Eutekne.Info - Il Quotidiano del Commercialista

QUADERN
/ MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Deduzioni IRAP
anche per i
dipendenti in cassa
integrazione
Split payment sotto la lente
dell’Agenzia
/ Luca FORNERO
/ Emanuele GRECO e Simonetta LA GRUTTA
Un argomento sinora non affrontato dalla prassi e scarsamente
approfondito in dottrina attiene
la possibilità di fruire delle deduzioni IRAP riconosciute a fronte dell’impiego di personale anche per i lavoratori che fruiscono
di trattamenti di integrazione salariale (es. cassa integrazione
guadagni ordinaria, CIGO, e/o
straordinaria, CIGS).
Il problema è particolarmente
sentito in questo periodo, non solo per il ricorso sempre più frequente ai c.d. ammortizzatori sociali, ma anche ai fini dello stanziamento del fondo imposte nei
bilanci degli esercizi chiusi al 31
dicembre 2014.
Tipicamente, il caso riguarda le
deduzioni spettanti per i dipendenti a tempo indeterminato, riguardo ai quali la deducibilità integrale dei relativi costi competerà soltanto dal [...]
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 1
pubblicata ieri, 9 febbraio 2014, ha fornito i primi chiarimenti ufficiali sull’ambito applicativo
del regime di “scissione dei pagamenti”, introdotto con la legge di stabilità 2015.
Come ricordato nella circolare, il meccanismo
della scissione dei pagamenti si applica alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi di cui
agli artt. 2 e 3 del DPR 633/72, effettuate, nel
territorio dello Stato, nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni individuate dall’art. 17-ter
del DPR 633/72, fatta eccezione per le operazioni soggette a reverse charge (e per le prestazioni di servizi professionali soggette a ritenuta a titolo d’imposta sul reddito, ndr).
In virtù della nuova disciplina, l’IVA addebitata
dai fornitori nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni dovrà essere versata dall’Amministrazione acquirente direttamente all’Erario,
anziché allo stesso fornitore, “scindendo quindi
il pagamento del corrispettivo dal pagamento
della relativa imposta”. Il nuovo meccanismo di
riscossione dell’IVA ha lo scopo di garantire il
corretto assolvimento dell’imposta, al fine di
ridurre il “VAT gap” (vale a dire la differenza
tra IVA potenzialmente dovuta e IVA riscossa
Non rientrano in tale regime le operazioni nei confronti di Aziende
speciali ed enti pubblici economici
A PAGINA 2
A PAGINA 3
INEVIDENZA
CONTABILITÀ
Sanzioni “improprie” al nodo dell’applicazione del
favor rei
Credito per le imposte estere solo se il prelievo è
“definitivo”
Il rialzo dei tassi Usa non coinvolge quelli europei
Al PM l’onere di provare il rilascio delle certificazioni
Scadenze, i sindacati chiedono un incontro a MEF ed
Entrate
ALTRENOTIZIE
dai singoli Stati) e di contrastare i fenomeni
di evasione e le frodi IVA.
Il meccanismo della scissione dei pagamenti,
infatti, mira a garantire:
- l’Erario, dal rischio di inadempimento
dell’obbligo di assolvere l’IVA da parte dei
propri fornitori (cosiddetto “missing trader”);
- le Pubbliche Amministrazioni acquirenti,
dal rischio di coinvolgimento in frodi commesse dai propri fornitori o da terzi.
Con questo primo intervento, l’Agenzia delle
Entrate definisce l’ambito oggettivo della
nuova disciplina che riguarda le operazioni
documentate mediante fattura e dunque non
si applica alle operazioni certificate con
scontrino (fiscale o non fiscale per i corrispettivi trasmessi telematicamente) e ricevuta fiscale, ovvero mediante altre modalità semplificate di certificazione dei corrispettivi.
L’Agenzia delle Entrate compie poi una più
ampia disamina delle Pubbliche Amministrazioni destinatarie di operazioni in regime di
split payment.
A questo riguardo, si osserva che le Amministrazioni cui l’art. 17-ter del DPR 633/72 si riferisce sono le stesse cui fa [...]
/ A PAGINA 10
Bonus di 80 euro senza
effetti sul Conto
economico
/ Silvia LATORRACA e Massimo NEGRO
A partire dallo scorso 1° gennaio, i contribuenti titolari di redditi di lavoro dipendente e di alcuni redditi assimilati, con reddito
complessivo IRPEF non superiore a 26.000
euro, hanno potuto continuare a beneficiare
del bonus di 80 euro al mese in busta paga.
La legge di stabilità per il 2015 (L. 190/2014)
ha, infatti, messo a regime il credito, già disciplinato dall’art. 1 del DL 24 aprile 2014 n.
66 (conv. L. 23 giugno 2014 n. 89) per il periodo maggio-dicembre 2014 (si [...]
A PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Deduzioni IRAP anche per i dipendenti in
cassa integrazione
I trattamenti di integrazione salariale non mutano la natura del rapporto di lavoro ma
lo sospendono soltanto
/ Luca FORNERO
Un argomento sinora non affrontato dalla prassi e scarsamente approfondito in dottrina attiene la possibilità di
fruire delle deduzioni IRAP riconosciute a fronte dell’impiego di personale anche per i lavoratori che fruiscono di
trattamenti di integrazione salariale (es. cassa integrazione
guadagni ordinaria, CIGO, e/o straordinaria, CIGS).
Il problema è particolarmente sentito in questo periodo, non
solo per il ricorso sempre più frequente ai c.d. ammortizzatori sociali, ma anche ai fini dello stanziamento del fondo
imposte nei bilanci degli esercizi chiusi al 31 dicembre
2014.
Tipicamente, il caso riguarda le deduzioni spettanti per i dipendenti a tempo indeterminato, riguardo ai quali la deducibilità integrale dei relativi costi competerà soltanto dal
2015, con effetto sulla dichiarazione IRAP 2016 (si veda
“Dal 2015 senza IRAP i costi per dipendenti a tempo
indeterminato” del 20 ottobre 2014).
Con riferimento al periodo d’imposta 2014, invece, in ordine al citato personale, continuano ad essere deducibili:
- l’importo complessivo dei relativi contributi assistenziali e
previdenziali (es. contributi INPS, contributi a forme pensionistiche complementari, ecc.);
- un importo forfetario variabile in base alla zona d’impiego e alle caratteristiche soggettive del lavoratore (con un incremento degli ammontari massimi ammessi in deduzione
rispetto al 2013).
Si ricorda che sono previste alcune esclusioni dalla facoltà
di beneficiare di tali deduzioni, legate, da un lato, alla natura dei soggetti beneficiari e, dall’altro, ai settori in cui essi
operano.
Quanto al primo aspetto, non possono fruirne:
- le Amministrazioni Pubbliche;
- le Amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato,
della Corte Costituzionale, della Presidenza della Repubblica;
- gli organi legislativi delle Regioni a Statuto speciale.
Relativamente al secondo profilo, sono escluse dall’ambito
applicativo delle deduzioni le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori delle c.d. “public utilities” (es.
energia, acqua, trasporti, infrastrutture).
Tornando alla nostra questione, a favore della spettanza delle deduzioni in esame anche nell’ipotesi di ricorso a trattamenti di integrazione salariale sembra deporre la circostanza
che questi non interrompono, né mutano la natura del
rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ma
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
lo sospendono soltanto (si veda quanto riportato sul sito internet dell’INPS all’interno della sezione “Prestazioni a sostegno del reddito”). A favore di tale impostazione è possibile richiamare la ris. Agenzia delle Entrate 3 agosto 2001 n.
123, nella quale la facoltà di fruire del credito d’imposta per
l’incremento occupazionale (ex art. 7 della L. 388/2000 e
successive modifiche) è stata riconosciuta altresì con riferimento ai lavoratori assenti con diritto alla conservazione
del posto, anche nel caso in cui questi non svolgessero
attività lavorativa e non percepissero, in tutto o in parte, la
retribuzione.
Naturalmente, la facoltà di fruire delle citate deduzioni deve
tenere conto della condizione posta dall’art. 11 comma 4septies del DLgs. 446/97, a norma del quale, per ogni dipendente, l’ammontare deducibile non può eccedere la somma
della retribuzione e degli altri oneri e spese a carico del datore di lavoro. Pertanto, nel momento in cui, a seguito della
concessione del trattamento di integrazione salariale, la retribuzione e gli altri oneri assistenziali e previdenziali fossero totalmente a carico dell’INPS, non competerebbe alcuna deduzione. Diversamente, le deduzioni dovrebbero spettare entro il limite massimo della retribuzione e degli oneri rimasti a carico del datore di lavoro.
Nessun ragguaglio per la deduzione forfetaria
Ammessa la suddetta possibilità, occorre ulteriormente domandarsi se l’importo della deduzione forfetaria debba essere ridotto proporzionalmente ai giorni in cui il lavoratore
beneficia del trattamento oppure se, in tale ipotesi, la deduzione continui a competere per l’intero ammontare. In proposito, sembra possibile continuare a fruire della deduzione
forfetaria in misura piena, considerando che il ragguaglio è
normativamente previsto soltanto nei casi di contratti a tempo parziale o di instaurazione o trasformazione del rapporto di lavoro (es. da tempo determinato a tempo indeterminato) nel corso del periodo d’imposta (ex art. 11 comma 4-bis.2
del DLgs. 446/97).
Naturalmente, neppure quanto spettante a titolo di deduzione forfetaria può eccedere la somma della retribuzione e
degli altri oneri e spese a carico del datore di lavoro, per cui
se, di fatto, gli oneri fronteggiati da quest’ultimo sono inferiori all’importo della deduzione teoricamente spettante,
quest’ultima andrà ridotta in misura corrispondente.
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ancora
FISCO
Split payment sotto la lente dell’Agenzia
Non rientrano in tale regime le operazioni nei confronti di Aziende speciali ed enti
pubblici economici
/ Emanuele GRECO e Simonetta LA GRUTTA
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 1 pubblicata ieri,
9 febbraio 2014, ha fornito i primi chiarimenti ufficiali
sull’ambito applicativo del regime di “scissione dei pagamenti”, introdotto con la legge di stabilità 2015.
Come ricordato nella circolare, il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi di cui agli artt. 2 e 3 del DPR 633/72, effettuate, nel territorio dello Stato, nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni individuate dall’art. 17-ter del DPR
633/72, fatta eccezione per le operazioni soggette a reverse
charge (e per le prestazioni di servizi professionali soggette
a ritenuta a titolo d’imposta sul reddito, ndr).
In virtù della nuova disciplina, l’IVA addebitata dai fornitori nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni dovrà essere versata dall’Amministrazione acquirente direttamente
all’Erario, anziché allo stesso fornitore, “scindendo quindi
il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta”. Il nuovo meccanismo di riscossione dell’IVA
ha lo scopo di garantire il corretto assolvimento dell’imposta, al fine di ridurre il “VAT gap” (vale a dire la differenza
tra IVA potenzialmente dovuta e IVA riscossa dai singoli
Stati) e di contrastare i fenomeni di evasione e le frodi IVA.
Il meccanismo della scissione dei pagamenti, infatti, mira a
garantire:
- l’Erario, dal rischio di inadempimento dell’obbligo di assolvere l’IVA da parte dei propri fornitori (cosiddetto “missing trader”);
- le Pubbliche Amministrazioni acquirenti, dal rischio di
coinvolgimento in frodi commesse dai propri fornitori o da
terzi.
Con questo primo intervento, l’Agenzia delle Entrate definisce l’ambito oggettivo della nuova disciplina che riguarda le
operazioni documentate mediante fattura e dunque non si
applica alle operazioni certificate con scontrino (fiscale o
non fiscale per i corrispettivi trasmessi telematicamente) e
ricevuta fiscale, ovvero mediante altre modalità semplificate
di certificazione dei corrispettivi.
L’Agenzia delle Entrate compie poi una più ampia disamina delle Pubbliche Amministrazioni destinatarie di operazioni in regime di split payment.
A questo riguardo, si osserva che le Amministrazioni cui
l’art. 17-ter del DPR 633/72 si riferisce sono le stesse cui fa
riferimento l’art. 6 comma 5 del DPR 633/72, in materia di
esigibilità differita.
Nonostante la coincidenza dei due ambiti applicativi,
l’Agenzia specifica che l’interpretazione delle due norme citate deve avvenire secondo canoni diversi, in ragione della
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diversa ratio delle stesse:
- l’art. 6 comma 5 del DPR 633/72, in quanto norma di carattere agevolativo, avente natura derogatoria rispetto ai principi ordinari dell’IVA, non può essere interpretata estensivamente;
- l’art. 17-ter deve essere interpretata tenendo conto della sua
finalità di contrasto ai fenomeni di evasione da riscossione
dell’IVA.
Tanto premesso, rientrano nella disciplina dello split payment, le forniture nei confronti dello Stato e di altri soggetti
qualificabili come “organi dello Stato” (ad esempio le istituzioni scolastiche), degli enti pubblici territoriali e di altri
enti locali (quali le Comunità montane, le Comunità isolane
e le Unioni di Comuni), nonché delle Camere di Commercio
(e delle Unioni Regionali delle stesse), degli istituti universitari, delle ASL, degli enti ospedalieri (ma non gli enti ecclesiastici che operano in regime di diritto privato), degli enti
pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere
scientifico (IRCCS), delle Istituzioni Pubbliche di
Assistenza e Beneficenza (IPAB), delle Aziende Pubbliche
di Servizi alla Persona (ASP) e degli enti pubblici di
previdenza (INPS, Fondi pubblici di previdenza).
Ne sono, invece, esclusi tutti i soggetti che non hanno natura pubblica quali gli enti previdenziali privati, le aziende
speciali (ivi incluse quelle delle Camere di Commercio) e la
generalità degli enti pubblici economici.
Sono poi esclusi tutti gli enti pubblici non economici che,
in quanto autonomi rispetto alla struttura statale, perseguono
fini propri ancorché di interesse generale; è il caso di Ordini professionali, Enti ed istituti di ricerca, Agenzie fiscali,
Autorità amministrative indipendenti (ad esempio
l’AGCOM), Agenzie regionali per la protezione
dell’ambiente (ARPA), Automobile club provinciali,
Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN), Agenzia per L’Italia Digitale
(AgID), INAIL, Istituto per lo studio e la prevenzione
oncologica (ISPO).
La categoria di appartenenza di un ente può essere verificata mediante l’Indice delle Pubbliche Amministrazioni, consultabile all’indirizzo http://indicepa.gov.it/documentale/ricerca.php, che tuttavia non ha contenuto esaustivo.
In ultimo, l’Amministrazione finanziaria, in ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, riconoscendo l’incertezza in materia, fa salvi i comportamenti adottati dai contribuenti fino all’8 febbraio 2015, ai quali pertanto non dovranno essere applicate sanzioni per le violazioni
eventualmente commesse in relazione alle nuove norme.
/ 03
ancora
CONTABILITÀ
Bonus di 80 euro senza effetti sul Conto
economico
Il sostituto d’imposta deve rilevare un credito nei confronti dell’Erario e un debito
verso i dipendenti
/ Silvia LATORRACA e Massimo NEGRO
A partire dallo scorso 1° gennaio, i contribuenti titolari di
redditi di lavoro dipendente e di alcuni redditi assimilati,
con reddito complessivo IRPEF non superiore a 26.000 euro,
hanno potuto continuare a beneficiare del bonus di 80 euro
al mese in busta paga.
La legge di stabilità per il 2015 (L. 190/2014) ha, infatti,
messo a regime il credito, già disciplinato dall’art. 1 del DL
24 aprile 2014 n. 66 (conv. L. 23 giugno 2014 n. 89) per il
periodo maggio-dicembre 2014 (si veda “Bonus di 80 euro a
regime, ma solo per dipendenti e assimilati” del 17 ottobre
2014).
Oltre che in relazione agli aspetti giuslavoristici della materia, il bonus in esame assume rilievo, stanti le specifiche modalità attraverso le quali lo stesso viene erogato, anche in relazione agli effetti di natura contabile che si producono in
capo al sostituto d’imposta.
A ben vedere, sotto questo profilo, non ci sono differenze rispetto alla prassi utilizzata fino allo scorso dicembre, in
quanto la disciplina a regime del credito riprende sostanzialmente quella del suddetto DL 66/2014, confermandone, oltre che l’ambito soggettivo di applicazione, l’ammontare del
bonus spettante e il limite di reddito complessivo per averne
diritto (pari a 26.000 euro), anche le modalità di riconoscimento e di recupero da parte del sostituto d’imposta.
Nel dettaglio, il bonus è riconosciuto in via automatica
(cioè senza necessità di richiesta da parte dei beneficiari) dal
sostituto d’imposta, in aggiunta alle retribuzioni o agli emolumenti sostitutivi erogati in ciascun periodo di paga.
Il sostituto d’imposta deve, naturalmente, verificare che sussistano le condizioni richieste per usufruire dell’agevolazione, in particolare il requisito reddituale.
Detto questo, il bonus incrementa la retribuzione netta percepita dai soggetti beneficiari (con l’obiettivo di favorire i
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
consumi e la crescita economica attraverso la riduzione del
c.d. “cuneo fiscale”), ma non incide sulla retribuzione lorda, cioè sul costo che il datore di lavoro deve sostenere in
relazione al personale dipendente.
Le somme erogate ai lavoratori a titolo di bonus sono, infatti,
recuperate dal sostituto d’imposta mediante l’istituto della
compensazione ex art. 17 del DLgs. 241/97 nel modello
F24. Peraltro, la relazione tecnica al provvedimento in esame evidenzia i relativi effetti in termini di gettito, classificandoli nella voce “minori entrate tributarie”.
Si ritiene, quindi, che il bonus (che troverà specifica indicazione in busta paga) non produca effetti di natura reddituale in capo al sostituto d’imposta, il quale dovrà rilevare, in
contropartita al maggior debito verso i dipendenti, un credito nei confronti dell’Erario.
Nella specie, si consiglia di utilizzare un conto denominato,
per esempio, “Credito L. 190/2014” oppure “Credito art. 13
comma 1-bis TUIR” e non, invece, il conto “Erario c/ritenute su retribuzioni”, così da tenere traccia in contabilità del
debito verso l’Erario per le ritenute IRPEF (che non viene
influenzato dal bonus) e del credito riconosciuto dalla legge
di stabilità per il 2015.
Peraltro, come chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate 11
luglio 2014 n. 22, la compensazione del bonus può avvenire con tutti gli importi a debito che devono essere versati
con il modello F24 e, quindi, non solo ritenute IRPEF e contributi INPS, ma anche, per esempio, versamenti IRES,
IRAP, TASI, ecc.
Infine, nonostante il credito sia rapportato al periodo di lavoro nell’anno, si ritiene che lo stesso debba essere rilevato
al momento del pagamento delle retribuzioni, poiché il
diritto alla compensazione del relativo importo sorge
soltanto per effetto dell’erogazione del bonus.
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ancora
FISCO
Sanzioni “improprie” al nodo
dell’applicazione del favor rei
La Cassazione nega il principio per le cause legittimanti l’accertamento induttivo
/ Alfio CISSELLO
Per effetto del terzo comma dell’art. 3 del DLgs. 472/97, “se
la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità
diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il
provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.
Un tema interessante concerne la possibilità di applicare detto principio non solo alle sanzioni pecuniarie, ma anche a
quelle “improprie”. Talvolta, l’inosservanza della legge tributaria (consistente, ad esempio, nel mancato invio di una
comunicazione) pregiudica la possibilità di dedurre un costo
che, nelle situazioni ordinarie, avrebbe potuto esserlo.
La Corte di Cassazione ha puntualmente analizzato l’argomento con la sentenza n. 26475 depositata lo scorso 17 dicembre, affermando, in breve, che il favor rei può operare
per le sanzioni improprie di tipo sostanziale e non per
quelle procedimentali, o almeno non in maniera incondizionata.
Nel caso delle sanzioni improprie procedimentali, l’ordinamento preclude mezzi di tutela al trasgressore di un precetto, o aumenta i poteri del Fisco, mentre in quelle sostanziali
si verifica la perdita di un beneficio, la decadenza da un’agevolazione o ancora la revoca di un privilegio.
Per questa ragione, era stato applicato il favor rei nel caso
del “vecchio” art. 41 comma 6 del DPR 633/72, che, a differenza del sopravvenuto art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97,
prevedeva, per il cessionario che non avesse regolarizzato
la fatturazione irregolare del cedente, anche l’obbligo di pagamento dell’IVA, e non solo una sanzione (vedasi al riguardo la circolare dell’Agenzia delle Entrate 52 del 2011, ove è
stato recepito quanto detto dalle Sezioni Unite con la
sentenza n. 26126 del 2010).
Il menzionato ragionamento non può però valere per il venir
meno di una causa legittimante l’accertamento induttivo extra-contabile. Nella specie, l’abrogazione dell’obbligo di vidimazione delle scritture contabili disposta dalla L.
383/2001, fatto sintomatico, secondo un’opinione, di generale inattendibilità della contabilità, lo avrebbe legittimato ex
artt. 39 comma 2 del DPR 600/73 e 55 del DPR 633/72.
Non si raggiunge quel grado di certezza che legittima il fa-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
vor rei: mentre nelle sanzioni improprie sostanziali è certo
che il contribuente, senza applicare la legge più favorevole,
sarebbe sottoposto ad un trattamento penalizzante (si pensi
alla revoca dell’agevolazione o al caso, ancor più lampante,
del venir meno della deduzione), nel caso dell’induttivo c’è
una valutazione discrezionale dell’Agenzia delle Entrate in
ordine al carattere complessivamente inattendibile delle
scritture contabili, che, a fronte della mancata vidimazione,
ben avrebbe potuto procedere con il metodo analitico.
A ben vedere, la Cassazione ha argomentato perché l’art. 3
del DLgs. 472/97 opera per le sanzioni improprie sostanziali,
non anche la ragione per cui sussistono dubbi, a livello generale, per quelle procedimentali.
Principio sostenibile per le minusvalenze
Le considerazioni possono essere condivise per l’accertamento induttivo, che presuppone una valutazione discrezionale.
Qualora, però, non sussista alcun profilo di discrezionalità
in capo all’amministrazione, sarebbe azzardato negare, in
maniera incondizionata, l’applicazione del favor rei per le
sanzioni improprie procedimentali.
Tanto premesso, il ragionamento della Corte di Cassazione
conferma quanto era stato sancito dalla Regionale di Milano
con la pronuncia n. 2910 del 2014 (si veda “Comunicazione
delle minusvalenze alla prova del «favor rei»” del 28 luglio
2014), in relazione all’omessa comunicazione delle minusvalenze.
Ciò è stato oggetto di un cambiamento normativo: infatti,
sotto il vigore dell’art. 1 comma 4 del DL 209/2002, l’inosservanza era punita con l’indeducibilità, ma dopo la L.
44/2011, che ha modificato l’art. 11 del DLgs. 471/97, è prevista solo una sanzione, se l’ammontare delle minusvalenze
è pari o superiore a 5.000.000 di euro, pari al 10% delle medesime, con un minimo di 500 e un massimo di 50.000 euro.
Trattasi di una sanzione impropria di tipo sostanziale, per
cui non dovrebbero esservi dubbi sull’applicabilità dell’art. 3
comma 3 del DLgs. 472/97.
/ 05
ancora
FISCO
Credito per le imposte estere solo se il
prelievo è “definitivo”
La detrazione prevista dall’art. 165 del TUIR non compete per le imposte pagate a
titolo provvisorio, o in eccesso rispetto alle Convenzioni
/ Gianluca ODETTO
Una delle più frequenti questioni che si incontrano nell’ambito della corretta determinazione del credito per le imposte assolte all’estero, la cui regolamentazione interna si
rinviene nell’art. 165 del TUIR, riguarda le caratteristiche
delle imposte estere che vanno in detrazione dell’IRPEF o
dell’IRES.
Il principio generale è quello per cui sono scomputabili le
imposte pagate all’estero a titolo definitivo; riprendendo allo scopo il contenuto della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 50 del 12 giugno 2002 (§ 18), sono da considerare
definitive le imposte pagate all’estero divenute “non ripetibili”, ovvero non suscettibili di modificazione a favore del
contribuente. Non possono, quindi, essere scomputate:
- sotto un primo profilo, le imposte per le quali è prevista la
possibilità di rimborso totale o parziale;
- in secondo luogo, le imposte pagate in acconto o in via
provvisoria.
Per quanto riguarda il primo aspetto, va innanzitutto rilevato
che non possono essere detratte dall’imposta italiana le ritenute subìte nello Stato estero in misura superiore a quella
prevista dalle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni (se, naturalmente, il reddito di fonte estera può
accedere ai relativi benefici); tali imposte prelevate in
eccesso potrebbero, infatti, essere richieste a rimborso nello
Stato estero e risulterebbero quindi carenti del requisito della
“definitività” (o “non ripetibilità”).
Se, ad esempio, è stata prelevata una ritenuta estera nella
misura del 27%, a fronte di un’aliquota convenzionale del
10%, e il percipiente ha i requisiti previsti dalla Convenzione per ottenere il rimborso della differenza, egli può scomputare a titolo di imposta estera secondo le modalità previste dall’art. 165 del TUIR il prelievo estero nell’importo
corrispondente all’aliquota del 10%, avendo pieno titolo
per richiedere a rimborso presso l’Amministrazione estera
la differenza del 17%: tale impostazione trova peraltro
corrispondenza con la prassi dell’Agenzia delle Entrate, la
quale ha esplicitato il principio nella circolare n. 26 del 16
giugno 2004 in materia di dividendi.
Il principio per cui non è accreditabile in Italia un’imposta
prelevata all’estero in misura superiore a quella prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni vale anche nel
caso “estremo” nel quale il soggetto residente in Italia ha subito un prelievo all’estero quando non ne sussistevano affat-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
to i presupporti. Il caso, esaminato dalla risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate n. 277 del 3 luglio 2008, è quello
di una società italiana che ha reso prestazioni ad una società
del Kazakistan senza avere in loco una stabile organizzazione. Essendo il reddito non imponibile nello Stato estero,
mancando una S.O., il prelievo operato risulta quindi indebito e, pertanto l’impresa italiana non ha titolo a scomputare
dall’IRES l’imposta estera e deve richiedere a rimborso la
ritenuta operata senza che vi fossero i presupposti presso le
Autorità fiscali del Kazakistan.
In questo senso, appare centrale accertare quali siano le corrette modalità di imposizione del reddito di fonte estera, alla luce della norma nazionale dell’altro Stato e delle Convenzioni internazionali.
Necessario il pagamento prima di UNICO
Come in precedenza segnalato, non possono essere scomputate le imposte estere pagate in acconto o in via provvisoria.
Tale principio va però coordinato con quello, contenuto
nell’art. 165 comma 4 del TUIR, per cui la detrazione avviene nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito al quale si riferisce l’imposta stessa (ad
esempio, in UNICO 2015, se il reddito estero è stato
prodotto nel 2014), a condizione che il pagamento a titolo
definitivo avvenga prima della presentazione della
dichiarazione.
Nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 134 del 25
settembre 2001 l’acconto del 75% versato sull’imposta
complessiva era considerato pagamento a titolo provvisorio (non avente, quindi, carattere di definitività) per il semplice fatto che risultava dovuto un saldo; tale risoluzione è,
però, stata emanata in vigenza del “vecchio” art. 15 del
TUIR, il quale non conteneva la clausola oggi presente
nell’art. 165 comma 4, la quale consente lo scomputo senza
ulteriori condizioni se il pagamento (acconto + saldo) avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione
dei redditi, ragione per cui le relative conclusioni si ritengono superate; così, se il reddito è stato prodotto nel 2014, nel
2014 stesso è stato pagato l’acconto al Fisco estero, ma entro il 30 settembre 2015 il contribuente italiano versa il saldo dell’imposta, entrambi i pagamenti sono detraibili a titolo di credito per le imposte estere.
/ 06
ancora
ECONOMIA & SOCIETÀ
Il rialzo dei tassi Usa non coinvolge quelli
europei
I tassi europei restano sui minimi storici per via dell’imminente quantitative easing Bce
e le crisi greca e ucraina comprimono i rendimenti Bund
/ Stefano PIGNATELLI
L’economia statunitense crea 257 mila nuovi posti di lavoro a gennaio, sono inoltre stati rivisti i dati di dicembre (329
mila) e novembre (423 mila): il totale di posti creati negli ultimi tre mesi ammonta ad un milione circa. Sorprende soprattutto il dato di novembre che, per quanto riguarda il solo settore privato, è stato il più alto degli ultimi 18 anni. Il
tasso di disoccupazione è salito dal 5,6% al 5,7%, ma è normale che in fase di inizio ripresa aumenti la gente che cerca
attivamente lavoro, con i delusi che tornano quindi a sperare.
Questi numeri hanno avuto un immediato riscontro sui rendimenti governativi Usa, con un bilancio dell’ultima settimana che li vede salire di oltre 20 centesimi su tutte le scadenze, con il decennale che da 1,69% sale a 1,92%.
I tassi Future Libor Usd 3 mesi, che rappresentano le attese di mercato per l’interbancario, sono abbondantemente saliti, segnalando un aumento di probabilità che la Fed possa alzare i tassi a metà anno, evento che nelle scorse settimane era stato fatto slittare a settembre/novembre. Il rialzo è
di 15 centesimi sulle attese Libor Usd per il 2015 e di 25-30
centesimi sulle attese per il 2016-2019.
Si tratta di un movimento importante che, tuttavia, non ha
influenzato minimamente i tassi Future Euribor 3 mesi, rimasti sostanzialmente immutati nelle ultime settimane.
L’Euribor 3 mesi oggi allo 0,051% è atteso rimanere su tale livello fino a metà 2016: lo 0,10% è visto a dicembre
2016, lo 0,20% a settembre 2017. L’Euribor è atteso rimanere sotto lo 0,5% fino a giugno 2019 (segui tassi e valute su
www.aritma.eu).
Il Bond Usa, nonostante il rialzo, potrebbe trovare difficoltà a salire oltre il 2%; considerandolo come possibile livello medio per l’anno in corso, con un’inflazione allo 0,7%
(stima Aritma), significherebbe avere rendimenti reali
dell’1,3%, che risulterebbero decisamente superiori a quelli
medi degli ultimi 5 anni (0,5%) e 10 anni (1%).
L’Europa non segue il rialzo dei tassi Usa: il Bund 10 rimane fermo in area 0,35%. I tassi Irs limano di qualche centesimo e si portano sui minimi storici, con il 10 anni sotto lo
0,7%. Lo spread Irs-Bund, indice di potenziali tensioni
sull’interbancario a medio termine, rientra leggermente
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
dopo le tensioni registrate nelle ultime settimane.
La spinta al rialzo dei tassi proveniente dagli Usa e dagli
indici europei di fiducia di questo inizio 2015, che sta portando le istituzioni finanziarie a rivedere al rialzo le stime di
crescita del vecchio continente, è controbilanciata dall’inflazione molto bassa, dalle tensioni greche e ucraine e
dall’imminente inizio del quantitative easing.
Il Bund 10 non ha motivi particolari, nelle prossime settimane, per salire e dovrebbe continuare a oscillare in un range
tra 0,3% e 0,45%: per assistere a rialzi superiori si dovrà
attendere la tarda primavera, quando si attenueranno le
spinte deflative.
In una fase di estrema incertezza, invece, rendimenti
Btp stabili
Il comparto dei periferici aveva dato l’impressione di non
risentire minimamente della Grecia. Tuttavia, sul finire di
settimana, in concomitanza con la decisione della Bce di
escludere i titoli greci come garanzia per accedere ai finanziamenti, il contagio si è fatto sentire. Il risultato complessivo, a livello dell’ultima settimana di quotazioni, è uno
spread Btp-Bund stabile in area 130 bps e un rendimento
Btp 10 fermo all’1,65%. La lettura è comunque positiva: in
una fase di estrema incertezza, con l’acuirsi delle tensioni in
Grecia e Ucraina e con i tassi Usa in rialzo, i rendimenti
Btp sono rimasti stabili; unica nota negativa è che si è interrotto il movimento al ribasso delle ultime settimane,
interruzione che per un motivo o per l’altro poteva
comunque starci.
I rendimenti delle obbligazioni bancarie e i più reattivi
Credit default swap relativi ai principali gruppi bancari italiani non subiscono variazioni significative dopo l’ottimo
miglioramento degli ultimi mesi. Il calo dei costi di raccolta
bancaria ha riportato il livello degli spread sui finanziamenti alle imprese all’incirca sui livelli della primavera
2011, ovvero prima l’inizio della crisi dei debiti sovrani, ma
il vantaggio è che ora i livelli delle basi Euribor e Irs sono
decisamente più bassi.
/ 07
ancora
IMPRESA
Al PM l’onere di provare il rilascio delle
certificazioni
La Suprema Corte sottolinea che sono insufficienti le evidenze del modello 770 ai fini
della condanna per omesso versamento di ritenute certificate
/ Maurizio MEOLI
È da annullare la sentenza di condanna per omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del DLgs.
74/2000) che, fondandosi sulle dichiarazioni testimoniali
del funzionario dell’Agenzia delle Entrate che ha materialmente effettuato la verifica, rilevi la compilazione dei quadri relativi ai lavoratori dipendenti senza specificare se vi
sia stata un’effettiva verifica comprovante l’avvenuto rilascio delle certificazioni. Ad affermarlo è la Corte di
Cassazione nella sentenza n. 5736 depositata ieri.
Sul tema, evidenzia in primo luogo la Suprema Corte, vale
quanto già precisato nella sentenza n. 40526/2014, ovvero
che nel reato di omesso versamento di ritenute certificate è
onere dell’accusa provare l’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le
ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere
costituita dal solo contenuto del modello 770 proveniente
dal datore di lavoro.
Secondo altra giurisprudenza, peraltro, posto che il PM non
deve necessariamente fornire “documentalmente” la prova
del rilascio delle certificazioni, potendo pervenire ad essa
anche mediante altri documenti, testimoni o indizi (cfr.
Cass. n. 1443/2013) – nel rispetto del principio generale secondo il quale gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti – è stata ritenuta sufficiente la presentazione del
modello 770 (cfr., tra le altre, Cass. nn. 20778/2014,
33187/2013 e 1443/2013); si è affermato, infatti, che le ritenute risultanti dal 770 dovrebbero ritenersi per ciò stesso
certificate, non avendo senso dichiarare quello che non è
stato corrisposto e, per ciò stesso, certificato.
In tale contesto ricostruttivo si è anche precisato che è vero
che sul PM incombe l’onere di provare i fatti costitutivi
dell’addebito contestato, tra cui il rilascio delle certificazioni, e che lo stesso può assolvere tale onere per via documentale, testimoniale o indiziaria, ma l’imputato dovrebbe provare – se il PM ha assolto le proprie incombenze – i fatti
estintivi o modificativi che paralizzino la “pretesa punitiva”. Con la conseguenza che la pura e semplice affermazione di non avere rilasciato le certificazioni ai sostituiti o di
non aver retribuito i dipendenti, e di riflesso neppure operato le ritenute, non è idonea all’assolvimento dell’onere probatorio a suo carico e, dunque, non lo esonera dalle responsabilità al cospetto di prove documentali, provenienti dallo
stesso imputato, o testimoniali, che attestino l’esatto contrario (cfr. Cass. n. 20778/2014).
La sentenza in commento non aderisce a tale ricostruzione.
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
Ritiene, infatti, opportuno richiamare i contenuti della già citata sentenza n. 40526/2014, nella quale – alla luce delle differenze rispetto alla previgente fattispecie di cui alla L.
516/82 e delle indicazioni fornite dalla sentenza n.
37425/2013 delle Sezioni Unite, che ha ricostruito il rapporto tra illecito amministrativo, ex art. 13 comma 1 del DLgs.
471/97, e penale, ex art. 10-bis del DLgs. 74/2000, in termini di progressione criminosa, con possibile concorrenza e
punibilità di entrambi – è stato sottolineato come l’elemento specializzante che determina il configurarsi della natura
delittuosa della fattispecie sia costituito dal rilascio della
certificazione al sostituito.
Pertanto, la norma penale non può trovare applicazione non
solo nei casi in cui il sostituto non abbia operato ritenute,
ma anche nei casi in cui non abbia rilasciato la certificazione, nonché nel caso in cui abbia rilasciato la certificazione
in un momento successivo alla scadenza del termine per effettuare il versamento. Quindi i due presupposti, o meglio, i
due elementi costitutivi della fattispecie, necessari per attribuire rilevanza penale all’omissione, sono costituti dalle
condotte attive dell’effettuazione della ritenuta e della successiva emissione della certificazione. Trattandosi di elementi costitutivi del reato (ma la stessa conclusione varrebbe configurandoli quali meri presupposti) occorre che sia
l’accusa a fornirne la prova (non necessariamente
documentale, ma anche basata su testimonianze o indizi,
purché gravi, precisi e concordanti).
A fronte di ciò – posto che certificazioni e modelli 770 sono
formalmente e sostanzialmente diversi, disciplinati da fonti
distinte, rispondenti a finalità non coincidenti, e consegnati e
presentati in momenti diversi – si evidenzia come la presentazione del 770 possa costituire indizio sufficiente o prova
di pagamento delle retribuzioni ed effettuazione delle ritenute, ma non anche del rilascio delle certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione
(dato che non emerge da alcuna casella o dichiarazione contenuta nel suddetto modello). D’altra parte, il delitto in questione non punisce l’omesso versamento di ritenute risultanti dal 770, ma l’omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, la cui prova non è
neanche particolarmente difficile da acquisire (attraverso
l’Agenzia delle Entrate, che dispone della documentazione
dei sostituiti, o con l’audizione dei sostituiti stessi). Sulla
base di tali argomentazioni – ritenute condivisibili – si
giunge alla conclusione evidenziata in premessa.
/ 08
ancora
FISCO
Scadenze, i sindacati chiedono un incontro a
MEF ed Entrate
La riunione servirebbe per parlare non solo di Certificazione Unica ma anche di 730
precompilato e responsabilità dei professionisti
/ Savino GALLO
Spostare la scadenza per l’invio della Certificazione Unica e
ridurre la portata dell’adempimento, consentendo di presentare entro il nuovo termine, fissato nel rispetto delle prescrizioni dello Statuto del Contribuente (almeno 60 giorni dopo
il rilascio di modelli e software), solo i dati necessari alle
Entrate per la predisposizione della dichiarazione precompilata. La richiesta arriva dal Coordinamento sindacale unitario dei commercialisti che, ieri, ha inviato una lettera a Ministero dell’Economia e Agenzia delle Entrate, chiedendo,
inoltre, la “urgente” istituzione di un tavolo di confronto
con i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria.
Un incontro nel quale affrontare tutte le criticità prodotte dagli ultimi provvedimenti in materia fiscale, a cominciare proprio dal rispetto della scadenza per l’invio della Certificazione Unica, prevista per il prossimo 9 marzo (primo giorno
lavorativo successivo all’ordinaria scadenza del 7 marzo, che
nel 2015 cade di sabato). A questo proposito, le associazioni
sindacali si rifanno al documento presentato in settembre al
tavolo tecnico per l’armonizzazione delle scadenze fiscali
(si veda “Scadenze fiscali, i sindacati presentano le proposte
di riforma” dell’11 settembre 2014), con cui si chiedeva l’individuazione di un termine “improrogabile” per l’approvazione e il rilascio dei modelli dichiarativi e dei relativi software, e l’introduzione del meccanismo di slittamento automatico della scadenza dell’adempimento, in caso di
mancato rispetto del suddetto termine.
Nel caso della Certificazione Unica 2015, il software è
arrivato lo scorso giovedì 5 febbraio (si veda “Invio delle
Certificazioni Uniche ai nastri di partenza” del 6 febbraio),
ovvero a poco più di un mese (e non due, come prescrive lo
Statuto) dalla scadenza individuata.
Di qui, la richiesta di spostamento del termine: “Ci siamo
impegnati a non chiedere proroghe – chiarisce Vilma Iaria,
Presidente dell’ADC –, ma questo ci sembra un adeguamento dovuto. Noi vogliamo essere vicini a chi vuole combattere l’evasione, anche se si tratta di adempimenti che ci
costano molto. Però, dobbiamo essere messi nelle condizioni di farlo con professionalità, perché le sanzioni sono molto alte: abbiamo il diritto di chiedere il rispetto dello Statuto
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 10 FEBBRAIO 2015
del contribuente”.
“La dilatazione dei tempi nel rilascio dei software – aggiunge Marco Cuchel, Presidente dell’ANC – non è dipesa da
noi, ma non possono essere sempre contribuenti e professionisti quelli che ne subiscono le conseguenze. Ad oggi (ieri,
ndr), alcune software house non hanno ancora messo a disposizione dei colleghi il software “Certificazione Unica
2015”, va da sé che riuscire a rispettare quella scadenza,
con la mole di dati richiesta, diventa quasi impossibile per
gli studi professionali”.
Ecco perché, oltre all’adeguamento della scadenza, i sindacati chiedono anche uno snellimento non solo della CU
2015, ma anche del 770 semplificato. In particolare, le associazioni propongono, come si legge nella lettera, di inviare
entro il nuovo termine “soltanto i dati necessari alla predisposizione della dichiarazione precompilata e non quelli di
tutti i percipienti di compensi a qualsiasi titolo, per i quali si
ritiene possa essere fissata una nuova scadenza più consona”.
A proposito, invece, del modello 770 semplificato, al fine di
“evitare duplicazioni”, si richiede di poter compilare “solo i
quadri indispensabili e contenenti i dati ancora mancanti per
l’attività delle Entrate, vale a dire i quadri SX e ST”.
Come detto, le associazioni (ADC, AIDC, ANC, ANDOC,
UNAGRACO, UNGDCEC, UNICO) chiedono una risposta
“urgente” in merito alla convocazione del tavolo di confronto e, nel farlo, ricordano, come mai accaduto prima, che il
coordinamento si è dotato del codice di autoregolamentazione dello sciopero: “Un modo per chiarire che siamo degli interlocutori di cui tener conto – spiega Cuchel –, in quanto
riconosciuti come rappresentanti della categoria a tutti gli
effetti”.
Ma anche un modo, forse, per ricordare che, una volta dotatisi di quel codice, i sindacati sono anche pronti ad utilizzarlo, nel caso in cui le richieste dovessero ancora una volta
non avere seguito: “Noi ci auguriamo – conclude Iaria – di
poterne fare a meno, perché significherebbe che le parti possono ancora collaborare”. Ancora una volta una mano tesa,
dunque, ma probabilmente l’ultima.
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ancora
LETTERE
Tra Comunicazione Unica e visto di
conformità, quante discussioni coi clienti
Caro Direttore,
mi permetto di sintetizzare in poche righe la giornata lavorativa di venerdì 6 febbraio.
La mattina apprendo dalla stampa specializzata la notizia che
il software per la Comunicazione Unica è disponibile, nel
primo pomeriggio arriva in studio l’offerta della software
house per implementare nel gestionale il pacchetto “Comunicazione Unica”: 550 euro + IVA, ricevuta bancaria 30
giorni, fine mese; ancora una volta gli “inutili commercialisti” mettono mano al portafoglio per poter ottemperare alle
disposizioni che renderanno possibile l’operazione “dichiarazione precompilata” per 20 milioni di contribuenti e tanti
cari saluti agli “inutili commercialisti” da parte del nostro
premier.
Già immagino le estenuanti discussioni con i clienti al momento della parcellazione, anzi prima: infatti, in ossequio alle disposizioni del DL 1/2012, dovrei contattarli tutti e consegnare loro il preventivo di massima, visto che, rispetto
all’incarico ricevuto, si tratta sicuramente di un nuovo
adempimento (quindi ore di lavoro che sfumano, con la
concreta possibilità di non recuperare neanche 1 euro e con
la prospettiva di 100 euro di sanzione per ciascun errore
senza possibilità di cumulo).
Poco dopo arriva la telefonata di un cliente che chiede notizie sui tempi per il rilascio del visto di conformità sulla dichiarazione IVA. È interessato, e lo capisco, il suo credito
ammonta a qualche centinaia di migliaia di euro: egli è uno
dei destinatari della prima ora della normativa sul reverse
charge, impresa strutturalmente a credito IVA (ed è una
cosa più che logica, se paghi l’IVA sugli acquisti e non l’ad-
debiti al cliente sulle vendite) e, avendo alle dipendenze una
trentina di dipendenti, il 16 del mese deve presentare F24
con ritenute e contributi di non poco conto.
Dal 2015 si troverà nella sua situazione un’altra bella fetta di
aziende, che dovranno attrezzarsi per fronteggiare già da ora
una riduzione, in media del 22%, dei loro flussi finanziari
in entrata, cioè a fine mese ci saranno meno soldi sul conto
corrente con cui far quadrare i conti.
Sul visto di conformità la risposta è che ancora non sappiamo se potremo metterlo o meno. Il nostro assicuratore
(compagnia assicuratrice di quelle il cui nome è sinonimo di
assicurazione in ogni parte del mondo), infatti, ci dice che
non sono ancora in grado di rilasciare polizze che recepiscano le novità introdotte relativamente al visto sul 730 precomplicato (la polizza è la stessa sia per il visto di conformità IVA che per il 730), in quanto nessuna copertura assicurativa può coprire le maggiori imposte e, poi, il beneficiario sarebbe lo stesso soggetto che ha il potere di irrogare
le sanzioni: siamo di fronte a un’ipotesi di nullità del contratto di assicurazione secondo i principi civilistici.
Bene, continuiamo così premier, ché da qui al 2018 riuscirete a distruggere quel poco che resta ancora in piedi della
nostra economia reale. Poi, sarà interessante capire dove
verranno trovate le ingenti risorse che sono necessarie per
tenere in piedi i “diritti acquisiti” tanto cari alla Corte
Costituzionale.
Alessandro Lini
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
di Pisa
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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