da parte di Bottas), si arriva quasi al minuto di svantaggio:
hai voglia allora a parlare di affidabilità e di due macchine al traguardo, un lusso perfino per chi, come
la Mercedes, ha vinto.
Quelli, certo, sono aspetti che
vanno agli atti tanto quanto la
quantificazione impietosa dello
scarto e rappresentano la parte positiva di Melbourne, da tramandare
alle corse future. Ma non bastano e
difatti Stefano Domenicali non si
accontenta: «Non posso essere
soddisfatto. Troppi problemi, troppe cose ancora non a posto. È solo
prima gara, ma occorre avere
l’umiltà di capire dove e come intervenire. I temi da affrontare sono
chiari: attendo una reazione da
persone degne della squadra di cui
facciamo parte».
La Ferrari, se si vuole enfatizzare
la critica, ricorda quello studente
che da mesi sapeva di doversi preparare su argomenti ben precisi,
ma che al momento dell’interrogazione si fa pescare incerto e balbettante. Inevitabilmente, arrivano
già gli esami di riparazioni. In quali
materie? Domenicali non le indica:
«La macchina è una e ha quattro
ruote e non ha senso parlare di
power unit piuttosto che di altri
elementi. Tutti lavorino e in fretta,
serve uno “step” collettivo in avanti. La Mercedes è in gran spolvero e
se rispetto agli altri team la situazione può essere aggiustata, noi
dobbiamo ricordarci che lottiamo
per il Mondiale e che i riferimenti
devono essere presi su quelli che
stanno in alto e non su coloro che
sono al nostro livello».
La reazione del Cavallino
Domenicali: «Troppi
problemi. Ora attendo
una reazione da persone
degne di questa squadra»
Fa già freddo
nel paddock
rosso e non solo perché la serata australiana
libera folate
d’aria che fanno mulinare il
ricordo dei guai tecnici (per
una dozzina di giri, in avvio, il kers non ha funzionato a dovere su entrambe
le auto), quelli di «graining» delle gomme che
hanno sbattuto sul prato
per due volte Kimi, oppure
la cruda constatazione che il
weekend ferrarista è stato
salvato solo grazie alla regolarità di Alonso. Fernando, però, non era precisamente il ritratto della gioia. Bilanciato nell’analisi e — questo sì — pronto
a dare alla Ferrari quello che compete alla Ferrari; ma nemmeno con
le fette di salame sugli occhi. Basta
lasciar scorrere spezzoni del suo
parlato per rendersene conto:
«Avrei voluto vincere o salire sul
podio, ma non era possibile; è stata
una gara solida ma nulla di più, per
ora abbiamo in mano questo»;
«Una volta sistemati i problemi col
kers, il ritmo c’era: ma perfino Ma-
gnussen e Button
erano più veloci»;
«Ho più punti di Hamilton e Vettel, però
sono anche a 35” da
Rosberg e non sono
contento».
Come corollario,
non trascurabile, ecco la prova opaca di
Raikkonen. Toccato
al via dal kamikaze
Kobayashi, Iceman
non ha risentito della
botta ma si è incanalato in un basso profilo che, tra gli stenti suoi
e quelli della F14 T, sintetizza un intero fine settimana. La
battuta di Alonso («Raikkonen un anno fa qui vinceva,
però stavolta correva tra le due
Toro Rosso») è solo in apparenza acida. Al lato pratico, rappresenta una verità condivisa da Kimi: «Al primo pit stop ho dovuto
effettuare una doppia sosta e
questo mi è costato una posizione. Il graining mi ha generato
scarsa aderenza e molto sottosterzo: la macchina non è più stata la
stessa. Dobbiamo migliorare su
più fronti, ma sono fiducioso».
Non resta che aspettare i compiti a casa e il primo appello, tra due
settimane in Malesia. Se si agita
troppo, la Ferrari rischia di farsi ancora più male, come sottolinea Domenicali. Ma se sta ferma, è peggio.
f. van.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
acce nuove, una
pattuglia. Ragazzini
in gamba, pronti
subito, freschi per chi
guarda, preoccupanti per
chi guida. Per chi, con loro,
fa squadra, convivenza.
Dopo mesi di scommesse
sulle tempistiche della
rivalità in casa Ferrari,
Alonso pare l’unico in grado
di gestire la situazione con
il nuovo arrivato,
Raikkonen, ancora in
affanno. La consolazione è
relativa, forse precaria, ma
fa la differenza nei
confronti degli altri
senatori da pista. Prendi
Button, messo sotto a
tempo pieno dall’ultimo
arrivato in casa McLaren,
Kevin Magnussen, classe
’92, sul podio, all’esordio in
F.1, con una padronanza,
dei mezzi — tecnici e
personali — sconcertante.
Gracile e acerbo solo nelle
espressioni del viso, stava
in braccio a mamma Britt
sino a ieri, tenda e camper
per girare l’Europa, mentre
il babbo Jan cercava di
ottenere in pista ciò che
Kevin ha raggiunto in un
giorno soltanto. Prendi
Vettel, dietro in prova, fuori
subito. Daniel Ricciardo,
classe 1989, in costante
evidenza alla sua prima
gara Red Bull. L’hanno
squalificato, d’accordo ma
intanto fosforo e smalto,
proprio lui che era dato
come penitente certo, un
destino segnato dall’ombra
lunga del campione
mondiale. Al posto delle
giovanissime unità motrici,
il primo Gran Premio 2014
ha sistemato al centro della
scena i volti sorridenti di
molti giovanissimi piloti.
Valtteri Bottas, classe 1989
ha tirato, sbagliato,
rischiato e recuperato,
regalando alla Williams
soddisfazioni dimenticate,
mentre la Williams
attendeva buone notizie da
Massa, rognato stabile,
oggi come ieri. Danii Kvyat
è del 1994, ha un cognome
russo che pare un errore di
stampa, è cresciuto a Roma,
ha la faccia di un bambino
che ha marinato la scuola,
era alla prima gara con la
Toro Rosso. Uno spettacolo.
Ha battuto Vettel pure lui.
Diventando il più giovane
pilota della storia dotato di
punti nel Mondiale: 19 anni
e 324 giorni. Venticinque
meno di Sebastian all’epoca
del suo primo bottino
iridato, Indianapolis, 2007.
Ha vinto Rosberg, giusto
per ribadire la
controtendenza, in luogo
dell’atteso Hamilton. Non
ha ancora 27 anni. Ma nella
festa degli «under»
australiana sembrava un
pilota senior. Il superstite
di una generazione già a
rischio prepensionamento.
Giorgio Terruzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
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seconda della destinazione d’uso dell’edificio. Nel caso di immobili esenti
dall’indicazione, riportare la dicitura
“Immobile non soggetto all’obbligo di
certificazione energetica”.
Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
Sport 43
Sci, bottino pieno dell’Austria
Tirreno, Contador fa il bis
Volley, Piacenza vola al comando
La Coppa si chiude nel segno dell’Austria: Hirscher vince lo slalom di
Lanzerheide (4° l’azzurro Gross), la coppa di specialità e quella assoluta davanti a Svindal; alla Fenninger gigante (4ª Nadia Fanchini, ultima
gara della Karbon che si ritira), coppa di specialità e assoluta. L’Italia
chiude la stagione con 9 podi, tra cui una sola vittoria (Paris).
Alberto Contador (Tinkoff-Saxo) trionfa nella 5a tappa della TirrenoAdriatico (192 km con arrivo a Guardiagrele) tagliando il traguardo con 6’’
di vantaggio sul tedesco Geschke. In classifica ora ha 2’08’’ sul colombiano
Quintana (Movistar). Oggi 6a tappa (RaiSport2 14.30). Chiusura alla Parigi-Nizza: 8a tappa al francese Vichot ma trionfa il colombiano Betancur.
Risultati 10ª ritorno di volley A1: Piacenza-Verona 3-0; Ravenna-Macerata
3-2; Trentino-Perugia 1-3; Vibo Valentia-Cuneo 0-3; Città di Castello-Latina
3-0; Modena-Molfetta 3-0. Classifica (prime posizioni): Piacenza 54, Macerata 53, Perugia 45, Trentino 36, Cuneo 32, Modena 31.
ATLETICA — Marcia: Eleonora Giorgi 2a nella 20 km di Lugano in 1.27’29”
Tennis Trionfo dell’azzurra sulla Radwanska infortunata
Ippica
Pennetta d’America
Flavia si prende tutto
«Era il mio giorno»
Prato Mariante
retrocesso,
l’«Apertura»
a Indian Pacha
MILANO — «Antigone» alle corse dei
cavalli: il conflitto tra giustizia e regole si
può studiare a scuola nella tragedia
greca, ma Sofocle si può imparare anche
all’ippodromo di San Siro. Per esempio
ieri alla riapertura stagionale, quando il
galoppatore di 5 anni Prato Mariante,
portacolori di una scuderia piccina che
ha quasi solo lui come cavallo da corsa,
peraltro di umili origini genealogiche
(Munir e Papete) e di ancor più modeste
categorie di partenza, sembra coronare
una escalation da favola passando in due
anni dalle corse a vendere al successo
nel tradizionale (dal 1921) e
sentitissimo Premio Apertura, con due
chiare lunghezze di vantaggio su Indian
Pacha e molte più sugli altri 7 avversari.
Ma il suo microproprietario Emanuele
Valsecchi e la sua allenatrice Mirna
Corradini non fanno in tempo a esultare
che a strozzargli in gola la gioia è la
lancinante sirena che annuncia
l’intervento d’autorità dei Commissari
di gara. Venti minuti di suspence per i
5.000 spettatori e poi i giudici d’arrivo
emettono il loro inflessibile verdetto:
ordine d’arrivo modificato, Prato
Mariante è retrocesso dal 1° al 5° posto
perché a 150 metri dal traguardo ha per
un attimo sbandato e tagliato la strada a
Distant Planet. Nei 20 minuti i giudici
guardano e riguardano il replay. Da un
lato c’è infatti la regola (Creonte), che
effettivamente, sebbene Distant Planet
non sia granché danneggiato in
Regina di Indian Wells e nuova n. 12
Le quattro pere
di Fantantonio
diventano sette
di LUCA BOTTURA
FISCHI E FIASCHI Clamoroso selfie
su Twitter di Paparesta e Mikaela Calcagno di Premium, languidissimi, in
uscita notturna. Ma l’ex arbitro si rammarica: «Neanche stavolta mi ha
chiuso nello spogliatoio».
FRUTTO E SUBITO Carolina Marcialis, quasi signora Cassano, ha postato
su Twitter la foto di 4 pere, in riferimento ai gol subiti dal Milan. Il commento di Fantantonio: «Più le 2 che ha
lei, sono 7».
TRONCARE, SOPIRE Straordinario
reportage di Pellegatti sui tifosi del
Milan penetrati nello spogliatoio a
cazziare la squadra. Riassumerlo tutto
è impossibile. Ma diciamo che, fatte le
debite proporzioni, è come se l’11 settembre sotto le Twin Towers qualcuno
avesse parlato di possibili lievi ritardi
aerei.
PREMIO ALDO BISCARDI «Hernanes sa fare cose che in rosa non avevamo giocatori con queste caratteristiche» (Walter Mazzarri, Verona-Inter, Sky). «Continuiamo a pensare di
far crescere tutti, di farsi esprimersi al
massimo» (Walter Mazzarri, Premium). «Secondo me Seedorf si è trovato in una situazione più peggiore di
quella che si aspettava» (Luca Marchegiani, «Skycalcioshow»).
FORMULA 1 VALE 1 Formula 1: dopo la prima gara noiosa come un congresso del Pd e funestata dalle regole
sui tagli ai consumi, Sky starebbe per
chiedere i danni a chi ha scritto il nuovo regolamento: Angela Merkel.
MINACCE «Io spero di metterlo a
Prandelli in grande difficoltà» (Antonio Cassano, «Skycalcioshow»).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Era il mio giorno...». Due occhioni da tigressa made in Brindisi trapassano da parte a parte
quel che resta di Agneszka Radwanska, avversaria zoppa di
una finale brutta che Flavia Pennetta annette ai
suoi sconfinati possedimenti alla straordinaria
velocità di 32 anni e 19
giorni, alba dell’eterna
giovinezza della donna
che visse (almeno) tre
volte. Indian Wells — un
milione di dollari per la vincitrice — è il premio alla carriera
che l’azzurra si concede in cima a
una rimonta da antologia, l’anno
scorso a quest’ora, ri-operata al
polso, aveva perso colpi e fiducia, lo storico coach (Gabriel Urpy) aveva seguito le sirene della
federtennis francese lasciandola
in lacrime e quello nuovo (Salvador Navarro) stava ancora decifrando i codici d’accesso di
un’anima molto femminile, la
stessa che aveva stregato Carlos
Moya, prima che la Flavia lo beccasse a limonare con una velina
della tv spagnola, episodio alla
base dell’inizio della seconda vita (ma questa è un’altra storia).
Donna di molte virtù, frangibilissima eppure insuperabile
nel rimettere insieme i pezzi (di
cuore, di polso, di tutto), Pennetta ieri è scesa in campo nella
luce abbacinante della California radiosa dell’ottimo match
con la Stosur, della rivincita su
Camila Giorgi, della prova di
forza con la Stephens e del piccolo capolavoro con Li Na, il
torneo era già stato vinto strada
facendo e Radwanska, numero
3 del mondo con il ginocchio
incerottato, sapeva di non avere
chance con la nuova Flavia in
gran spolvero, la ragazzina attempata che viaggia con bagaglio leggero («A questo punto
della mia carriera non ho più
nulla da perdere»), sostenuta
da una forma fisica straripante e
Insieme
Flavia
Pennetta,
32 anni,
in azione ieri
nella finale di
Indian Wells e
sopra insieme
con l’amico
speciale
Fabio Fognini
(Epa)
arrivata senza fiatone, armata
del solito incantevole sorriso,
dopo 9 titoli Wta, alla finale più
importante. Due break le hanno
consegnato il primo set (6-2)
contro un’avversaria semovente
e frustrata; quando Flavia si è
resa conto di avere il match in
tasca ha tremato un attimo, prima che Navarro a furia di «vamos!» la strappasse di forza alla
paura di vincere, mentre le occhiate di fuego con Fabio Fognini, il numero uno d’Italia accomodato nel suo angolo e, di-
cunt, nel suo cuore, le trasmettessero le energie per chiudere
(6-1).
I numeri impietosi (20 vincenti a 10, 29 errori gratuiti della
polacca) tramandano ai posteri
una partita inesistente, il pubblico di Indian Wells non si sarà
granché divertito ma la favola
della Penna che risorge dal mal
d’amore, dalla cisti al polso e dal
baratro della 166ª posizione del
ranking era troppo bella perché
finisse diversamente. Numero
12 (oggi) cinque anni dopo esse-
Finale a senso unico
6-2 6-1 in un’ora
e tredici minuti
Un successo costruito
strada facendo
Quanta abbondanza
Da oggi tre azzurre
nelle top 15 del ranking:
con la brindisina, Errani
e Vinci. È un record
re entrata — prima italiana nella
storia — nelle top 10 (agosto
2009), Flavia non si pone confini. Tolta Serena Williams, c’è ancora spazio per il suo fascino
mediterraneo nel tennis femminile che si ritrova con tre azzurre
nelle prime 15 (Errani, Pennetta,
Vinci): nemmeno gli Usa hanno
tanta abbondanza. Binaghi si
spertica («Questa classifica le sta
stretta»), telefona Malagò («Mi
hai fatto dormire pochissimo»),
via Twitter piovono messaggi su
un’atleta amatissima. Lei, morta
e risorta senza mai scomporsi il
ciuffo, si becca in testa il gavettone di Fognini, che poi gratifica al
microfono: «Grazie Fabio...».
Shhhht, fa segno lui con il dito
sulle labbra. Troppo tardi? Per
Flavia non lo è mai.
Gaia Piccardi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Basket L’EA7 alla dodicesima vittoria consecutiva: travolta anche Roma. I brianzoli salgono al secondo posto, a 4 punti dalla capolista
Cantù batte Brindisi e lancia la grande fuga di Milano
MILANO — La continuità è
un rullo compressore, di quelli per asfaltare le strade, come
Milano, che ha asfaltato Roma
che pur si presentava reduce
da 3 vittorie consecutive. La
EA7 macina il suo 12° successo consecutivo, indifferente
anche alle fatiche delle ultime
3 trasferte consecutive (Pireo,
Reggio Emilia e Vitoria), mantiene inviolato, in campionato, il sacro recinto del Forum,
perché la sua difesa a denominazione controllata è talmente
coriacea e continua che ormai
quasi non la si nota più, se non
nei punti concessi alla fine agli
avversari. Per le grandi squadre gli esami non finiscono
mai, e nell’occasione c’era da
vedere come Milano avrebbe
reagito all’assenza di Langford
(stiramento bicipite femorale), e chi avrebbe supplito al
suo talento? Presto detto: un
Nicolò Melli semplicemente
stellare, 16 punti (24 alla fine)
in 12’ scava il solco (46-23 al
18’) e Bruno Cerella lo difende.
Il gaucho di Bahia Blanca (2/2
da 2 e 2/3 da 3) che intrappola
con le bolas gli avversari, con
il Forum in piedi che lo osanna, nuovo eroe, idolo di generosità e sacrificio, in campo, e
nella vita, dove è l’anima di
Slums Dunk progetti di basket
e civiltà in una baraccopoli del
Kenya. I rimbalzi pari (36-35)
dicono che l’Acea Roma ha
lottato, ma gli assist (21-9)
spiegano che Milano ha dominato il gioco, con l’abnegazione di chi più che a se stesso si è
dedicato alla squadra, come
Hackett (9 assist) e Gentile
(4). Il tutto condito dal 4/6 da 3
di David Moss. Milano ha la
prua al vento. Allunga a 4 punti sulle seconde, conseguenza
della vittoria di Cantù (con 24
punti di Ragland al Pianella,
che con il Forum rimane l’unica fortezza inviolata) nella bella sfida contro Brindisi.
Colpo in coda di Varese, che
a Pesaro si toglie la scimmia
dalle spalle, mentre è profondo rosso (in campo e nel bilancio) per la Virtus Bologna
di Renato Villalta, sconfitta in
casa nel derby contro Reggio
Emilia. Al top di giornata il pirata Drake Diener, con 44 punti nella vittoria di Sassari contro Venezia.
Werther Pedrazzi
Protagonista Nicolò Melli, 24 punti contro Roma (Ipp)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Serie A 23ª giornata
Sassari-Venezia
100-95
Pistoia-Siena
77-76
Milano-Roma
85-61
Pesaro-Varese
79-86
Bologna-Reggio Emilia 70-71
Cremona-Avellino
83-75
Caserta-Montegranaro 75-68
Cantù-Brindisi
84-69
Classifica
Milano
Cantù
Brindisi
Siena
Sassari
Roma
Reggio E.
Caserta
36
32
32
30
30
28
22
22
Avellino
20
Venezia
20
Pistoia
20
Varese
18
Cremona
16
Bologna
16
Montegranaro 14
Pesaro
12
Sprint Il finale dell’Apertura (De Nardin)
concreto e finisca 5° per propri
demeriti, punisce chi cambia corsia
negli ultimi 200 metri di gara; dall’altro
c’è invece la giustizia (Antigone), per la
quale nessuno più di Prato Mariante, a
motivo della propria commovente storia
e ieri della propria superiorità,
meriterebbe di iscrivere il nome
nell’albo d’oro di una corsa che per i
milanesi, senza essere un Gran Premio,
conta più di tanti Gran Premi veri. E così
il pubblico sciama tra le discussioni di
opposte scuole filosofiche sulla
(in)giustizia o meno della severa
retrocessione , a fine di un pomeriggio
che intanto, in preparazione alle future
«classiche», vede la conferma di tutti e
tre i cavalli più attesi al rientro
dall’inverno. Priore Philip, laureato nel
2013 del Gran Criterium 18 anni dopo
l’ultimo italiano, nonostante un bagno
di sudore che segnala una condizione
comprensibilmente ancora arretrata non
fallisce da cima a fondo il Premio
Calvairate sul miglio e infila la 7ª vittoria
consecutiva. Il suo fantino Fabio Branca
replica poi il percorso di testa anche sui
1.800 metri del Premio Lodi Vecchio in
sella al promettente Dylan Mouth,
mezzo fratello della cavala Finidaprest
che mezzora dopo perfeziona pure lui
un calibrato percorso da battistrada nel
Premio Erba.
Luigi Ferrarella
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
44
Cristina Giovanni e Cecilia abbracciano affettuosamente Alice Francesca e Valeria e partecipano al loro immenso dolore per la perdita di
Marco
- Milano, 16 marzo 2014.
Marco
un amico nato con me.- Sarai sempre nel mio
cuore.- Lucio. - Milano, 16 marzo 2014.
Porterò sempre l'espressione della tua eleganza al collo ed alle mani ed il blu del tuo sorriso
nel cuore.- Ciao
Marco
Vicina a tutta la famiglia.- Alessandra Maj.
- Milano, 16 marzo 2014.
Profondamente addolorati per la prematura
scomparsa di
Marco
Lucietta, Marisa con gli amati nipoti Manuela
e Koon, Guido e Patrizia, Alberto e Sara con Lorenzo annunciano la morte della loro carissima
sorella e zia
Nella sua casa, circondato dall'amore dei suoi
cari, si è spento nel Signore l'
Entella (Mimma) Tagliavini
ved. Pizzini
Ne danno l'annuncio, la moglie Emma e le figliole Maria Cristina, con Angelo e il nipote Matteo,
e Francesca, con Kamy e i nipoti Giovanna e Gian
Luca; il fratello Cesare con Giovanna e i figli Carlo e Luigi; la cognata Lore con i figli Laura, Andrea e Riccardo.- Invocando per lui pienezza di
vita nel Regno di luce del Risorto, ne affidano il
dolce ricordo all'affetto e alla preghiera di parenti
e amici e di quanti, negli operosi anni della sua
attività, l'hanno conosciuto, apprezzato e amato.- Le esequie si svolgeranno martedì, 18 marzo,
alle ore 15, presso la chiesa parrocchiale di Almese (Torino). - Almese, 15 marzo 2014.
Si ringraziano la Dottoressa Riva e il Dottor Sala
per la costante e premurosa presenza.- Un ringraziamento a Annamaria, Lolli e Miscia per
l'amorosa assistenza.- Il funerale avrà luogo lunedì 17 marzo alle ore 11 presso la Basilica di
San Carlo al Corso. - Milano, 16 marzo 2014.
Partecipano al lutto:
– Donatella Franzetti.
– Nalin e famiglia.
I cugini Giorgio Valeria e Ciotti Bresciani Torri,
Lorenza e Valerio Michetti ricordano la cara
Mimma Pizzini Piomarta
Beppe Antonio e Piero sono vicini alla famiglia
Villa. - Milano, 16 marzo 2014.
intelligente e generosa, ultima testimone della
generazione dei nostri genitori ora ricongiunta al
suo e nostro Tatino. - Brescia, 16 marzo 2014.
La morte, un punto o una virgola?- Una virgola
caro
Franca Pizzini è vicina alla famiglia nel ricordo
della cara
Marco
Franz e Antonella abbracciano con affetto Francesca, Alice e Filippo.
- Milano, 16 marzo 2014.
La Presidenza, il Consiglio di Amministrazione
e la Direzione di Swan Group, si uniscono al dolore di Francesca, Alice, Filippo e famiglia per la
prematura scomparsa di un grande amico
Marco Villa
- Milano, 16 marzo 2014.
Partecipano al lutto:
– Franz Botré.
– Gianluca Tenti.
– Guido Daelli.
– Valentina Ceriani.
– Novella Vignati.
– Piero Mezzanzanica.
– Daniela Prestinoni.
– Matteo Longhi.
– Alessio Polignano.
Nadine e Francesco con Charlotte e Julie abbracciano forte Filippo Valeria Francesca e Alice
nel ricordo del caro amico
Marco
Mimma
- Corte Franca, 16 marzo 2014.
Nadia Grazia e famiglia ringraziano
Entella Tagliavini Pizzini
per quanto fatto con generosità.
- Milano, 16 marzo 2014.
Aldina e Renzo commossi piangono la scomparsa della cara amica
Mimma
ricordandola donna attiva e operosa in mezzo ai
suoi fiori e accanto al suo Tatino.
- Milano, 16 marzo 2014.
Gianfranco Rezzaghi
- Milano, 15 marzo 2014.
Riri Raffaella Cesare abbracciano Laura Alice
Silvia nel ricordo di
Gianfranco
- Milano, 16 marzo 2014.
- Milano, 16 marzo 2014.
Liana e i figli Maura Aldo Enrico sono vicini con
affetto a Laura Alice Silvia nel ricordo del caro
Marco
- Milano, 16 marzo 2014.
Giorgio Mazzoleni
Ringraziamo chi gli è stato particolarmente vicino. - Milano, 16 marzo 2014.
Partecipano al lutto:
– Maurizio, Anna, Federico, Fabrizia e Miriam.
– Deda e famiglia.
– Claudia e Fabrizio.
– Roberto, Laura Primavesi.
– Marina, Gianfranco Cantoni.
– Gianfranco e Luisa Federici.
– Peppo, Margherita Mojana.
– Amj e Augusto Foresti.
– Giuliana, Marvi, Giorgio, Francesca, Claudio.
Coki e Silvana con Eloisa ed Elisabetta sono
vicini a Carla, Paolo, Sara nel ricordo del caro
Giorgio
- Milano, 16 marzo 2014.
Luigi e Marisa con Andrea e Laura sono affettuosamente vicini a Carla Paolo e Sara e a tutta
la famiglia per la perdita del caro
Giorgio
- Milano, 16 marzo 2014.
Matteo ed Elettra sono affettuosamente vicini
a Carla nel ricordo di
Emma Pizzoni, Maria Vittoria con Andrea ed
Enrico, Barbara con Leonardo, Filippo stretti alla
loro Antonia piangono il carissimo
N.H.
Dott. Bernardo Maggi
amico fraterno di tutta una vita.
- Milano, 16 marzo 2014.
Partecipano al lutto:
– Franca, Teresa, Barbara, Carlo Martellini.
– Mariagrazia Bognetti.
– Pietro e Micaela Pizzoni.
– Mariola Fadini.
Giovanna e Franco con Federico e Filippo annunciano che
Basilia Sgrò Sindoni
ha raggiunto il suo amato Filippo.- Per il giorno
e l'ora dei funerali contattare il n. 02.32867.
- Milano, 16 marzo 2014.
Pippo ed Elena si stringono a Giovanna, Franco, Federico e Filippo ricordando con immenso
affetto la cara
Lia
- Milano, 16 marzo 2014.
Gianpiero e Bianca Reina abbracciano Laura,
Alice e Silvia nel loro dolore ricordando il caro
amico di sempre
Le famiglie Micheletto con Paola e Matteo Antonelli sono vicine a Filippo, Francesca e Alice per
la perdita del caro
Carla con i figli, Paolo con Chiara e Sara con
Luca, e i nipoti Davide, Stefano, Matteo e Francesco annunciano la salita alla casa del Padre del
carissimo marito, padre e nonno
ing. Eugenio Alzati
Gianfranco
amico da una vita.
- Barlassina, 15 marzo 2014.
Gianfranco Rezzaghi
Monica Scaravelli con Ilaria Emma Alberto e
Angela piange la scomparsa della cara
Irma Tagliabue
che ricorderà sempre con grande affetto.
- Milano, 16 marzo 2014.
I collaboratori dello Studio Notarile Scaravelli
partecipano sentitamente al dolore della famiglia per la scomparsa della signora
Irma Tagliabue
- Milano, 16 marzo 2014.
Annamaria Verri Rusconi con i figli Nicola e Andrea con Chiara è affettuosamente vicina a Luca,
Sara e bambine e a Letizia nel doloroso momento della scomparsa di
Eugenio Demolli
- Milano, 16 marzo 2014.
Luigi Meli e Olga si stringono forte a Patrizia
Paolo e Francesco nel dolore per la scomparsa di
Partecipa al lutto:
– Pia Danioni.
Mirimia
Trentasette anni di pene, Mirimia.- Ora la bandiera la porto io.- Ci sia pace per te.- Voglio solo
chiedere che tu possa correre felice e senza pensieri.- Corri amore mio.- Tuo Chicco.
- Milano, 15 marzo 2014.
Cocca e Francesca sono vicine a Gaia e Nicolò
per la perdita della loro cara mamma
Mirella Danesi
Vi vogliamo bene. - Milano, 16 marzo 2014.
Manuela, Laura, Ottavio, Cinzia, Rosalba e Anna si stringono con affetto a Gaia, Nicolò e Sergio Ravaglia nel dolore per la perdita di
Mirella Danesi
- Milano, 16 marzo 2014.
Un abbraccio affettuoso a Nino nel ricordo della cara
Jole Casalone De Mattei
Mariuccia, Anna e Maurizio, Margherita ed Ambrogio, Bruna, Gabriella, Gemma, Giulio, Lucki,
Anna. - Milano, 16 marzo 2014.
Claudio Baj
amico caro e persona veramente speciale.
- Milano, 16 marzo 2014.
Pia Marchesini
La morte non ci toglie completamente la persona
amata, rimane sempre la sua opera che ci aiuta
a continuare.- L'annunciano marito, figli, nuore,
genero e nipoti. - Milano, 15 marzo 2014.
Cesare Fregoni
non c'è più.- Grazie a tutti gli amici.- Sandra e i
ragazzi. - Milano, 16 marzo 2014.
Dott. Enrico Bergonzini
La famiglia Bergonzini ringrazia commossa tutti
gli amici, i colleghi e le istituzioni che hanno voluto esprimere affetto e vicinanza in questo triste
momento. - Milano, 17 marzo 2014.
Cristina e Francesca ricordano con amore e
rimpianto la loro mamma
Anna Mascheroni Brambilla
- Milano, 17 marzo 2014.
Giorgio
amico indimenticabile di tanti momenti trascorsi
insieme. - Milano, 16 marzo 2014.
Laura Fugazzi
Ciao Laura, ripensiamo con tanta tenerezza e
malinconia agli anni spensierati passati insieme.Il ricordo della tua allegria e della tua dolcezza
sarà sempre con noi.- Ci stringiamo con affetto
a Mario, Marcello, Ottavia e a tutta la famiglia.Silvia, Pila, Cecilia, Camilla, Chicca, Barbara,
Marianna, Carlotta, Simona, Marta.
- Milano, 15 marzo 2014.
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
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Il Tempo
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del boss della Comasina
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Quando gli americani
scoprirono la Capitale
nel Dopoguerra
Seconda tappa degli incontri
europei del premier: dopo
Hollande a Parigi, il vertice con
la cancelliera tedesca Merkel.
Sul sito
la diretta
della
conferenza
stampa
congiunta
Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera
46
Tv in chiaro
Teleraccomando
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di Maria Volpe
PER IMPARARE
PER DISTRARSI
Benedetta Parodi Vita complicata
torna ai fornelli per prof. Luciana
Reduce dal successo di «Bake
Off Italia», Benedetta Parodi
(foto) apre le porte della sua
nuova cucina: una sorta di
laboratorio che si è costruita
su misura dove farà i suoi
esperimenti culinari, uno
spazio privato in cui si
rifugia per preparare i suoi
piatti e per insegnare a
realizzare le sue semplici e
soprattutto veloci ricette. La
Parodi comincia con i
consigli su come fare acquisti
nei mercatini, in piccole
botteghe e supermercati. Poi
torna ai fornelli dove cucina
tre ricette: una che può
essere realizzata in più di 30
minuti, una in meno di 30 e
un’altra in soli 8 minuti.
Settimana scorsa Luciana
Littizzetto (foto con Giulio
Scarpati) è tornata a vestire i
panni della prof. di liceo Isa
Passamaglia, attenta ai
giovani, trafelata, pasticciona
e con una vita privata
complicata. La prima serie ha
avuto un buon ascolto e anche
questa seconda sta andando
bene. Littizzetto è proprio
simpatica. La fiction si ispira
ai libri di Domenico Starnone,
insegnante, che ha raccontato
con precisione e ironia la
scuola italiana. In questi
ultimi episodi forse le storie
personali prendono il
sopravvento sulle vicende
scolastiche. Ma comunque è
davvero piacevole.
Molto bene
Real Time, ore 19.10
Fuoriclasse 2
Rai1, ore 21.10
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Film e programmi
Il detective Affleck
Bruce Willis
è messo a dura prova torna in azione
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I detective Patrick Kenzie (Casey
Affleck, foto ) e Angie Gennaro
(Michelle Monaghan) indagano
sul sequestro di una bimba. Un
caso difficile, che li metterà in
crisi professionale e umana.
Gone, baby, gone
Iris, ore 21.10
Frank Moses (Bruce Willis,
foto) è un ex agente della Cia.
Qualcuno lo vuole morto: così
raggruppa la sua vecchia
squadra (Freeman, Malkovich
e Mirren) per indagare.
Red
Italia 1, ore 21.10
StrehlereRonconi
Le giovani ginnaste
rivoluzionaridelteatro pronte a gareggiare
Viaggio in dieci puntate nella
cultura italiana attraverso
interviste e materiale di
repertorio. Protagonisti stasera
due registi teatrali rivoluzionari:
Giorgio Strehler e Luca Ronconi.
Icone
Rai5, ore 0.10
In queste nuove e inedite
puntate le protagoniste del
docu-reality si troveranno ad
affrontare gli European youth
olympic festival di Utrecht
(Eyof) e i Mondiali di Anversa.
Ginnaste - Vite parallele
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Corriere della Sera Lunedì 17 Marzo 2014
47
Pay Tv
Film
e programmi
Pacino denuncia
la polizia corrotta
Entrato nella polizia di New York,
giovanotto italoamericano (Al
Pacino, foto) ne scopre la diffusa
corruzione. La denuncia ai
superiori. Viene più volte
trasferito e rischia la pelle.
Serpico
Studio Universal, ore 21.15
Malkovich insegna
le maniere forti
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A fil di rete
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-ŽÞ -«œÀÌ £ Convince la fiction
sulla mafia a Milano
L
a mafia a Milano non esiste. Ci sono volute molte
inchieste giudiziarie e qualche importante reportage tv per smentire quest’ipocrita vulgata, per
mostrare l’evidenza dei fatti in tutta la sua crudezza: a Milano, nell’hinterland e in Brianza, la criminalità organizzata esiste eccome, infiltrata nei centri del
potere economico e politico.
«Le mani dentro la città», la nuova fiction di Canale5 firmata Taodue, ha avuto il coraggio di riflettere su questo
Vincitori e vinti
tema attraverso un racconto
romanzato ma ispirato a fatti
Maria
reali (venerdì, 21.20). Carmine
De Filippi
Marruso (Andrea Tidone) è un
Sabato sera,
boss ’ndranghetista al confino
sfida finale:
in Lombardia. Il suo obiettivo
Maria batte
è da sempre quello di «prenAntonella. Puntata
dersi Milano», trasferendovi i
conclusiva di «C’è
suoi traffici illeciti (cocaina,
posta per te», in prime
riciclaggio e chi più ne ha…). Il
time su Canale 5:
sindaco è dalla sua, ma il tenper la storica
tativo di chiudere la fabbrica
conduttrice Maria De
Edil Ferri, insieme ad alcuni
Filippi 5.564.000
cruenti omicidi, accende i rispettatori, 26,1%
flettori delle forze dell’ordine
di share
su di lui. A contrastarlo ci sono
due poliziotti molto diversi tra
Antonella
loro, ma con la stessa determiClerici
nazione: Viola Mantovani (SiSabato sera,
mona Cavallari) e Michele Besfida finale:
nevento (Giuseppe Zeno).
Antonella
Le cose belle della serie sosuperata da Maria.
no molte: per prima cosa uno
Rai1 propone in
sguardo inedito e non banale
prime time «Ti lascio
sui paesaggi di Milano. Poi, la
una canzone», il
tensione narrativa di una stoprogramma musicale
ria poliziesca, con le matrici
condotto da Antonella
del «genere» ben padronegClerici: per 3.970.000
giate dalla squadra degli scespettatori, 17,4%
neggiatori (capitanati da Claudi share
dio Fava) e dalla regia. Ma anche la capacità di fare entrare
nel racconto la realtà sociale italiana in modo molto credibile. Infine, come da lezione della migliore serialità Usa,
nella fiction ogni storia vibra di due dimensioni, un risvolto sociale e collettivo e uno più intimo, emotivo, che riguarda l’interiorità dei personaggi: il padre di Viola, l’amore perduto di Michele, i figli del boss, stretti tra l’urgenza
della fedeltà e quella della ribellione al padre.
In un villaggio in Transnistria, nella
Moldavia Orientale, vive una
comunità singolare che educa i
propri figli al crimine. Onesti con i
più deboli e feroci con esercito e
polizia (nella foto, John Malkovich).
Educazione siberiana
Sky Cinema 1, ore 21.10
Rissa in famiglia
per Bruel futuro papà
Invitato a cena dalla sorella e dal
di lei marito, Vincent (Patrick Bruel,
foto), futuro papà, mentre aspetta
che sua moglie arrivi comunica il
nome scelto per il nascituro
scatenando le ire del cognato.
Cena tra amici
Sky Cinema Cult, ore 21
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La matematica
diventa divertente
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Federico Taddia con il matematico
Bruno D’Amore, farà un viaggio in
animazione nel mondo della
matematica. Obiettivo: spiegare in
modo divertente una materia dai
più ritenuta noiosa.
Big Bang! Un viaggio nella
matematica - DeAKids, ore 18.30
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Lunedì 17 Marzo 2014 Corriere della Sera