TRIUMPH TIGER 800 XC

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Numero 177
02 Dicembre 2014
85 Pagine
Prove
Kymco K-XCT
300i ABS
Sportivo a tutto tondo
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Special
BMW R nineT special
project | 2a Parte
Alessandra e Frank
progettano la special
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MotoGP
DopoGP con Nico e
Zam. Puntata speciale
con Silvano Galbusera
sulla stagione 2014
| PROVA MAXI ENDURO |
TRIUMPH
TIGER 800 XC
da Pag. 2 a Pag. 13
All’Interno
NEWS: Beta Xtrainer 300 | M. Clarke La tecnica delle novità viste a EICMA | N. Cereghini Doriano Romboni, un anno fa
MOTOGP: Le pagelle piloti della stagione 2014 | Melandri “Mi sento impacciato”| SBK: Il responso dei test SBK di Jerez
Triumph Tiger 800 XC
PREGI
Motore lineare e potente
DIFETTI
Comandi a pedale un po’ poveri
Prezzo da 11.390 €
PROVA MAXI ENDURO
LA TIGRE
GRAFFIA ANCORA
La nuova maxi enduro inglese ha un
motore tre cilindri evoluto nell’elettronica
e una maggiore autonomia. Abbiamo
portato fuoristrada il modello XC:
ottimo motore e sospensioni efficaci.
Scendono i consumi.
Qualche finitura è migliorabile
di Andrea Perfetti
Foto Alessio Barbanti e
Matteo Cavadini
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L
a nuova Triumph Tiger 800 compie quattro anni e viene rivista in
profondità per confermarsi tra
le best seller nel segmento delle
maxi enduro sotto il litro di cilindrata. Resta infatti un modello
fondamentale per la Casa inglese, che ha venduto ben 35.000 Tiger e si avvia ora a un significativo restyling. E’ sempre proposta in due versioni,
ma nel 2015 cambiano i nomi e la maxi enduro
spinta dal brillante tre cilindri compie un importante step. La versione stradale, senza becco e
con la ruota anteriore da 19 pollici, si chiama XR.
La sigla XC significa cross country e identifica,
come nel passato, la versione con cerchi a raggi (davanti da 21”), becco anteriore e una sana
attitudine a smaialare - senze esagerazioni - su
terra e fango. Ed è proprio da lei che abbiamo
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cominciato il nostro test in Spagna. Per la Tiger
800 XC, come pure per la Tiger 800XR, cambia
poco l’estetica, ma c’è tanta sostanza in più. Le
nuove sovrastrutture e i fianchetti del serbatoio
sono studiati per migliorare il raffreddamento
dinamico del motore (a tal fine è stato rivisto anche il radiatore, più grande).
La Casa inglese ha posto molta attenzione
nell’ergonomia, troviamo infatti la sella e il manubrio regolabili al pari delle leve di freno e frizione.
Come vedremo in seguito, l’endurona di Hinckley svolta pagina nella dotazione elettronica e
in quella di serie. E’ già ricca nelle versioni base,
diventa eccellente nelle nuove x (XCx e XRx), che
portano al debutto tra l’altro il cruise control in
questo segmento.
Qui trovate i prezzi di tutti gli allestimenti e le dotazioni di serie.
L’elettronica fa un balzo in avanti
Media
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Prove
La Triumph Tiger 800 XC è offerta in due allestimenti (XC base e XCx, più raffinato nella dotazione) e propone una gestione elettronica con
comando dell’acceleratore ride-by-wire che ha
permesso di adottare anche il controllo di trazione (disinseribile), le mappature, il cruise control.
C’è di serie l’ABS, disinseribile per la guida sugli
sterrati. La versione XCx offre funzioni più sofisticate, come l’ABS con modalità offroad e con
il Traction Control che nella versione x offre le
due modalità road e offroad. Le mappe dell’acceleratore sono quattro sia sulla versione base
che sulla XCx: Rain, Road, Sport e Off Road, ma
sulla versione più XCx è possibile selezionare
veri e propri riding mode – ovvero combinazioni
di mappature e impostazioni di ABS e TC richiamabili rapidamente con un tasto sul manubrio.
Abbiamo così le impostazioni Road (ABS, Controllo di trazione e mappatura su setting Road),
Off Road (idem ma in modalità Off Road) e Rider, ovvero con impostazioni preselezionate dal
proprietario. La versione XCx offre anche il cruise control e un computer di bordo più completo.
Elettronica disinseribile
per l’offroad e sospensioni WP
L’apprezzato tre cilindri inglese con 95 cavalli di
potenza massima a 9.250 giri e 79 Nm a 7.850
giri è stato affinato in diversi aspetti per ridurre
la rumorosità meccanica e migliorare il cambio
(sempre a sei marce) grazie a dettagli ereditati dalla sportivissima Daytona 675. Il consumo
dichiarato scende del 17%. Grazie al serbatoio
da 19 litri l’autonomia teorica della Tiger può
raggiungere i 438 km (il consumo dichiarato
nel ciclo GTR2 europeo è pari a 4,3 l/100 km).
Passiamo ora alle differenze tra la XR stradale
(con cerchi a razze e ruota anteriore da 19) e la
XC che stiamo provando. Differenze che sono
concentrate nelle ruote e nelle sospensioni. Il telaio a traliccio in tubi di acciaio non cambia, ma
le sospensioni sono di marca differente. Sulla XR
troviamo le Showa, mentre sulla XC debuttano
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modifiche fatte alla Tigerina e ci vogliono mettere alla prova. Ovviamente ci tocca accontentarli,
ma non siamo troppo preoccupati: a dispetto
del peso e delle dimensioni, sappiamo di cosa è
capace la tre cilindri inglese lontano dall’asfalto.
Anche la prima versione (provata nel novembre
del 2010) ci era piaciuta per il comportamento
del motore e per la prevedibilità della ciclistica.
Vediamo allora come cambia la nuova XCx che
stiamo provando. A livello di ergonomia, la moto
conferma quanto già visto: è comoda anche sulle
lunghe distanze e la guida in piedi è sempre agevole. La protezione dall’aria è invece limitata per
i piloti sopra il metro e ottanta, quando si superano i 130 km/h. Finiture ok, ma in zona pedane
si può fare di più Le finiture generali dei comandi
e la qualità dei materiali sono complessivamente molto buone; come sul modello precedente
le WP (azienda che ha un know how elevatissimo nell’ambito offroad). La forcella rovesciata
WP da 43 mm è completamente regolabile (220
mm di escursione) e ha l’anodizzazione nera degli steli; il monoammortizzatore è regolabile nel
precarico e nell’estensione idraulica, è anche dotato di un’apposita protezione da fango e polvere
(215 mm di escursione). La sella può essere regolata a 840 o 860 mm (ma c’è anche ribassata
a soli 820 mm). Nasconde tra l’altro un comodo
vano da 2,75 litri. Le differenze con la Tiger 800
XR sono macroscopiche nei cerchi a raggi, più
adatti all’impiego in fuoristrada, con misure di
2,5x21” all’anteriore e 4,25x17” al posteriore. Il
peso in ordine di marcia è di 218 kg (col pieno),
valore che sale a 221 per la versione XCx. La XCx,
oltre a quanto sopra indicato, offre in più rispetto
alla versione XC le barre paramotore, gli indicatori di direzione a disinserimento automatico, il
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Prove
resta sotto tono il livello dei pedali del freno e del
cambio, e anche le pedane del passeggero sono
un po’ troppo grossolane. La strumentazione
della XCx è molto completa e facilmente consultabile. E’ invece un po’ macchinoso modificare le
mappe del motore. Comodissimo invece il riding
mode Rider personalizzabile dal pilota: si è rivelato perfetto in fuoristrada, dove abbiamo escluso l’ABS e il controllo di trazione in modo molto
semplice, salvando poi questa configurazione.
Tre cilindri con un range
di utilizzo unico
Motore con ride by wire e sospensioni WP. Sono
loro i protagonisti della Tiger 800 2015. Il primo evidenzia immediatamente una regolazione dell’acceleratore elettronico semplicemente perfetta; c’è un’ottima corrispondenza tra
paracoppa in alluminio,il cavalletto centrale, i
paramani e la presa ausiliaria aggiuntiva (la XC
standard ne offre una in zona blocchetto) da 12
V. La Tiger XC 800 sarà disponibile nelle colorazioni Phantom Black e Crystal White, a cui la
XCx aggiunge la Caspian Blue. Le versioni Tiger
800 XR e XC saranno disponibili da aprile 2015.
Le nuove Tiger 800, nelle versioni XRx e XCx
saranno disponibili in concessionaria da febbraio 2015. La Triumph Tiger 800 XC costa 11.390
euro f.c, mentre la Tiger 800 XCx ha un prezzo di
12.490 euro f.c.
La nostra prova su strada e fuori
Quel gran manico dell’ingegnere e collaudatore
Triumph David Lopez mischia le carte in tavola
e fa iniziare il nostro test su un bel single track
che sbuca in una cava di terra battuta e polverosa. I ragazzi inglesi credono nella bontà delle
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manopola ed erogazione di potenza. Il triple
appare ancora più dosabile e morbido in prima
apertura, non esiste alcun effetto chiudi-apri.
In più la risposta è lineare anche a 1.500 giri in
sesta e il range di utilizzo resta da riferimento
tra le maxi enduro (anche di cilindrata maggiore). Fluido fino a 5.000 giri, da qui parte con una
bella progressione che diventa rabbiosa passati
gli 8.000 giri. Il bello della Tiger è che consente
di andare a spasso col passeggero con un filo
di gas, ma all’occorrenza tira fuori gli artigli e si
trasforma in una Speed Triple a manubrio alto. Il
cambio e la frizione sono esenti da critiche. Il primo ha una spaziatura corretta, che permette al
motore di girare a soli 6.000 giri a 130 km/h. Verificheremo presto il consumo reale della Tiger,
che nel corso del test si è accontentata di soli 5,9
l/100km. E’ un ottimo valore, perché ottenuto
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Prove
in un giro con tanto offroad da prima e seconda
marcia. Il comportamento delle sospensioni WP
è efficace in fuoristrada, dove la forcella in particolare evidenzia una grande scorrevolezza. Su
strada i trasferimenti di carico sono più marcati;
nella guida sportiva abbiamo chiuso la compressione (4 click dal tutto chiuso), ottenendo così un
comportamento più omogeneo tra avantreno e
retrotreno. La frenata è molto modulabile e con
la giusta potenza. Ottimo l’ABS, che si fa sentire
solo quando serve veramente. Parliamo ora della
tenuta di strada. La Tiger 800 XCx non ci ha delusi e ha confermato i pregi che l’hanno fatta apprezzare in questi anni. La ruota anteriore da 21”
(con pneumatici Bridgestone Battle Wing) rende
appena più lenti i cambi di direzione, complice
il baricentro alto dovuto al motore a tre cilindri.
Il piacere di guida sui percorsi tutte curve resta
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ABBIGLIAMENTO
però di quelli giusti. La Tigrotta inglese piega infatti di brutto (i piolini delle pedane hanno le ore
contate) e ha un rigore assoluto nel mantenere
la traiettoria. Per assurdo la ruota da 21 pollici ha
il pregio di rendere la guida appena più lenta su
asfalto, ma molto più rotonda e precisa. Il 12 valvole fa il resto, regalando un’accelerazione brillante e un allungo da fuori di testa. Con la mappa
Sport la risposta è ancora più pronta, a scapito
della linearità offerta dalla mappa Road. La Tiger
800 XC si conferma una moto polivalente, a suo
agio anche nel fuoristrada più facile. Qui è uno
spasso guidarla col gas in mano e risulta un gioco
farla derapare sulle ali dei suoi 95 cavalli. Le sospensioni WP e la gestione ride by wire non hanno certamente stravolto la Tiger che conoscevamo, ma hanno migliorato una moto che ancora
oggi è una proposta decisamente interessante
nel panorama delle enduro stradali, anche di cilindrata ben superiore.
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SCHEDA TECNICA
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Prove
Casco X-lite X551
Occhiali Raleri
Giacca Spidi Workers
Pantaloni Spidi Six Days
Guanti Spidi Automatiko
Paraschiena Spidi
Stivali TCX Boots
Triumph Tiger 800 XC 11.390 euro
Tempi: 4
Cilindri: 3
Cilindrata: 800 cc
Disposizione cilindri: in linea, trasversale
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 95 cv (70 kW) / 9250 giri
Coppia: 8.05 kgm (79 Nm) / 7850 giri
Marce: 6, cambio meccanico
Consumo: 4,3 Km/l
Freni: DD/D
Misure freni: 308/255 mm
Misure cerchi (ant./post.): 21’’ / 17’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Lunghezza: 2215 mm
Larghezza: 829 mm
Altezza sella: 1350 mm
Capacità serbatoio: 19 l
Segmento: Enduro Stradale
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Kymco K-XCT 300i ABS
PREGI
Consumi e Frenata
DIFETTI
Prezzo 4.850 €
Ergonomia pilota migliorabile
PROVA SCOOTER
SPORTIVO A
TUTTO TONDO
Sportivo a ruote basse dal motore godibilissimo,
brillante e moderato consumatore, il più recente dei
“300” di Casa Kymco è disponibile anche con l’Abs,
al prezzo di 4.850 euro. E a 3.900 euro c’è
anche il 125. Un po’ rigide le sospensioni in città
di Maurizio Tanca
Foto Thomas Bressani
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migliorata anche la sicurezza attiva con l’arrivo
dell’ABS, le cui prestazioni, come vedremo, sono
decisamente soddisfacenti. Quanto al motore - il
medesimo del Downtown - nel corso del tempo
è stato piacevolmente addolcito nella primissima parte di erogazione, acquisendo tuttavia una
progressione e prestazioni ancor più gratificanti,
abbinate a consumi tutt’altro che criticabili. Pur
mantenendo uno spunto più che soddisfacente.
Lo stile
Il centro stile di Kymco – che collabora da tempo con alcuni studi di design italiani - ha studiato per il nuovo leader della gamma “300” una
linea molto filante, compatta e pure originale,
evidentemente improntata sulla massima resa
aerodinamica: basta osservare le forme della carenatura anteriore, dove musetto e fianchi (che
inglobano gli indicatori direzionali) non fanno
corpo unico, ma appaiono separati. Un’arguta
L
o scorso anno, in occasione del
lancio internazionale dei nuovi Xciting 400 e K-XCT 300 dal
piglio sportiveggiante, entrambi i veicoli in prova erano privi
dell’Abs, che tuttavia sarebbe
arrivato all’inizio di quest’anno. Come infatti
è avvenuto. Un must importante, il sistema di
antibloccaggio, che ha comportato aumenti di
prezzo decisamente abbordabili che, nota curiosa, hanno seguito pari pari le cilindrate dei due
modelli: ovvero 400 euro per l’Xciting, e 300
per il K-XCT, il protagonista di questa prova, la
cui quotazione è dunque lievitata a quota 4.850
euro. La versione senza ABS del K-XCT può però
usufruire dell’operazione “Rottama & Rinnova”,
grazie alla quale, rottamando un vecchio scooter, è possibile acquistarlo al prezzo di 4.100
euro. Per tutto il mese di ottobre 2014, inoltre,
è in essere anche la campagna di finanziamento
16
“Tutto a zero pensieri”. Per ulteriori informazioni
generali sul veicolo, vi consigliamo la consultazione del seguente link.
Prove
soluzione abbastanza affine a quella introdotta
da tempo sulla Yamaha R6, e che dovrebbe essere finalizzata a frangere i flussi d’aria per ridurne l’impatto frontale, ed evitare turbolenze che
potrebbero influire sulla stabilità del lo scooter
alle alte velocità. Da notare anche che sui fianchi del tunnel sono state ricavate due feritoie che
deviano all’esterno il calore che arriva dal radiatore (sistemato dietro la ruota anteriore). Quanto al riparo dall’aria, ad esaltare ulteriormente il
più volte citato concetto di sportività non poteva
certo mancare un bel plexiglas scuro a mezza altezza, anch’esso studiato in modo da garantire a
chi guida un impatto perlomeno soddisfacente,
come suggeriscono i due “cornetti funzionali” sul
bordo superiore. I fianchi della carenatura sono
abbastanza estesi nella parte bassa, ed accentuatamente sagomati internamente, ma non sufficientemente larghi per poter appoggiare i piedi
negli incavi. Le pedane per il passeggero, invece,
Media
K-XCT 300i ABS: com’è fatto
L’ultimo arrivato dei numerosi Kymco con motore da 300 cc (nominali o virtuali che siano) è
conseguente alla crescente domanda, da parte
degli utenti, di scooter di stampo sportiveggiante, sia stilisticamente che dinamicamente. Senza
tuttavia perdere le irrinunciabili caratteristiche
polivalenti tipiche dei commuter cittadini, adatti
però anche a percorrenze di una certa portata.
Il K-XCT doveva dunque apparire più sportivo e
dinamico dell’apprezzato Downtown, ritenuto
turistico nonostante il caratterino abbastanza
pepato del suo motore. Sicchè il telaio è stato
rinforzato e compattato in termini di interasse, per guadagnare agilità e precisione di guida. E, anche se con qualche mese di ritardo, è
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sono estraibili. Notevole anche l’impianto illuminante, completamente nuovo e molto ben inglobato nel musetto: i due fari indipendenti puntano
su potenti lampade alogene H7 per anabbagliante e abbagliante, con brillanti “tubi di luce” a LED
ricavati sui bordi esterni, con funzione di luci
diurne/di posizione. Non meno sfavillante il codino posteriore a punta, sormontato dagli eleganti
maniglioni per il passeggero e con una mitragliata di LED rossi al centro.
I comandi
Sul manubrio, dotato di sempre ben accette leve
regolabili, specchietti sufficientemente efficaci e contrappesi alle estremità, figurano blocchetti elettrici di stampo tradizionale. Il sinistro
naturalmente include il deviatore abbagliante/
anabbagliante, il pulsante di lampeggio anteriore, il deviatore per le “frecce” ed il pulsante del
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clacson. Il destro invece è saggiamente dotato
dei deviatori per lo spegnimento rapido del motore in casi di emergenza e, anteriormente, per
l’inserimento simultaneo delle quattro “frecce”,
o “hazard” che di si voglia. Oltre al pulsante di avviamento (effettuabile solamente tirando la leva
del freno posteriore), inoltre, troviamo ancora il
deviatore a slitta per accendere le luci e commutarle da posizione ad anabbagliante: una scelta
dovuta senz’altro al fatto che l’obbligo delle luci
accese non è obbligatorio ovunque nel mondo;
ma che, perlomeno qui in Italia, crea sistematicamente numerosi “fuorilegge involontari” vittime
della loro distrazione, piuttosto che automobilisti parzialmente convertiti alla causa motociclistica che spessissimo ignorano, totalmente o
quasi (tipo usando solo le luci di posizione, quasi
sempre praticamente invisibili) le regole del codice stradale relative all’argomento. Ricordiamo
ancora una volta, dunque, che fin da 2002 il nostro Codice Della Strada obbliga motociclisti e
scooteristi a tenere le luci anabbaglianti sempre
accese, per ovvi motivi di sicurezza passiva.
Il cruscotto
Disposta a foggia di boomerang, la strumentazione completamente digitale ospita, al centro, il contagiri a barre e cifre con fondo scala
a 10.000, affiancato dal tachimetro a segmenti
sormontato dai vari contachilometri, uno totale
e tre parziali: trip A e B, e Service, quest’ultimo
indicante il chilometraggio percorso dopo l’ultimo azzeramento del contachilometri di servizio
(dopo l’ultimo tagliando effettuato, per esempio). A fianco spiccano l’indicatore di livello della
benzina, l’orologio ed il termometro del liquido di
raffreddamento. Tutte le funzioni variabili - compresa la possibilità di scegliere tra km e miglia -
Prove
vengono gestite da due pulsantini di gomma
sistemati all’estrema sinistra, sopra i quali troviamo quattro spie: controllo funzionalità dell’iniezione, “oil service” (indica i cambio d’olio
secondo i tagliandi programmati), abbagliante e
indicatore direzionale. All’estremità opposta invece le spie sono cinque: indicatore direzionale
destro, pressione olio, riserva carburante, carica
della batteria ed eventuale malfunzionamento
dell’Abs: nel qual caso, l’impianto frenante naturalmente rimarrebbe perfettamente funzionante.
I particolari pratici
Passiamo al retro scudo, che sulla destra alloggia il blocchetto di avviamento, tradizionalmente dotato di serratura con sportellino a scatto
attivabile schiacciando un pulsantino giallo, e
sbloccabile con l’apposito attrezzino inglobato
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nel corpo della chiave: quest’ultima ha la testa
snodabile, per evitare malaugurate rotture (anche della rotula….) nel caso capitasse di urtarla
col ginocchio destro. Oltre alla serratura del tappo del serbatoio, occultato da uno sportellino a
scatto al centro del tunnel, la chiave di avviamento sblocca anche quella della sella, sia col motore acceso (premendola e ruotandola in senso
antiorario), sia spento, con o senza il manubrio
bloccato. Al centro del retro scudo è sistemato
il classico gancio estraibile per appendervi borse
o qualunque altra cosa che non pesi più di 3 kg.
A sinistra invece è stato ricavato un utile cassettino abbastanza profondo, con portata di 1,5 kg
e sigillato da un inconsueto e spesso coperchio
basculante a scatto: in fondo al vano c’è la presa di corrente a 12 Volt (con tappo in gomma
in caso di inutilizzo) consigliata dal costruttore
solamente per ricaricare il cellulare. Sempre a
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sinistra, nell’incavo del retro scudo, compare
un coperchietto avvitato, tolto il quale è possibile accedere al contenitore del liquido refrigerante. Notevole la struttura della sella, che una
volta sollevata viene sostenuta da una coppia
di pistoncini cortissimi appaiati infulcrati nella
cerniera anteriore, in modo da non disturbare
quando si sistemano oggetti nel vano sottostante, piuttosto che nel vuotarlo. Da notare, inoltre,
che la sella è bloccata posteriormente da due
serrature simultanee, il che chiaramente la rende più stabile e più al sicuro da tentativi di effrazione. Lo spazio sottosella può tranquillamente
ospitare un casco integrale e altri piccoli oggetti,
per un massimo di 10 kg; all’estremità anteriore
sono piazzati due ganci per appendere i caschi,
il coperchio che cela la batteria (fissato da una
vite) e un lungo tappo in gomma che nasconde i
numeri del telaio; posteriormente invece brilla e
una luce di cortesia a LED. Ci sono anche alcuni
attrezzi, ma senza un apposito contenitore fisso
per contenerli.
Il motore
Svelato nel 2009 e inaugurato sul Downtown
300i con la sigla SK60, nel corso degli anni il monocilindrico G5 è stato costantemente ottimizzato nella fluidità di erogazione e di trasmissione, arrivando oggi all’attuale livello, decisamente
apprezzabile. Stiamo chiaramente parlando di
un motore nel realizzare il quale progettisti della
Casa di Taiwan si dedicarono alacremente alla
riduzione degli attriti tra i componenti interni in
movimento, in particolare a livello di distribuzione (gli usuali bilancieri a strisciamento vennero
sostituiti da elementi che lavoravano sulle camme con interposizione di cuscinetti a sfere ad
alta velocità, con un guadagno tra il 20 ed il 30%
Prove
a seconda della cilindrata: 125 e 300) e di pistone, ove il rivestimento al nitruro di cromo applicato ai segmenti fruttò un ulteriore guadagno del
12% in termini di scorrevolezza. Il che, come previsto, si tradusse in una notevole riduzione dei
consumi (e, di conseguenza, delle emissioni nocive): la Casa taiwanese dichiara infatti percorrenze di oltre 30 km/litro. Siglato SK60B, il G5
che equipaggia il K-XCT (sigla articolata che sta
per Kompact Xciting) ha un rapporto alesaggio/
corsa di 72,7x72 mm, che porta ad una cubatura
di 299 cc, testata a 4 valvole ad alto rendimento
volumetrico, raffreddamento a liquido e alimentazione a iniezione elettronica a ciclo chiuso con
sonda Lambda. La potenza dichiarata è di 27,8
cv (20,4 kW) a 7.750 giri, con un picco massimo
di coppia di 2,84 kgm (28,97 Nm) a 6.500 giri.
Valori peraltro non perfettamente coincidenti
con quelli del Downtown, la cui scheda tecnica
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consumo medio nei due sensi, alla velocità costante di 130 km/h effettivi, è risultato di 21
km/l. Il K-XCT300, infine, pesa 187 kg col serbatoio da 11 litri pieno; quindi 179 kg a serbatoio
vuoto (176,4 dichiarati dal costruttore, contro i
179 del Downtown).
In sella
Sono due le cose che colpiscono immediatamente una volta partiti col K-XCT, dopo il fatto
di poter poggiare facilmente i piedi a terra: la
prima riguarda il generosissimo angolo di sterzata, che consente inversioni di marcia in spazi
davvero ridotti e, naturalmente, facilita alla grande lo sgusciare nel traffico; la seconda invece è
la grande sensibilità dello sterzo che sulle prime, sicuramente per via dell’agile profilo delle
Maxxis iPro, potrà far sentire i meno esperti poco
padroni del mezzo, anche per via del manubrio
dichiara due cavalli in più (29,8/21,9 kW) a parità
di giri, con 2,95 kgm (30,1 Nm) a quota 6.250. Da
notare che questo motore G5 equipaggia anche
la versione 2015 del “ruote alte” GTi.
una coppia di dischi da 260 (a margherita) e 240
mm di diametro, rispettivamente davanti e dietro. E, naturalmente, assistiti dall’efficace ABS a
due canali realizzato da Bosch.
La ciclistica
Prestazioni e peso
Si basa su un robusto telaio tradizionale in tubi
tondi di acciaio, costituito da due culle sovrapposte. Rispetto all’omologo “scheletro” del Downtown, qui l’interasse è di sensibilmente più corto:
1.450 mm contro 1.553, proprio per acquisire
una maggior maneggevolezza. Anche il K-XCT
vanta inoltre una nuova forcella con steli da 37
mm di diametro, sempre a perno trainato e con
escursione di 110 mm. La coppia di ammortizzatori posteriori, regolabili su 5 scatti di precarico,
hanno invece un’escursione di 93 mm anziché
100. Identico l’impianto frenante, composto da
22
Prove
abbastanza compatto. Una volta abituatisi all’agilità di questo scooter, tuttavial, la sensazione
sparirà per lasciar spazio al piacere di guidarlo
così disarmante facilità, con un più che onesto
aiuto da parte delle gomme. Va però sottolineato che viaggiare in coppia sul K-XCT richiede un
po’ di sacrificio da parte di chi guida, specie se
di statura dalla media in su: il passeggero siede
piuttosto comodo, ovviamente rialzato rispetto
al pilota, che però è impossibilitato ad arretrare
fino al rialzo della sella che dovrebbe fungere da
supposto lombare. Il che fa sì che guidando ci si
trovi spesso con i gomiti poggiati sulle cosce di
chi siede dietro, e con le ginocchia a filo di retroscudo, se non pressate contro di esso: anzi, col
ginocchio destro spostato lateralmente per non
interferire con la chiave di avviamento, come già
accennato. Prima o poi, comunque, anche senza
“zavorra” a bordo ci si ritrova sistematicamente
Quanto alle prestazioni effettive rilevate strumentalmente, calcolando la media dei passaggi
nei due sensi la punta massima velocistica raggiunta dal K-XCT è stata di 141 km/h (circa 155
indicati) a 9.600 giri circa. A 130 km/h effettivi
il tachimetro ne indica invece 143, a 90 effettivi ne corrispondono 99, e a 50 invece 55. Alla
voce consumi, la percorrenza media della prova
è stata di circa 23 km/l. Esaminando i differenti
contesti, il consumo medio cittadino rilevato è
stato di 20 km/l, saliti a 30 sul nostro percorso extraurbano tipo. In autostrada, invece, il
23
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a guidare tutto in avanti e con le braccia un po’
contratte, perché la sella, pur discretamente
spaziosa e non scivolosa, è più cedevole verso la punta: un problema abbastanza noioso e,
oltretutto, piuttosto comune, specie in ambito
scooteristico. Possibile che non si riesca a fare
di meglio? Apprezzato corresponsabile della
piacevolezza di guida del K-XCT è ovviamente il motore, dal carattere davvero gradevole. Il
monocilindrico Kymco ha uno spunto pronto e
piacevolmente brillante, senza ritardi o fastidiosi
on-off, cui segue un’erogazione corposa che porta in breve tempo a velocità di assoluto rispetto per uno scooter di questa categoria. A 100
e 130 orari indicati si viaggia letteralmente sul
velluto, mentre non mancano alcune vibrazioni
sulla pedana, in accelerazione e decelerazione. Il
K-XCT300i gode di una buona ciclistica, che sul
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liscio consente di guidarlo anche da sportivotto,
divertendosi sul misto e filando a tutto gas sui
bei curvoni autostradali senza batter ciglio, con
o senza passeggero a bordo. Complici le sospensioni, come già detto piuttosto toniche, e, a nostro avviso, l’aerodinamica ben riuscita, in condizioni ottimali. Chiaro che capitando nella scia di
qualche mezzo pesante in autostrada un pegno
bisognerà pur pagarlo…Purtroppo non abbiamo
provato il K-XCTcol parabrezza opzionale, né ovviamente col bauletto montato: quindi non sappiamo dirvi se, e in che modo, la dinamica ne venga influenzata. Uno scooter divertente insomma,
questo Kymco che invita a piegare su rotonde e
tornanti, e che vive il caos la città con notevole disinvoltura. Chiaramente le sospensioni sul brutto faranno saltellare un po’, specie gli ammortizzatori, abbastanza “secchi” nella prima fase di
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Prove
escursione. Ma francamente abbiamo provato
di peggio: sul pavè regolare di problemi grossi
non ne saltano fuori, anche non muovendosi a
passo d’uomo; quello in pessimo stato invece
basta affrontarlo con moderazione, e le sospensioni faranno il loro “gommosetto” lavoro senza
tamponare noiosamente a fondo corsa. Ottimo
l’impianto frenante, specie davanti: è potente e
molto ben gestibile, e per sentir intervenire l’ABS
bisogna proprio cercare la frenatona da panico;
come sempre, invece, l’ABS posteriore entra in
azione prima, in particolare – superfluo sottolinearlo - a maggior ragione senza passeggero a
bordo. Anche per il disco posteriore, comunque,
la gestione della leva è decisamente lodevole:
particolare, a mio modo di vedere, che aiuta parecchio la gestione del mezzo non solo su curve
e tornanti stretti, e comunque in ogni situazione
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Prove
Kymco K-Xct 300i ABS 4.850 euro
Tempi: 4
Cilindri: 1
Cilindrata: 298.9 cc
Disposizione cilindri: Orizzontale
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 27.8 cv (20.4 kW) / 7750 giri
Coppia: 28.97 Nm / 6500 giri
Marce: AV
Freni: D-D
Misure freni: 260-240 mm
Misure cerchi (ant./post.): 14’’ / 13’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 176.4 kg
Lunghezza: 2120 mm
Larghezza: 785 mm
Capacità serbatoio: 11 l
Segmento: Scooter Ruote alte
ABBIGLIAMENTO
d’uso, in particolare su asfalto sporco o bagnato.
Chiudiamo tornando a sottolineare che anche
con il K-XCT, una volta montati parabrezza alto e
bauletto, le nostre brave gitarelle di qualche centinaio di chilometri, tragitti autostradali inclusi,
sono certamente fattibili: con 11 litri di carburante (la riserva non è nota, ma ipotizziamola di un
paio di litri), viaggiando senza grande fretta i 200
km sono a portata di mano. E in 200 km si può
anche aver voglia di sgranchirsi un po’ le gambe.
Magari il pilota, se di taglia importante, più che il
passeggero.
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SCHEDA TECNICA
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Casco Caberg Riviera V2
Giubbino Ixon Dune Up
Guanti Ixon RS Scud HP
Scarpe Stylmartin Sunset
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BMW R NINET SPECIAL PROJECT
SECONDA PARTE
Alessandra e Frank, eccoli di nuovo insieme in sella alle loro BMW di
oggi e di ieri. E di nuovo in officina dove si confrontano e gettano le
basi di un progetto unico
A
lessandra e Frank, insieme in sella
alle loro BMW di oggi e di ieri. E di
nuovo in officina dove si confrontano,
discutono e parlano del progetto di
customizzazione della R nineT di Alessandra. La
moto diventerà espressione del suo carattere.
Un mezzo speciale, un pezzo unico che richiama
la personalità complessa della scrittrice, biologa
e fotografa italiana (qui la sua intervista). Frank
28
Augello di Moto Sumisura deve aiutarla. Per riuscirci deve conoscere Alessandra, capire come
vive, cosa ama, quali sono le sue aspirazioni. E’
così che nascono i primi bozzetti in officina. La
BMW R nineT perderà i pochi pezzi in plastica,
avrà una livrea speciale. Ma Alessandra - in partenza per la sua adorata Africa - rivedrà la roadster fatta e finita al suo rientro. E noi con lei.
Seguiteci!
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PRESTAZIONI E SICUREZZA CON
LA TECNOLOGIA DEL FUTURO
LA TAVOLA ROTONDA DI MOTO.IT
di Maurizio Gissi | C’è chi rimpiange la moto semplice, ma i tempi sono
cambiati e la tecnologia elettronica è ormai irrinunciabile se si vogliono
gestire le enormi prestazioni raggiunte, se si vuole migliore la
sicurezza e se bisogna tutelate l’ambiente. Ne parliamo con i
responsabili di Bosch, Magneti Marelli, Gruppo Piaggio e Peugeot
L
e prestazioni delle attuali MotoGP non
sarebbero possibili senza l’elettronica
di controllo, Querlla che permette di
gestire la potenza in curva, di migliorare la stabilità in frenata e di contenere i consumi
di carburante a livelli sconosciuti alla produzione
di serie. Senza poi considerare l’importanza di
30
sistemi come l’ABS, il controllo di stabilità e quello di trazione che sono utili ai fini della sicurezza,
oltre che del piacere di guida, sulle moto che guidiamo tutti i giorni. La tecnologia elettronica ha
compiuto passi importanti negli ultimi anni sul
fronte del sfruttamento delle prestazioni, come
sulla riduzione delle emissioni inquinanti, ma
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anche se pensiamo all’ABS sportivo di alcune
moto di serie – alla sua efficienza e sicurezza –
capiamo che non si più farne a meno. L’ultima tavola rotonda di Moto.it, svolta anch’essa durante
il salone di Milano, chiude il ciclo che ha trattato il
tema del ritorno delle super sportive, quello della
sicurezza del casco, della riscoperta della moto
classica e dell’evoluzione di enduro stradali e
crossover. Nico Cereghini, con la collaborazione
di Maurizio Gissi, ha intervistato Maurizio Fiorentini (Program Manager R&D - Magneti Marelli
Powertrain), Stefano Chenesi ( a medio termine, dai veicoli elettrici alle competizioni.tecnologiciAcquisition Manager Bosch Two Wheeler
Safety), Enrico Pellegrino (Amministratore Delegato Peugeot Scooter Italia) e Luca Sacchi
(Responsabile Innovazione Strategica Marketing di prodotto 2 Ruote, Gruppo Piaggio). I temi
hanno spaziato dalla fotografia della situazione
attuale ai possibili sviluppi. Maurizio Fiorentini ha
ricordato che il controllo elettronica della coppia
erogata è importante per ragioni legate alla prestazioni e alla sicurezza, ma anche per ragioni
ambientali. Che sulle piccole cilindrate sta arrivando l’iniezione e questo aiuterà a sviluppare il
resto: c’è da aspettarci molte novità per il futuro.
La stessa esperienza del Kers in Formula 1 avrà
una ricaduta sulla produzione di serie. Stefano
Chenisi ha spiegato come è stata sfruttata la
tecnologia dell’auto trasferendola alle due ruote. Nelle quali cambia la dinamica, per cui il sistema ESP automobilistico si è evoluto nell’MSC
motociclistico. Lo studio del limite dell’aderenza
in curva fa sì che sia più semplice guidare, per
tutti. La mobilità urbana, ha aggiunto Enrico
Pellegrino, passerà necessariamente attraverso
una nuova tecnologia più pulita. Negli anni 90
Peugeot è stata la prima con lo scooter elettrico,
poi evoluto e ancora in gamma. Il mercato non
è operò ancora pronto soprattutto per problemi
infrastrutturali: mancano le colonnine di ricarica
e questo non tranquillizza. Uno stadio successivo è stata la bici a pedalata assistita: l’autonomia sale a oltre 100 km e la batteria si ricarica
Dibattito
facilmente asportandola. In Italia si vendono ormai più bici elettriche che cinquantini classici.
Luca Sacchi ha ricordato come Aprilia si è sempre distinta nella gestione elettronica, dal ride by
wire in poi. Piaggio lavora sull’elettrico da molto
tempo, ha in gamma il primo e unico ibrido (MP3)
in normale vendita, ora ha presentato la bici elettrica interamente progettata in casa. Piaggio ha
iniziato dalla bici perché è più facilmente comprensibile dal pubblico, ma è solo il primo passo
verso una nuova forma di mobilità: perché occorre rendere più accessibili le due ruote in città.
Aprilia ha anche proposto una app che permette
di regolare in maniera attiva le sospensioni e la
gestione motore della RSV4, e di svolgere altre
funzioni di rilevamento e confronto dei tempi e
delle prestazioni sul giro di pista. Non ci ferma a
questi aspetti naturalmente. Buona visione.
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Attualità
EURO 3 E EURO 4
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LE NUOVE OMOLOGAZIONI ANTI
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INQUINAMENTO DI CICLOMOTORI E MOTO bbbbbbbbbbbbbbb
di Maurizio Gissi | Sono entrate in vigore le nuove norme di
omologazione Euro 3 per i ciclomotori, mentre per le moto si
avvicina la scadenza per la Euro 4. Poi ci sarà un taglio sostanzioso d
elle emissioni a partire dal 2020 con la successiva Euro 5
l
primo passo è stato compiuto a luglio di
quest’anno, quando è entrata in vigore la
normativa Euro 3 per l’omologazione dei
nuovi 50 cc. A partire da quel momento
non è stato infatti più possibile omologare secondo gli standard della Euro 2, diversamente
dalla vendita, che è rimasta libera, e naturalmente dall’uso dei ciclomotori che è ammesso tutt’ora anche in caso di omologazione precedente. A
partire da luglio del 2015 tutti i ciclomotori costruiti dovranno però rispettare i limiti imposti
dalla Euro 3 in termini di emissioni inquinanti allo
scarico. Un secondo inasprimento ci sarà poi nel
2017, quanto per i cinquantini entrerà in vigore
l’omologazione Euro 4. Nella nuova procedura
omologativa è stato fra l’altro introdotto anche
un test di misurazione dei gas a motore freddo,
oltre a quello classico con motore portato in
temperatura di esercizio. Sulla carta di circolazione dei ciclomotori Euro 2, la norma è in vigore da giugno del 2002, si trova quindi la dicitura
“rispetta la direttiva 97/24 cap. 5 fase II” Per
quanto riguarda le moto e gli scooter, quindi con
cilindrata superiore a 50 cc, va ricordato che fra
poco più di un anno, a partire dal primo gennaio
2016, tutti i nuovi veicoli dovranno rispettare la
32
normativa Euro 4. In anticipo rispetto ai ciclomotori come del resto è già accaduto in passato
per gli altri step di inasprimento; a partire dallo
scorso mese di settembre è comunque già possibile per i costruttori omologare i nuovi modelli
di moto e scooter secondo lo standard Euro 4.
Le moto Euro 3, regolarmente in vendita, rispettano il protocollo in vigore dal 2006 e riportano
sulla carta di circolazione la dicitura “Rispetta
Direttiva 2003/77/CE Rif. 2002/51/CE Fase B”.
Oppure la dicitura alternativa “2006/120/CE”.
Ricordiamo che la sanzione per chi circola con
veicoli non a norma con la classe di emissioni allo
scarico, in casi di partcolari vincoli alla circolazione, va generalmente da 75 a 450 euro. L’allineamento per tutte le due ruote, ciclomotori e moto,
è atteso per il 2020, quando la nuova normativa
Euro 5 prevederà un ulteriore dimezzamento dei
limiti massimi ammessi. Questo significa che i
costruttori si troveranno ad affrontare ulteriori
problemi di complessità costruttiva, di layout
degli impianti di scarico e di aspirazione, sia per
osservare i parametri limiti e sia per non ridurre
le prestazioni. Il passaggio all’iniezione elettronica sarà insomma obbligatorio anche per i motori
di minima cilindrata.
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News
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BETA XTRAINER 300
UNA ENDURO FACILE E A DUE TEMPI
di Andrea Perfetti | Una enduro facile, ma a due tempi. Ecco servita
la nuova Xtrainer 300, perfetta per chi si avvicina al mondo del
fuoristrada senza spendere una follia. Marco Basile (direttore
vendite Beta) ne parla a Moto.it e ci svela il suo prezzo
M
arco Basile (direttore vendite della Beta) presenta ai nostri lettori
la nuova Xtrainer 300, un’enduro
perfetta per chi si avvicina al mondo del fuoristrada e non vuole spendere una
follia. L’equipaggiamento è di tutto rispetto e
conta su sospensioni di qualità; il telaio è in tubi
di acciaio ad alta resistenza e il motore è il conosciuto 2 tempi fiorentino di 300 cc dotato di
valvola sullo scarico per ottimizzare la coppia ai
bassi regimi.
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Sulla Xtrainer ritroviamo - finalmente - anche il
miscelatore automatico della miscela che renderà la vita molto più facile a chi fa giri in fuoristrada
medio-lunghi.
Non ci sarà più bisogno di portarsi dietro la scomoda boccetta con l’olio per la miscela. Si preannuncia interessante anche il prezzo, compreso
tra i 6.300 e i 6.500 euro.
Arriverà nei concessionari nel 2015 e, cosa ancor
più interessante, Beta organizzerà dei demo ride
per i potenziali clienti.
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
C’
era una volta il
Pallequadre
Nato nel 1986 da un’idea del
compianto Carlo Talamo, il
Pallequadre era il grande raduno invernale che
segnava la chiusura della stagione degli eventi
organizzati dai vari Chapter italiani, dei raduni,
delle uscite estive. La formula originale prevedeva lunghi e freddi roadbook per raggiungere la
città di destinazione, sconosciuta fino all’arrivo:
un raduno riservato a pochi coraggiosi (da qui
il nome Pallequadre) pronti a sfidare il freddo,
centinaia di chilometri e spesso anche la neve.
Negli anni a seguire, dopo il 1995, l’evento prende
il nome di H.O.G. Inverno e tocca l’Isola d’Elba, Rimini, Marina di Massa, Civitanova Marche, Roma,
Milano e Bologna; ma la vera meta è sempre la
stessa: riunirsi per condividere la grande passione per le due ruote e festeggiare come - ammettiamolo - solo gli Harleysti sanno fare!
Winter National Rally 2014,
Firenze
HARLEY-DAVIDSON
WINTER NATIONAL RALLY 2014
OLTRE 2000 PRESENZE A FIRENZE
di Cristina Bacchetti | Sabato 22 novembre oltre 2000 bikers hanno
raggiunto Firenze, da tutta Italia, per festeggiare insieme la chiusura
della stagione motociclistica e la grande passione per il Marchio
americano. C’eravamo anche noi! Nico Cereghini ne parla con i
rappresentanti di Bosch, Magneti Marelli, Peugeot e Gruppo Piaggio
36
Quest’anno è Firenze la città prescelta per la
grande chiusura della stagione: H.O.G. Inverno 2014 ha radunato nella città toscana più di
2.000 motociclisti, provenienti da 52 Chapter da
ogni angolo dello stivale. C’eravamo anche noi di
Moto.it, per raccontarvi questi tre giorni di moto,
freddo (ma non troppo!), musica e soprattutto... festa, organizzati alla perfezione dal Chianti
Chapter e dal Firenze Chapter, coadiuvati dal Perugia Chapter, Ravenna Chapter e Versilia Chapter. Tutti i concessionari d’Italia hanno aspettato
la chiusura del venerdì sera per mettersi in moto
e raggiungere una delle tappe di avvicinamento
dov’erano previste serate, feste e accoglienza
in hotel, per poi raggiungere Firenze il mattino
seguente. Noi ammettiamo di essercela presa
un tantino più comoda: partenza poco prima di
pranzo venerdì, autostrada il minimo indispensabile, Passo della Cisa (qui freddo e nebbia fittissima hanno deicsamente dato un senso al nostro
H.O.G. Inverno) e poi giù verso Lucca, dove siamo
Eventi
arrivati fradici, causa sfortunatissimi ultimi chilometri sotto alla pioggia. Tempo di appoggiare
strategicamente tutto l’abbigliamento tecnico
ad asciugare sul termosifone della camera, una
doccia bollente e via tra le mura della bellissima
Lucca, al party organizzato da Harley-Davidson
Versilia. L’indomani mattina, con di nuovo un’antipatica pioggerellina a farci compagnia (fortunatamente per poco), ci mettiamo in marcia verso
Firenze unendoci al gruppo dei Versilia Chapter.
Giungere nel Capolugo toscano e trovarlo invaso
dal rombo dei bicilindrici americani è indubbiamente un’emozione. Pima che in hotel facciamo
un salto alla Fortezza da Basso, location della festa: è colorata di nero-arancio e vede entrare e
uscire dalle sue mura centinaia di moto già dal
pomeriggio, nonostante il clou dell’evento sia la
serata. Serata per la quale anche noi andiamo
a metterci in ghingheri... Un paio d’ore e siamo
di nuovo alla Fortezza. L’atmosfera non è quella
del classico motoraduno: l’H.O.G. Inverno sembra più una grande (ok, molto grande) festa di
famiglia; vengono proiettati i video delle varie
partenze dalle concessionarie, persino un videomessaggio girato da Bill Davidson in persona per
gli Hoggers italiani. C’è musica, birra, e una grande attesa per la cena! All’interno della Fortezza
sono state allestite decine di tavolate per ospitare i 1950 coperti, divisi per provenienza. Puntualissimi alle 20.30 come da programma tutti i
52 Chapter fanno il loro ingresso in sala, sfilando
uno per uno, per prendere posto al proprio tavolo. Ottima cena tipica toscana, dj set, musica dal
vivo: la pista da ballo tra i tavoli non si è svuotata
fino alle 5 del mattino, momento in cui anche i
pochi temerari rimasti si sono dati la buonanotte
e l’appuntamento all’indomani per le ripartenze
verso casa. Domenica è anche per noi il giorno
del rientro. Da Firenze ci dirigiamo verso Pistoia
dove imbocchiamo la Porrettana, che con le sue
bellissime curve ci porta fino a Bologna. Poi fino
a Milano, col sole che va giù, col freddo, ma con
una bella esperienza e tanti chilometri alle spalle.
H.O.G. Inverno, arrivederci all’anno prossimo!
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pubblico; le modifiche ammesse sono ben poche. I pistoni devono essere quelli di serie, così
come gli spinotti e i segmenti, e non possono venire modificati. Idem per quanto riguarda le valvole, l’airbox e la trasmissione primaria. Le bielle
possono essere sostituite con altre che però devono essere realizzate con lo stesso tipo di materiale e non possono avere un peso minore, rispetto a quelle di serie. Gli alberi a camme invece
sono liberi. Queste nuove norme, varate per differenziare maggiormente le superbike dalle MotoGP (e forse anche per contenere i costi), hanno portato alcuni costruttori a realizzare moto di
serie ancora più spinte, con versioni destinate
ad essere utilizzate prevalentemente, se non
proprio esclusivamente, in pista. L’importante
è che ne venga realizzato un numero di esemplari sufficiente per ottenere l’omologazione. Le
case non dovrebbero avere problemi in questo
senso, dato che le richieste della FMI non sono
particolarmente severe in proposito (ciò appare
Media
Forti alesaggi abbinati a corse modeste (in foto il BMW S1000RR) consentono di raggiungere regimi di rotazione
molto alti e di ottenere una ottima respirazione, grazie alle valvole di grande diametro che è possibile installare
Tecnica
criticabile in quanto richiedendo numeri più elevati si sarebbero di fatto eliminate le “serie speciali” e le vere e proprie “race replica” pronte per
la pista). Dunque, non essendo più possibile preparare a morte i motori, vengono costruiti modelli già molto spinti, con tanto di bielle in titanio
e via dicendo. Si tratta di moto di grande pregio,
perfette tecnicamente e affidabilissime anche
nell’impiego più gravoso, ma viene spontaneo
chiedersi quale potrà essere la vita utile dei componenti più sollecitati e quali saranno le esigenze
dei motori in fatto di manutenzione (l’esperienza
del cross insegna), almeno per le realizzazioni
più spinte. Proprio per evitare problemi in questo
senso le case non si sono potute spingere oltre
un certo livello di “spremitura” dei loro motori.
E quindi, una volta effettuata la preparazione, rimanendo nei limiti consentiti dal regolamento, la
potenza della quale potranno disporre le nuove
superbike dovrebbe essere di circa una ventina
di cavalli inferiore rispetto ai valori del 2014.
Gli schemi tecnici adottati per i modelli di serie più spinti sono analoghi
a quelli utilizzati per le MotoGP (in foto il V4 della Honda RC213V)
SUPERSPORTIVE
LA TECNICA DELLE NOVITÀ
VISTE A EICMA
di Massimo Clarke | Da parte del mercato motociclistico sembrano
esserci segni di ripresa in alcuni importanti Paesi. E sono così apparse
nuove supersportive. Ecco alcune considerazioni tecniche per fare il
punto sulle novità 2015 nate anche in ottica superbike
D
i modelli inediti da tempo ne arrivavano col contagocce. Al recente
Salone della moto di Milano però
si sono viste diverse novità interessanti. In questa sede parliamo delle moto
di prestazioni più elevate, nei confronti delle
38
quali si intravvede un certo ritorno di interesse da
parte delle case. Sicuramente una certa “spinta”
è arrivata dalla prossima entrata in vigore del
nuovo regolamento delle Superbike, nettamente più restrittivo. Le moto infatti saranno molto
più vicine a quelle effettivamente vendute al
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Tecnica
Il V4 della Aprilia RSV4 1000
I quadricilindrici di 1000 cm3 delle odierne supersportive (qui il motore della Yamaha R1M) sono autentici capolavori
di meccanica in grado di erogare potenze di circa 200 cavalli a regimi di rotazione dell’ordine di 13500 giri/min
Idee comuni
Dal punto di vista tecnico, c’è una uniformità assoluta. Anche se diversi modelli sono nuovi, gli
schemi costruttivi e le soluzioni impiegate sono
fondamentalmente uguali per tutti. Si hanno
differenze, peraltro assai contenute, a livello di
misure caratteristiche (e quindi anche di dimensioni delle valvole), di rapporto di compressione,
di angolo tra le valvole, eccetera. Per quanto riguarda l’architettura, i quadricilindrici sono tutti in linea, eccezion fatta per l’Aprilia, che è a V,
con un angolo di 65° tra le due bancate. In una
classe a sé stante rientra il Ducati, sia per il fatto
di essere un bicilindrico a V di 90° che per avere
una distribuzione desmodromica. Pure la KTM
nella categoria delle supersportive ha un motore a due cilindri, ma con V di 75°. Vista questa
grande standardizzazione, sembra opportuno
fare un accenno almeno a un paio di parametri
motoristici significativi, anche per poter valutare
l’evoluzione che hanno subito negli anni recenti e
i valori ai quali sono arrivati. La potenza dei 1000
40
a quattro cilindri di serie più performanti viene
oggi indicata generalmente in circa 200 cavalli. I
bicilindrici hanno una cilindrata superiore, e pertanto occorre fare riferimento alla loro potenza
specifica, per poter fare un confronto; il Ducati
1199 Panigale R, studiato proprio per le gare superbike, dispone di 205 cavalli, corrispondenti a
171 CV/litro. A titolo di riferimento, i motori delle
auto di serie (aspirati a ciclo Otto) si attestano
mediamente sui 65-75 CV/litro; quelli delle monoposto di Formula Uno del 2006 (ultimo anno
senza limitazione del regime di rotazione) raggiungevano i 300 CV/litro e talvolta li superavano leggermente. Le attuali MotoGP pare abbiano
una potenza dell’ordine di 260 cavalli e le migliori superbike del 2014 sono arrivate a circa 230.
All’inizio degli anni Ottanta i motori di 900-1100
cm3 a quattro cilindri erogavano 95-105 CV/litro; alla fine del decennio i 1000 disponevano di
125-130 cavalli. Una bella differenza rispetto alle
potenze degli odierni quadricilindrici di eguale
cilindrata…
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media del pistone, o almeno senza che essa possa raggiungere valori troppo alti, si diminuisce la
corsa, aumentando contemporaneamente l’alesaggio (cosa vantaggiosa ai fini delle prestazioni
anche in quanto consente di installare valvole
più grandi). Questa strada come ovvio è percorribile solo entro certi limiti. Con i cilindri in linea
infatti l’alesaggio non può crescere oltre un certo valore per non causare un eccessivo aumento
dell’ingombro trasversale. E comunque, oggi i
regolamenti pongono ben precisi limiti in questo
senso, anche per mettere sullo stesso piano i
motori indipendentemente dalla loro architettura costruttiva. All’inizio degli anni Ottanta il
rapporto tra la corsa e l’alesaggio nelle grosse
Tecnica
quadricilindriche era indicativamente compreso
tra 0,76 e 0,93; alla fine del decennio però era
già arrivato a 0,70-0,78. Nelle attuali 1000 supersportive va da 0,62 a 0,77. Può essere interessante segnalare che i motori di Formula Uno
aspirati di qualche anno fa erano scesi a 0,410,44; l’alesaggio era mostruoso (per montare
valvole enormi!) se considerato in relazione alla
corsa. Quest’ultima era ridottissima, il che consentiva di raggiungere e superare regimi anche
superiori a 19.000 giri/min senza che la velocità media del pistone arrivasse a valori eccessivi.
Per quanto riguarda le accelerazioni alle quali i
pistoni erano sottoposti, però, la storia era ben
diversa…
Yamaha YZF-R1M
BMW S1000RR
E’ una questione di respirazione
La velocità media del pistone, che viene calcolata al regime di potenza massima, è spesso citata
come parametro motoristico di notevole importanza; in effetti, oltre ad essere facile da calcolare, è senz’altro un utile riferimento in molti casi.
Una prima constatazione è che essa appare più
elevata nei motori particolarmente spinti. Per
ottenere una maggiore potenza, ferma restando
la cilindrata, si lavora principalmente per migliorare la respirazione del motore, per ridurre le
perdite per attrito e per aumentare la velocità
di rotazione. Per quanto riguarda quest’ultimo
aspetto, è evidente che, se la corsa non varia,
come conseguenza si ha un incremento della
velocità media del pistone. Nei quadricilindrici di
42
1000 cm3 di serie oggi vengono raggiunti valori
dell’ordine di 21,5-23,8 metri al secondo, che fino
a non molti anni fa erano toccati solo dai motori
automobilistici da competizione. Nelle superbike più recenti si è arrivati a 25-26 m/s, ovvero
a valori analoghi a quelli dei motori delle auto
di Formula Uno pre-2007 e delle MotoGP (nelle
vetture di serie con motore a benzina aspirato
si va in genere da 16 a 21 m/s). Il limite, oramai
pressoché raggiunto dai motori da competizione, non è tanto di natura meccanica, quanto di
ordine fluidodinamico: al di sopra di una certa velocità media del pistone il motore entra infatti in
una grave “crisi respiratoria”. Ferma restando la
cilindrata, per poter raggiungere regimi di rotazione più elevati senza fare aumentare la velocità
43
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SPONSOR PER VIAGGI IN MOTO
ECCO COME TROVARLI
di Pietro Ambrosioni | State progettando un viaggio intorno al mondo
ma non trovate gli sponsor? Ecco le sei regole che possono aiutarvi
nell’impresa
O
ltre al mio lavoro come fotografo e
giornalista spesso faccio da consulente marketing per diverse aziende
del settore moto. La mia conoscenza del mercato USA, maturata in oltre 10 anni di
presenza sul territorio fa si che in molti si rivolgano a me per un supporto “in loco”. Gli Stati Uniti
sono la patria indiscussa del social marketing e
molte aziende mi cercano per creare contenuti
da postare sulle loro pagine Facebook, Instagram e Twitter. Come spesso succede, inizio con
qualche foto e brevi messaggi, per poi trovarmi
dopo qualche settimana a diventare administrator di diversi account. Tutta questa tirata non
serve per farmi self-promotion ma per dare una
mano a chiunque desideri “essere aiutato” dalle
varie aziende del settore. Il mio ruolo di admin mi
pone nella posizione di ricevere dozzine di messaggi con richieste di supporto da parte di piloti
ed appassionati, tra cui negli ultimi due anni sono
emersi soprattutto i grandi viaggiatori. Le richieste arrivano soprattutto da due tipologie: quelli
che desiderano fare la “Alaska-Terra del Fuoco”
e quelli che invece puntano a intraprendere il
giro del mondo. In entrambi i casi gli USA diventano per loro una nazione strategica, vista la loro
estensione e visto anche il potenziale che hanno
nell’attirare l’attenzione dei vari followers. Se
dunque in questo momento state pensando ad
intraprendere uno di questi due viaggi e magari
siete in procinto di contattare qualche azienda
per chiedere una sponsorizzazione, concedetemi di darvi qualche consiglio affinché la vostra richiesta venga considerata, spiccando tra il mare
44
di email che ogni giorno le suddette aziende ricevono a riguardo. Innanzi tutto siate originali: così
come in Europa ormai tutti ne hanno le scatole
piene di chi va a Capo Nord, qui negli USA certe
“avventure” hanno perso molto del loro fascino
originale. Se vi presentate con un breve messaggio chiedendo supporto per fare il Coast to Coast o la Route 66 su una Harley a noleggio o sulla
vostra BMW GS spedita da Milano sappiate che
l’unica cosa che otterrete saranno solo sbadigli.
O al massimo un po’ di sconto per acquistare il
materiale che vi serve (il che è già qualcosa…).
Siate originali: il Coast to Coast fatelo su una Vespa o su una Triumph d’epoca, ad esempio, la
Route 66 magari che so, su un sidecar. La seconda cosa è la presentazione: mettetevi nei panni
di chi deve valutare se investire o meno tempo e
denaro in voi. Preparate un file in PDF (più leggero da spedire via email, senza intasare le caselle
di chi lo riceve) corredato da tutte le informazioni necessarie: chi siete, da dove venite, cosa fate
nella vita e quali sono le motivazioni che vi hanno
spinto a fare il vostro viaggio. Allegate una foto
vostra e della moto e se potete trovate anche un
“angolo” diverso, una motivazione più profonda
ed interessante rispetto alla semplice voglia di
smotazzare per i cinque continenti o celebrare
il vostro 30º anniversario di matrimonio. Fate le
vostre ricerche e scovate qualche NGO o qualche associazione che possa dare un significato
più concreto alla vostra esperienza, ad esempio.
Terzo: siate precisi nelle vostre richieste, offrite
diverse opportunità al vostro eventuale sponsor.
Se cercate denaro specificate quanto e come lo
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usereste, se cercate prodotti siate certi di elencare esattamente quali prodotti volete. fatelo
bene, visitate i siti delle aziende e compilate una
lista precisa con codici dei prodotti, nomi, eventuali taglie e colori. Quarto: preparate una pagina
web o un blog dove parlerete del vostro viaggio e
siate certi di garantire una copertura se non quotidiana almeno settimanale della vostra avventura. Supportate il tutto con una pagina Facebook
e magari un account Instagram dove postare
foto e curiosità. Ricordatevi però che una semplice pagina Facebook non basta: per loro stessa
natura i social media sono effimeri, nel senso che
il vostro contenuto sarà in poche ore sepolto da
una massa di altri post, diventando virtualmente
invisibile. Il sito o il blog sono invece strumenti
più concreti, dove la vita dei vostri contenuti si
estende sensibilmente. Non solo le aziende amano poter linkare e pubblicare e a loro volta i vostri post, ma quelli come me a fine anno devono
rendere conto di come soldi e risorse destinati
al marketing siano stati spesi. Diventa cruciale
poter ricostruire il tutto e la cosa è fattibile solo
rivisitando siti e blog dedicati. Con Facebook o
qualsiasi altro social media è invece praticamente impossibile. Quinto: foto e video! Se non siete dei fotografi o cameraman provetti, cercate
On the road
almeno di migliorare le vostre capacità parlando con chi ne sa di più o guardandovi dei tutorial online (Youtube). Siate certi di procurarvi il
materiale necessario a garantire immagini di alta
qualità.
Procuratevi una reflex o una mirrorless affidabile, con buone capacità video ed un’ottica
grandangolare (sarà quella che userete di più) e
procuratevi anche una compatta impermeabile:
vi salverà in diverse occasioni, credetemi. Sesto
ed ultimo punto, il più importante di tutti: prima
di chiedere dovete sapere cosa potete offrire. Le
aziende decidono chi sponsorizzare in base alla
diffusione che il materiale potrà avere, o al tipo
di ritorno che ne potranno ricavare. Prendete
accordi con potenziali riviste o siti web che possano pubblicare i vostri contenuti e menzionate
i nomi delle testate nella vostra richiesta. Offrite i diritti di utilizzo di foto e video agli sponsor
e soprattutto siate ben chiari su come intendete
promuovere i loro marchi e prodotti. Non perdetevi in voli pindarici e non fissatevi obiettivi irrealizzabili: siate semplici e chiari, e soprattutto non
promettete nulla che per qualsiasi motivo potreste non essere in grado di mantenere. Ricordatevi che la concorrenza la fuori è agguerrita e…
buona fortuna!
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La lettura
I RACCONTI DI MOTO.IT
“UNA PASSIONE IRRINUNCIABILE”
di Antonio Privitera | Io e Ornella non si va affatto d’accordo. Un mese
fa abbiamo litigato durante la cena del mio compleanno alla fine della
quale il suo gesto più maturo è stato quello di uscire dal ristorante,
levare il cavalletto alla moto e lasciarla cadere a terra sghignazzando
che voleva rovinarmi la vita a partire dalla carenatura sinistra
I
o e Ornella non si va affatto d’accordo. Un
mese fa abbiamo litigato durante la cena
del mio compleanno alla fine della quale
il suo gesto più maturo è stato quello di
uscire dal ristorante (prenotato da lei perché
una tecnologa alimentare le sa tutte: i luoghi più
puliti, il cibo più sano e via eccependo), levare il
cavalletto alla motocicletta e lasciarla cadere a
terra sghignazzando che voleva rovinarmi la vita
a partire dalla carenatura sinistra. Dopo aver
soppresso l’istinto di strangolarla con il cavo della frizione, l’ho incalzata con una filippica sulla
sua infondata e morbosa gelosia da cui l’assunto
che non era mica una colpa se per vivere faccio il
musicista e torno ogni sera a casa tardi.
Il musicista, si sa, è piacione: gigioneggia col
pubblico e sorride a tutti, il fatto che le ragazze
ogni tanto gli facciano gli occhi dolci è un corollario digerito da Ornella come la benzina a colazione, alimento che avrebbe potuto aggiungere
qualcosa al bagaglio di conoscenze di un’affermata ricercatrice sulle relazioni tra cibo e mente
come lei si vanta tanto di essere.
Ricapitolando: scenata indegna al ristorante,
prematura fine del tête-à-tête e della mediocre cena vegana - abortita prima del secondo a
base di tofu -, moto a pezzi e un altro compleanno da dimenticare: il 41esimo, nella fattispecie
concreta. Non restava che dirigermi verso casa,
con l’umore a brandelli come la carenatura della
mia vecchia moto insistendo in quell’andatura
46
incerta tra il riflessivo e il distratto che non è difficile trovare tra i duemila e i tremila giri del motore in quinta marcia. Andai a letto colmo di astio
verso il mondo e colsi l’occasione per iniziare
a leggere “Racconti a Motore”, un libro a tema
motociclistico ricevuto in regalo a Natale ma le
vicende narrate erano così inverosimili da procurarmi un mal di mare talmente nauseante da
costringermi più volte ad andare in bagno in preda a conati di vomito. Il malessere si diffondeva e
montava a mano a mano che proseguivo la lettura che comunque non riuscivo a fermare, tenuto
sveglio da storie, per quanto assurde, avvincenti.
C’erano parole che più di altre mi provocavano
nausea come per esempio la parola “gomma”,
oppure “giro”; leggere l’anacronistico lemma
“tamburo” mi causava violenti spasmi: la causa poteva benissimo trovarla tra il nervosismo
connesso al danno alla motocicletta, la rabbia di
non avere approfittato dell’occasione per mollare una sacrosanta sberla ad Ornella e chiederle
di restituirmi le chiavi di casa mia, il successivo
onesto pentimento per un pensiero così violento ed ingiusto oppure la disperazione per essere
stato così stupido da avere pensato che tra noi
due avrebbe potuto funzionare. Stupido, come
sbattere in continuazione contro il limitatore in
seconda piuttosto che innestare la terza e andare più forte, più lontano. E restano sempre altre
tre marce.
Il mal di pancia si unì ad uno stordimento
insolente, ci vedevo pure doppio: risolsi di chiudere il libro e cercare di dormire nonostante
dolorosi spasmi e il costante sospetto di essere
vittima di un rito voodoo. Provai quindi a spegnere la luce rovistando alla cieca sul comodino alle
mie spalle ma fu solo dopo aver fatto cadere il
pacco di preservativi e mandato in frantumi il vetro della foto di Ornella che strappai il cavo dell’abatjour e mi tolsi definitivamente il pensiero.
L’insonnia è una bestia brutta e vile. Un vero incubo.
Cercai svago alla tv: barcollai dal letto al divano
e tentai di instupidirmi. Nei primi cinque minuti
mi appassionai ad una trasmissione di cucina
dove una signora traumatizzava un arrosto fino
a renderlo una prova di reato, poi mi imbattei in
un soft porn di serie b che tutto sommato aveva
ancora un suo perché, erano le quattro ed ero sicuro che un paio d’ore di televisione spazzatura
avrebbero potuto conciliarmi il sonno: alla prima
pausa pubblicitaria ero ancora sveglio e cambiai
canale. Trovai la replica notturna di un programma della sera prima dove si cercavano persone
scomparse, condotto da un incrocio tra tua sorella maggiore e la zia istruita di Roma dall’aria
schietta:
“…c’è bisogno del vostro aiuto per trovare Gilda
Palladino di 36 anni, i suoi parenti a Zafferana Etnea la cercano da sabato sera...”
Era una trasmissione molto famosa che io avevo sempre ingiustamente snobbato: in Italia c’è
un sacco di gente che scompare ma ci sta pure
un fottio di persone che non sa farsi i fatti propri.
Esclusi coloro spariti per criminale mano altrui,
quella trasmissione era il censimento di una legione di coraggiosi uomini e donne che avevano
deciso di strafottersene di tutto e di rifarsi una
vita, non importava se uno o due gradini più in
basso. E già questo me li faceva simpatici, gente
che probabilmente aveva solo cambiato liquame
nel quale annaspare considerando un tangibile miglioramento passare dalla cacca fino alle
orecchie all’acqua alla gola: come dar loro torto
se invece di cercare di sistemare le cose avevano urlato un orgoglioso “vaffanculo” e se n’erano
andate? Inutile ostinarsi a cercare di sistemare le
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cose quando con un comodo vaffanculo si risolve
tutto.
Il malessere stava lentamente scemando, quando udii chiaramente:
“… e adesso vorrei parlarvi di Alessio Austero:
la sua fidanzata Ornella ci ha appena chiamato:
Alessio, lo vedete nella foto, dopo essere andato
a cena fuori venerdì non ha fatto ritorno a casa
con la sua motocicletta e da quel momento nessuno ha più notizie di lui, la fidanzata Ornella è
molto preoccupata. I Carabinieri sono stati avvisati, il suo cellulare squilla a vuoto ma lui rimane
irrintracciabile. Aspettiamo le vostre segnalazioni o, se lui è in ascolto, un suo messaggio per fare
capire a tutti che sta bene...”
Quello in foto ero io, Alessio Austero. Ornella doveva essere ammattita. Delle due l’una: o era un
disperato tentativo di riconciliazione dopo il disastro che aveva combinato proprio poche ore prima, o la mia ex fidanzata era pronta per il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Ma a rifletterci un
attimo, la cosa era assolutamente inverosimile
perché nessuno era venuto a cercarmi, né avevo
ricevuto nelle ultime ore una telefonata per avvertirmi che ero scomparso a mia saputa ed in
contumacia, né Ornella aveva citato tra i suoi piani di demolizione della mia vita pure la strategia
di farmi credere scomparso dal consesso civile.
Erano le cinque passate, accesi il telefono e per
prima cosa chiamai Ornella. Niente, squillava a
vuoto; quindi chiamai il mio amico Gianfranco
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preparandomi la scusa di voler essere il primo
a fargli gli auguri di buon compleanno. Niente,
spento.
Provai con mia mamma, mio padre, mio fratello,
quello del piano di sotto, il portinaio, gli ospedali
riuniti, il circolo degli artisti di Genova, il panificio, l’assistenza del mio gestore telefonico e fu
solo dopo avere fatto il compromettente gesto di
chiamare la mia trombamica Belinda e non avere comunque parlato con nessuno che desistetti
e mi rassegnai all’idea di essere scomparso sul
serio. Mi accasciai sul divano e pensai che perlomeno assieme a me era sparita pure la nausea.
Albeggiava e io non esistevo per nessuno: mi
vestii rapidamente, scesi in garage e inforcai
la moto per andare personalmente a chiedere
spiegazioni ad Ornella che abitava a una decina
di chilometri. Me la presi comoda e ci fu tutto il
tempo per accorgermi che in questa nuova mattina d’autunno circolava solo gente ammattita:
almeno un paio di volte qualche automobilista
aveva fatto la barba alla mia moto e poi aveva proseguito oltre con lo sguardo da zombie.
Trovai Ornella affacciata al balcone intenta a
fumare. Parcheggiata la moto sul marciapiede
mi attaccai al suo citofono ma non mi rispose
e la cosa mi fece arrabbiare moltissimo; iniziai
ad urlare insulti sperando che almeno un minimo di decoro nei confronti del vicinato la costringesse a farmi salire per evitare piazzate in
strada alle sei del mattino, ma tutto quello che
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accadde fu l’arrivo di un’automobile condotta da
uno sconosciuto signore sulla sessantina, piuttosto elegante. Senza nemmeno guardarmi citofonò ad Ornella che rispose “scendo subito”, io ne
approfittai per ficcarmi nel sedile posteriore della sua automobile. Quando Ornella e il suo amico
entrarono in automobile fecero finta di ignorarmi
nonostante fossi seduto alle loro spalle: allora
volevano proprio farmi incazzare. Con inusitata
violenza verbale chiesi conto e soddisfazione ad
Ornella di tutto quello che era successo da quando ci eravamo visti al ristorante vegano prenotato da lei fino al presente momento, passando per
tutti i suoi discorsi sulle moto, sulle donne, poi
sulla sua attività di ricerca per una casa farmaceutica e quindi sulla inutilità di proseguire con
me sul suo percorso di crescita, con la scusa che
comunque io ero un motociclista puttaniere, ma
principalmente un motociclista. Poi la carenatura rotta, le sue risate, la promessa di rovinarmi la
vita, il mio ritorno a casa, il libro, il malessere, la
mia scomparsa.
Nel frattempo lei singhiozzava e il suo amico era
impassibile. Terminai con un sonoro “vaffanculo” e cazzo, se mi sentii meglio. Molto meglio.
Lui la guardava piangere: «la capisco dottoressa…».
Lei rispose «…no, guardi ingegnere… è solo tensione…».
Ma come, io sbraito da due minuti e voi due manco una reazione umana?
Lui disse: «allora, funziona?»
Lei rispose: «credo di sì. L’ho portato a cena e
ho aggiunto il preparato nel suo piatto. Poi gli ho
parlato di motociclette, l’ho costretto ad arrabbiarsi ed è tornato a casa».
Lui le chiese: «come fa ad essere sicura che abbia funzionato?».
Lei: «guardi qui, le ho fatte mezzora fa».
Tirò fuori il cellulare e gli fece vedere delle foto:
era la mia camera da letto con i vetri della cornice della foto di Ornella sul pavimento, i preservativi caduti, l’abatjour per terra e il suo cavo staccato malamente dalla presa; attaccata al cavo
La lettura
una mano e un braccio di un corpo giallognolo. Il
corpo era mio ed era immobile nel letto, con un
colorito esangue.
Ci fu una pausa lunga due singhiozzi. Io ero tranquillo, ridicolmente incredulo.
Lui si schiarì la voce: «Come si sente? Dopo anni
di tentativi lei è ha scoperto il meccanismo chimico che procura violente e mortali reazioni psicotiche correlando sostanze chimiche come le
benzodiazepine a pensieri passionali specifici, in
questo caso, mi sembra, le motociclette...».
Ornella lo interruppe: «lo so. Più Alessio leggeva
quel libro di motociclette, più le reazioni del preparato saranno state violente; più si appassionava, più si intossicava. Saranno iniziate le allucinazioni, poi le convulsioni, poi sarà sopraggiunto
l’arresto cardiaco.
Ma si può ricreare per tutte le passioni: immagini
come sarebbe facile decimare la popolazione di
uno stato europeo attraverso la passione per il
calcio, per esempio».
Lui disse: «Chissà se i terroristi hanno passioni;
boh, sa che le dico dottoressa? Avere passioni
è sempre pericoloso e potenzialmente mortale,
anche senza benzodiazepine; ma è impossibile
vivere una vita senza passioni. Se la sua scoperta
venisse rivelata all’opinione pubblica, cosa succederebbe? Quanta gente smetterebbe di vivere
le proprie passioni per non correre il rischio di
morirne? Ad ogni modo questa è l’ultima volta
che ci incontriamo; come lei ben sa, da adesso
in poi il progetto passa ai servizi segreti: la nostra
casa farmaceutica si tira fuori. Tra poche ore la
verranno a prendere, lei cambierà identità e si
trasferirà in un’altra città probabilmente fuori
dall’Italia; le auguro di avere fatto le scelte giuste,
nella sua vita».
Ornella scrollò le spalle: «La vita è solo un effetto collaterale dell’esistenza». Scese dall’auto,
l’ingegnere andò via, io restai immobile sul marciapiede con la moto che aveva bisogno di una
riparazione alla carenatura e di girare le ruote;
anche se ero scomparso avevo ancora il diritto di
esistere, e una passione.
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NICO CEREGHINI
DORIANO
ROMBONI,
UN ANNO FA
E’ già passato un anno dalla
tragica scomparsa di Doriano al
Sic Supermoto Day 2013.
Una nemesi: travolto da un altro
concorrente senza colpe, come
Marco nel 2011 a Sepang.
Chi resta piange ancora
Media
C
iao a tutti! E’ già
passato un
anno dalla tragica
scomparsa
di Doriano Romboni; un anno
che è passato in fretta, ma che
per i familiari di “Rambo”, e
per tutti quelli che gli volevano
bene, è stato lungo e penoso.
Quel 30 novembre era sabato,
al circuito Sagittario di Latina
si celebrava il Sic Supermoto
Day ed erano tanti i piloti che
avevano voluto partecipare alle
gare. L’obiettivo era il solito,
raccogliere un po’ di denaro per
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la fondazione Simoncelli, e Doriano era arrivato dalla Liguria
pieno di entusiasmo. Da quando aveva cominciato a lavorare
per la Federazione, e seguiva
i giovani velocisti con la riservatezza e la competenza che
conoscevamo, era rientrato nel
giro del motociclismo nazionale e non perdeva un’occasione
per rivedere i vecchi amici. A
una settimana dal suo quarantacinquesimo compleanno
pareva tornato un ragazzino.
La dinamica dell’incidente è
stata davvero terribile: Doriano ha perso il controllo della
sua moto ed è finito nel posto
sbagliato, travolto da un incolpevole collega. Una tragica
fatalità ma anche una nemesi:
perché in modo analogo anche
Marco Simoncelli, a fine ottobre
del 2011 a Sepang, aveva chiuso
purtroppo la sua giovane vita. E
a molti è apparso inaccettabile:
ma come, andiamo a correre
per il Sic, andiamo a Latina perché la sua morte così ingiusta
possa almeno dare maggior
senso alla vita di tanti altri, e ci
tocca accettare un’altra vittima
nella stessa assurda maniera?
Si è cercata chiarezza, la Procura ha aperto un’inchiesta
poi archiviata, al Sagittario si è
continuato a correre e si torna
ancora il primo fine settimana
di dicembre per l’edizione 2014
del Sic Supermoto Day. C’erano
dubbi sull’opportunità di farlo,
poi l’organizzatore ha ricevuto
l’incoraggiamento di molti a cominciare da Paolo Simoncelli.
Le parole servono a poco. Ai genitori di Doriano, Angelo e Franca, alla moglie Sara e alle due
piccole Carolina e Margherita
che ancora vanno alla scuola
materna, ad Arianna e Valentina, la prima figlia oggi diciassettenne, lui è stato strappato
dalla sorte e non tornerà più. Io
frequento ancora Roberto Camolei che era stato il manager
inseparabile fin dagli anni Ottanta e poi Toni Merendino, che
ha fatto correre Romboni nei
momenti più belli della carriera.
Anche per loro, spezzini riservati e un po’ ruvidi, la scomparsa di Doriano ha rappresentato
un durissimo colpo; quando
parliamo di lui ricordiamo le
sue gare più entusiasmanti, le
vittorie e i podi in 125 e in 250,
ma è dura. Le immagini più nitide per me sono quelle di Doriano al mare. Il golfo della Spezia
è uno dei più belli del mondo,
e lui lo amava. Un giorno raggiungemmo con la barca la diga
foranea dove si coltivano i muscoli, le cozze insomma, e Doriano lì era di casa perché quello della coltivazione marina era
un lavoro di famiglia; si era tuffato in acqua, nuotava come un
pesce, era riemerso con un bel
bottino. Poi si andò in qualche
Editoriale
spiaggetta sassosa e deserta
con la pentola, due limoni e una
bottiglia di vino bianco. Pilota,
sì, ma soprattutto un ragazzo
dolce e mai fortunato che ora
ci manca tantissimo. A un anno
dalla sua tragica scomparsa vogliamo ricordarlo insieme a voi
lettori. E con lui ricordare anche
Marco Simoncelli che se n’è andato tre anni fa.
PILOTA, SÌ, MA SOPRATTUTTO
UN RAGAZZO DOLCE E MAI
FORTUNATO CHE ORA CI MANCA
TANTISSIMO
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MotoGP
ROSSANO BRAZZI
LICENZIATO DAL TEAM SKY VR46
“NON ME LO ASPETTAVO”
di Nico Cereghini | Le strade si dividono e lo storico tecnico ex-Aprilia è
fuori dalla squadra di Valentino Rossi in Moto3. Quest’estate anche Vitto
Guareschi era stato sostituito
R
Rossano Brazzi è stato messo
fuori dal team VR 46. La notizia ha fatto scalpore per tante
ragioni: perché Brazzi è un tecnico “storico” e rispettato da
tutti, perché è legato da tanti
anni a Valentino Rossi, perché
con Romano Fenati e la KTM
aveva chiuso una buona prima
stagione in Moto3. Abbiamo
raggiunto Rossano al telefono.
«Hanno fatto le loro scelte –ci
dichiara- ed è successo venerdì
scorso, 21 novembre. Ci sono
rimasto male: non era nell’aria»
Difficile capire, in effetti.
«C’è stato l’arrivo del nuovo
team manager, Pablo Nieto.
Abbiamo fatto due incontri che,
anche se non condividevo pienamente le sue idee, non sono
stati scontri. Successivamente
ho visto Uccio, e infine Albi mi
52
ha comunicato la loro decisione».
E adesso?
«Quello che mi dispiace di più
è di saperlo a fine stagione,
quando i giochi ormai sono
fatti. L’avessi saputo due mesi
fa, c’era il tempo di trovare un
altro team…»
Questione di carattere?
«Io sono considerato burbero,
forse non ho il miglior carattere
del mondo, ma se sono rimasto
vent’anni in Aprilia qualcosa
vorrà dire. Non credo che mi
abbiano dovuto sopportare.
Sono ancora quello del ‘98 e
‘99 con Valentino in duemmezzo»
E con Rossi non hai parlato?
«No, lui ha altre cose da
seguire, io ho a che fare con gli
altri. E credevo di aver portato a
casa un buon lavoro: quest’anno abbiamo vinto con Romano
Fenati quattro gare ed era soltanto la prima stagione; quella
su cui puntavo era la prossima. Non conosco l’inglese: ho
sentito dire anche questa. E
ammetto, è una mia pecca, ma
non ci sono mai stati problemi:
con la KTM il rapporto è ottimo,
abbiamo fatto i test delle moto
2015, ci siamo sempre capiti
benissimo attraverso un loro
tecnico che conosce tutte le
lingue…»
Peccato, un divorzio che non
fa bene a nessuno.
«Ho sessantaquattro anni –
conclude Rossano- ma ho la
fortuna di star bene. E non credo di essermi rincoglionito»
53
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MotoGP
APRILIA CRESCE NEI TEST DI JEREZ
MELANDRI: “MI SENTO IMPACCIATO”
Alvaro Bautista e Marco Melandri sono tornati in sella alle Aprilia
MotoGP sulla pista di Jerez per una tre giorni di test dai risultati
incoraggianti
L
e indicazioni che sono emerse dalle
prove sulla pista andalusa lasciano
soddisfazione e sensazioni positive
in tutto il team Aprilia Gresini in vista
della pausa invernale. I test riprenderanno dal 4
febbraio 2015, con la prima sessione ufficiale in
Malesia, sulla pista di Sepang. Sono stati 131 i giri
totalizzati nella ‘tre giorni’ da Alvaro Bautista, con
un miglior crono di 1’40”6, mentre Melandri ha
inanellato 123 giri, il migliore dei quali in 1’41”5. A
Jerez i piloti Aprilia hanno potuto prendere confidenza per la prima volta col nuovo propulsore V4
caratterizzato dalla distribuzione a valvole pneumatiche. Il motore, che garantirà livelli più elevati di potenza rispetto alla prima versione con
valvole tradizionali, ha esordito nella giornata di
mercoledì, visto che il martedì ci si era concentrati sul lavoro di messa a punto di elettronica e
set-up con la vecchia versione di distribuzione.
Anche questa volta il meteo ha purtroppo condizionato lo svolgimento del programma di prove,
specialmente nell’ultima giornata di giovedì, con
continui scrosci e pista costantemente bagnata.
Tre giorni di gran lavoro per piloti e team hanno
segnato la seconda uscita in pista del progetto
MotoGP di Aprilia e Gresini Racing. Dopo i test
di Valencia di due settimane fa, Alvaro Bautista
e Marco Melandri sono tornati in sella alle Aprilia
MotoGP nel quadro della preparazione alla stagione 2015.
MARCO MELANDRI
«Sono stati tre giorni interessanti ma molto
impegnativi allo stesso tempo. Giro dopo giro
54
capisco sempre più quali siano le aree dove devo
migliorare e le necessità per sentirmi a mio agio.
Mi sento ancora piuttosto impacciato, abbiamo
bisogno di chilometri per trovare il giusto feeling.
Il motore nuovo ha avuto qualche problema di
gioventù, una cosa normale in questa fase, ma
abbiamo già visto quali siano i lati positivi e dove
invece dovremo concentrarci di più. Abbiamo
davanti un lungo periodo nel quale lavorare allo
sviluppo per arrivare pronti ai test di Sepang.
Tutti i ragazzi stanno lavorando sodo e c’è un
grande entusiasmo di squadra. E’ un clima che
mi fa ben sperare».
ALVARO BAUTISTA
«Possiamo essere soddisfatti di com’è andata,
anche se il maltempo ha rallentato il nostro lavoro. Durante la prima giornata ho continuato
ad utilizzare la moto nella stessa configurazione
dei recenti test di Valencia. Ci siamo concentrati
sulla ciclistica, trovando alcune soluzioni che mi
sono piaciute e ci hanno consentito di conoscere
la moto. Nella seconda giornata ho potuto utilizzare il nuovo motore a valvole pneumatiche: la
potenza è tanta ma c’è molto lavoro da fare sul
fronte dell’erogazione. Abbiamo percorso pochi
giri sul bagnato, che ci sono comunque serviti
per valutare le caratteristiche del nuovo motore
in queste condizioni. Adesso inizia la pausa invernale, staccherò un po’ per riprendermi da questa
lunga stagione, dopodiché tornerò ad allenarmi
per farmi trovare pronto ai test di febbraio. Nel
frattempo farò visita all’Aprilia per vedere da vicino il lavoro che i tecnici stanno facendo».
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MotoGP
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DOPOGP CON NICO E ZAM
PUNTATA SPECIALE CON
SILVANO GALBUSERA
A campionato finito abbiamo dedicato una puntata al Capo Tecnico
di Rossi. L’uomo che ha reso possibile la stagione di Valentino. Spazio
anche alla tecnica con l’analisi di Honda, Ducati e Suzuki 2015
N
ella puntata di oggi (clicca qui per
vedere quelle degli altri GP), non si
parla come al solito di un Gran Premio, ma dalla sede Yamaha Motor
Racing di Gerno di Lesmo, analizziamo insieme
a Silvano Galbusera la straordinaria stagione di
Rossi. Con il Capo Tecnico di Valentino abbiamo
discusso del metodo di lavoro all’interno del box
e di come si affronta la preparazione della moto
in ogni GP. Molti gli aneddoti e i retroscena sul
campione di Tavullia. Ci ha poi spiegato quali sono i progetti Yamaha 2015 e quali solo gli
56
obiettivi e le aspettative di team e pilota per la
prossima stagione. «Quest’anno siamo arrivati
secondi - scherza (ma non troppo) -, il prossimo
anno si può fare meglio».
Tanti gli spunti da approfondire e tante le questioni tecniche su cui fare chiarezza con l’ingegnere Giulio Bernardelle. Si è parlato delle configurazioni dei motori MotoGP, come Honda,
Yamaha e Suzuki si approccino alle scelte progettuali e come le filosofie costruttive si ripercuotano sui risultati in pista.
Guarda tutte le puntate precedenti di DopoGP
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DIAMO I VOTI AI PILOTI MOTOGP
NEL CAMPIONATO 2014
di Giovanni Zamagni | Nove e mezzo al campione del mondo, 9 a Rossi,
straordinario; 5,5 a Lorenzo, sgonfiato; 5 a Pedrosa; 8 a Dovizioso, mai
così in forma; 7 a Iannone, gli manca solo la costanza
P
agelle di fine anno. Una stagione
dominata da Marc Marquez e dal risultato finale (quasi) scontato, ma
tutt’altro che banale, con tante gare
belle e spettacolari (finalmente), tanti spunti
interessanti, tante sorprese. Come la ritrovata
competitività di Valentino Rossi, inimmaginabile,
per molti, alla vigilia. O come la crescita della Ducati e di Andrea Dovizioso, pilota ormai a livello
dei “fantastici 4”. O come i progressi di Andrea
Iannone, velocissimo ed entusiasmante. O come
le prestazioni di Aleix Espargaro in qualifica. Non
sono mancate, naturalmente, risultati al di sotto
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delle aspettative, come quelli ottenuti da Jorge
Lorenzo, Dani Pedrosa, Stefan Bradl, Alvaro Bautista. Come sempre, però, un grazie a tutti questi
campioni fenomenali: i piloti della MotoGP (e di
tutte le altre categorie) fanno comunque qualcosa di speciale. Via con le pagelle, rispettando la
classifica del campionato.
9,5
MARC MARQUEZ
Nel bilancio di fine anno, Marc si è dato
9 in pagella: «troppe cadute nelle ultime gare» ha
giustificato il suo voto. E’ vero, ma secondo me,
Marquez è scivolato solo quando se lo poteva
permettere, quando non aveva niente da “perdere” e il GP di Motegi lo conferma: lì Marquez doveva arrivare secondo e secondo è arrivato. Ecco
perché le tante scivolate (11) non incidono più di
tanto sul giudizio complessivo: io quest’anno ho
visto fare a Marc cose pazzesche, a mio modo di
vedere addirittura superiori a quelle già stupefacenti del 2013. Se si ha la possibilità di vederlo da
bordo pista, si capisce perché solo lui vinca con la
Honda. Nella mia “carriera” mi ritenevo già fortunato ad aver avuto la possibilità di raccontare le
gesta di un fenomeno come Rossi, invece in pochi anni ho visto anche uno come Casey Stoner e
adesso Marc Marquez. Senza dimenticarsi, naturalmente, di Jorge Lorenzo. Fenomeno.
9
VALENTINO ROSSI
Una stagione eccezionale, la migliore degli
ultimi cinque anni, a livello di quando conquistava gare e titoli a ripetizione. «Ma quando vinci è
un’altra cosa, anche se nel 2014 ho fatto bene,
non si può paragonare alle stagioni d’oro» è l’analisi del campione della Yamaha. Per una volta,
MotoGP
però, non sono d’accordo con Valentino: al di là
del risultato, quello di quest’anno è stato uno dei
migliori Rossi di sempre. Due vittorie, 13 podi,
una pole position, un solo errore in gara (ad Aragon) confermano che, dopo Marquez, è stato lui il
migliore. «Ma Marc c’è e ha vinto 11 GP più di me»
sottolinea Valentino, esaltando un aspetto non
così comune: lui non si accontenta mai, anche
quando avrebbe il diritto di farlo. Straordinario.
5,5
JORGE LORENZO
La sua stagione è cambiata subito in
Qatar: se non fosse caduto al primo giro, mentre
era al comando, il 2014 dello spagnolo sarebbe
stato ben differente. Ma a Losail, purtroppo, Jorge
è scivolato e da lì in poi la sua stagione – la peggiore dal 2008, da quando corre in MotoGP - si è
trasformata in una lunghissima rincorsa, sempre
però in affanno, mai veramente convincente, anche se nelle ultime 10 gare è stato il pilota che ha
conquistato più punti. E’ stato un po’ l’anno delle
occasioni perse, con tanti episodi sfavorevoli e,
a volte, difficilmente spiegabili come la partenza
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anticipata di Austin, le difficoltà di Assen, la scelta
della gomma di San Marino, i problemi di Phillip
Island, il calo fisico di Sepang, i timori di Valencia.
Rimane comunque un pilota di altissimo livello,
che ha forse pagato caro gli enormi sforzi del
2013. Sgonfiato.
5
DANI PEDROSA
Il GP vinto a Brno gli ha permesso di entrare
nella storia del campionato come il primo capace
di battere Marc Marquez. E’ l’unica nota positiva
di una stagione scialba, a tratti mediocre, sempre
al di sotto delle aspettative, con una involuzione
rispetto al passato. Fino al 2013, Pedrosa partiva
a fionda nei primi giri, quest’anno, a parte un paio
di eccezioni, non è mai stato efficace al via. «Colpa della nuova gestione elettronica della Honda»
si giustifica Dani, ma la sua tesi è poco convincente. Come poco convinto è sempre sembrato
nei sorpassi, nella sfida ravvicinata. Seconda
guida.
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8
ANDREA DOVIZIOSO
Dopo i primi GP, temevo che il Dovi potesse
sbottare, che venisse annichilito dall’ambiente
Ducati come era successo a tanti in passato. Invece, grazie alla grande sintonia con l’ingegnere
Gigi Dall’Igna, Andrea ha ritrovato entusiasmo, ha
cominciato a credere nel progetto e da lì in poi la
sua stagione ha avuto una svolta positiva, superiore a ogni aspettativa. Una pole position, altre
quattro prime file, un terzo e un secondo posto
in gara, una possibile vittoria sfumata per una caduta sono risultati per certi versi eccezionali. Un
altro dato serve per chiarire ancora meglio come
quest’anno Dovizioso abbia veramente fatto la
differenza: in 14 GP su 18 è stato il miglior pilota
Ducati al traguardo. Secondo me, in questo momento, Dovizioso fa parte dei “fantastici 4”: è più
forte di Pedrosa. Motivato.
6
POL ESPARGARO
Personalmente mi aspettavo di più dal
MotoGP
campione del mondo della Moto2: nel complesso
non ha fatto male, ma a parte un paio di occasioni, come in Francia o in Malesia (a Sepang ha
corso con un piede rotto), è sempre finito lontanissimo dalla vetta. Può fare meglio. Sufficiente.
una stagione piatta, con il primato di scivolate
per la categoria (16) e pochi risultati importanti.
E’ migliorato rispetto al 2013, ma è ancora troppo lontano da quelli davanti. Sempre all’inseguimento.
6
4
ALEIX ESPARGARO
Ha perso la sfida con il fratello, anche se gli
è stato davanti a lungo. E’ troppo altalenante e,
soprattutto, c’è troppa discrepanza tra le prestazioni in prova – dove è sempre velocissimo, quasi
fenomenale – e quelle in gara, quando non avvicina minimamente i tempi del venerdì e del sabato.
Colpa sua, colpa della moto? Difficile da dire, ma
la sua Yamaha, anche se in versione “Open”, non
sembrava così male. Incostante.
5
BRADLEY SMITH
Una gran gara in Qatar, conclusa purtroppo
anticipatamente con una caduta, un bel podio,
anche se fortunato, in Australia sono gli acuti di
STEFAN BRADL
Anche lui aveva iniziato fortissimo in Qatar,
con sei giri al comando che facevano sperare in
una stagione da protagonista, così come il discreto quarto posto nel GP successivo, ad Austin;
poi, però, il tedesco del team di Lucio Cecchinello si è perso, incapace di sfruttare la moto competitiva a sua disposizione. La sensazione è che
farà fatica a emergere anche in futuro, anche se
Cecchinello dice che deve solo superare le “paure” in gara, quando si mette «in modalità safety».
Intristito.
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ANDREA IANNONE
Il suo modo di pilotare e di affrontare le
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corse è entusiasmante, piace agli appassionati e
anche nell’ultima gara di Valencia si è visto come
il sorpasso più difficile che Marquez abbia dovuto effettuare sia stato proprio quello su Iannone.
Velocità e talento non gli mancano, la sua crescita nel 2014 è stata netta ed evidente: gli manca
ancora un po’ di costanza, ma su questo si può
lavorare. Elettrizzante.
4
ALVARO BAUTISTA
Un ottimo avvio in Qatar prima della caduta nelle fasi finali, un buon podio in Francia: tutto
il resto è da dimenticare. Colpa delle Showa che
non fanno entrare in temperatura le Bridgestone:
questa, perlomeno, è la difesa di Alvaro. Non c’è
purtroppo la controprova per sapere se è effettivamente così, invece la stagione di Bautista è
stata certamente negativa. Da dimenticare.
5
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SCOTT REDDING
Certamente le prestazioni della Honda
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“Open” sono state al di sotto delle aspettative,
ma anche il pilota britannico non ha brillato. Opaco.
6
CAL CRUTCHLOW
I suoi risultati sono stati decisamente scarsi, soprattutto considerando come era stato accolto da qualcuno in Ducati e se confrontati con
quelli del compagno di squadra, ma ritengo che
Cal meriti la sufficienza per la tenacia e i miglioramenti mostrati nel finale di stagione. Con un contratto Honda già in tasca per la prossima stagione, avrebbe anche potuto “dargliela su”, invece a
tenuto botta fino a Valencia. Combattivo.
5
HIROSHI AOYAMA
Nel 2015 sarà il nuovo tester della HRC: una
scelta corretta, perché Aoyama è uno costante e
relativamente veloce, al di là dei (non) risultati del
2014.
Collaudatore.
MotoGP
6,5
YONNY HERNANDEZ
La sua è stata una stagione discreta,
considerando anche il livello della Ducati a sua
disposizione. In crescita.
5
NICKY HAYDEN
Una stagione pesantemente condizionata
dai problemi al polso destro, operato a luglio. Infortunato.
6
DANILO PETRUCCI
Merita la sufficienza per la tenacia e la dedizione mostrata durante la stagione. La sua,
purtroppo, era la peggior squadra della MotoGP
(non dal punto di vista umano, perché dentro
al box c’erano tecnici validi, ma sotto quello gestionale e delle risorse, con tutte le, ovvie, conseguenze del caso): è già stato bravo a non avvilirsi.
E nei test con la Ducati Pramac ha dimostrato di
essere uno veloce.
A denti stretti.
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IL RESPONSO DEI TEST
SBK DI JEREZ
di Carlo Baldi | Nonostante anche l’ultima giornata sia stata rovinata
dalla pioggia vediamo quali indicazioni sono emerse dai test di Jerez.
Le dichiarazioni dei protagonisti. I test invernali riprenderanno il
19 Gennaio ad Aragon
L
a pioggia non ha dato tregua ai team
del mondiale Superbike che si erano
dati appuntamento a Jerez per svolgere alcune sessioni di test. Anche
ieri, nell’ ultimo giorno di prove, la pioggia non
ha risparmiato la pista andalusa nella giornata
che ha concluso i test invernali 2014. La pausa
invernale terminerà a metà gennaio, quando prima al Motorland Aragon ed in seguito a Portimao
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e poi ancora a Jerez, potremo rivedere all’opera
quasi tutte le squadre che daranno vita al prossimo campionato. Nonostante la pioggia ed una
pista quasi sempre umida se non bagnata, le
prove di Jerez hanno fornito qualche utile indicazione. I team si sono presentati con le moto in
versione 2015 e anche se i tempi sul giro vanno
sempre presi con le molle, possiamo affermare che, come era prevedibile, le nuove regole
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sembra abbiano livellato i valori in campo. Kawasaki e (soprattutto) Aprilia non sono più un
gradino sopra gli altri come nelle ultime stagioni.
Questo non significa che le due case giapponese
ed italiana siano rimaste a guardare e non si stiano preparando per essere ancora protagoniste,
ma hanno senza dubbio perso il vantaggio accumulato in anni di lavoro, esperienze ed investimenti. E’ ancora presto per esserne certi, ma il
campionato 2015 sembra possa avere parecchi
protagonisti, così come saranno molte le moto
competitive. La pioggia di Jerez ha senza dubbio
bagnato le polveri della Panigale e solo a gennaio
potremo vedere se effettivamente la Ducati sia
la casa maggiormente avvantaggiata dal poter
utilizzare moto più vicine alla serie. “Nonostante il meteo avverso sono stati tre giorni positivi
– ha dichiarato Davide Giugliano - ed abbiamo
comunque svolto molto lavoro. Sono contento
del materiale a disposizione e penso che abbiamo una buona base per il campionato”. Anche
Superbike
la Suzuki ha mostrato segni di miglioramento
tanto che Alex Lowes, nell’unica mezza giornata di pista asciutta, ha fatto segnare il miglior
crono dei test (1’40”730). “E’ stata una buona
settimana – ha confermato il giovane pilota inglese – Peccato non aver potuto provare tutto il
materiale a nostra disposizione. Sono comunque
contento di quanto abbiamo fatto a Jerez”. Era
molto atteso il debutto di Randy De Puniet sulla
GSX-R1000 ed il francese ha dichiarato : “E’ stato un test molto soddisfacente. Era ovviamente
tutto nuovo per me, ma mi sono adattato rapidamente alla moto ed al team. Sono contento
perché siamo stati veloci sia sull’asciutto che
sul bagnato. Devo modificare il mio stile di guida, ma sono davvero fiducioso”. Un inizio cauto
per l’esperto pilota transalpino, che non impiegherà molto ad esprimersi ai livelli dei top rider
della Superbike. Tutto nuovo per De Puniet così
come per il team Pata Honda Ten Kate, ad iniziare dai due piloti che hanno iniziato a prendere
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Superbike
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confidenza con la CBR1000RR. Questo il commento del campione del mondo Sylvain Guintoli:
“E ‘stato un primo contatto molto positivo con la
mia nuova squadra e con la Fireblade. E ‘chiaramente una moto diversa da quella che ho usato
negli ultimi due anni ed ho provato molte cose
diverse proprio per comprendere come si comporta la moto nelle varie situazioni. Ora sappiamo su cosa lavorare nei prossimi test”. Entusiasta il giovane Michael van der Mark: “Ho davvero
apprezzato molto questo primo test. Ho iniziato
a guidare la mia CBR senza elettronica per conoscerla meglio e comprenderne tutto il potenziale.
Da mercoledì ho usato un poco di elettronica ed
abbiamo iniziato ad apportare alcune modifiche
per valutare i diversi comportamenti della moto.
Sono stato molto contento dei miei tempi sul
giro, ottenuti per lo più con gomme usurate, ma
mi aspetta ancora una grande mole di lavoro”. Il
team Red Devils che ha portato in pista le nuove
66
Aprilia RSV4 RR ha messo in mostra un Haslam
galvanizzato dal cambio di marca ed al di la del
tempo realizzato (il terzo della classifica generale) l’inglese ha mostrato di aver trovato subito un
buon feeling con la moto di Noale e questo sarà
senza dubbio un ottimo punto di partenza per la
squadra di Andrea Petricca, rinforzata dall’innesto di alcuni tecnici Aprilia.
Troppo poco il tempo a disposizione di Michel
Fabrizio, che da oltre sei mesi non saliva su una
Superbike. In Kawasaki occhi puntati su Jonathan Rea ed il fatto che l’inglese abbia girato
sempre sugli stessi livelli del suo compagno di
squadra ci fa capire quale campionato potrà disputare Johnny alla guida della moto di Akashi.
Vincoli contrattuali gli hanno impedito di rilasciare dichiarazioni, mentre ecco quelle di Sykes:
“Abbiamo lavorato su una lunga lista di cose che
dovevamo provare.
Nonostante il meteo avverso abbiamo percorso
alcuni giri veloci e capito cosa abbiamo bisogno
di migliorare. In condizioni di asciutto, non siamo
riusciti a mostrare tutto il nostro potenziale, ma
sul bagnato la moto ha funzionato molto bene e
questo è molto positivo, soprattutto considerando che in passato avevamo avuto dei problemi
sotto la pioggia”.
Al di la delle prestazioni della Ninja in versione 2015, restiamo in attesa di capire come potranno convivere i due piloti inglesi, visti anche
i precedenti nel team Kawasaki ufficiale. Poche
indicazioni dal team MV di Camier e dal BMW
Motorrad Italia SBK di Barrier.
Nei due giorni a loro disposizione la pioggia ha
impedito di svolgere il programma stabilito. Si rifaranno nei test di Gennaio ad Aragon Portimao
e Jerez, prima che moto e piloti partano alla volta
di Phillip Island, per disputare i test ufficiali e le
prime due gare di una stagione che si preannuncia avvincente e spettacolare.
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TRANSBORGARO
LE FOTO
PIÙ BELLE
Tanta passione, moto del passato e i grandi nomi
intramontabili del Motocross, un mix che anche
quest’anno ha decretato il successo della
Transborgaro, la gara “vintage” più attesa dell’anno
che si è corsa Borgaro Torinese.
Ecco gli scatti più belli
di Massimo Zanzani
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Motocross
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Motocross
Media
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Motocross
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comunque in mezzo a un inferno di pietre e fango che non lasciano scampo: il minimo errore fa
finire moto e piloti lunghi distesi.
Cent’anni di gare
Nata nell’ormai lontano 1915 – l’anno prossimo
compirà cent’anni – la Novemberkåsan è stata
fin dall’inizio una gara massacrante, con distanze che nei primi anni 30 raggiungevano i 6/700
chilometri, speciali articolate su fondi estremamente variegati, tanto diurne che in notturna, e
disputata ogni anno in un posto diverso. Unico
denominatore: lunghezza, tanto freddo e buio
per buona parte della gara. Condizioni che non
scoraggiano il pubblico presente in massa (quasi 20.000 gli spettatori nella foresta lo scorso
anno) che assiste alla gara scaldandosi con falò,
consumando quintali di carne e birra e godendosi l’evento in una sorta di Elefantentreffen a
contorno di una gara di Enduro. Insomma, una
Enduro estrema ante litteram, che ha trovato
NOVEMBERKÅSAN
L’ULTRAMARATONA DELL’ENDURO
di Edoardo Licciardello | Alla scoperta di una classica gara svedese
per assistere all’avventura del team ufficiale Husqvarna Bel-Ray
con Ljunggren e Renet
S
ono le 22.30 di sabato 22 novembre 2014. Sotto la tenda Husqvarna, Pela Renet ha un sorriso amaro:
dopo due delle tre, infinite, frazioni
della Novemberkåsan è stato costretto al ritiro dal riacutizzarsi della tendinite mentre era al
terzo posto di una delle gare più dure ed impegnative del mondo, staccato di una manciata di
minuti dal favorito – Joakim Ljunggren, già cinque volte vincitore di questa misconosciuta ma
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Enduro
perfetta collocazione nella definizione odierna
(nonostante distanze quasi dimezzate) pur non
essendo considerata fra le classiche alla stregua
del nostrano Hell’s Gate, Erzberg o Gilles Lalay
Classic. Al di fuori della Svezia, infatti, quasi nessuno conosce la Novemberkåsan, il cui ordine di
partenza contiene solamente nomi scandinavi.
Ma all’interno dei confini nazionali è una gara
da leggenda: la televisione nazionale segue in
diretta integrale l’intera manifestazione, e i vari
motoclub fanno a gara per aggiudicarsi l’edizione dell’anno successivo. Qui una vittoria vale
quanto un Mondiale, e un trofeo che passa di
mano anno dopo anno. Unica eccezione per le
leggende: chi riesce a vincere tre edizioni riceve
il trofeo per sempre. E’ incredibile che una gara
del genere, tanto particolare e ricca di tradizione, sia praticamente sconosciuta al di fuori della
Svezia, soprattutto in un momento storico in cui
gli sponsor più quotati sono alla costante ricerca
di eventi più genuini ed emozionanti rispetto al
Media
meravigliosa classica dell’Enduro. Flashback.
Facciamo un passo indietro tornando alle nove di
questa mattina quando a Vimmerby, nel sud della Svezia, il paddock inizia ad animarsi del rumore dei motori. Sta per partire la Novemberkåsan,
moto e piloti si preparano ad affrontare 360 chilometri divisi in tre frazioni da sei speciali l’una.
Quest’anno non ci sono neve e ghiaccio, tanto
che la direzione gara non ha autorizzato l’uso di pneumatici chiodati, ma la corsa si snoda
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Enduro
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mondo ormai troppo asettico dei campionati tradizionali. Certo, l’organizzazione della Novemberkåsan è piuttosto gelosa della sua particolarità, ma ci sembra un evento troppo bello perché
continui a restare confinato in una nicchia tanto
ristretta. Il favorito della gara è Joakim Ljunggren, cinque volte trionfatore e pilota del team
ufficiale Husqvarna Bel-Ray; quest’anno siamo
qui per seguire l’avventura della sua squadra,
che al suo fianco schiera il fresco campione del
mondo “Pela” Renet. Fresco di titolo mondiale,
Renet ha tutti i motivi per pensare di poter compiere un’impresa: essere il primo pilota non scandinavo a portare a termine la Novemberkåsan.
Possibilmente nelle prime posizioni.
Outsider di lusso
Il palmarès di Renet è di quelli con cui non si
scherza: iridato nella MX3 nel 2009, tre volte
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campione nazionale E2, due volte Mondiale nella
stessa categoria. L’ultima volta nell’appena conclusa stagione 2014, in cui si è scambiato di posto
con il nostro Alex Salvini. L’anno scorso era stato
il bolognese a relegare al secondo posto l’asso
francese, quest’anno Renet gli ha reso il favore.
Francese di Cherbourg, classe 1984, “Pela” Renet (all’anagrafe Pierre Alexander) è sulla cresta
dell’onda. Dopo l’esordio nel cross, che lo vede
conquistare il titolo mondiale MX3 a 25 anni,
passa all’Enduro con KTM l’anno successivo,
nel 2010. Parte forte, perché diventa campione
francese all’esordio, e non si ferma più. Passato
a Husaberg vince il Mondiale nel 2012, nel 2013
termina secondo e torna sul gradino più alto del
podio l’anno successivo, con il team ufficiale
Husqvarna Bel-Ray. Alle nove e trenta, quando
la gara prende il via, il sole è già sorto anche a
queste latitudini, ma non resta alto per molto: la
prima frazione di gara è l’unica che si corre con
la luce. Il paddock offre una vista atipica. C’è più
gente in abiti da sci che non con abbigliamento
tecnico motociclistico, e la popolazione è incredibilmente variegata. Qui, come nei boschi su
cui si snoda il percorso, il pubblico è fatto di appassionati di ogni genere: in mezzo a chi viene
a seguire la gara spostandosi da una speciale
all’altra in sella alla moto o alla mountain bike ci
sono tantissime famiglie con bambini di ogni età,
a dimostrazione di quanto una disciplina come
l’enduro sia lontanissima dallo stereotipo antisociale ed antiecologista che tanti benpensanti
puntano ad appiopparle. Diversa cultura, diversa
civiltà. Le speciali si snodano veloci alla luce del
giorno: dalla pista da cross della PS1 si passa ai
veloci pratoni della 2 fino ad arrivare nella terribile fangaia della PS4, che costituirà il punto più
difficile della gara, quello che separa i veterani
dai debuttanti. Al termine del primo giro la classifica è incoraggiante: Renet insegue Ljunggren,
staccato di poco meno di un minuto. I piloti rientrano al paddock per sistemare la moto assieme
ai meccanici prima di lasciarla al parco chiuso.
Basta un po’ di pulizia generale per togliere i
quintali di fango accumulatisi ovunque e qualche
accorgimento per prepararsi agli stage in notturna: si prepara il casco con i faretti supplementari,
e sulla moto si monta il kickstarter. Se anche la
batteria dovesse mollare, una bella scalciata e
si riparte. Parafango anteriore, paramani e mascherina vengono sostituiti con elementi neri,
per evitare che “sparino” la luce dei fari in faccia
al pilota.
Spettacolo notturno
Una pausa permette ai piloti di rinfrancarsi: la
partenza della seconda frazione è alle 17, quando
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il sole è già tramontato da qualche ora. Se con la
luce l’arrivo dei piloti in Speciale è preannunciato
dai motori che arrivano a tuono di notte il tifo del
pubblico, fra urla e trombe da stadio, fa sì che sia
la luce dei fari l’unico segnale dell’approssimarsi dei concorrenti. La PS4 è ridotta ad un lago
di fango, tanto che i commissari fermano i piloti
per indicargli il passaggio e cercare di non farli
piantare: c’è un ponticello di fortuna che sembra
ricavato da un pallet, e mettersi di traverso lì sopra significa rischiare di volare nel fiumiciattolo
sottostante o anche solo bloccare il passaggio
per i piloti che seguono. Un pilota particolarmente determinato se ne frega del ponticello e
guada direttamente il fiumiciattolo, diventando
istantaneamente l’idolo del pubblico. Ma piantarsi è normale: dopo il ponticello, al passaggio
del quinto concorrente c’è già una fossa in cui
sparirebbe qualunque animale di taglia inferiore
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al bovino adulto. Poco male, visto che in un attimo arriva la compagnia della spinta che cava
d’impaccio anche i meno capaci. Per il pubblico
ricoprirsi di fango fa parte del divertimento, chi
crea più schizzi viene applaudito ed incoraggiato. L’entusiasmo e qualche bicchiere di troppo
rendono tutto una grande festa. I guai, per i piloti di fondo classifica, iniziano al terzo giro – il
pubblico inizia a sfollare verso l’una, quando
il freddo si fa pungente e i primi sono ormai vicini al traguardo finale, e gli ultimi non trovano
più luce né aiuto. Abbiamo visto un marshall
rientrare stravolto in albergo verso le sei del
mattino dopo aver aiutato una manciata di piloti
completamente piantati nel fango della quarta
speciale. Però comincia a fare freddo, tanto che
i piloti ogni due speciali passano per il paddock a
cambiarsi i vestiti fradici e gelati. Renet è terzo, a
pochi minuti di distacco, nonostante sia partito
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per la prima PS in ritardo e senza faretti supplementari per un problema elettrico. Una vittoria
alla terza speciale con un buon margine lo rimette in gioco. Tutto sembra andare bene quando, al
termine della seconda frazione, entra al paddock
e si ritira. La tendinite spuntata nel corso della
stagione, riacutizzatasi per la fatica, il freddo e
l’umido, gli impediscono di continuare. Peccato:
fosse finita così ci sarebbero state tre Husqvarna
sul podio. «Era troppo doloroso, non ce la facevo
più e ho preferito fermarmi» commenta il Campione del Mondo con il tono di chi sta lasciando
un conto aperto. «Le speciali qui alla Novemberkåsan sono lunghissime, e fisicamente è davvero impegnativa: pietre e fango dappertutto,
non si ha un attimo di tregua» E guidare di notte?
«Sinceramente credevo peggio. Pensavo che i
tempi sarebbero saliti tanto rispetto alla frazione diurna, mentre guardando i tempi non c’è una
Enduro
grossa differenza, però sicuramente serve una
concentrazione incredibile»
Renet è seccato ma non ha perso il buon umore,
tanto da riuscire a scherzare sul fatto che… è ancora un ragazzo.
La tradizione locale vuole che per essere uomini
si debba finire una Novemberkåsan, ma ci sembra una valutazione troppo dura: su una media di
160 partenti normalmente meno di 50 riescono
a finirla – dal passaggio del primo sul traguardo
della terza frazione restano due ore per concludere, dopodiché la classifica si congela. Nelle
edizioni particolarmente dure si sono visti ordini
d’arrivo con soli cinque piloti all’interno del tempo limite.
E il fatto che un Campione del Mondo arrivi al ritiro perché impegnato a tal punto da far riemergere problemi fisici la dice lunga su quanto sia dura
questa classica svedese.
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Enduro
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Il trionfo del campione
Alla fine, come da copione, Ljunggren trionfa. E
appena arriva sul palco inizia a piovere, come
se gli organizzatori avessero preso accordi precedenti anche con il meteo. La Novemberkåsan
non è mai facile, ma questa del 2014 è stata considerata un’edizione non particolarmente impegnativa proprio per le condizioni meteo stranamente favorevoli – pensate che la temperatura
non è praticamente mai scesa sotto lo zero – e
Joakim ha dominato la gara con relativa facilità.
Tanto da arrivare a deconcentrarsi («Stavo già
pensando ai festeggiamenti, mi sono distratto
e sono scivolato come un principiante») nell’ultima speciale ed incappare in una caduta senza
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conseguenze. Il suo vantaggio era tale che la vittoria – la sua sesta – non è mai stata realmente
oggetto di incertezza fin dall’inizio della terza
frazione. Al secondo posto ha chiuso (sempre
su Husqvarna) Carl Johan Bjekert, eroe locale
che ribadisce quanto contino esperienza e conoscenza del tracciato. Su cui, vale la pena sottolinearlo, la gente del posto è abituata a girare
in notturna, perché anche qui nel sud del paese
le ore di luce per gran parte dell’anno si contano sulle dita di una mano sola. In una gara tanto
particolare e tanto lunga gestire correttamente
le energie e sapere cosa vi aspetta costituisce
un vantaggio non trascurabile. Ma non è che
l’esperienza faccia tutto, sia chiaro: il manico è
indispensabile, se è vero che dopo oltre nove ore
di gara il terzo posto si è deciso per soli quindici
secondi. Sul palco Ljunggren ha la faccia tirata
ma non stravolta: mentre stappa lo champagne
Joakim ha la faccia di chi pregusta l’accoglienza
del secondo trofeo permanente nella propria bacheca personale. Renet è già partito per prendere l’aereo che lo porterà a Jerez per il Gran Galà
della Federazione riservato ai Campioni del Mondo 2014. L’appuntamento, Pela l’ha già detto,
è per l’anno prossimo (a proposito: si correrà a
Uddevalla, dove si trova la pista che ha ospitato
più volte il Gran Premio di Svezia del Mondiale
Cross, in caso voleste organizzare un viaggio).
Gli avversari sono avvisati.
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EDITORE:
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P. Iva 11921100159
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