16/4/2015 - Studio Ducoli

QUADERN
/ GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Revisione ad hoc con
dubbi significativi
sulla continuità
aziendale
730 precompilato, Orlandi:
“Giornata storica per il Paese”
/ Stefano DE ROSA
/ Savino GALLO
Il revisore, qualora lo ritenga opportuno, può decidere di evidenziare nella sua Relazione (nel cosiddetto “paragrafo d’enfasi”),
uno o più richiami ad elementi
dell’informativa di bilancio, eventualmente rinviando a quanto già
descritto dagli amministratori,
che meritino di essere portati
all’attenzione degli utilizzatori del
bilancio stesso.
Nella struttura della Relazione di
revisione prevista dall’art. 14 del
DLgs. 39/2010, la posizione del
paragrafo dedicato agli eventuali
richiami d’informativa è successivo a quello del giudizio, ad indicare che gli stessi non influenzano il giudizio del revisore.
Di conseguenza, il paragrafo
d’enfasi non può essere utilizzato dal revisore per:
- esporre proprie considerazioni
e commenti;
- [...]
Sono oltre 80 mila gli utenti che ieri hanno effettuato l’accesso sul sito dell’Agenzia delle Entrate per scaricare il proprio 730 precompilato.
A fornire i numeri relativi alla giornata che ha
segnato la partenza della nuova dichiarazione
precompilata è la Direttrice delle Entrate, Rossella Orlandi, che, nel corso del Forum organizzato dall’agenzia di stampa Ansa, ha parlato di
“una giornata storica per il Paese”.
Perché, come ha già avuto modo di ripetere in
altre occasioni, rappresenta il primo passo verso
un “cambio di filosofia. Si passa da un’Amministrazione che dice: tu compila e portami (la dichiarazione, ndr), poi io controllo; a una che dice: io ti metto a disposizione tutte le informazioni che ho e sono io che mi prendo la responsabilità”.
Per arrivare a ciò, ha aggiunto Orlandi, “è stato
fatto un lavoro immenso in pochissimi mesi”,
con l’obiettivo di “fare qualcosa che rovesci totalmente il rapporto tra Fisco e cittadino”. Secondo la numero uno dell’Agenzia, infatti, il
nuovo 730 precompilato porterà “enormi benefici”, in termini di semplificazione, per i circa 20
milioni di contribuenti, tra pensionati, dipenden-
Disponibile da ieri, secondo la Direttrice delle Entrate, sono oltre 80
mila gli utenti che hanno scaricato la dichiarazione
ti e assimilati, che potranno usufruirne: “Ci
saranno meno errori – ha spiegato – e quindi
meno arrabbiature per i cittadini”, i quali,
una volta accettata la dichiarazione senza modifiche, “non dovranno più conservare scontrini e documenti”.
Considerato però che, in questa prima fase
sperimentale, nella precompilata mancheranno i dati relativi alle spese che danno diritto a
sconti fiscali, i contribuenti che non saranno
costretti a modificare il 730 rappresenteranno
solo una minima parte: “Ci aspettiamo – ha
dichiarato in proposito Orlandi – che circa
2,5-3 milioni di contribuenti accettino direttamente on line la dichiarazione precompilata
senza alcuna integrazione, ma forse potrebbero essere anche di più”.
Ovviamente, la voce principale tra quelle che
oggi mancano all’interno della dichiarazione
riguarda le “spese sanitarie”, che interessano
quasi 9 milioni di lavoratori e circa 6,5 milioni di pensionati. Secondo una ricerca della
CGIA di Mestre, infatti, nel 2014, quasi 8 milioni di lavoratori dipendenti hanno chiesto di
recuperare le spese sanitarie [...]
A PAGINA 4
A PAGINA 2
On line il 730/2015 precompilato
INEVIDENZA
FISCO
Ravvedimento entro i 90 giorni non sempre computato
dalla dichiarazione
Verifiche “fuori tempo” valide anche dopo le Sezioni
Unite
IVA detraibile in caso di omesso reverse charge
La sentenza Parmalat “salva” la bancarotta
Per i cookie adeguamento entro il prossimo 3 giugno
ALTRENOTIZIE
/ A PAGINA 14
Integrativa da
ravvedimento con rischi
per il contribuente
/ Alfio CISSELLO
La circolare del 15 aprile 2015 della Fondazione nazionale dei commercialisti, oltre a
fornire un quadro generale del ravvedimento
operoso, si sofferma su un aspetto importante,
sempre connesso al ravvedimento: la postergazione dei termini di decadenza per l’accertamento e la riscossione come conseguenza
del ravvedimento.
In base all’art. 1 comma 640 della L.
190/2014 (legge di stabilità 2015), se viene
presentata una dichiarazione [...]
A PAGINA 7
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Revisione ad hoc con dubbi significativi
sulla continuità aziendale
Sulla base dei risultati dei controlli il revisore valuta l’effetto sulla relazione al bilancio
/ Stefano DE ROSA
Il revisore, qualora lo ritenga opportuno, può decidere di evidenziare nella sua Relazione (nel cosiddetto “paragrafo
d’enfasi”), uno o più richiami ad elementi dell’informativa
di bilancio, eventualmente rinviando a quanto già descritto
dagli amministratori, che meritino di essere portati
all’attenzione degli utilizzatori del bilancio stesso.
Nella struttura della Relazione di revisione prevista dall’art.
14 del DLgs. 39/2010, la posizione del paragrafo dedicato
agli eventuali richiami d’informativa è successivo a quello
del giudizio, ad indicare che gli stessi non influenzano il
giudizio del revisore.
Di conseguenza, il paragrafo d’enfasi non può essere utilizzato dal revisore per:
- esporre proprie considerazioni e commenti;
- segnalare rilievi;
- integrare aspetti dell’informativa ritenuti carenti.
Diverso è, ovviamente, il caso in cui il revisore ravvisi significative carenze informative del bilancio che possono condurre alla formulazione di un giudizio con rilievi o, nei casi
più gravi, di un giudizio negativo.
I richiami di informativa più comuni nella prassi riguardano:
- operazioni societarie straordinarie;
- eventi di portata rilevante avvenuti nel corso dell’esercizio;
- passività potenziali per le quali il revisore ha ritenuto di
esprimere un giudizio senza rilievi;
- particolari criteri di valutazione utilizzati o cambiamenti
nei criteri di valutazione;
- operazioni inusuali con effetti significativi;
- situazioni di incertezza.
Nell’ambito dell’ultima categoria assumono rilevanza i casi
in cui siano stati identificati eventi che possano far sorgere
dubbi significativi sulla continuità aziendale. In tali circostanze il professionista acquisisce elementi probativi (come richiesto dal principio di revisione internazionale 570)
mediante lo svolgimento di specifiche procedure volte in
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
primo luogo ad analizzare i dati sottostanti ai piani d’azione
futuri della Direzione connessi alla sua valutazione della
continuità aziendale.
Nell’effettuare tali controlli è opportuno tenere in considerazione i seguenti aspetti che potrebbero influire sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in
funzionamento:
- risultati negativi negli ultimi esercizi;
- violazioni dei termini di prestiti obbligazionari e finanziamenti;
- significativi contenziosi in essere;
- la possibilità o meno di rendere esecutivi accordi volti a
fornire o a mantenere un sostegno finanziario;
- altri eventi successivi e informazioni pertinenti di cui sia
venuto a conoscenza a seguito delle procedure di revisione
svolte.
Sulla base degli elementi probativi ottenuti a seguito di tali
controlli, il revisore deve valutare se l’incertezza sulla sussistenza del presupposto della continuità aziendale sia così
significativa da richiedere una specifica informativa sulla
sua portata e sulle sue implicazioni. Se il professionista conclude che il presupposto della continuità aziendale risulti appropriato ma sussiste un’incertezza significativa, deve valutare se nel bilancio viene fornita un’informativa adeguata su
tale aspetto. In caso affermativo, esprimerà un giudizio senza rilievi, inserendo nella propria Relazione un paragrafo
d’enfasi che richiama la situazione d’incertezza. Qualora,
invece, il bilancio non presenti un’informativa adeguata, il
revisore esprimerà un giudizio con rilievi ovvero un giudizio
negativo quando gli effetti dell’informativa inadeguata sono
tali da rendere inattendibile il bilancio.
Nella tabella allegata al presente articolo è riportata una sintesi degli effetti sul giudizio al bilancio emesso dal revisore
in presenza di incertezze sulla continuità aziendale, sulla
base delle indicazioni fornite dal documento di ricerca
Assirevi n. 176/2013.
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ancora
Fattispecie
Utilizzo del presupposto della continuità aziendale appropriato
Utilizzo del presupposto della continuità aziendale appropriato
ma esiste incertezza significativa descritta adeguatamente in
bilancio
Utilizzo del presupposto della continuità aziendale soggetto a
molteplici significative incertezze di cui viene data adeguata
informativa in bilancio
Utilizzo del presupposto della continuità aziendale appropriato
ma esistono incertezze significative di cui non viene data
adeguata informativa in bilancio
Utilizzo del presupposto della continuità aziendale non
appropriato
Presupposto della continuità aziendale giudicato non appropriato
dalla direzione e bilancio redatto su basi alternative
Rifiuto della direzione di effettuare o estendere la propria
valutazione della continuità aziendale
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
Giudizio del revisore
Senza rilievi
Senza rilievi con richiamo d’informativa
In casi estremi il revisore può concludere di non essere in grado
di esprimere il proprio giudizio
- giudizio con rilievi oppure,
- giudizio negativo quando gli effetti dell’informativa inadeguata
sono tali da rendere inattendibile il bilancio.
Giudizio negativo
Senza rilievi (sempre che sia fornita adeguata informativa)
A seconda degli effetti della limitazione al lavoro di revisione:
- giudizio con rilievi oppure,
- impossibilità di esprimere il giudizio.
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ancora
FISCO
730 precompilato, Orlandi: “Giornata storica
per il Paese”
Disponibile da ieri, secondo la Direttrice delle Entrate, sono oltre 80 mila gli utenti che
hanno scaricato la dichiarazione
/ Savino GALLO
Sono oltre 80 mila gli utenti che ieri hanno effettuato l’accesso sul sito dell’Agenzia delle Entrate per scaricare il proprio 730 precompilato. A fornire i numeri relativi alla giornata che ha segnato la partenza della nuova dichiarazione
precompilata è la Direttrice delle Entrate, Rossella Orlandi,
che, nel corso del Forum organizzato dall’agenzia di stampa
Ansa, ha parlato di “una giornata storica per il Paese”.
Perché, come ha già avuto modo di ripetere in altre occasioni, rappresenta il primo passo verso un “cambio di filosofia.
Si passa da un’Amministrazione che dice: tu compila e portami (la dichiarazione, ndr), poi io controllo; a una che dice:
io ti metto a disposizione tutte le informazioni che ho e sono
io che mi prendo la responsabilità”.
Per arrivare a ciò, ha aggiunto Orlandi, “è stato fatto un lavoro immenso in pochissimi mesi”, con l’obiettivo di “fare
qualcosa che rovesci totalmente il rapporto tra Fisco e cittadino”. Secondo la numero uno dell’Agenzia, infatti, il
nuovo 730 precompilato porterà “enormi benefici”, in termini di semplificazione, per i circa 20 milioni di contribuenti,
tra pensionati, dipendenti e assimilati, che potranno usufruirne: “Ci saranno meno errori – ha spiegato – e quindi meno
arrabbiature per i cittadini”, i quali, una volta accettata la
dichiarazione senza modifiche, “non dovranno più
conservare scontrini e documenti”.
Considerato però che, in questa prima fase sperimentale, nella precompilata mancheranno i dati relativi alle spese che
danno diritto a sconti fiscali, i contribuenti che non saranno
costretti a modificare il 730 rappresenteranno solo una minima parte: “Ci aspettiamo – ha dichiarato in proposito Orlandi – che circa 2,5-3 milioni di contribuenti accettino direttamente on line la dichiarazione precompilata senza alcuna integrazione, ma forse potrebbero essere anche di più”.
Ovviamente, la voce principale tra quelle che oggi mancano
all’interno della dichiarazione riguarda le “spese sanitarie”,
che interessano quasi 9 milioni di lavoratori e circa 6,5 milioni di pensionati. Secondo una ricerca della CGIA di Mestre, infatti, nel 2014, quasi 8 milioni di lavoratori dipendenti hanno chiesto di recuperare le spese sanitarie sostenute
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
l’anno precedente. In media, lo sconto fiscale percepito da
ciascun contribuente è stato pari a 143 euro. Quanto ai
pensionati, invece, la detrazione media di questo tipo di
spese è stata pari a 175 euro.
Anche su questo aspetto, però, sono arrivate le rassicurazioni della Direttrice Orlandi, la quale ha sottolineato che, già
nella dichiarazione precompilata del prossimo anno, “si troverà la maggior parte delle spese contenute nel sistema
tessera sanitaria, che rappresentano circa il 70% delle spese
inserite”.
Ulteriori rassicurazioni sono arrivate anche in merito ai paventati rincari per i contribuenti che decideranno di rivolgersi a un CAF o a un professionista abilitato per integrare la
propria dichiarazione. Questi ultimi, infatti, costretti a portare a 3 milioni il massimale minimo della propria assicurazione obbligatoria e a estendere la copertura anche al pagamento delle imposte dovute dal contribuente, potrebbero riversare sui clienti l’aumento della polizza assicurativa. Secondo Orlandi, però, “non ci sarà un effettivo aumento
delle tariffe. I grandi CAF dicono che mediamente sono
rimaste le stesse. Stiamo lavorando a una sorta di accordo
generalizzato, su cui c’è l’impegno della Consulta dei CAF”.
Quanto ai commercialisti, invece, l’effetto principale del
nuovo quadro di responsabilità connesso al 730 precompilato, più che un aumento delle tariffe, potrebbe essere la “diminuzione dei professionisti che rilasceranno in proprio i
visti di conformità”. Queste le parole di Antonio Repaci,
Consigliere nazionale del CNDCEC con delega all’assicurazione professionale, secondo cui “il rincaro delle polizze ci
sarà sicuramente, ma è un po’ più difficile che questo possa
poi essere traslato sui clienti”.
Piuttosto, è più probabile che, “se prima i 730 inviati direttamente dai commercialisti erano solo l’1,7% del totale, questa percentuale possa scendere ulteriormente, perché molti
decideranno di legarsi ai CAF. In questo modo, sarà il
Centro di assistenza fiscale a dover stipulare la polizza,
esentando il professionista”.
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ancora
FISCO
On line il 730/2015 precompilato
Da ieri è possibile visualizzare il modello, mentre per l’invio occorrerà attendere il 1°
maggio
/ Luca MAMONE
Dopo aver reso noto, il 6 marzo scorso, che in quel momento circa 2,5 milioni i contribuenti si erano abilitati a Fisconline per poter accedere al 730 precompilato (si veda “Dal
15 aprile, 730 precompilato per 20 milioni di contribuenti”
del 7 marzo 2015) – dato certamente positivo, che conferma
l’interesse per la novità introdotta dal DLgs. 175/2014 –
l’Agenzia delle Entrate, con un comunicato stampa, ha definito ieri “il giorno” della nuova dichiarazione, resa disponibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
Occorre premettere, in primo luogo, che la piena operatività dell’adempimento scatterà dal prossimo 1° maggio, quando il contribuente potrà accettare, modificare e trasmettere
per via telematica la dichiarazione direttamente all’Agenzia delle Entrate. Inoltre, come già evidenziato in precedenza (si veda “Sempre possibile presentare il 730 ordinario”
del 24 marzo 2015), il contribuente può comunque presentare il 730 con le modalità ordinarie entro lo stesso termine
previsto per il modello precompilato, vale a dire il 7 luglio
2015. Infine, rimane sempre ferma la possibilità di presentare, in alternativa, il modello UNICO PF.
Da un punto di vista operativo, l’accesso diretto al modello
precompilato può avvenire collegandosi al sito informativo
predisposto dall’Agenzia, all’indirizzo info730.agenziaentrate.gov.it.
A questo punto, l’utente munito di credenziali Fisconline
oppure del PIN dispositivo dei servizi online dell’INPS dovrà compilare i campi “utente” e “password”, per poi accedere a una prima schermata interna, dove il sistema illustra,
con una rappresentazione schematica, la possibilità di visualizzare il 730/2015 precompilato, di modificarlo e inviarlo
oppure di accettarlo e inviarlo.
Sul punto si precisa che le funzionalità di “modifica” e “accetta”, collegate alla funzione “invia”, saranno disponibili
contestualmente a quest’ultima, ossia a partire dal 1° maggio 2015.
Nello specifico, con la funzione “visualizza”, viene richiesto al contribuente di controllare i dati che l’Amministrazione finanziaria ha utilizzato per predisporre la precompilata,
nonché di verificarne la correttezza e la completezza. Effettuati i controlli, il contribuente potrà decidere, nella tempistica in precedenza evidenziata, di apportare le necessarie
modifiche oppure di confermare quanto riportato
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
dall’Agenzia delle Entrate nel modello e di procedere, in entrambi i casi, con l’invio.
Si tratta di un passaggio fondamentale, poiché i dati inseriti
dall’Agenzia sono ricavati per lo più dalla Certificazione
Unica inviata dal sostituto d’imposta, dalle dichiarazioni
dei redditi degli anni precedenti e da informazioni inviate da
altri soggetti come assicurazioni o enti previdenziali e relativi, ad esempio, a premi di assicurazione sulla vita, nonché
contributi previdenziali e assistenziali. Sarà pertanto compito del contribuente inserire tutte quei dati per quest’anno
non rilevabili dall’Agenzia, come ad esempio le spese sanitarie sostenute nel 2014.
Ad ogni modo, nell’apposita sezione che segue sono elencati tutti dati rilevati al 13 marzo scorso (data di elaborazione
del 730 precompilato), presentati in forma di elenco e suddivisi in base ai diversi quadri e sezioni del modello (familiari a carico, redditi dei terreni e dei fabbricati, redditi di lavoro dipendente e assimilati, altri redditi, oneri e spese, ecc.).
Cliccando su ciascuna di queste categorie si accede, se presenti, ai dati in dettaglio.
A questo punto, il contribuente, osservando la schermata,
troverà evidenziati con un segnale rosso tutti i dati che
l’Agenzia delle Entrate ritiene non corretti, mentre in caso
contrario il segnale sarà verde. Anche questo è un passaggio importante, perché in presenza di dati ritenuti inattendibili la dichiarazione non è liquidabile, quindi il contribuente
dovrà attuare le opportune modifiche, sempre a decorrere dal
prossimo 1° maggio.
Nella schermata seguente sarà poi possibile visualizzare, in
formato pdf o “solo testo”, e stampare il modello 730 e la
sintesi dei dati utilizzati dall’Agenzia. Quindi, prima di accettare il dichiarativo così come proposto o di apportare le
modifiche del caso, al contribuente viene richiesto di inserire un indirizzo di posta elettronica e i riferimenti telefonici
utili per eventuali comunicazioni da parte dell’Agenzia delle
Entrate.
Infine, se la dichiarazione è presentata in assenza di un sostituto d’imposta e risulta essere a credito, si possono indicare nella medesima sezione le coordinate del conto corrente bancario o postale sul quale accreditare l’eventuale rimborso.
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ancora
FISCO
Ravvedimento entro i 90 giorni non sempre
computato dalla dichiarazione
La circolare della Fondazione nazionale dei commercialisti fornisce i primi chiarimenti
sul nuovo ravvedimento
/ Alfio CISSELLO
Con una circolare di ieri, la Fondazione nazionale dei commercialisti divulga i primi chiarimenti sul ravvedimento
operoso, così come modificato dalla L. 190/2014.
Peraltro, sul punto non è stata ancora diramata la circolare
esplicativa dell’Agenzia delle Entrate, anche se qualcosa è
stato detto nella circolare n. 6/2015, mediante la quale, come
di consueto, sono stati recepiti i chiarimenti forniti in
occasione di Telefisco e Videoforum.
I tratti salienti delle novità apportate dalla legge di stabilità
2015 consistono, principalmente:
- nell’introduzione, per tutte le violazioni, del limite temporale di novanta giorni, ove la sanzione è ridotta a 1/9 del
minimo;
- nel fatto che, per i tributi amministrati dalle Entrate, la causa ostativa viene “spostata” dall’inizio del controllo fiscale
alla notifica dell’atto impositivo (accertamento o ruolo) o
della c.d. “comunicazione bonaria”;
- nel fatto che, sempre per i tributi amministrati dalle
Entrate, ferma la preclusione di cui sopra, il ravvedimento è
possibile senza limiti temporali, anche se la riduzione della
sanzione decresce con l’aumentare del tempo in cui avviene
il ravvedimento (la riduzione va da 1/10 a 1/6 del minimo).
Vengono confermate diverse soluzioni che erano state prospettate su Eutekne.info in passato.
La riduzione a 1/9 della sanzione in caso di ravvedimento
entro i novanta giorni è, temporalmente, legata o al momento di commissione della violazione o al termine di presentazione della dichiarazione (la norma allude alla distinzione
tra tributi periodici e non), ma, in questo specifico caso, per
le violazioni che non si integrano con la presentazione della
dichiarazione, il termine non può che decorrere dalla data di
commissione della violazione, anche per i tributi periodici
(si veda “Per i versamenti «nuovo» ravvedimento mal formulato” del 17 ottobre 2014, la cui interpretazione è stata recepita anche dalla nota IFEL del 19 gennaio 2015).
Pensiamo al caso del saldo imposte sui redditi, da versare a
giugno: tale dato temporale inibisce, di fatto, di computare i
novanta giorni dal termine di presentazione della dichiarazione, che è successivo, scadendo il 30 settembre. Oltre a
ciò, si mette in risalto un problema da molto tempo sollevato dagli operatori del diritto tributario, concernente le moda-
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
lità di spedizione degli avvisi bonari.
Nel momento in cui c’è l’avviso bonario, il ravvedimento è
precluso, e decorrono i trenta giorni per la sua definizione ai
sensi del DLgs. 462/97.
Se, come a volte accade, detto avviso è notificato con metodi di spedizione postale che non forniscono una prova certa
della notifica, è arduo sapere da quando il ravvedimento è
inibito, e, di conseguenza, da quando decorre il termine per
la definizione. È noto che la preclusione non si può verificare nel momento in cui l’avviso è redatto o spedito, ma unicamente da quando è ricevuto dal contribuente.
Necessario “cambiare” la spedizione degli avvisi bonari
Per questa ragione, è auspicabile “un intervento normativo
che disponga l’applicazione anche per le comunicazioni di
irregolarità del procedimento notificatorio già previsto per
gli avvisi di accertamento”, in modo da avere una prova di
quando l’atto viene spedito e ricevuto.
Richiamando i principi fissati con la ris. n. 67/2011 e con la
circ. n. 27/2013 delle Entrate in tema di ravvedimento “parziale” e “frazionato”, la Fondazione nazionale dei commercialisti evidenzia come ciò vada visto alla luce del nuovo
ravvedimento. Nonostante, ad esempio, non sia ammessa,
tecnicamente, la dilazione di pagamento delle somme, il
contribuente può versare in più momenti, traendone le conseguenze in punto riduzione delle sanzioni, a meno che, tra
un versamento e l’altro, sopravvenga la notifica dell’atto
impositivo.
Si evidenzia infine che, specie per uniformare il ravvedimento agli altri istituti deflativi del contenzioso, sarebbe bene introdurre la possibilità di un versamento rateale, di modo che il perfezionamento (e, viene da dire, il “mantenimento” di una più favorevole riduzione della sanzione)
coincida con il pagamento della prima rata.
Andrebbe poi rivisto il consolidato orientamento delle Entrate, teso a negare, nell’ambito del ravvedimento, la “sanzione
unica” in caso di concorso formale e continuazione, circostanza che opera, invece, in caso di acquiescenza ex art. 15
del DLgs. 218/97.
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ancora
FISCO
Integrativa da ravvedimento con rischi per il
contribuente
La Fondazione nazionale dei commercialisti “mette in guardia” sulla postergazione dei
termini di decadenza
/ Alfio CISSELLO
La circolare del 15 aprile 2015 della Fondazione nazionale
dei commercialisti, oltre a fornire un quadro generale del
ravvedimento operoso, si sofferma su un aspetto importante,
sempre connesso al ravvedimento: la postergazione dei termini di decadenza per l’accertamento e la riscossione come conseguenza del ravvedimento.
In base all’art. 1 comma 640 della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015), se viene presentata una dichiarazione integrativa ai sensi degli artt. 2 del DPR 322/98 e 13 del DLgs.
472/97, i termini di decadenza dal potere di accertamento decorrono dal momento di presentazione della dichiarazione
integrativa, “limitatamente agli elementi oggetto di modifica”.
Come già evidenziato su Eutekne.info (si veda “Il ravvedimento «sposta» i termini per l’accertamento e la cartella di
pagamento” del 2 gennaio 2015), bisogna appurare se, nel
momento in cui il contribuente sana, ad esempio, l’indicazione di un costo non inerente, la riapertura del termine possa
concernere solo la tipologia di costo oggetto del ravvedimento o tutti i costi indicati in dichiarazione.
Può essere infatti arduo comprendere il significato di “elemento” che legittima la postergazione del termine decadenziale.
Vediamo la questione in un’ottica molto pratica.
Ordinariamente e salvo ipotesi di proroga, i termini ex art. 43
del DPR 600/73 per rettificare il modello UNICO 2014 scadono il 31 dicembre 2018.
Se, questo mese, il contribuente intende ravvedersi, in merito all’elemento oggetto di emenda, i termini scadono il 31
dicembre 2019.
Pensiamo alla classica fattispecie dei costi dedotti in violazione dell’inerenza o perché, semplicemente, il contribuente ne ha smarrito la documentazione giustificativa.
Se si vuole fruire della riduzione della sanzione da dichiarazione infedele a 1/8 del minimo, occorre pagare le sanzioni,
le imposte e gli interessi entro il prossimo 30 settembre.
Entro il menzionato termine, occorre presentare la
dichiarazione integrativa con la variazione in aumento nel
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
quadro RF rigo 31, codice “99”, “Altre variazioni in
aumento”, se si tratta di modello UNICO 2014 SC.
Tralasciando l’eventualità di condotte maliziose ad opera di
entrambe le parti, come può il Fisco sapere su quali costi c’è
stato il ravvedimento?
Ecco che giunge il prezioso consiglio della Fondazione, che,
dopo aver evidenziato il problema, palesa l’utilità di presentare, “in applicazione dei principi di collaborazione e buona fede ex art. 10 L. n. 212/2000 del 2000, un’apposita memoria in cui specificare la natura, la tipologia, la misura e le
ulteriori caratteristiche dell’integrazione che si è reso apportare alla dichiarazione ovvero dell’errore o dell’omissione
che si è inteso regolarizzare”.
Opportuna un’eventuale memoria
Ciò unitamente al ravvedimento, visto che i modelli di dichiarazione e di pagamento non contengono appositi spazi
di esplicazione dei menzionati elementi.
In tal modo, nel momento in cui, entro il termine postergato,
l’Ufficio aziona l’accertamento, vi sono argomentazioni per
“blindarne” l’oggetto.
Tanto detto (ma ciò non è trattato nella circolare), non tutte
le questioni sono terminate.
Se il contribuente si è ravveduto su una certa tipologia di
costo, la postergazione del termine vale solo per quel costo o anche per quelli similari? Pensiamo a come possono
essere eterogenei i costi su acquisti di materie prime, o di
merci destinate alla rivendita.
Il concetto di “elementi oggetto di modifica”, alla fine, non
potrà che essere colmato in via interpretativa dalla giurisprudenza.
Nessun dubbio, aggiungiamo noi, dovrebbe sussistere sull’illegittimità di un accertamento IVA notificato entro il termine postergato nella misura in cui il contribuente, in occasione del ravvedimento, abbia presentato solo una dichiarazione dei redditi integrativa, quand’anche la violazione rilevi
su entrambi i tributi.
/ 07
ancora
FISCO
Verifiche “fuori tempo” valide anche dopo le
Sezioni Unite
La verifica presso la sede del contribuente oltre i termini, a differenza della violazione
del diritto al contraddittorio, non incide su diritti costituzionali
/ Alessandro BORGOGLIO
Se la durata temporale della verifica fiscale presso la sede
del contribuente eccede i termini normativamente previsti,
non si determina alcuna conseguenza sul materiale probatorio acquisito extra-time, né sugli avvisi di accertamento che
si fondano su tale verifica. E ciò anche dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/2013, con cui è stato sancito il diritto al contraddittorio del contribuente e, quindi, l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus, in
violazione di una disposizione statutaria che sembrerebbe
prima facie analoga a quella che vieta la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente oltre i termini
normativamente previsti. È quanto emerge dalla sentenza
della Cassazione n. 7584 depositata ieri.
L’art. 12, comma 5 dello Statuto del Contribuente (L.
212/2000) prevede dei precisi limiti di durata per le verifiche fiscali, le quali, secondo la vigente formulazione di tale
comma 5, non possono durare più di trenta giorni di effettiva presenza del personale ispettivo, prorogabili di ulteriori
trenta, se effettuate nei confronti di soggetti in contabilità ordinaria, ovvero non più di quindici giorni sempre di presenza effettiva, prorogabili di altri quindici, comunque entro un
arco temporale massimo di un trimestre solare, se effettuate
nei confronti di soggetti in contabilità semplificata o lavoratori autonomi. In precedenza, invece, vi era un unico termine temporale di trenta giorni prorogabile di ulteriori trenta. Sia le norme precedenti che quelle attuali, però, nulla prevedono in merito alle conseguenze derivanti dalla violazione di tali disposizioni statutarie.
La Cassazione ha sempre stabilito, in proposito, che il termine di permanenza degli operatori civili e militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti
dopo il suo decorso. Né la nullità di tali atti può ricavarsi
dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più
lunga eventuale permanenza degli agenti dell’Amministrazione. In sostanza, per i giudici di legittimità, se i verificatori protraggono la loro permanenza presso la sede del contribuente oltre il limite massimo previsto dalle disposizioni statutarie, nessuna conseguenza negativa si ripercuote sull’atto impositivo fondato sulle risultanze della verifica fuori
termine (cfr. Cass. n. 16323/2014, n. 26732/2013, n.
17010/2013, n. 17002/2012, n. 14020/2011, n. 19338/2011).
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
Con la pronuncia di ieri, la Cassazione ha confermato tale
impostazione, ma – ed è qui la parte più rilevante – ha altresì esaminato i rapporti intercorrenti tra la norma in oggetto che fissa i termini di durata delle verifiche (il comma
5 dell’art. 12) ed un’altra importante disposizione dello stesso articolo, ovvero quella recata dal comma 7, in base alla
quale, dopo il rilascio del PVC da parte dei verificatori che
hanno eseguito delle attività ispettive presso la sede del contribuente, devono trascorrere sessanta giorni prima che il
Fisco possa notificare il relativo avviso di accertamento, durante i quali il contribuente può formulare osservazioni che
l’Ufficio è tenuto a valutare.
Le Sezioni Unite, in proposito, hanno stabilito che l’atto impositivo emesso prima del decorso del predetto periodo sospensivo è nullo, anche in assenza di una specifica previsione in tal senso, atteso che la sua finalità è quella di tutelare
l’effettivo dispiegarsi del contraddittorio endoprocedimentale, che costituisce espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, sempreché non sussistano ragioni di motivata urgenza che legittimino l’emissione anticipata dell’atto impositivo (cfr. SS.UU. n.
18184/2013; nello stesso senso, Cass. nn. 1264, 14287,
15634 e 25759 del 2014).
Era logico, quindi, porsi il dubbio se quanto statuito dalla
Sezioni Unite in merito alla nullità degli atti emessi in violazione del predetto comma 7 potesse avere efficacia anche in
relazione agli avvisi di accertamento emessi in violazione
del comma 5, ovvero quello che vieta agli operatori
dell’Amministrazione finanziaria di protrarre la loro
presenza presso la sede del contribuente oltre i termini
previsti.
La risposta della Suprema Corte è stata negativa. Esiste, infatti, una palese differenza di “oggetto” tra le due disposizioni, giacché il comma 7 incide sul provvedimento tributario, ponendo un divieto all’esercizio della potestà impositiva, laddove il comma 5, invece, agisce esclusivamente sul
mero comportamento materiale dei verificatori che accedono presso i locali del contribuente, non involgendo in alcun modo le attività provvedimentali dell’Amministrazione
finanziaria, e non avendo quindi senso invocare, per
quest’ultimo, le categorie della invalidità degli atti e dei negozi giuridici, atteso che la difformità della condotta dallo
schema legale viene a configurare in un illecito che, se produttivo di danno, determina la correlativa responsabilità pa/ 08
ancora
trimoniale, fatta salva sempre la eventuale responsabilità
disciplinare del funzionario pubblico.
La Cassazione ha poi concluso che la differente rilevanza
degli interessi presi in considerazione dalle disposizioni dei
commi 5 e 7 dell’art. 12 – interesse negativo del contribuente alla presenza dei verificatori presso la sua sede e corretta
formazione del rapporto tributario – giustifica razionalmente la scelta del legislatore di non ricollegare alla violazione del termine di permanenza nei locali la sanzione di
invalidità dell’atto impositivo, non incidendo la violazione
della durata della verifica su diritti costituzionalmente
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
tutelati riferibili al contribuente.
In sostanza, mentre la violazione del comma 7, mediante
l’emissione ante tempus di avvisi di accertamento, comprime illegittimamente il diritto di contraddittorio del contribuente che discende da principi costituzionali, la violazione del comma 5, mediante l’effettuazione di verifiche oltre i
termini previsti, non incide su diritti costituzionali e, quindi,
non può comportare la nullità degli atti impositivi in assenza di una specifica previsione in tal senso, diversamente da
quanto stabilito dai Supremi Giudici per la violazione
dell’altra disposizione statutaria.
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ancora
FISCO
IVA detraibile in caso di omesso reverse
charge
Il diritto non può essere negato all’operatore nazionale che non ha applicato
correttamente, per gli acquisti intracomunitari, la procedura
/ Barbara ROSSI e Fabio Tullio COALOA
La Cassazione, con la sentenza n. 7576 depositata ieri, ha
statuito che il diritto alla detrazione dell’IVA dovuta relativa agli acquisti intracomunitari non può essere negato in
caso di omessa integrazione e annotazione delle fatture nei
registri IVA. Vengono così confermati gli insegnamenti della Corte di Giustizia nella pronuncia dell’11 dicembre 2014
relativa alla causa C-590/13 Idexx Laboratories Italia.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, una società italiana aveva effettuato degli acquisti intracomunitari di beni,
senza procedere, come disposto dall’art. 47 del DL n.
331/1993, all’annotazione delle relative fatture, assoggettate
ad IVA mediante reverse charge, nei registri IVA; dette fatture venivano esclusivamente registrate nel libro giornale e
non comunicate nel modello INTRASTAT.
L’Amministrazione finanziaria, ritenendo che la descritta
omissione comportasse una violazione sostanziale, e non
meramente formale, procedeva – come si legge nella sentenza in commento – “al recupero dell’imposta asseritamente
evasa e all’applicazione delle sanzioni”.
Nel contenzioso giudiziale instauratosi, i giudici di merito, di
primo e secondo grado, disconoscevano però i rilievi
dell’Agenzia, ritenendo che le inadempienze accertate a carico della contribuente di natura meramente formale, non
avevano generato danni erariali, “visto che il risultato finale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per
effetto della prevista compensazione bilaterale dell’IVA”.
Avverso la decisione dei giudici di seconde cure,
l’Amministrazione proponeva ricorso per Cassazione.
I giudici di legittimità, in base all’insegnamento dei giudici
unionali, hanno confermato la natura meramente formale –
e non sostanziale – dell’omessa annotazione delle fatture
integrate per acquisti intracomunitari nei registri IVA, laddove sia dimostrato che gli acquisti siano fatti da un soggetto
passivo e che le merci siano finalizzate a proprie operazioni
imponibili. La violazione formale non può precludere l’esercizio della detrazione.
Infatti, come affermato dalla Corte di Giustizia nella richia-
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
mata sentenza Idexx Laboratories Italia, per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari, i requisiti sostanziali richiesti dalla normativa Ue esigono che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia debitore dell’IVA attinente tali operazioni e che i beni di cui
trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili. Ne consegue che, se l’Amministrazione nazionale dispone delle informazioni necessarie per accertare l’esistenza di tali requisiti sostanziali, il diritto alla detrazione
dell’IVA dovuta per gli acquisti intracomunitari non può essere negato all’acquirente nazionale, per non aver assolto
obblighi solo formali, quali quelli di integrazione e
registrazione delle fatture.
Il diritto alla detrazione dell’IVA, in fattispecie come quella
in esame, può essere negato solo nell’ipotesi in cui la violazione formale abbia l’effetto concreto di impedire la prova
certa del rispetto dei requisiti sostanziali. Con riferimento
agli obblighi probatori, la Cassazione ha poi statuito che incombe al contribuente l’onere di dimostrare la loro sussistenza qualora questa sia contestata dall’Amministrazione finanziaria.
Rileva la natura formale della violazione
Nel caso di specie, l’Ufficio aveva contestato al contribuente esclusivamente la violazione dell’obbligo di duplice annotazione delle fatture d’acquisto integrate e non anche inadempienze dei requisiti sostanziali, previsti dalla normativa
Ue per le transazioni unionali in esame, tali da poter generare danni erariali. Ragion per cui, la violazione ha natura
formale e il diritto alla detrazione non può essere negato.
La sentenza in commento convalida un ormai consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimità a favore dei
contribuenti (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 5072 del 13
marzo 2015, Cass. n. 20486 del 6 settembre 2013, Cass. n.
13332 del 29 maggio 2013, Cass. n. 8038 del 3 aprile 2013).
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ancora
IMPRESA
La sentenza Parmalat “salva” la bancarotta
La decisione reputa due questioni di legittimità costituzionale di reati fallimentari, una
manifestamente infondata e l’altra inammissibile
/ Maurizio MEOLI
La sentenza della Cassazione relativa alla vicenda Parmalat-Ciappazzi, depositata ieri con il n. 15613, tra le sue 171
pagine, a firma di un doppio relatore, affronta numerosi profili penali fallimentari sui quali è opportuno soffermare
l’attenzione a prescindere dalla vicenda in sé.
Innanzitutto, è reputata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per presunta indeterminatezza (con violazione dell’art. 25 Cost.) – della fattispecie di causazione dolosa del fallimento di cui all’art. 223
comma 2 n. 2 del RD 267/42, ai sensi del quale sono puniti
con la reclusione da tre a dieci anni, tra gli altri, gli
amministratori che hanno cagionato con dolo o per effetto di
operazioni dolose il fallimento della società.
A giudizio della Suprema Corte, la fattispecie è certamente a
forma libera, ma sufficientemente definita nella sua identità da una serie di adeguati indici: la scelta terminologica effettuata nella definizione dell’elemento materiale, in connessione alla configurazione di un reato proprio del ceto gestorio, evidenzia come le “operazioni” rilevanti siano esclusivamente quelle che si traducano in un’attività attinente alla
funzione che qualifica i soggetti attivi selezionati; il fatto
che le operazioni devono essere “dolose” evoca immediatamente come l’atto di gestione debba essere posto in essere
dall’autore tipico “con abuso” della propria carica ovvero
contravvenendo ai doveri che la stessa gli impone, atteso
che tale attributo, altrimenti del tutto inutile alla luce dell’art.
43 c.p., evidenzia un connotato di intrinseca illiceità della
condotta, anche a prescindere dai suoi effetti; la tipicità della condotta è fortemente caratterizzata dalla necessaria
“causazione” del fallimento e, quindi, dalla esistenza di un
rapporto eziologico tra essa ed il dissesto. Con tali caratteristiche, poi, la fattispecie in questione si pone come residuale nell’ambito delle ulteriori incriminazioni della legge
fallimentare.
È reputata, invece, inammissibile la questione di legittimità
costituzionale, in relazione all’art. 27 comma 3 Cost. (funzione rieducativa della pena), del combinato disposto degli
artt. 216 comma 4 e 223 comma 3 del RD 267/42, nella parte in cui determinano in dieci anni (fissi ed inderogabili) la
durata delle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio
di una impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare
uffici direttivi presso qualsiasi impresa. A tal riguardo si ricorda come la sentenza n. 134/2012 della Corte Costituzionale abbia già dichiarato l’inammissibilità della questione.
In quel caso, in particolare, la soluzione prospettata dai giudici remittenti era rappresentata dall’aggiunta delle parole
“fino a” nell’art. 216 comma 4 del RD 267/42.
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
Rispetto a tale soluzione i giudici delle leggi avevano sottolineato come essa sarebbe solo una tra quelle astrattamente
ipotizzabili in caso di accoglimento della questione, dal momento che sarebbe anche possibile prevedere una pena accessoria predeterminata, ma non in misura fissa (ad esempio, da 5 a 10 anni) o una diversa articolazione delle pene
accessorie in rapporto all’entità della pena detentiva. Di conseguenza, l’addizione normativa richiesta non costituiva una
soluzione costituzionalmente obbligata ed eccedeva i
poteri di intervento della Corte Costituzionale, implicando
scelte affidate alla discrezionalità del legislatore.
Nel caso di specie, invece, si proponeva l’eliminazione dal
testo normativo della formula “per la durata di dieci anni”,
in modo da rendere indeterminata la previsione sanzionatoria e consentire, per tal via, l’operatività dell’art. 37 c.p. dedicato a tale ipotesi. Al riguardo, la Suprema Corte sottolinea come anche l’intervento proposto tenda a provocare un
intervento costituzionalmente non obbligato. Né rileva il fatto che quello ipotizzato non si presenti come intervento “additivo”, ma “demolitorio” ed “intrinsecamente manipolativo”. Occorre, infatti, considerare che il principio sancito
dalla ricordata sentenza della Corte Costituzionale si applica
anche nel caso in cui sia richiesto di un simile intervento.
La decisione in commento – dopo aver ribadito che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo sorretto da dolo generico che non deve riflettersi né sulla sentenza dichiarativa di fallimento, né sullo stato di insolvenza o
sul dissesto che ne rappresentano il presupposto – sottolinea
anche come sia ammissibile il concorso tra essa e la bancarotta impropria da operazioni dolose. Tali fattispecie, infatti,
presentano ambiti differenti: atti di distrazione o dissipazione idonei a creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento,
essendo sufficiente che questo sia intervenuto, nel primo caso; condotte dolose che non costituiscono distrazione o
dissipazione, ma che determinano il fallimento, nel secondo.
E, quindi, mentre tra le ricordate fattispecie è da escludere il
concorso “formale”, è invece possibile il concorso “materiale”, ma soltanto se, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta fraudolenta patrimoniale, si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi i
quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per
l’andamento economico-finanziario della società – siano stati causa del fallimento (cfr. Cass. n. 24051/2014).
Si precisa, poi, che la fattispecie di causazione dolosa del
fallimento è integrata anche nell’ipotesi in cui le condotte in/ 11
ancora
criminate abbiano “solo” aggravato un dissesto già manifestatosi. Ciò in quanto l’art. 223 del RD 267/42, per il tramite
del rinvio al precedente art. 216, già reca il riferimento alla
dichiarazione giudiziale di fallimento, in mancanza della
quale i fatti contemplati non avrebbero rilevanza penale.
All’ulteriore riferimento al fallimento, allora, non avendo
senso una duplicazione, deve attribuirsi il significato di
obiettiva situazione di dissesto; d’altra parte è solo con riguardo a quest’ultima che è possibile tracciare un rapporto causale e non rispetto alla sentenza dichiarativa del
fallimento. La rilevanza ai fini della fattispecie in questione
del mero aggravamento del dissesto, poi, non è contraddetta
dal fatto che quest’ultimo risulti espressamente contemplato
solo dal successivo art. 224 del RD 267/42, in tema di
bancarotta impropria semplice.
Al di là dell’irragionevolezza di una simile soluzione, infatti,
il dato testuale è in contrasto con un’interpretazione sistematica che tenga conto della disciplina del concorso delle
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
cause di cui all’art. 41 c.p., applicando la quale assumono rilievo anche le condotte successive alla irreversibilità del dissesto. Sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, di
cui all’art. 41 c.p., sia la circostanza che il dissesto è fenomeno che non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo, quindi, assegnano influenza ad
ogni condotta che incida, aggravandolo, su di uno stato di
dissesto già esistente (cfr. Cass. n. 16259/2010).
Quanto alla formulazione della bancarotta impropria da
reato societario (art. 223 comma 2 n. 1 del RD 267/42), infine, che si riferisce esclusivamente al “dissesto”, e non anche all’aggravamento dello stesso, si ritiene che la differenza sia da ascrivere alla redazione delle fattispecie in tempi
diversi (quest’ultima, infatti, è stata ridisegnata dal DLgs.
61/2002); in ogni caso, come già evidenziato,
l’aggravamento deve ritenersi sottinteso alla luce dei principi
generali sul concorso di cause.
/ 12
ancora
ECONOMIA & SOCIETÀ
Per i cookie adeguamento entro il prossimo
3 giugno
Volge al termine il periodo di transizione individuato dal provvedimento del Garante
della privacy
/ Luca LEONE
Si concluderà il prossimo 3 giugno il periodo transitorio individuato dal provvedimento 8 maggio 2014 n. 229 del Garante per la privacy (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
3 giugno 2014) sull’“individuazione delle modalità semplificate per l’informativa e l’acquisizione del consenso per
l’uso dei cookie”. Il provvedimento è il risultato finale della
consultazione pubblica condotta anche attraverso le proposte
delle associazioni maggiormente rappresentative ed è rivolto
a tutti i gestori dei siti internet.
Il DLgs. 69/2012 ha apportato modifiche al Codice della privacy (DLgs. 196/2003) in attuazione della Direttiva
2009/136/CE in materia di trattamento dei dati personali e
tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. Nello specifico, le norme in materia di privacy online sono state rafforzate in merito all’uso dei cookie e sistemi simili: gli utenti di internet devono essere maggiormente informati sull’esistenza di tali sistemi e su ciò che
accade ai loro dati. Sarà illecito utilizzare i cookie in mancanza di apposito consenso, soprattutto se utilizzati per
raccogliere importanti e delicate informazioni all’insaputa
degli utenti sui loro gusti, sulle loro abitudini e sulle loro
scelte.
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/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
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13 del Codice, che il gestore del sito potrà fornire con le
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all’utente e vengono utilizzati al fine di inviare messaggi
pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dallo stesso nell’ambito della navigazione in rete. In ragione della
particolare invasività che tali dispositivi possono avere
nell’ambito della sfera privata degli utenti, la normativa europea e italiana prevede che l’utente debba essere adeguatamente informato sull’uso degli stessi ed esprimere così il
proprio valido consenso”.
Il Garante ha fissato un periodo transitorio di un anno a decorrere dalla pubblicazione del provvedimento in Gazzetta
Ufficiale (avvenuta il 3 giugno 2014), per consentire ai soggetti interessati dal presente provvedimento di potersi avvalere delle modalità semplificate individuate. Pertanto, il
termine ultimo di adeguamento è fissato per il 3 giugno
2015.
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ancora
FISCO
Entro fine mese la decisione dell’Unione
europea sullo split payment
Da un convegno a Roma è emerso che a livello comunitario è quasi pronta la
valutazione anche sul reverse charge esteso alla grande distribuzione
/ Emanuele GRECO
Il Consiglio europeo sta ultimando la propria valutazione
circa la concessione all’Italia della deroga necessaria per
l’introduzione del meccanismo dello split payment e per
l’estensione del reverse charge al settore della grande distribuzione.
La decisione dovrebbe essere presa entro la fine di aprile,
secondo quanto affermato da Donato Raponi, responsabile
della VAT Unit presso la Direzione Generale Taxud della
Commissione europea, nel corso del convegno “Le frodi
IVA nel contesto intra-unionale”, organizzato ieri presso il
Centro Congressi Roma Eventi.
L’estensione del reverse charge alle cessioni di beni effettuate dei confronti di ipermercati, supermercati e discount
alimentari è stata prevista dalla legge di stabilità 2015 (L.
190/2014), introducendo la lettera d-quinquies) all’art. 17
comma 6 del DPR 633/72. In attesa del rilascio dell’autorizzazione comunitaria, necessaria ai sensi dell’art. 395 della direttiva 2006/112/CE, la norma non è entrata in vigore.
Diversamente, il meccanismo dello split payment per le
operazioni nei confronti della P.A. si è reso efficace fin da
subito (in assenza del benestare comunitario), per espressa
previsione della legge di stabilità 2015.
Se, sull’autorizzazione relativa allo split payment, Donato
Raponi sembra palesare una certa fiducia (anche in ragione
delle agevolate condizioni per l’esecuzione dei rimborsi IVA
previste dal legislatore italiano), l’estensione del reverse
charge alla grande distribuzione è valutata con maggiore
attenzione, riguardando un settore commerciale di notevole
entità.
Difficile la generalizzazione del reverse charge a tutte le
operazioni B2B
Sempre in materia di reverse charge, in risposta a una domanda formulata nel corso del convegno, Raponi ha affermato che la Commissione è al momento negativa circa
un’eventuale generalizzazione del sistema dell’inversione
contabile a tutte le operazioni B2B: gli Stati membri non
possono infatti garantire mezzi sufficienti per monitorare
tutte le operazioni coinvolte e assicurare una piena
riscossione dell’imposta (che, evidentemente, è anche una
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
risorsa del bilancio comunitario).
Nel convegno si è trattato anche del futuro dell’IVA: tra le
proposte al vaglio della Commissione europea ci sarebbe
anche la previsione di un gruppo IVA, dotato di autonoma
soggettività passiva, a livello intra-Ue e non confinato ai
singoli Stati (come prevede la direttiva 2006/112/CE). Al riguardo, si è ricordato che è in preparazione lo schema di decreto legislativo che recepirà anche nell’ordinamento italiano il gruppo IVA in quanto soggetto passivo (e non solo
come meccanismo di liquidazione dell’imposta).
L’evento di ieri si è poi focalizzato sulle corrette modalità
con le quali gli operatori economici possono realizzare operazioni intracomunitarie evitando di essere coinvolti in
frodi. La direttiva 2006/112/CE si limita a prevedere un regime di non imponibilità per le cessioni intracomunitarie,
nulla dicendo in merito alle prove che devono essere fornite
dagli operatori per provare l’avvenuto trasferimento della
merce nell’altro Stato Ue e per attestare l’effettivo status di
soggetto passivo della controparte.
Così, gli Stati membri si sono differenziati nelle modalità
di gestione delle cessioni e degli acquisti intracomunitari. Il
Regno Unito, ad esempio, mediante il sistema DOTAS, contempla la pubblicazione sul sito dell’Amministrazione finanziaria dei soggetti ritenuti a rischio, consentendo ai contribuenti una pronta valutazione del rischio fiscale delle operazioni. L’Ungheria, invece, dal 1° marzo 2015, ha introdotto un sistema di tracciatura dei movimenti di beni (denominato EKAER) in ambito intracomunitario; il sistema è
attualmente al vaglio gli organi Ue, considerato che esso potrebbe costituire un limite alla libera circolazione delle
merci.
In attesa dell’adozione di regole condivise tra tutti gli Stati
membri sul tema (regole stentano ad arrivare per via legislativa), la Commissione sta valutando la predisposizione di
specifiche “explanatory notes” che consentano di risolvere
parte dei problemi operativi.
Un’altra delle soluzioni ipotizzate in sede comunitaria è
l’adozione di un sistema di rating a livello Ue, che consenta di individuare gli operatori affidabili in ambito IVA,
analogamente a quanto previsto per le operazioni doganali
con la certificazione AEO.
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ancora
FISCO
Il trust può “prestarsi” alla sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte
L’ha stabilito la Cassazione, in una delle prime sentenze sulla questione
dell’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.
/ Maria Francesca ARTUSI
Nel caso oggetto della sentenza della Cassazione n. 15449 di
ieri, il liquidatore di una sas era stato condannato in primo e
secondo grado per il delitto di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del DLgs.
74/2000 per aver costituito fraudolentemente un trust con il
fine di rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di
riscossione coattiva.
Nel dettaglio, la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso
presentato dall’imputato avverso tale condanna, trovandosi
ad affrontare la questione della legittimità o meno di un
trust in relazione alla fattispecie prevista dal citato art. 11,
nonché la recentissima tematica dell’applicabilità della causa di non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p., introdotto
dal DLgs. 28/2015. L’art. 11 sanziona chiunque, al fine di
sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o
in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Secondo la prevalente giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato si richiede, tuttavia, la sola idoneità dell’atto
simulato o fraudolento, non ritenendosi necessaria l’effettiva sussistenza di una procedura di riscossione in atto (tra le
altre, Cass. nn. 39079/2013, 14720/2008 e 7916/2007).
Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, ove l’idoneità della condotta va letta come capacità qualitativa e quantitativa
degli atti posti in essere di vanificare in tutto o in parte, ovvero di rendere più difficoltosa, l’eventuale procedura esecutiva. E il bene giuridico tutelato è individuabile non tanto
dal diritto di credito in favore del Fisco, quanto dal diritto di
garanzia che tale credito possa essere soddisfatto. Lo spettro di condotte potenzialmente rilevanti è, perciò, molto ampio, potendo rientrare nella categoria di “altri atti fraudolenti” operazioni quali la cessione simulata di quote sociali, la
costituzione fraudolenta di un fondo patrimoniale, un sale
and lease back solo apparente, ecc.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, l’art. 11 richiede il c.d. dolo specifico rappresentato dal fine di sottrarsi al
pagamento del proprio debito tributario. Riguardo all’atto di
costituzione del trust connesso al procedimento in esame,
particolarmente incidente nel giudizio è la coincidenza tra il
disponente del trust e il trustee, nella persona dell’imputato liquidatore della società.
/ EUTEKNEINFO / GIOVEDÌ, 16 APRILE 2015
Inoltre, la dichiarata finalità liquidatoria indicata nell’atto
costitutivo non era mai stata comunicata ai creditori sociali e, in ogni caso, la Corte territoriale ne aveva evidenziato
l’inutilità sostanziale ben potendo i creditori, in caso di
liquidazione, vedere soddisfatti i propri crediti senza
problemi di priorità temporale quando il patrimonio sociale
sia sufficiente a tale scopo ovvero, in caso di insufficienza,
fare ricorso al concordato preventive o alle altre procedure
concorsuali.
Tali circostanze portano chiaramente nella direzione di affermare che l’unica finalità reale per la costituzione di tale
trust fosse quella della sottrazione del patrimonio all’Erario. Il dolo specifico dell’art. 11 richiede, infatti, la dimostrazione della strumentalizzazione della causa tipica negoziale o l’abuso dello strumento giuridico utilizzato (cfr.
Cass. n. 40561/2012).
Pertanto, lungi dal volersi “criminalizzare” un negozio legittimo quale il trust, non può negarsi che, per i suoi effetti di
segregazione del patrimonio, esso si presti talvolta a divenire un efficace strumento per finalità non altrettanto legittime.
Per tali ragioni la sentenza della Cassazione in commento
conclude il suo argomentare sostenendo che può essere rinvenuta la sussistenza dell’elemento soggettivo anche quando, a fronte della piena conoscenza del debito tributario, il ricorso ad attività formalmente lecite abbia quale unica concreta conseguenza quella di impedire la riscossione fiscale,
difettando ogni altro dato dimostrativo dell’effettiva volontà
di perseguire le finalità proprie dello strumento giuridico cui
si è fatto ricorso.
Va, infine, evidenziato come questa sentenza sia una delle
prime in cui viene sollevata la questione dell’applicabilità
nella fattispecie contestata della causa di non punibilità ora
prevista dall’art. 131-bis c.p., introdotto dal DLgs. 28/2015.
Considerato il principio di retroattività della legge penale
più favorevole, tale norma sarebbe applicabile anche al caso in commento; purtuttavia, la Cassazione non ritiene
astrattamente configurabili i presupposti (ovvero gli indicicriteri e gli indici-requisiti definiti nella relazione allegata al
decreto legislativo) per un rinvio al giudice di merito ai fini
della valutazione sulla non punibilità. In estrema sintesi, la
gravità dei fatti addebitati al ricorrente pienamente giustificata dalla Corte territoriale esclude a priori ogni successiva
valutazione in termini di particolare tenuità dell’offesa.
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ancora
ECONOMIA & SOCIETÀ
Dalla Bce tassi invariati, positiva la reazione
dei mercati alle parole di Draghi
L’effetto più evidente del QE Bce è l’appiattimento delle curve con il calo dei rendimenti
a lungo-lunghissimo termine
/ Stefano PIGNATELLI
La Banca centrale europea lascia i tassi invariati (-0,20% il
tasso sui depositi; 0,05% il pronti contro termine; 0,30% il
rifinanziamento marginale). Tali livelli entrarono in vigore il
10 settembre 2014. Da allora la Bce si è attivata su altri fronti con le operazioni Tltro (Targeted Longer-Term Refinancing Operations) e ultimamente con il Quantitative easing
(9 marzo).
Non c’era da aspettarsi molto dalla riunione di ieri, ma Draghi, come di consueto, ha dimostrato di conoscere molto bene i mercati finanziari e il suo intervento ha avuto un chiaro
effetto positivo, con le borse che accelerano verso l’alto
nonostante le pessime notizie in arrivo dagli Usa, dove la
produzione industriale cala dello 0,6% mensile a marzo, il
peggior risultato da due anni e mezzo. Gli analisti si aspettavano un calo più contenuto (0,3%). Interessante notare la caduta della produzione mineraria, affossata dal -17,7% delle
trivellazioni di gas e petrolio. Sempre dagli Usa mercoledì
hanno deluso nettamente le vendite al dettaglio.
Secondo Draghi sono presenti chiari segnali che le misure di
politica monetaria stanno avendo effetto. Il Quantitative easing procede senza intoppi e verrà portato avanti fintanto che
il trend di inflazione non sarà avviato verso il 2%. Il programma sui titoli pubblici è sufficientemente flessibile e potrà eventualmente essere aggiustato se la situazione dovesse
cambiare. In questi primi mesi si sono moltiplicati i segnali
positivi per la crescita europea grazie alla politica monetaria, al calo del prezzo del petrolio e dell’euro.
Queste dichiarazioni, oltre che sulle borse, hanno condotto
ad un rialzo dei titoli governativi europei, con conseguente ribasso dei rendimenti. Il Bund 10 tocca il nuovo minimo storico allo 0,11%: la curva dei Bund è sotto il -0,20%
fino ai quattro anni: il -0,20% rappresenta il limite di intervento Bce in acquisto di titoli: sotto tale livello la Banca non
acquista più. Il cinque anni è ormai prossimo al –0,20% (0,16%), mentre il dieci anni conferma l’impressione di voler
mettere nel mirino “rendimento zero”. I rendimenti Bund a
2-3 anni, ampiamente sotto il –0,20%, restano invece stabili.
I tassi Irs beneficiano del calo dei Bund per toccare nuovi
minimi, con il tre anni che scende sotto lo 0,10%, il cinque
anni sotto lo 0,20% e il decennale sotto lo 0,50%. Il calo dei
tassi europei è stato aiutato dal ribasso dei tassi Usa, con il
decennale che da area 2% scende sotto l’1,9% dopo la delusione sulla produzione industriale e sulle vendite al dettaglio.
Il dato ha convinto una parte del mercato a scommettere su
un rinvio al 2016 del rialzo dei tassi, evento che in realtà
non trova conferma dai tassi attesi Libor Usd 3 mesi.
Buon momento anche per i Btp, dopo le tensioni di questi
giorni per via delle pesanti aste a medio lungo termine (3-715 anni) e il collocamento retail del Btp Italia aprile 2023,
legato all’inflazione. Resta sullo sfondo lo stallo dei negoziati tra Grecia e creditori internazionali. Non c’è verso di
interrompere l’attuale fase rialzista sui governativi europei e sulle borse; ogni lieve flessione dei corsi è vista come
occasione per acquistare.
Occasione per il Tesoro, che potrebbe allungare la vita
media del debito
L’effetto più immediato del Quantitative easing, per ora,
oltre alla generica riduzione dei rendimenti governativi, è
l’appiattimento delle curve dei rendimenti. In sostanza, i
rendimenti a lungo termine si sono abbassati molto più di
quelli a breve. Questo è molto evidente sui Bund e sugli Oat
(governativi francesi) i cui rendimenti a 10 anni dall’inizio
del Qe (9 marzo) sono calati di 25-30 e di circa 40 centesimi
sui 30 anni. Meno marcato il fenomeno sui titoli italiani e
spagnoli. In ogni caso l’occasione offerta dall’appiattimento
della curva grazie al calo del lungo-lunghissimo termine è
assai ghiotta per il Tesoro italiano, che non mancherà di
aumentare la vita media del debito italiano. È dal 2010 che
ciò non avviene e quest’anno potrebbe salire da 6,4 anni di
fine 2014 almeno a 6,7 anni.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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